DELIBAZIONE DI SENTENZE ECCLESIASTICHE

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DELIBAZIONE DI SENTENZE ECCLESIASTICHE
Jus-online n. 2/2015
Luigi Paolo Comoglio
già Professore ordinario di Diritto processuale civile, Università Cattolica del Sacro Cuore di
Milano
Delibazione di sentenze ecclesiastiche
e ordine pubblico «flessibile»
SOMMARIO: 1. Premesse generali. I principi e le fonti normative invocabili. – 2.
La delibazione in Italia delle sentenze ecclesiastiche dichiarative della nullità del
matrimonio concordatario, negli orientamenti giurisprudenziali anteriori al 2014. –
3. L’overruling sancito da Cass., sez. un., 17.7.2014, n. 16379. Profili problematici. –
4. Ordine pubblico, protrazione temporale della convivenza fra coniugi e
preclusioni «a tempo», per la delibazione delle predette sentenze. Rilievi critici. – 5.
Osservazioni conclusive.
1. Premesse generali. I principi e le fonti normative invocabili.
Lo spunto di partenza, per queste riflessioni, mi é dato da una recente
pronunzia, a sezioni unite, della Corte di cassazione1, che – a prescindere dai suoi
indubbi pregi motivazionali – pare destinata, per le conclusioni cui perviene, a
rinfocolare risalenti diatribe. Essa suscita nuovi ed autorevoli dissensi, soprattutto
nella dottrina canonistica2, alimentando il fondato timore di una ulteriore
svalutazione, sul piano giuridico interno, del matrimonio concordatario come tale3.
Prima di affrontare il delicato argomento, sul quale é tornato (con inusitata
forza argomentativa) il Supremo Collegio, non ritengo superflua, per quanto possa
Il presente saggio, sottoposto a valutazione, è anche destinato al Liber Amicorum in onore di Giorgio
De Nova.
Si tratta di Cass., sez. un., 17.7.2014, n. 16379, in «Rep. Foro it.», 2014, voce “Matrimonio”, n. 22,
nonché, per esteso, in “Nuova giur. civ.”, 2015, I, pp. 36-50, con perspicua nota di U. Roma, Ordine pubblico,
convivenza coniugale e pronunce ecclesiastiche di nullità del matrimonio : le sezioni unite suppliscono all’inerzia legislativa con
una sostanziale modifica dell’ordinamento, pp. 50-61. Per un’approfondita analisi di tale pronunzia, cfr. pure E.
Quadri, Il nuovo intervento delle sezioni unite in tema di convivenza coniugale e delibazione delle sentenze ecclesiastiche di
nullità matrimoniale, “ivi”, 2015, II, pp. 47-60. Cfr. amplius, infra, § 3.
2 Per approfonditi rilievi e riferimenti critici, sulla tesi che ora viene accolta e ribadita – nella formale
composizione di un contrasto giurisprudenziale assai vivace – dalle Sezioni unite del 2014, cfr. O. Fumagalli
Carulli, Libertà religiosa matrimoniale e statuto personale del credente, in Frontiere della libertà religiosa, Quaderni di Iustitia,
Milano 2014, pp. 145-163, sp. 155-157.
3 Sul punto, a proposito della graduale «secolarizzazione» dell’istituto matrimoniale, a scapito dei
matrimoni canonici con effetti civili (c.d. matrimoni concordatari), ad es., cfr. ancora Fumagalli Carulli,
Matrimonio canonico, matrimoni religiosi, proliferazione delle unioni para-matrimoniali, in “Ius ecclesiae”, XXVI, 2014,
pp. 49-66 ; Id., Il matrimonio in Italia tra dimensione religiosa e secolarizzazione, Relazione di apertura al Convegno di
Palermo sul tema Il matrimonio religioso oggi : le nuove sfide della secolarizzazione, tenutosi in Palermo il 18 aprile
2015, in occasione della Giornata dell’Università Cattolica (§ 3 dell’elaborato scritto, di cui ho potuto prendere
visione, grazie alla cortesia dell’Autrice).
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apparire ovvia agli «addetti ai lavori», una breve ricognizione del contesto normativo
invocabile. Sono convinto che tale premessa giovi quantomeno alla chiarezza del
discorso, che qui vorrei sviluppare.
Come è a tutti noto, in base all’art. 8, 2° comma, dell’Accordo fra la
Repubblica italiana e la Santa Sede, che nel 19844 ha apportato «modificazioni»5 al
Concordato Lateranense dell’11 febbraio 1929, «le sentenze di nullità di
matrimonio», pronunziate dai tribunali ecclesiastici e «munite del decreto di
esecutività del superiore organo ecclesiastico di controllo», possono essere, su
istanza di parte (disgiunta o congiunta), dichiarate «efficaci nella Repubblica italiana»
con «sentenza» della Corte d’Appello competente.
La Corte d’appello é, però, tenuta ad accertare che :
- il giudice ecclesiastico fosse ab origine competente a conoscere della causa di
nullità ;
- nel processo dinanzi a quel giudice, sia stato «assicurato alle parti il diritto di
agire e di resistere in giudizio», «in modo non difforme dai principi fondamentali
dell’ordinamento italiano»6 ;
4 Si tratta dell’Accordo c.d. «di Villa Madama», stipulato il 18 febbraio 1984 e poi ratificato in Italia
con l. 25 marzo 1985, n. 121. Nell’ottica costituzionale, cfr., al riguardo, le riflessioni di L.M. De Bernardis,
Copertura costituzionale all’accordo di Villa Madama ?, in “Dir. eccles.”, 1984, I, 407 ss.
5 L’espressione figura, letteralmente, nella rubrica ufficiale della l. n. 121/1985, oltreché nell’art. 7, 2°
comma, Cost. D’altronde, si parla di «modificazioni consensuali» pure nella Premessa del cit. Accordo. Ma
non può negarsi che quest’ultimo, al di là dei termini usati, abbia comportato, sotto determinati profili, una
profonda «revisione» del Concordato precedente, in linea con quanto prescrive il cit. art. 7, 2° comma, Cost.
Circa le specifiche «ricadute» del predetto Accordo sullle regole applicabili al matrimonio
concordatario, si rinvia ai contributi raccolti nel vol. La disciplina del matrimonio concordatario dopo gli accordi di
Villa Madama, a cura di E. Vitali e G. Casuscelli, Milano 1988, pp. XI-434.
Per un inquadramento più ampio dei problemi interpretativi correlati, si leggano le considerazioni,
ancor oggi attuali, di Fumagalli Carulli, Il concordato tra Stato e Chiesa : un patto di libertà o un armistizio di
retroguardia ?, in “Jus”, 1989, pp. 49 ss.
6 Si coglie, qui, l’eco evidente dei principi – sui diritti al processo, alla giurisdizione ed alla difesa,
quali diritti inviolabili dell’uomo (ex art. 2 Cost.) – consacrati dalla Corte costituzionale in alcune note
pronunce del 1982, attinenti alla delibazione delle sentenze ecclesiastiche (secondo il regime previgente del
1929) ed ai limiti dell’ordine pubblico. Si tratta delle sentenze in data 2.2.1982, nn. 16-17-18 (in “Riv. dir.
proc.”, 1982, pp. 528-571, con commento di F. Finocchiaro, Giurisdizione ecclesiastica, diritto alla tutela giudiziaria
e principi d’ordine pubblico davanti alla Corte costituzionale). Sulla sentenza n. 18 del 1982, nonché sulle ricadute
giurisprudenziali successive, cfr. pure S. Lariccia, Qualcosa di nuovo, anzi d’antico nella giurisprudenza costituzionale
sul matrimonio concordatario, in “Foro it.”, 1982, I, 938-947 ; Id., Esecutorietà delle sentenze ecclesiastiche in materia
matrimoniale e ordine pubblico italiano, “ivi”, 1982, I, 2800-2805 (in nota a : Cass., sez. un., 1.10.1982, n. 5026 ; A.
Bologna, ord. 22.7.1982 ; A. Genova, ord. 11.5.1982 e ord. 20.4.1982).
Sul tema generale del diritto di difesa, nel processo canonico e nella prospettiva comparatistica,
mi permetto di rinviare, per ulteriori richiami e rilievi, ad un mio pregresso contributo (L.P. Comoglio, Diritto
di difesa e condizioni di riconoscimento delle sentenze ecclesiastiche matrimoniali, in “Nuova giur. civ.”, 2006, II, pp. 7393, nonché, con il titolo La difesa nel “giusto processo” italiano e in alcuni Paesi dell’Unione europea, nel vol. Il diritto di
difesa nel processo matrimoniale canonico, Studi giuridici, LXXII, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, 2006,
pp. 239-263, ed in Studi in onore di C. Punzi, Torino 2008, pp. 159-183). Nella dottrina canonistica, per
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- ricorrano, poi, le «altre condizioni» richieste dalla legge italiana per la
dichiarazione di efficacia delle sentenze straniere7.
Come risulta, poi, dal punto 4, lett. b-c, del Protocollo addizionale all’Accordo
del 1984, in relazione all’art. 8, 2° comma, di quest’ultimo, vanno inderogabilmente
osservate8 le norme seguenti :
- I) «ai fini dell’applicazione» degli artt. 796-797 del c.p.c. italiano, si deve
tenere debito conto della «specificità» dell’ordinamento canonico («dal quale è
regolato il vincolo matrimoniale, che in esso ha avuto origine») ;
- II) al diritto canonico, conseguentemente, si intendono riferiti i richiami
della legge italiana alla «legge del luogo in cui si è svolto il giudizio» ;
- III) si considera «sentenza passata in giudicato» quella che sia divenuta
«esecutiva», in conformità al medesimo diritto canonico ;
- IV) in ogni caso, al giudice italiano della delibazione é inibito qualsiasi
«riesame del merito».
E’ parso evidente, sin da allora, come – per espressa volontà delle Parti – il
parametro della «specificità» dovesse configurarsi quale criterio ermeneutico di
base9, per la delibazione delle pronunce ecclesiastiche, armonizzandosi, a
prescindere dai limiti insiti nelle stesse precisazioni di cui sopra 10, con una duplice
un’ampia sintesi di problemi e di profili strutturali, cfr. P.A. Bonnet, voce Processo (processo canonico : profili
generali), in “Enc. giur. Treccani”, vol. XXIV, Roma 1991, passim.
7 In particolare, il previg. art. 797, 1° comma, n. 7, esigeva che la sentenza straniera delibabile non
contenesse comunque «disposizioni contrarie all’ordine pubblico italiano».
8 Vale la pena di ricordare, altresì, che – ai fini della trascrizione del matrimonio concordatario negli
atti dello stato civile (art. 8, 1° comma, dell’Accordo) – il punto 4, lett. a, del Protocollo aggiuntivo identifica
con precisione «come impedimenti inderogabili della legge civile» : 1) l’interdizione per infermità di mente di
uno dei «contraenti» ; 2) la preesistenza fra gli sposi di un «altro matrimonio valido agli effetti civili» : 3) «gli
impedimenti derivanti da delitto o da affinità in linea retta».
9 Le prescrizioni del Protocollo (supra sub II-III-IV), naturalmente non devono intendersi come
esaustive.
Si è giustamente parlato, in seguito, della «specificità» come di un «indirizzo interpretativo cogente»,
volto a conferire effetti civili ai matrimoni «contratti» (e non già solamente «celebrati», come si diceva nell’art.
34 del precedente Concordato) in base alle norme del diritto canonico sostanziale. Sul punto, con richiamo a
Fumagalli Carulli, Matrimonio ed enti tra libertà religiosa e intervento dello Stato. Con un saggio di Alessandro Perego,
Milano, 2012, p. 84, si veda G. Dalla Torre, “Specificità dell’ordinamento canonico” e delibazione delle sentenze
matrimoniali ecclesiastiche, in “www.statoechiese.it”, n. 34/2013, pp. 1-15, sp. pp.4-6.
10 La doppia «riserva», di cui qui parliamo, venne ben configurata e giustificata da Corte cost.,
1.12.1993, n. 421 (meglio citata infra, in nota 12), nei termini seguenti : «Le nuove disposizioni [scil.,
dell’Accordo del 1984] rispecchiano il permanere di un sistema nel quale gli effetti civili sono riconosciuti,
mediante la trascrizione, ai matrimoni contratti secondo le norme del diritto canonico e da quell’ordinamento
disciplinati nel loro momento genetico. Si è dunque in presenza di un matrimonio religioso, cui i cittadini
possono accedere con una piena libertà di scelta e con le conseguenze che ne derivano [….] ; rimane quindi
ferma la base del del sistema matrimoniale concordatario». Ciò significa – sempre secondo la Corte – che il
matrimonio-atto, regolato nel suo momento genetico dal diritto canonico, rimane soggetto alla giurisdizione
ecclesiastica, poiché il giudice statale è autorizzato ad esprimere la propria giurisdizione unicamente «…
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fondamentale «riserva» (di legge e di giurisdizione)11, confermata dall’Accordo
medesimo, rispettivamente in favore dell’ordinamento canonico e degli organi
giurisdizionali eccelsiastici12.
Per quel che concerne, in particolare, il procedimento giurisdizionale di
delibazione e di declaratoria di efficacia in Italia delle sentenze ecclesiastiche di
nullità matrimoniale13, occorre ricordare come in giurisprudenza e in dottrina si
siano elaborati ed imposti alcuni rilievi generali, che incidono sull’ammissibilità
dell’azione di delibazione.
Siffatti rilievi possono così sintetizzarsi :
A) vige incondizionatamente, in materia, il principio della domanda14 ;
B) il richiamo agli artt. 796-797 c.p.c., operato dall’art. 4, lett. b), del Procollo
addizionale al cit. Accordo del 1984, è di carattere «formale» (e non già di natura
«materiale»)15 ;
C) di conseguenza, la loro perdurante applicazione in sede delibativa,
malgrado la loro sopravvenuta abrogazione con legge formale ordinaria del 1995 16, è
garantita da una loro vera e propria «ultrattività»17, in forza della conclamata
«specialità» delle Convenzioni pattizie fra Stato italiano e Santa Sede, sulle quali
sull’efficacia civile delle sentenze ecclesiastiche di nullità del matromonio, attraverso lo speciale procedimento
di delibazione regolato dalle stesse norme dell’accordo [scil, del 1984] in modo ben più penetrante che nella
disciplina originaria del concordato …».
11 Cfr., in proposito, i can. 1401 (1°-2°) e 1671 c.j.c.
12 Sul punto, si rivedano le chiare statuizioni di Corte cost., 1.12.1993, n. 421, cit., in “Foro it.”, 1994,
I, 14-28, con commenti di F. Cipriani, Alla ricerca della riserva perduta, 15-22, e di S. Lariccia, Dopo Corte cost.
421/93 è urgente la riforma del sistema matrimoniale concordatario, 22-28, nonché in “Giust. civ.”, 1994, I, 601, con
commento di F. Finocchiaro, Il concorso di giurisdizioni sul matrimonio c.d. concordatario secondo la corte costituzionale,
606 ss., ed in “Famiglia e dir.”, 1994, 7, con nota di P. Schlesinger, Riserva di giurisdizione ecclesiastica : interviene la
consulta, 7 ss.
13 Per ulteriori spunti e riflessioni, nel rapporto con la nozione di «ordine pubblico», si vedano, nella
meno recente dottrina : P. Consorti, Delibazione di sentenze ecclesiastiche e limite dell’ordine pubblico dopo il nuovo
accordo di Villa Madama, nota a Cass., 6.12.1985, n. 6129 e n. 69128, in “Dir. eccles.”, 1986, II, 399 ss. ; S.
Gherro, Matrimonio concordatario e corti d’appello (l’attuazione senza legge dell’«accordo» di Villa Madama), in “Dir.
eccles.”, 1987, I, p. 540, e in “Giur. it.”, 1987, IV, 129. Per un’appprofondita analisi dei trends giurisprudenziali
in materia, si consulti, oggi, la rassegna di L. Lacroce e di M. Madonna, Il matrimonio concordatario nella
giurisprudenza della Corte di cassazione, in “Dir. eccles.”, 2012, 753-825.
14 Sulle differenze rispetto alla previgente disciplina, derivata dal Concordato Lateranense del 1929, a
proposito della «natura non officiosa» del potere di richiedere siffatta delibazione, cfr., ad es., Cass., 1.12.2004,
n. 22514, in “Rep. Foro it.”, 2004, voce “Matrimonio”, n. 186.
15 Sul punto, ad es., cfr., in motivazione, Cass., 10.5.2006, n. 10796, “ivi”, 2006, voce “Matrimonio”,
n. 189.
16 Cfr. l’art. 73 della l. 31 maggio 1995, n. 218.
17 In tal senso, ex multis, si vedano, ad es.: Cass., 30.5.2003, n. 8764, in “Rep. Foro it.”, 2003, voce
“Matrimonio”, n. 158, e, per esteso, in “Giur. it.”, 2004, 967, con commento di G. Cerreto, Delibazione della
sentenza ecclesiastica di nullità matrimoniale : la giurisprudenza si consolida, 970 ; Cass., 25.5.2005, n. 11020, in “Rep.
Foro it.”, 2005, voce “Matrimonio”, n. 110 ; A. Salerno, 27.12.2005, D.M.N. c. M.A., “ivi”, 2006, voce
“Delibazione”, n. 22.
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dunque non dovrebbe esercitare alcuna diretta incidenza il corpus delle nuove regole
di diritto internazionale, operanti per il riconoscimento automatico delle sentenze
straniere, valide nei rapporti fra Stati intra- ed extra-europei18 ;
D) in coerenza con i principi sanciti a suo tempo dal cit. art. 796 c.p.c., la
domanda di delibazione va proposta con atto di citazione (e non già con ricorso) 19,
mediante l’instaurazione di un ordinario giudizio di cognizione, in regime di difesa
tecnica obbligatoria20, avanti alla Corte d’appello «competente»21.
E’ tale, dunque, il contesto normativo da cui, in ogni caso, non mi pare
possibile prescindere.
2. La delibazione in Italia delle sentenze ecclesiastiche dichiarative
della nullità del matrimonio concordatario, negli orientamenti
giurisprudenziali anteriori al 2014.
E’ noto da tempo come la «specificità» dell’ordinamento canonico,
riconosciuta dagli Accordi fra Stato e Chiesa22, assuma una sua peculiare rilevanza,
soprattutto in termini sostanziali23 (ma anche a livello processuale)24, nell’ampia ed
articolata disciplina del matrimonio. Il che si riflette, emblematicamente, sulla
configurazione dei possibili vizi di nullità del «patto matrimoniale» tra uomo e
donna25, «elevato da Cristo Signore alla dignità di sacramento»26.
Si considerino, ad es. : da un lato, gli artt. 32-56 del Reg. CE n. 44/2001 del Consiglio, in data 22
dicembre 2000, nonché gli artt. 21-39 del Reg. CE n. 2201/2003 del Consiglio, in data 27 novembre 2003 ;
dall’altro, gli artt. 64-71 della l. n. 218/1995 cit., in linea con quanto già disposto dagli artt. 26-30 della
Convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968, ratificata in Italia con l. 21 giugno 1971, n. 804.
E’ assai controversa, peraltro, la tesi che vorrebbe interpretare come un «rinvio mobile» (e non già
come un «rinvio fisso») il riferimento «ultrattivo» ai previg. artt. 796-797 c.p.c., sì da rendere comunque
invocabile, anche nella delibazione delle sentenze ecclesiastiche, il cit. art. 73 della l. n. 218/1995. Sul punto, si
leggano le considerazioni critiche di Dalla Torre, “Specificità dell’ordinamento canonico”, cit., pp. 9-10.
19 A prescindere dall’iniziativa unilaterale di una parte (eventualmente, anche con ricorso) o da
un’iniziativa congiunta, si insiste sulla necessità che «… risultino rispettate tutte le regole contenziose del
procedimento ordinario di cognizione, ivi comprese quelle relative al termine di comparizione di cui all’art.
163 bis c.p.c., al fine di garantire l’esercizio del diritto di difesa al coniuge non istante ….» (così, ad es., Cass.,
19.11.1998, n. 11658, in “Rep. Foro it.”, 1998, voce “Matrimonio”, n. 111). Sul tema, cfr. ancora Cass.,
7.6.2007, n. 13363, “ivi”, 2007, voce cit., n. 199, e, per esteso, in “Famiglia e dir.”, 2007, 990, con commento
di P. Lai, La delibazione delle sentenze ecclesiastiche di nullità matrimoniale tra rito ordinario e rito camerale, 991.
20 Sul punto, ad es., cfr. Cass., 30.12.1989, n. 5831, in “Rep. Foro it.”, 1990, voce “Matrimonio”, n.
127, e, per esteso, in Foro it., 1990, I, 1238-1244, con note di A. Pazzi, 1238-1240, e di A. Proto Pisani, In tema
di disciplina delle nullità causate da difetto (o da vizi) della difesa tecnica, 1240-1243.
21 Si vedano, al riguardo, oltre al cit. art. 796, l’art. 8, 2° comma, del cit. Accordo del 1984, nonché il
punto 4 , lett. b), del Protocollo addizionale.
22 Cfr., ancora, il punto 4, lett. b), del Protocollo addizionale all’Accordo del 1984.
23 Nel vigente codice di diritto canonico (c.j.c.), si vedano i can. 1055-1165.
24 I processi matrimoniali avanti agli organi giurisdizionali ecclesiastici sono considerati «speciali»,
godendo di una regolamentazione in parte differenziata, rispetto al modello processuale ordinario (cfr. i can.
1671-1705).
25 Nella disciplina canonistica, come è noto, vanno distinti : gli impedimenti dirimenti in genere (can.
1073.182), gli impedimenti dirimenti in specie (can. 1083-1094), nonché i vizi attinenti alla formazione del
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Sono ben conosciuti ed ampiamente discussi, soprattutto a partire dagli anni
’60 dello scorso secolo27, i problemi cruciali, la cui soluzione ha storicamente
condizionato (e tuttora condiziona), in maniera alquanto variabile, l’ambito, più o
meno ristretto, di delibabilità delle sentenze ecclesiastiche dichiarative della nullità
dei matrimoni c.d. concordatari.
Per quanto qui interessa28, ci si chiede, in particolare, se il limite dell’ordine
pubblico italiano29 sia (o meno) invalicabile ed ostativo30, laddove l’azione di nullità
«consenso matrimoniale» (can. 1095-1107), la cui centralità è scolpita a chiare lettere nel can. 1057 (§ 1.
«L’atto che costituisce il matrimonio é il consenso delle parti manifestato legittimamente tra persone
giuridicamente abili ; esso non può essere supplito da nessuna potestà umana» - § 2. «Il consenso
matrimoniale è l’atto della volontà con cui l’uomo e la donna, con patto irrevocabile, danno e accettano
reciprocamente se stessi per costituire il matrimonio»). Ne è una logica conseguenza l’assoluta indissolubilità
del vincolo, come si desume dai can. 1141-1142 c.j.c. (a commento, cfr. P.A. Bonnet, L’indissolubilità del
matrimonio sacramento, in “Arch. giur.”, 2002, 547 ss.).
Fra i vizi del consenso, in funzione dei limitati riferimenti che vi si faranno fra poco, spiccano le
cause di «incapacità a contrarre», sancite dal can. 1095 («Sono incapaci a contrarre matrimonio : 1° coloro che
mancano di sufficiente uso di ragione ; 2° coloro che difettano gravemente di discrezione di giudizio circa i
diritti e i doveri matrimoniali essenziali da dare e accettare reciprocamente ; 3° coloro che, per cause di natura
psichica, non possono assumere gli obblighi essenziali del matrimonio» ; nella versione latina ufficiale : «Sunt
incapaces matrimonii contrahendi : 1° qui sufficienti rationis usu carent ; 2° qui laborant gravi defectu
discretionis iudicii circa iura et officia matrimonialia essentialia mutuo tradenda et acceptanda ; 3° qui ob
causas naturae psychicae obligationes matrimonii essentiales assumere non valent»).
Sul tema, per ulteriori approfondimenti, si consulti, ex multis, ancora Bonnet, Introduzione al consenso
matrimoniale canonico, Milano 1987, pp. XII-207.
26 Così si esprime testualmente il can. 1055, § 1.
27 E, quindi, nella piena vigenza dei Patti lateranensi del 1929 (art. 34) e delle leggi correlate (art. 1 ss.
l. 27 maggio 1929, n. 810 ; art. 17 l. 27 maggio 1929, n. 847). Si riveda, in proposito, l’autorevole trattazione di
A.C. Jemolo, Il matrimonio, rist. III ediz., Torino 1961, pp. 1-533, sp. pp. 189 ss., 246-276.
Si ricordi altresì, per quanto si dirà in seguito, che le disposizioni della l. n. 847/1929 rimangono
ancor oggi in buona parte vigenti. Lo è, soprattutto, l’art. 18, nel testo aggiornato, laddove estende ai casi di
«annullamento della trascrizione del matrimonio» e a quelli di avvenuta delibazione delle sentenze
ecclesiastiche di nullità le disposizioni garantistiche sul c.d. «matrimonio putativo» (art. 116 c.c. previg. ; art.
128 c.c. vig.).
28 Tralascio qui, per brevità, l’analisi specifica degli indirizzi giurisprudenziali attinenti alla delibabilità
delle pronunzie ecclesiastiche, a seconda del tipo di vizio generativo delle dichiarate nullità, nel diretto
confronto con la gamma di corrispondenti (od analoghe) fattispecie, contemplate dagli artt. 117-123 c.c. per il
matrimonio civile.
29 E’ tuttora fonte di contrasti e di perplessità la risalente distinzione fra ordine pubblico «interno» ed
ordine pubblico «internazionale», in cui (ferma restando la non automatica coincidenza con le norme interne
di natura inderogabile e imperativa, che caratterizzano la prima delle due nozioni) si tende ad identificare, lato
sensu, l’insieme dei principi costituzionali e convenzionali, comuni a più ordinamenti giuridici, i quali,
sintetizzando i «valori fondanti dell’intero assetto ordinamentale», vengono universalmente accettati, a
specifico presidio dei diritti umani inviolabili e a salvaguardia delle libertà fondamentali dell’individuo. In tal
senso, ad es., cfr. : Cass., sez. lav., 23.2.2006, n. 4040, in “Rep. Foro it.”, 2006, voce “Diritto internazionale
privato”, n. 22 ; Cass., sez. III, 22.8.2013, n. 19405, “ivi”, 2013, voce cit., n. 31 ; Cass., sez. lav., 22.2.2013, n.
4545, “ivi”, 2013, voce cit., n. 29.
Sulle risalenti diatribe, originate dal previg. art. 31 disp. prelim. c.c., cfr., per tutti, P. Mengozzi, Le
disposizioni sulla legge in generale : gli articoli da 16 a 31, in Trattato di diritto privato, diretto da P. Rescigno, vol. 1,
Torino, 1982, pp. 334-368, sp. pp. 339 ss. Con ulteriori rilievi, a commento di Cass. civ., 5.4.1984, n. 2215,
pronunzia all’epoca assai nota e discussa, cfr., altresì : G. Azzariti, Efficacia in Italia di sostituzione fidecommissaria
disposta da cittadino di altro Stato ove ne vien fatta ammissione, in “Giur. it.”, 1984, I, 1, 3067-3068 ss.; L.P.
Comoglio, Ordine pubblico interno e internazionale : concetti in crisi di identità, in “Riv. not.”, 1986, II, pp. 157-172 (ed
“ivi”, pp. 172-182, con altra nota di G. Baralis) ; R. Pardolesi, in “Foro it.”, 1984, I, 2253-2260, sp. 2253.
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sia stata esercitata, dinanzi agli organi della giurisdizione ecclesiastica, dopo il
decorso dei termini sanciti, per analoghe fattispecie, dalle legge civile o, comunque,
dopo la prolungata «coabitazione» (rectius : dopo la protratta «convivenza») dei
coniugi in epoca successiva alla celebrazione del matrimonio 31, atteso che la parallela
impugnazione in sede ecclesiastica non soffre a priori di alcuna condizione
(temporale o, se vogliamo, anche comportamentale) di proponibilità32.
Va subito doverosamente sottolineato come, a prescindere da siffatte
peculiari situazioni, l’orientamento più restrittivo nella delibazione delle sentenze
ecclesiastiche di nullità – sviluppatosi soprattutto laddove la presenza di «vizi» di
volontà o di «riserve» mentali in uno dei nubenti, al momento della celebrazione del
matrimonio, non potesse dirsi «ostensibile» o comunque ragionevolmente
conoscibile dall’altro – sia sempre stato animato da apprezzabili esigenze di tutela
dell’affidamento e della buona fede del coniuge incolpevole, pur con il reiterato
auspicio di adeguati interventi del legislatore33.
Del pari – anche nella ricorrenza di quelle particolari situazioni e pur di
fronte alla «naturale perpetuità» dell’azione di nullità del matrimonio canonico – non
si era mancato di concentrare l’attenzione sul «matrimonio-rapporto», la cui effettiva
instaurazione post matrimonium (beninteso, nell’accertata pienezza della «convivenza
morale e materiale» fra i coniugi) assumerebbe, nell’ambito dell’ordine pubblico
«interno», quale «rinnovazione» per facta concludentia dell’originario consenso,
un’incidenza impeditiva sull’azionabilità dei vizi attinenti al «matrimonio-atto», in
coerenza con talune «regole essenziali» dell’ordinamento statuale, sì da precludere la
delibabilità delle pronunce ecclesiastiche di nullità34.
30 Spesso assunto, con riguardo alla delibabilità di sentenze ecclesiastiche, nell’accezione «interna»
anziché in quella «internazionale». Sul punto, ad es., cfr., ex multis : Cass., sez. I, 4.6.2012, n. 8926, in “Foro
it.”, 2012, I, 2676-2680, con nota di G. De Marzo, nonché in “Famiglia e dir.”, 2013, 21, con nota di L.
Iannaccone, Il concordato (per ora) è salvo : la cassazione rispetta gli accordi di Villa Madama, 24 ss., in “Ius ecclesiae”,
2013, 261, con nota di G. Mioli, Alcune riflessioni sulla convivenza coniugale quale elemento ostativo alla delibazione delle
sentenze ecclesiastiche di nullità matrimoniale alla luce di una recente sentenza, pp. 268 e ss. , e in “Foro pad.”, 2013, I, p.
137, con commento di F. Castelli, La convivenza coniugale non osta alla delibazione delle sentenze ecclesiastiche di nullità
del matrimonio concordatario, 143 ; adde Cass., sez. I, 15.6.2012, n. 9844, in “Giust. civ.”, 2013, I, 1856.
31 Si considerino, soprattutto, nel c.c., gli artt. 119, 2° comma, 120, 2° comma, 122, 4° comma, e 123,
2° comma.
32 E’ quanto si desumeva dal previgente can. 1092, n. 2, ed oggi si argomenta dal vigente can. 1675,
§§ 1-2, c.j.c.
33 Cfr., nella disciplina del matrimonio civile, dopo la riforma attuata dalla l. 19 maggio 1975, n. 151, i
vigenti artt. 129 e 129-bis c.c. Si veda, in proposito, la pronunzia di cui infra, nella nota che segue.
34 In tal senso, ad es., con riguardo alla nullità dichiarata dal giudice ecclesiastico per esclusione del
bonum prolis ed alla convivenza dei coniugi successiva alla celebrazione del matrimonio, quale causa ostativa
della delibazione in Italia, per contrasto con l’ordine pubblico interno, cfr. Cass., sez. I, 3.7.1987, n. 5823,
18.6.1987, n. 5358 e 18.6.1987, n. 5354, in “Foro it.”, 1988, I, 474-501, con commento di E. Quadri,
Convivenza coniugale e delibazione delle sentenze ecclesiastiche di nullità matrimoniale : le nuove prospettive giurisprudenziali,
475-486.
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Nonostante ciò, con riguardo alle menzionate situazioni, il predetto quesito
ricevette comunque una risposta prevalentemente negativa, fruendo di perspicui
supporti motivazionali.
In tale ottica, furono sviluppate con chiarezza – sul comune presupposto di
una «maggiore disponibilità» dell’ordinamento dello Stato, in ossequio alla
riconosciuta «specificità» del diritto canonico35 – le seguenti considerazioni :
- la cennata «maggiore disponibilità» non postulerebbe affatto alcuna
enunciazione di un ordine pubblico «concordatario», diverso da quello tradizionale
(interno od internazionale che sia) ;
- le norme imperative, che caratterizzano la disciplina «interna» del
matrimonio civile, non eserciterebbero alcuna portata impeditiva nei confronti della
delibazione di sentenze ecclesiastiche di nullità, in quanto «derogate e superate
proprio dallo strumento concordatario» ;
- in ogni caso, né dai principi costituzionali36, né tantomeno dalle norme
ordinarie sarebbe desumibile la generalizzata presenza di un principio inteso a far
prevalere il «matrimonio-rapporto» sul «matrimonio-atto», tutte le volte in cui, a
prescindere da eventuali termini di decadenza, previsti dal diritto interno per
l’impugnazione del matrimonio civile37, possa individuarsi nella protratta
«convivenza» coniugale la presenza di una «volontà convalidatrice» di un consenso
inizialmente mancante oppure viziato ;
- non sarebbe, infine, accettabile un’interpretazione adeguatrice, volta a
generalizzare la constatata «convivenza» coniugale post matrimonium quale causa
impeditiva della delibazione, trattandosi dell’«introduzione di una sostanziale
modifica dell’ordinamento», certamente consentita al legislatore, ma del tutto
preclusa all’interprete come tale38.
35 Ci si riferisce, qui, al «criterio fondamentale» enunciato da Cass., sez. un., 1.10.1982, n. 5026, cit.,
in “Foro it.”, 1982, I, pp, 2799-2800, pp. 2805-2812, con nota di Lariccia, Esecutorietà delle sentenze ecclesiastiche in
materia matrimoniale e ordine pubblico italiano, cit., 2800 ss. Tale «criterio», in armonia con l’accezione
«internazionale» dell’ordine pubblico, farebbe sì che la dichiarazione di esecutività possa essere negata «…
soltanto in presenza di una contrarietà ai canoni essenziali cui si ispira in un determinato momento storico il
diritto dello Stato ed alle regole fondamentali che definiscono la struttura dell’istituto matrimoniale così accentuata
da superare il margine di maggiore disponibilità che l’ordinamento statuale si è imposto rispetto all’ordinamento
canonico …» (“ivi”, 2810 ; corsivo aggiunto).
36 Artt. 2 e 29 Cost.
37 Si rivedano, ad es., gli artt. 117, 2° comma, e 123, 2° comma, c.c.
38 Si rilegga l’attenta motivazione di Cass., sez. un., 20.7.1988, n. 4700, in “Foro it.”, 1989, I, 428431, con commento di Quadri, Impressioni sulla nuova giurisprudenza delle sezioni unite in tema di convivenza coniugale e
delibazione delle sentenze ecclesiastiche di nullità matrimoniale, 428-431. Vale la pena di ricordare come, in tale
pronunzia, la fattispecie di riferimento fosse, in materia di simulazione, la regola enunciata dall’art. 123, 2°
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Nel successivo evolversi dei trends giurisprudenziali, si è affermato, via via,
anche il principio, in forza del quale il limite ostativo del c.d. «ordine pubblico
interno» opererebbe unicamente in presenza di un’incompatibilità «assoluta» (ma
non già anche di un’incompatibilità puramente «relativa») fra le norme sostanziali
canoniche e quelle civilistiche corrispondenti39. Sicché la ribadita «specificità»
dell’ordinamento canonico40 imporrebbe di prendere in considerazione il sostanziale
parallelismo, esistente fra le cause di nullità del matrimonio canonico, riconducibili
fondamentalmente ad una incapacitas assumendi onera matrimonii41, e quelle tracciate,
per il matrimonio civile, dagli artt. 120 e 122 c.c., senza che possa acquisire alcun
rilievo impediente l’improponibilità dell’azione per la «coabitazione» quantomeno
annuale, delineata nel cit. art. 120, 2° comma42.
Di conseguenza, nel predetto orientamento si è ulteriormente argomentato
come non potrebbero delibarsi le sole sentenze ecclesiastiche di nullità matrimoniale
che, in quanto contraddistinte da un’incompatibilità «assoluta» con l’ordine pubblico
italiano, siano fondate «su fatti che attribuiscono giuridico significato a valori in
alcun modo rilevanti nell’ordinamento statuale». Sarebbero, invece, validamente
delibabili quelle pronunzie ecclesiastiche di nullità, le quali siano connotate da
un’incompatibilità soltanto «relativa» con il predetto ordine pubblico, laddove cioè
l’eventuale divergenza delle loro statuizioni, rispetto a norme e a principi anche
«inderogabili» dell’ordinamento italiano, possa essere superata dal giudice della
delibazione (nel pieno rispetto della ricordata «specificità» dell’ordinamento
canonico)43, individuando in quelle statuizioni una «fattispecie almeno assimilabile a
quelle interne con effetti simili», purché tale fattispecie sia ritenuta «conforme ai
valori e principi essenziali della coscienza sociale, desunti dalle fonti normative
costituzionali e dalle norme matrimoniali inderogabili»44.
comma, c.c., intesa non già quale «sanatoria» di un atto radicalmente nullo, bensì quale «presunzione assoluta»
di inesistenza della simulazione (“ivi”, 437).
39 Sul punto, ad es., cfr. Cass., sez. un., 18.7.2008, n. 19809, in “Rep. Foro it.”, 2008, voce
“Matrimonio”, n. 180, e, per esteso, in “Foro it.”, 2008, I, 3130-3142, con nota di G. Casaburi, 3130-3132.
40 Cfr., ancora, il punto 4, lett. b), del Protocollo addizionale all’Accordo del 1984.
41 Il riferimento obbligato va fatto al can. 1095, nn. 2-3, c.j.c.
42 In proposito, con grande chiarezza, ad es., cfr. Cass., 7.4.2000, n. 4387, in “Rep. Foro it.”, 2000,
voce “Matrimonio”, n. 232, e, per esteso, in “Famiglia e dir.”, 2000, 568, con commento di E. De Feis, Ordine
pubblico matrimoniale e sentenze ecclesiastiche di nullità, 568 ss. ; Cass., 10.5.2006, n. 10796, cit., “ivi”, 2007, p. 40,
con nota di De Feis, Delibazione delle sentenze ecclesiastiche di nullità matrimoniale : rispetto del diritto di difesa e ordine
pubblico, 41 ss., nonché in “Dir. eccles.”, 2006, II, p. 41, con commento di E.G. Saraceni, La delibazione delle
sentenze ecclesiastiche di nullità nella recente giurisprudenza (osservazioni di diritto processuale e sostantivo), 44 ss.
43 Cfr., ancora, l’art. 4, lett. b), del Protocollo Addizionale, in relazione all’art. 8, 2° comma,
dell’Accordo del 1984, cit.
Sul ribadito carattere di «specialità» delle norme canoniche matrimoniali, cfr., ad es., ex plurimis,
Cass., ord., 21.8. 2007, n. 17767, in “Famiglia e minori”, 2007, fasc. 9, p. 621, con nota di L. Lastei.
44 In questi termini, ad es., ex multis, si riveda emblematicamente la massima di Cass., sez. un.,
18.7.2008, n. 19809, cit., in “Rep. Foro it.”, 2008, voce “Matrimonio”, n. 176.
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A tale stregua, nell’ampia casistica a disposizione, occorre altresì rammentare
che, ad es., la delibazione di una sentenza ecclesiastica, da cui sia stato accertato ab
origine in uno dei nubenti il «grave difetto» di «discrezione di giudizio circa i diritti e i
doveri matrimoniali essenziali», come causa della sua «incapacità» a contrarre
matrimonio (con la conseguente nullità di quest’ultimo)45, non contrasterebbe in
termini assoluti con l’ordine pubblico interno, trattandosi tutt’al più di una
incompatibilità meramente «relativa», in quanto la fattispecie giuridica, all’uopo
identificata dalle norme del diritto canonico, è «sostanzialmente corrispondente» a
quella dell’«incapacità naturale», delineata nell’art. 120, 1° comma, c.c.46. Il che, data
l‘indiscussa «specificità» di quelle medesime norme canoniche, renderebbe del tutto
priva di «rilevanza ostativa» la circostanza della successiva «coabitazione»
quantomeno annuale, prevista dall’art. 120, 2° comma, c.c. come condizione di
proponibilità della domanda di nullità del matrimonio civile47.
Aggiungasi che i motivi di nullità, per «incapacità a contrarre matrimonio»,
contemplati dal diritto canonico48, troverebbero una loro «sostanziale
corrispondenza» nel cit. art. 120 c.c. (ancor più che nell’art. 122), non essendo
affatto richiesta, nell’ambito di quell’incompatibilità «relativa», una precisa identità di
fattispecie fra le due diverse (ed autonome) discipline49.
Ciò pare tanto più plausibile, in quanto la nullità del matrimonio-atto,
accertata e dichiarata dal giudice ecclesiastico, laddove si identifichi, ad es.,
nell’«incapacità a contrarre matrimonio» derivante dal «difetto grave» di «discrezione
di giudizio circa i diritti e i doveri matrimoniali essenziali da dare e accettare
Cfr., ancora, il can. 1095, n. 2, c.j.c.
Si vedano, ad es., in tali precisi termini, nella giurisprudenza più recente, a conferma di un risalente
indirizzo : Cass., 15.9.2009, n. 19808, in “Giust. civ.”, 2010, I, 1936, e in “Rep. Foro it.”, 2010, voce
“Matrimonio”, n. 201 ; Cass., ord., 20.1.2011, n. 1262, “ivi”, 2011, voce cit., n. 13.
Gli stessi principi, del resto, vengono affermati in generale tanto per l’incapacitas assumendi onera
matrimonii, quanto per altri possibili «vizi del consenso» (qual è l’errore essenziale, ex can. 1097-1099 c.j.c.), in
rapporto all’art. 122 c.c. (cfr., ad es., Cass., 10.5.2006, n. 10796, in “Rep. Foro it.”, 2007, voce cit., n. 191 ;
Cass., 6.7.2006, n. 15409, “ivi”, 2007, voce cit., n. 192 ; Cass., 14.11.2008, n. 27236, “ivi”, 2010, voce cit., n.
195 ; Cass., 8.7.2009, n. 16051, “ivi”, 2010, voce cit., n. 198, nonché in “Foro it.”, 2010, I, 107 ; ma cfr. già
Cass., 9.12.1993, n. 12144, “ivi”, 1995, I, 279, con nota di G. Balena ; A. Brescia, 17.5.2000, M., in “Rep. Foro
it.”, 2002, voce cit., n. 148).
47 In tal senso, ex plurimis, cfr., ad es., già Cass., 17.10.1989, n. 4166, “ivi”, 1990, voce cit., n. 134 ;
Cass., 19.2.1991, n. 1709, “ivi”, 1992, voce cit., n. 121 ; indi Cass., 13.9.2002, n. 13428, “ivi”, 2003, voce cit.,
n. 165 ; Cass., 10.5.2006, n. 10796, cit., “ivi”, 2007, voce cit., n. 191.
48 Can. 1095, § 2, c.j.c.
49 A maggior ragione, si pensi che ben si potrebbe giungere alla delibazione di una pronunzia del
giudice ecclesiastico, secondo la nostra giurisprudenza, anche laddove la fattispecie di nullità canonica non
trovi alcun riscontro nella disciplina civilistica o addirittura ne sia esclusa (come, ad es., accade con il c.d.
«consenso condizionato», ex art. 108 c.c., in relazione al can. 1102, §§ 1-3, c.j.c., a patto che esso non sia
rimasto confinato entro la «sfera psichica» di uno dei nubenti (sul punto, ad es., cfr. Cass., 11.6.1997, n. 5243,
in “Rep. Foro it.”, 1997, voce cit., n. 101 ; Cass., 6.3.2003, n. 3339, ivi, 2003, voce cit., n. 162).
45
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reciprocamente»50, implicherebbe la presenza di un’incapacità cognitiva e volitiva,
che, per comprovate ragioni fisio-psichiche o per turbe più profondamente
psicologiche (da accertarsi nel processo canonico con particolare rigore), invalida in
radice la formazione del «consenso matrimoniale», rendendo il soggetto nubente, che
ne sia colpito, del tutto inadatto a percepire e a volere consapevolmente, nella loro
profonda valenza etico-religiosa51, i fondamenti stessi del matrimonio-atto52, inteso
quale «sacramento» la cui celebrazione è rimessa agli stessi nubenti. Da qui, dunque,
discenderebbe la piena delibabilità della sentenza ecclesiastica, da cui tale causa di
invalidità sia stata irretrattabilmente accertata e dichiarata53.
Ciò significa altresì che – al pari di quanto è stato più volte riaffermato pure
per le declaratorie ecclesiastiche della nullità per vizio del consenso matrimoniale,
derivante da incapacitas assumendi onera matrimonii54 od anche da errore o violenza55 –
la disciplina canonica «speciale» dovrebbe comunque reputarsi, in linea di massima,
come sostanzialmente assimilabile a quella civilistica dell’«incapacità di intendere e di
volere»56, nonché a quella riguardante la violenza o l’errore57, sì da porre fuori gioco,
Si riveda il can. 1095, n. 2°, c.j.c. («Sunt incapaces matrimonii contrahendi : […] 2° qui laborant
gravi defectu discretionis iudicii circa iura ed officia matrimonialia essentialia mutuo tradenda et acceptanda
[…]»).
51 Il punto cruciale, di cui spesso ci si dimentica nel dibattito sulla delibabilità, è proprio questo : si
ha a che fare non già soltanto, come per il matrimonio di rito civile (artt. 84-113 c.c.), con un contratto, sia pur
formale e solenne (artt. 106-113 st. cod.), dal quale scaturiscono per volontà di parte (e per legge) effetti
giuridici di essenziale rilievo morale e sociale (artt. 143-148 st. cod. ; art. 29, 1° comma, Cost.), ma soprattutto
con un sacramento religioso (art. 82 c.c., can. 1055-1057 c.j.c.). Sono, dunque, ben diversi, e contenutisticamente
più ricchi, i profili di consapevolezza e di volontà di «accettazione», che caratterizzano, in questo secondo
caso, la valida formazione del consenso matrimoniale.
52 Si vedano – ferme restando, in linea generale, la presunzione relativa di validità del matrimonio
«donec contrarium probetur» (can. 1060) e la presunzione di conformità del «consenso interno dell’animo»
«alle parole o ai segni adoperati nel celebrare il matrimonio» (can. 1101, § 1) – i can. 1055, §§ 1-2, 1056,
1057,§§ 1-2, e soprattutto il can. 1096, § 1, ove sono sintetizzati i diritti-doveri basici di cui i nubenti debbono
avere conoscenza («ut consensus matrimonialis haberi possit, necesse est ut contrahentes saltem non ignorent
matrimonium esse consortium permanens inter virum et mulierem ordinatum ad prolem, cooperatione aliqua
sexuali, procreandam»). Si ricordi, pure, che i bona matrimonii essenziali (e ineludibili) sono : a) il bonum prolis ;
b) il bonum fidei ; c) il bonum sacramenti ; d) il bonum coniugum (così, ad es., con estrema chiarezza, Trib.
Apostolico Romana Rota, 26.6.1997, in “Rep. Foro it.”, 2000, voce “Matrimonio”, n. 113, e, per esteso, in
“Jus ecclesiae”, 1999, 741 e ss.). Sul delicato tema delle menzionate presunzioni, si rinvia alla trattazione di
P.A. Bonnet, Le presunzioni legali del consenso matrimoniale canonico in un occidente scristianizzato, Milano, 2006, pp.
X-248.
53 Cfr., ad es., da ultimo, Cass., ord., 20.1.2011, n. 1262, in “Rep. Foro it.”, 2011, voce
“Matrimonio”, n. 13. “ivi”, loc. cit. Nei medesimi termini, adde Cass., 15.9.2009, n. 19808, “ivi”, 2010, voce
cit., n. 201, e, per esteso, in “Giust. civ.”, 2010, I, 1936.
54 Si tratta del can. 1095, n. 3, c.j.c., afferente all’incapacità di coloro che «ob causas naturae psychicae
obligationes matrimonii assumere non valent».
55 Cfr. i can. 1097-1100 c.j.c.
Conformemente, sui punti trattati nel testo, circa la ritenuta irrilevanza delle preclusioni temporali
sancite negli artt. 120, 2° comma, e 123, 4° comma, c.c., adde, ad es., Cass., 14.1.2008, n. 27236, in “Rep. Foro
it.”, 2010, voce “Matrimonio”, n. 195.
56 Art. 120 c.c.
57 Art. 122 st. cod.
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grazie alla sua riconosciuta «specialità», qualsiasi regola ostativa, ricavabile dal diritto
interno.
Pertanto, nella medesima prospettiva, non sarebbe in alcuna misura
preclusivo il fatto che l’azione di nullità, dinanzi al giudice ecclesiastico, sia stata
proposta anche al di là dei limiti temporali massimi fissati dalle norme civilistiche e,
soprattutto, dopo un periodo (più o meno lungo) di «coabitazione»58 (o, più
intensamente, di «convivenza») dei coniugi, non acquisendo di solito59 alcun rilievo
impeditivo, con la sancita prevalenza del «matrimonio-rapporto» sui vizi del
«matrimonio-atto»60, l’eventuale difetto di tutela dell’affidamento del coniuge
controinteressato61.
Senonché, negli ultimi anni, le tracce inequivoche di un mutamento di
indirizzo si sono progressivamente colte – non senza contrasti evidenti – proprio
laddove non già la mera «coabitazione», bensì la vera e propria «convivenza»,
protrattasi dopo il matrimonio anche per lunghi periodi di tempo (ad es., per 10 o
20 e più anni), potesse assumersi quale indizio qualificato di una «volontà di
accettazione» del «matrimonio-rapporto», espressa per facta concludentia da entrambi i
coniugi, con l’effetto di «sanare» (o, se si preferisce, di «convalidare») l’originario
vizio di nullità62, derivante da una «non volontà» (ovvero da una volontà
unilateralmente «viziata») dell’uno o dell’altro, nel momento della celebrazione del
«matrimonio-atto»63.
Ma – come é facile constatare, a conclusione di questo excursus – il quadro
complessivo dei dati giurisprudenziali (era ab origine ed) é rimasto fino ad oggi assai
variegato, piuttosto ondivago e, tutto sommato, insoddisfacente.
58 Si rammenti che di «coabitazione» parlano esplicitamente gli artt. 120, 2° comma, e 122, 4°
comma, c.c., con riguardo all’incapacità di intendere e di volere o alla violenza ed all’errore, mentre, per
quanto concerne la simulazione, l’art. 123, 2° comma, enuncia la condizione secondo la quale «i contraenti
abbiano convissuto come coniugi successivamente alla celebrazione» del matrimonio (corsivo aggiunto).
59 Non così, peraltro, si é sostenuto, in presenza di vizi diversi dall’incapacità ob gravi defectu discretionis
iudicii (ad es., in caso di simulazione unilaterale o di riserva mentale rimasta confinata nella sfera psichica del
suo autore). Si vedano, in proposito, ex multis : Cass., 28.1.2005, n. 1822, cit., in “Rep. Foro it.”, 2005, voce
cit., n. 180 ; Cass., sez. un., 18.7.2008, n. 19809, cit., in “Foro it.” 2008, I, 3130 ; e Cass., n. 1343/2011, cit.
anche infra, nella nota seguente.
60 Sul punto, ancora Cass., 20.1.2011, n. 1343, in “Rep. Foro it.”, 2011, voce “Matrimonio”, n. 11, e,
per esteso, in “Riv. dir. proc.”, 2011, pp. 1291-1292, con commento di A. D’Alessio, Limiti della delibazione delle
sentenze ecclesiastiche di nullità del matrimonio in caso di prosecuzione della convivenza coniugale, pp. 1293-1303.
61 Sui principi affermati nel testo, cfr., ad es., ex plurimis, ancora Cass., 8.7.2009, n. 16051, in “Foro
it.”, 2010, I, 107-111, con nota di I. Andreoni, e in “Rep. Foro it.”, 2009, voce “Matrimonio”, n. 155 ;
nonché, con cenni critici a Cass., n. 1343/2011 cit., a proposito di una convivenza coniugale protrattasi dopo
il matrimonio unilateralmente viziato, per poco meno di 3 anni, App. Milano, Sez. persone, minori e famiglia,
7.3.2012, n. 838, F.P.R.C. c. M.G.S., inedita (caso a me noto per ragioni professionali).
62 Reputata, in tali situazioni, del tutto «disponibile» per atto di volontà o per comportamento
successivo del coniuge legittimato a farla valere.
63 Si rivedano le pronunzie menzionate, supra, nelle note 51-52.
12
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3. L’overruling sancito da Cass., sez. un., 17.7.2014, n. 16379. Profili
problematici.
Nel comporre il più recente conflitto giurisprudenziale64, di cui si diceva
poc’anzi, le Sezioni unite del 2014 – con una motivazione (l’ho già ricordato) di
notevole spessore – si sono consapevolmente poste in rotta di collisione con il
significativo (contrario) «precedente» del 198865, sforzandosi di devitalizzarne in più
punti la ratio decidendi, allora pure avallata da un serrato intreccio di rilievi sistematici.
Seguo, per comodità espositiva, l’ordine logico degli argomenti.
La prima preoccupazione del Supremo Collegio, nel prendere le distanze da
tale «precedente», è quella di rinvenire – a supporto della distinzione fra
«matrimonio-rapporto» e «matrimonio-atto», nonché della possibile prevalenza
dell’uno sull’altro, a prescindere dai vizi di quest’ultimo – un «nitido e solido
fondamento» nella Costituzione66, nelle Carte Europee dei diritti67 e nella
legislazione italiana68. Una volta individuato, quel preciso «fondamento» – assume la
Corte – si estrinseca non già in una sorta di «prevalenza» (o di superiorità)
assiologica, bensì in una «distinzione» giuridicamente necessaria a permettere
l’identificazione di «principi» e di «regole fondamentali» capaci di integrare «norme
di ordine pubblico interno», da reputarsi ostative della delibabilità di sentenze
ecclesiastiche di nullità del matrimonio. Il che si rafforza ancor più, se si considera il
«matrimonio-rapporto» come una sorta di «contenitore» teorico di una qualificata
pluralità di «diritti inviolabili», di «doveri inderogabili» e di connesse «responsabilità»
coniugali.
A proposito della «convivenza» coniugale protrattasi dopo il matrimonio, intesa quale causa non
ostativa oppure ostativa della delibazione, cfr., ad es., emblematicamente : a) nel primo senso, Cass., sez. I,
4.6.2012, n. 8926, cit., in “Foro it.”, 2012, I, 2676 ; b) nel secondo senso, Cass., sez. I, 15.6.2012, n. 9844, cit.,
in “Giust. civ.”, 2013, I, 1856 ; Cass., sez. I, 20.1.2011, n. 1343, cit., in “Foro it.”, 2012, I, 1035.
65 Cfr. la motivazione della pronuncia in esame, sub §§ 3.4.-3.6. Si tratta, in particolare, di Cass., sez.
un., 20.7.1988, n. 4700, cit., qui analizzata approfonditamente nel § 3, ed, a seguire, di Cass., sez. I, 4.6.2012,
n. 8926, ult. cit.
66 Artt. 29, 1°-2° comma, 30, 1° comma, e 31, 1° comma, in relazione alla garanzia dei «diritti
inviolabili dell’uomo», sancita dall’art. 2 (ibidem, § 3.5.). L’accento cade, in particolare, sulla vocazione
istituzionale delle «formazioni sociali» (fra cui spicca eminentemente la «famiglia», quale «società naturale
fondata sul matrimonio») a valorizzare, nell’ottica del cit. art. 2, lo sviluppo e la protezione della personalità
degli esseri umani (come è stato ribadito da Corte cost., 28.11.2002, n. 494, in Foro it., 2004, I, 1053-1057, sp.
1055-1056, sub § 6.1., a proposito dell’incostituzionalità dell’art. 278, 1° comma, c.c., riferita alla dichiarazione
giudiziale di paternità o di maternità naturale dei figli incestuosi).
67 Le fonti normative richiamate sono : l’art. 16 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo
(1948) ; l’art. 23, § 4, del Patto internazionale sui diritti civili e politici (1966) ; l’art. 5, primo periodo, del
Protocollo n. 7 (1984) aggiunto alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle
libertà fondamentali (1950).
68 Vengono testualmente citati, a conferma del «distinguo» fra «matrimonio-atto» e «matrimoniorapporto», l’art. 143, 1°-3° comma, e l’art. 147 c.c. (nei testi modificati, rispettivamente, dalla l. n. 151/1975 e
dal d. lgs. 28 dicembre 2013, n. 154).
64
13
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Il secondo (assai elaborato) passaggio motivazionale si impernia sulla nozione
di «convivenza» dei coniugi69, nonché sulle correlate esigenze di «riconoscibilità
esteriore»70 e di «stabilità» temporale, che dovrebbero istituzionalmente
caratterizzarla. Il concetto in sé, sotteso a precise norme garantistiche di diritto
internazionale71, rappresenterebbe un «aspetto essenziale» del «matrimoniorapporto», traducendosi nella «consuetudine di vita comune» dei coniugi, ossia nel
«vivere insieme» stabilmente e con continuità («come coniugi», appunto),
quantomeno «.. per un tempo significativo tale da costituire “legami familiari”..» saldi
e duraturi. Ed è come astratto «contenitore» di diritti, di doveri e di responsabilità
coniugali che esso, ai sensi dell’art. 2 Cost.72, verrebbe ad assumere un rilievo
centrale, nell’ottica dell’«ordine pubblico italiano», qui invocabile73.
Nella suindicata prospettiva – così prosegue la Corte – la predetta
«convivenza», se ragionevolmente protratta nel tempo, condividerebbe l’identica
ratio, cui si ispirano le disposizioni sulla decadenza dalle azioni di nullità-annullamento
del matrimonio civile74, palesando e documentando per facta concludentia una
sostanziale «accettazione del rapporto matrimoniale», tale da «... implicare anche la
sopravvenuta irrilevanza giuridica dei vizi genetici eventualmente inficianti l’”atto”
di matrimonio, che si considerano perciò “sanati” dall’accettazione del rapporto ...»
medesimo.
Il terzo step argomentativo investe il punto forse più delicato da trattare,
coinvolgendo la questione relativa alla «ragionevole durata» della «convivenza», quale
condicio sine qua non della sua invocabilità, nel quadro delle norme di «ordine pubblico
italiano» da opporre, eventualmente, alla delibazione delle sentenze ecclesiastiche.
69 Concetto desunto, letteralmente, dall’art. 123, 2° comma, c.c. (in tema di simulazione del
matrimonio civile), da preferirsi – dice la Corte – a quello di «coabitazione» (artt. 120, 2° comma, e 122, 4°
comma, st. cod.), per la sua «indiscutibile, maggiore comprensività semantica».
70 Tale da consentire in giudizio, ove occorra, la prova (diretta od anche indiretta e presuntiva) di
«fatti e comportamenti» ad essa corrispondenti «in modo non equivoco», sì da garantirne l’integrale pienezza
ed effettività.
71 La Corte richiama e cita testualmente, nei loro analoghi contenuti (ibidem, § 3.5.) : da un lato, l’art.
8, 1° comma, della Convenzione europea del 1950 (si consulti, per completezza di raffronto, anche il testo
inglese : «Right to respect for private and family life. Everyone has the right to respect for his private and family life,
his home and his correspondence») ; dall’altro, l’art. 7 della Carta europea dei diritti fondamentali, del 2000
(«Respect for private and family life. Everyone has the right to respect for his or her private and family life, home
and communications»).
72 Il Supremo Collegio (ibidem, loc. cit.), ricollegandosi all’«inderogabile tutela dell’ordine pubblico»,
puntualizzata a suo tempo da Corte cost., sent. n. 18/1982 (retro, § 1, nota 5), afferma che la «convivenza»
coniugale, come connotato essenziale del «matrimonio-rapporto», sarebbe «... costitutiva di una situazione
giuridica che, in quanto regolata da disposizioni costituzionali, convenzionali ed ordinarie, é perciò tutelata da
norme di “ordine pubblico italiano”, secondo il disposto di cui all’art. 797 c.p.c., comma 1, n. 7 ...».
73 Ai sensi del cit. art. 797, 1° comma, n. 7, c.p.c.
74 Artt. 119, 2° comma, 120, 2° comma,, 122, 4° comma, e 123, 2° comma, c.c.
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Qui, il Supremo Collegio interviene consapevolmente praeter legem, facendo
ricorso integrativo – in virtù delle «strette connessioni» tra le diverse fattispecie – al
criterio ermeneutico dell’«analogia»75. Nell’opinione della Corte, la disposizione di
riferimento, regolatrice di «casi simili o materie analoghe», dovrebbe essere ricercata
nella disciplina dell’adozione (o, come oggi risulta, nella regolamentazione del
«diritto del minore ad una famiglia»)76. Tale disposizione viene, quindi, individuata
tra quelle «generali» dell’adozione ordinaria c.d. «legittimante»77, laddove si statuisce
che quest’ultima «è consentita a coniugi uniti in matrimonio da almeno tre anni»,
senza che vi sia stata, nella loro «convivenza», alcuna intermedia soluzione di
continuità78.
Sulla scia delle indicazioni emerse dalla giurisprudenza costituzionale, ritiene,
dunque, la Corte che il criterio dei 3 anni di convivenza continuativa dei coniugi si
atteggi come un «requisito minimo presuntivo», a suffragio della «stabilità» del
rapporto matrimoniale79, ben potendo (anzi, dovendo) essere invocato – anche nella
fattispecie in esame, accanto ad altri elementi di ribadita analogia80 – quale
componente essenziale di quel limite dell’«ordine pubblico italiano»81, cui il previg.
art. 797, 1° comma, n. 7, c.p.c. ricollegava all’epoca dell’Accordo del 1984 (ed,
ultrattivamente, ricollega ancora oggi) l’eventuale diniego di delibazione delle
pronunce ecclesiastiche di nullità del matrimonio concordatario.
75
76
Art. 12, 2° comma, disp. prelim. c.c.
L. 4 maggio 1983, n. 184, la cui attuale epigrafe si deve all’art. 1, 1° comma, della l. 28 marzo 2001,
n. 149.
77 Cfr., nella l. cit., l’art. 27, 1° comma : «per effetto dell’adozione l’adottato acquista lo stato di figlio
legittimo degli adottanti, dei quali assume e trasmette il cognome». Ciò vale anche per l’adozione pronunziata
all’estero (art. 35, 1° comma), ma non nell’adozione «in casi particolari» (artt. 44 ss.). Sul punto, ad es., per
altri riferimenti, cfr. Cass., Sez. I, 14.2.2011, n. 3572, in “Rep. Foro it.”, 2011, voce “Adozione”, n. 54, e, per
esteso, in “Foro it.”, 2011, I, 728-732, con nota di G. De Marzo, 732.
78 Si legga, per completezza di informazione, l’art. 6, commi 1-2 e 4, della l. cit., nel testo modificato
dall’art. 6 della l. n. 149/2001 : «1. L’adozione è consentita a coniugi uniti in matrimonio da almeno tre anni.
Tra i coniugi non deve sussistere e non deve aver avuto luogo negli ultimi tre anni separazione personale
neppure di fatto. – 2. I coniugi devono essere affettivamente idonei e capaci di educare, istruire e mantenere i
minori che intendono adottare. [3. ...]. - 4. Il requisito della stabilità del rapporto di cui al comma 1 può
ritenersi realizzato anche quando i coniugi abbiano convissuto in modo stabile e continuativo prima del
matrimonio per un periodo di tre anni, nel caso in cui il tribunale dei minorenni accerti la continuità e la
stabilità della convivenza, avuto riguardo a tutte le circostanze del caso concreto.».
79 Si richiamano testualmente, a tale proposito, le considerazioni svolte – sia pur sulla versione
originaria del cit. art. 6, anteriormente alle modifiche del 2001 – da Corte cost., 6.7.1994, n. 281, in “Rep.
Foro it.”, 1994, voce “Adozione”, nn. 68-69, nonché, per esteso, in “Dir. famiglia”, 1994, 1197, e in “Giust.
civ.”, 1994, I, 2706.
80 Primo fra tutti, il «distinguo», più volte ricordato, tra «matrimonio-atto» e «matrimonio-rapporto».
81 Il dato testuale della norma ultrattivamente applicabile impone – secondo il Supremo Collegio – di
escludere qualsiasi possibilità di riferimento all’«ordine pubblico internazionale», cui invece si richiamerebbe,
per il riconoscimento in Italia delle sentenze straniere, l’art. 64, comma 1, lett. g, della l. n. 218/1995 (Cass.,
sez. I, 6.12.2002, n. 17349, in “Rep. Foro it.”, 2002, voce “Delibazione”, n. 11, e, per esteso, in “Foro pad.”,
2003, I, p. 62).
15
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Gli ultimi passaggi motivazionali del dictum cassatorio appaiono (soltanto in
parte) conseguenziali, rispetto a quelli sin qui esaminati.
Secondo il Supremo Collegio, il sostanziale rispetto dei termini dell’Accordo
fra Stato e Chiesa imporrebbe di reputare del tutto irrilevante, ai fini della
delibazione, qualsiasi distinzione fra i vizi genetici della nullità, accertati e dichiarati
dagli organi di giurisdizione ecclesiastica secondo l’«ordine canonico» in cui il
vincolo matrimoniale ha avuto «origine»82, giacché altrimenti il giudice italiano
attuerebbe una «inammissibile invasione» in tale giurisdizione, cui è riservata la
cognizione delle nullità matrimoniali. Non sarebbe invece di per sé ostativa alla
delibazione secondo i previg. artt. 796-797 c.p.c. – così aggiunge la Corte – la
riaffermata «specificità» dell’ordinamento canonico, purché quest’ultima venga
interpretata come garanzia di «esclusività» della disciplina sostanziale applicabile, ma
non già come «esclusività» anche «in termini di giurisdizione»83.
Vi è, infine, un rilievo conclusivo, di portata eminentemente processuale.
Posto che la convivenza (almeno triennale) dopo la celebrazione del
matrimonio, quale «situazione giuridica di ordine pubblico», appare caratterizzata,
come si é visto, da un complesso coordinato di diritti, di doveri e di responsabilità di
natura «personalissima», la preclusione che ne deriva – assume il Supremo Collegio84
– non sarebbe giammai rilevabile d’ufficio dal giudice, ma costituirebbe l’oggetto di
un’eccezione in senso proprio, deducibile dinanzi al giudice della delibazione85 dal
solo coniuge interessato, nei termini decadenziali previsti dal rito e con l’accollo
degli oneri probatori conseguenti86.
L’inevitabile corollario, che la giurisprudenza pressoché coeva (o
immediatamente successiva) non ha mancato di sottolineare, é dato dal fatto che la
predetta preclusione non sarebbe comunque in grado di operare, laddove l’istanza di
delibazione – a prescindere dalla variabile durata della predetta convivenza – venisse
Si richiama, qui, il punto 4, lett. b, del Protocollo aggiuntivo (retro, § 1), in rapporto all’art. 8, 2°
comma, del cit. Accordo, nonché con riferimento al can. 1055 c.j.c. (circa la natura di «sacramento» del
matrimonio medesimo).
83 Il che, se fosse sostenibile, contrasterebbe altrimenti con l’art. 7 , 1° comma, Cost. e con l’art. 1 del
cit. Accordo del 1984 (cfr., in tal senso, il § 3.8.2. della motivazione).
84 Cfr. la motivazione della sentenza in esame, sub § 4. Se ne veda la massima in “Rep. Foro it.”,
2014, voce “Matrimonio”, n. 23.
85 E non, quindi, per la prima volta nel susseguente giudizio di legittimità dinanzi al Supremo
Collegio.
86 Oneri non certo lievi, in termini concreti, date le possibili difficoltà ontologiche di prova e le
differenziate «disponibilità» (o «vicinanze») dei mezzi probatori utilizzabili.
82
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proposta da entrambi i coniugi, come é consentito dallo stesso Accordo del 198487,
con un «ricorso congiunto»88.
4. Ordine pubblico, protrazione temporale della convivenza fra coniugi
e preclusioni «a tempo», per la delibazione delle predette sentenze. Rilievi
critici.
Nel condividere in buona misura le critiche da più parti già evidenziate in
dottrina89, procedo per gradi e, partendo dal fondo, vado ad esporre talune mie
personali perplessità, che – lo ripeto – non scalfiscono, se non marginalmente, il
globale apprezzamento per l’accurata struttura motivazionale della sentenza in
esame, nonché per la piena attendibilità della ratio giuridico-politica cui essa
dichiaratamente si ispira90.
Anzitutto, nell’ottica processuale91, non mi persuade affatto l’ultimo rilievo
motivazionale, con il suo conseguente corollario, che ho ricordato poc’anzi.
Da tempo – nell’ambito di un indirizzo giurisprudenziale consolidato – il
«distinguo» fra eccezioni in senso stretto, opponibili dalla sola parte legittimata nei
termini preclusivi previsti dal rito92, ed eccezioni in senso lato, rilevabili anche
d’ufficio dal giudice senza limiti temporali, viene normalmente ancorato a un duplice
parametro. In questa prospettiva, si assume che l’uno (il più lineare e, forse, il più
facile) indurrebbe a configurare come tendenzialmente «tipica» la prima categoria,
postulando a suo fondamento l’esistenza di previsioni normative ad hoc, e perciò,
ogni qual volta la legge nulla dica in proposito, assicurando alla seconda un’area
indeterminata e «atipica» di massima espansione ; l’altro (forse, più ondivago e meno
agevole da applicare) si proporrebbe di ricondurre comunque entro la prima
categoria, pur in assenza di previsioni normative espresse, anche le eccezioni il cui
Per opportuni riferimenti, si rimanda retro al § 1.
Sul punto, ad es., si veda Cass., sez. I, 27.1.2015, n. 1495, in “Guida al dir.”, n. 8, 14.2.2015, pp.
24-26, con commento di S.A.R. Galluzzo, Un’eccezione rimessa alla disponibilità esclusiva delle parti, pp. 27-30 (ed
ivi, p. 30, la conclusione, secondo cui lo stesso principio di tutela dell’affidamento del coniuge incolpevole,
costituente la ratio ispiratrice dell’indirizzo giurisprudenziale in esame, per quanto di per sé «inderogabile»,
verrebbe comunque a rientrare nella «sfera di disponibilità del soggetto»). Ciò significa, in altre parole, che la
mancata proposizione dell’eccezione o, addirittura, la proposizione di un ricorso di delibazione «congiunto»
attesterebbe inequivocabilmente la bilaterale carenza di interesse alla «conservazione» del «matrimoniorapporto», nato da un «matrimonio-atto» viziato ab origine secondo l’«ordine canonico».
89 Per altri rilievi e richiami, cfr., ad es., ancora : Dalla Torre, “Specificità dell’ordinamento canonico”, cit.,
pp. 6-15; Quadri, Il nuovo intervento delle Sezioni unite, cit., in “Nuova giur. civ.”, 2015, II, 58-60, testo e note.
90 Tale ratio – come si diceva – si identifica nell’esigenza di salvaguardare, il più possibile, la tutela del
legittimo affidamento del coniuge (per così dire) incolpevole, circa la «stabilità» e la «tenuta» temporale del
«matrimonio-rapporto».
91 A me, ratione materiae, più familiare e congeniale.
92 Sono quelle, tanto per intenderci, cui si riferisce l’art. 112 c.p.c.
87
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fondamento razionale risieda nella titolarità di un diritto potestativo e/o nella
legittimazione all’esercizio di una corrispondente azione costitutiva93.
Benché si tratti di un indirizzo non sempre compatto94, non direi che, nella
sentenza in esame, il Supremo Collegio si sia consapevolmente fatto carico di
verificare con cura95, alla stregua dei suindicati criteri, la sostenibilità dell’opzione
adottata, intesa a qualificare come oggetto di un’eccezione in senso proprio –
rimessa alla disponibilità di una delle parti (o di entrambe, nel caso di ricorso
«congiunto») e quindi non rilevabile d’ufficio dal giudice – la «convivenza» (almeno
triennale) dei coniugi post matrimonium, da reputarsi preclusiva della delibazione di
una sentenza ecclesiastica di nullità.
Ma v’è di più, dato che il discorso inevitabilmente si amplia e si sposta dal
versante strettamente processuale a quello di diritto sostanziale.
In quest’ottica, il primo (e più delicato) problema risiede nella ritenuta
«disponibilità» privatistica degli interessi sottesi alla nozione di «ordine pubblico» –
quale che sia quella qui invocabile – in dipendenza (così afferma la Suprema Corte)
dalla natura «personalissima» dei diritti soggettivi coinvolti.
Nell’oscillazione degli orientamenti giurisprudenziali, proclivi ad invocare in
materia l’«ordine pubblico interno» e non già quello «internazionale» (sulla scia delle
indicazioni tratte dalla previgente norma processuale ultrattiva) 96, non v’è dubbio
alcuno che entrambe le nozioni, al di là delle sfumature differenziali, trovino la loro
base unificante in un nucleo inviolabile di interessi e di valori pubblicistici – comuni,
si badi, non soltanto alla nostra Costituzione ed ai principi fondanti
dell’ordinamento italiano, ma anche alle principali Convenzioni internazionali,
sottoscritte dall’Italia, nonché alle «tradizioni costituzionali comuni» dell’Unione
93 Ove pure dominano – come si evince dall’art. 2908 c.c. – la «tipicità» e la «specialità» delle
previsioni normative.
Su questi orientamenti, cfr., ad es., ex multis, Cass., sez. III, 24.11.2009, n. 24680, in “Rep. Foro it.”,
2009, voce “Procedimento civile”, n. 151. Per ulteriori rilievi e richiami, mi permetto di rinviare alla mia opera
Le prove civili3, Utet Giuridica, Torino 2010, pp. 276-282, testo e note.
94 Si pensi, ad es., alle fattispecie di eccezione in senso proprio (o stretto), identificate dalla
giurisprudenza consolidata, pur senza precisi riscontri testuali, nell’art. 1227, 2° comma, o nell’art. 1460 c.c.
Sulla prima, cfr., ex multis, Cass., sez. III, 16.4.2013, n. 9137, in “Rep. Foro it.”, 2013, voce “Danni civili”, n.
122 ; Cass., sez. III, 25.5.2010, n. 12714, “ivi”, 2010, voce cit., n. 226 ; sulla seconda, Cass., sez. II, 16.3.2011,
n. 6168, “ivi”, 2011, voce “Appello civile”, n. 33 , Cass., sez. III, 29.1.2010, n. 2038, “ivi”, 2010, voce
“Procedimento civile”, n. 267.
95 Il riferimento-base, come si è visto, rimane quello dei diritti «personalissimi» coinvolti.
96 Si ricordi la menzione dell’«ordine pubblico italiano», contenuta nel previgente art. 797, 1° comma,
n. 7, c.p.c.
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europea – in cui si traduce l’esigenza «universale» di protezione e di tutela dei diritti
fondamentali dell’uomo97.
Se ciò è correttamente sostenibile (né si vede come possa essere altrimenti), a
prescindere dalla nozione di riferimento la sola ricaduta possibile – tanto sul piano
processuale, quanto su quello sostanziale – è data dall’assoluta «indisponibilità» (o
«non negoziabilità») di quei valori ed interessi pubblicistici, quale conseguenza
necessaria della loro (non meno assoluta e inderogabile) «inviolabilità». In altre
parole, il limite dell’«ordine pubblico», a prescindere dalla fisiologica «flessibilità» dei
suoi contenuti98, in termini ontologici o c’é o non c’é ; ma, se c’é, la sua rilevabilità
non può non rientrare, indefettibilmente, nell’officium judicis, quale che sia, in
proposito, l’atteggiamento (disgiunto od anche congiunto)99 palesato dalle parti in
lite.
Il formale «manicheismo» di quest’ultima affermazione, che a rigore conduce
ad escludere dalla nozione-base di «ordine pubblico» qualsiasi forma (diretta o
indiretta) di «disponibilità» privatistica, non mi sembra il frutto di una mera
postulazione teorica, trovando invece inequivoci supporti nell’ordinamento
positivo.
Ne offre una persuasiva conferma, ad es., l’evoluzione giurisprudenziale più
recente che – dapprima in Europa100 e poi anche in Italia – ha progressivamente
In tale contesto, nel quale (fra l’altro) si ripudia, a fondamento della nozione di «ordine pubblico»,
ogni richiamo riduttivo alla semplice «imperatività» cogente di determinate norme di diritto interno, cfr., da
ultimo, a proposito del divieto di surrogazione di maternità, le considerazioni di Cass., sez. I, 26.9.2014, n.
24001, “ivi”, 2014, voce “Filiazione”, n. 77, nonché, per esteso, in “Foro it.”, 2014, I, 3408-3413, com nota di
G. Casaburi, Sangue e suolo : la Cassazione e il divieto di maternità surrogata, 3414-3416, e in “Nuova giur. civ.”,
2015, I, 235-241, con commento di C. Benanti, La maternità é della donna che ha partorito : contrarietà all’ordine
pubblico della surrogazione di maternità e conseguente adottabilità del minore, 241-249. Ma si aggiungano, per ulteriori
rilievi, ad es.: Cass., sez. lav., 22.2.2013, n. 4545, e Cass., sez. III, 22.8.2013, n. 19405, in “Rep. Foro it.”, 2013,
voce “Diritto internazionale privato”, nn. 29 e 31.
E’ comunque concorde – sulle nozioni di «ordine pubblico», di cui agli artt. 16 e 64, lett. g, della l.
31.5.1995, n. 218 – il trend giurisprudenziale ormai dominante (ad es.,, si veda, ex plurimis, Cass., sez. III,
22.8.2013, n. 19405, “ivi”, 2013, voce cit., n. 31).
98 «Flessibilità» nel tempo, condizionata perlopiù dalla relatività storica e dalla conseguente variabilità
fenomenica (o, se si vuole, dall’«assetto variabile») di taluni dei suoi valori «fondanti».
99 Se così non fosse, dovrebbe ammettersi, in ipotesi, che il legislatore del 1985, nel ratificare
l’Accordo Stato-Chiesa del 18 febbraio 1984, abbia, da un lato, previsto anche la proponibilità «congiunta»
della domanda di delibazione delle sentenze ecclesiastiche di nullità del matrimonio, dando tuttavia per
scontata, dall’altro, in tale evenienza la sicura non operatività di una delle condizioni più importanti (quella,
appunto, dell’«ordine pubblico») «richieste dalla legislazione italiana per la dichiarazione di efficacia delle
sentenze straniere» (cfr. l’art. 8, comma 2, lett. c, della l. n. 121/1985, in relazione al punto 4 del Protocollo
addizionale). Il che, francamente, mi sembra assurdo, se non, addirittura, contra rationem.
100 Si vedano, ad es., con specifico riguardo alle nullità (rilevabili ex officio dal giudice, al di là di
qualsiasi preclusione) che colpiscono le clausole abusive, stipulate, a danno dei consumatori, in violazione di
norme comunitarie : Corte giust. UE, 4.6.2009, n. 243/08, in “Foro it.”, 2009, IV, pp. 489-495 ; Corte giust.
UE, 17.12.2009, n. 227/08, in “Dir. comm. internaz.”, 2011, 575, con nota di V. Tinto, Il potere del giudice di
rilevazione della nullità di protezione, 581 ss. ; Corte giust. UE, 5.12.2013, C-413/12, 14.11.2013, C-537/12 e C116/13, 30.5.2013, C-488/11, 30.5.2013, C-397/11, 21.3.2013, C-92/11, e 14.3.2013, C-415/11, in “Foro it.”
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esteso e generalizzato ad ogni tipo di azione impugnatoria l’area della (ormai
illimitata) rilevabilità ex officio delle nullità negoziali101 (e di quelle c.d. «di protezione»,
in particolare)102, in stretta funzione degli interessi pubblicistici ad esse sottesi 103. E
un identico indirizzo si é ormai affermato da tempo – a maggior ragione, si
dovrebbe dire – nella disciplina (pur prevalentemente «dispositiva») del processo
civile ordinario, ogni qual volta ricorrano violazioni di norme e di principi
inderogabili, afferenti al c.d. «ordine pubblico processuale»104.
Il secondo (e non meno delicato) problema riguarda, poi, l’individuazione
praeter legem dei riscontri rinvenibili nel diritto interno105, a supporto dell’affermata
2014, IV, 33-40, con commento di R. De Hippolytis e A. Palmieri, L’elaborazione della Corte di giustizia in materia
di clausole abusive : i poteri del giudice e il ruolo delle parti, p. 40, pp. 41-42.
101 Va da sé che il rilievo d’ufficio del giudice rimane sempre subordinato al rispetto del preventivo
contraddittorio fra le parti, nonché soprattutto all’invalicabilità del divieto di «scienza privata» (art. 97 disp.
att. c.p.c.), sull’indefettibile presupposto che la situazione giuridico-fattuale da rilevarsi d’ufficio già risulti
ritualmente allegata (seppur per implicito) e comunque comprovata in atti, non importa per iniziativa di chi,
grazie all’ampia portata del c.d. principio di acquisizione.
102 Si tratta, ad es., di quelle sancite, testualmente come tali, dal Codice del consumo (artt. 33-34 e 36
del d. lgs. 6.9.2005, n. 206), od anche di quelle previste nella disciplina dei contratti agrari (art. 23 della l.
11.2.1971, n. 11, in relazione all’art. 45 della l. 3.5.1982, n. 203) e di quella sancita in favore dell’investitore
nella disciplina dell’intermediazione finanziaria (art. 23 del d. lgs. 24.2.1998, n. 58).
103 Nell’annoso susseguirsi di orientamenti giurisprudenziali intorno all’art. 1421 c.c. (a proposito dei
quali, ancora mi permetto di rinviare, in sintesi, al mio vol. Le prove civili, cit., pp. 346-350, testo e note), basti
ricordare, da ultimo, Cass., sez. un., 12.12.2014, n. 26242, in “Rep. Foro it.”, 2014, voce “Contratto in
genere”, nn. 228-231, nonché in “Foro it.”, 2015, I, 862-909, ivi con commenti di : M. Adorno, Sulla
rilevabilità d’ufficio della nullità contrattuale : il nuovo intervento delle sezioni unite, 909-916 ; A. Palmieri, R. Pardolesi,
Nullità negoziale e rilevazione officiosa a tutto campo (o quasi), 916-921 ; F. Di Ciommo, La rilevabilità d’ufficio ex art.
1421 c.c. secondo le sezioni unite : la nullità presa (quasi) sul serio, 922-928 ; S. Pagliantini, Nullità di protezione e facoltà
di non avvalersi della dichiarabilità : «quid iuris» ? ; S. Menchini, Le sezioni unite fanno chiarezza sull’oggetto dei giudizi di
impugnativa negoziale : esso è rappresentato dal rapporto giuridico scaturito dal contratto, 931-943 ; A. Proto Pisani,
Rilevabilità d’ufficio della nullità contrattuale : una decisione storica delle sezioni unite, 944-946.
104 Il caso emblematico – nell’ambito dei principi attinenti al contraddittorio o al c.d. ne bis in idem – é
dato dall’eccezione di giudicato «esterno», che oggi (a differenza del risalente passato) viene pacificamente
ritenuta rilevabile d’ufficio, al pari di quella di giudicato «interno», per le medesime ragioni di «pubblico
interesse». Cfr., ad es., ex multis, Cass., sez. III, 7.4.2009, n. 8379, in “Rep. Foro it.”, 2009, voce “Cosa
giudicata civile”, n. 17 ; Cass., sez. III, 22.6.2007, n. 14581, “ivi”, 2008, voce “Procedimento civile”, n. 130.
105 I supporti di diritto internazionale – cui la Corte Suprema pur legittimamente si richiama – mi
pare colgano (come si suol dire) al di là del segno, provando forse troppo, in relazione all’obiettivo da essa
perseguito. Ad es., l’art. 16, 1° comma, della Dichiarazione universale del 1948 si preoccupa specificamente
di salvaguardare la piena eguaglianza dei diritti dei coniugi nel corso dell’intero rapporto matrimoniale, dalla
sua instaurazione sino al suo scioglimento («1. Men and women of full age [….] are entitled to equal rights as
to marriage, during marriage and at its dissolution») ; la Convenzione europea del 1950, dal canto suo, si cura
di garantire, fra l’altro, il pieno «rispetto» della vita privata e familiare di ciascun individuo (art. 8, 1° comma),
rinviando però, per la disciplina del «diritto di sposarsi e di formare una famiglia», alle leggi nazionali che ne
regolano l’esercizio (art. 12 : «men and women of marriageable age have the right to marry and to found a
family, according to the national laws governing the exercise of this right») ; pressoché identiche sono le
previsioni contenute negli artt. 7 e 9 della Carta europea del 2000.
Da qui a sostenere che pure in tali disposizioni verrebbe riconosciuto il principio, in forza del quale
il «matrimonio-rapporto» sia istituzionalmente destinato a prevalere comunque, in caso di scioglimento, sul
«matrimonio-atto» e sui suoi eventuali vizi, il passo è tutt’altro che breve.
Del resto, parrebbero non meno sforzati ed ipervalutati gli stessi argomenti che, a suffragio della
menzionata prevalenza del «matrimonio-rapporto» sui vizi del «matrimonio-atto», si vorrebbero desumere
dagli artt. 29-31 Cost. ed, in particolare, dall’art. 29, ove si garantisce (per così dire) a tutto tondo, senza
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prevalenza del «matrimonio-rapporto», attraverso la protratta «convivenza»
coniugale, sui vizi che abbiano inficiato ab origine il «matrimonio-atto».
Se non erro, l’integrazione analogica, per via ermeneutica, delle eventuali
«lacune» del sistema normativo dovrebbe armonizzarsi e rendersi compatibile, in
ogni caso, con l’esigenza primaria di interpretazione stricto jure delle «norme che
fanno eccezione a regole generali o ad altre leggi»106. Ne deriva che il ricorso
all’analogia parrebbe precluso a priori, laddove si proponga di assumere come
termine di paragone e di confronto taluna di siffatte norme «eccezionali»107. Ciò
induce, conformemente, a ritenere che l’ambito precettivo dell’«ordine pubblico»
debba essere determinato o ricostruito, in quanto possibile, sulla base di «principi
generali»108 e non già sulla scorta di norme «speciali», che ad essi rechino deroga.
Orbene, se è vero – come asserisce la stessa Corte Suprema nella pronunzia
qui in esame – che il sistema delle nullità del matrimonio civile prevede specifiche
cause di «decadenza» dalle azioni impugnatorie dei coniugi, per protratta
«coabitazione» (o «convivenza»), cui l’ordinamento tende ad attribuire, in funzione
del «matrimonio-rapporto»109, un’implicita efficacia di «sanatoria» (o di
«convalidazione») dei vizi genetici del «matrimonio-atto», mi pare altrettanto vero
che, a livello di «principi generali»110, si rendano ineludibili queste ulteriori
considerazioni :
specificazioni o differenziazioni finalistiche, la protezione dei «diritti della famiglia», nonché l’«eguaglianza
morale e giuridica dei coniugi».
106 Vale il coordinamento fra l’art. 12, 2° comma, e l’art. 14 delle disp. prelim. c.c.
107 Di cui, tutt’al più, si ammette, non senza contrasti, un’eventuale interpretazione «estensiva». In
giurisprudenza, ad es., con riguardo ai cit. artt. 12 e 14 disp. prelim. c.c., si vedano, ex multis : Cass., 26.5.1986,
n. 3536, in “Rep. Foro it.”, 1986, voce “Calamità pubbliche”, n. 15 ; Cass., sez. I, 26.8.2005, n. 17396, “ivi”,
2005, voce “Privilegio”, n. 13.
108 Uso l’espressione recepita dal cit. art. 12 , 2° comma, disp. prelim. c.c. D’altronde, è ormai
corrente in giurisprudenza l’approccio definitorio che mira ad identificare il proprium del concetto di «ordine
pubblico» interno in un «insieme di principi essenziali» della lex fori (così, ad es., Cass., sez. lav., 26.4.2013, n.
10070, “ivi”, 2013, voce “Diritto internazionale privato”, n. 30).
109 Si parla, in proposito, di un vero e proprio favor per la «conservazione del rapporto matrimoniale»,
ad onta dei vizi originari del «matrimonio-atto», in dipendenza dalla protratta successiva convivenza fra i
coniugi.
110 Sul punto, mi pare sicuramente condivisibile – seppur inserita in un decisum conforme alla
pronunzia qui in esame – l’affermazione (espressa da Cass., sez. I, 27.1.2015, n.1494, in “OLIR”, 6.2.2015)
secondo la quale l’asserito «canone di ordine pubblico fondato sulla convivenza effettiva» dovrebbe scaturire
da un «sistema» vero e proprio di regole, non già da una sola norma (nel caso de quo, dall’art. 120 c.c.), «... non
potendo i principi di ordine pubblico essere la conseguenza diretta dell’articolazione di una singola norma
interna ...». Sottoscrivo convintamente, sul piano metodologico : ciò che, però, non mi persuade (lo ripeto) é
l’idea che un siffatto «sistema» normativo, da reputarsi come nucleo inderogabile di «principi» attinenti
all’ordine pubblico, possa desumersi da norme «speciali», a loro volta derogatorie di principi «generali» diversi.
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1) sono rigorosamente eccezionali e «tipiche» le ipotesi di «convalida» (o, se
vogliamo, di «sanatoria») delle cause di «nullità» contrattuale, le quali in linea di
massima non sono, di per sé, «convalidabili»111 ;
2) non meno «speciale», seppur a maglie certamente più larghe, é la disciplina
della «convalida» (espressa o tacita) del contratto «annullabile»112 ;
3) coerentemente, le peculiari situazioni di «coabitazione» o di «convivenza»,
preclusive delle azioni di nullità matrimoniale113, siano esse configurabili
(tecnicamente) come «decadenze»114 oppure come «sanatorie», non possono non
dirsi, a fortiori, previste e regolate da disposizioni normative «speciali», per il cui
tramite il legislatore italiano ha inteso attuare «… un temperamento equitativo
degl’interessi della collettività e di quelli del singolo …»115 ;
4) inoltre, sono indiscutibilmente «speciali» e «tipiche», nel contesto del c.d.
«ordine pubblico processuale», le norme del processo, da cui sono previste le
«decadenze» in senso tecnico116.
D’altronde, é certo che proprio le «decadenze» di cui parliamo (sub 3-4) siano
razionalmente disciplinate dal legislatore ordinario in forma «speciale», al fine di
recare alcune mirate deroghe (nel nome di interessi reputati meritevoli di una
protezione differenziata) a quel «principio generale»117, costituzionalmente garantito,
Dall’art. 1423 c.c., infatti, si desume con chiarezza che il principio generale é, all’opposto, quello
della «non convalidabilità». Sul tema, per ulteriori spunti e riflessioni, cfr. la classica trattazione di R. Sacco, Le
invalidità, in Trattato di diritto privato, diretto da P. Rescigno, vol. 10, Torino, 1982, pp. 469-506, sp. pp. 471 ss.,
493-496.
112 Cfr. l’art. 1444, 1°-2° comma, c.c. Ma, nell’ottica delle eventuali sanatorie matrimoniali, non si
dimentichi quanto restrittivamente prescrive il 3° comma, e cioè che la convalida per volontaria esecuzione
del contratto viziato «... non ha effetto, se chi l’esegue non é in condizione di concludere validamente il
contratto».
113 Che, al di là del preciso nomen juris (vedasi, sul punto, la Relazione del Ministro Guardasigilli
Grandi al Re sul c.c. del 1942, §§ 96-101, sp. § 96), si tratti non tanto di azioni di «nullità», quanto piuttosto di
azioni di «annullabilità», o comunque di azioni costituenti un sorta di tertium genus avente caratteri misti delle
une e delle altre, é da sempre un tema tradizionale, pur se oggi forse non più così sentito, del dibattito
scientifico in materia. Si legga, al riguardo, l’esauriente sintesi di G. Ferrando, sub art. 117, in Codice civile3, a
cura di G.Alpa e V. Mariconda, Tomo I, Milanofiori Assago, 2013, pp. 585-605, sp. pp. 587-588 ss. Nella
dottrina meno recente, non si era mancato di prospettare l’opportunità di un più realistico (e lineare)
«distinguo» fra vizi sanabili e vizi non sanabili : in tal senso, ad es., si veda M. Franceschelli, Il matrimonio civile
: l’invalidità, in Trattato di diritto privato, diretto da P. Rescigno, vol. 2, Torino 1982, pp. 623-687, sp. pp. 644 ss.,
665-666.
114 Sul punto, cfr. ancora Franceschelli, op. ult. cit., pp. 664-665. Si aggiunga per completezza, con
riferimento alle decadenze sostanziali, in materie indisponibili, da cui possa derivare l’improponibilità
dell’azione, quanto prevede, in generale, l’art. 2969 c.c.
115 In questi termini, a proposito della rinunciabilità delle nullità, cfr. ancora Jemolo, Il matrimonio,
cit., pp. 177-178.
116 Come tali, rilevabili d’ufficio dal giudice non appena maturate, in quanto afferenti a materia
indisponibile. Si veda, per maggiori informazioni e rilievi, il mio vol. Le prove civili3, cit., Torino, 2010, pp. 160174, sp. pp. 161-164, testo e note.
117 Lo stesso «principio generale» viene recepito, autonomamente, anche dall’ordinamento canonico,
quale cardine fondamentale di giustizia (art. 221, § 1., c.j.c. : «Christifidelibus competit ut iura, quibus in Ecclesia
111
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il quale assicura a «tutti» (in linea di massima, senza irragionevoli discriminazioni o
precostituite limitazioni e condizioni)118 il libero «accesso alle corti», ossia, nell’ottica
dei «diritti inviolabili dell’uomo», il «diritto al processo e alla giurisdizione», inteso
come potere di «agire in giudizio» per la tutela dei propri diritti ed interessi
legittimi119.
Ciò posto, non mi riesce di comprendere appieno in qual modo le Sezioni
unite del 2014, senza esprimersi o prendere posizione sui predetti profili, siano
riuscite a giustificare il loro, pur apprezzabile, intento di colmare in via ermeneutica
una «lacuna» del sistema ordinamentale italiano120, onde rafforzare – nell’ottica della
delibazione di cui qui si parla – un’adeguata nozione di «ordine pubblico» interno,
costruita fondamentalmente sull’inderogabile protezione dei «diritti inviolabili
dell’uomo», ai sensi dell’art. 2 Cost.
A maggior ragione, non mi sembra persuasivo, nella medesima prospettiva, il
richiamo analogico di un parametro minimo di durata del «matrimonio-rapporto»
(vale a dire :
tre anni «almeno»), previsto dalle «disposizioni generali»
sull’adozione121. L’invocato termine di riferimento, infatti, al di là della sua
collocazione sistematica, si inserisce nel contesto di un vero e proprio jus singulare122,
la cui oggettiva «specialità» viene a caratterizzare la regolamentazione di una
peculiare situazione subiettiva (qual è il diritto all’adozione), che la stessa Corte
gaudent, legitime vindicent atque defendant in foro competenti ecclesiastico ad normam iuris» ; «Compete ai fedeli rivendicare
e difendere legittimamente i diritti di cui godono nella Chiesa presso il foro competente a norma del diritto»).
Il che conferma le ragioni sistematiche, in forza delle quali le azioni di nullità del matrimonio canonico non
siano subordinate ad alcuna condizione o limitazione «temporale» di proponibilità.
118 La cui presenza – pur non impedendo la possibilità formale di adire il giudice (ossia l’agere licere,
certamente incomprimibile de facto) con la proposizione di una domanda giudiziale – precostituisce a priori
l’esito del promosso giudizio, rendendo ineluttabile la declaratoria di inammissibilità e/o di impropnibilità di
quella domanda. In tal modo, rimane a priori compromesso e devitalizzato l’accesso alle corti, come diritto
costituzionalmente garantito.
119 Sul tema, per approfondimenti e rilievi comparatistici, mi permetto di rinviare al mio volume
Etica e tecnica del «giusto processo», cit., Torino 2004, pp. 11-37.
120 Nel nome – lo ripeto – di una (del tutto razionale e giusta) tutela dell’affidamento del coniuge
incolpevole.
121 Cfr., ancora, sulla richiesta «stabilità» del rapporto matrimoniale, l’art. 6, commi 1-3, della l. n.
184/1983.
122 Ci si riferisce, di solito, con tale definizione ad un corpus di norme speciali costituenti un
circoscritto sistema di disposizioni soggette, per loro natura, ad un’interpretazione stricto jure, in base al cit. art.
14 disp. prelim. c.c. Per taluni spunti giurisprudenziali, al riguardo, cfr., ad es., Cass., sez. II, 22.10.1997, n.
10362, in “Rep. Foro it.”, 1997, voce “Alimenti”, n. 5 (a proposito dell’art. 447 c.c.) ; T. Napoli, 9.7.2002,
“ivi”, 2003, voce “Matrimonio”, n. 125, e, per esteso, in “Nuova giur. civ.”, 2003, I, 578-580, con commento
di F. Scia, Assegno di divorzio ed operatività della compensazione, 580-588 (ancora sul cit. art. 447 c.c.) ; T. Milano,
22.10.2012, “ivi”, 2013, I, 755-756, con commento di D. Farace, Note sul c.d. diritto di ritenzione e sul privilegio del
vettore, 756-763 (a proposito delle norme sui privilegi mobiliari di cui agli artt. 2756 e 2761 c.c.).
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costituzionale non ha ritenuto, in passato, di dover ascrivere fra i «diritti inviolabili»,
garantiti dal cit. art. 2123.
5. – Osservazioni conclusive.
Nel ribadire il mio rispetto per l’accurata motivazione su cui si basa l’overruling
sancito dalla pronunzia in esame, ritengo siano ancora insuperabili, alla luce delle
suesposte critiche, gli argomenti sviluppati dall’orientamento overruled124.
Si ha la netta sensazione che – per una (pur giustificata) esigenza di tutela
dell’affidamento del coniuge cui non siano addebitabili le cause di invalidità del
matrimonio – la Suprema Corte abbia consapevolmente affrontato, nell’ottica
dell’«ordine pubblico», il rischio di una forzatura analogica, pur di ovviare in via
ermeneutica ad una lacuna ordinamentale che il solo legislatore italiano avrebbe il
potere-dovere di colmare125.
Permane tuttavia, sotto traccia, un sottile equivoco di fondo, assai resistente,
che pregiudica ancor di più le (già compromesse) sorti del matrimonio
concordatario, sul quale (ad onta del degrado morale dilagante in vasti strati della
società moderna) la grande maggioranza dei cittadini continua a fare assegnamento.
Il punctum dolens si identifica, da decenni, in quella «specificità»
dell’ordinamento canonico, di cui lo stesso Accordo del 1984 impone si tenga
conto126, nell’applicare le disposizioni normative italiane (non esclusa, a fortiori, quella
sull’ordine pubblico)127, che riguardano le condizioni di delibabilità delle sentenze
ecclesiastiche di nullità del matrimonio.
Di ogni possibile equivoco sarebbe giunta l’ora di liberarsi definitivamente.
Ma non penso sia cosa facile.
Cfr., in tal senso, a proposito dell’art. 6, 1° comma, della l. n. 184/1983, Corte cost., 6.7.1994, n.
281, in “Rep. Foro it.”, 1994, voce “Adozione”, n. 68 [con la seguente massima : «L’aspirazione dei singoli ad
adottare non può essere ricompresa fra i diritti inviolabili dell’uomo; pertanto, è infondata la questione di
legittimità costituzionale dell’art. 6, 1º comma, l. 4 maggio 1983 n. 184, sollevata, con riferimento all’art. 2
cost., sotto il profilo che esso dispone che, ai fini dell’idoneità ad adottare i minori gli aspiranti siano uniti in
matrimonio da almeno tre anni, escludendo i conviventi non sposati»]. La si consulti, per esteso, in “Giust.
civ.”, 1994, I, 2706, in “Dir. famiglia”, 1994, 1107, e in “Nuove leggi civ.”, 1994, 1421, con commento di C.
Fioravanti, Giudizio di costituzionalità sui principi della Convenzione di Strasburgo ?, 1428 ss.
124 Si rimanda, retro, a quanto si è anticipato nel § 1.
125 Ad es., rendendo invocabili in modo pieno, anche per i matrimoni concordatari dichiarati nulli, al
di là di quanto ancora prevede l’art. 18 della l. n. 847/1929, le forme di tutela predisposte per il «matrimonio
putativo», nonché per i diritti e per le responsabilità dei coniugi in buona fede, dagli artt. 128, 129 e 129-bis,
con le modifiche e con le integrazioni apportate dalla l. 19 maggio 1975, n. 151.
126 Il riferimento obbligato alla «specificità» dell’ordinamento canonico – nel punto 4, lett. b, del
Protocollo addizionale – discende dal fatto che rientra nelle prerogative di quell’ordinamento (riconosciute
dallo Stato italiano) la competenza esclusiva a regolare «il vincolo matrimoniale che in esso ha avuto origine».
127 Si ricordi che nel cit. punto 4, lett. b, sono richiamati, in blocco, i previgenti artt. 796 e 797 c.p.c.
123
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Se, per la disciplina sostanziale del c.d. matrimonio concordatario, la predetta
«specificità» presuppone – come si dà per scontato128 – una «riserva» esclusiva in
favore dell’«ordine canonico»129, va da sé che, anche nell’ottica dell’«ordine
pubblico», il livello di compatibilità fra i due ordinamenti debba essere
costantemente verificato (per così dire) in apicibus, ossia nella comparazione
omogenea fra i rispettivi «principi generali», e non già nel confronto, impari e non
omogeneo, tra «regole speciali», strutturalmente derogatorie, che siano presenti
nell’uno e nell’altro (o in uno dei due, a differenza dell’altro)130.
Ciò è tanto più vero, laddove, come nel caso nostro, la «specificità»
dell’ordinamento canonico si manifesti proprio nel confronto tra i «principi». In
quell’ordinamento, infatti, non c’é dubbio che costituisca un «principio generale» la
configurazione, in via esclusiva, di determinate cause di «nullità» originaria del
«matrimonio-atto» (senza alcuna possibile coesistenza di altre cause, concorrenti o
alternative, di «annullabilità», secondo le categorie civilistiche a noi familiari). Ed é
pure indiscutibile – quale correlato «principio generale» – l’assoluta «insanabilità» di
quelle stesse cause di «nullità», la cui sussistenza viene sempre ritenuta come «non
convalidabile», a prescindere dai comportamenti di parte o dalle successive vicende
del «matrimonio-rapporto», ben potendo essere fatta valere in giudizio sine die, con
l’esercizio incondizionato di un’azione dichiarativa (o di mero accertamento) dinanzi
al giudice ecclesiastico131.
Solo in quel confronto fra «principi» (e non già in una spuria comparazione
tra «principi» e «regole speciali») dovrebbe concretizzarsi – io credo – la «maggiore
disponibilità», che lo stesso Accordo del 1984 intende riservare all’ordinamento
canonico, grazie alla sua riconosciuta «specificità». Sicché, qualora – come ho tentato
di dimostrare poc’anzi – non siano specularmente configurabili nel nostro
ordinamento altrettanti «principi generali» contrari, da opporre a quegli altri (almeno,
nell’ottica dell’ordine pubblico «interno»), mi sembra debba in ogni caso prevalere la
menzionata «maggiore disponibilità» del nostro sistema nei confronti
Lo si ammette, a chiare lettere, nella stessa pronunzia del Supremo Collegio qui in esame, laddove
(sub § 3.7.4.) si esclude qualsiasi «inammissibile invasione» del giudice italiano nella giurisdizione ecclesiastica,
per quanto concerne non soltanto la tipologia dei vizi matrimoniali configurabili, ma anche il merito delle
vertenze, il cui «riesame» é comunque precluso al giudice della delibazione, come ben si sa, dallo stesso
Protocollo addizionale (punto 4, lett. b, n. 3).
129 Si riveda quanto si è detto, retro, nel § 2.
130 Previa restando, in tal caso, la loro strumentale riconfigurazione quali «principi generali».
Ma sull’ammissibilità di siffatta riconfigurazione mi sono permesso di esprimere le mie perplessità
(supra nel § 4). Se, in forza di un consolidato «principio generale», l’ordinamento canonico non subordina ad
alcuna condizione temporale di decadenza l’azione di nullità, per qualsiasi vizio di invalidità del matrimonio
canonico, non parrebbe concepibile opporvi, ad es., come possibile ostacolo alla delibazione di una sentenza
ecclesiastica di nullità, per ritenuta contrarietà all’ordine pubblico, un «regime speciale» composito (qual è
quello desunto dagli artt. 119, 2° comma, 120, 2° comma, 122, 4° comma, e 123, 2° comma, c.c.) che nel
nostro stesso ordinamento non dovrebbe poter assurgere al rango di «principio generale».
131 Sul punto, cfr. ancora Dalla Torre, “Specificità dell’ordinamento canonico”, cit., pp. 6-10, 11 ss.
128
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dell’ordinamento canonico (in funzione, lo si ripete, della sua riconosciuta
«specificità»)132.
Nell’indicata prospettiva, sarebbe dunque del tutto giustificato,
nell’ordinamento nostro, parlare di un ordine pubblico razionalmente «flessibile» 133,
quale limite elastico da applicare alla delibazione delle sentenze ecclesiastiche di
nullità matrimoniale, in lineare coerenza134 con le inequivoche indicazioni che, pure
a livello generale, emergono dalle stesse norme di diritto internazionale privato sulla
delibazione delle sentenze straniere135.
KEY WORDS: religious marriage ; canonical form of marriage ; civil marriage ; right to marry and
to found a family ; married couples’ living together ; canonical marriages with civil effects in Italy ;
ecclesiastic final judgments, which annul or declare void those marriages ; limits and conditions for
their recognition ; italian (and international) public policy rules.
ABSTRACT: According to the 1984 Agreement between the Holy See and the Italian Republic,
modifying the 1929 Lateran Concordat, ecclesiastic final judgments, which annul (or declare void)
a canonical marriage with civil effects in Italy, are subject, on party motion, to a special recognition
procedure before the italian Court of Appeal and – apart from other conditions required – cannot
be recognised, at any rate, if contrary to italian public policy rules. With the 2014 decision herein
analyzed, the italian Supreme Court of Cassazione has reversed a previous different trend in
matrimonial matters and, for public policy reasons, has denied any possible recognition, whenever
the married couple has been living together for (at least) three years after the marriage
(subsequently annulled by the ecclesiastic courts). This essay aims at laying stress on the critical
questions involved in that last trend.
In altre parole : direi rimanga tuttora ben più convincente (in quanto non adeguatamente
smentito dalla pronuncia overruling) l’orientamento giurisprudenziale overruled, nel reputare irrilevante e non
impeditiva, ai fini della delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità, la protratta «convivenza» coniugale
post matrimonium.
133 Si riveda quanto si diceva poco sopra (nel § 2), circa il concetto di «incompatibilità» assoluta o
relativa, in termini di «ordine pubblico», su cui si basava uno degli indirizzi giurisprudenziali del recente
passato.
134 Finalmente (verrebbe da dire) !
135 Occorre ricordare che – mentre nella disciplina italiana, sostituitasi agli artt. 17-31 delle disp.
prelim. c.c. (cfr. gli artt. 16 e 64, lett. g, della l. n. 218/1995), si parla tout court di «contrarietà» all’ordine
pubblico – nella disciplina comunitaria europea il parametro di riferimento, da adottarsi quale specifico
ostacolo alla delibazione, è dato dalla «contrarietà manifesta» alle regole nazionali. Si vedano in tal senso : l’art. 34
del Reg. CE n. 44/2001 («A judgment shall not be recognised : 1. if such recognition is manifestly contrary to
public policy in the Member State in which recognition is sought ….. [omissis] …») ; e, per l’utilizzo
dell’identica formula, in materia matrimoniale, l’art. 22, lett. a, del Reg. CE n. 2201/2003.
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