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“materiali “ – dipartimento di geografia – università di padova
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a cura di Aldino Bondesan & Alessandro Fontana
con la collaborazione di Elisa Vanzo, Sonia Favaretto,
Paolo Mozzi, Ismaele Sostizzo e Nicola Surian
RIASSUNTI
Convegno Nazionale A.I.Geo. MONTAGNE E PIANURE
Recenti sviluppi della ricerca in Geografia fisica e Geomorfologia
Padova, 15-16-17 febbraio 2005
Convegno in onore del prof. Giovanni Battista Castiglioni
Comitato Scientifico
Pierpaolo FAGGI
Mirco MENEGHEL
Graziano ROTONDI
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ASSOCIAZIONE ITALIANA DI GEOGRAFIA FISICA E GEOMORFOLOGIA
ITALIAN ASSOCIATION OF PHYSICAL GEOGRAPHY AND GEOMORPHOLOGY
Convegno Nazionale A.I.Geo.
MONTAGNE E PIANURE
Recenti sviluppi della ricerca in Geografia fisica e Geomorfologia
MOUNTAINS AND PLAINS
Recent developments of the research in Physical Geography and Geomorphology
Padova, 15-16-17 febbraio 2005
Convegno in onore del prof. Giovanni Battista Castiglioni
RIASSUNTI
a cura di
ALDINO BONDESAN e ALESSANDRO FONTANA
con la collaborazione di Elisa Vanzo, Sonia Favaretto Paolo Mozzi, Ismaele Sostizzo e Nicola Surian
Convegno organizzato da
Dipartimento di Geografia “G. Morandini”
Università degli Studi di Padova
Con il patrocinio di
INTERNATIONAL ASSOCIATION OF GEOMORPHOLOGISTS (I.A.G.)
ASSOCIAZIONE ITALIANA PER LO STUDIO DEL QUATERNARIO (AIQUA)
COMITATO GLACIOLOGICO ITALIANO
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA
FONDAZIONE GIOVANNI ANGELINI
La stampa di questo volume è offerta da
ZetaBeta Editrice, Vicenza
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Comitato Organizzatore
Aldino Bondesan
Mirco Meneghel
Paolo Mozzi
Giovanni Battista Pellegrini
Ugo Sauro
Nicola Surian
Comitato Scientifico
Carlo Bartolini
Augusto Biancotti
Aldino Bondesan
Alberto Carton
Francesco Dramis
Paolo Roberto Federici
Elvidio Lupia Palmieri
Mirco Meneghel
Giuseppe Orombelli
Mario Panizza
Giovanni Battista Pellegrini
Ugo Sauro
Claudio Smiraglia
Leszek Starkel
Giorgio Zanon
Segreteria del Comitato Scientifico
Dr. Aldino Bondesan
Dipartimento di Geografia – Università di Padova
Via del Santo, 26 - 35123 Padova
Tel. 049 – 8274085; fax 049 – 827 4099
[email protected]
Segreteria del Comitato Organizzatore
Dr. Paolo Mozzi e Dr. Nicola Surian
Dipartimento di Geografia – Università di Padova
Via del Santo, 26 - 35123 Padova
Tel. 049 – 8274086; fax 049 – 827 4099
[email protected], [email protected]
AIGeo
Associazione Italiana di Geografia Fisica e Geomorfologia
Largo S. Marcellino, 10 - 80138 Napoli
tel. 081 5473318 Fax 081 5516155
e-mail: [email protected]
Atti del Convegno
Gli Atti del convegno a cura di A. Bondesan, P. Mozzi e N. Surian saranno stampati nei Supplementi di Geografia
Fisica e Dinamica Quaternaria. L’uscita del volume è prevista entro la metà del 2005.
Ringraziamenti:
Questo convegno è stato possibile anche grazie alla preziosa collaborazione di tutto il personale del Dipartimento di
Geografia:
Roberto Braggion, Domenico Di Bartolomeo, Francesco Ferrarese, Raffaele Fornasiero, Monica Garbo, Andrea
Ghiraldo, Maria Margherita Pertile, Giovanni Ronchitelli, Bruna Tonietto, Carla Tonin e Francesco Tricomi
e dei dottorandi: Sonia Favaretto, Andrea Ninfo, Silvia Piovan, Ismaele Sostizzo e Elisa Vanzo
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PREFAZIONE
Il Convegno «Montagne e Pianure» nasce con l’intento di celebrare la lunga attività di ricerca del Prof.
Giovanni Battista Castiglioni, ordinario di Geografia Fisica e Geomorfologia dell’Università degli Studi
di Padova. L’iniziativa, promossa dal Dipartimento di Geografia «G. Morandini», nel quale il prof. Castiglioni ha svolto la sua attività di didattica e di ricerca e del quale è stato co-fondatore, è stata portata avanti dall’AIGeo, Associazione Italiana di Geografia Fisica e Geomorfologia che raccoglie tra i suoi iscritti la
quasi totalità dei geografi fisici italiani. Il Convegno diventa, quindi, un’occasione per fare il punto sulla
ricerca geomorfologica e geografico-fisica nazionale.
In questo numero della rivista «Materiali» sono raccolti i riassunti delle 24 comunicazioni orali e dei
61 poster presentati al convegno. Gli Atti del Convegno, che saranno invece pubblicati sui Supplementi
della rivista «Geografia Fisica e Dinamica Quaternaria», raccolgono quasi quaranta articoli riguardanti varie tematiche geomorfologiche e geografico-fisiche (dalla glaciologia alla geomorfologia fluviale, dagli ambienti periglaciali a quelli costieri, dalla geomorfologia applicata alla geoarcheologia e altre ancora). Il numero elevato di contributi attesta non solo la partecipazione del mondo scientifico alle celebrazioni in onore del Prof. Castiglioni, ma ancor più la vitalità di questo settore della ricerca italiana. Ci sembra inoltre
interessante rilevare la presenza di un numero piuttosto elevato di contributi scientifici di giovani ricercatori, segno di continuità e di rinnovamento in una disciplina più che mai attuale, le cui applicazioni sono
sempre più diffuse.
IL COMITATO ORGANIZZATORE
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COMUNICAZIONI ORALI
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Celebrazioni in onore di Giovanni Battista Castiglioni
RELAZIONE AD INVITO
PARADIGMI E TEORIE DELLA GEOMORFOLOGIA
Federici Paolo Roberto
Università degli Studi di Pisa, Dipartimento di Scienze della Terra, via Santa Maria, 53. I – 56126, Pisa (Italy)
[email protected].
La geomorfologia è divenuta una disciplina importante non solo nell’ambito delle scienze della
Terra, ma più in generale nelle scienze dell’Ambiente. La ricerca di una base teoretica è stata una
costante nel suo sviluppo. Il più celebre tentativo
fu quello di W.M. Davis che nel 1899 con il «ciclo geografico» e «l’erosione normale» elaborò
una teoria sull’interpretazione genetica del rilievo
terrestre in armonia con il credo evoluzionista che
si stava ormai imponendo.
Successivamente la Scuola germanica di A.
Penck pose alla base del processo morfogenetico
generatore delle forme l’erosione dei versanti, in
un quadro in cui si prevedono stretti rapporti fra
processi endogeni e processi esogeni con evoluzione generale del rilievo secondo la pediplanazione.
Con la constatazione della variabilità delle forme alle varie latitudini si è poi imposta una nuova teoria, quella della «Geomorfologia climatica»
con alla base il paradigma che le forme del rilievo
terrestre evolvono sotto l’azione dominante del
clima, per cui le forme tipiche si dispongono in linea di massima secondo fasce di latitudine (geomorfologia zonale).
Sempre presenti sono stati i sostenitori del
ruolo attivo della struttura geologica, per cui l’analisi strutturale sarebbe sempre pregiudiziale
allo studio morfologico. Va ricordato che nel
Settecento e parte dell’Ottocento si riteneva che
le forme della Terra fossero sempre e semplicemente l’espressione della tettonica (paradigma
teleologico). Se fosse così, la morfologia strutturale sarebbe la base paradigmatica della geomorfologia e si contrapporrebbe alla geomorfologia
climatica.
L’incertezza dottrinale ha spinto, specialmente in America, all’uso degli strumenti quantitativi
e modellistici al servizio non più della geometria
delle forme ma dei processi (Geomorfologia Dinamica). Lo studio delle funzioni prodotte dagli
elementi di una struttura o di un sistema, ancorato alle conoscenze fisiche e chimiche e alla quan8
tificazione, non solo sta alla base della geomorfologia dinamica ma, secondo i suoi sostenitori, può
permettere i più alti livelli di comprensione. È il
paradigma del funzionalismo, di evidente impronta positivista.
La spinta alla introspezione della materia particellare ha però comportato il cambiamento di
scala, divenuta sempre più piccola, con una perdita della visione regionalista e della realtà del terreno e quindi, un allontanamento dagli obiettivi
iniziali della Geomorfologia. Negli anni più recenti, l’introduzione delle tecnologie informatiche ha
fatto credere di poter risolvere i problemi con uno
sfrenato uso della modellistica, ma i problemi epistemologici sono tutt’altro che risolti. Per esempio, a seconda del paradigma usato cambia la scala dello spazio, tanto che oggi si parla di macroscala, mesoscala, microscala ed ora anche di nanoscala; così pure l’attenzione ai processi antropici
ha introdotto oltre il livello della scala geologica e
il livello dei processi anche il livello dei tempi
umani e dei processi istantanei. Il merito dell’uso
di scale diverse è quello di aver permesso una miglior comprensione degli eventi estremi e poi
quello del ruolo della morfogenesi antropica. Su
questo versante la Geomorfologia ha di molto allargato la sua sfera d’interesse ed ha acquisito una
indubbia valenza applicativa e inoltre le esigenze
estetiche e ludiche della persona umana ha permesso di estendere la valenza della Geomorfologia all’ambito culturale. Una scienza dunque, la
Geomorfologia, che ha avuto un enorme sviluppo
seppure con fragili fondamenta teoriche ed epistemologiche. Una via per la sua sistemazione potrebbe essere quella della ricerca dei paradigmi
nell’ambito della teoria dei sistemi, in quanto uno
dei problemi di fondo è quello dell’entropia dei
processi che stanno alla base della generazione
delle forme. È comunque probabile che oggi ci si
trovi in un periodo caratterizzato dalla coesistenza di più paradigmi, ma rimane la convinzione che
la Geomorfologia sia una scienza unitaria, anche
se dialettica nelle sue componenti fondamentali.
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Sessione geomorfologia glaciale e glaciologia
PROPOSTA DI NUOVA SCHEDA PER IL CENSIMENTO
DEI ROCK GLACIERS DA FOTOGRAFIE AEREE: APPLICAZIONI
SULL’ALTA VAL D ’ULTIMO (GRUPPO ORTLES-CEVEDALE)
Seppi Roberto 1, Carton Alberto1 & Baroni Carlo 2
1
Università degli Studi di Pavia, Dipartimento di Scienze della Terra, Via Ferrata 1, 27100 Pavia (Italy)
[email protected], [email protected]
2
Università degli Studi di Pisa, Dipartimento di Scienze della Terra, Via S. Maria 53, 56126 Pisa (Italy)
[email protected]
Il lavoro propone una nuova scheda per il censimento e la caratterizzazione dei rock glaciers sulla base dell’analisi di fotografie aeree. La metodologia proposta integra l’osservazione di fotografie
aeree in tre dimensioni allo stereoscopio con l’utilizzo del GIS per la mappatura e la determinazione dei principali parametri morfometrici dei
depositi. L’utilizzo del GIS consente infatti di effettuare misure secondo parametri definiti (lunghezza, larghezza, pendenza ecc.). Il GIS viene
inoltre utilizzato per la gestione, l’organizzazione
e la visualizzazione dei dati raccolti nella scheda,
mediante la realizzazione di un database collegato agli elementi geografici riportati sulla cartografia. Sulla base di recenti esperienze sviluppate in
molte aree alpine, le informazioni contenute nella scheda integrano e aggiornano quelle già proposte in letteratura e utilizzate per la stesura del
Catasto dei Rock Glacier delle Alpi Italiane. In
particolare, sono state utilizzate le più recenti de-
finizioni per quanto riguarda lo stato di attività dei
rock glaciers (classificati in attivi/inattivi o relitti
a seconda di alcune caratteristiche), la loro geometria (depositi di tipo lobato, a forma di lingua
o equidimensionali) e forma generale (depositi
semplici o complessi). Altri campi della scheda
definiscono l’origine del detrito che alimenta i depositi, la loro ubicazione, la relazione con forme
glaciali e nivali situate a monte, la relazione con i
limiti locali della vegetazione e la caratteristiche
morfologiche superficiali. La nuova scheda è stata utilizzata per un collaudo in Alta Val d ’Ultimo
(Gruppo Ortles-Cevedale), un’area alpina di circa 30 km2 caratterizzata da una significativa varietà di forme. L’applicazione della scheda e della
metodologia proposta ha consentito di descrivere
adeguatamente un settore alpino caratterizzato da
una rilevante varietà di forme, fornendo un preciso ed esaustivo punto di partenza per il loro monitoraggio.
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LA DEGLACIAZIONE ALPINA NEL VALLONE BELLUNESE,
ALPI MERIDIONALI ORIENTALI
THE ALPINE DEGLACIATION IN THE VALLONE BELLUNESE,
SOUTHERN EASTERN ALPS
Pellegrini Giovanni Battista1, Albanese Diego, Bertoldi Remo2 & Surian Nicola3
1
Università degli Studi di Padova, Dipartimento di Geologia, Paleontologia e Geofisica, Corso Garibaldi 37, I-35137
Padova (Italy) - [email protected]
2
Università degli Studi di Parma, Dipartimento di Biologia Evolutiva e Funzionale, Parco Area delle Scienze 11A,
43100 Parma (Italy) - [email protected]
3
Università degli Studi di Padova, Dipartimento di Geografia «G. Morandini», Via del Santo 26 - 35123 Padova (Italy)
[email protected]
In questo lavoro si è voluto approfondire l’esame delle forme e dei depositi lasciati dal ghiacciaio plavense nel Vallone Bellunese durante l’intervallo di tempo che va dall’inizio della deglaciazione alpina all’interstadio tardiglaciale di Bölling
(Auct.), durante il quale si ha un sensibile innalzamento della temperatura ed il ritiro definitivo
delle masse glaciali dalle principali valli alpine
verso la parte superiore dei bacini. Le ricerche
condotte negli ultimi anni, basate soprattutto sul
rilevamento geomorfologico di dettaglio, sui sondaggi geognostici, sulle datazioni radiometriche e
sullo studio dei pollini nelle torbiere di Modolo e
Chiesurazza, hanno permesso di costruire un quadro cronologico aggiornato sulla evoluzione geo-
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morfologica di quest’area durante il Pleistocene
Superiore-Olocene, ed in particolare un aggiornamento cronostratigrafico sulle conoscenze della
deglaciazione alpina sul versante meridionale delle Alpi.
Viene definito lo stadio di Salce che, avendo un
limite delle nevi intorno ai 1660 m, potrebbe essere considerato come uno degli «stadi antichi»
post-LGM, con un’età compresa tra 16.200 e
15.000 anni BP, quindi sicuramente precedente all’interstadio tardiglaciale di Bölling (il cui inizio è
posto, per il versante meridionale delle Alpi, a
13.300-13.500 anni BP), con condizioni climatiche non molto diverse da quelle dell’ultima massima espansione glaciale.
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L’ENIGMA DEL LIMITE ESTERNO DELLA LINGUA GLACIALE
DEL GARDA DURANTE L’ULTIMA GRANDE AVANZATA GLACIALE
THE PUZZLE OF THE OUTER LIMITS OF THE GARDA GLACIER
DURING THE LAST GLACIAL MAXIMUM
Sauro Ugo
Università degli Studi di Padova, Dipartimento di Geografia «G. Morandini», Via del Santo 26 - 35123 Padova (Italy)
[email protected]
L’edificio principale dell’anfiteatro morenico
del Garda è molto complesso e lo studio di numerosi autori ha portato a risultati per vari aspetti
discordanti. Lo stato di avanzamento di questi dibattiti dimostra come il problema dell’ultima
espansione glaciale meriti di essere affrontata in
una dimensione multi- ed interdisciplinare. I risultati dell’esame preliminare di diverse caratteristiche dell’ambiente dell’anfiteatro, mai considerate
precedentemente, insieme ai dati già noti, permettono di abbozzare un modello dell’ultima grande
avanzata glaciale (LGM) quando la fronte rag-
giunse una posizione che quasi coincide sia con le
conclusioni di Penck e Brückner sia con quelle di
Habbe. In particolare la massima estensione corrisponde all’incirca con la ricostruzione di Penck
e Brückner, mentre il più importante stazionamento è in accordo con i limiti descritti da Habbe. In ogni caso, la lingua glaciale ha trovato qui
un preesistente rilievo collinare che avrebbe soltanto ricoperto e modificato per alcuni caratteri.
L’edificio morenico sarebbe pertanto una struttura complessa risultante da una successione di più
avanzate glaciali.
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RELAZIONE
AD INVITO
CLIMATE CHANGE AND GLACIAL/PERIGLACIAL
GEOMORPHODYNAMICS IN THE ALPS:
A CHALLENGE OF HISTORICAL DIMENSIONS
Haeberli Wilfried
Department of Geography University of Zurich, Winterthurerstrasse 190/Ch, 80057 Zurich (Switzerland)
[email protected]
In the Alps, there is a long tradition of scientific research on glaciers and on landscapes
formed by perennial surface ice. Investigation of
problems connected to high-mountain permafrost is much newer. The interest in both,
however, has risen considerably during recent
years. This is primarily due to their close relationship with climate change. Glaciers and permafrost do indeed react sensitively to changes in
atmospheric temperature because of their proximity to the melting point. As a consequence,
imatic changes during the 20th century have
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caused pronounced effects in the glacial and
periglacial belts of mountain areas. Fast if not accelerating changes in ice conditions of cold
mountain areas now increasingly influence the
appearance and perception of alpine landscapes,
the seasonality of melt-water runoff, the intensity of erosion and sedimentation, the stability of
high-altitude slopes and the general hazard situation. To anticipate and mitigate such consequences of climate change represents a challenge
of historical dimensions to the fields of glacial
and periglacial geomorphology.
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IL RITIRO DEI GHIACCIAI DELLE ALPI AURINE E PUSTERESI
DELLE ULTIME DECADI DEDOTTO DA UN’IMMAGINE
LANDSAT TM DEL 2003 E DA RISULTATI PRECEDENTI
Rampini A., Rota Nodari F., Brivio P. A. & Serandrei Barbero Rossana1
1
Istituto di Scienze Marine (ISMAR), Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), San Polo 1364, 30125 Venezia (Italy)
[email protected]
Questo articolo presenta i risultati ottenuti dall’analisi di una recente immagine Landsat TM per
lo studio dello stato di alcuni ghiacciai delle Alpi
Italiane Orientali. Tali risultati sono stati poi confrontati con un set multitemporale di immagini
Landsat degli anni ’80. Una classificazione di tipo
fuzzy ha permesso di quantificare le estensioni di
neve e ghiaccio scoperto relative alle aree glacializzate. L’integrazione con le informazioni topografiche ancillari ha permesso di ottenere la quota delle fronti, anche se il risultato è soggetto sovrastima per problematiche legate al modello di
elevazione del terreno e alla recente copertura detritica delle fronti. La riduzione areale dei ghiacciai in esame nelle ultime decadi viene confermata dal confronto effettuato tra le variazioni di quota stimate da satellite e le misure effettuate durante le campagne al suolo. Negli ultimi vent’anni, le
Alpi Aurine e Pusteresi hanno subito una apparente riduzione delle superfici glacializzate del
40% rispetto al valore del 1980, ma molti dei
ghiacciai considerati sono caratterizzati da una
recente copertura detritica che maschera interamente larghi tratti del settore frontale.
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MODELLI DIGITALI DEL TERRENO (DTM) AD ALTA RISOLUZIONE
PER IL MONITORAGGIO DEI GHIACCIAI ALPINI
Pignotti Stefano1, Cecili A., Cinnirrella A., Cipollini C. & Fazzini Massimiliano2
1
2
IMONT P.za Caprettari, 70 - [email protected]
Università degli Studi di Ferrara, Dipartimento di Scienze della Terra, Via Ercole I D’Este 32, Ferrara (Italy)
[email protected]
L’obiettivo della ricerca è la ricostruzione tridimensionale della superficie di un ghiacciaio,
mediante l’uso di immagini stereoscopiche da satellite ed analisi in ambiente GIS (Sistemi Informativi Geografici). Il duplice scopo che ci si propone è quello di migliorare le tecniche per l’estrazione di Modelli Digitali del Terreno (DTM) in
aree ad elevata complessità morfologica e realizzare un DTM ad alta risoluzione per lo studio, il
monitoraggio e la quantificazione della risorsa
glaciale. L’estrazione di DTM ad alta risoluzione
della superficie di un ghiacciaio deve affrontare
diversi problemi connessi all’estrema variabilità
fisica della superficie stessa. Il ghiaccio è un materiale solido deformabile che è soggetto a continuo movimento, che localmente può dar luogo a
strutture ad elevata complessità morfologica,
quali seracchi e crepacci, che presentano una variabilità stagionale legata alle condizioni meteorologiche. Un ulteriore motivo di complessità è la
14
presenza di possibili coperture detritiche (morene superficiali) e nevose che possono alterare apparentemente non solo la forma spaziale del
ghiacciaio, ma anche la sua altezza. La ricerca si
prefigge di mettere a punto una metodologia rapida, ripetibile e affidabile da affiancare alle tecniche tradizionalmente usate per i rilievi glaciologici e il monitoraggio delle aree glaciali. Dal punto di vista tecnologico, inoltre, si vogliono verificare le possibilità offerte dai nuovi sistemi di
acquisizione da remote sensing e i relativi software di elaborazione e analisi. In termini pratici, in
questa prima fase della ricerca sono state verificate l’affidabilità del sistema di elaborazione del
dato planoaltimetrico da foto aeree e da satellite,
le difficoltà di acquisizione e i relativi costi, i limiti di utilizzo del dato telerilevato. Tali verifiche
e analisi sono state eseguite sulla Vedretta de La
Mare, nel settore trentino del Parco Nazionale
dello Stelvio.
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Sessione climatologia
OSSERVAZIONI SU PLUVIOMETRIA E IDROLOGIA
DELLA VALLE DI SUSA
Biancotti Augusto, Destefanis Enrico, Fratianni Simona & Masciocco Luciano
Università degli Studi di Torino, Dipartimento di Scienze della Terra, Via Valperga Caluso 35, 10125 Torino (Italy)
[email protected] - [email protected] - [email protected]
La Valle di Susa è una valle glaciale trasversale
rispetto all’arco alpino e incuneata tra le Alpi Cozie e le Graie. Per il presente studio, sono stati acquisiti ed analizzati i dati climatici ed idrologici
derivanti da fonti diverse. A partire dai dati giornalieri,sono stati calcolati i valori cumulati mensili delle precipitazioni, delle portate e dei livelli
idrometrici. I valori delle precipitazioni medie annue sono generalmente costanti e rientrano nell’intervallo che oscilla tra 700 e 900 mm, ad eccezione del sito particolarmente secco di Gad, dove
si registrano soltanto 600 mm. La distribuzione
delle precipitazioni mostra un andamento bimodale con il minimo concentrato nella stagione invernale e il massimo autunnale; a seconda dei siti
analizzati il massimo secondario cade in primave-
ra (regime subalpino) o in autunno (regime subcontinentale). Il picco di aumento del livello idrometrico e di portata si ottiene quasi sempre in
marzo e in giugno, mese in cui si assommano le
precipitazioni e la fusione della neve. Sono state
valutate le risorse idriche della Valle di Susa su base annua. È stato calcolato il bilancio idrologico
della valle di Susa con chiusura alla stazione idrometrica di Sant’Antonino, considerando i valori
medi annui di precipitazione (metodo delle isoiete) e di deflusso globale. Anche sulla base delle litologie affioranti nell’area, emerge che le precipitazioni medie pari a 886 mm vengono bilanciate
da un’evapotraspirazione reale di 318 mm, da un
deflusso superficiale di 350 mm e da un deflusso
sotterraneo di 218 mm.
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DEFINIZIONE QUANTITATIVA DEI REGIMI PLUVIOMETRICI
NELLE ALPI ORIENTALI ITALIANE
A NEW METHOD TO QUANTITATIVELY DISCRIMINATE
THE PLUVIOMETRIC REGIMES OF THE EASTERN ITALIAN ALPS
Fazzini Massimiliano
Università degli Studi di Ferrara, Dipartimento di Scienze della Terra, Via Ercole I D’Este 32, Ferrara (Italy)
[email protected]
A detailed analysis of the precipitation features
in the Italian Alpine system – including the Resia
Pass (Val Venosta), the Adamello-Presanella group
and the easter margin of Giulie Pre-Alps (Mt.
Matajur) – has shown present classifications of pluviometric regimes, though valuable and well structured, are not satisfactory in discriminating the different regimes types. This is mostly due to the
physiographic complexity of the area that determines different effects of atmospheric perturbations at both general and local scale. In the study
area, about 25,000 km2 wide, within relatively
short distances both the rainfall and drought peaks
of the Italian territory are recorded, with annual
values above 3000 mm in the Giulie Pre-Alps,
north of Udine, and 500 mm north-west of
Bolzano, respectively. Previous studies have pointed out an absolute precipitation minimum (mostly
snow) in winter, a summer maximum in the northernmost watersheds and a bimodal equinotial regimen in the Pre-Alpine area near the Po Plain. The
previuous regimen classifications are mainly qualitative and are not adequate to the complexity of the
study area physiography. The quantitative classification proposed in this paper was obtained considering mean monthly, seasonal and annual precipitation data as well as their proportion to the annual value averaged on the 1961-1995 interval for 250
raingauges. Aim of this study is to define a new
methodology to single out with higher accuracy areas omogeneous in terms of precipitation characteristics and the boundaries among the various precipitation regimes in mountain areas characterised
by marked orographic and local precipitration variations. For this purpose K-mean cluster analysis
was used. The study area was subdiveded into six
classes of stations with similar statistical characteristics. Stations within the same class may be
grouped far apart on the study area confirming the
irregular distibution of precipitation, irrespective
of physiographic similarities, in such complex
mountain territory. Through spcifically designed
16
quantitative indexes, obtained by normalised precipitation data, microclimatic situations with
regimes, hardly identified by the previous methods,
particularly where precipitations are costant in the
warm semester (transition regimes), were pointed
out. The study area resulted subdivide into six
main precipitation types – ranging from the continental summer unimodal to the sub-padan (Fazzini, 2001) with modest but constant year round
rainfalls – and four sub-continental sub-types. A
significant relationship between such pluviometric
types and the six clusters obtained by the k-means
clustering resulted. In particular, the clusters characterising the inner areas of the Alpine chain coincide with the continental regime portions of the territory, while the outer areas generally concide with
those characterised by Pre-Alpine and Sub-Alpine
equinotial regimes. The procedure developed allowed to identify a distinctive transition regime, including the stations located in intermediate areas or
on cluster boundaries, charaterised by similar
spring, summer and autumn totals, capable of
clearly discriminate between the continental and
sub-mediterranean dominions. A particular situation, given by the geographic position, is that of the
subcontinental type 4, occuring in the valleys of the
southern portion of Ortles-Cevedale group (western Trentino) and characterised by a peak in May
followed by a constant decline of precipitation,
down to an minimum in December-January. The
location of the area, downwind of the mostly perturbated flows, determines scarce precipitations.
Moreover, the occurrence of wide areas covered
with vedrettes and valley glaciers markedly limitates the diurnal heating of highly elevated basins
and in the summer contrasts the formation of convective cells and the thunderstorms associated. The
subcontinental type 4 is supposed not to derive
from a less rainy than normal in the summer transition regime, but to represent a continental regimen with a summer peak, truncated by the above
mentioned synoptic and thermodynamic factors.
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IL REGIME TERMICO ANNUO IN LOMBARDIA
NEL TRENTENNIO 1955-1984. DEFINIZIONE DEI TIPI
DI CLIMA FONDAMENTALI MEDIANTE IL CONFRONTO
DEI REGIMI TERMICI DELLE DUE METÀ DELL’ANNO
Belloni S., Annovazzi A. & Diolaiuti Guglielmina
Università degli Studi di Milano, Dipartimento di Scienze della Terra «Ardito Desio», Gruppo di Ricerca Glaciologia,
Via Mangiagalli 34, 20133 Milano (Italy) - [email protected]
Nel presente lavoro è stato esaminato il regime termico annuo della Lombardia utilizzando le
temperature medie mensili delle 113 stazioni
meteorologiche che hanno funzionato nel trentennio 1955-1984. Con il metodo grafico di Keller (1947) è stato messo a confronto il regime termico dei mesi della prima metà dell’anno con
quello dei mesi della seconda metà. Successivamente sulla base del confronto dei mesi più caldi
di un semestre rispetto all’altro, sono stati identi-
ficati per la Lombardia 5 principali tipi di climi
definiti «fondamentali». È stato, inoltre, effettuato il confronto dei trentenni 1926-1955 e 19551984 con particolare riferimento all’escursione
termica fra le temperature medie dei mesi di luglio e di gennaio ed al tipo di clima di 4 stazioni
lombarde. I risultati ottenuti hanno evidenziato
una transizione del clima verso condizioni di continentalità meno marcate.
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Sessione geomorfologia fluviale e costiera
CARATTERIZZAZIONE GEOMORFICA
DEI PRINCIPALI BACINI IDROGRAFICI DELLA LIGURIA TIRRENICA RISULTATI PRELIMINARI
Brancucci Gerardo & Paliaga Guido
Università degli Studi di Genova, Dipartimento POLIS, Stradone S. Agostino 37, 16123 Genova (Italy)
[email protected] - [email protected]
La ricerca qui sinteticamente presentata ha riguardato la caratterizzazione geomorfica dei
principali ventidue bacini idrografici liguri di
pertinenza tirrenica con lo scopo di fornire un
nuovo strumento di analisi allo studio della loro
evoluzione geomorfologica. Sono stati usate tre
diverse tipologie di indagine: l’analisi geomorfica quantitativa, l’analisi della dimensione frattale dei reticoli idrografici e l’analisi statistica di
forme di origine erosiva. Le forme indagate sono
le confluenze tra aste torrentizie e le rotture di
pendenza riscontrate lungo gli spartiacque. I bacini sono caratterizzati da un livello mediamente
basso di gerarchizzazione e da forme prevalente-
18
mente allungate in direzione perpendicolare alla
linea di costa; la stima dei processi erosivi, effettuata per mezzo del calcolo del trasporto torbido unitario annuo, ha fornito valori elevati. I dati relativi alle confluenze torrentizie ed alle rotture di pendenza sono stati analizzati prendendo
in esame la distribuzione in funzione della quota sul livello del mare ed effettuando un’analisi
per classi di frequenza. Tale analisi ha portato ad
ipotizzare una ripartizione dell’area in tre subaree nelle quali i dati mostrano caratteri simili.
Inoltre gli andamenti riscontrati sembrano essere correlabili ai cicli erosivi che hanno interessato i bacini stessi.
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VARIAZIONI MORFOLOGICHE RECENTI DI DUE ALVEI GHIAIOSI
APPENNINICI: IL FIUME TREBBIA ED IL FIUME VARA
Rinaldi Massimo1, Simoncini Cristina1 & SogniDaniele2
1
Università degli Studi di Firenze, Dipartimento di Ingegneria Civile, Via S. Marta, 3 50139 Firenze, Via delle Poggiole 385, 51039 Quarrata (Italy) - [email protected], [email protected]
2
Libero professionista
Vengono analizzate le variazioni morfologiche
succedutesi durante gli ultimi due secoli lungo i
tratti vallivi del F. Trebbia e del F. Vara, che appaiono in accordo con l’evoluzione recente di
numerosi alvei ghiaiosi appenninici e pedealpini
a morfologia inizialmente a canali intrecciati. Tra
i primi decenni e la fine del XIX secolo, si osserva un certo restringimento dell’alveo ed una parziale riduzione dei caratteri di alveo a canali intrecciati, da mettere in relazione ad un primo periodo di riduzione della produzione di sedimenti legata prevalentemente a variazioni di uso del
suolo (rimboschimenti) nelle porzioni collinari e
montane del bacino. Non è da escludere in questa fase qualche possibile influenza climatica legata all’esaurirsi della Piccola Età Glaciale che
potrebbe avere avuto effetti sull’intensità dei
processi di produzione di sedimenti. La fase di
restringimento, accompagnata da un abbassamento del fondo probabilmente piuttosto limitato, si prolunga con all’incirca lo stesso trend fino a circa la metà del XX secolo, favorita ulte-
riormente dalla costruzione di dighe (a partire
dagli anni ‘20) e dalla realizzazione di pennelli
nel fondovalle (nel caso del F. Vara). Una seconda fase di più intense modifiche si è verificata
durante la seconda metà del XX secolo, in conseguenza dell’intensa attività di escavazione di
sedimenti (soprattutto tra gli anni ‘60 e gli anni
‘80), a cui ha ulteriormente contribuito la presenza di alcune dighe ed un ulteriore aumento
dei rimboschimenti nel bacino. Come conseguenza, si è osservata una seconda fase distinta
di restringimento dell’alveo attivo ed un certo
grado di incisione del fondo (probabilmente
maggiore per il Vara). Infine, i dati più recenti
relativi agli ultimi 10 anni suggeriscono l’avvio di
una inversione di tendenza, con una fase attuale
di allargamento, a scala degli interi tratti di studio, combinata anche ad una fase di sedimentazione, quest’ultima riscontrata solo in alcuni tratti lungo il F. Vara (favorita dalla presenza di alcune soglie di fondo) e solo localmente lungo il
F. Trebbia.
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VARIAZIONI MORFOLOGICHE DELL’ALVEO DEL FIUME BRENTA
INDOTTE DA INTERVENTI ANTROPICI
Surian Nicola1, Pellegrini Giovanni Battista2 & Scomazzone Elisa3
1
Università degli Studi di Padova, Dipartimento di Geografia «G. Morandini», Via del Santo 26 - 35123 Padova (Italy)
[email protected]
2
Università degli Studi di Padova, Dipartimento di Geologia, Paleontologia e Geofisica, Corso Garibaldi 37,
I -35137 Padova (Italy) - [email protected]
3
Libero professionista
L’evoluzione dell’alveo del Fiume Brenta è stata analizzata sulla base di cartografia storica, fotografie aeree e sezioni topografiche (queste ultime
relative al periodo 1932-1997) in un tratto di 23
km compreso tra Bassano e S. Giorgio in Bosco
(alta e media pianura veneta). I processi fluviali e
le variazioni morfologiche che hanno interessato
l’alveo del
Brenta sono da mettere in relazione con vari interventi antropici quali l’estrazione di sedimenti,
molto intensa nel tratto di studio tra gli anni ’50 e
l ’inizio degli anni ’80, la costruzione di dighe ed
altri interventi realizzati sia nel bacino montano
che lungo il corso d’acqua stesso. Nel complesso,
anche se alcune differenze sono presenti all’inter-
20
no del tratto esaminato, è risultato il seguente quadro evolutivo: nel primo periodo (dagli anni ’50
all’inizio degli anni ’80) l’alveo è stato soggetto a
marcati processi d’incisione (fino a 7-8 m) e restringimento (dell’ordine del 50%), mentre nel
periodo più recente (all’incirca gli ultimi 20 anni)
si è osservata una minore variazione da un punto
di vista altimetrico (fra l’altro con prevalenza di
tratti in aggradazione rispetto a quelli in incisione) ed una chiara tendenza all’allargamento dell’alveo. Per il periodo 1932-1997 è stata stimata
un’erosione complessiva di 30,7 milioni di m3,
imputabile soprattutto al periodo inizio anni
’50 - inizio anni ’80 caratterizzato da intensa attività estrattiva.
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I CONOIDI NELL’EVOLUZIONE
DELLE CONCHE INTERMONTANE UMBRE
Cattuto C., Gregori Lucilia1, Melelli L., Tatamelli A. & Broso D.
1
[email protected]
La tettonica distensiva ha profondamente segnato il paesaggio della regione Umbria che risulta attraversata, da Nord-Ovest a Sud-Est, da
due ampie depressioni pressoché continue;
parallele a queste, ai margini orientali della regione, se ne individuano altre di estensione più
ridotta. Le depressioni sono articolate in «conche intermontane», attraversate dai corsi d’acqua
che formano il reticolo idrografico dell’alto ba-
cino del F. Tevere. In queste conche viene ancora oggi trasportato e accumulato il materiale clastico eroso dai rilevi circostanti. Il tipo di deposizione più frequente è operato dai corsi d’acqua
in forma di conoidi. Le caratteristiche e la geometria di questi corpi sedimentari permettono di
ricostruirne l’evoluzione e suggeriscono il grado
di attività delle faglie che interessano la regione
Umbria.
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EVOLUZIONE TARDO QUATERNARIA DELLA PIANURA
ALLUVIONALEE POSTA TRA IL MARGINE ALPINO
E LA LAGUNA DI VENEZIA (ITALIA SETTENTRIONALE)
ALLUVIAL PLAN FORMATION DURING THE LATE QUATERNARY
BETWEEN THE SOUTHERN ALPJNE MARGIN AND THE LAGOON
OF VENICE (NORTHERN ITALY).
Mozzi Paolo
Università degli Studi di Padova, Dipartimento di Geografia «G. Morandini», Via del Santo 26 - 35123 Padova (Italy)
[email protected]
Lo studio del microrilievo e di immagini aerofotografiche e satellitari, accompagnato dal rilevamento di terreno e da analisi sedimentologiche e
stratigrafiche, hanno permesso di delineare le caratteristiche geomorfologiche dei principali sistemi alluvionali della pianura veneta centrale: il megafan di Montebelluna (F. Piave, pre-LGM); il
megafan di Nervesa (F. Piave, LGM -attuale); il
megafan di Bassano (F. Brenta, LGM). Il megafan
di Montebelluna è costituito da depositi ghiaiosi
e ha pendenze dello 0,8-0,4%; affiora solo nell’area pedemontana, dato che le sue propaggini distali sono sepolte dai megafan di Bassano e Nervesa. Questi ultimi si estendono dalle Prealpi fino all’area circumlagunare veneziana. Per una distanza di 10-15 km dal margine prealpino sono
costituiti prevalentemente da ghiaie, hanno forma
conoidale e pendenze comprese tra 0,6-0,3%. Più
a valle, al di sotto della fascia delle risorgive, si articolano in bassi dossi fluviali, prevalentemente
sabbiosi, con larghezze generalmente 1 km e lun-
22
ghezze fino a decine di chilometri, separati da depressioni di forma allungata con granulometrie limoso-argillose; le estreme porzioni distali hanno
gradienti 0,1%. Le forme di erosione fluviale più
significative sono: i) le scarpate poste all’apice del
megafan di Bassano, sviluppatesi alla fine dell’LGM probabilmente a causa di un disequilibrio
tra portate solide e liquide correlabile alla deglaciazione del bacino montano; ii) le scarpate presenti nel lobo orientale del megafan di Montebelluna, formatesi per incisione fluviale in risposta all’innalzamento tettonico del settore pedemontano
compreso tra la linea di Aviano e quella di Sacile
durante il Pleistocene superiore e l ’Olocene. L’attività dei sovrascorrimenti sud-alpini ha portato
alla formazione di scarpate tettoniche di alcuni
metri nelle porzioni apicali dei megafan di Montebelluna, Nervesa e Bassano. Vi sono, inoltre, evidenze geomorfologiche di un basculamento verso
sud-ovest delle porzioni distali del megafan di
Bassano.
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RELAZIONE
AD INVITO
CLIMATE OR MAN?
REFLECTION OF EXTREME EVENTS IN THE HOLOCENE
EROSION AND ALLUVIATION IN THE SUBMONTANE DEPRESSIONS
Starkel Leszek
Polish Academy of Sciences, Institute of Geography, Dept. of Geomorphology and Hydrology, W. Jana 22, 31-018 Kraków - [email protected]
Three main factors play a role in the course of
erosion in the mountains and deposition in the
submontane depressions: tectonic (uplift – subsidence), climatic (changes in precipitation and
runoff) and anthropogenic. There exist various
opinions about the role of climatic fluctuations
and human impact.
Considering the present-day frequency of extreme meteorological events and human degradation of natural environment we may distinguished
various types of rainfalls (causing the passing of
thresholds of different processes) and various frequency, which either leads to return to previous
equilibrium or to formation of a new equilibrium
(time between events is too short for relaxation).
These two trends sometime alternate, depending
on the clustering of events.
In the Holocene alluvial records we observe
very distinct acceleration of erosional and depositional processes caused by increased human activity. But going back to the early and preNeolithic
time we find also phases with high frequency of
extreme events, usually more humid and cooler
(in Europe). These phases show many similarities
to the Little Ice Age. Therefore it rise a substancial question: what is the extend of climatic control in the variations of erosion and deposition
and what is the role of human impact? Carefull
analysis of fluvial processes since the mid-Neolithic time in the Carpathian foreland shows different superposition of both factors in various
cases. There are warmer and drier centuries (like
late Roman) with high human activity and intensive overbank aggradation as well as wetter and
cooler centuries with reduced soil erosion, but
with frequent floods and lateral erosion (like during Dark Ages, 5-7 c. AD). But there are recorded also phases of acceleration of various processes when both factors coincide. Among them is
part late Neolithic phase, late Bronze age, early
Roman period, 11-th c. AD and finally the Little
Ice Age.
References
STARKEL L. (2002) - Change in the frequency of extreme
events as the indicator of climatic change in the
Holocene (in fluvial systems). Quaternary International 91, 25-32.
STARKEL L. (2003) - Short-term hydrological changes in:
K.J.Gregory and G.Benito (eds), Palaeohydrology.
Understanding Global Change, J.Wiley, 337-356.
STARKEL L. (in print) - Anthropogenic soil erosion since
the Neolithic in Poland. Zeitschrift für Geomorphologie, Suppl-Bd.
23
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SEGNALAZIONE E SIGNIFICATO DEI PALEOSUOLI
NEL QUADRO GEOMORFOLOGICO DELLA VALLE TELESINA
(BENEVENTO, APPENNINO CAMPANO)
Magliulo Paolo & Russo Filippo
Università degli Studi del Sannio, Dipartimento di Studi geologici e ambientali, Via Port’Arsa 11, 82100 Benevento
(Italy) - [email protected], [email protected]
Nella presente nota, vengono segnalati e descritti alcuni paleosuoli intercalati nella successione alluvionale medio-pleistocenica del Fiume Calore (Provincia di Benevento, Appennino campano) e ne viene discusso il significato nell’evoluzione geomorfologica pleistocenica della Valle
Telesina. I paleosuoli sono superiormente troncati da superfici erosive fossilizzate da un deposito
ignimbritico, a sua volta sepolto da alcuni metri
di alluvioni ghiaiose. La datazione radiometrica
39Ar/40Ar ~560 ka BP (MIS-14) dell’ignimbrite
consente di ipotizzare una formazione dei paleosuoli nella precedente fase climatica temperata
(MIS-15). I paleosuoli, che presentano caratteri
tipici di una pedogenesi in ambiente alluvionale
e clima caratterizzato da forte stagionalità, mo-
24
strano un grado di evoluzione basso o medio-basso, una scarsa estensione laterale ed una ridotta
diffusione nella successione. Questi dati evidenziano come le condizioni di stabilità geomorfologica favorevoli alla pedogenesi si verificassero soltanto in determinati settori dell’antico fondovalle e per periodi di tempo relativamente limitati:
tali condizioni furono la conseguenza di un decremento ma non di una completa cessazione
dell’aggradazione alluvionale durante la fase climatica temperata del MIS-15. La persistenza dell’aggradazione alluvionale nonostante le condizioni biostasiche appare spiegabile con il protrarsi del sollevamento tettonico dei rilievi bordieri e
la conseguente erosione dei versanti di neoformazione.
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EVOLUZIONE PALEOAMBIENTALE
DELL’AREA ARCHEOLOGICA SOMMERSA DI S. LEONARDO
IN FOSSA MALA (LAGUNA DI VENEZIA)
Lezziero Alberto, Donnici Sandra & Serandrei Barbero Rossana1
1
Istituto di Scienze Marine (ISMAR), Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), San Polo 1364, 30125 Venezia (Italy)
[email protected]
All’interno dell’area archeologica medievale,
oggi sommersa, di S. Leonardo in Fossa Mala in
Laguna di Venezia sono state condotte indagini
paleoambientali nel sottofondo lagunare. Allo
scopo di ricostruire la storia deposizionale del sito sono stati realizzati dieci sondaggi a carotaggio
continuo di profondità 6 m ed effettuate analisi
sedimentologiche, micropaleontologiche e radiocronologiche. I sedimenti alluvionali presenti alla
base della sequenza sono caratterizzati da sabbie
di argine e di ventaglio di rotta, al tetto delle quali evolve un suolo, seguite da sedimenti fini di tracimazione e depositi di ventaglio di rotta. I depositi di spiaggia lagunare che seguono nella successione, preceduti da una fase di gap sedimentario,
sono legati al verificarsi dell’ultima ingressione
marina. La deposizione in ambiente salmastro vie-
ne interrotta da un evento alluvionale seguito dall’ambiente di alta energia che caratterizza le spiagge lagunari,risalente alle fasi finali del II millennio
d.C. (2910 ± 50 anni BP) e da una piana intertidale a bassa energia. La parte superiore della sequenza è caratterizzata da ambienti di apparato
intertidale, a partire dal III-IV secolo A.D. (1750
± 50 anni BP), che rappresentano le aree emerse
dove fu fondato e abitato un monastero dal XI al
XIII-XIV secolo A.D. L’età degli apparati intertidali è correlabile ad una fase di basso livello marino ed emersione di aree lagunari confermata
nell’area veneziana da dati geoarcheologici e storici. Il sito, ubicato nelle vicinanze dell’importante canale artificiale Malamocco-Marghera è attualmente sommerso e soggetto a significativi processi erosivi.
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EVIDENZE GEOMORFOLOGICHE ED ARCHEOLOGICHE
DI UNA LINEA DI RIVA DI ETÀ ROMANA NEL GOLFO DI LA SPEZIA
Chelli Alessandro1, Federici Paolo Roberto2 & Pappalardo Marta2
1
Università degli Studi di Parma, Dipartimento di Scienze della Terra, Parco Area delle Scienze 157/A, 43100 Parma
(Italy)
2
Università degli Studi di Pisa, Dipartimento di Scienze della Terra, Via S. Maria, 53, 56126 Pisa (Italy)
[email protected], [email protected]
Sono illustrati due siti nel Golfo di La Spezia
nei quali è possibile identificare una linea di riva
di età romana. Si tratta del sito archeologico del
Varignano, un insediamento rurale di età romana
nel quale sono stati identificati dei canali di drenaggio in corrispondenza di un molo ed una grotta nell’Isola Palmaria (Riparo del Pozzale), nella
quale è stato rinvenuto in sondaggio un deposito
di spiaggia 60 cm al di sotto del livello del mare
attuale. Per entrambi i siti si discute l’attribuzione cronologica ma principalmente si rileva la
quota del livello del mare testimoniata da ciascun
26
indicatore e si puntualizza il margine di errore ad
essa connesso. I dati analizzati forniscono una
quota del livello del mare di 2.100 anni fa non superiore a 41,5 cm al di sotto del livello marino attuale. La quota desunta della linea di riva è compatibile con l’esistenza di un moderato sollevamento tettonico dell’area,ad indicare condizioni
di sostanziale stabilità caratterizzanti l’Olocene
Superiore. Questo più recente comportamento
tettonico dell’area è compatibile con il tasso di
sollevamento degli ultimi 125.000 anni noto nell’area.
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RELAZIONE
AD INVITO
CAMBIAMENTI CLIMATICI
Orombelli Giuseppe
Università degli Studi di Milano Bicocca, Dipartimento di Scienze Ambiente e Territorio, Piazza della Scienza 1, 20126
Milano (Italy) - [email protected]
Il riscaldamento globale che ha caratterizzato il
XX secolo e si è accentuato negli ultimi decenni,
ha riacceso l’attenzione della comunità scientifica
e del grande pubblico sul problema dei cambiamenti climatici, argomento di dibattito scientifico
fin dalle origini moderne della Scienza.
Le evidenze geologiche e paleobiologiche di condizioni ambientali/climatiche differenti da quelle
attuali sono divenute l’oggetto di studio della paleoclimatologia. L’impulso iniziale a queste ricerche si
fa risalire alla «teoria glaciale», sviluppatasi nel secolo XIX, e comportante la passata maggiore estensione dei ghiacciai sulla Terra. La riconosciuta ciclica alternanza di condizioni glaciali e interglaciali ha
aperto la strada, da un lato agli studi sulle modalità
delle variazioni climatiche, dall’altro alla formulazione di ipotesi sulle cause delle stesse.
Dallo studio delle documentazioni discontinue,
quali le evidenze geologiche e geomorfologiche delle espansioni glaciali, si è passati alla indagine di
successioni continue, sia continentali che marine,
dalle quali estrarre «curve paleoclimatiche», cioè
sequenze temporali di dati, in qualche modo connessi alle condizioni climatiche. Grandi progressi
sono stati fatti sia nell’acquisizione di serie di dati
analitici in una sempre più ampia varietà di «archivi naturali del clima», sia nel dettaglio della risoluzione temporale e nella datazione/correlazione dei
dati, sia nella trasformazione degli stessi in dati paleoclimatici numerici, direttamente confrontabili
tra loro e con i dati climatici attuali. Rilevanza fondamentale per lo studio della variabilità climatica
hanno avuto gli studi geochimico-isotopici sulle sequenze di mare profondo, che hanno permesso di
accertare la congruenza delle ciclicità osservate,
con quelle dei parametri orbitali che regolano l’entità e la distribuzione latitudinale e stagionale dell’energia solare sulla Terra.
Nuove informazioni sono venute dallo studio
del ghiaccio delle calotte polari, direttamente
connesse alle condizioni dell’atmosfera nel passato. Oltre a confermare le ciclicità orbitali, questi studi hanno per primi rivelato una variabilità climatica ad elevata frequenza, con periodo
della durata del millennio, e transizioni abrupte, della durata di pochi decenni. Queste variazioni climatiche, che appaiono sfasate nei due
emisferi, vengono attribuite a repentine modificazioni nella circolazione termoalina oceanica.
Gli studi sui ghiacci polari hanno pure mostrato la variabilità di taluni parametri che controllano il bilancio radiativo dell’atmosfera, quali i
gas/serra e le polveri atmosferiche, che hanno
effetto amplificatore nelle variazioni del sistema
climatico.
Il settore degli studi paleoclimatici ha avuto
uno sviluppo vertiginoso nell’ultimo decennio,
con una produzione scientifica di osservazioni abbondantissima e con una forte componente modellistica.
Nell’interpretazione delle modalità con le quali nel tempo e nello spazio si producono le variazioni climatiche e i cambiamenti ambientali collegati, ancora molto rimane da chiarire. Circa le
cause della variabilità climatica numerosi ipotesi e
modelli sono stati proposti, che fanno intervenire
cause astronomiche e terrestri, ma, ad oggi, è ancora mancante una teoria generale capace di spiegare la varietà dei fenomeni osservati. È invece urgente, anche tramite lo studio del clima nel passato, poter comprendere al meglio il comportamento del sistema climatico e poterlo prevedere,
tenuto conto che l’umanità, alterando vieppiù negli ultimi secoli i caratteri dell’atmosfera, ha con
esso iniziato un esperimento di cui non conosce
l’esito.
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Sessione dinamica geomorfologica e processi antropici
L’EROSIONE DEI SENTIERI IN ALTA MONTAGNA.
INDAGINI DENDROGEOMORFOLOGICHE E STIME QUANTITATIVE
LUNGO ALCUNI ITINERARI DELLA VALFURVA (SONDRIO)
Pelfini Manuela1, Santilli Maurizio1 & Colzani M.
1
Università degli Studi di Milano, Dipartimento di Scienze della Terra «Ardito Desio», Sezione di Geologia e Paleontologia, Via Mangiagalli 34, 20133 Milano (Italy) - [email protected], [email protected]
Il paesaggio d’alta montagna presenta un’evoluzione piuttosto rapida, specie alle alte quote, in
risposta alle variazioni climatiche in atto. L’ambiente glaciale lascia progressivamente spazio a
quello periglaciale e, parallelamente, si aprono
nuovi scenari per il turista a cui vengono proposti itinerari diversi. L’intensificarsi del turismo e
l’ampliamento delle proposte possono determinare, tuttavia, un impatto sul territorio; tra le conseguenze si osserva a volte una progressiva erosione
superficiale lungo alcuni tratti di sentiero, che
28
tendono ad approfondirsi. Nel presente lavoro è
stata stimata la quantità di materiale rimosso e il
tasso di erosione lungo alcuni itinerari escursionistici dell’Alta Valtellina («Sentiero Glaciologico
del Centenario al Ghiacciaio dei Forni», «Giro
della Val Cedech» e «Sentiero Luseda-Campec»).
Per gli itinerari ubicati sotto il limite della vegetazione arborea è stato anche condotto uno studio
dendrogeo-morfologico al fine di valutare gli effetti del calpestio sulle radici degli alberi e la variazione del «carico» turistico nel tempo.
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L’USO DI TECNICHE DI CLASSIFICAZIONE NON SUPERVISIONATA
PER LA MAPPATURA AUTOMATIZZATA DI FORME
A PARTIRE DA MODELLI DIGITALI DEL TERRENO
Aucelli Pietro, Patrizio Ciro, Cinque Aldo & Esposito A.
Università degli Studi del Molise «Area scientifico-disciplinare», Via Mazzini ex Curia vescovile 86170, Isernia (Italy)
[email protected]
Il seguente lavoro espone l’uso di una procedura per la produzione di cartografia automatica di
forme di interesse che si avvale dell’uso della classificazione non supervisionata implementata utilizzando l’algoritmo k-means ed i modelli digitali
del terreno. Analizzare l’informazione contenuta
nelle singole celle del raster risulta insufficiente
per individuare automaticamente le forme del rilievo tradizionalente cartografate. Il metodo pro-
posto, benché ancora da affinare sotto vari aspetti, tiene conto di tale problematica attraverso una
procedura volta ad individuare i bordi degli elementi comunemente cartografabili nell’area di
studio fornendo risultati di maggiore utilità rispetto a metodi che tengono conto di un solo parametro morfometrico o di valori estratti da singole celle del raster.
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ANALISI STORICA E GEOMORFOLOGICA
DI FENOMENI ALLUVIONALI IN AMBIENTE MONTANO:
CASI DI STUDIO IN VAL SOANA (ALPI GRAIE,PIEMONTE)
Giardino Marco & Audisio Chiara.
Università degli Studi di Torino, Dipartimento di Scienze della Terra, Via Valperga Caluso 35, 10125 Torino (Italy)
[email protected]
Lo studio fornisce un esempio di applicazione
di una metodologia «integrata » per la definizione della pericolosità geomorfologica in ambiente
montano. La metodologia è basata sull’analisi dei
fenomeni alluvionali sia dal punto di vista dell’analisi storica che di quella geomorfologica. L’area
studiata è ubicata in Val Soana, una tipica valle alpina posta nella parte settentrionale della Provincia di Torino, al confine con la Valle d’Aosta. La
raccolta di informazioni storiche e geomorfologiche ha messo in evidenza una serie di eventi alluvionali sia nel passato più remoto (anni 1654 e
30
1845) che in tempi più recenti (1993 e 2000). In
particolare, i dati relativi agli eventi passati hanno
permesso di stabilire il tempo di riattivazione di
alcuni conoidi, mentre per quanto riguarda i due
eventi più recenti, l’analisi ha consentito il confronto tra i processi morfodinamici e la tipologia
dei danni alle infrastrutture che si sono verificati
lungo il T. Soana. In entrambi i casi, la metodologia si è rivelata estremamente utile per la definizione della pericolosità degli eventi alluvionali e
per ipotizzare scenari evolutivi futuri dei fenomeni morfogenetici nell’ambiente montano.
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THE NATURAL AND MAN-INDUCED SUBSIDENCE
OF THE RAVENNA AREA
Elmi Carlo, Bertoni W. & Marabini F.
Università degli Studi di Bologna, Dipartimento di Scienze della Terra e Geologico-Ambientali, Via Zamboni 67, 3°
piano, 40126 Bologna (Italy) - [email protected]
L’area di Ravenna è soggetta ad una elevata
subsidenza naturale prossima ai massimi valori registrati in tutta la Pianura Padana, attiva a partire
almeno dal Pliocene inferiore e perdurante per
tutto il Quaternario. Negli ultimi decenni, Ravenna e i suoi dintorni sono stati interessati da subsidenza artificiale con tassi fino a cinquanta volte
quelli naturali, dovuti a pompaggio di acque dolci superficiali e in minore misura a estrazione di
metano da reservoirs più profondi. A partire dal
1960 il progressivo ampliamento del fenomeno ha
coinvolto l’intero centro storico e la vicina zona
industriale, e così pure la fascia costiera, a pochi
km dalla città, con punte di elevato rischio. La
progressiva riduzione dei pompaggi dagli acquiferi superficiali ha portato la velocità di subsidenza
a valori prossimi a quelli naturali, ma restano le
conseguenze negative della perdita di quota, prossima a circa 1 m, ossia erosione costiera, ingresso
di acque alte e rischio di esondazioni dei corsi
d’acqua.
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SESSIONE POSTER
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Poster 1
EVOLUZIONE GEOMORFOLOGICA E RUOLO
DELLA NEOTETTONICA NELLA BASSA VAL THURAS
(ALTA VALLE DI SUSA, ALPI OCCIDENTALI)
Alberto Walter 1, Carraro Francesco2 & Giardino Marco 3
1
Università degli Studi di Torino, Dipartimento di Scienze della Terra, Via Valperga 35, 10125, Torino (Italy)
[email protected]
2
Via Alpignano, 126 10040 Caselette (TO) - [email protected]
3
Università degli Studi di Torino Dipartimento di Scienze della Terra, Via Valperga Caluso 35, 10125 Torino (Italy)
marco.giardino@ unito.it
Introduzione
Evoluzione geomorfologica e ruolo della
neotettonica
Nella Val Thuras è stato condotto uno studio
geomorfologico di dettaglio il quale ha permesso
di ricostruirne l’evoluzione medio-recente.
In questa si sono identificate alcune tappe a
partire dalla dinamica glaciale pleistocenica superiore, agli eventi di instabilità gravitativa diffusa
che interessano i versanti, alla dinamica torrentizia in atto.
Le evidenze di terreno (dati strutturali, orientazione e distribuzione degli elementi deformativi e dei fenomeni gravitativi, orientazione degli
elementi idrografici e orografici) riconoscibili a
differenti scale (affioramento, versante, valle) indicano inoltre un importante condizionamento
alla morfogenesi operato dalla geodinamica recente.
Le tracce conservate dell’evoluzione del modellamento glaciale nella Val Thuras indicano l’esistenza di importanti masse glaciali le cui superfici di appoggio basale si ritrovano ora sospese
sull’attuale fondovalle; i terrazzi più elevati si trovano a quote di 500 m superiori all’alveo del T.
Thuras.
La storia di approfondimento intercorsa da allora viene registrata in maniera discontinua lungo
i versanti; si individuano così quattro unità di modellamento glaciale a cui segue un’unità di modellamento fluviale attualmente in formazione (fig.
1). Parallelamente all’approfondimento del solco
vallivo principale, sono andate abbassandosi anche le valli tributarie, in particolare quelle che
hanno ospitato fenomeni di transfluenza glaciale
dai bacini «francesi». In seguito alla separazione
FIGURA 1 - Profilo longitudinale della bassa Val Thuras.
34
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FIGURA 2 - Carta neotettonica e della deformazione superficiale della bassa Val Thuras, con separati i settori a differente
evoluzione morfologica.
delle lingue di transfluenza dal corpo glaciale
principale tali valli tributarie subiscono un minore approfondimento erosionale rispetto alla Valle
Thuras risultando sempre più maggiormente sospese.
La distribuzione delle tracce del modellamento glaciale non è omogenea sia in senso longitudinale che trasversale alla valle; in alcuni settori si riconoscono le tracce relative a buona parte della
storia di approfondimento, in altri settori invece
queste non sono oggi riconoscibili. In particolare
questa differenza è osservabile tra il versante sinistro (ricco di forme glaciali) e quello destro (forme glaciali pressoché assenti o non riconoscibili)
nella bassa Val Thuras; in più la ricchezza di forme glaciali del versante sinistro aumenta da monte verso valle.
Tale dissimetria viene interpretata in questo lavoro come il risultato di un progressivo spostamento del solco vallivo verso la destra orografica:
la traslazione è massima a valle (valutabile approssimativamente in 1000 m) e minima a monte. Il ri-
sultato è quello di una lenta e progressiva rotazione (con probabile contemporaneo allargamento
estensionale della valle) dell’asse vallivo in senso
orario la quale determina, oltre alla conservazione di superfici terrazzate sul versante sinistro, l’accentuazione dell’acclività del versante destro con
pressoché totale obliterazione delle forme più antiche (l’obliterazione è accentuata dal locale elevato grado di deformazione gravitativa che interessa il versante).
Alla scala della valle, una serie di elementi
permette di distinguere nella Valle Thuras due
settori, uno nord-occidentale e l’altro sud-orientale, separati da una ipotetica linea orientata
N30°E (fig. 2).
Sinteticamente tali elementi sono:
– differenza tra le quote medie dei rilievi solo in
parte coincidenti con differenze litologiche;
– distribuzione dei fenomeni gravitativi in genere;
– distribuzione dei diversi stati di fratturazione
dell’ammasso roccioso.
Inoltre sono state rilevate evidenze morfologi35
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che alla scala dell’affioramento comprendenti:
– orientazione e distribuzione dei singoli elementi morfologici all’interno di fenomeni gravitativi;
– singole curve anomale nel reticolato idrografico;
– superfici e scarpate di frattura e di faglia, generalmente di dimensioni non cartografabili ma
distribuite in maniera pressoché ubiquitaria negli affioramenti rocciosi.
Sulla base degli elementi sopra descritti, la distinzione nei due settori sembra corrispondere a
una differenza nell’entità della deformazione fragile assorbita dal substrato; al settore orientale poco deformato si contrappone il settore occidentale dove prevalgono le strutture distensive (che
giocano un ruolo differente nell’evoluzione del
paesaggio a seconda che si sommi alla componente «di versante») e gli intensi stati fratturativi dell’ammasso roccioso.
Le strutture che sembrano guidare la deformazione sono orientate circa N 40°E – N 60°E e
sono parallele all’importante lineamento tettonico che limita verso Nord-Ovest il massiccio del
Gran Roc e che è seguibile per decine di chilometri tra la Francia, l’alta Valle di Susa e l’alta
Val Chisone; lo stesso limite orientale dell’area a
maggiore deformazione è all’incirca parallelo a
tale struttura e dove è visibile in affioramento, è
36
netto e sub-verticale; gli altri limiti non sono conosciuti anche se è presumibile che verso Nord
vi sia una certa continuità con la Susa-Chisone
Shear Zone.
Conclusioni
L’evoluzione morfologica della Val Thuras e
delle aree limitrofe appare dunque guidata in maniera fortemente disomogenea dai fenomeni di
estensione che coinvolgono alcuni settori della catena e a cui si lega lo sviluppo di strutture regionali quali la Susa-Chisone Shear Zone (GIARDINO
& POLINO, 1997); il settore studiato potrebbe
quindi rappresentarne uno step verso Sud-Ovest
impostato nei calcescisti «piemontesi» e bordato
dai massicci carbonatico-dolomitici dello Chaberton e del Gran Roc.
Bibliografia
GIARDINO M. & POLINO R. (1997), Le deformazioni di
versante nell’alta Valle di Susa: risposta pellicolare
dell’evoluzione tettonica recente. Il Quaternario, 10
(2), 31-38.
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Poster 2
PRINCIPALI PROCESSI MORFOGENETICI E RELATIVE FORME
NELL’AREA DEL PARCO NAZIONALE D’ABRUZZO, LAZIO
E MOLISE (ITALIA CENTRALE)
Aucelli Pietro Patrizio Ciro 1, De Martino Diego 1, Di Lauro Angelo 2,
Di Rollo Andrea 1, Miccadei Enrico3 & Rosskopf Carmen Maria1
1
Università degli Studi del Molise, Dipartimento di Scienze e Tecnologie per l’Ambiente e il Territorio, Via Mazzini
8, 86170 Isernia (Italy) - [email protected], [email protected]
2
Via Veneziale 149, 86170 Isernia (Italy)
3
Università Gabriele D’Annunzio degli studi di Chieti-Pescara, Dipartimento di Scienze della Terra, Via dei Vestini 30,
86013 Chieti (Italy) - [email protected]
Il territorio del Parco Nazionale D’Abruzzo,
Lazio e Molise costituisce una delle aree d’Italia
più importanti dal punto di vista della ricchezza e
diversità geomorfologica e dello stato di conservazione delle forme. Malgrado ciò, a tutt’oggi manca una cartografia geomorfologica di base, idonea
ad illustrare gli aspetti geomorfologici più significativi. Per sopperire a tale mancanza, e con l’intento di contribuire ad una migliore gestione e
fruizione delle risorse geologiche ed ambientali
del territorio del Parco, è stato effettuato una studio geomorfologico di base a scala compresa tra il
5000 e 25.000. Lo studio è stato sviluppato attraverso due fasi principali tra loro interconnesse.
Una prima fase di analisi bibliografica e cartografica, e di fotointerpretazione, e una seconda fase
di analisi geomorfologica diretta in campo, finalizzata al controllo e alla integrazione degli elementi geomorfologici rilevati attraverso l’analisi indiretta. Lo studio effettuato ha consentito la redazione di una carta geomorfologica in scala
1:25.000 la cui legenda è stata sviluppata facendo
principalmente riferimento alla Guida al rilevamento della Carta Geomorfologica d’Italia –
1:50.000 (GRUPPO DI LAVORO PER LA CARTOGRAFIA GEOMORFOLOGICA, 1994).
L’area in esame ospita una grande varietà di
forme di origine glaciale, fluvio-glaciale, carsica,
fluviale, gravitativa, a controllo strutturale, nonché poligenetiche. Il modellamento dell’area del
Parco è stato fortemente condizionato dalle vicissitudini climatiche succedutesi nel corso del Pleistocene ed Olocene, che hanno portato alla generazione di numerose forme glaciali cronologicamente inquadrabili nel tardo Pleistocene (CINQUE
et al. 1990; GIRAUDI, 1998) e crionivali tra cui conche di nivazione e rock-glacier (GIRAUDI, 2002).
Oggigiorno, i processi di modellamento che si
esplicano con maggiore efficacia sono quelli carsici, crionivali (limitatamente alle aree poste a
quote più elevate), fluviali e di versante.
Lo studio geomorfologico eseguito ha consentito di mettere in evidenza una serie di importanti emergenze geomorfologiche oltre a quelle già
note (ad es. la Forra di S. Michele a Foce e il Pianoro de le Forme). Per queste emergenze, in considerazione del loro alto valore scientifico e didattico, elevato stato di conservazione e buona accessibilità, appare auspicabile la loro valutazione e
approvazione secondo i criteri sviluppati a livello
nazionale dal Servizio Geologico Nazionale.
Bibliografia
CINQUE A., LICCARDO C., PALMA B., PAPPALARDO L.,
ROSSKOPF C. & SEPE C. (1990), Le tracce glaciali nel
Parco Nazionale d’Abruzzo (Appennino Centrale):
nota preliminare». Geografia Fisica e Dinamica
Quaternaria, 13, 121-133.
GIRAUDI C. (1998), Alcuni dati per l’inquadramento
cronologico delle fasi glaciali tardo-pleistoceniche dei
monti Greco e Serra Chiarano (Abruzzo – Italia Centrale). Il Quaternario, 11(1), 115-120.
GIRAUDI C. (2002), I rock glacier tardo-pleistocenici ed
olocenici dell’Appennino: Età, distribuzione, significato paeloclimatico. Il Quaternario, 15 (1), 45-52.
GRUPPO DI LAVORO PER LA CARTOGRAFIA GEOMORFOLOGICA (1994), La Carta Geomorfologica d’Italia –
1:50.000. Guida al rilevamento. Quaderni del Servizio Geologico Nazionale, serie III, 4, 47 pp.
37
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Poster 3
PALAEOGEOGRAPHY AND PALAEOENVIRONMENTS DURING
THE LAST GLACIAL MAXIMUM IN CENTRAL FRIULI (NE-ITALY)
Avigliano Roberto1, Calderoni Gilberto2, Donegana Marta3, Monegato Giovanni1, 5,
Paiero Giovanni1, Pini Roberta4 & Ravazzi Cesare3
1
Università degli Studi di Udine, Dipartimento di Georisorse e Territorio, Via Cotonificio 114, 33100 Udine (Italy)
Università degli Studi di Roma «La Sapienza», Dipartimento di Scienze della Terra, P.le Aldo Moro 5, 00185 Roma
(Italy) - [email protected]
3
C.N.R. – Istituto per la Dinamica dei Processi Ambientali, Via Pasubio 3/5, 24044 Dalmine Bergamo (Italy)
[email protected]
4
C.N.R. – Università degli Studi di Milano-Bicocca, IDPA at Dipartimento di Scienze Geologiche e Geotecnologie,
P.zza della Scienza 4, 20126 Milano (Italy) - [email protected]
5
Università degli Studi di Padova, Dipartimento di Geologia, Paleontologia e Geofisica, via Giotto 1, 35100 Padova
(Italy) - [email protected]
2
During the Last Glacial Maximum (LGM, i.e.
18-24 ka cal BP, MIX et al., 2001) the largest valleys (namely Tagliamento, Arzino, Meduna and
Cellina) of the Friulian mountains were invaded
by glaciers. Only the Tagliamento glacier flew out
over the plain, the others remained confined into
the mountains. At the glaciation beginning, the
fluvial valleys previously cut into the plain were
infilled. This process probably started some thousand years before the LGM. The coast of the
Adriatic Sea was 300 km south of its modern position (CORREGGIARI et al., 1996).
The catchment area of the Tagliamento river is
the bigger mountain basin of Friuli (2300 km2), its
higher peaks are under 2800 m asl in the inner
part, but in the prealpine area, relieves don’t exceed 2000 m asl. During the LGM, the ELA has
been estimated here at around 1300 m (DESIO,
1926) or around 1400 m (FUCHS, 1970); new field
data from some prealpine cirque glaciers suggest
a lower altitude (1250-1275 m asl) in the eastern
Friuli.
The Tagliamento glacier resulted from merging
of two main tongues, one flew down the Cavazzo
Lake Valley and another flew in the easternmost
Venzone Valley. Their thickness, extrapolated
from the till distribution, probably got respectively 500 m and 250-300 m, while their wideness was
respectively 2 km and 1 km. The ice mass reached
the upper Friulian plain, forming four main lobes
because of the hill emergences of Ragogna, Susans, Buja and Tarcento. Here, the glacier built a
morainic amphitheatre 22 km wide.
During the LGM Friulian plain underwent a
38
strong aggradation phase because of large
amount of sediments removed by glacial processes. Many outwash rivers were active at the front
of the Tagliamento glacial system. They formed
several megafans (FONTANA et al., 2004), westerly interfingering with those at the outlet of the
Cellina and Meduna valleys (AVIGLIANO et al.,
2002), while the Arzino valley was probably
dammed by the Tagliamento glacier at its mouth.
All these megafans were very dynamic: the
Meduna river for example built two main fans
bypassing Sequals hills. A remarkable grain size
difference is traceable from the high to the lower
plain LGM deposits, when outwash rivers, not
yet confined in entrenched valleys, deposited
gravels only in the high plain (FONTANA et al.,
2004). The grain size of these deposits is very
coarse at the apex, with occurrence of boulders
laid down by catastrophic floods in the Tagliamento apron. The distal fan is characterised by
sandy loam sedimentation, with weak drainage,
along with formation of occasional, discontinuous mires in wet depressed areas.
We considered either the palaeobotanical
record available during the LGM in Central Friuli
and in the surrounding areas as well as the potential vegetation. The latter has been estimated from
a model of altitudinal vegetation belts constrained
by geocryological and ecological relationships
plants - habitat. The model is based on relationships between Glacier Equilibrium Line and Treeline altitudes, and on evaluation of climate continentality (GORBUNOV, 1978, RAVAZZI et al., 2004
for details). The potential thermic treeline altitude
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is estimated at 700-800 m above the present sea
level. Hovewer this tree potential area was strongly reduced by slope activity. The potential altitudinal limit of alpine grasslands and steppes is estimated at 1500 a.p.s.l. on sunny slopes, but it was
much lower on the slopes with northern aspect
due to the extent of permafrost and of related
gelifluction.
The available pollen data from the Friulian
Plain suggest that the uppermost megafans were
partially occupied by pinewoods and part by pioneer xerothermic vegetation of rock fields. Finds
of needles in fine sandy layers and the very high
pollen % of Pinus sylvestris/mugo type (e.g. >
90%) in the LGM spectra from the Tagliamento
amphitheatre, suggest the widespread occurrence
of Pinus mugo (dwarf pine) on coarse-sized deposits. The habitats presently occurring in the
Friulian Prealps, consisting of bare carbonatic
coarse debris, also speak for a strong potential of
Pinus mugo. Temperate broad-leaved woody taxa
are not documented by pollen data in the vegetation of this dynamic plain. Depressed areas in the
distal part of fans supported mire vegetation,
Cyperaceae-dominated, and nearly treeless.
References
AVIGLIANO R., CALDERONI G., MONEGATO G. &
MOZZI P. (2002), The late Pleistocene-Holocene evo-
lution of the Cellina and Meduna alluvial fans
(Friuli, NE Italy). Mem. Soc. Geol. It., 57 (1): 133139.
CORREGGIARI A., ROVERI M. & TRINCARDI F. (1996),
Late Pleistocene and Holocene evolution of the
North Adriatic Sea. Il Quaternario- Italian Journal
of Quaternary Sciences, 9, 2, 697-704.
DESIO A. (1926), L’evoluzione morfologica del bacino
del Fella. Atti Soc. It. Sc. Nat., 65: 205-461, Pavia.
FONTANA A., MOZZI P. & BONDESAN A. (2004),
L’evoluzione geomorfologica della pianura venetofriulana. In: BONDESAN A. & MENEGHEL M. (a cura di), «Geomorfologia della provincia di Venezia».
PP. 113-138; Esedra Editrice, Vicenza.
FUCHS F. (1970), Studien zur Karst- und Glazialmorphologie in der Monte-Cavallo-Gruppe/Venezianische Voralpen. Frankfurter Geographische Hefte,
47: 1-113.
GORBUNOV A.P. (1978), Permafrost investigations in
high mountain regions. Arctic and Alpine Research,
10, 283-294.
MIX A.C., BARD, E., SCHNEIDER R. (2001), Environmental processes of the ice age: land, oceans, glaciers
(EPILOG). Quat. Sci. Rev., 20: 627-657.
RAVAZZI C., OROMBELLI G.,TANZI G., and CLIMEX
group (2004), An outline of the flora and vegetation
of Adriatic basin (Northern Italy and eastern side of
the Apennine) during the Last glacial Maximum. In
ANTONIOLI F., MARGOTTINI C. & VAI G.B. (a cura
di), «Litho-paleoenvironmental maps of Italy during the Last Two Climatic Extremes». Explanatory
Notes. 32nd International Geological Congress,
Firenze.
39
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Poster 4
MULTIDISCIPLINARY APPROACH TO THE STUDY OF WETLANDS
IN THE VENETIAN PO PLAIN (NORTH-EASTERN ITALY) DURING
THE LAST GLACIAL MAXIMUM.
Bondesan Aldino1, Corain Livio2, Favaretto Sonia1, Miola Antonella3,
Mozzi Paolo1, Piovan Silvia1, Sostizzo Ismaele1 & Valentini Gianna3.
1
Università degli Studi di Padova, Dipartimento di Geografia “G. Morandini”, via del Santo 26 - 35123 Padova (Italy).
aldino.bondesan@un ipd.it, [email protected], [email protected], [email protected],
[email protected]; [email protected]
2
Università degl Studi di Padova, Dipartimento di Scienze Statistiche, via C. Battisti, 241/243 - 35121 Padova (Italy).
[email protected]
3
Università degli Studi di Padova, Dipartimento di Biologia, via Ugo Bassi 58/B - 35121 Padova (Italy).
[email protected]
L’evoluzione
It
has been recently
dell’ambiente
shown planiziale
that large veneto
portionsè
of
da the
qualche
north-eastern
anno oggetto
Po plain
di ricerche
were formed
di carattere
during
the
multidisciplinare,
Last Glacial che
Maximum
si svolgono
(LGM)
in ambito
(CASTIuniGLIONI,
versitario e1999;
grazieBONDESAN
a collaborazioni
et al.,
con2002;
gli Enti
MARloCHETTI
cali. In questa
et al.,sede
2004).
si presentano
This periodalcuni
was characterisultati
rized
delle indagini
by a great
ancora
sedimentary
in corsoactivity
nell’area
of di
theConcorAdige,
Brenta, Piave and Tagliamento rivers, that received the fluvio-glacial outwash from the eastern
Alps glaciers and formed a system of coalescent
alluvial megafans (FONTANA et al., 2004). In the
low Venetian plain thick sequences of silt and
sand layers alternate with common and thin layers
of peat and organic silt; the organic layers in the
topmost 30 m of the Late Pleistocene alluvial series span between 23,000 and 14,000 year BP (radiocarbon dating), in a stretch of plain about 100
km large and some 30 km deep (MIOLA et al.,
2003). They indicate the presence of wide areas
where wet environments developed. Our research
aims at understanding the features and the origin
of the wet environments by means of sedimentological analysis, pollen, non-pollen palynomorph
(NPP) and plant macrofossil analyses.
A series of 20 and 10 m medium-deep cores
were drilled near the north coast of the Adriatic
Sea (fig. 1). The sampling sites are presently located in the North Adriatic coastal plain, but during
the LGM, the North Adriatic coastline was more
than 200 km to the south (VIGLIOTTI, 2004)
and the study area was in full continental conditions. The Piave valley glacier reached the plain
near Vittorio Veneto (VENZO, 1977; BONDESAN, 1999), some 40 km north of the studied
area. In the piedmont sector, the Piave fluvio-glacial megafan (Nervesa megafan), as all the other
megafans of the Po Plain, was mainly gravelly. Wi40
thin
a distance(VE),
of about
15-20
kmveneto
from the
Alpidia Sagittaria
antico
centro
e poi
rone
foothills
wastestimonianze
a drastic change
the grain
mano,
le cuithere
prime
sonoindatate
alsize
deposits,
related
to the decrease
of the
l’età of
delthe
bronzo
recente
(Bianchin
Citton, 2001).
river
capacity.
Downstream,
the NerveLetransport
ricerche hanno
riguardato
gli aspetti
geolosa
megafan
consistede of
low, sandy alluvial
ridges
gici,
geomorfologici
paleovegetazionali
al fine
di
separated
extensive silty e–laclay
basins.e
ricostruire by
il paleoambiente
sua flood
evoluzione
The ridges were 1-3 m di
high
in respect tolethescelte
surcomprendere
rounding plain, few to several
hundred
wiinsediative
dellemetres
genti che
de and several kilometres
long. Fluvial
channels
occuparono
il territorio.
had low sinuosity, andLochannel
migratione took
studio geologico
geoplace by avulsion rather
than point-bar
lateral
morfologico
del territorio
shift. Recurrent channel
avulsi migration
è basato suthrough
ricognizioni
sive events during the LGM
is documented
in thea
del territorio,
carotaggi
megafans of the Venetian
Plain, profondità,
apparently
bassaPo
e media
with 10-103 years cyclicity.
sedimentation
analisiLGM
e interpretazione
di
rates in the alluvial plain
the distal
reaches
fotoataeree,
(?) ……
Essoofè
the megafan were rather
high, inoltre
probablyaffiancato
in the orstato
der of 1-3 mm/year as an
average. Peat
formation
dall’analisi
paleobotanica
took place in badly drained
depressions
in thenon
al(polline,
sporomorfi
luvial plain; because of pollinici
the high aggradation
rates,
e macroresti)
di
the formation of peat was
probably
active
for justa
quattro
carote
estratte
some centuries before Concordia
being stopped
by località
alluvial
e nella
sediments (BONDESAN
et al.,Gaetano,
2002; FONTANA
di San
sulla costa
et al., 2004; MOZZI &adriatica
BONDESAN,
2004).
settentrionale
In order to gain information
the wetland
(fig. 1). about
I carotaggi
di Seplant communities which
produced
peat lapolcreto
(S1),the
Paludetto
yers, palaeobotanical analyses
carried out
in
(S2) e were
San Gaetano
(S3)
the peat layers. The ecological
conditionsla today
hanno raggiunto
propreferred by the identified
taxadican
to
fondità
20 contribute
m dal livello
the knowledge of the di
ancient
wetland
environcampagna,
il carotaggio
ment and of its origin. di
The
samples
paleoboTeatro
(S4)for
la profonditanical analyses have been
tà dicollected
50 m. mainly from
organic layers from all theI sedimenti
cores. They
less
delloare
strato
than 20 cm thick, andpiù
mostly
embedded
within
profondo
finora
esasilty-clay sequences, which
show(strato
typical sedimenminato
torboso
tary facies of the natural
leveem,– carotaggio
flood basinS4)
allu36-39
si
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fig. 1 – Location of the coring sites in the geomorphological framework of the Central Veneto plain
(modified from BONDESAN et al., 2002). 1. Nervesa megafan (Late Pleistocene, Holocene); 2. Montebelluna megafan (Late Pleistocene); 3. Bassano megafan (Late Pleistocene); 4. Brenta alluvial plain
(Holocene); 5. Monticano, Cervada and Meschio fans (Holocene); 6. Livenza alluvial plain (Holocene); 7. Sile, Dese, Zero alluvial plain (Holocene); 8. Musone alluvial plain (Holocene); 9. Piedmont fans
(Holocene); 10. Littoral sandy deposits (Holocene); 11. Moraines (Late Pleistocene); 12. Fluvial erosive scarps; 13. Hills and mountains; 14. Natural (a) and artificial (b) hydrography; 15. Core location.
vial architectural
formarono
in ambiente
elements.continentale
In the cross section
in clima
of
temperato
Ca’
Tron some
fresco
of these
e successivamente
peat layers extend
più freddo
laterallye
secco.
for
more
L’associazione
than 1 km. According
pollinica to
è inizialmente
the radiocarbon
caratterizzata
dates
and lito-stratigraphic
dalla prevalenza
correlations,
di piantethe
arboree
analydel tipo
sed
layersPinus,
are dated
Alnustoethe
Picea
LGM
e dalla
period
presenza
between
di
latifoglie
22,000 and
quali
16,000
Quercus,
year BP.
Carpinus, Tilia, Corylus,
Ostrya,
The results
Zelkova,
of pollen
mentreanalysis
rara è have
la presenza
been comdi
pared
Abies ewith
Fagus.
pollen
Nella
data
parte
frompiù
thesuperficiale
literature (detaile latifoglie
led references
termofile
in eMIOLA
mesofileetscompaiono,
al., 2003) and
aumenwith
ta
theil results
Pinus eofle macro
erbacee,
remains
quali l’Artemisia,
analysis. Statistical
le Chenopodiaceae,
analyses (PCA)
l’Helianthemum
of different groups
e la Saxifraga
of pollennivawas
lis.
carried
L’ipotesi
out on
che
thesi set
avanza
of the
riguardo
pollen spectra
la datazione
from
41
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Pagina 42
di tali sedimenti è che si siano formati in un periodo successivo all’Eemiano (substage 5e), forse tra il substage 5a e l’affermarsi dell’inizio dello stage 4. Nella stessa sequenza la presenza di
un soprastante suolo sepolto ben sviluppato (3033 m) testimonia un successivo periodo di emersione, che potrebbe essere correlato allo hiatus
di sedimentazione individuato da BORTOLAMI et
al. (1977) nell’area veneziana (pozzo VE II) a circa 47 m di profondità attorno ai 40.000 anni BP,
in corrispondenza dell’instaurarsi dell’ultimo
glaciale. Durante il pleniglaciale (25.000 - 15.000
a.C.) la bassa pianura subì una forte aggradazione per il notevole apporto di limi. A questo periodo risale la formazione delle torbe a 20 e 11
m di profondità nel carotaggio S4, intercalate a
spessi strati di limo e sabbie. L’analisi pollinica
ha individuato infatti i resti di una vegetazione di
tipo aperto caratterizzata da carice e cannuccia,
che colonizzavano vaste aree umide soggette a
periodiche variazioni del livello dell’acqua. I rari resti di piante arboree sono rappresentati da
polline di Pinus mugo/P. sylvestris e di Betula.
Nelle zone più depresse pozze d’acqua di modesta profondità, alimentate dall’acqua di falda,
ospitavano muschi bruni acquatici (Scorpidium
scorpioides Hedv.) e popolamenti algali. L’età di
questi sedimenti è attribuibile al Pleniglaciale in
base a correlazione biostratigrafica con sedimenti radiodatati dell’area planiziale veneta (Bondesan et al., in questo stesso volume). Il clima nell’Italia settentrionale, come nel resto d’Europa,
era caratterizzato da una forte aridità, ma in tutta la bassa pianura padano-veneta particolari
condizioni idrologiche determinate dalla vicinanza dei fronti glaciali e dalla qualità del sottosuolo permisero lo sviluppo di aree umide mol-
timo glaciale vennero incise dall’attività del Tagliamento con la formazione delle due valli ora
percorse dai fiumi Reghena e Lemene, che circondano Concordia. Nell’ultima fase di attività
del fiume, prima del suo allontanamento da Concordia verso oriente, si depositarono al fondo
delle bassure sedimenti torbosi (13,56-13,56 m
carotaggio S2). Essi hanno conservato i resti pollinici di una vegetazione boschiva nettamente
dominata dai pini (Pinus mugo/P. sylvestris 80%
della somma del polline di piante terrestri), che
occupava le aree più asciutte circostanti le due
valli fluviali. Non sono stati osservati granuli pollinici di piante latifoglie, ma betulle, ginepri e
scarse piante erbacee di ambienti aridi. L’espansione del pino silvestre, dopo l’ultima glaciazione è iniziata dopo i 22000 anni cal BP a Fiorentina (San Donà di Piave-VE) (MIOLA et al., 2004)
ed è stata seguita dall’espansione del larice e dell’abete rosso attorno ai 15400 anni cal BP a Palughetto di Cansiglio (AVIGLIANO et al., 2000).
Poichè a Concordia il pino è già dominante e
non ci sono tracce di polline di larice o di abete
rosso, si può presumere che il periodo in cui le
torbe si sono deposte e il fiume ha abbandonato
la valle sia nella prima parte del Tardiglaciale
quando il clima era ancora freddo e arido. Durante il periodo in cui vennero scavate dal Tagliamento le due valli a est e a ovest di Concordia esse confluirono in un’unica incisione sia a monte
di Concordia, che a valle, generando una sorta di
isola. Dopo la deviazione verso est del Tagliamento, le due valli si riempirono al fondo di acque stagnanti dove si formarono circa 1 m di torbe (10,41-11,17 m, carotaggio S2; 8,15-9,18 m,
carotaggio S1). L’analisi pollinica dei due strati
torbosi ha messo in evidenza la regressione del
fig. 2 – Schematic evolution of LGM peat-producing fens in the low Venetian plain (distal reaches
of the Nervesa megafan).
to estese. I sedimenti dello strato torboso a 11 m
di profondità
stesso
carotaggio
S4 è caratall
the cores, innello
order
to provide
a synthetic
and
terizzato da un aumento
della presenza
pino,
low-dimensional
representation
of thedipollen
come è and
statotoosservato
in altri similarities
sedimenti torbosi
spectra
detect possible
among
planiziali
dell’area
veneta deposti
the
samples.
The identification
of nella
NPPfase
andfinamale dell’ultimo
massimo
(MIOLA et al.,
crofossils
has been
crucialglaciale
to the reconstruction
of
local plant communities, mainly because in open
2004).
sites
poor correlations
exist
pollen
Il very
miglioramento
climatico
chebetween
caratterizzò
il
and plants as Pardoe
(2001)
in toTardiglaciale,
determinò
unademonstrated
grande trasformaday artic-alpine
environments.
The
resultsloofsciomazione
del paesaggio.
Quando si
verificò
crofossil and
pollen analysis
suggest that
herbaglimento
del ghiacciaio,
il Tagliamento
tracciò
il
ceouspercorso
plants, such
as nella
Cyperaceae
and Gramineae
suo
anche
bassa pianura.
I sedi(probably
Carex fusca
and Phragmites
menti
alluvionali
che inglobano
le torbeaustralis)
dell’ul42
bosco di pini, la comparsa dell’abete rosso e del
larice“brown
e quindi
l’avanzare
del bosco
a latifoglie
and
mosses”
(mainly
Scorpidium
scor(querce, tigli,
e noccioli),
che prevale
sulla
pioides)
were olmi
important
components
of marsh
vegetazione erbacea
solo nel livello
superficiale.
communities.
The occurrence
of obligate
aquatic
Probabilmente
questa vegetazione
crescevaand
in
organisms
(Nymphaea,
Characeae, Briozoa
luoghi asciuttiremains),
sul terrazzo
Concordia;
Potamogeton
algaldi resting
cells, nella
free
bassura
il suolo
doveva
essere spesso
allecells
andinvece
colonies,
oocytes
of aquatic
invertebragatoand
conincompletely
pozze che periodicamente
si prosciugates
known types probably
of alvano,
dataindicates
la presenza
carice, of
(sia
pollinica
gal
origin
the di
presence
open
water che
ennei microresti),
di cisti di alghe
e di felci of
palustri.
vironments.
A discontinuous
occurrence
fungal
La datazione
degli suggests
strati torbosi
si può
avvalere
spores
and remains
frequent
fluctuations
di the
duewater
date depth
radiometriche
eseguite
al topofdegli
of
and periodic
emersions
the
strati (S2of10,42
m, 6890-6560
cal BP;
8,15 m,
bottom
the ponds
or marshes.
TheS1nutritive
Montagne e pianura.qxd
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17:48
Pagina 43
quality of the
6660-6320
cal water
BP) e preferred
del confronto
by the
biostratigraidentified
fico con or
species,
una
suggested
sequenzainradiodatata
literature for
a Ca’
the recogniFornerà
(VE)fossil
zed
nel basso
types,Piave
is typical
(in corso
of mainly
di studio).
eutrophic
Il riemto
pimento dellewaters,
mesotrophic
due valli
richpotrebbe
in cations.aver
These
avuto
results
inizio attorno
have
been compared
ai 10000 with
anni the
BP. results
Fino aofquesto
sedimenperiodo neiand
tological
sedimenti
stratigraphic
di entrambi
analysesi and
sondaggi
a model
non
of
si è osservata
peat
formation
alcuna
is presented
traccia di
(fig.
organismi
2).
che prediligono
Duringambienti
the LGM,
diinacqua
the Venetian
salata oPosalmastra,
plain wiquindi
de
and low-lying
si può supporre
areas between
che lathe
zona
fluvial
attorno
ridgesa
Concordia
were
periodically
non risentisse
inundated
ancora
by the
della
outcropping
risalita del
livello
of
the groundwater
marino.
table. Rich fens (reeds, sedges
andI brown
primi segni
mosses)
dell’influenza
developed delle
in these
acque
water-logmarine
sullaareas.
ged
vegetazione
The fluctuation
sono statiof
riscontrati
the waterinlevel,
sedimeninditi estratti
cated
by the
nel fossil
sondaggio
assemblages,
S3 (7,26-7,28
was due
m).toLavarialoro
datazione
tions
of thegeocronologica
underground water
tramite
table
analisi
depth:
del radio
a wacarbonio
ter
table below
e biostratigrafica
ground level (B
led
to dry surface
ONDESAN
et al.,
conditions.
These differences
in the
phreatic
level
2003) concordano
su un’età che
si aggira
attorno
probably
depended
effectiveness
ai 7190-6730
anni cal on
BP.the
Questi
sedimenti of
e il the
loaquifer
recharge
by seeping
water from
the fluvioro contenuto
fossile
rappresentano
la prima
tracglacial
river: low
falllaguna
and winter
rivernella
discia dellaPiave
formazione
della
di Caorle
charges
and/or migration of the active channel
zona di Concordia.
beltUna
several
kilometres
from themarina
locationcon
rebreve
fase di away
regressione
sulted
in a della
depression
of theè documentata
water table (general
emersione
superficie
da sein
the whole
megafan
in thestratigraficamente
first case, just localtra
in
dimenti
torbosi
correlati
the
Peat accumulation
in continuous
lalorosecond).
(S2 7,37-7,38
m e S1 6,05-6,07
m) deposti
yers
could
take place
where
organic
attorno
ai 4600
anni only
BP (S1
6,21the
m fen
4830-4410
deposition
onS1
theil alluvial
minerogenic
cal BP). Nelprevailed
sondaggio
sedimento
era sterisedimentation.
ThisS2was
possible
in sheltered
le, e nel sondaggio
povero.
Lo spettro
polliareas, away from the active river channels. The rapid vertical aggradation and high lateral mobility
of the active channel belts allowed short times for
the life of fens, probably in the order of 10-102
years. When the alluvial deposition overwhelmed
the organic one, the peat level was buried and incorporated in the stratigraphic record. The evidence of very short-lived fens derive from the
analysis of the alluvial chronostratigraphy, and is
consistent with the limited development of the
plant communities observed in the different studied cases, which did not complete the theoretical hydroseral development up to the formation of
raised bog, with the colonization of the wetlands
by acidophilous mosses and dwarf shrubs, or by
trees.
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caratterizzato
dalle piante
(50%
nia
Tron: nuovi contributi
dellaerbacee
geomorfologia,
poacee).
Localmente
prevalgono In:
le carici,
cui
della
geofisica
e del telerilevamento.
Busana,diM.S.,
si trovano
abbondanti
macroresti
altre
piante
Ghedini,
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acquatiche
acqua
dolce. Nessun
elemento
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sulla vegeta6vela
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Antiga, Cornuda,
109zione.
146.
Attorno ai 4600
BP P.
il querceto
è in dimiBONDESAN
A., anni
MOZZI
& CALDERONI
G.
nuzione.
Gli effetti
della presenza
umana
sulla
ve(2002)
- L’assetto
geomorfologico
della
pianura
veneta
getazione appaiono
chiaramente
di
centro-orientale,
stato delle
conoscenze e(aumento
nuovi dati. In:
piante erbacee
ruderali
e di“Scritti
pianteincoltivate
Varotto
M., Zunica
M. (Eds.),
ricordo dicome
Gioil noce)Brunetta”.
in sedimenti
più recenti
campionati
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raccolti
durante
le Fis.
campagne
scavo
archeologithe
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Dinam. di
Quat.
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co.FONTANA
Lo sfruttamento
del bosco
e in parA., MOZZI
P. a&latifoglie
BONDESAN
A.
ticolare- L’evoluzione
della quercia,
si intensifica
periodi
(2004)
geomorfologica
dellanei
pianura
vesuccessivi, come
è testimoniato
sia in sedimenti
di
neto-friulana.
In: Bondesan
A., Meneghel
M. (Eds.),
età protostorica
del sondaggio
S4 (4,24-4,26
m),
“Note
illustrative della
carta geomorfologica
della proche indisedimenti
età romana
secolo a.C.-III
vincia
Venezia”. di
Esedra,
Venezia,(I113-136.
secolo
d.C.)S.estratti
dal sondaggio
S2 (5,66-5,67
MAGRI
& BONDESAN
A. (2004)
- Le radiom). I primi
hanno
anche resti
datazioni
al 14C
nellaconservato
carta geomorfologica.
In:fungini
Bondeindicatori
di accumulo
materiali
organici
san,
A., Meneghel,
M. (Eds.),di“Note
illustrative
della
(escrementi
o rifiuti),
piccolissime
carta
geomorfologica
dellainvertebrati,
provincia di Venezia”.
Esevertebre,
ooteche
dra,
Venezia,
98-100.di vermi piatti, frammenti carbonificati
di legnoM.,
di frassino,
MARCHETTI
MOZZI segni
P. & inequivocabiRAVAZZI C.
li della -vicina
dell’abitato.
In the
età LGM
romana
(2004)
Large presenza
alluvial fans
active during
in
nelle
due foothills.
valli cheIn:
circondavano
città
di(Eds.),
Conthe
Alpine
Antonioli, F.,laVai,
G.B.
cordia si instaura
un ambiente paludoso
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Bologna, 39-40.
43
Montagne e pianura.qxd
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Pagina 44
Poster 5
PALEOAMBIENTI TARDO QUATERNARI NELLA BASSA PIANURA
FRIULANA: RICERCHE MULTIDISCIPLINARI NELL’AREA
DI CONCORDIA SAGITTARIA (VE)
Bondesan Aldino1, Asioli Alessandra2 , Favaretto Sonia1, Fontana Alessandro1, Gobbato Dino3,
Lubiani Alberto4, Miola Antonella5, Sostizzo Ismaele1, Toffoletto Federico6 & Valentini Gianna5
1
Dipartimento di Geografia «G. Morandini», Università di Padova, Via del Santo 26, 35123 Padova (Italy)
[email protected], [email protected]
2
CNR Istituto di Geoscienze e Georisorse - Padova, c/o Dipatimento di Geologia, Geofisica e Paleontologia, Viale
Europa, 35100 Padova (Italy) - [email protected], [email protected], [email protected]
3
Assessorato all’Archeologia, Comune di Concordia Sagittaria, Piazza Matteotti 19 - 30023 Concordia Sagittaria VE
(Italy)
4
Via Cavour 21, 30026 Portogruaro VE (Italy)
5
Dipartimento di Biologia, Università di Padova, Via Ugo Bassi 58/B - 35121 Padova (Italy) - [email protected],
[email protected]
6
Regione del Veneto, Direzione Geologia e Ciclo dell’acqua, Calle Priuli 99, Cannaregio - 30121 Venezia (Italy)
[email protected]
Nel quadro delle ricerche sull’evoluzione della
pianura veneto-friulana, rilevanti informazioni
stanno emergendo dall’area di Concordia Sagittaria (VE). Data l’importanza archeologica della cittadina, sito proto-urbano
d’epoca protostorica e città romana, gli studi sono
mirati anche alla comprensione delle relazioni esistenti tra ambiente e antico popolamento umano.
Nel 2003 sono stati effettuati 4 sondaggi a carotaggio continuo, rispettivamente presso il Sepolcreto delle milizie (S1, 20
m), la località Paludetto
(S2, 20 m), il teatro romano (S4, 50 m) e la località
San Gaetano di Caorle
(S3, 20 m).
Oltre alla descrizione
geo-sedimentologica, sulle
carote è stata condotta l’analisi paleobotanica (polline, sporomorfi non pollinici e macroresti) e quella
malacologia; su S1 si è effettuato anche lo studio
micropaleontologico.
1 - Localizzazione dell’area di ricerca e dei carotaggi.
FIGURA
44
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Pagina 45
FIGURA 2
Il quadro geologico si basa su informazioni
pregresse (Fontana, 2004) e sui dati raccolti grazie al nuovo rilevamento geologico.
Le ricerche sono finanziate nell’ambito del
Progetto «INTERREG IIIA-AAVEN 332065» e
del Progetto CARG - Regione del Veneto, Foglio
geologico n. 107 «Portogruaro».
I sedimenti più profondi finora esaminati (3639 m in S4) sono torbe formate in ambiente continentale con clima temperato fresco, verso il top
più freddo e secco. Si ipotizza che tali depositi si
siano formati in un periodo successivo all’Eemiano (MIS 5e), forse tra il MIS 5a e l’inizio del MIS
4.
Gli strati soprastanti sono soprattutto il risultato dell’aggradazione avvenuta durante il LGM
(MIS 2, 24.000-15.000 BP). In base a correlazioni biostratigrafiche e geocronologiche (Bondesan
et al., in questo volume) sono infatti riferibili a
questo periodo le torbe poste a 20 e 11 m in S4.
L’analisi pollinica testimonia una vegetazione di
tipo aperto, con carice e cannuccia, con vaste
aree umide alimentate da acque di falda; pozze
di modesta profondità ospitavano muschi bruni
acquatici (Scorpidium scorpioides Hedv.) e alghe.
I rari granuli pollinici di piante arboree corrispondono a Pinus mugo/P. sylvestris e Betula. A
11 m è stato osservato un aumento del pino, come già segnalato in pianura veneta per la fase finale del LGM (Miola et al., 2004). La superficie
su cui poi sorse il centro di Concordia è attribuibile a questo fase.
Con lo scioglimento del suo ghiacciaio, il Tagliamento venne caratterizzato a partire dal Tardiglaciale da una notevole fase erosiva. I sedimenti
deposti nel LGM vennero profondamente incisi e
si formarono le due valli ora percorse dai fiumi
Reghena e Lemene (Fontana, 2004) (Fig. 1). Le
bassure hanno riempimenti simili e si univano a
monte e a valle di Concordia, isolando così un ele45
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Pagina 46
vato terrazzo su cui poi sorgerà il sito archeologico. Il sondaggio S1 attraversa la sequenza della
valle presente a est di Concordia, S2 quella più occidentale.
Al fondo delle valli vi sono ghiaie sabbiose e
nella loro sequenza di disattivazione, in S2 (13,56
m) è testimoniata una vegetazione dominata dai
pini e priva di latifoglie (Pinus mugo/P. sylvestris
80% della somma del polline di piante terrestri),
che cresceva al di fuori delle valli. In base a confronti biostratigrafici con l’area del Basso Piave
(Miola et al., 2004) e del Cansiglio (Avigliano et
al., 2000), si ipotizza che il fiume abbia abbandonato le valli nella prima parte del Tardiglaciale. Le due profonde bassure furono poi occupate da ambienti con acque stagnanti, con formazione di circa 1 m di torbe. Nelle associazioni
polliniche è evidenziata la regressione dei pini, la
comparsa dell’abete rosso e del larice e quindi
l’avanzare del bosco a latifoglie, che prevale sulla vegetazione erbacea solo al top dell’intervallo.
La trasgressione flandriana ha sfruttato le
bassure spingendo le acque salmastre fino a Portogruaro e creando quindi dei tidal inlets confinati entro depositi LGM (Fontana, 2004). Al
tetto delle torbe infatti è presente una sequenza
di argille e limi di ambiente lagunare con numerosi resti di Cerastoderma e Loripes che è perdurata fino all’inizio dell’epoca romana. Nelle due
valli la base di questi sedimenti ha fornito una
datazione compresa tra 7000-6300 cal. BP. Un’età quasi coincidente è stata riscontrata alla base
della sequenza lagunare intercettata a 7,28 m in
S3. Questo sito non si trova in un’incisione fluviale e i depositi lagunari poggiano quasi a contatto della superficie LGM. Entro le bassure sono documentate delle fasi con maggior influenza di acque dolci, in particolare a 7,3 m in S2 e
a 6,2 in S1, con la deposizione di torbe prive
d’influenza lagunare, datate in S1 a circa 4600
cal. BP.
Gli effetti della presenza umana sulla vegetazione appaiono chiaramente in S3 (2,74 m) in
sedimenti probabilmente attribuibili alle fasi finali del Bronzo (XV-XI sec. a.C). Lo sfruttamento del bosco a latifoglie e in particolare della quercia, si intensifica nei periodi successivi,
come è testimoniato sia in sedimenti di età protostorica in S4 (4,25 m), che in sedimenti di età
romana (I sec. a.C.-III sec. d.C.) in S2 (5,66 m).
In età romana nelle due valli che circondavano
Concordia si instaura un ambiente paludoso con
canneti, probabilmente ai margini di corsi di risorgiva.
46
Tra VI e VIII secolo il Tagliamento ha riutilizzato la direzione lungo il Lemene e con le sue alluvioni ha colmato definitivamente il tratto terminale delle due antiche valli, seppellendo vaste aree
archeologiche di Concordia.
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47
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Pagina 48
Poster 6
ASSETTO IDROGEOMORFOLOGICO DELLA VAL MERULA (SV):
ASPETTI EVOLUTIVI
Boni Paolo, Pellegrini Luisa & Peloso Gianfrancesco
Università degli Studi di Pavia, Dipartimento di Scienze della Terra, Via Ferrata 1, 27100 Pavia (Italy)
[email protected], [email protected], [email protected]
Nelle Alpi Liguri, nella zona costiera savonese,
il T. Merula presenta un tracciato ed una valle dallo spettacolare andamento arcuato (fig. 1), con caratteristiche idrologiche del tutto peculiari. Tali
caratteristiche hanno portato gli scriventi a ricercare un’eventuale relazione fra l’andamento della
valle, il tracciato fluviale e l’evoluzione geologicostrutturale dell’area. Infatti, la valle si trova in una
regione di importanti dislocazioni tettoniche occupando la porzione orientale della serie del
Flysch ad Elmintoidi s.l., ove la serie di Sanremo
sovrasta tettonicamente la serie di Moglio-Testico
che, a sua volta ricopre la serie di Borghetto d’Arroscia (BONI & VANOSSI, 1972). In prima analisi
sembrerebbe verosimile ricondurre l’andamento
ad arco della valle alla sopracitata dislocazione
(sovrascorrimento della serie di Sanremo sulla serie di Testico) anche se, in realtà, il corso d’acqua,
nella sua parte terminale compie una brusca deviazione verso sud, andando a tagliare le citate
strutture.
Pertanto è assai significativo poter stabilire se
il corso d’acqua attuale conservi il tracciato iniziale oppure se esso sia frutto di una progressiva deviazione durante la sua evoluzione e, in quest’ultimo caso, andarne a ricercare le cause e, possibilmente, definirne i momenti salienti, a partire, almeno, dal Pliocene.
Sulla base dell’analisi dei lembi pliocenici liguri (BONI P. et al, 1976) emerge che quelli di Andora si trovano, a differenza degli altri affioramenti nei bacini limitrofi, in una posizione che poco
si discosta da quella originaria di sedimentazione.
Si può pertanto ipotizzare che l’ingressione marina pliocenica interessasse solamente l’ampia depressione che attualmente è occupata dal tratto
terminale del T. Merula, lasciando emersa buona
parte dell’attuale valle. Il bacino di sedimentazione pliocenica sarebbe stato chiuso, a ponente, dai
rilievi che si elevano a N di Capo Cervo e, a levante, della dorsale semisommersa di Capo Mele.
Inoltre, occorre considerare che i depositi del
48
Pliocene sono presenti soltanto sul versante idrografico destro della Val Merula.
Le condizioni giaciturali dei vari depositi
pliocenici della Liguria occidentale, unitamente
alle analisi di neotettonica (BONI, 1986, cum biblio) e alle considerazioni di geodinamica marina (CORRADI et al., 1984), portano a pensare che
tali depositi abbiano subito deformazioni e spinte differenziate. Detti fenomeni sarebbero accompagnati da una doppia serie di faglie, per lo
più sub-verticali, una orientata all’incirca perpendicolarmente all’attuale linea di costa e l’altra con direzione ortogonale alla precedente.
Sembrerebbe verosimile che la costa ligure, perlomeno nella zona compresa tra San Lorenzo al
Mare (7 km a SO di Imperia) ed Andora, sia divisa in blocchi, ciascuno dei quali si è mosso in
maniera sufficientemente indipendente da quelli adiacenti, in forza del doppio sistema di faglie
su menzionato.
Non trascurabile è la segnalazione, nelle carte
oceanografiche, di un canyon sottomarino (fig. 1),
posizionato nei pressi di Laigueglia, a oriente di
Capo Mele; tale rilievo costituisce lo spartiacque
sinistro del tratto terminale del T. Merula. Questo
canyon si trova all’incirca in corrispondenza del
prolungamento a mare del sovrascorrimento che
separa il Flysch ad Elmintoidi dalla serie di Moglio-Testico.
In questo contesto occorre tener conto del fatto che l’apertura dei bacini pliocenici è la conseguenza della rotazione antioraria degli assi delle
strutture, da mettere in relazione con lo sfenocasma ligure che avrebbe portato il massiccio sardocorso ad occupare la posizione attuale. Significativo è il fatto che tale rotazione si sia protratta, sia
pure con modalità differenti, fino all’attuale (VANOSSI et al., 1994).
Inoltre, le ricerche di neotettonica nell’area
(BONI et al., 1981) hanno evidenziato la presenza
di due faglie trascorrenti sinistre ortogonali alla linea di costa: una, con direzione circa ESE-ONO,
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FIGURA 1 - Modello del terreno della Val Merula e dell’area circostante. 1 – orlo di sovrascorrimento, a) localmente faglia
verticale; 2 – lineamenti morfotettonici che individuano i tre settori della valle; 3 – ubicazione della zona investigata.
impostata lungo il canyon di Laigueglia (linea Cesio-Laigueglia) e l’altra, con direzione circa SSENNO, allungata grossomodo come la parte terminale dell’asta del T. Merula.
Per un corretto e completo esame, accanto ai
dati geologici, strutturali e neotettonici, si è ritenuto di svolgere approfondite analisi a carattere
geografico-fisico sul Torrente Merula e sulla sua
valle, utilizzando anche le metodiche GIS. Sono
stati considerati molteplici parametri da quelli climatici a quelli idrologici, a quelli geomorfici a
quelli morfostrutturali, che hanno, alla fine, permesso di riconoscere tre distinti settori del bacino
(fig. 1). Il primo e il secondo di tali settori risulterebbero separati l’uno dall’altro da elementi tettonici lineari, riconducibili a faglie sub-verticali,
grossomodo ortogonali al corso d’acqua. che hanno conferito complessivamente l’aspetto ad arco
della valle. Tali elementi lineari sono caratterizzati da notevoli evidenze morfotettoniche. Il terzo
settore, corrisponde al tratto terminale del bacino,
nel quale il torrente è caratterizzato da un netto
cambiamento di direzione (da ONO - ESE a
NNO - SSE circa).
Appare assai verosimile, pertanto, che il torrente in studio abbia modificato via via il suo tracciato. Sulla base delle argomentazioni suesposte
viene qui di seguito proposta, sia pure in modo
schematico, la successione degli eventi che hanno
determinato l’evolversi dell’area.
– La ricostruzione deve tener conto della presenza dell’importante sovrascorrimento che separa
il Flysch ad Elmintoidi dalla serie di Moglio-Testico e che, in una prima fase, doveva essere allineato con il canyon di Laigueglia, determinando un primitivo deflusso verso mare (paleo-Merula).
– Successivamente, l’apertura dei bacini pliocenici è accompagnata da una rotazione della zona
di Laigueglia-Capo Mele, che porta allo sfasa49
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mento tra l’asse del canyon e l’andamento del
sovrascorrimento.
– Una fase tettonica di sollevamento (auctorum)
tardo-pliocenica porta all’emersione di tutta l’area in esame e all’instaurarsi di un reticolato
idrografico paragonabile all’attuale.
– Il T. Merula si sviluppa, in questa fase, lungo
l’allineamento Cesio-Laigueglia, con sbocco tra
Laigueglia ed Alassio. L’andamento circa O-E
del tracciato fluviale del primo settore ne sarebbe la testimonianza.
– In un momento successivo, l’attività della fascia
di deformazione, alla quale si accompagnano sistemi di faglie e/o fratture, individuata da BONI
A. et al. (1981), delinea una primitiva curvatura del tracciato idrografico, riscontrabile nel secondo settore.
– Nella fase seguente si assiste alla netta deviazione verso SSE del tratto terminale del torrente,
la quale sarebbe da imputare alla faglia trascorrente sinistra diretta SSE-NNO per la quale è
stata determinata un’attività recente (BONI et
al., 1981). Piegando decisamente verso meridione, il torrente si è creato uno sbocco ad occidente di Capo Mele, formando un’ampia piana che
attualmente corrisponde alla piana alluvionale
di Andora.
In conclusione, il tracciato del T. Merula, nella sua forma attuale, rappresenta la risposta dell’i-
50
drografia all’evoluzione tettonica dell’area, evoluzione che, sulla base dell’analisi geomorfologica,
sembrerebbe ancora in atto.
Bibliografia
BONI A.& VANOSSI M. (1972), Carta geologica dei terreni compresi tra il Brianzonese Ligure s.l. e il Flysch
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Marittime Alps arc in the Ligurian and Tyrrhenian
systems, Tectonophysics, 230, 75-89.
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Poster 7
UN ESEMPIO DI CARTOGRAFIA GEOMORFOLOGICO-AMBIENTALE
NEL PARCO DI PORTOFINO (LIGURIA)
Brandolini Pierluigi1, Faccini Francesco1, Piccazzo Mauro2,
Robbiano Andrea3, Olivari Francesco3 & Canepa Giacomo3
1
Università degli Studi di Genova, Dipartimento di Scienze dell’Ambiente, dell’Antichità e del Medioevo, Via Balbi
2, 16126 Genova (Italy) - [email protected]
2
Università degli Studi di Genova, Dipartimento per lo Studio del Territorio e delle sue Risorse, corso Europa 26,
16132 Genova (Italy) - [email protected]
3
Geologo libero professionista, corso Garibaldi 58, 16043 Chiavari Genova (Italy) - [email protected]
Il Promontorio di Portofino, con una superficie di 18 km2 ed uno sviluppo costiero di 13 km,
presenta emergenze paesaggistiche, naturalistiche
ed ambientali di enorme pregio e il suo ambito
terrestre, la cui zona protetta risale alla Legge n°
1251/1935, è compreso nell’omonimo Parco Regionale, mentre l’Area Marina è stata definita con
la Legge n° 979/1982.
L’insediamento di San Fruttuoso, al centro del
Promontorio e raggiungibile via mare o con percorsi pedonali, rappresenta
una delle emergenze più caratteristiche del Parco, in
quanto unisce all’elevato
pregio storico-architettonico del borgo un incomparabile valore naturalistico.
I settori di versante sono attraversati dai noti sentieri provenienti da Camogli, da Portofino e da San
FIGURA 1 - Carta geomorfologicoambientale della Baia di San Fruttuoso. Legenda: 1 - deposito di
spiaggia (ghiaia e ciottoli); 2 scarpata d’erosione marina (falesia attiva); 3 - roccia denudata con
fenomeni di macrofessurazione; 4
- roccia affiorante o subaffiorante
(Conglomerato oligocenico); 5 deposito alluvionale e gravitativo
(debris flow); 6 - riporto (molo
d’attracco); 7 - faglia o lineazione
tettonica; 8 - frana per crollo, in
mare; 9 - scarpata d’origine marina, attiva, con direzione dei crolli; 10 - scarpata d’origine gravitativa, attiva, con direzione degli accumuli; 11 - orlo (a) e radice (b) di
terrazzo d’origine marina; 12 - linea di riva precedente l’evento alluvionale del 1915; 13 - alveo con
tendenza all’approfondimento, sede di potenziale debris flow; 14 sentiero escursionistico; 15 - nucleo abitativo.
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FIGURA 2 - Carta morfo-sedimentologica della Baia di San Fruttuoso. Legenda: 1 - blocchi da frana
per crollo, su fondale in roccia; 2 fondale in roccia, con acclività superiore a 60%; 3 - fondale in roccia, con acclività inferiore a 60% e
presenza più o meno abbondante
di blocchi; 4 - fondale in roccia,
con acclività inferiore a 60% e copertura di sabbia; 5 - sabbia prevalente con ghiaia, ciottoli e resti coralligeni; 6 - ghiaia prevalente con
sabbia, ciottoli e resti coralligeni; 7
- sabbia fine e limo.
Rocco, alcuni dei quali presentano anche passaggi escursionistici non facili e i fondali della baia
sono altrettanto conosciuti non solo perché ospitano la statua del «Cristo degli Abissi» ma soprattutto perché, a causa dell’assetto geologicostrutturale e delle caratteristiche geomorfologiche del Promontorio, consentono osservazioni
ecologico-ambientali incomparabili.
I rilevamenti condotti hanno consentito di elaborare due carte, una di carattere geomorfologico-ambientale, relativa ai versanti, ed una morfosedimentologica, dedicata all’ambiente subacqueo.
Il settore costiero esaminato è compreso tra
Punta Torretta e Punta Carega, distanti circa 1 km
e con geometria grossolanamente triangolare; la
morfologia della baia è articolata in due piccole
insenature, separate dal crinale secondario da cui
emerge la Torre cinquecentesca: il nucleo principale, dove sorge l’Abbazia Benedettina del X secolo, è posto allo sbocco del Vallone dei Fontanini, mentre un abitato minore è situato più a levante, dove sfocia il Fosso di San Fruttuoso.
I versanti si presentano caratterizzati da roc52
cia affiorante (Conglomerato
oligocenico) o subaffiorante,
con arbusti o vegetazione rupestre e solo in subordine da
Pinete e Leccete, mentre sulla costa sono presenti falesie attive. In corrispondenza
dello sbocco dei due brevi
torrenti si osservano due
modeste spiagge ciottolose,
molto frequentate in periodo estivo, che hanno subito
un consistente ripascimento
a seguito del disastroso
evento alluvionale del 1915,
ascrivibile ad un debris flow; attualmente queste
pocket beaches, con una traversia principale rappresentata dai mari di Libeccio, risultano abbastanza stabili. In corrispondenza dell’eliporto ed
alle spalle del borgo si osservano anche due terrazzi d’origine marina.
Nella zona indagata l’impatto antropico appare molto ridotto: oltre ai pochi edifici, si nota
soltanto il molo artificiale d’attracco; i terrazzamenti dedicati all’olivicoltura sono limitati ai
versanti immediatamente retrostanti il nucleo
abitato.
L’analisi morfo-batimetrica e sedimentologica
del fondale della baia ha permesso di constatare
differenze tra la granulometria della spiaggia
emersa e quella della zona sommersa, dove è presente anche sedimento più fine. Il profilo degrada rapidamente dalla battigia fino a –10 m lungo
la falesia interessata da diffusi fenomeni di crollo.
Tra le isobate –10 m e –40 m il fondale è caratterizzato da sabbia, in subordine ghiaia, mentre oltre 40 m di profondità, dopo una fascia di sabbia,
da grossolana a fine, inizia una distesa di limo sabbioso.
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Bibliografia
BRANDOLINI P. (1991), Osservazioni sul Promontorio di
Portofino nell’ambito dei «sistemi di aree di interesse naturalistico-ambientale» in Liguria. Studi e Ricerche di Geografia, XIV, fasc. 2, pp. 121-137.
CEVASCO A., FACCINI F., NOSENGO S., OLIVARI F. &
ROBBIANO A. (2004), Valutazioni sull’uso delle classificazioni geomeccaniche nell’analisi della stabilità
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DE STEFANIS A., MARINI M., TERRANOVA R. (1984),
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C.N.R. «Progetto finalizzato alla conservazione del
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FACCINI F., BRANDOLINI P., OLIVARI F. & ROBBIANO A.
(2004), Geoturismo e cavità artificiali lungo il tracciato dell’acquedotto delle Caselle (Parco di Portofino). Atti 2° Convegno di geologia e turismo «La
geologia per il turismo sostenibile: valorizzazione,
esempi ed opportunità», Bologna.
TERRANOVA R. (1995), Guida all’escursione geografica
in mare da Genova a Portofino, a Chiavari e a San
Salvatore dei Fieschi. Atti del convegno in onore di
Domenico Ruocco, Genova 5-6 maggio 1994, Ed.
Loffredo, Napoli, 107-158.
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Poster 8
DISSESTI GEOMORFOLOGICI, EVENTI ALLUVIONALI
ED INSEDIAMENTI UMANI: IL CASO DI TRIBOGNA
IN VAL FONTANABUONA (APPENNINO LIGURE)
Brandolini Pierluigi1, Faccini Francesco, Nicchia P. & Terranova R.
1
Università degli Studi di Genova, DISAM, Dipartimento di Scienze dell’Ambiente, dell’Antichità e del Medioevo,
Sezione di Scienze Geografiche, Via Balbi 2, 16126 Genova (Italy) - [email protected]
Il territorio del comune di Tribogna e i suoi dintorni, nell’Appennino ligure,sono stati interessati
da numerosi fenomeni franosi in concomitanza all’evento alluvionale del 6 novembre 2000. In particolare, è stato studiato il dissesto di versante in
località Aveno-Geppotti, attraverso un rilevamento geologico e geomorfologico di dettaglio dell’area e di un adeguato intorno,realizzando una carta geomorfologica e due sezioni geologiche interpretative. Contemporaneamente è stata condotta
un’analisi approfondita dei dati pluviometrici disponibili nella zona investigata. Sono state effettuate prospezioni sismiche a rifrazione, che hanno evidenziato la presenza di una coltre detritica di spes-
54
sore fino a 8 m ed un substrato roccioso ardesiaco
molto alterato. Prove geotecniche di laboratorio su
campioni di terreno sciolto prelevato nell’area di
frana hanno permesso di definire il livello più superficiale come limo di media compressibilita
(ML). La frana è di tipo complesso (movimento
rototraslativo nella porzione superiore e colata in
terra nei settori mediano e terminale) ed ha interessato il terreno sciolto terrazzato ed un potente
spessore di roccia ardesiaca alterata e fratturata. Il
movimento franoso ha interessato alcuni tornanti
della strada d’accesso all’abitato di Aveno-Geppotti, coinvolgendo alcuni edifici sia nella zona di distacco sia di accumulo.
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Poster 9
PERICOLOSITÀ GEOMORFOLOGICA IN RAPPORTO
ALLA FRUIZIONE TURISTICA - GRUPPO DI LAVORO AIGEO
Brandolini Pierluigi1, Pelfini Manuela2 & Piccazzo Mauro3
1
Università degli Studi di Genova, DISAM, Dipartimento di Scienze dell’Ambiente, dell’Antichità e del Medioevo,
Sezione di Scienze Geografiche, Via Balbi 2, 16126 Genova (Italy) - [email protected]
2
Università degli Studi di Milano, Dipartimento di Scienze della terra «Ardito Desio», Via Mangiagalli 34, 20133 Milano (Italy) - [email protected]
3
Università degli Studi di Genova, Dipartimento di Scienze della Terra, Corso Europa 26,16132 Genova (Italy)
[email protected]
Il paesaggio naturale è attualmente in fase di
veloce ed intensa trasformazione sia a causa delle
attività antropiche sia per la sua rapida risposta, in
alcune aree sensibili, alle variazioni climatiche in
atto; entrambi questi aspetti possono portare ad
un aumento delle pericolosità naturali e/o indotte dall’uomo. In tale situazione la continua espansione delle attività ludiche all’aria aperta ha portato sia alla ricerca di nuovi e più ampi spazi per
il loro svolgimento sia ad un generalizzato aumento del carico turistico, con espansione in aree sempre più fragili. Ne deriva pertanto la scoperta e la
frequentazione, da parte di un numero sempre
maggiore di persone non solo di aree soggette a
pericolosità in atto da tempo ma anche di aree dove queste pericolosità sono in fase di incremento;
inoltre la maggiore accessibilità di numerose aree,
resa possibile dagli impianti di risalita in montagna e dalla sempre maggiore disponibilità di mezzi natanti in mare, ne permette la fruizione anche
ad un pubblico non adeguatamente preparato,
senza trascurare il fatto che le diverse mode hanno portato ad un approccio a volte meno meditato nei confronti dell’ambiente naturale.
La variabilità climatica, e quella meteorologica
ad essa associata, giocano anch’esse un ruolo importante sia nell’incremento della pericolosità
geomorfologica ed ambientale, (ad esempio innesco di debris flow, valanghe) sia della vulnerabilità della componente umana, più difficile da identificare ma non meno importante (ad esempio
presenza di sentieri scivolosi, perdita di orientamento, peggioramento delle condizioni fisiche in
caso di maltempo o di elevata temperatura ed
umidità).
La pericolosità geomorfologica può quindi trasformarsi in un rischio, se si tiene conto della crescente frequentazione persino in aree remote: per
quanto riguarda l’ambiente di montagna si è veri-
ficato un enorme ampliamento del numero dei
frequentatori in aree prima considerate inaccessibili, con numerosi sport praticati fino alle alte
quote: in questi ultimi anni si sono molto sviluppati sia lo sci alpinismo sia le escursioni invernali,
con conseguente aumento del rischio da valanga.
Analogamente in ambiente costiero la frequentazione turistica escursionistica e/o balneare si spinge oggi in zone geomorfologicamente pericolose.
In molti ambienti inoltre il richiamo turistico a
volte è dato proprio dal rischio geomorfologico,
visto come scenario di confronto dell’uomo con la
natura. Pertanto le aree soggette a pericolosità
geomorfologiche o in grado di arrecare danni ai
fruitori sono sempre più frequentate dai praticanti degli sport estremi: torrenti montani impetuosi
e incassati (canoismo, torrentismo…), grotte (speleologia), pareti rocciose (arrampicata sportiva),
versanti ripidi e soleggiati (parapendio), cascate di
ghiaccio ecc.
Ne deriva l’importanza fondamentale del censimento delle pericolosità naturali ed indotte dall’uomo ed il loro monitoraggio, tenendo conto
che la pericolosità può da un lato aumentare a
causa dell’intensificarsi di alcuni fenomeni naturali e dall’altro può portare e diverse reazioni da
parte dell’utente in rapporto alle sue caratteristiche fisico-tecnico-culturali (conoscenza del fenomeno, abilità, allenamento, attrezzatura ecc.).
Questi sarà di conseguenza esposto ad una vulnerabilità maggiore o minore rispetto all’evento naturale, con conseguente variazione del grado di rischio (esempio: sentiero molto frequentato, ripido e a strapiombo, interessato da precipitazione
con conseguente aumento della scivolosità: il rischio conseguente sarà inversamente proporzionale al grado di conoscenza, di preparazione ed alla adeguata attrezzatura del frequentatore).
Queste premesse hanno portato alla costituzio55
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ne di un gruppo di lavoro in ambito AIGEO che
ha come obiettivo principale la realizzazione di un
modello per la catalogazione delle pericolosità naturali e degli elementi di vulnerabilità connessi alla frequentazione turistica, da sperimentare in
aree campione ed estendibile a tutti gli ambienti
naturali. Il modello mira alla definizione dei possibili scenari di rischio geomorfologico in aree turistiche, basato sul censimento e la quantificazione della pericolosità geomorfologica e della vulnerabilità, che possa essere di supporto alla gestione
ed alla programmazione territoriale e possa essere applicato nei diversi ambienti.
L’analisi delle pericolosità in rapporto alla frequentazione turistica otterrebbe, come risultati,
da un lato un approfondimento delle conoscenze
con la determinazione di un grado di pericolosità
riferito al fenomeno naturale in relazione alla tipologia di frequentazione (vulnerabilità) e dall’altro
un maggior grado di informazione: ciò si tradurrebbe in una maggiore garanzia di sicurezza per il
turista in quanto la conoscenza dei fenomeni potenzialmente dannosi permette di mitigare il rischio.
Bibliografia
BRANDOLINI P., MOTTA M., PAMBIANCHI G., PELFINI
M. & PICCAZZO M. (2004) - How to assess geomor-
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phological risk in tourist areas. 32 I.G.U., Firenze,
20-28 agosto 2004, Abstracts 1, 29.
BRANDOLINI P., MOTTA M., PAMBIANCHI G., PELFINI
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DEL MONTE M., FREDI P., LUPIA PALMIERI E. & MARINI R. (2002) - Contribution of quantitative geomorphic analysis to the evaluation of geomorphological
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DIOLAIUTI G., D’AGATA C., PAVAN M., VASSENA G.,
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PE L F I N I M., CO D A Z Z A V., SM I R A G L I A C., DI OL A I U T I G. & SA N T I L L I M. (2003) – Incremento
della pericolosità geomorfologica in rapporto alla deglaciazione in atto: alcuni esempi dall’Alta Valtellina. FIST GEOITALIA 2003.
TERRANOVA R., FIRPO M. & BRANDOLINI P. (eds.)
(2004, in corso di stampa) - Valorizzazione turistica dello spazio fisico come via alla salvaguardia ambientale. Collana «Geografia e organizzazione
dello sviluppo territoriale», Pàtron Editore, Bologna.
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Poster 10
LE VARIAZIONI FRONTALI ED AREALI RECENTI
DEL GHIACCIAIO GRANDE DI VERRA (MONTE ROSA)
Carnielli Teresa
Università degli Studi di Milano, Dipartimento di Scienze della Terra «Ardito Desio», Via Mangiagalli 34, I-20133 Milano (Italy) - [email protected]
Nel lavoro vengono ricostruite le variazioni recenti del Ghiacciaio Grande di Verra (Valle d’Aosta)con un approccio multidisciplinare. La prima
fase del lavoro ha comportato un’indagine bibliografica su documentazioni storiche sia di tipo qualitativo (rappresentazioni iconografiche) che di tipo quantitativo (dati sulle variazioni frontali,confronti cartografici). Fra il 1913 e il 2001 il ghiacciaio è arretrato di 816 m, ma il dato è reso
impreciso da alcune lacune della serie storica, per
colmare le quali si è ricorso a metodi statistici;si
sono correlati i dati disponibili del Ghiacciaio di
Verra con quelli del Ghiacciaio del Lys e con i dati meteorologici della stazione del Gabiet. In entrambi i casi il coefficiente di correlazione non è
risultato molto elevato; si è comunque utilizzata la
retta interpolante dei due ghiacciai per ricostruire i dati mancanti. Si è così calcolato che tra il
1913 e il 1921 il ghiacciaio sarebbe avanzato di 78
m, mentre tra il 1975 e 1985 la variazione frontale sarebbe stata di 16 m. Con i dati ricostruiti, l’arretramento totale del ghiacciaio è stato calcolato
in 885 m. Dall’analisi delle variazioni areali effettuate mediante il confronto di cartografia storica
in ambiente GIS è emerso che dalla Piccola Età
Glaciale al 2001 la riduzione areale è pari a ha 300
(corrispondenti al 31%della superficie iniziale);
tale riduzione non si è manifestata in modo lineare nel tempo,ma risulta particolarmente intensa
tra il 1934 e il 1956 (ha 2,1 come media annua),diminuisce tra il 1975 e il 1991 (ha 0,73),per poi riprendere in modo più accentuato tra il 1991 e il
2002 (ha 2,4). Alcune tracce di questa dinamica
glaciale sono state ritrovate anche sul terreno dove nell’area proglaciale si sono rinvenute morene
della seconda metà del XX secolo. L ’elaborazione dei dati della stazione del Lago Gabiet ha permesso di attribuire le cause della piccola fase di
espansione 1975-1985 ad un aumento delle precipitazioni che raggiungono i valori massimi il tra il
1976 e il 1979 con uno scarto medio di 244 mm
(+44%)rispetto al periodo 1928-1994, e ad una riduzione delle temperature estive tra il 1973 e 1984
(scarto medio di –1 °C).
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Poster 11
IL BILANCIO DI MASSA DEI GHIACCIAI DOLOMITICI
AD ALIMENTAZIONE MISTA: IL CASO DEL GHIACCIAIO D’AGOLA
(DOLOMITI DI BRENTA, TRENTINO)
Carturan Luca1,2, Seppi Roberto1,3, Bezzi Roberto1 & Paoli Andrea1
1
Comitato Glaciologico Trentino SAT, Via Manci 57, 38100 Trento (Italy) - [email protected]
Università degli Studi di Padova, Dipartimento Territorio e Sistemi Agro-Forestali, viale dell’Università 16, 35020 Legnaro PD (Italy).
3
Museo Tridentino di Scienze Naturali, Via Calepina 14, 38100 Trento & Università degli Studi di Pavia, Dipartimento di Scienze della Terra, Via Ferrata 1, 27100 Pavia (Italy) - [email protected]
2
Il Ghiacciaio d’Agola è situato nel settore meridionale delle Dolomiti di Brenta. Con una superficie di 22,5 ettari è l’apparato più esteso del
gruppo montuoso (BOMBARDA & PARISI, 1997). Si
tratta di un ghiacciaio montano di circo compreso fra 2600 e 2900 m di quota, esposto prevalentemente a NW e circondato da pareti dolomitiche
sub-verticali (fig. 1).
La morfologia locale agisce in modo determinante sulle dinamiche di accumulo e di ablazione,
in analogia con quanto avviene nella maggior parte dei ghiacciai di circo ad alimentazione mista si-
tuati in ambiente dolomitico (ZANON, 1990). La
distribuzione spaziale degli accumuli nevosi risente fortemente dell’azione delle valanghe che sono
in grado di redistribuire il manto nevoso su quasi
tutta la superficie del ghiacciaio, influenzando di
conseguenza il bilancio di massa (DEL LONGO et
al, 2001; MOTTA & MOTTA, 1997).
Lo studio dettagliato dei processi di superficie
sul Ghiacciaio d’Agola, unitamente a quello delle
condizioni climatiche al contorno, è finalizzato alla comprensione del comportamento di questo tipo di ghiacciai nell’attuale fase climatica.
FIGURA 1 - Il Ghiacciaio d’Agola (29 agosto 2004, foto R. Bombarda)..
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FIGURA 2 - Ghiacciaio d’Agola: bilancio di massa della stagione 2003 – 2004 (in m we) e posizione delle paline di ablazione.
Il bilancio di massa viene determinato con il metodo glaciologico diretto (BRUGMAN & OSTREM,
1991), utilizzando una rete di monitoraggio particolarmente fitta. L’ablazione è misurata su 29 paline, mentre l’accumulo è determinato effettuando
una media di 110 sondaggi di spessore e una trincea di densità. L’adozione di un così alto numero
di punti di misura è resa necessaria dall’elevata variabilità spaziale dell’accumulo nevoso e dell’attitudine energetica del ghiacciaio. I dati nivo-meteorologici raccolti dalle stazioni locali e i dati di temperatura dell’aria registrati da un datalogger situato alla quota della fronte (2600 m), sono utilizzati
per l’interpretazione dell’andamento annuale del
bilancio.
I risultati delle tre campagne di rilevazione fino ad ora svolte confermano l’attuale tendenza ad
una forte riduzione volumetrica, dovuta soprattutto all’aumentata intensità dell’ablazione estiva.
L’annata di bilancio 2001-2002 ha visto un
considerevole deficit negli accumuli invernali e
una prima parte della stagione estiva particolarmente calda. Il bilancio del primo anno è risultato quindi negativo con una perdita di massa pari
a 1350 mm we. L’anno idrologico 2002–2003, nella norma per quanto riguarda gli accumuli, è stato caratterizzato da un’estate particolarmente calda che ha determinato tassi di ablazione eccezionalmente elevati e una consistente perdita di massa (–2100 mm we). L’anomalia termica positiva
presso la stazione meteorologica di Prà Rodont
(situata a 1530 m s.l.m. a valle del ghiacciaio), e relativa al quadrimestre estivo, è risultata pari a
+2,2 °C rispetto al valore medio registrati negli ultimi 26 anni.
La stagione 2003-2004, caratterizzata da accumuli sopra la media e da un periodo di ablazione
molto prolungato, si è chiusa con un bilancio meno negativo degli anni precedenti e pari a –590
mm we (fig. 2). L’ultimo anno di bilancio ha consentito di quantificare l’importanza di precipitazioni invernali abbondanti e concentrate sul
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ghiacciaio dalle valanghe, nonché il ruolo della
protezione orografica nell’ultima parte della stagione di ablazione.
Lo studio dettagliato del bilancio di massa del
Ghiacciaio d’Agola ha messo in evidenza l’importanza dell’evoluzione della stagione invernale per
ghiacciai di questo tipo, soprattutto per quanto riguarda frequenza, intensità ed abbondanza delle
precipitazioni nevose. Stagioni invernali con apporti nevosi concentrati in pochi intensi eventi sono da considerare sfavorevoli ai fini dell’alimentazione del ghiacciaio, a causa della sua attuale morfologia. In questi casi, infatti, l’attività valanghiva
asporta gran parte dell’accumulo dalle porzioni
superiori, più ripide e protette orograficamente,
alle zone sottostanti, meno acclivi e maggiormente esposte alla radiazione solare. Talvolta una consistente parte della neve viene trasferita a valle della fronte, determinando una perdita di massa già
in stagione di accumulo (stagione 2001-2002). Un
numero elevato di eventi nevosi di intensità debole o moderata e ravvicinati nel tempo (inverno
2003-2004), consentono invece il costante scaricamento di piccole valanghe nei settori superiori del
ghiacciaio, dove la neve può conservarsi più a lungo durante l’estate.
60
Bibliografia
BOMBARDA R., & PARISI B. (1997), I ghiacciai (vedrette) delle Dolomiti di Brenta: centotrent’anni di frequentazione e osservazioni. Geogr. Fis. Dinam.
Quat., 20, 299-304.
BRUGMAN M., OSTREM G., (1991), Glacier mass-balance measurements – A manual for fied and office
work. National Hydrology Research Institute, Canada, 224 pp.
DEL LONGO M. FINZI E., GALGARO A., GODIO A.,
LUCCHETTA A., PELLEGRINI G. B. & ZAMBRANO R.
(2001), Responses of the val d’Arcia small dolomitic
glacier (Mount Pelmo, Eastern Alps) to recent climatic changes, geomorphological and geophysical
study. Geogr. Fis. Dinam. Quat., 24, 43-55.
HAEBERLI W. (1990), Glacier and permafrost signal of
20th-century warming. Ann. of Glac., 99-101.
MCCLUNG D., SCHAERER D. (1996), Manuale delle valanghe, edizione italiana a cura di Giovanni Peretti. Zanichelli, Bologna.
MOTTA L. & MOTTA M., (1997), Ice structures and
dynamics of the Jumeaux glacier, Valtournanche,
Aosta valley, Italy. Geogr. Fis. Dinam. Quat., 20,
315-320.
ZANON G. (1990), I ghiacciai del Veneto. Canova, Treviso, 76 pp.
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Poster 12
THE STUDY OF RELICT FORMS FOR THE RECONSTRUCTION
OF PAST PERIGLACIAL ENVIRONMENTS
IN THE ITALIAN MOUNTAIN CHAINS
AIGeo Working Group (Italy) «Past distribution of the periglacial environment
in the Italian mountain chains: reconstructions based on the study of relict forms»
Casarosa Nicola1, Chelli Alessandro2, Firpo Marco3, Ginesu Sergio4, Guglielmin Mauro5,
Pappalardo Marta1, Pecci Massimo6, Queirolo Cristiano3, Ribolini Adriano1, Robustelli Gaetano7,
Scarciglia Fabio7, Sias Stefania4 & Tellini Claudio2
1
Università degli Studi di Pisa, Dipartimento di Scienze della Terra, Via S. Maria 53, 56126 Pisa (Italy)
[email protected], [email protected], [email protected]
2
Università degli Studi di Parma, Dipartimento di Scienze della Terra, Parco Area delle Scienze, 157/A 43100 Parma
(Italy) - tellini @unipr.it
3
Università degli Studi di Genova, Dipartimento per lo Studio del Territorio e delle sue Risorse, C. Europa 26, 16132
Genova (Italy) - [email protected], [email protected]
4
Università degli Studi di Sassari, Istituto Scienze Geologico Mineralogiche, Corso Angjoi 10, 07100 Sassari (Italy) [email protected], [email protected]
5
ARPAL, Lombardia;
6
ISPESL-Dipartimento Insediamenti Produttivi e Interazione con l’Ambiente, P.za dei Caprettari 70, 00186 Roma
(Italy) - [email protected]
7
Università degli Studi della Calabria, Dipartimento di Scienze della Terra, Via P. Bucci, Arcavacata di Rende (Cosenza) (Italy)
At the end of 2002 a Working Group within the
Italian Association of Physical Geography and Geomorphology (AIGeo) started its three-year activity,
with the main aim to assess possible periglacial conditions occurred during past glacial stages. The research team focuses on the analysis of relict features
(landforms and associated deposits), by comparing
materials, methodologies and results of one’s own
research on the periglacial environment, and the
attempt to fix their chronology. Although presentday and Quaternary distribution of permafrost in
Italy has been recently reconstructed by means of
typical landforms, such as rock glaciers (DRAMIS &
GUGLIELMIN, 1999), the genesis of many other landforms, usually interpreted as related to periglacial
processes, is not yet clear. Scree taluses and block
streams/fields, very recurrent on moderately steep
slopes in the Apennines and in Sardinia, and not related to any present-day morphoclimatic environment, are being investigated. Since sedimentary facies cannot be always univocally interpreted because
possibly produced by different processes and often
involved by significant post-depositional changes,
the WG is trying to collect evidence about their genesis, whether really periglacial or not, investigating
the role of frost weathering in sediment supply and
maybe seasonal freezing and cryonival phenomena
rather than permafrost in sedimentary processes,
and consequently to use typical periglacial (relict)
landforms for Quaternary paleoclimatic reconstructions in Italy.
After comparing the different types of landforms/deposits outcropping in the study areas
(fig. 1), separately investigated by the WG memFIGURE 1 - Location map of the study areas.
61
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bers, a work sheet for a standard description of
their main characters and for possible data base
implementation was prepared, and is being tested
and applied at the various study sites.
A statistical approach (eigenvalue and spherical
variance methods, recently applied by BERTRAN et
al., 1997) to support and compare the classical geomorphological and sedimentological description
of scree deposits has been successfully performed
on éboulis ordonné-types. It is based on the evaluation of the fabric strength/randomness of clasts
by measuring a-axis orientation and dip, and revealed to be a good discriminator of sedimentary
processes.
62
References
BERTRAN P., HÉTU B., TEXIER J.P. & VAN STEIJN H.
(1997), Fabric characteristics of subaerial slope deposits. Sedimentology, 44, 1-16.
DRAMIS F. & GUGLIELMIN M. (1999), Permafrost investigations on the Italian mountains: the state of the
art. In: Paepe R. & Melnikov V. (Eds.), «Permafrost
response on economic development, environmental
security and natural resources», pp. 259-273, Kluver Academic Publishers.
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Poster 13
EVOLUZIONE GEOMORFOLOGICA
DELLA BASSA PIANURA MANTOVANA E REGGIANA
(PIANURA PADANA, ITALIA SETTENTRIONALE)
Castaldini Doriano1, Marchetti Mauro1, Anghinelli Antonio2 , Anghinelli Sergio2 & Tirabassi James3
1
Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, Dipartimento di Scienze della Terra, Largo S. Eufemia 19, 41100
Modena (Italy) - [email protected], [email protected]
2
Museo Civico A. Parazzi, via Manzoni 2, Viadana, Mantova (Italy)
3
Musei Civici, Via Secchi 1, 42100 Reggio Emilia (Italy) - [email protected]
Il presente lavoro si occupa dell’evoluzione
geomorfologica del settore di Pianura Padana che
comprende la parte sud-occidentale della Provincia di Mantova e l’estremità settentrionale della
Provincia di Reggio nell’Emilia, separate tra loro
dal F. Po nel tratto tra foce Enza e foce Oglio.
L’area di studio ha una pendenza minore dello
0,15% e pertanto ricade nel settore di bassa pianura (cfr. CASTIGLIONI & PELLEGRINI G.B., 2001).
Questa nota è basata sui dati geomorfologici e archeologici acquisiti dagli autori nell’ambito di una
ricerca piu’ articolata a carattere multidisciplinare (cfr. VENTURI & BACCHI, 2003).
Lo studio geomorfologico è stato realizzato attraverso la ricerca bibliografica, il
rilevamento sul terreno, lo studio
delle fotografie aeree (sia analogiche sia digitali) e l’utilizzo di Sistemi Informativi Territoriali.
L’assetto altimetrico del territorio in esame è stato rappresentato
in una Carta del microrilievo con
equidistanza di 1 m da cui è stato
ricavato un Modello Digitale delle
Altezze (DEM) (fig. 1). Da questi
documenti risulta che nell’area di
studio si possono distinguere varie
zone: all’estremità nord il lembo
meridionale della piana fluvioglaciale in parte incisa dalla depressione dell’Oglio, la zona in sinistra Po
inclinata verso Est, l’alveo pensile
del F. Po e la zona di pianura in destra Po con pendenza verso NordEst. In questo quadro sono stati individuati dossi fluviali ed aree depresse
È stata inoltre realizzata una
Carta geomorfologica (fig. 2) in cui
sono indicati i principali elementi
dell’idrografia attuale, le forme flu-
FIGURA 1 - Modello Digitale delle Altezze (DEM) della bassa pianura mantovana e reggiana.
63
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FIGURA 2 - Carta geomorfologica
della bassa pianura mantovana e
reggiana.
vioglaciali e fluviali e le forme legate ad interventi antropici.
In sinistra Po, nella bassa pianura mantovana,
il principale corso d’acqua è il fiume Oglio che
scorre pensile tra argini artificiali all’interno di
una depressione modellata nella piana fluvioglaciale. Il limite tra la piana fluvioglaciale, caratterizzata da numerosi paleoalvei entro vallecole a
fondo concavo, e la pianura del Po è marcato da
una scarpata alta un paio di metri. La pianura del
Po è solcata da una fitta rete di corsi d’acqua secondari naturali, con direzione di scorrimento
verso Est, sulla quale l’uomo è intervenuto nel
tempo modificandola sensibilmente. Numerosi
64
sono gli specchi d’acqua naturali: si tratta di «gorghi» o
«bugni» dovuti ad emergenze
della falda. Di notevole interesse le numerose tracce
paleoidrografiche individuate
che hanno assunto un ruolo
fondamentale per il popolamento umano di epoca preistorica dal Neolitico medio,
all’Eneolitico e per tutto l’arco dell’età del Bronzo. Durante tali periodi gli insediamenti sono prevalentemente
presenti su un corso antico
del fiume Oglio, presso il paese di Gazzuolo e su un paleoalveo minore attivo nelle
vicinanze di Spineda e Commessaggio Nel periodo del
Bronzo medio e recente, un
considerevole numero di abitati sono stati riscontrati sui
paleoalvei che corrispondono, a tratti, ai corsi d’acqua
minori a scorrimento verso
Est. In essi è stata anche rilevata una elevata presenza di
siti del periodo romano e medioevale, che sembrano attestare una loro attività in epoche storiche. In sintesi, l’intreccio di paleoalvei, a direzione Ovest-Est, nell’area tra
Viadana e foce Oglio è chiaramente attribuibile ad antichi tracciati del Po. Alcuni di questi sono correlabili al sistema fluviale
Po di Adria-Po di Spina attivo nell’età del Bronzo; altri sono di epoche successive. In questo settore del mantovano l’attività estrattiva può considerarsi contenuta anche se ha comunque lasciato
tracce abbastanza evidenti.
Il Po scorre verso Est descrivendo un’ansa verso Nord determinata dalle deviazioni dell’VIII secolo a.C. presso Guastalla e del XII secolo d.C.
presso Luzzara. Nella Carta Geomorfologica il
tracciato del Po è stato aggiornato, rispetto alla situazione riportata sulle Carte Tecniche della Lombardia e dell’Emilia Romagna, utilizzando le orto-
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foto digitali del volo Italia 2000. Il fiume scorre
pensile all’interno di un’area golenale compresa
tra argini maestri alti 5-6 m, ovvero in una situazione di elevato rischiodi esondazione. Nell’area
golenale sono presenti numerosi «bugni» e una fitta rete di paleoalvei. Di particolare interesse sono
il paleoalveo detto Parma Morta e alcuni tracciati abbandonati presso foce Enza e presso foce
Crostolo che testimoniano l’estrema variabilità nel
tracciato finale degli affluenti di destra del Po:
nella cartografia della prima metà del XIX secolo
infatti i torrenti Parma ed Enza confluivano in Po
entro un unico alveo. Nell’area golenale si contano numerosi insediamenti abitativi nonchè diverse aree di cava. Lungo entrambe le sponde sono
state realizzate numerose opere di difesa per contrastare l’erosione fluviale.
In destra Po, bassa pianura reggiana, i principali corsi d’acqua sono i torrenti Enza e Crostolo
che scorrono pensili in alvei arginati. Mentre l’Enza denota un tracciato naturale a meandri, il Crostolo presenta un corso con lunghi tratti rettilinei
in quanto rettificato dagli interventi idraulici della Bonifica Bentivoglio del XVI secolo. La rete
idrografica del territorio è costituita anche da una
fitta rete di canali e corsi d’acqua, quasi totalmente artificiali. L’antropizzazione di quest’area è recente: qui infatti mancano del tutto i siti dell’età
della pietra e dell’età del rame, forse mai esistiti o,
più probabilmente, sepolti da coltri alluvionali. Le
prime attestazioni risalgono all’età del Bronzo medio e recente (XV-XII secolo a.C.). Estremamen-
te rare sono le attestazioni etrusche, mentre numerose sono quelle di età romana; tra queste ultime
particolarmente interessanti risultano alcuni siti di
superficie rinvenuti in prossimità del Po. Anche
questa zona è caratterizzata da numerose tracce
paleoidrografiche; esse si sviluppano da sud verso nord, a meridione di Boretto, e da ovest verso
est nella zona prossima al Po; queste ultime sono
correlabili al sistema Po di Adria - Po di Spina attivo nel Bronzo. Le tracce a meridione di Boretto
sono essenzialmente costituite da dossi; in particolare, sono stati riconosciuti due sistemi di dossi: uno ad oriente dell’Enza ed uno ad oriente del
Crostolo, Essi testimoniano la migrazione verso
occidente di questi corsi d’acqua che hanno raggiunto la posizione attuale dopo il Medioevo. Ai
lati del Crostolo, sono concentrate alcune aree altimetricamente depresse: si tratta di zone in passato paludose (ricordate nei documenti storici con
i toponimi lacus, palus o vallis che furono bonificate solo nel XVI secolo d.C.
Bibliografia
CASTIGLIONI G.B. & PELLEGRINI G.B. (a cura di)
(2001), Note illustrative della Carta Geomorfologica
della Pianura Padana. Suppl. Geogr. Fis. Dinam.
Quat., IV, 207 pp.
VENTURI S. & BACCHI N. (a cura di) (2003), L’anima
del Po. Terre, acque e uomini tra Enza e Oglio. Battei Ed. Parma, 473 pp.
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MIGRAZIONE CICLICA DI SECCHE SABBIOSE
ALLA FOCE DEI FIUMI UNITI (RAVENNA)
Castiglione Emanuele1, Ciavola Paolo1 & Balouin Yann2
1
Università degli Studi di Ferrara, Dipartimento di Scienze della Terra, Via Ercole I° D’Este 32, Ferrara (Italy)
[email protected], [email protected]
2
BRGM, Rue de Pinville 1039 Montpellier (France) - [email protected]
Il sito in questione è ubicato alla foce dei Fiumi Uniti nel Comune di Lido Adriano, in Provincia di Ravenna. La morfologia locale è caratterizzata da una superficie topografica pianeggiante le
cui quote non superano mai 1,8 metri s.l.m.. L’a-
rea si presenta con una forma sub-triangolare delimitata da due elementi (fiume ed argine) tra loro divergenti procedendo verso mare.
Questo tratto di costa è caratterizzato da una
zona intertidale piana sviluppata in corrisponden-
FIGURA 1 - Immagine della Foce dei Fiumi Uniti nel 2002 (volo AIGEA). Coordinate in UTM 32. Il riquadro indica la
zona di studio.
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FIGURA 2 - Valutazione della migrazione della secca da aprile 2004 a gennaio 2005.
za dell’affioramento di sedimenti costituiti prevalentemente da limi grigi sabbiosi e/o argillosi colonizzati da bivalvi. Verso mare questo strato è caratterizzato da un gradino morfologico verticale la
cui altezza massima raggiunge i 40 cm.
Per quanto riguarda le maree il litorale in esame è caratterizzato da un regime microtidale dove l’escursione mediamente varia dai 30 cm agli 80
cm, con picchi di 150 cm dovuti a fenomeni di
storm surge e di -150 cm nel caso di storm setdown (YU et al., 1998).
Il moto ondoso sottocosta è delineato da un
mare regnante, quindi di maggior frequenza, in un
settore compreso tra i 130° e 140° N, e da un mare dominante, di maggior altezza, nel settore compreso tra 50° e 60° N (DECOUTTERE et al, 1998).
Questa spiaggia è affetta da una notevole erosione alla quale si cerca di porre rimedio con l’utilizzo di un sistema BMS (Beach Management
System) caratterizzato da tubi drenanti posti sotto la battigia, che però influenza solamente la parte più alta della spiaggia e non le secche intertidali che si prendono in considerazione in questo caso.
Lo studio del sito a livello morfologico si sta
avvalendo di misure dirette della topografia lungo profili ripetuti che si estendono dalla base della massicciata sino ad una profondità di circa –1,5
m sotto il l m.m.
I rilievi sono stati svolti utilizzando una coppia
di ricevitori Trimble 5700 in modalità DGPS RTK
ed una stazione totale.
Utilizzando la stazione totale venivano svolti i
rilievi del 22 maggio, 2 agosto, 28 settembre e de
26 ottobre.
Per quanto riguarda i rilevi del 16 novembre,
22 dicembre e 9 gennaio si è usufruito solamente
del sistema DGPS in modalità RTK.
Come si nota andando ad analizzare tutti i rilievi dall’inizio del monitoraggio, la forte mareggiata da N-E del 12-13 novembre 2004 ha asportato una consistente quantità di sedimento, che facendo un calcolo dei volumi rispetto al 26 ottobre
2004 risulta essere di circa 11.000 m3 sulla porzione di spiaggia compresa tra 0 e +1 m s.l.m.
In particolare, si è osservata una forte erosione
su tutta la spiaggia e dal confronto con il rilievo
del 26 ottobre 2004 si evidenzia un arretramento
della linea di riva di oltre 20 metri.
I meccanismi di bilancio sedimentario si delineano chiaramente confrontando tra loro tutti i rilievi topografici del 6 aprile, 22 maggio, 2 agosto,
28 settembre, 26 ottobre.
Tra il 6 aprile ed il 22 maggio si erode tutta la
fascia di battigia e la sabbia si distribuisce su una
piccola freccia litorale attaccata a terra nella parte centrale della zona studio, ed una secca più a
largo nel margine settentrionale. Si nota anche
una certa accrezione lungo il limite meridionale,
possibile sintomo di un ruolo da parte del fiume.
Durante la prima parte dell’estate (22 maggio
- 2 agosto) c’è nuovamente una debole accrezione
della battigia, la freccia migra verso nord e si fonde con la secca che si muove verso terra. Le map67
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pe di erosione/deposizione identificano una nuova secca in formazione. In settembre si evidenzia
ancora un trend erosivo che sembra però cambiare tendenza in ottobre.
Nel breve periodo che va da settembre ad ottobre 2004 la spiaggia aveva cominciato a presentare segni di avanzamento, incoraggianti nonostante ci fosse stato un periodo di alta energia da
Bora tra il 10 ed il 13 ottobre. Da notare anche
che ci si trovava vicini ad un periodo di sizigie,
con un livello massimo di marea previsto per il 13
ottobre di circa +1 m sopra lo zero idrografico.
L’evento meteorico del 12-13 novembre ha
sconvolto completamente l’assetto della spiaggia,
ma già dal rilievo del 22 dicembre si nota come la
sedimentazione si cominci a concentrare nella
parte più a Sud della spiaggia, cosa che è ancor
più evidente dal rilievo del 9 gennaio 2005, quando, grazie alla bassa marea sigiziale ed alle alte
pressioni atmosferiche, il livello di bassa marea era
68
di circa 1,5 metri rispetto a quello medio.
Come si nota, mettendo a confronto i rilievi
che vanno da aprile 2004 a gennaio 2005, le direzioni di sedimentazione seguono un movimento circolare (fig. 2), interrotto solo nel mese di
novembre a causa del forte evento meteomarino
avuto.
Questo moto circolare sembra essere dovuto
alla relazione tra il regime fluviale le correnti di
longshore.
Bibliografia
DECOUTTERE C., DE BACKER K., MONBALIU J. & BERLAMONT J. (1998), Wave refraction in the Upper
Adriatic Sea. CENAS, Kluwer Academic Publishers,
169-182.
YU C. S., DECOUTTERE C. & BERLAMONT J. (1998),
Storm Surge Simulation in the Adriatic Sea. CENAS,
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Kluwer Academic Publishers, 207-231.
Poster 15
VARIAZIONI DELL’ALVEO DEL
FIUME SIEVE
(MUGELLO, FIRENZE) CONSEGUENTI A INTERVENTI DI DIFESA DELLE SPONDE DALL’EROSIONE
Cavalli Alberto & Rodolfi Giuliano
Università degli Studi di Firenze, Dipartimento di Scienza del Suolo e Nutrizione della Pianta, Piazzale delle Cascine 15, 50144 Firenze (Italy) - [email protected],
[email protected]
Già da qualche anno è in corso di realizzazione, fra Firenze e Bologna, la linea ferroviaria ad
Alta Velocità. In particolare, nella zona compresa
tra Borgo S. Lorenzo e San Piero a Sieve (Firenze), fra le numerose opere accessorie è stato realizzato un viadotto stradale per l’attraversamento
del corso del Fiume Sieve, che drena l’ampia depressione tettonica del Mugello. Dal momento
che tale opera è stata realizzata in corrispondenza
del tratto di alveo a maggior mobilità planimetrica (RINALDI, 1995), per la messa in sicurezza del
viadotto si è resa necessaria l’esecuzione di un intervento di sistemazione, che è stato condotto secondo i criteri dell’ingegneria naturalistica.
La zona interessata si estende,verso monte, dal
viadotto fino alla confluenza tra il Torrente Cardètole e la Sieve. Dalle analisi condotte da RINALDI (1995) emerge come la causa principale dell’instabilità del tracciato della Sieve, che si esprime
principalmente in una accentuazione dell’erosione laterale, sia da imputare all’intensa attività
estrattiva condotta a partire dagli anni ’80 in corrispondenza di un tratto di alveo comprendente
quattro meandri. I lavori di sistemazione, iniziati
nel mese di Maggio 2000, hanno causato profonde modifiche morfologiche e idrauliche, i cui effetti sono stati da subito ben evidenti. Lungo il
tratto considerato, prima dell’esecuzione dell’intervento, si rilevava un indice di sinuosità pari a
1,59, tipico dei corsi d’acqua appenninici, considerati forme instabili o di transizione verso tipi
meandriformi. Tutti e quattro i meandri sistemati
risultavano interessati da un incremento anomalo
dei fenomeni. Secondo i modelli evolutivi delle
sponde fluviali proposti da SCHUMM et al. (1984),
SIMON (1989 e 1994) e SEAR et al. (1994), il tratto
studiato si inquadrava in uno stadio caratterizzato da fenomeni di instabilità delle sponde e di abbassamento del fondo. Per provvedere alla messa
in sicurezza del viadotto, l’alveo, nel corso dei lavori, è stato profondamente rimodellato e sono
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state costruite gabbionate e palificate spondali in
corrispondenza del lato esterno ed interno dei
quattro meandri. Il corso dell’alveo ha subito così una rettifica e un allargamento. La pendenza è
passata da 1,71‰, valore tipico per corsi d’acqua
simili alla Sieve (LEOPOLD et al. 1964), a 2,74‰,
mentre l’indice di sinuosità ha raggiunto il valore
di 1,25, ovvero un valore prossimo a quello dei
corsi d’acqua rettilinei. Per una migliore caratterizzazione dell’alveo sono state rilevate una serie
di sezioni trasversali sia al termine dei lavori di sistemazione che a un anno di distanza.
Nell’autunno seguente ai lavori violente piene
hanno apportato notevoli modifiche, tanto che, a
maggio 2001, le variazioni morfometriche apparivano ben evidenti: l’indice di sinuosità e la pendenza erano cresciuti fino a valori di 1,34 e
3,03‰, a testimonianza della tendenza dell’alveo
a ristabilire un proprio equilibrio. C’è inoltre da
70
notare che buona parte delle opere di difesa spondale, nonché della vegetazione messa a dimora per
favorire il processo di stabilizzazione delle sponde, risultavano distrutte o seriamente compromesse.
I motivi dell’insuccesso dell’intervento di sistemazione sono da ricercare essenzialmente nel rimodellamento dell’alveo e nel dimensionamento
delle strutture di difesa spondale. Nel primo caso, la rettifica dell’alveo ha comportato un aumento della pendenza e, di conseguenza, una maggior
capacità della corrente di asportare materiale dal
fondo. Nel secondo, le difese di sponda sono risultate in molti casi sottodimensionate, tanto da
non riuscire a raggiungere le quote dei livelli idrometrici associati alle portate ad alveo pieno, cioè
con tempo di ritorno pari a 1,5 anni, così come risulta dalle misurazioni effettuate da RINALDI
(1995) per questo tratto di fiume.
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Verso la fine del 2002 si è deciso di intervenire nuovamente per ripristinare le opere danneggiate e
per consolidare quelle già esistenti tramite l’apposizione di nuovi ordini di gabbionate e, nel meandro
più a monte, di una serie di massi a difesa della base delle opere. Questi interventi hanno fornito maggior solidità alle strutture, ma è rimasto aperto il problema legato al dimensionamento delle opere che
restano a quote troppo basse e quindi facilmente superabili da piene anche di entità ridotta.
Bibliografia
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and Landforms, Vol. 14, 11-26.
Poster 16
LA COPERTURA DETRITICA DEL
GHIACCIAIO DEL MIAGE
(GRUPPO DEL MONTE BIANCO,
ALPI ITALIANE):
EFFETTI SULL’ABLAZIONE E
METODOLOGIA DI MISURA
DELLE TEMPERATURE SUPERFICIALI
Citterio Michele1, Mihalcea Claudia2, Diolaiuti
Guglielmina2 & Smiraglia Claudio2
1
Università degli Studi di Milano, Dipartimento di Scienze della Terra «Ardito Desio», Gruppo di Speleoglaciologia, Via Mangiagalli 34, 20133 Milano (Italy) - [email protected]
2
Università degli Studi di Milano, Dipartimento di Scienze della Terra «Ardito Desio», Gruppo di Ricerca Glaciologia, Via Mangiagalli 34, 20133 Milano (Italy) - [email protected], [email protected]
71
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FIGURA 1 - Esempio delle registrazioni tra il 18 e il 21 settembre 2004; le lettere si riferiscono al termistore.
La presenza e il progressivo ispessimento delle
coperture detritiche degli apparati glaciali alpini,
causato dall’attuale fase di ritiro generalizzato, sta
assumendo un ruolo crescente nel determinare la
componente ablativa dei bilanci di massa. Lo studio dei flussi energetici lungo i profili termici verticali delle coperture detritiche e dei loro effetti sull’ablazione richiede misure accurate delle temperature superficiali (NAKAWO & RANA, 1999; CONWAY
& RASMUSSEN, 2000). Poche informazioni sono
presenti in ltteratura circa il metodo di installazione delle sonde sul detrito, malgrado i numerosi ambiti di ricerca interessati: lo studio del permafrost e
delle potenziali instabilità locali in caso di una sua
riduzione (GRUBER, HOELZLE & HAEBERLI, 2004);
la modellizzazione degli apporti di acque di fusione ai laghi effimeri epiglaciali e all’idrologia glaciale e proglaciale; la calibrazione delle immagini satellitari in banda termica mediante valori di controllo misurati al suolo (KÄÄB et al., 2003) e, infine,
72
i programmi finalizzati allo studio glaciologico su
aree vaste o remote mediante l’uso di immagini telerilevate, quali il progetto GLIMS (TASCHNER &
RANZI, 2002). Il Ghiacciaio del Miage (versante italiano del massiccio del Monte Bianco) è il maggiore «ghiacciaio nero» (debris covered glacier) delle
Alpi Italiane e la sua lingua coperta di detrito rappresenta un sito favorevole allo studio di questo tipo di ghiacciai. L’influenza sull’ablazione di questa
copertura (che qui presenta spessori variabili con
massimi di 1 m) si esplica tramite i fattori concorrenti di isolamento termico e di riduzione dell’albedo. L’efficacia della copertura detritica è funzione
principalmente dello spessore, della distribuzione
granulometrica e dell’albedo del materiale. Alla
quota di 1050 m sul lato destro del flusso glaciale,
una parcella sperimentale pianeggiante e ben esposta all’insolazione è stata attrezzata, dal 27 luglio
2004 e il 13 ottobre 2004, con sei datalogger e cinque termistori accoppiati secondo diversi metodi
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alla superficie del detrito (il sesto termistore acquisiva le temperature dell’aria). Lo spessore del detrito in
quest’area è di circa 30-40 cm, con un livello superficiale a pezzatura da decimetrica a metrica e un livello inferiore dove la frazione sabbiosa e ghiaiosa occupa i vuoti tra i clasti maggiori. I termistori A e B erano in un clasto pluridecimetrico di ortogneiss con una patina di alterazione rappresentativa dell’area, cementati al fondo di fori del diametro di 8 mm con decorso rispettivamente normale (termistore A) o parallelo (termistore B) alla faccia maggiore del clasto e vicini alla superficie esposta all’insolazione. Il termistore C è stato appoggiato sulla superficie del detrito e cosparso di un sottile velo di materiale a
granulometria essenzialmente di ghiaia fine, che impediva l’insolazione diretta del corpo metallico della
sonda. Il termistore D era posizionato in modo analogo, ma coperto da materiale più grossolano che non
poteva essere dilavato dalle precipitazioni. Il termistore E era fissato con del nastro telato a un clasto simile ai casi A e B ma in modo tale che il metallo nudo del sensore, non schermata dall’insolazione, toccasse per un buon tratto la superficie del clasto. Periodici controlli sul terreno hanno assicurato la continuità e la qualità delle misure, con particolare riguardo alle possibili modificazioni delle condizioni di installazione in un ambiente dinamico quale la superficie di un ghiacciaio nero. I dati indicano che le massime temperature sono state registrate dai termistori A e B, mentre i termistori C e D hanno registrato temperature anche di 10°C inferiori nelle ore di
massima insolazione. I dati del termistore E sono simili ad A e B, ma con rapide variazioni dovute all’azione discontinua del vento sul metallo nudo del
sensore. Nell’arco di una giornata, le differenze osservate tra i diversi tipi di installazioni sono massime durante le ore di massima insolazione e minime
nella notte. L’analisi dei dati è tuttora in corso ma
alcune raccomandazioni possono già essere fornite: la copertura anche leggera delle sonde con detrito è da evitare; ove necessiti un accurato valore
istantaneo durante il giorno (ad esempio per confronto con immagini satellitari) le sonde devono essere opportunamente cementate in clasti del detrito; qualora numerose acquisizioni in un intervallo
di tempo possano essere mediate, la tecnica assai
più speditiva descritta per il termistore E fornisce
una buona accuratezza anche nei valori massimi
diurni.
ters, vol. 31, L13504
NAKAWO M. & RANA B. (1999), Estimation of ablation
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FIGURA 1 - Rilievo della grotta Lo Lc 1650 e un’immagine della bédière meandreggiante sulla sommità del deposito P50.
Poster 17
POSIZIONE E MORFOLOGIA
DEL DEPOSITO DI GHIACCIO
TRASPARENTE STRATIFICATO
DELLA GROTTA Lo Lc 1650
(MONCODENO, GRIGNA SETTENTRIONALE, LECCO)
Citterio Michele1, Turri Stefano1, Bini Alfredo1
& Maggi Valter2
1
Università degli Studi di Milano, Dipartimento di Scienze della Terra «Ardito Desio», Gruppo di Speleoglaciologia, Via Mangiagalli 34, 20133 Milano (Italy) - miche-
74
2
[email protected]
Università degli Studi di Milano Bicocca, Dipartimento
di Scienze dell’Ambiente e del Territorio, Piazza della
Scienza 1, 20126 Milano (Italy)
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La presenza di depositi crionivali ipogei è comune negli ambienti carsici di alta montagna. La posizione rispetto all’ingresso della grotta, la loro forma e la facies del ghiaccio che li compone sono determinati dai processi di accumulo che li hanno prodotti. Il rinvenimento di depositi che, relitti di condizioni climatiche o topoclimatiche diverse dalle attuali, sono oggi in via di continua e lenta fusione nell’ambiente
stabile e protetto rappresentato dalle grotte ghiacciaie offre la possibilità di studiare materiali non sopravvissuti nell’ambiente epigeo. Diverse tecniche analitiche possono fornire dati riguardo al chimismo e alla
composizione isotopica delle precipitazioni che hanno alimentato questi depositi; questi dati, combinati
con lo studio cristallografico, permettono di determinare il processo genetico (CITTERIO et al., 2004) mentre l’analisi stratigrafica e strutturale fornisce indicazioni sulle fasi di accumulo e di ablazione (?ERBAN et
al., 1967; CITTERIO et al., 2003). Infine gli studi palinologici e radiometrici (14C, trizio) possono indicare
l’età di formazione e il clima compatibile con la vegetazione presente nell’area della grotta (FÓRIZS I. et
al., 2004). Un tipo di indagini che non richiede il
carotaggio in grotta e la disponibilità di laboratori
attrezzati si occupa dello studio delle morfologie
superficiali di questi depositi. L’ingresso della grotta ghiacciaia Lo Lc 1650 «Abisso sul Margine dell’Alto Bregai» si trova alla quota di 2030 m nella zona carsica del Moncodeno, sul versante nord della
Grigna Settentrionale (Lecco, Lombardia). Il primo pozzo (P30) si apre direttamente nella superficie topografica e il fondo, attualmente a circa –30
m dalla superficie, è occupato da un deposito perenne di neve. Lo spessore di questo deposito mostra una marcata variabilità stagionale in relazione
agli apporti nevosi che lo alimentano. Le parti più
profonde della grotta sono accessibili solo quando,
con la fusione della neve lungo le pareti del pozzo,
è possibile insinuarsi tra neve e ghiaccio ed entrare
nel meandro che conduce al secondo pozzo della
grotta (P50). Alla base del P50 si trova il maggiore
deposito di ghiaccio trasparente stratificato noto in
questa grotta (spessore maggiore di 15 m). Nessun
significativo processo di accumulo è stato osservato in atto su questo deposito, che non può essere
raggiunto dalla neve a causa della presenza del
meandro. Un terzo pozzo (P25) inizia alla base del
deposito e termina a circa –110 m dall’ingresso su
un tappo di ghiaccio. La morfologia del deposito
del pozzo P50 è dominata dalle forme prodotte dall’ablazione: la maggiore, promossa dalla circolazione in regime di tubo di vento, è una grande galleria che attraversando il deposito collega il pozzo
P25 con la base del pozzo P50. Le pareti del tunnel sono modellate da grandi scallops metrici e, come ogni altra superficie del deposito esposta all’aria, sono percorse da un fitto reticolo di solchi profondi fino a 1 o 2 millimetri prodotti dall’ablazione preferenziale lungo i bordi dei cristalli di
ghiaccio adiacenti. La superficie superiore del deposito è solcata da una bédière meandreggiante che
drena verso la galleria le acque di fusione e quelle
di stillicidio. Al contatto con la parete del pozzo è
presente una vaschetta poco profonda la cui forma
e dimensione si è mantenuta costante negli ultimi
quattro anni. Il contatto laterale tra ghiaccio e roccia è attualmente continuo ma si realizza attraverso uno spessore variabile di ghiaccio più recente di
un evento di scollamento del deposito dalle pareti
avvenuto nel passato e chiaramente visibile. È interessante osservare come le fratture più protette dalla circolazione dell’aria conservino ghiaccio a un livello più alto della superficie attuale del deposito,
indicando che in questo caso la temperatura della
roccia è favortevole alla conservazione del ghiaccio.
Di particlare interesse è un rilievo di forma analoga ad una larga stalagmite. Tuttavia la presenza al
suo interno della stratigrafia del sottostante deposito di ghiaccio indica un’origine per ablazione differenziale e non per accumulo. Questa forma era
già segnalata nel rilievo degli anni ’70 e la sua formazione e stabilità richiede ulteriori indagini.
Bibliografia
CITTERIO M., TURRI S., BINI A. & MAGGI V. (2003), Some observations on the structure and morphology of
an ice deposit in the «Abisso sul margine dell’Alto
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CITTERIO M., TURRI S., BINI A. & MAGGI V. (2004),
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Volume of abstracts of the 1st International Workshop on Ice Caves, CăpusĹ , Romania, 1st-3rd March
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(eds.) Volume of abstracts of the 1st International
Workshop on Ice Caves, CăpusĹ , Romania, 1st-3rd
March 2004, p. 19.
SĹ ERBAN M,, L. BLAGA, A. CHIFU AND T. CIOBOTARU
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(1967), ContributĹii la stratigrafia depozitelor de
gheatĹa din GhetĹ arul de la ScăritĹ oara. Lucr. Inst.
Speol. «E. RacovitĹă», BucuresĹ ti, Vol. 6, 107-140.
76
Poster 18
THE RECORD OF PLIO-PLEISTOCENE MOUNTAIN BUILDING
IN THE FLUVIAL SEQUENCE OF
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BARGA BASIN, TUSCANY.
Coltorti Mauro & Pieruccini Pierluigi
Università degli Studi di Siena, Dipartimento di Scienze della Terra, Via Laterina 8, 53100 Siena (Italy)
[email protected], [email protected]
The Barga Basin is located between the
Apuane Alps metamorphic complex (up to 1900
m a.s.l.) to the west and the Northern Apennine
Ridge (up to 2400 m a.s.l., mostly made of
Oligocene terrigenous rocks, Macigno Fm.) to the
east. Therefore, it is a classic location for the understanding of the Mountain Building of the westernmost peri-Ligurian Ridges and the main Apen-
nine divide.
The basal part of the sequence, more than 100
m thick, is made of fine-grained floodplain sediments with lignites locally associated with laterally migrating sandy and gravelly channels and
increasing towards the top. They are dated to the
Early Pliocene based on mammal fauna assemblages and pollen analysis. The paleoflow directions are from the W-NW; the
gravels are mostly composed of
Tuscany and Ligurian Units, formerly on top of the Apuane Alps
metamorphic complex, whereas
metamorphic clasts are subordinated. A major unconformity
marks the transition to the upper
part of the sequence, ca. 80-90 m
thick, mostly made of gravelly bedforms, indicating the onset of
braided fluvial system, with clasts
predominantly made of metamorphic rocks. Paleoflow directions
are still from W-NW. This coarsergrained sedimentation, due to the
similarities with the sequence outcropping in the nearby AullaOlivola Basin, can be attributed to
the Late Pliocene-Early Pleistocene. The paleoflow directions
of these parts of the sequence at
least in part correspond to the
hanging paleovalleys and wind gap
present almost on top of the
Apuane Alps suggesting that the
drainage basin probably extended
westward in the area nowadays
drowned under the LigurianFIGURA 1
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FIGURA 2
Tyrrhenian sea. The whole sequence is deeply
dissected and large telescopic alluvial fans, made
of mostly mono-lithological Macigno Fm. gravels, are the first evidence of flows coming from
the main Apennine Ridge. The age of the telescopic alluvial fans is not constrained due to the
lack of datable materials. The lack of strongly developed paleosols, that might indicate Interglacial conditions, and the freshness of the fluvial
escarpments, suggests a possible main Late Pleistocene age for the alluvial fans. The present-day
main river (Serchio River) flows to the S-SW and
the tributaries coming from the Apuane Alps are
short and steep streams whereas the eastern tributaries have larger catchments. An older alluvial
78
terrace is present at MontePerpoli on the watershed between the Barga and the Castelnuovo
Garfagnana Basins. Morphostratigraphical consideration would suggest a late Middle Pleistocene age for this older unit and a very rapid
downcutting of the Serchio River probably connected with an ongoing uplift of both the main
Apennine Ridge and the Apuane Mountains.
However, the very recent activity of the west
dipping NW-SE trending normal faults to the
east of the Basin suggests that during the uplift
the western block was relatively downthrown.
Therefore, the stratigraphical, sedimentological and geomorphological observations provide
great information about the uplift history of the
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area and can be summarised as follows:
Early-Middle Pliocene: a wide alluvial plain,
fines-dominated, with meandering to wandering
rivers was fed from the west when the metamorphic complex was still not completely denudated.
In fact, Apathite fission track analysis indicates
that, at this time, the metamorphic rocks underwent a strong exumation. The emerged lands
were located to west while to the east there were
still marine conditions, as revealed by co-heval
marine deposits widely present along the eastern
side of the Apennine.
Late Pliocene-Early Pleistocene: The metamorphic rocks of the Apuane mountains, following uplift movements, underwent denudation
processes and the evolution of east flowing braided rivers, probably in correspondence with the
onset of cold climatic conditions at the beginning
of the Gelasian Stage. However, still there is no
evidence of relief to the east.
Middle-Late Pleistocene: the rapid uplift of
the eastern Apennine Ridge led to the onset of
the present-day drainage system and is characterised by the deposition of the wide west-flowing telescopic and almost mono-lithological alluvial fans. The uplift coupled with the activity of
high-angle normal faults generated reversed
rivers and played an important role in the creation of the accommodation space for the alluvial fans.
Poster 19
LATE PLEISTOCENE STRATIGRAPHY
AND GEOMORPHOLOGICAL
EVOLUTION
OF THE TARIJA-PADCAYA BASIN (BOLIVIA, SOUTH AMERICA)
Coltorti Mauro1, Della Fazia Jacopo1, Paredes
Rios Freddy2 & Pieruccini Pierluigi1
1 Università degli Studi di Siena, Dipartimento di Scienze della Terra, Via Laterina 8, 53100 Siena (Italy)
[email protected], [email protected]
2 Museo Nacional Paleontologico-Arqueologico - Universidad Autonoma Juan Misael Saracho, Tarija (Bolivia)
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The Tarija-Padcaya Basin (Bolivia) (fig. 1), well-known for its rich fossil mammal fauna (MACFADDEN et al. 1982; TAKAI et al. 1982), 90 km long and 20 km wide, is located on the south-eastern side of
the Andean Cordillera (21° S and ca. m 2.000 a.s.l.). The Basin is today subdivided into two sectors:
the northern Tarija sector drained by the Rio Guadalquivir and the Southern Padcaya sector drained
by the Rio Orosas. The Basins were formerly joined (until 30 ka BP) before the capture of the Rio Camacho.
The Basin infilling is made of more than 100 m of fluvial, fluvio-glacial and glacial sediments very
well exposed due to the badland morphology. The age of the sequence was previously referred to the
Early-Middle Pleistocene by MACFADDEN et al. (1982) and TAKAI et al. (1982).
We carried out detailed sedimentological, facies analyses, stratigraphical and chronological investigations measuring more than 20 logs and performing more than 15 AMS datings on the paleosoils and
organic layers. The main results of our research
are:
a) 14 C datings indicate a Late Pleistocene age for
the whole sequence (fig. 2), that is much
younger than previously estimated. These new
data force the re-assessment of the South
American mammal chronology as well as the
80
reconsideration of the geomorphological evolution of the Bolivian Altiplano.
b) stratigraphic and facies analysis, following Miall (1996), revealed a lower part of the sequence (Ancon Grande Unit) made of coarse
grained alluvial fan deposits locally interlayered with buried red, leached paleoalfisols.
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This Unit laterally also contains outwash deposits related to the ground and surface
b) moraines in Puente Phayo (1850 m a.s.l. fig. 2). Two further buried lateral moraine ridges have also
been recognised. The till and the lateral moraine ridges were buried by fine grained alluvial deposits
(S. Jacinto Unit) typical of a meandering to wandering and anastomosing river system (M. Sur, S.Jacinto, Rio Rujero and La Gunita logs, fig. 2) containing the best sequence of mammal remains. The
alluvial plain was slowly aggrading as indicated by the peat beds deposited in small lakes and
swamps. Local intercalation of slope debris layers have been observed at the feet of many slopes.
Gypsum-rich layers suggest that the shallow lakes underwent severe dryness.
c) The Ancon Grande Unit corresponds to the beginning of the Last Glaciation. The older Glacial deposits belong to the cooler stages of MIS 4. The S.Jacinto Unit was deposited since the end of MIS
4 up to the beginning of MIS2. A long gap in the sedimentation occurs from 21 ka to 10 ka, that is
the older age at the base of the Late GlacialEarly Holocene valley filling. This gap is due to
Glacial erosion, indicated by the U-shaped valleys and by the glacial transfluences on the watershed (fig. 1). The glacial retreat was very fast
and small moraines, related to local cirques, are
present only on the western slopes of the Basin.
The uppermost part of the sequence, made of
coarse grained sediments, may corresponds to
the glacial outwash deposited during the
Glacial retreat, although the coarseness of the
sediments prevented a detailed chronological
setting.
d) The well dated glaciation in the Tarija-Padcaya
Basin changes the climatic and paleoenvironmental reconstruction for the Bolivian Altiplano. In fact, the Tarija valley glaciers were
fed from the Altiplano, whose margins are
modelled by many wide U-shaped glacial
transfluences. The gap in sedimentation ob-
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served in the Late Pleistocene Altiplano sequence (PaleoTiticaca Basins), are therefore not related
to a severe dryness (CLAPPERTON, 1993; CLAPPERTON et al., 1997; MOURGUIART et al., 1997; THOMPSON et al., 2000; ARGOLLO & MOURGUIART, 2000; FORNARI et al., 2001) but to the existence of a
thick Ice Cap. The limited elevation of the Cordilleran Ridges and the very fast glacial retreat, prevented the accumulation of glacial deposits in the Altiplano.
Bibliografia
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FIGURA 1 - Un paleoalveo posto in rilievo rispetto alla circostante piana alluvionale dalla deflazione eolica.
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FIGURA 2 - Particolare del sistema deltizio di Garat Ouda da immagini satellitari Ikonos (1 m di risoluzione a terra); sono indicati i fireplaces mappati sulle sponde del canale e le datazioni al radiocarbonio ottenute.
THOMPSON L.G., THOMPSON E. M. & HENDERSON
K. A. (2000), Ice-core paleoclimate records in tropical South America since the Last Glacial Maximum. Journal of Quaternary Science, 15 (4), 377394.
Poster 20
GEOMORFOLOGIA ED INSTABILITÀ DEI VERSANTI
DEL GRUPPO DEL SASSOLUNGO (DOLOMITI OCCIDENTALI)
Coratza Paola, Marchetti Mauro & Soldati
Mauro
Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, Dipartimento di Scienze della Terra, Largo S. Eufemia 19,
41100 Modena (Italy) - [email protected], [email protected], [email protected]
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La presente nota illustra i risultati delle ricerche geomorfologiche di dettaglio condotte nel Sassolungo (Dolomiti occidentali), uno dei gruppi dolomitici più conosciuti e spettacolari, meta frequentata di turismo sia estivo che invernale. Lo studio,che ha previsto in una fase preliminare un esame approfondito della letteratura geologica relativa a questa zona e successivamente l ’interpretazione comparata di fotografie aeree multi-temporali e rilevamenti geomorfologici, ha portato alla stesura di una
cartografia di dettaglio ed alla descrizione delle caratteristiche geomorofologiche dell’area.
Poster 21
GEOMORFOSITI DEL JURA
ORIENTALE (SVIZZERA NW)
E DEL PIEMONTE CENTRALE
(ITALIA NW)
Costamagna Alberto
Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, Dipartimento di Scienze della Terra, Largo S. Eufemia 19,
41100 Modena (Italy) - [email protected]
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Sono illustrati inventari di geomorfositi realizzati nel bacino di Delémont (Jura, Svizzera NW)
e nell’arco del Monferrato (Piemonte, Italia NW).
Il censimento si basa su ricerca bibliografica, analisi cartografica e rilevamento.Agli elementi rilevati è attribuita una valenza scientifica ponderando
criteri fondamentali (Fattori) e secondari (Indicatori). I dati ottenuti sono archiviati in database
conformi ai sistemi svizzero e italiano. Sono redatte schede descrittive e schemi geomorfologici. Per
mezzo degli inventari si comparano i due rilievi «a
pieghe e faglie». Quello del Jura è modellato in
prevalenza da corsi d ’acqua e processi carsici. A
causa della geodinamica locale alcuni geomorfositi sono atipici rispetto alle tipiche forme giurassiche. Il controllo strutturale è meno evidente in
Piemonte, sia per la natura del substrato e che per
la vivace tettonica. Qui un antico paesaggio giurassico è ringiovanito da erosione fluviale e movimenti di massa.
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Poster 22
EVOLUZIONE E SCOMPARSA
DEL SISTEMA DELTA-LAGO DI
GARAT OUDA
(SW FEZZAN, SAHARA LIBICO)
TRA L’ANTICO E MEDIO OLOCENE
Cremaschi Mauro, Pizzi Chiara & Zerboni Andrea
Università degli Studi di Milano, Dipartimento di Scienze della Terra «A. Desio», Via Mangiagalli 34, 20133 Milano (Italy) - [email protected], [email protected]
Durante l’Olocene Antico e Medio un ramo
laterale di wadi Tanezzuft (SO Fezzan, Sahara libico) alimentava attraverso un delta un lago ampio circa 80 km2 (CREMASCHI, 2001; CREMASCHI
& di LERNIA, 2001; CREMASCHI 2002). Il rilevamento geomorfologico condotto sul terreno con
l’ausilio di foto satellitari ad alta risoluzione Ikonos ed integrato da una serie di trincee aperte
con escavatore meccanico e dalla mappatura dei
siti archeologici presenti nell’area, ha permesso
di ricostruire la storia olocenica del delta e del lago a partire da 10.000 anni BP fino alla sua essiccazione avvenuta circa 5000 anni dal presente.
Il lago durante l’Olocene è stato progressivamente riempito dai sedimenti portati da un sistema fluviale a canali meandreggianti (fig. 1); alcune datazioni assolute (radiocarbonio e TL) permettono di stabilire che circa 5000 anni BP il sistema subisce una improvvisa crisi idrica poiché,
la diminuzione delle precipitazioni di origine
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monsonica nell’area (NICHOLSON & FLOHN, 1980; CREMASCHI e DI LERNIA, 1998), ha indotto una forte riduzione nella portata di wadi Tanezzuft e l’interruzione della sua diramazione laterale.
Come testimoniato dalla presenza di siti Mesolitici sulla sponda settentrionale del lago, la frequentazione antropica dell’area inizia nell’Olocene Antico e prosegue per alcuni millenni; i canali meandreggianti del delta erano infatti densamente frequentati dalle comunità Pastorali (fig. 2), come attestato
dalla presenza di centinaia di siti archeologici ricchi di manufatti (litica e ceramica) ed ossa di pesce,
che abbandonano l’area solo al momento dell’estinzione del delta.
Bibliografia
CREMASCHI M. (2001), Holocene climatic changes in an
archaeological landscape: the case study of Wadi Tanezzuft and its drainage basin (SW Fezzan, Libyan
Sahara). Libyan Studies, 32, 3-27.
CREMASCHI M. (2002), Late Pleistocene and Holocene
climatic changes in the Central Sahara. The case of
study of the south-western Fezzan, Libya. In: HASSAN F. A. (ed.) «Droughts, food and culture». Kluver Academic / Plenum Publishers, New York
65-81.
CREMASCHI M. & DI LERNIA S. (1998), Wadi Teshuinat.
Palaeoenvironment and prehistory in South-Western
Fezzan (Libyan Sahara). C.N.R., Quaderni di Geodinamica Alpina e Quaternaria, 7, 332 pp.
CREMASCHI M. E DI LERNIA S. (2001), Environment
and settlements in the mid-Holocene palaeoasis of
the wadi Tanezzuft (Libyan Sahara). Antiquity, 75,
815 -821.
NICHOLSON S. E. & FLOHN H. (1980), African environment and climatic change and the general atmospheric circulation in late Pleistocene and Holocene. Climatic Change, 2, 313-348.
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Poster 23
INDIZI DI MORFOTETTONICA
IN AREA PEDEMONTANA
ABRUZZESE (ITALIA CENTRALE)
D’Alessandro Leandro, Miccadei Enrico, Paron
Paolo & Piacentini Tommaso
Università degli Studi «G. d’Annunzio» Chieti-Pescara,
Dipartimento di Scienze della Terra, Via dei Vestini 31,
66013 Chieti scalo CH (Italy) - [email protected]
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In questo lavoro è presa in esame la fascia pedemontana della regione abruzzese e sono analizzate
le caratteristiche geomorfologiche della porzione che comprende alcuni dei principali bacini idrografici: Torrente Vibrata - Fiume Salinello, Fiume Tordino, Fiume Pescara, Fiume Sangro. Facendo seguito alle ricerche condotte da numerosi Autori nell’area centrale adriatica (CICCACCI et al., 1992; LUPIA
PALMIERI et al., 1998 e relativa bibliografia; MAYER et al., 2003 e r.b.) si è svolto, in più fasi, uno studio
di dettaglio mediante rilevamenti geomorfologici.
Oggetto di questa analisi sono stati in particolare i seguenti aspetti: distribuzione e geometria dei
depositi continentali quaternari (terrazzi alluvionali) e relativi vincoli cronostratigrafici, geometria del
reticolo idrografico, indizi di morfotettonica (valli rettilinee, valli sospese e valli decapitate, gomiti fluviali, confluenze contromonte). La correlazione di tali elementi costituisce una chiave per definire la
scansione temporale dell’evoluzione geomorfologica dei bacini e della configurazione dei reticoli idrografici.
La fascia pedemontana abruzzese presenta un rilievo collinare a cuestas e mesas (D’ALESSANDRO et
al., 2003 e r.b.), che digrada dal fronte della catena appenninica (Monti della Laga, Gran Sasso,
Montagna della Maiella) fino a ridosso della costa,
da quote di oltre m 1000 fino a poche centinaia di
metri; qui diviene prevalente la presenza dei tratti terminali dei corsi d’acqua principali, caratterizzati da ampi fondivalle alluvionali a generale decorso SW-NE.
Il rilievo è impostato su litotipi terrigeni arenaceo-pelitici e pelitico-arenacei, con intercalazioni
di orizzonti conglomeratici, riferite a formazioni
terrigene mio-plio-pleistoceniche. Le valli principali sono caratterizzati da ampie coltri di depositi continentali quaternari, essenzialmente di tipo
alluvionale, disposti in diversi ordini di terrazzi,
studiati sin dalla prima metà del 1900 (CASTIGLIONI B., 1935).
La sedimentazione marina e continentale, la
configurazione del reticolo idrografico e l’evoluzione geomorfologica sono state controllate sia
dalle variazioni climatiche ed eustatiche, sia dall’attività tettonica plio-quaternaria e, in particolare, dal sollevamento regionale; quest’ultimo, attivo almeno dal Pliocene superiore-Pleistocene inferiore, ha determinato l’emersione dell’attuale fascia pedemontana, con un generale basculamento
verso i settori nordorientali (MAYER et al, 2003 e
r.b.).
Con questo lavoro si vuole dare un contributo
alla comprensione del ruolo della tettonica nella
conformazione del reticolo idrografico e nel modellamento del paesaggio nelle aree chiave prese
in considerazione.
Sulla base dell’analisi effettuata, il reticolo
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idrografico dell’area pedemontana risulta essersi impostato a partire dal Pleistocene inferiore-medio su
un’ampia piana in emersione; di essa oggi si riconoscono lembi più o meno estesi, nelle diverse aree
analizzate, sospesi fino ad alcune centinaia di metri sul fondovalle e caratterizzati dalla presenza di valli sospese e valli decapitate. In questo contesto si sono modellate valli principali di tipo conseguente a
decorso SO-NE, condizionate dal graduale basculamento verso i settori nordorientali; processi di incisione e di alluvionamento hanno determinato la formazione dei depositi alluvionali più antichi, oggi
preservati in lembi di terrazzi di ridotta estensione, disposti con geometria convergente.
Le valli secondarie sono a prevalente direzione SE-NO e ad andamento marcatamente rettilineo; sono caratterizzate da gomiti fluviali e localmente presentano confluenze contromonte nei corsi d’acqua
principali. Le relazioni con i depositi alluvionali terrazzati e, nel contempo, le relative correlazioni con
i dati cronostratigrafici, mettono in luce l’impostazione, a partire dal Pleistocene medio finale, di un reticolo di tipo rettangolare. Tale reticolo è condizionato da sistemi di faglie, con rigetti modesti, e di fratture, a prevalente direzione appenninica, associate ai processi di sollevamento in atto.
Il susseguirsi di processi di incisione e di alluvionamento, legati alle variazioni climatiche del Pleistocene superiore, e il controllo esercitato dalla tettonica determinano la progressiva riorganizzazione
del reticolo idrografico: si assiste a fenomeni di cattura e diversione fluviale, evidenziati ancora dalla
disposizione dei terrazzi alluvionali e dalla presenza di gomiti fluviali, di valli sospese e valli decapitate, come avvenuto tra il F. Salinello e il T. Vibrata (CASTIGLIONI G.B., 1979).
Bibliografia
CASTIGLIONI B. (1935), Ricerche morfologiche nei terreni Pliocenici dell’Italia centrale. Pubb. Ist. Geografia R. Università di Roma, serie A, n. 4.
CASTIGLIONI G.B. (1979), Geomorfologia. UTET.
CICCACCI S., D’ALESSANDRO L., FREDI P. & LUPIA PALMIERI E. (1992), Relations between morphometric
characteristics and denudational processes in some
drainage basins of Italy. Z. Geomorph. N. F., 36(1),
53-67.
D’ALESSANDRO L., MICCADEI E. & PIACENTINI T.
(2003), Morphostructural elements of central-eastern
Abruzzi: contributions to the study of the role of tectonics on the morphogenesis of the Apennine chain..
Quat. International, 101-102C, 115-124.
LUPIA PALMIERI E., CENTAMORE E., CICCACCI S., D’ALESSANDRO L., DEL MONTE M., FREDI P. & PUGLIESE F. (1998), Geomorfologia quantitativa e morfodinamica del territorio abruzzese: II – il bacino idrografico del fiume Tordino. Geogr. Fis; Dinam. Quat.,
21, 113-129.
MAYER L. MENICHETTI M., NESCI O. & SAVELLI D.
(2003), Morphotectonic approach to the drainage
analysis in the North Marche region, central Italy.
Quat. International 101-102C, 157-167.
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Poster 24
ANALISI DELLE VARIAZIONI
FRONTALI E VOLUMETRICHE
DEL GHIACCIAIO DEL RUITOR
(VAL D’AOSTA) DALLA MASSIMA ESPANSIONE DELLA PICCOLA ETÀ GLACIALE AD OGGI
De Amicis Mattia, Villa Fabio. & Bagattini M.
Università degli Studi di Milano - Bicocca, Dipartimento
di Scienze dell’Ambiente e del Territorio (DISAT), Piazza della Scienza 1, 20126 Milano (Italy) - [email protected], [email protected]
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I ghiacciai sono un’importante risorsa economica e naturalistica da proteggere. In conseguenza
delle attuali condizioni climatiche, legate al riscaldamento globale, risulta utile sviluppare nuove tecniche di analisi e monitoraggio dei corpi glaciali che
stanno subendo un ritiro rapido e diffuso.
Tradizionalmente, il bilancio di massa della
maggior parte dei ghiacciai Alpini italiani è condotto dal Comitato Glaciologico Italiano, tramite
misurazioni lineari della distanza tra la fronte ed
alcuni punti noti sul terreno.
Grazie alle nuove tecnologie ed all’informatizzazione della cartografia è ora possibile produrre
e gestire modelli accurati dei corpi glaciali, integrando così le serie temporali preesistenti per ottenere una miglior visione d’insieme.
In questo lavoro sono state calcolate le variazioni volumetriche, frontali e di superficie del ghiacciaio del Ruitor (Val d’Aosta) dalla sua massima
espansione nella Piccola Età Glaciale (metà del
XIX secolo) al 2004, integrando rilievi di campo,
elaborazioni cartografiche, tecniche fotogrammetriche e serie temporali preesistenti, ricostruendo la
storia del suo regresso, tuttora in corso.
È stato creato un database georeferenziato che
contiene dati puntuali (serie temporali di misure
fronte - punti di controllo), dati bidimensionali
(posizione della fronte, perimetro del ghiacciaio) e
dati tridimensionali (Modelli Digitali del Terreno –
DEM). Il database 2D contiene attualmente 15 ricostruzioni del perimetro del Ruitor in differenti
periodi dalla massima espansione nella PEG
(OROMBELLI, in pubblicazione) ad oggi, ottenute
con diverse metodologie (ricostruzioni geomorfologiche, analisi cartografiche, rilievi geodetici e rilievi GPS).
Il database 3D contiene i DEM del ghiacciaio
nel 1975 e del 1991 prodotti sulla cartografia CTR
1:10.000 della regione Val d’Aosta ed il DEM della sua massima estensione nella PEG, generato
sulla base della ricostruendo le curve di livello su
base cartografica (PORTER, 1975).
I modelli digitali possono essere prodotti anche
a partire da una stereocoppia di foto aeree utilizzando software specifici di fotogrammetria: l’utilizzo di queste metodologie ha lo scopo di aggiornare il database generando DEM da foto aeree per gli
anni in cui non è stata prodotta una cartografia.
L’accuratezza di queste ricostruzioni è stata
analizzata confrontando i DEM degli anni 1975 e
1991 prodotti su base cartografica ed i DEM degli stessi anni prodotti su base fotogrammetrica.
Sono stati ottenuti ottimi risultati nella zona frontale del ghiacciaio, mentre nelle aree più sommitali si sono incontrati alcuni problemi legati alla
bassa varietà di colori presenti e alla difficoltà di
ritrovare punti di controllo; di conseguenza l’errore stimato in queste aree è maggiore.
Dai dati raccolti fino a oggi risulta che dalla
metà del XIX secolo al 2004 la fronte del Ruitor
ha subito un regresso di circa 2 km, intervallato da
due periodi «freddi» di avanzata, negli Anni ‘20 e
negli Anni ’80.
L’analisi morfologica e volumetrica ha invece
portato a dimostrare come il ghiacciaio, negli ultimi decenni, stia subendo una forte perdita di
massa nel suo bacino di accumulo e riducendo in
generale tutto il suo spessore: l’entità di tale riduzione volumetrica non si rispecchia in una proporzionale diminuzione di superficie.
Oltre all’aggiornamento continuo del database,
sono attualmente in fase di studio nuove possibili metodologie di monitoraggio ed analisi, tra cui
la possibilità di ottenere in automatico accurate ricostruzioni tridimensionali e georeferenziate sulla base di stereocoppie di riprese frontali.
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Bibliografia
OROMBELLI G. (2005), Il ghiacciaio del Ruitor nella Piccola Età Glaciale – in pubblicazione
PORTER S. C. (1975), Equilibrium-Line Altitudes of Late Quaternary Glaciers in the Southern Alps, New Zealand
- Quaternary Research, n° 5, pp. 27-47.
Poster 25
I TERRAZZI FLUVIALI DEL BACINO IDROGRAFICO
DEL FIUME TRONTO: CONTRIBUTO AGLI STUDI MORFOTETTONICI
Della Seta Marta, Fredi Paola, Lupia Palmieri
Elvidio,
Nesci Olivia, Savelli Daniele & Troiani Francesco
Università degli Studi di Roma «La Sapienza», Dipartimento di Scienze della Terra, P.le Aldo Moro 5, 00185
Roma
(Italy)
[email protected],
[email protected], [email protected]
Università degli Studi «Carlo Bo» di Urbino, Istituto di
Geologia, loc. Crocicchia, 61029 Urbino (Italy)
[email protected], [email protected], [email protected]
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Scopo del lavoro è fornire un contributo metodologico, basato sull’analisi geostatistica, per
l’individuazione di anomalie morfologiche delle
superfici dei terrazzi fluviali, connesse alla neotettonica. L’area di studio corrisponde alla porzione
terminale del bacino idrografico del Fiume Tronto, nelle Marche meridionali. Essa si sviluppa su
depositi marini trasgressivi del Plio-Pleistocene e
presenta un assetto morfostrutturale fortemente
influenzato da un sollevamento differenziale quaternario e dall’attività di faglie regionali ad andamento da OSO-ENE a E-O, che suddividono la
regione in differenti blocchi morfotettonici. Rilevamenti dettagliati hanno permesso di localizzare
superfici a diversi livelli di che rappresentano i
lembi residui di terrazzi fluviali quaternari, formati in risposta alle oscillazioni climatiche e al sollevamento regionale. Sono stati campionati con un
GPS vari punti quotati alla sommità delle superfici terrazzate e i dati ottenuti sono stati elaborati
geostatisticamente (metodo del Kriging) al fine di
interpretare in modo oggettivo la sequenza cronologica dei terrazzi.
L’assetto geometrico dei terrazzi fluviali sembra essere stato fortemente influenzato dal sollevamento regionale e dall’attività della faglia principale del Tronto. I risultati dell’analisi geostatistica, confrontati con il DTM suggeriscono la
presenza di faglie minori quaternarie che dislocano i terrazzi. Tali risultati sono in accordo con
quelli ottenuti in precedenti lavori, a conferma
dell’utilità di questo approccio metodologico
nello studio dei terrazzi fluviali come indicatori
neotettonici.
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FIGURA 1 A-D - Schemi relativi al profilo longitudinale dei diversi settori in cui è stata suddivisa l’area di contatto per
processi e forme dominanti. Gli schemi sono stati disegnati dagli autori e sono parzialmente ispirati al
modello proposto da RICHARDSON & REYNOLDS (2000). e: fotografia con localizzazione dei settori A-D.
Poster 26
MANAGING EUROPEAN SHORELINE
AND SHARING INFORMATION
ON NEARSHORE AREAS
(MESSINA - PROJECT INTERREG
IIIC WEST). AN INTRODUCTION
TO COMPONENT 4 «ENGINEERING THE SHORELINE»
1
Università degli Studi di Napoli Federico II, Dipartimento di Scienze della Terra, Largo S. Marcellino, 10 80138 Napoli (Italy) - [email protected]
2
Università degli Studi di Messina, Dipartimento di
Scienze della Terra, Salita Sperone, 31 - 98166 Messina
(Italy)
[email protected]
De Pippo Tommaso1, Petrosino Carmela1, Vecchione Carlo1, Randazzo Giovanni2,
Geremia Francesco2, Lanza Stefania2
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Coastal resources provide a broad variety of recreational and economic opportunities for the European citizens. These opportunities rely on maintenance of the environmental quality of beaches and coastal systems. With the continuing migration of citizens to the coastal zone, however, the quality of the
shoreline is changing. High population density, continually, affects the natural processes governing the
shoreline stability and change. This situation has increased the exposure of the public and private property to risks associated with coastal storms and erosion.
In spite of major efforts invested in Europe since the mid-1980’s, efforts which have contributed to
assess and document the exposure of European coasts to coastal hazards, and to collect knowledge on
coastal systems, significant gaps still remain, and speak out for increased partnership among European
coastal authorities.
The major coastal management gaps in Europe are:
Gap 1: scientific knowledge, relevant for coastline management and mitigation of coastal hazards, is
fragmented and poorly accessible to local managers;
Gap 2: coastal defence solutions, implemented at the local level, do not adopt a broad geographic and
thematic scope and generally shift coastal
problems to other locations or other socio-economic sectors;
Gap 3: social acceptability of coastal defence solutions is not guaranteed due to poor public participation;
Gap 4: coastal economics - including proper methodologies to assess the economical value of beach use, coastal tourism, and coastal heritage - is not systematically used
to balance the cost and the benefits of co-
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astal erosion management measures;
Gap 5: current policy does not anticipate the requirements/consequences of the future
European directives or policies, mainly
the Water Framework Directive, the Habitat Directive, and the European Transport Policy.
The long term objective of the Interreg IIIC
West Project MESSINA (Managing European
Shoreline and Sharing Information on Nearshore Areas), an Individual Interregional Coopera-
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tion Project, financed by European Structural Funds and co-financed by national project partners
(2004-2006), is to help bridge these gaps by breaking «knowledge isolation» of some local authorities and institutions in Europe and by raising their managerial and technical capabilities through a
mutualisation of the experience accumulated by each of them.
Actually, MESSINA is expected to promote interregional co-operation and to transfer instruments
and project results with a clear impact for all partners involved through the following objectives:
Objective 1: Provide a state of the art of shoreline monitoring and modelling techniques supporting
coastline management policies, with a particular attention paid to innovative techniques;
Objective 2: Review concrete examples of economic analysis methodologies applied to shoreline management inside and outside Europe;
Objective 3: Embed lessons learnt from existing coastal defence engineering practices - including hard
and soft engineering - into coastal planning processes at the local level;
Objective 4: Assess information requirements to better integrate coastal erosion processes into spatial
planning policies;
Objective 5: Design and implement a pilot GIS-based information system dedicated to shoreline management planning at the local level, to be experimented by the project partners.
Definitely, MESSINA aims at maximizing the
benefits of future investments in coastline management and raise the public awareness about the
need to manage the coastline in a sustainable way.
In order to reach these objectives, MESSINA
is organised into 5 components, described hereafter:
Component 1: Management and Coordination
Component 2: Monitoring and modelling the
shoreline
Component 3: Valuing the shoreline
Component 4: Engineering the shoreline
Component 5: Informing investment decisions
along the shoreline
Each component is carried out under the lead
of a MESSINA partner institution. The Component 4 is coordinated by the University of Naples
and supported by the University of Messina and
other consortium members (Universidad Autonoma de Barcelona, University of Szczecin in Poland
and the Isle of Wight Council).
Component 4 - «Engineering the shoreline»
aims to inventory and analyse existing coastal defence techniques used inside and outside Europe,
with particular attention to innovative techniques
such as beach nourishment, beach drainage, wetland creation and restoration, dune rehabilitation
and artificial reef creation. The purpose of the
Component 4 is also to establish key factors of
success, related to each of the techniques inventoried, and to spread them to local authorities, assigned to coastal defence.
The principal aim of the Component 4 is to
produce the best practice guide on «Engineering
the shoreline», as part of the MESSINA coastal
management toolkit, to introduce environmentally-friendly engineering techniques to local au-
thorities. The guide will be available on the web
site (www.interreg-messina.org).
The planned results of MESSINA Component
4 are:
∞ a review of best practices and operational recommendations to implement sound coastal
defence solutions;
∞ increased exchange of experience and knowledge among local authorities in the fields of
coastal defence, with a specific focus on innovative engineering techniques.
In order to make a coastal management toolkit
as expected from MESSINA project, Component
4 will draw up the Coastal Management Guide
«Engineering the Shoreline».
Moreover, the expected outputs of MESSINA
component 4 will be: 1) a coastal Management
Guide on «Engineering the shoreline»; 2) a
Workshop in line with the topic of practical guide; 3) Web pages on «Engineering the shoreline»;
4) a Comprehensive database of coastal defence
techniques inside Europe; 5) a Comprehensive
database of coastal defence techniques outside
Europe; 6) Key factors guide of success relative to
each of techniques inventoried; 7) a Glossary of
consistent terminology relating to coastal defence
techniques.
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Poster 27
PROCESSI DI CALVING SULLA
FALESIA DEL GHIACCIAIO
DEL MIAGE (GRUPPO DEL
MONTE BIANCO, ALPI ITALIANE)
Diolaiuti Guglielmina1, D’Agata Carlo1, Carnielli Teresa1, Citterio Michele2 & Smiraglia Claudio1
1 Università degli Studi di Milano, Dipartimento di
Scienze della Terra «Ardito Desio», Gruppo di Ricerca
Glaciologia, Via Mangiagalli 34, 20133 Milano (Italy) [email protected], [email protected],
[email protected], [email protected]
2 Università degli Studi di Milano, Dipartimento di
Scienze della Terra «Ardito Desio», Gruppo di Speleoglaciologia, Via Mangiagalli 34, 20133 Milano (Italy) [email protected]
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I fenomeni di calving, diffusissimi in ambiente
polare dove costituiscono il principale processo di
ablazione delle lingue galleggianti, sulle Alpi sono
piuttosto rari; nell’ultimo decennio tuttavia questo fenomeno ha visto una maggiore diffusione in
rapporto all’intensa deglaciazione in atto. Uno dei
siti dove il calving è in atto da lungo tempo (almeno un secolo) è il Ghiacciaio del Miage con il suo
omonimo lago di contatto glaciale. Il Miage, posto ai piedi del Monte Bianco, è uno dei maggiori ghiacciai delle Alpi Italiane ed è caratterizzato
sia dalla copertura detritica della lingua (che ne fa
un classico debris covered glacier di tipo himalayano), sia dalla presenza del lago di contatto glaciale dove la colata devia decisamente verso NE.
Il Gruppo di Glaciologia del Dipartimento di
Scienze della Terra dell’Università di Milano ha
condotto negli anni scorsi diversi rilievi per lo studio dei processi di calving del Lago del Miage. In
particolare l’analisi della cartografia storica e della letteratura ha evidenziato sia una sostanziale
stabilità nelle dimensioni del lago a partire dall’inizio del secolo XX (poco più di 30.000 m2 di superficie), sia una serie di episodi di svuotamento,
l’ultimo dei quali è avvenuto nel settembre 2004.
Sono state inoltre compiute misure sulla velocità
superficiale del ghiacciaio, sulla temperatura e la
batimetria del lago, sull’entità del calving e sui vari suoi processi nella fig. 1. Qui sono indicati quattro settori principali corrispondenti ad altrettanti
processi di calving ed alle morfologie dominanti.
I dati raccolti hanno evidenziato che la velocità
superficiale annua del ghiacciaio mostra una riduzione verso valle da 60 m nel settore superiore, a
30-40 m dove il flusso devia verso est a 15 m presso la fronte; i ripetuti rilievi hanno anche messo in
evidenza un’accelerazione del ghiacciaio negli ultimi anni, che si è manifestata anche nel settore vicino alla falesia. I rilievi batimetrici eseguiti con
un sonar hanno mostrato la presenza di due bacini principali separati da una morena sommersa (le
osservazioni compiute dopo lo svuotamento del
2004 hanno evidenziato la presenza di tre-quattro
bacini e di un piede di ghiaccio sommerso che raccorda la morena con la falesia). Le misure di temperatura dell’acqua indicano situazioni diverse nei
due bacini principali: il bacino più vicino alla falesia è isotermico e non presenta sostanziali cambiamenti nel regime termico tra stagione estiva ed
invernale mantendo le acque a temeratura di poco superiore agli (0°C), il bacino più esterno è dimittico e presenta una stratigrafia termica completa, qui le acque superficiali in estate possono raggiungere anche (7-12°C)di temperatura. Le misu-
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re sull’evoluzione della zona di contatto glaciale
sono state compiute con un distanziometro laser
per l’acquisizione di punti (almeno 600 a rilievo)
utili alla ricostruzione della sua geometria ed al
calcolo delle variazioni avvenute. La zona di contatto mostra un ciclo annuale con calving phenomena attivi nel periodo estivo ed avanzate nella
stagione invernale (quando il lago presenta una
copertura di ghiaccio spessa oltre 1,5 m). Il calving è influenzato dal flusso del ghiacciaio, dall’apertura di crepacci e dall’azione delle acque del
lago. Il calving nel settore orientale della zona di
contatto è controllato prevalentemente dalla svi-
luppo di un profondo solco (thermal notch) al
contatto acqua-ghiaccio, il cui approfondimento
provoca il crollo della parete sovrastante. Nel settore occidentale, il più alto (circa 30 m) e ice cliff
shape, gli eventi di calving sono provocati dall’apertura di crepacci che dalla sommità della falesia si ampliano e si propagano verso la sua base
fino a determinarne il crollo; a questa si uniscono la fusione alla base e la formazione del thermal notch. Importante è anche la presenza del
detrito superficiale, il cui spessore varia da 0,01
m ad 1 m, che influenza l’albedo e il tasso di ablazione, creando una morfologia irregolare della
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sommità della della zona di contatto e della sua superficie verticale, e che penetrando nei crepacci ne
accelera l’ampliamento. Le misure indicano che durante tre stagioni estive (2002-2003-2004) i fenomeni di calving al Ghiacciaio del Miage hanno in totale provocato la perdita di circa 0,5 milioni di m3
di ghiaccio, mentre durante l’estate 2004 il calving rate (cioè il volume di ghiaccio rilasciato come iceberg per unità di tempo e per unità di area) è stato di 0,5 m al giorno.
Bibliografia
CERUTTI A.V. (1951), Le vicende del lago Miage. Augusta Praetoria, IV, 1, 26-35.
DELINE P., DIOLAIUTI G., KIRKBRIDE M., MORTARA G., PAVANI M., SMIRAGLIA C. & TAMBURINI A. (in stampa),
Drainage of ice-contact Miage Lake (Mont Blanc Massif, Italy). Geogr. Fis. Dinam. Quat., 28.
DIOLAIUTI G., KIRKBRIDE M., SMIRAGLIA A C., BENN D. I., D’AGATA C. & NICHOLSON L. (in stampa), Calving
processes and lake evolution at Miage Glacier (Mont
Poster 28
Blanc, Italian Alps). Annals of Glaciology, 39 pp.
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Faccini Francesco, Brandolini Pierluigi1, Robbiano A., Perasso L. & Sola A.
1
96
Università degli Studi di Genova, DISAM, Dipartimento di Scienze dell’Ambiente, dell’Antichità e del Medioevo, Sezione di Scienze Geografiche, Via Balbi 2,
16126 Genova (Italy)
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FIGURE 1 - a) Slope block stream «Laione 1», view from top; b) Down valley block stream «Riondo 1», view from top; c)
detail of block fabric on the front of the block stream «Fretto»; d) a little tor in serpentineschists, near Cima
Frattin.
Nel corso dell’evento alluvionale del novembre
2002 il territorio comunale di S. Colombano Certenoli (Provincia di Genova), ubicato nel tratto
terminale della val Lavagna, è stato oggetto di brevi, ma intense precipitazioni meteoriche,a conclusione di un periodo piovoso caratterizzato da un
valore mensile superiore al doppio rispetto alla
media stagionale storica. Tale evento ha innescato una diffusa instabilità geomorfologica che si è
manifestata con una serie molto consistente di fenomeni franosi,ascrivibili in prevalenza a colate
superficiali,e contestualmente ha originato una
crisi nei deflussi superficiali afferenti al reticolo
idrografico secondario. Si è constatato che la gran
parte dei dissesti verificatesi in occasione dell’evento del novembre 2002 ricade in aree considerate in termini di pianificazione territoriale a scala di Piano di Bacino Stralcio con grado di pericolosità medio o basso, quindi in settori caratterizzati come sostanzialmente stabili o privi di
elementi tali da far supporre un potenziale evento franoso.
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razzi Marco1,
Pambianchi Gilberto1 & Aringoli Domenico1
Poster 29
LA CARTOGRAFIA GEOMORFOLOGICA APPLICATA
ALLA PIANIFICAZIONE TERRITORIALE: L’ESEMPIO DEL PARCO NATURALE REGIONALE
DELLA GOLA DELLA ROSSA
E DI FRASASSI (MARCHE CENTRO-SETTENTRIONALI)
Farabollini Piero1, Gentili Bernardino1, Mate-
98
1
Università degli Studi di Camerino, Dipartimento di
Scienze della Terra, Via Gentile III da Varano, 62032
Camerino Macerata (Italy) - [email protected],
bernardino.gentili@unicam, [email protected], [email protected]
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La geomorfologia viene comunemente definita come la scienza che studia la genesi, la storia evolutiva, la distribuzione ed i rapporti reciproci delle forme e dei depositi che costituiscono il rilievo
terrestre, in relazione agli agenti ed ai processi che li hanno generati e modificati (TWIDALE, 1975;
BLOOM, 1978; CASTIGLIONI, 1979; CHORLEY et al., 1984; PANIZZA, 1988; DRAMIS & BISCI, 1998). Lo
studio delle forme antiche del rilievo e dei meccanismi che ne hanno regolato la loro evoluzione, consentono di comprendere meglio l’attuale evoluzione del paesaggio e delle sue tendenze future. Le
continue ricerche sul rapporto esistente tra territorio e antropizzazione, hanno inoltre permesso di
evidenziare che nelle operazioni di pianificazione e gestione di un territorio non si può prescindere
da una conoscenza approfondita dei processi morfogenetici che lo interessano. Le analisi geomorfologiche, soprattutto quelle a carattere spazio-temporali, trovano infatti applicazione in diversi campi ambientali ma, certamente, rappresentano un valido metodo di analisi in tutte le operazioni di pianificazione territoriale volte soprattutto alla definizione di linee guida ed alla programmazione
di interventi di riduzione e mitigazione delle pericolosità «geoambientali». In particolar modo
gli aspetti geomorfologici del territorio possono
rappresentare condizionamenti e limiti talora
invalicabili alla realizzazione di opere di ingegneria civile, di pianificazione territoriale, di ripristino e bonifica ambientale, ecc. (COOKE &
DOORNKAMP, 1974; PANIZZA, 1988; GENTILI,
1995; PAMBIANCHI & FARABOLLINI, 2002): è evidente infatti che la forte antropizzazione del territorio ha portato a continui squilibri nel sistema
«acqua-suolo-sottosuolo», che si sono rivelati tali solo a lungo termine non facilitando così una
programmazione sensata e duratura nel tempo.
La ricerca in esame illustra i risultati dell’applicazione del rilevamento geomorfologico di
dettaglio di un’area adibita a Parco Naturale, finalizzato all’analisi delle pericolosità geomorfologiche s.l. alfine di delineare delle azioni volte al
recupero territoriale ed alla pianificazione ambientale dell’area stessa, attraverso l’applicazione
di una metodologia di lavoro basata su strumenti GIS.
Il Parco Naturale Regionale della Gola della
Rossa e di Frasassi, con estensione di circa 90
km2, si localizza nelle Marche centro-settentrionali e più precisamente nel settore settentrionale dell’Appennino umbro-marchigiano p.d., nell’area di confluenza tra il fiume Esino ed il fiume Sentino.
Partendo dunque dalla carta geomorfologica
alla scala 1:25.000, realizzata a seguito dei rileva-
menti di campagna alla scala 1:10.000, sono state individuare aree con pericolosità geomorfologica e vulnerabiltà ambientali (PANIZZA, 1987,
1988 e 1991; CAVALLIN et al., 1994; PANIZZA &
PIACENTE, 1993; HORLICK-JONES et al.,1995; ANBALAGAN, 1997; CANUTI & CASAGLI, 1996;
BURBY, 1998; CASTALDINI et al., 2002; CHESTER,
2002), considerando tutti i fenomeni che hanno
la probabilità di manifestarsi nel territorio e che
in qualche modo producono, o possono produrre, effetti negativi; si è quindi proceduto all’elaborazione della carta delle pericolosità geomorfologiche, la cui legenda, a corredo di tale cartografia, è stata talvolta modificata rispetto a quel-
FIGURA 1 - Schema del modellamento glaciale dei Colli
dioritici d’Ivrea, limitrofi alla Serra d’Ivrea e alla Piccola Serra, in cui si sviluppano i depositi
del Lobo di Bienca: settore orientale a quota
più elevata (a), settore occidentale a quota inferiore (b), scarpata di Montesino-M. Albagia
(c), scarpata di Montalto Dora (d).
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le convenzionali per far fronte a particolari esigenze di rappresentazione (GNGFG, 1994;
SERV. GEOL. NAZ., 1994).
In particolare lo studio ha preso avvio da una
raccolta dati sistematica e da una analisi storica
dei fenomeni che caratterizzano l’area in esame
(notizie sull’attività dei fenomeni geomorfologici
e sulla ricorrenza dei loro scatti evolutivi possono essere ottenute attraverso ricerche di archivio
da, antiche mappe e relazioni, pubblicazioni tecniche e scientifiche, carte, disegni, fotografie ecc.,
e, talora, da semplici interviste con i residenti) alfine di arrivare alla definizione del suo tipo di attività (continua, intermittente, alternata, unica);
alla datazione dell’inizio e della fine dell’attività e
alla individuazione del suo tempo di ritorno (BISCI & DRAMIS, 1991; PAMBIANCHI & FARABOLLINI, 2002).
Particolare attenzione è stata rivolta al rilevamento degli effetti dei vari processi morfogenetici in atto, soprattutto di quelli interessanti strutture ed infrastrutture: per queste situazioni sono
state elaborate schede tecniche (censimento dei
fenomeni franosi; censimento dei processi erosivi
legati alle acque correnti superficiali e sotterranee;
individuazione dei potenziali scenari di inquinamento delle acque; censimento delle emergenze
geologiche e geomorfologiche) al fine di contribuire alla costituzione di una banca dati informatizzata, aggiornabile e facilmente utilizzabile da
tutti gli operatori.
L’individuazione delle condizioni di «pericolosità geomorfologia», desunta da uno studio come
sopra descritto, oltre a permette di individuare
delle forme di intervento per giungere alla salvaguardia, al recupero, alla qualificazione ed al più
razionale uso del territorio, hanno permesso di
delineare delle linee «politiche» del territorio sulla base delle quali successivamente potranno essere definite dettagliate scelte progettuali per l’attuazione di prioritari interventi di riassetto idrogeologico, di miglioramento agro-silvo-pastorale e
di razionale uso di aree non pienamente (o impropriamente) utilizzate.
La conoscenza delle dinamiche naturali (di
versante, di fondovalle, fluviale ecc.) e soprattutto di quella antropica, ha permesso infine di
avere un quadro completo ed esaustivo dei processi che interferiscono con il territorio e della
sua evoluzione spazio-temporale. Ciò significa
che, attraverso l’attivazione delle strutture operanti sul territorio del Parco, e attraverso la rea-
100
lizzazione di una banca dati il più possibile esaustiva dei diversi tematismi territoriali, sarà possibile definire il quadro completo, aggiornabile
e facilmente gestibile, della previsione evolutiva del territorio, intesa come la rispondenza dello stesso ad un determinato agente o processo (naturale o antropico) che su di esso si imposta.
Infine, a corredo dello studio sopra delineato, sono stati individuati, e riportati sulla cartografia geomorfologia, alcuni itinerari geoturistici che, oltre ad evidenziare le peculiarità «geologiche» (geositi) presenti nel territorio esaminato, vedono la fusione del valore prettamente
scientifico-didattico con l’interesse naturalistico-ambientale del sito che si basa principalmente sul valore estetico che tali percorsi suscitano
nei turisti stessi.
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Poster 30
RELICT PERIGLACIAL LANDFORMS IN THE LIGURIAN ALPS
(MOUNT BEIGUA)
Firpo Marco1, Guglielmin Mauro2 & Queirolo
Cristiano1
1
Università degli Studi di Genova, Dipartimento per lo
Studio del Territorio e delle sue Risorse, C. Europa 26,
16132 Genova (Italy) - [email protected], [email protected]
2
Università Insubria, Science Faculty, Via J.H. Dunant 3,
21100 Varese (Italy) - [email protected]
102
The area around Monte Beigua (1287 m a.s.l.)
is located on the watershed between the Po River
basin and the Ligurian basins and is not far from
Genoa and from the Ligurian Sea, in Northern
Italy.
The Beigua Massif is in the centre of the
Voltri Group, which is characterised by metaophiolitic rock. Serpentinites, metabasites and
metasediments of the Voltri Group are the basement of the conglomerate of the Ternary Piedmont Basin that croups out north of the ophiolites. In the study area we have investigated
three main metamorphic lithotypes: serpentineschists, metabasalts (Prasinite Auct.) and
Eclogites. The first two are weakly to pervasively affected by schistosity, the eclogites are massive, fractured rocks.
The area can be divided into three main landscape units: 1) the Southern Slope: a very steep
slope dipping towards the Ligurian Sea; 2) the
Northern Slope: a gentle slope dipping towards
the Po River basin, and characterised by several
valleys rich in terraces; 3) the Summit: areas above
1100-1200 m a.s.l. on the northern side of the watershed, and characterised by a gentle slope and
several flat areas. Both the slope units have mainly been modelled by gravitational and fluvial
processes while the summittal areas appear almost
unaffected by these processes
The landscape of the higher slopes and the
summit is characterised by the accumulation of
large blocks without any rock faces at their head
and by some rocky relic reliefs that attracted the
attention of many geologists in the past (ISSEL,
1892; SACCO, 1934; CONTI, 1940). Eleven block
accumulations have been analysed from a morphological, morphometrical and sedimentological point of view. The block accumulations are all
characterised by an openwork texture, at least in
the upper 1.5 m, an angular or subangular shape,
frequent vertical dipping, the absence or the
paucity of vegetation (except epilithic lichens), in
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Figura 1 - Ricostruzione del reticolato idrografico responsabile del modellamento della successione fluviale conservata nei
versanti occidentale e nordoccidentale della Collina di Torino.
contrast to the woodland coverage just outside
these landforms. Moreover, there is a remarkable
absence of any rock cliff or free face at the head
in the majority of cases (especially in the downvalley block accumulations), unlike that documented for the famous «stone streams of the Falkland Islands (ANDERSON, 1906; CLAPPERTON,
1975; HALL, 2002). All these morphological characteristics, and above all, the surface flow structures (e.g. preferential orientation of the long axes, imbrication, frontal areas of lobate form) suggest that solifluction, gelifluction or frost creep or
a combination of these can be considered responsible for the down-valley movement of these accumulations.
Where there are large accumulations of blocks
at the foot of bedrock cliffs or free faces a simpler
explanation is the weathering of bedrock «in
situ», otherwise we have to think of a very large
rock avalanche or rock fall that completely destroyed the bedrock cliff, but there is no evidence
of this latter theory.
To understand whether periglacial conditions
still remain in the area two dataloggers, each one
with 4 external thermistors, were installed in January 2003. The subsurface temperature (2 cm)
had a range between (–13°C) and (30°C) with
very strong diurnal oscillations that, during the
late winter, reached (35°C). During the early winter there were very frequent daily freezing-thawing cycles that decreased towards the onset of
spring.
The two weather stations with a long climate
record located closest to the study area, at Melogno at 1000 m a.s.l. and Alpicella at 405 m a.s.l,
demonstrate that the air temperature had a mini103
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mum in January and a maximum in July-August in the period between 1934 and 1983 with a mean annual air temperature (MAAT) of (9.9°C) at Melogno and (14°C) at Alpicella with a mean lapse rate of
0.69°C/100 m. Snow cover data are not available but some periodic measures in the 2002-2003 winter
revealed a thin cover (less than 30 cm) for less than 15 days in the higher areas (above 1000 m a.s.l.).
The relatively high frost penetration measured now and the usually low winter snow cover suggest a very effective frost action in the past, especially during the Weichselian, when the MAAT was
(10-15°C) less than in modern times (CLARK, 1972) and in this case could be calculated as
around(–2°-0°C) in the examined area. If the hypothesised climatic conditions are correct, the possibility that permafrost also occurred at that time cannot be excluded and therefore the movement
of the blocky accumulations could be related to the creep of these masses and/or gelifluction.
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raddrizzata.
104
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Poster 31
IL MODELLAMENTO GLACIALE
DEI COLLI DIORITICI DI IVREA
Forno Maria Gabriella1, Gianotti Franco2 &
Grosso Federico3
1
Università degli Studi dii Torino, Dipartimento di Scienze della Terra, Via Valperga Caluso 35, 10125 Torino
(Italy)
[email protected]
2
Libero Professionista, Via Cavalieri di Vittorio Veneto 2,
11020 Nus (Aosta) - [email protected], via Don Minzioni 4, 10040 Piobesi Torinese TO (Italy) - [email protected]
Gli studi tuttora in corso sull’ampia depressione interna dell’Anfiteatro Morenico di Ivrea, allo
sbocco della Valle d’Aosta, consentono di ricostruire gli episodi più recenti del modellamento
glaciale pleistocenico; in questa sede è stato preso in esame, con estremo dettaglio, il settore in cui
si sviluppano i Laghi di Ivrea, contiguo rispetto
agli imponenti cordoni morenici della Serra d’Ivrea e della Piccola Serra (fig. 1).
Il tratto morfologico più evidente è rappresentato da un insieme di bassi rilievi, separati da
FIGURA 2 - Variazione schematica della linea di riva durante il 2003.
depressioni occupate dai Laghi di Ivrea. I rilievi,
modellati nelle rocce del substrato, conservano
diffuse tracce dell’esarazione glaciale: si innalzano fino a 250 metri sopra la pianura alluvionale
attuale del F. Dora Baltea, raggiungendo la quota massima di 519 m (C. Montesino), a costituire un parziale sbarramento della depressione interna dell’anfiteatro. Le depressioni lacustri, anch’esse legate essenzialmente all’esarazione glaciale sul substrato roccioso, si sviluppano a quote
differenti e attualmente risultano colmate in par105
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te o totalmente da depositi lacustri o palustri successivi.
I rilievi, noti negli studi geologici come «Colli dioritici di Ivrea», rappresentano la locale emergenza dell’edificio sudalpino immediatamente a SE della Linea Insubrica, indicata localmente come
Linea del Canavese Esterna. Si caratterizzano per l’elevata percentuale di affioramento del substrato roccioso, costituito essenzialmente da granuliti nella Zona Ivrea-Verbano, dioriti e graniti nella Zona del Canavese, caratterizzati in genere da struttura massiva, elevata competenza e modesta fratturazione: nelle aree di affioramento dei litotipi meno fratturati si sviluppano prevalentemente rilievi
allungati; in corrispondenza alle fasce di distribuzione delle miloniti e delle cataclasiti, che evidenziano i settori di faglia, sono invece impostate le depressioni lacustri. Il modellamento erosionale dell’area in esame, espresso da forme di esarazione a varia scala, ampiamente distribuite e ben conservate, era già stato riconosciuto dagli autori precedenti (BRUNO, 1883; MARCO, 1892; BARETTI, 1893;
FRANCHI et al., 1912), che avevano invece trascurato lo studio della modesta copertura quaternaria.
Il rilevamento geologico condotto da uno degli autori (F. GROSSO) ha permesso di riconoscere
una serie di lembi circoscritti di depositi glaciali,
con estensione decametrica e spessore metrico,
costituiti essenzialmente da till di ablazione; localmente risulta anche ben conservata l’espressione
morfologica di questi sedimenti, corrispondente a
cordoni morenici discontinui.
La presenza di queste evidenze entro la depressione interna dell’anfiteatro suggerisce che
siano da ricondurre agli episodi più recenti del
modellamento glaciale pleistocenico. In base alla morfologia e alla distribuzione plano-altimetrica alcuni lembi sono stati correlati tra loro ed
interpretati come una successione di archi concentrici, geneticamente legati ad un lobo glaciale (Lobo di Bienca) estruso dal fianco sinistro
del ghiacciaio della Dora Baltea (ghiacciaio balteo) (fig. 1).
Inoltre, all’interno dell’area interessata dall’esarazione glaciale, si sono distinti su base altimetrica un settore esterno, orientale (a), sviluppato a
quota più elevata, e uno più interno, occidentale
(b), a quota inferiore, separati da una scarpata di
erosione glaciale con altezza di un centinaio di
metri e allungata in direzione N5°W-S5°E (scarpata di C. Montesino-M. Albagia, c). Il settore a
quota inferiore è delimitato verso W da un’ulteriore scarpata, con altezza di una cinquantina di
metri, che lo sospende sulla pianura alluvionale
attuale del F. Dora Baltea (scarpata di Montalto
Dora, d).
Considerando la morfologia complessiva, la
distribuzione e l’orientazione delle tracce dell’esarazione glaciale, la distribuzione e le caratteristiche dei depositi glaciali e lacustri, si può ipotizzare la seguente ricostruzione dell’evoluzione geologica pleistocenica dell’area (fig. 1).
1. Il modellamento principale del settore dei
106
Laghi di Ivrea, che ha comportato un sensibile approfondimento erosionale del ghiacciaio balteo, è
verosimilmente contemporaneo all’edificazione
della morena laterale della Serra d’Ivrea, riferibile alla penultima espansione glaciale: lo sviluppo
di questo imponente cordone suggerisce infatti
uno spessore notevole della massa glaciale, valutabile in alcune centinaia di metri, caratterizzata
quindi da un discreto potere esarante.
2. L’area viene ulteriormente approfondita e
modellata nel corso dell’ultima espansione
(LGM), a cui è da attribuire la formazione della «Piccola Serra»: si può ipotizzare che in questo episodio il ghiacciaio balteo avesse uno spessore più modesto, in media di circa 200 m. Le
misure effettuate sulle strie glaciali indicano una
direzione di scorrimento prevalente del ghiacciaio compresa tra ESE e SE.
3. Successivamente allo stadio di acme glaciale, un rapido ritiro del ghiacciaio dal settore
orientale dell’area dei Colli dioritici è attestato
dall’estrema scarsità di copertura glaciale, ridotta a rari lembi di «morenico scheletrico sparso».
Nel settore orientale (a) prossimo allo sbocco
vallivo vengono edificate le cerchie più esterne
del Lobo di Bienca. Il ritiro del lobo è stato localmente accompagnato dalla sedimentazione di
depositi di contatto glaciale in laghetti marginali, che attualmente formano lembi di terrazzi di
kame, sospesi a vari livelli sul fianco dei piccoli
cordoni morenici.
4. Il ghiacciaio balteo in ritiro è ormai contenuto a W della scarpata di Montesino-M. Albagia
(c) ed ha un verso di scorrimento principale compreso tra Sud e SSE. Le depressioni del settore
orientale (a), ormai abbandonate dal ghiacciaio,
vengono occupate da laghi di margine glaciale e
proglaciali. In particolare il fianco sinistro del
ghiacciaio doveva sbarrare ad W le soglie delle depressioni, mantenendo elevato il livello del Lago
di Tomalino, ora ridotto a torbiera fossile: questa
ipotesi è suggerita dalla presenza di lembi glacio-
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FIGURA 1 - Area di studio. In grigio scuro i rilievi principali.
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lacustri terrazzati e rilevati di circa 3 m sull’attuale piana di colmamento del bacino, al di sopra
cioè della soglia attuale dello stesso.
5. Il ghiacciaio si ritira del tutto anche dal settore occidentale (b) dei Colli dioritici, rimanendo appoggiato sulla scarpata di Montalto Dora
che li delimita verso W (d). In un primo momento il margine glaciale si mantiene sufficientemente elevato da sbarrare le depressioni presenti nel settore occidentale, causando un livello
più alto (almeno q. 340 m) rispetto a quello dell’attuale Lago Nero (q. 300 m), come testimonia
la distribuzione di alcuni lembi di sabbie glaciolacustri.
6. Con il Tardiglaciale, in concomitanza con il
completo abbandono dell’Anfiteatro di Ivrea da
parte del ghiacciaio balteo, ed il successivo Olocene procede il colmamento di alcuni laghi, fino
allo stadio di torbiera (Schneider, 1978), mentre
altri, che occupano depressioni più profonde o
meno soggette ad interrimento, perdurano tutt’oggi (Laghi Sirio, San Michele, Pistono, Nero,
Campagna e di Chiaverano).
Bibliografia
BARETTI M. (1893), Geologia della Provincia di Torino.
Casanova, Torino.
BRUNO L. (1883), L’era lacustre nell’Anfiteatro della
108
Dora Baltea. Boll. CAI, 50.
FRANCHI S., MATTIROLO S., NOVARESE V. & STELLA
A. (1912), Foglio 42 «Ivrea» della Carta Geologica
d’Italia alla scala 1:100.000. I ed. Serv. Geol. It.,
Roma.
MARCO C. (1892), Studio geologico dell’anfiteatro morenico d’Ivrea. Tipografia Garda, Ivrea, 55 pp.
NOVARESE V. (1916), Il Quaternario in Valle d’Aosta
e nelle Valli del Canavese. Parte III: gli stadi postwürmiani. Boll. R. Comit. Geol. It., 45 (3-4), 137194.
SACCO F. (1927), Il glacialismo nella Valle d’Aosta.
Min. LL. PP., Uff. Idrog. Po.
SCHNEIDER R.E. (1978), Pollenanalytische Untersuchungen zur Kenntnis der Spät-und postglazialen Vegetationsgeschischte am Südrand der Alpen zwischen
Turin und Varese (Italien). Bot. Jahrb. Syst., 100 (1),
26-109.
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LA SUCCESSIONE FLUVIALE PLEISTOCENICA DEI VERSANTE
OCCIDENTALE E NORDOCCIDENTALE DELLA COLLINA DI TORINO
Forno Maria Gabriella1 & Lucchesi Stefania2
1
Università degli Studi di Torino, Dipartimento di Scienze della Terra, Via Valperga Caluso 35, 10100 Torino (Italy)
[email protected]
2
Istituto di Geoscienze e Georisorse del C.N.R, Via Accademia delle Scienze 5, 10100 Torino (Italy)
Gli studi precedenti riguardanti l’evoluzione
geologica quaternaria della Collina di Torino hanno consentito di evidenziare in modo preliminare
le tracce di un reticolato idrografico pleistocenico, sensibilmente sospeso e con andamento molto differente rispetto ai corsi d’acqua sviluppati
attualmente nel rilievo collinare (BOANO et al.,
2004). Il rilevamento geologico dei versanti occidentale e nordoccidentale, effettuato in occasione
del presente studio, permette di ricostruire con
maggiore dettaglio la distribuzione della successione fluviale conservata sulle sommità delle dorsali spartiacque.
Il riconoscimento dei diversi termini di questa
successione, distribuiti in corrispondenza a differenti fasce altimetriche, è facilitato dalla loro
espressione morfologica: corrispondono a lembi
di superfici terrazzate con estensione compresa
tra alcune decine e alcune centinaia di m2, spesso
evidenziati dalla presenza di antichi edifici residenziali, e localmente a più estesi relitti di meandro. L’estrema antropizzazione dell’area e la diffusa copertura eolica e colluviale rappresentano
invece un ostacolo all’analisi sul terreno.
Malgrado le difficoltà incontrate, il notevole
dettaglio con cui è stato effettuato il rilevamento
geologico consente di riconoscere corpi sedimentari di origine fluviale, con spessore metrico, in
corrispondenza alla maggior parte dei lembi descritti; localmente tali forme risultano invece modellate direttamente sui termini marini terziari.
I diversi lembi sono stati distinti tra loro e correlati in base al differente sviluppo altimetrico e
alla diversa alterazione dei sedimenti, che ha consentito il riferimento cronologico dell’intera successione all’intervallo di tempo compreso tra il
Pleistocene medio e l’Olocene.
L’attuale assetto altimetrico delle forme relitte,
variamente sospeso rispetto alla pianura con un
dislivello compreso tra 70 e 400 m, la loro distribuzione complessiva, in corrispondenza alle attuali dorsali secondo fasce allungate parallelamente allo spartiacque collinare, e l’allungamento prevalente dei singoli lembi, svincolato dall’andamento dei corsi d’acqua attuali, suggeriscono il
legame con una situazione morfologica e geologica del rilievo collinare notevolmente diversa dall’attuale. È possibile in particolare ipotizzare lo
sviluppo di corsi d’acqua con andamento circa
parallelo allo spartiacque: l’impostazione estremamente recente dell’attuale F. Po al margine
nordoccidentale del rilievo collinare, già documentata in letteratura, indica che le tracce prese
in esame sono invece da collegare a precedenti andamenti del reticolato affluente; lo studio mineralogico dei sedimenti, oggetto di un lavoro specifico tuttora in corso, consente di ipotizzare una alimentazione essenzialmente dai bacini dei Fiumi
Stura di Lanzo e Dora Riparia (fig. 1).
Lo sviluppo altimetrico anomalo dei lembi fluviali relitti e la presenza di scarpate tra i diversi
ordini, con altezza di alcune decine di metri, suggeriscono una successione di episodi di approfondimento erosionale del reticolato idrografico,
connessa con il sollevamento recente dell’edificio
collinare.
La successione terrazzata esaminata rappresenta quindi il risultato della progressiva deformazione del settore distale dei conoidi alpini, coinvolti
nel sollevamento della Collina di Torino, e nella
migrazione verso NW del suo margine esterno,
che hanno portato al loro inglobamento nell’area
collinare. Si può stimare che tale deformazione,
tutt’ora in atto, abbia avuto, nell’intervallo compreso tra il Pleistocene medio e l’Olocene, una
componente verticale con velocità media di solle109
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FIGURA 1 - Schermata di lavoro in ArcView Gis 8.3. Nel riquadro più piccolo vengono visualizzate le informazioni sulla
frana selezionata.
vamento relativo di circa 1 mm/anno.
Bibliografia
BOANO P., FORNO M. G. & LUCCHESI S. (2004), Pleistocene deformation of the Collina di Torino inferred
from the modelling of their fluvial succession. Il
Quaternario, It. Journ. Quatern. Sc., 17, 245-250.
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STUDIO DELLA VARIAZIONE
DELLA LINEA DI RIVA
TRAMITE L’ANALISI DI IMMAGINI VIDEO E STRUMENTI GIS
Gardelli Manuela1, Armaroli Clara1 & Ciavola
Paolo1
1
Università degli Studi di Ferrara, Dipartimento di Scienze della Terra, Corso Ercole I d’Este 32, 44100 Ferrara
(
I
t
a
l
y
)
[email protected], [email protected],
[email protected]
FIGURA 1 - Vista panoramica della frana di Champlong, sul
versante sinistro (meridionale) della valle dell’Urtier.
Nell’ambito del progetto di ricerca europeo
COASTVIEW (contratto EVK3-CT-2001-00054)
è stata realizzata una stazione ARGUS presso il sito di Lido di Dante, piccola località turistico-balneare dell’Emilia Romagna, in provincia di Ravenna, il cui litorale sabbioso si estende per circa 3
Km dalla foce dei Fiumi Uniti a Nord alla foce del
fiume Bevano a Sud.
L’area è caratterizzata da una zona di spiaggia
protetta da strutture antropiche (di 800 m di lunghezza) nella parte Nord, come pennelli e diga
soffolta, adiacente ad un tratto di spiaggia completamente naturale (di circa 2 Km di lunghezza),
con dune e pineta retrostante.
La stazione di video monitoraggio Argus comprende 4 videocamere puntate obliquamente lungo la costa, installate su una torre di legno alta 18
metri (ALBERTAZZI et al., 2003).
I dati vengono raccolti da un computer presente nella stazione stessa e trasferiti, per mezzo di
una linea telefonica, ad un server: la camera campiona 10 minuti di video all’inizio di ogni ora di
luce per ogni giorno dell’anno (ARMAROLI et al.,
in stampa).
In questa sede vengono presentati i dati acquisiti tramite l’elaborazione delle immagini oblique
fornite dalla videocamera posta più a Sud, puntata sul tratto di costa non protetta (fig.1-a).
Queste immagini sono state ortogonalizzate
(fig 1-b) fino a circa 1200 m verso Sud, per mantenere la più alta risoluzione possibile sul crosshore (tra 0.1 m e 1 m) anche a una certa distanza dalla stazione stessa e su di esse sono state elaborate le linee di riva tramite una serie di algoritmi in ambiente MATLAB (ARMAROLI et al., in
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stampa). La variazione della linea di riva è stata
qui analizzata per l’anno 2003.
Consultando i dati sul sito della Rete Ondametrica Nazionale, si sono ricercate le mareggiate più
evidenti, prendendo come parametri di riferimento le altezze d’onda intorno ai 2 m e le immagini
acquisite con Argus in cui si vedono le onde lambire il piede delle dune retrostanti la spiaggia.
Si è iniziata così l’analisi prendendo come prima mareggiata significativa quella del 10-11 Aprile 2003, i cui parametri sono presentati nella tabella a pagina seguente.
Per ogni mareggiata si sono prodotte linee di
riva nei giorni prima e dopo l’evento di tempesta
(o nei giorni immediatamente vicini se proprio le
linee di riva non si potevano creare o le immagini
non erano disponibili) e alle sizigie precedenti e
successive, per registrare al meglio le variazioni
della linea di riva.
Tali linee di riva sono poi state esportate come
file ASCII e di esse, per ogni giorno, è stata interpolata con il software Surfer 8.0 la linea di livello
alla quota ortometrica 0.00 m. Per tale interpolazione è stato utilizzato il metodo del Kriging,
creando un DEM con maglia di 1 m nella x e 5 m
nella y e impostando una anisotropia maggiore in
direzione perpendicolare alla costa (per le caratteristiche fisiche del sito).
Tutte queste linee sono state in seguito salvate
in un formato di interscambio (.dxf) e caricate nel
software Arcview 3.3 per poter visualizzare le variazioni durante l’anno 2003.
Questo tipo di analisi ha permesso di fare un
confronto tra le mareggiate avvenute in condizione
di sizigie (nel periodo in esame tutte provocate da
venti di Bora) e non (principalmente provocate da
venti di Scirocco), osservando che subito dopo le
prime la spiaggia risulta in erosione lungo quasi tutto il tratto, con al massimo qualche zona in equilibrio, mentre dopo le seconde la linea di riva mostra un andamento irregolare, con un’alternanza di
zone in erosione e zone in avanzamento.
Per quanto riguarda l’andamento stagionale
della linea di riva, nel periodo primaverile del
2003 si osserva che il tratto di spiaggia subito a
Sud del pennello ha guadagnato nel complesso
qualche metro.
Più a Sud, fino a circa – 630 m (si ricorda che
la stazione Argus ha un proprio sistema di coordinate con l’origine nel punto in cui è posizionata la torre e la coordinata verso Sud negativa) la
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FIGURA 2 - Suddivisione del corpo di frana in settori a diverso comportamento cinematico. 1) Settore
sinistro: campo di forzi transtensivo, con faglie
normali e fessure di trazione disposte en-echelon. 2) Settore della scarpata principale: depressioni chiuse e fessure di trazione riconducibili alla regressione della frana. 3) Settore superiore dell’accumulo e relativi sottosettori
(3a-3b): associazioni strutturali molteplici;
sottosettore orientale (3a) caratterizzato da
pieghe e dossi; sottosettore occidentale (3b) caratterizzato dalla diminuzione della dimensione delle pieghe e dall’aumento di fessure di
trazione. 4) Settore inferiore dell’accumulo e
relativi sottosettori (4a-4b), con associazioni
strutturali analoghe al settore soprastante, associate a strutture di sovrascorrimento ed
estrusione di sedimenti.
spiaggia rimane nel complesso in equilibrio, per
poi avanzare fino a –920 m e ritornare in erosione proseguendo verso Sud.
Durante l’estate la linea di riva rimane pressoché invariata. Nel periodo autunnale, da settembre a dicembre 2003, la spiaggia subisce invece le
variazioni più marcate: il tratto a ridosso del pennello risulta in erosione a fine dicembre e rimane
così fino a circa 800/830 m, dove la spiaggia arretra vistosamente con alcuni punti, soprattutto intorno ai –600 m, in cui si ha un arretramento dell’ordine di una decina di metri.
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La spiaggia aumenta invece in larghezza spostandosi verso Sud dove, per esempio intorno ai –950 m, la
linea di riva si sposta verso mare di 8-10 m.
Riassumendo (fig. 2), questo tratto di spiaggia è caratterizzato da due zone con comportamento differente ma abbastanza omogenee al loro interno:
1) dal pennello fino a circa – 800/850 m la spiaggia risulta in erosione;
2) da – 800/850 m verso Sud è invece in avanzamento per la maggior parte del tratto in esame, o comunque in equilibrio.
Bibliografia
ALBERTAZZI C., ARCHETTI R., ARMAROLI C., CERONI M., CIAVOLA P., LAMBERTI A. & MEDRI S. (2003), The Coastview Project. Proceedings of Medcoast Conference, Ravenna, Italy, 235-246.
ARMAROLI C., CIAVOLA P., BALOUIN Y. & GATTI M. (in stampa), An Integrated study of shoreline variability using
GIS and ARGUS techniques. Journal of Coastal Research, Proceedings of ICS 2004, SI 39.
EVOLUZIONE GEOMORFOLOGICA DELLA VALPAROLA
(DOLOMITI) DAL TARDIGLACIALE AD OGGI
Ghinoi Alessandro & Soldati Mario
Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, Dipartimento di Scienze della Terra, Largo S. Eufemia 19,
41100 Modena (Italy) - [email protected], [email protected]
FIGURA 1 - La nicchia di distacco del crollo del 1988 e l’accumulo che attraversa trasversalmente il Ghiacciaio del Miage (foto Cosson, 1988).
L’area di studio è situata nell’Alta Val Badia, al
confine tra la Provincia Autonoma di Bolzano e la
Provincia di Belluno, nel settore orientale delle
Dolomiti Centrali. La Valparola costituisce da
sempre un’importante zona di transito tra le valli
del Boite e del Cordevole e la Val Badia: nel medioevo ospitava un tratto strategico della «Via
della Vena», la strada che portava il ferro dalle miniere di Fursil (provincia di Belluno) verso i mer-
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FIGURA 2 - Geographic Information System (G.I.S.) – Carta Geomorfologica del versante meridionale del Monte Bianco.
cati tirolesi; oggi è meta e transito per migliaia di
turisti ogni anno.
La zona è delimitata a nord dal Piz dles Conturines (3064 m), a sud dal monte Settsass (2571
m) e dal Passo di Valparola (2187 m), a est dall’Alpe di Lagazuoi (2718 m) e a ovest dalla cima
Les Pizades (2255 m) e dal torrente Stuores. La
quota minima corrisponde all’abitato de L’Armentarola (1615 m); quella massima al Piz dles
Conturines (3064 m). L’estensione è di circa 17,5
km2.
Le formazioni geologiche affioranti sono di
origine sedimentaria e rappresentano l’intervallo
di tempo che va dal Ladinico superiore al Norico.
Gli ambienti deposizionali vanno da quelli di scogliera corallina, retro-scogliera e bacinali di mare
profondo a quelli paralici e di piana tidale carbonatica. Le formazioni di origine carbonatica, dolomitizzate, costituiscono i rilievi principali e sono generalmente sovrapposte, stratigraficamente
o tettonicamente, a quelle bacinali composte da
arenarie, silt e argille con percentuali variabili di
carbonati. I lineamenti tettonici più importanti sono rappresentati da due sovrascorrimenti sud-vergenti, entrambi ascrivibili alla fase orogenetica
neo-alpina: la linea della Valparola, che interseca
marginalmente la valle in corrispondenza del passo, e la linea del Conturines, che interseca il rilievo omonimo.
La presenza di depositi glaciali, spesso in forma
di morene frontali, ha permesso una ricostruzione
temporale relativa delle fasi di avanzamento dei
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ghiacciai presenti nella valle dopo l’Ultimo Massimo Glaciale. Tale ricostruzione è basata sul metodo della differenza del limite delle nevi, come già
proposto da G.B. CASTIGLIONI (1961) per i depositi morenici del Gruppo Adamello-Presanella e
utilizzando come limite delle nevi attuale quello
determinato, per quest’area, da Marinelli (1910):
questo per poter inserire le fasi di avanzamento all’interno della suddivisione proposta dallo stesso
G.B. Castiglioni. Quest’ultimo utilizzò lo stesso
metodo anche per i depositi morenici dell’intera
area dolomitica (G.B. CASTIGLIONI, 1964), adottando una scala di rappresentazione 1:250.000; la
scala adottata per questo studio è 1:10.000, volendo essere l’analisi più dettagliata e mirata alla ricostruzione geomorfologica della sola Valparola.
La fase più antica sembra corrispondere allo
stadio di Sciliar (ex. Bühl), testimoniata da una serie di sette morene frontali in località L’Armentarola e da una morena laterale ai piedi del rilievo
Les Pizades (quest’ultima ha la sua estremità superiore ad una quota di 2025 m). In tale periodo
è verosimile supporre che la valle fosse in gran
parte ricoperta da un’unica massa glaciale o, al limite, da due masse in gran parte coalescenti. Già
prima dello stadio di Gschnitz, la massa glaciale
dovrebbe aver raggiunto una considerevole frammentazione: a questo periodo appartengono infatti due morene frontali situate ad una distanza reciproca di 1 km, una in corrispondenza della località Casere Eisenofner, l’altra in località Prei
Glira.
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Prima dell’inizio dello stadio di Daun rimaneva soltanto una piccola lingua glaciale, ospitata all’interno del Vallone Pudres, come testimoniato
da un arco morenico frontale a sud-est della cima
Les Pizades, e probabilmente due piccoli glacionevati a nord della Cima Settsass, ora ospitanti
due nevai.
Successivamente al ritiro di gran parte della
massa glaciale, sui pendii cominciarono ad accumularsi, in forma di coni e falde, i detriti prodotti dal crioclastismo, particolarmente efficace in
corrispondenza delle pareti dolomitiche già densamente fratturate a seguito dei movimenti tettonici. In questa fase ebbero luogo anche alcuni
crolli di considerevoli dimensioni, verosimilmente in seguito al mancato supporto delle masse glaciali, ma anche all’azione di divaricamento di queste in corrispondenza di preesistenti discontinuità negli ammassi rocciosi.
Con l’inizio dell’Olocene, in base a quanto osservato in aree limitrofe (SOLDATI et al., 2004), un
clima più umido e meno severo potrebbe aver favorito fenomeni d’instabilità nei terreni a comportamento plastico delle formazioni di S. Cassiano e
La Valle. Ad oggi si conoscono soltanto due datazioni di fenomeni franosi avvenuti nell’adiacente
valle di San Cassiano, collocabili all’interno del
Sub-boreale superiore.
Attualmente, le colate detritiche rappresentano il processo geomorfologico più importante dell’area di studio. Le ampie fratture dei massicci dolomitici fungono da bacini collettori delle acque
meteoriche che, durante gli eventi più intensi,
vengono scaricate all’apice dei coni detritici scavando in essi profondi solchi. Il materiale detritico preso in carico viene depositato alla base dei
coni stessi in forma di lobi d’esondazione coalescenti, ampliandone la base e, in casi estremi, intersecando il tracciato di corsi d’acqua interrompendone il flusso superficiale. In epoca recente alcune colate detritiche hanno più volte invaso la sede stradale costringendo, in ultima istanza, alla
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costruzione di un nuovo tracciato in posizione più favorevole.
Le colate detritiche non costituiscono soltanto un elemento di rischio, ma anche una costante fonte di approvvigionamento di materiale da costruzione, come nel caso del frantoio che sorge alla base
del cono detritico più ampio della zona, in prossimità del torrente Saré.
Bibliografia
CASTIGLIONI G.B. (1961), Depositi morenici del Gruppo Adamello-Presanella con particolare riguardo agli stadi glaciali postwürmiani. Mem. Ist. Geol. e Min. Univ. Padova, Vol. XXIII, pp. 2-119.
CASTIGLIONI G.B. (1964), Sul morenico stadiale nelle Dolomiti. Mem. Ist. Geol. e Min. Univ. Padova, 24, 16 pp.
MARINELLI O. (1910), I ghiacciai delle Alpi Venete. MePoster 35
morie Geografiche (Suppl. alla Riv. Geogr. Ital.), n.
11.
ANALISI GEOMORFOLOGICA
SOLDATI M., CORSINI A. & PASUTO A. (2004), Landslides and climate change in the Italian Dolomites sinDELLE FORME GRAVITATIVE,
ce the Lateglacial. Catena (in press).
CRIONIVALI E GLACIALI DEL
TERRITORIO COMUNALE
DI COGNE (VALLE D’AOSTA):
PERICOLI E RISORSE
DELL’AMBIENTE DI ALTA MONTAGNA
Giardino Marco1 & Armand Marco2
1
Università degli Studi di Torino Dipartimento di Scienze della Terra, Via Valperga Caluso 35, 10125 Torino
(
I
t
a
l
y
)
marco.giardino@ unito.it
2
Collaboratore, Università degli Studi di Torino, Dipartimento di Scienze della Terra, Via Valperga Caluso 35,
10125 Torino (Italy).
116
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Il territorio comunale di Cogne (Valle d’Aosta)
è stato oggetto di un’analisi geomorfologica finalizzata alla predisposizione di una base di dati utili per interpretare l’evoluzione e la dinamica dei
versanti. Gli strumenti di questa indagine sono stati l’analisi della bibliografia storico-scientifica sul
territorio, la fotointerpretazione multitemporale, il
rilevamento di dettaglio effettuato sul terreno.
Dal lavoro è emerso un quadro complessivo
caratterizzato da un gran numero di forme tipiche
dell’ambiente alpino di alta quota, legate a diversi agenti morfogenetici. Si va dalle forme crionivali (come i rock glacier, particolarmente diffusi)
alle forme glaciali di varia età e dimensione (ad
esempio morene, oppure selle di trasfluenza, scaricatori glaciali ecc.), alle grandi frane storiche e
preistoriche; alcune di queste ultime, sbarrando il
fondovalle, hanno portato alla formazione di bacini lacustri.
La complessità del paesaggio geomorfologico
del territorio comunale di Cogne è stata rappresentata in una carta geomorfologica alla scala
1:10.000 (4 tavole), collegata ad un Sistema Informativo Territoriale («SIT», realizzato con ArcViewGis 8.3). Il SIT rappresenta un insieme di dati di base indispensabile per sviluppare successive
analisi tematiche quali l’analisi gravitativa e l’analisi della dinamica glaciale.
Per quanto concerne l’analisi gravitativa, la
raccolta e l’organizzazione dei dati è stata effettuata secondo le specifiche del progetto IFFI (Inventario dei Fenomeni Franosi in Italia). Le frane rilevate appaiono distribuite sul territorio sulla base dei condizionamenti lito-strutturali e delle caratteristiche fisico-climatiche locali: ne sono state
ricavate rappresentazioni grafiche di sintesi. Particolarmente interessanti dal punto di vista scientifico sono i dati complessivi sulla distribuzione
dei fenomeni gravitativi in relazione alla distribuzione delle varie unità tettoniche. Le unità tettoniche del Dominio Piemontese appaiono quelle
più interessate in termini di frequenza dei singoli
eventi franosi. Infatti si tratta di unità composte
prevalentemente da calcescisti, rocce di scadente
qualità geomeccanica, facilmente degradabili, interessate da fenomeni quali Deformazioni Gravitative Profonde di Versante (DGPV) o scivolamenti che coinvolgono un areale molto maggiore
rispetto ai crolli.
I fenomeni di crollo invece sono più diffusi nei
litotipi del massiccio del Gran Paradiso, laddove le
rocce sono meno degradate, ma a tratti intensamente fratturate. Si tratta in media di crolli di piccole dimensioni, di circa 0,5 km2 che spesso sono
sottovalutati per la loro scarsa evidenza geomorfologica ma che purtroppo creano situazioni di pericolo, o di rischio quando la loro dinamica interferisce con la frequentazione antropica dell’area.
Cinque fenomeni gravitativi particolarmente
significativi dal punto di vista geomorfologico sono stati approfonditamente analizzati: la DGPV
nel vallone dell’Urtier, la frana denominata Truc
Cretettaz, la zona dell’Erfaulet, la frana di Champlong e il crollo di Sylvenoire. Per ogni frana si è
compilata una scheda nelle quali sono contenute
informazioni sulla sua morfometria, sulla classificazione, geologia, stato di attività e danni.
L’analisi della dinamica glaciale è stata concentrata sulla descrizione delle forme oloceniche e
sulle conseguenze del recente ritiro generalizzato
dei ghiacciai. L’analisi dei crolli lungo le aree recentemente deglaciate e l’osservazione del grado
di copertura vegetale ha permesso di avanzare alcune considerazioni sulla cronologia degli eventi
morfogenetici locali.
I crolli più recenti sono risultati per lo più distribuiti a minor distanza dai ghiacciai attuali e
quindi una loro probabile causa (predisponente)
è proprio la recente deglaciazione, spesso in relazione allo scarico delle pressioni legate alla dinamica glaciale.
I risultati della tesi, se da un lato sottolineano
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la pericolosità geomorfologica di alcuni settori del territorio comunale di Cogne, dall’altro mettono in
risalto le sue particolari valenze geomorfologiche e paesaggistiche. Infatti il SIT ha permesso di evidenziare diverse forme di interesse scientifico per l’evoluzione del paesaggio, ma anche per una possibile
valorizzazione turistica dell’area. Ad esempio il rock glacier che sbarra parte del fondovalle nel vallone del Grauson, con il suo valore «scenico»: il turista che percorre il sentiero di questa valle, se trovasse un cartello «geoturistico» in grado di spiegare in termini scientifici, ma comprensibili, la dinamica
del paesaggio locale sarebbe sicuramente soddisfatto di poter comprendere le ragioni della bellezza dei
luoghi in cui sta camminando.
Soluzioni di questo tipo sono già presenti nel comune di Cogne, sul Montseuc, dove sono stati istallati dei cartelli che spiegano la presenza di un rock glacier, di una frana di crollo, di un cordone morenico. Per arrivare in loco i turisti usufruiscono di una telecabina e quindi in pratica esiste anche un ritorno economico per l’imprenditoria locale, in quanto molti turisti pagano il trasporto in quota per vedere questo paesaggio.
Appare quindi opportuno, anche in funzione
di una salvaguardia del patrimonio di siti naturali, promuovere azioni di valorizzazione consapevole; queste devono comprendere non solo una
divulgazione sui fenomeni geologici e geomorfologici ma anche una proposta di itinerari di visita
concepiti secondo criteri di sicurezza (ove possibile) e «consapevolezza» (sempre) verso i fenomeni di dinamica ambientale di alta montagna.
Poster 36
ANALISI GEOMORFOLOGICA E
CARTOGRAFIA
DELLE DEFORMAZIONI SUPERFICIALI NELL’AREA DELLA FRANA DI CHAMPLONG (COGNE,
VALLE D’AOSTA)*
Giardino Marco1 & Chabod Alex2
1
Università degli Studi di Torino, Dipartimento di Scienze della Terra, Via Valperga Caluso 35, 10125 Torino
(Italy) marco.giardino@ unito.it
2
Collaboratore esterno, Università degli Studi di Torino,
Dipartimento di Scienze della Terra, Via Valperga Caluso 35, 10125 Torino (Italy)
118
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* Lavoro realizzato nell’ambito del Progetto MIUR-COFIN
2002 «Evoluzione geomorfologica dei versanti e cambiamenti
climatici: analisi di fenomeni franosi e ricostruzioni paleoclimatiche»
All’interno del territorio valdostano, la cosiddetta «frana di Champlong» (fig. 1), situata fra le
frazioni di Lillaz (ad Est) e Champlong (ad Ovest)
all’interno del Comune di Cogne, rappresenta sicuramente la manifestazione più vistosa e per certi versi la più enigmatica dell’evento alluvionale
dell’ottobre 2000. A conferma di questo, sta il
grande volume di materiale coinvolto (stimabile in
un milione di metri cubi) e il forte impatto che
questo evento ha avuto sul territorio (deviazione
di alcune decine di metri verso Nord del corso del
Torrente Urtier, cancellazione per seppellimento
della strada regionale Cogne-Lillaz nel suo tratto
finale e parziale distruzione del percorso pedonale per Lillaz).
A pochi mesi dall’evento franoso è stata avviata una dettagliata analisi geomorfologia con lo
scopo di ricostruire l’assetto geometrico delle deformazioni superficiali della frana di Champlong,
quindi di interpretarne la cinematica e comprenderne le cause scatenanti. Per questo motivo è
stato inoltre necessario: 1) estendere lo studio all’area circostante la frana, per l’eventuale riconoscimento di analoghi fenomeni gravitativi; 2) effettuare un’analisi dei dati idrogeologici e geologico-tecnici rilevati in occasione dei primi interventi di ripristino sull’area in frana
Dal punto di vista geologico, l’area in esame è
collocata in corrispondenza dell’importante contatto tettonico tra l’unità del Massiccio cristallino
del Gran Paradiso e la Zona Piemontese dei calcescisti con pietre verdi. Il paesaggio geomorfologico presenta una notevole varietà di forme e
depositi tipici dell’ambiente alpino. Sono state riconosciute forme di erosione e di accumulo gra-
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vitativo (nicchie di frana, accumuli di frana, falde, coni detritici), di genesi mista (canaloni incisi da
colate torrentizie, coni di genesi mista), glaciali (rocce montonate, massi erratici, argini morenici, depositi glaciali), criogeniche e nivali (rock-glacier, canaloni di valanga) e forme legate all’azione fluviale e torrentizia, (orli di terrazzo, depositi alluvionali, depositi fluvio-lacustri, di delta-conoide).
La ricerca bibliografico-storica condotta sugli effetti di eventi alluvionali pregressi occorsi nel territorio valdostano ed in particolare nel settore della valle di Cogne, unitamente alla raccolta di dati sulla relativa piovosità, ha permesso di evidenziare una certa ricorrenza dei fenomeni di dissesto idrogeologico, di descriverne la tipologia ed il loro impatto sul territorio in esame. Si è successivamente approfondita l’analisi dell’evento alluvionale dell’ottobre 2000, dapprima attraverso l’elaborazione dei dati
pluviometrici e idrologici e successivamente fornendo un quadro generale dei dissesti verificatisi in valle di Cogne.
È stato poi analizzato il settore di valle compreso tra le frazioni di Cogne e Lillaz tramite fotointerpretazione multitemporale (volo G.A.I., 1954; volo Rossi, 1968; volo Valle d’Aosta alluvione 1993; Volo IT 2000; volo Valle d’Aosta alluvione 2000), concentrando in particolar modo l’attenzione sui principali elementi geomorfologici legati ai dissesti.
Il rilevamento di terreno, integrato da un’analisi fotointepretativa dettagliata dell’area in frana
e dallo studio delle stratigrafie e delle indagini
geognostiche eseguite in loco, ha portato alla redazione di numerosi elaborati: Carta GeologicaGeomorfolocica (scala 1:10.000); Carta delle
Strutture Deformative Superficiali (scala
1:1000); Carta dei Vettori di Spostamento (scala
1:1000); Carta Piezometrica (scala 1:2000); quattro Profili Morfologico-Stratigrafici, in scala
1:500. I dati raccolti sono stati inoltre inseriti nei
campi d’apposite schede descrittive, sotto forma
di testo, numero, codice, in modo da costituire
un geodatabase multifunzionale per l’interpretazione del fenomeno franoso e della dinamica del
suo contesto ambientale.
Il rilevamento geomorfologico-strutturale della
frana di Champlong ha evidenziato le caratteristiche superficiali che rappresentano specifici indicatori di deformazione. In particolar modo sono stati cartografati tutti gli elementi morfologici immediatamente ricollegabili a discontinuità strutturali
del corpo franoso (es: lacerazioni en echelon del
manto erboso, che sottendono settori fratturati in
transtensione). La distribuzione geometrica delle
deformazioni superficiali ed il loro significato
strutturale sono stati utilizzati per effettuare una
zonazione della frana, ottenendo così cinque settori a diverso comportamento cinematica (fig. 2).
L’analisi della tipologia e della configurazione geometrica, unitamente alla determinazione del senso
di movimento delle strutture che esse sottendono,
ha consentito di interpretare il quadro deformativo superficiale e descrivere la cinematica di ciascun settore del corpo franoso.
Infine, sulla base dei dati e dell’informazioni
raccolte, sono state proposte una serie d’interpretazioni riguardanti: le cause scatenanti (saturazio120
ne delle coltri detritiche e dei sottostanti terreni
di origine fluvio-lacustre ad opera delle precipitazioni meteoriche); le cause predisponenti (l’elevata permeabilità delle coltri detritiche superficiali e la presenza di un livello impermeabile all’interno dei depositi fluvio-lacustri); il meccanismo di attivazione (fluidificazione delle sabbie);
l’evoluzione del corpo franoso (scivolamento planare della porzione inferiore del versante che ha
creato le condizioni per un richiamo di materiale
dalla parte sovrastante del pendio, più inclinata).
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FIGURA 2
FIGURA 1
Poster 37
RELAZIONI TRA ASSETTO
STRUTTURALE, VARIAZIONI CLIMATICHE E DINAMICA GEOMORFOLOGICA DEI RILIEVI
MONTUOSI:
RISULTATI PRELIMINARI DEGLI
STUDI NEL BACINO GLACIALE
DEL MIAGE E NELLA BASSA
VAL VENY (MONTE BIANCO)*
ze della Terra, Via Valperga Caluso 35, 10125 Torino
(Italy) marco.giardino@ unito.it
2
CNR-IRPI, Sezione di Torino, Strada delle Cacce 73,
10135 Torino (Italy)
3
Dottorando, Università degli Studi di Torino, Dipartimento di Scienze della Terra, Via Valperga Caluso 35,
10125 Torino (Italy)
4
Collaboratore esterno, Università degli Studi di Torino,
Dipartimento di Scienze della Terra, Via Valperga Caluso 35, 10125 Torino (Italy)
Giardino Marco1, Mortara Giovanni2, Chiuminatto Daniele3 & Amerio Marco4
1
Università degli Studi di Torino, Dipartimento di Scien-
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* Lavoro realizzato nell’ambito del Progetto MIUR-COFIN 2002 «Evoluzione geomorfologica dei versanti e cambiamenti climatici: analisi di fenomeni franosi e ricostruzioni paleoclimatiche».
Lo studio delle relazioni che legano la geomorfologia del versante meridionale del massiccio del
Monte Bianco (versante sinistro della bassa Val Veny e bacino glaciale del Miage), con l’assetto strutturale e le variazioni climatiche, è stato finalizzato al riconoscimento dell’influenza che tali relazioni possono avere sulla dinamica dei versanti, ed in particolare sull’innesco di fenomeni di crollo. Tale attività gravitativa è ben testimoniata dalla copertura detritica pressoché totale del Ghiacciaio del Miage al
di sotto dei 2400 m, costituita da apporti di materiale roccioso proveniente dalle pareti circostanti (fig.
1). Il versante sinistro della Val Veny, nel settore compreso tra i bacini glaciali del Miage e della Brenva, è altresì caratterizzato da evidentissime tracce di instabilità, sotto forma di nicchie di distacco e relativi accumuli al piede del versante.
Il lavoro di terreno è stato preceduto da un
dettagliato studio di inquadramento geologico
dell’area. A ciò è seguito un approfondimento
sulle caratteristiche climatiche della zona e su come queste ultime possano incidere sulla stabilità
dei versanti. Si è poi proceduto ad una raccolta di
dati che si è sviluppata a più livelli: le ricerche iconografiche d’archivio e le interviste hanno permesso una ricostruzione dell’evoluzione cronologica dei fenomeni di crollo che hanno interessato
l’area di studio (sono risultate particolarmente
utili ed interessanti le collaborazioni con la Società delle Guide Alpine e con la Fondazione Montagna Sicura di Courmayeur, centro di studi sui
pericoli connessi con l’ambiente d’alta quota).
Da ciò è emerso come nell’ultimo secolo numerosi fenomeni di crollo di grandi dimensioni siano occorsi nell’area indagata; un tipico esempio in
tal senso è la frana del 1988, proveniente dal bacino glaciale del Ghiacciaio del Monte Bianco,
che si è arrestata sulla superficie del Miage occupandone trasversalmente l’intero asse vallivo e intersecando quindi il percorso che porta al rifugio
Gonella. La copertura detritica glaciale nella valle del Miage sembrerebbe essere quasi totalmente dovuta ad apporti riconducibili a grandi eventi di crollo, mentre per la restante minima parte a
processi di crio-termoclastismo, valanghe, dinamica torrentizia estiva. Il ghiacciaio del Miage, negli
scritti di De Saussure (1767 e 1786), viene descritto come un ghiacciaio bianco, con ghiaccio vivo
percorso da numerosi torrenti supraglaciali e privo di copertura detritica; quest’ultima si sarebbe
sviluppata solo negli ultimi due secoli.
Accurate analisi geomorfologiche di terreno e
di immagini aeree hanno permesso una dettagliata descrizione delle caratteristiche dell’area ed
hanno portato alla realizzazione di un elaborato
cartografico (Carta Geomorfologica alla scala
1:10.000). Le osservazioni di terreno che hanno
portato alla interpretazione geomorfologica e alla redazione della carta sono state condotte nel122
l’estate 2003, caratterizzata oltre che dalla scarsità di precipitazioni anche da temperature estremamente elevate con la quota dello zero termico
che si è mantenuta al di sopra dei 4000 m anche
per più giorni consecutivi. Gli effetti di tale situazione sono stati particolarmente evidenti: i ghiacciai alpini presentavano già nel mese di giugno le
condizioni normalmente riscontrabili nel periodo
autunnale al termine dell’ablazione estiva, con assoluta carenza di neve e conseguente presenza di
numerosi crepacci che ne rendevano l’attraversamento estremamente complicato e pericoloso.
Tuttavia ciò che ha maggiormente colpito il mondo scientifico, sono stati i numerosi fenomeni di
crollo avvenuti per tutto il periodo estivo anche
in alta quota e sui versanti ad ogni esposizione,
probabile conseguenza della degradazione della
tavola del permafrost. Al fine di trovare una correlazione tra la dinamica dell’area analizzata e i
processi che hanno interessato i restanti settori alpini, è stata effettuata una ricostruzione cronologica dei crolli che hanno interessato l’area nell’estate 2003.
I versanti analizzati sono caratterizzati da elevata acclività e da forti dislivelli fra la linea di cresta e il fondovalle; tali elementi morfologici si realizzano in un ammasso roccioso particolarmente
fratturato in cui esistono evidenti sistemi di discontinuità disposti a franapoggio in grado di favorire il distacco di blocchi.
L’esecuzione di misure strutturali delle discontinuità dei versanti, effettuate mediante 21 Stazioni di Misura Morfostrutturale uniformemente distribuite nei settori accessibili, ha permesso una
caratterizzazione dell’ammasso roccioso (che si
presenta in generale di qualità scadente, con numerosi settori di roccia fratturata e rilasciata, talvolta addirittura disarticolata). Tutto ciò ha consentito di definire i principali sistemi di fratturazione che governano i fenomeni di crollo nell’area;
questi ultimi si concentrano dove la presenza di
nette discontinuità è affiancata da altri fattori in
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grado di peggiorare le qualità dell’ammasso roccioso, quali la circolazione idrica nel versante e
l’alterazione idrotermale che pervade la roccia. I
sistemi di frattura caratterizzati da discontinuità
con persistenza plurimetrica presentano, oltre ad
un’accentuata isorientazione, anche una spaziatura ridotta caratteristica delle zone di taglio di stile fragile.
Il bacino glaciale del Miage è interessato da
due sistemi di fratturazione principali: il primo è
parallelo all’andamento dei lineamenti tettonici di
direzione NE-SO che caratterizzano l’area, il secondo immerge a N con alto angolo di inclinazione. La Val Veny appare interessata, principalmente, da tre sistemi di discontinuità, la cui intersezione ha isolato volumi rocciosi che nel passato hanno dato luogo ad imponenti fenomeni di crollo: il
primo immerge a N, intersecando a reggipoggio
inclinato (70°) il versante; il secondo immerge a
SE, parallelo ai lineamenti tettonici principali; il
terzo immerge a E-NE, parallelo alle faglie inverse che caratterizzano le porzioni marginali del plutone granitico del Monte Bianco.
In generale i fenomeni di crollo dell’estate
2003 hanno interessato settori a quote medio-alte
evidenziando un’oscillazione importante della
profondità della superficie del permafrost. La loro previsione potrebbe essere favorita dalla creazione di una rete di monitoraggio volta al controllo a ciclo continuo delle variazioni di temperatura delle pareti attraverso l’impiego di termistóri in
profondità.
In definitiva, le conseguenze di tale situazione
per i fruitori della montagna e per coloro che vi
lavorano (Guide Alpine, albergatori e rifugisti
ecc...) sono state estremamente pesanti sia dal
punto di vista economico (turismo), sia dal punto
di vista sociale (aumentato grado di rischio per alpinisti ed escursionisti). La maggior parte delle
aree indagate non può essere definita «sicura»,
tuttavia l’informazione e la conoscenza dei pericoli esistenti da parte di chi frequenta questi luoghi
sembra essere la prima strada perseguibile per la
mitigazione del rischio.
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EVOLUZIONE RECENTE DELLA PIANA COSTIERA
DI SINISCOLA (SARDEGNA CENTRO ORIENTALE)
Ginesu Sergio & Pala Maria Elena
Università degli Studi di Sassari, Istituto Scienze Geologico Mineralogiche, Corso Angjoi 10, 07100 Sassari (Italy)
[email protected]
La pianura di Siniscola - S. Lucia rappresenta
insieme alla piana di Posada, poco più a nord, una
delle maggiori aree pianeggianti della costa nord
orientale della Sardegna. Sebbene la piana sia attraversata da alcuni corsi d’acqua di modesta portata la sua origine e la sua evoluzione risultano assai complesse. Gli studi intrapresi nell’area delle
Baronie hanno già posto in evidenza le modifiche
indotte da recenti movimenti di origine tettonica
che si sono manifestati in quest’area.
Da tempo alcuni evidenti indizi sono stati segnalati lungo la fascia costiera di Orosei (CAROBENE, 1976; CORDY & GINESU, 1995) ma emergono nuove osservazioni sulla cattura e sulla modifica dei reticoli idrografici in tutta questa porzione della costa. L’origine della piana è legata a una
superficie di origine erosionale sulla quale si sono sovrapposti gli episodi ciclici di regressione e
sommersione durante il Pleistocene medio e superiore.
Le formazioni clastiche recenti rappresentano
gli affioramenti più diffusi nell’area costiera permettendo una descrizione dettagliata dell’evoluzione morfologica che ha condizionato l’intera
piana costiera di Siniscola e, di riflesso, le piccole porzioni di piana che costeggiano il profilo della costa fino al promontorio di Capo Comino. I
depositi clastici non sempre permettono attribuzioni cronologiche ma il loro ruolo risulta dall’importanza ai fini della ricostruzione paleogeografica
Sono stati distinti le seguenti unità morfologiche:
– Coni detritici spesso costituiti da frammenti
calcarei prevalentemente attribuibili a falde detritiche stratificate provenienti prevalentemente dal
massiccio del Monte Albo. Tali depositi sono diffusi e abbondanti intorno agli affioramenti cartonatici del Mesozoico in tutta la regione delle Baronie (PELLETIER, 1960; OZER & ULZEGA, 1984;
CORDY & GINESU, 1995).
124
– Depositi di versante costituiti da elementi
scheggiosi provenienti dalla formazione calcarea
del Monte Albo. Questa formazione è tipica del
costone sud orientale del Monte Albo, i depositi
clastici costituiscono estese falde detritiche stratificate con i caratteri peculiari di queste formazioni (uniformità, maturità, assenza di cemento, stratificazione ecc…) situate al piede delle pareti del
rilievo calcareo, talvolta appoggiate al versante
con debole inclinazione (15°-25°). Questi sedimenti di origine crionivale sono particolarmente
abbondanti nelle Baronie di Orosei e Galtellì dove raggiungono spessori ragguardevoli (CORDY &
GINESU, 1995; GINESU, PUSCEDDU & SIAS, 2005).
– Depositi a ciottoli e livelli di argille. Si tratta
di alluvioni ciottolose e argille che affiorano in
una vasta area dalla periferia meridionale del paese di Siniscola fino a «Pranu d’Orviri» verso nord.
Esse bordano la linea costiera , mantenendosi alla distanza di 1 km da questa, verso est. Pur a ridosso dei rilievi calcarei i loro clasti sono costituiti esclusivamente da elementi provenienti dal basamento paleozoiche.
– Depositi clastici di coni alluvionali. Gli elementi che li costituiscono provengono anch’essi
dal basamento metamorfico ma mostrano un indice di arrotondamento incompatibile con l’azione fluviale. La morfologia dell’affioramento nel
suo complesso fa pensare ad alluvioni per «colata» allo sbocco di due valli in quella più ampia valle del Siniscola. La natura siltoso argillosa della
matrice, non stratificata e pessimamente classata,
indica una maggiore complessità del processo deposizionale per la presenza di «debris flow» e
«mud flow».
– Sedimenti marini. I depositi marini sono ben
rappresentati da facies di «Panchina». Essa è ben
esposta a sud del cimitero di Posada. Questi sedimenti sembrano giacere su alluvioni terrazzate di
natura fluviale, i cui ciottoli vengono spesso inglobati da una matrice carbonatica organogena.
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FIGURA 1 - Limite degli alberi (linee continue), limite potenziale degli alberi (tratteggio a quadretti) e limite della specie
(tratteggio a punti) in due tessere di vegetazione: si noti la presenza di falde di detrito nella tesserea di destra,
che limitano la quota e la dinamica della vegetazione arborea (Area Gemelli, Cima del Becco, 2507 m s.l.m.).
Comprendiamo tra i sedimenti di natura marina
anche quelli di ambiente paralico non visibili in
affioramento, ma comunque costituiti da «sabbie
e argille nerastre» che occupano una vasta area a
Pranu d’Orviri, situato a 5 km a est dall’attuale costa verso l’interno.
– Alluvioni terrazzate antiche. I terrazzi fluviali occupano discrete estensioni soprattutto nelle
parti più interne delle due pianure, quando queste sfumano nei fondi valle dei corsi d’acqua. Nel
Rio Posada è stato possibile riconoscere un terrazzo posto ad una quota di circa 8 m sull’attuale livello del fiume.
Questo terrazzo in cui si alternano livelli sabbiosi e ciottolosi si segue con continuità. Le sabbie presentano nella parte più superficiale, in regione Sue Mattiu, un certo arrossamento. Al terrazzo può essere attribuibile un’età compresa nell’interglaciale Riss-Wurm. Un terrazzo a natura
esclusivamente ciottolosa, correlabile con questo,
si osserva anche sul Rio Siniscola nel tratto di fiu-
me che va da Murtas fino a Fruncu e Oche.
– Più vasti e ben rappresentati in entrambi i
bacini fluviali sono i terrazzi posti ad una quota
che varia con continuità dai 30 m, nell’interno, a
una dozzina di metri in prossimità della costa. La
loro età e attribuibile dal confronto tra le varie
quote di riferimento, si sta tuttavia ricercando una
possibile correlazione con i depositi lungo costa.
L’ubicazione dei terrazzi lungo la valle del Posada
consente una verosimile ricostruzione del paleoalveo del corso d’acqua nel periodo relativo alla loro deposizione. È possibile ipotizzare che il fiume
avesse un ampio meandro aggirando il rilievo di
Pedrialvu.
Depositi olocenici. Tra questi sedimenti quelli
di gran lunga più rappresentati sono le sabbie dei
cordoni litorali e dei campi dunari che delimitano
a est le pianure in questione. Queste sabbie sempre ben classate e risultano dal complesso processo di accumulo che nell’area in studio è dominato dai venti di nord e nord est.
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Al fine di considerare l’evoluzione recente della costa si è verificata la dinamica in atto eseguendo
prelievi lungo le spiagge a ridosso delle piane e verificando lo stato di equilibrio dei corpi dunari presenti. È emersa una situazione di generale disequilibrio di tali litorali sabbiosi e delle porzioni di dune
che si affacciano direttamente sulla spiaggia. Anche nei casi dove il litorale si mostra progredante emerge il progressivo degrado delle dune che forniscono la quantità di sabbia per ripascere la porzione perduta.
Il lavoro fornisce un quadro più ampio e dettagliato della costituzione e della formazione di queste
modeste piane che acquistano una notevole importanza economica per le limitate comunità che vi abitano. L’evoluzione stessa di queste piane solcate da corsi d’acqua a regime torrentizio si rivela nei depositi presenti all’interno della pianura dove si trovano anche episodi estremi che ricorrono in modo
disastroso lungo tutto il margine orientale dell’isola dove, nel corso dello scorso dicembre 2004 si sono verificati episodi alluvionali disastrosi.
Bibliografia
CAROBENE L. e PASINI G. (1982), Contributo alla conoscenza del Pleistocene superiore e dell’Olocene
del Golfo di Orosei (Sardegna orientale). Boll. Soc.
Adriatica Sc. Trieste. 64, 14, 5-36.
GINESU S.. e CORDY J.M. (1995), Il Monte Tuttavista
(Orosei - Galtellì). I riempimenti carsici e la scoperta delle nuove specie del Pleistocene. 1-48. Ed. Poddighe. Sassari.
PELLETIER J. (1960), Le relief de la Sardaigne. Mém.
Docum. Inst. Et. Rhodanien. Univ. Lyon. 13, 1-466.
OZER A. e ULZEGA A. (1981), Sur la repartition des
éboulis ordonnés en Sardaigne. Bull. Perygl., 28,
259-265.
GINESU S., PUSCEDDU E. e SIAS S. (2005), Movimenti
126
recenti e depositi detritici nel Monte Tuttavista (Baronie, Sardegna centro orientale). Conv. Naz. AIGEO in onore di G.B. Castiglioni. Padova.
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MOVIMENTI RECENTI E DEPOSITI DETRITICI NEL MONTE
TUTTAVISTA (BARONIE, SARDEGNA CENTRO ORIENTALE)
Ginesu Sergio, Pusceddu Elisabetta & Sias Stefania
Università degli Studi di Sassari, Istituto Scienze Geologico Mineralogiche, Corso Angjoi 10, 07100 Sassari (Italy)
[email protected], [email protected], [email protected]
Durante l’intervallo Messiniano-Pleistocene, si
sono avuti a più riprese movimenti tettonici disgiuntivi nell’area di Orosei e Galtellì che hanno
interessato il rilievo del Monte Tuttavista e dell’intera regione. Fasi di relativa stasi si sono alternate con altre, durante le quali si sono avuti movimenti relativi tra le varie formazioni presenti. La
dinamica di questi eventi è riconoscibile sia attraverso lo studio di alcune paleosuperfici che dall’analisi delle morfologie carsiche, di quelle costiere
e della piattaforma continentale.
A partire da 3,5 milioni di anni si è avuto un
generale sollevamento dell’area confermato anche
da dati morfometrici durante il Pleistocene supe-
riore. Da questi dati emerge che l’assise carbonatica del Mesozoico nel Golfo di Orosei è basculata verso sud con un asse centrale che ricade, grossomodo, al centro dell’insenatura. Questo fatto
determina un maggiore sollevamento verso nord,
dove, alla fine del complesso calcareo, si trova il
rilievo del Monte Tuttavista. Il progressivo sollevamento ha creato situazioni di disequilibrio facilmente riscontrabili nei depositi recenti che fanno
corona all’intero rilievo. Tali depositi costituiti in
prevalenza da pediments d’accumulo con aggregati poco maturi di ciottoli scheggiosi (tipo falde
detritiche stratificate) che costituiscono antichi
profili di versante osservabili in particolare lungo
FIGURA 1 - Immagine composita in cui sono evidenti le
aree di progradazione (1, 2, 3 e 4) dell'apparato di foce del Fiume Fortore. Le zone
cerchiate individuano situazioni analoghe di
progradazione ad opera di immissari minori.
FIGURA 2 - Immagine in falso colore RGB = 321 del 2000
in cui sono evidenziate le variazioni della linea
di costa del lago artificiale nel periodo 19992001 connesse alle progradazioni deltizie innescate dai processi sedimentari alla foce degli immissari fluviali.
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la valle del Fiume Cedrino, dove sono resi instabili dall’intenso processo erosivo del fiume cha ha
determinato anche l’imponente inversione del rilievo lungo le colate basaltiche del Pliocene medio
e superiore. La porzione di rilievo che domina l’abitato di Galtellì mostra evidenti segni di pericolo per la notevole frammentazione del basamento
(qui costituito anche da vulcaniti argillificate del
Permiano) e per la discontinuità delle coperture
pleistoceniche e tardo plioceniche. Importanti
movimenti di frana sono stati oggetto di studio anche nel versante sud occidentale del rilievo calcareo del M.te Albo (DIENI & MASSARI, 1971), situa-
128
to poco più a settentrione, dove si osservano episodi gravitativi attribuibili all’inizio del Pleistocene, durante il Gunz e durante il Riss.
Per la rilevante dimensione delle masse coinvolte questi episodi possono essere identificati come deformazioni gravitative profonde di versante
che hanno interessato anche il settore settentrionale del Monte Tuttavista, soggetto al maggior sollevamento.
Il versante esposto ad est e quello meridionale
sono concordanti con il generale assetto di questi
calcari che mostrano una inclinazione verso est di
circa 35°/40°; tutto il sistema carsico ha subito
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una influenza decisa nella circolazione idrica sotterranea (GINESU & CORDY, 1995; GINESU & PUSCEDDU, 1999). Proprio le morfologie ipogeiche hanno consentito una fedele ricostruzione degli eventi morfoclimatici che hanno interessato l’area e la possibile attribuzione cronologica dei cicli carsici (GINESU
& CORDY, 1995) grazie ai numerosi depositi fossiliferi del Pleistocene e agli episodi effusivi del ciclo
basaltico plio-quaternario (BECCALUVA et al., 1981).
La presenza dei vari depositi clastici all’interno delle cavità carsiche ha permesso di ricostruire l’evoluzione geomorfologia dell’intero territorio in particolare la presenza di elementi provenienti dalle
potenti falde detritiche stratificate permette l’individuazione dei cicli carsici attribuibili al Pleistocene
superiore. Questi depositi attribuibili agli ultimi eventi arido freddi del Pleistocene superiore sono qui
rappresentati da coltri di spessore significativo (25 metri di esposizione nel fronte della cava «Scancella» presso il polo estrattivo di Canale Longu presso Orosei) che sono ingiustificabili rispetto alle situazioni presenti nelle zone limitrofe.
Il motivo di tali spessori può essere attribuito a una attività neotettonica manifestatasi con continuità fino al Pleistocene superiore, anche le variazioni nello schema della rete idrografica evidenzia un possibile intervento della tettonica. Sul
versante meridionale, al contatto con i basalti
pliocenici si possono osservare le incisioni regressive del corso d’acqua progressivamente spostate
verso sud con i concordanti coni detritici posti in
appoggio al versante calcareo del Monte Tuttavista.
Le colate basaltiche riferibili al Pliocene finale
(sono presenti circa 60 centri di emissione in un
arco di tempo di 2 milioni di anni, nel Pliocene)
hanno spesso conservato le superfici erosionali del
Pliocene impostatesi sul paesaggio carsico e sulle
forme ipogeiche (GINESU & PUSCEDDU, 1999) e
documentano un sollevamento di questa zona di
circa 25-30 m nel corso degli ultimi 2 milioni di
anni.
Anche durante il Tirreniano l’area è stata soggetta a movimenti modesti e comunque organici
alle coste sud orientali dell’isola, anche se nel golfo di Orosei il solco di battente dell’interglaciale
Riss-Wurm ha subito un movimento basculatorio
da nord verso sud; lungo i 25 km della falesia calcarea si registra una differenza di 2,35 m tra la
parte settentrionale e quella meridionale. Il tasso
di sollevamento riscontrato nella fascia settentrionale è stato valutato in 3 cm ogni 1000 anni (CAROBENE, 1978) e ciò confermerebbe un intervento costante dei movimenti di riequilibrio isostatico in tutta la costa centro orientale dell’isola.
La periodicità di fenomeni sismici riscontrati
nel corso degli ultimi anni lungo le coste nord
orientali della Sardegna, a nostro avviso attribuibili ai movimenti della catena montuosa sommersa dei Monti delle Baronie (a circa 25 miglia ma-
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rine al largo della costa orientale) che rappresentano un pilastro orientale del grande graben sommerso al limite della piattaforma (ULZEGA et al., 1988), è anche una conferma che tali movimenti sono tuttora in atto (nel 1998, nel 2002, nel 2004 e in particolare nel 2000 con un evento percepito da tutta la
popolazione) con una ricorrenza di circa 2 anni.
Bibliografia
DIENI I. & MASSARI (1966), Il Neogene e il Quaternario dei dintorni di Orosei (Sardegna). Mem. Soc. It. Sc. Nat.
E Museo Civ. St. Nat. Milano. 15 (2), 91-141.
CAROBENE L. & PASINI G. (1982), Contributo alla conoscenza del Pleistocene superiore e dell’Olocene del Golfo di
Orosei (Sardegna orientale).Boll. Soc. Adriatica Sc. Trieste. 64, 14, 5-36.
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gia e Geofisica, Via Orabona 4, 70125 Bari (Italy) - e.iuC.N.R. P.F. Oceanografia e Fondi marini. Ist. [email protected]
grafico De Agostini. Novara.
2
Università degli Studi di Bari Dipartimento di Geologia
e Geofisica, Via Orabona 4, 70125 Bari (Italy)
[email protected]
FIGURE 1, 2 - Cordone litoraneo sormontato da dune.
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FIGURA 3 - Cordone litoraneo sormontato da dune.
3
Università degli Studi di Lecce, Dipartimento di Scienza dei Materiali, Via per Arnesano, 73100 Lecce (Italy)
[email protected]
L’evidenza della registrazione di eventi tettonici negli speleotemi (cfr. FORTI & POSTPISCHL,
1984) ha indotto a progettare uno studio dettagliato delle forme carsiche ipogee della Puglia. Esso prevede differenti fasi di approccio:
1) ricognizione delle cavità che si aprono nei tre
distretti carsici della Regione: il Gargano, le
Murge ed il Salento;
2) individuazione di indizi di movimenti recenti
registrati negli speleotemi;
3) monitoraggio di alcune cavità, da scegliere anche in relazione ai loro rapporti con le principali forme epigee.
Durante la prima parte della ricerca l’attenzione è stata rivolta alle cavità dell’altopiano murgiano. Questo settore dell’avampaese apulo è il più
vicino alle strutture appenniniche esterne e conserva le tracce di una morfogenesi carsica policiclica cominciata probabilmente nel Terziario
(GRASSI et al., 1982). L’altopiano è delimitato da
faglie di importanza regionale che danno luogo a
scarpate più o meno degradate sul lato nordorientale e sud-occidentale; sul lato sud-orientale invece si raccorda con la Piana brindisina attraverso un complesso di superfici disposte a gradi131
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FIGURA 4
I depositi dei cordoni delle paleo-spiagge del litorale di Jesolo, modellati dall'azione eolica, sono oggi completamente stabilizzati dalla copertura vegetale delle pinete e dall'azione antropica con insediamenti balneari turistici e infrastrutture viarie.
La fascia delle spiagge che costituiscono l'attuale Lido di Jesolo rappresenta l'ultimo cordone litoraneo che si salda a quelli più antichi formatisi ad opera dell'azione del mare sui depositi trasportati dal ramo fluviale della Piave Vecchia e ripresi dall'azione eolica. Nella foto aerea del Volo GAI del 1954 appare ancora nella sua interezza l'area lagunare paludosa retrodunare della Valle Vecchia con i primi tentativi di bonifica.La carta tecnica mostra invece come una vasta area sia stata oggi completamente modificata e bonificata da un diffuso sistema di drenaggi.
nata. Questo settore dell’avampaese è ritenuto in
sollevamento dalla fine del Pleistocene inferiore,
quando si è interrotta la migrazione verso Est dell’orogene appenninico.
Nella prima fase di attività sono stati individuati gli indizi di tettonica recente in alcune cavità (al
momento 7) nei pressi di Altamura (BA) nelle
Murge nord-occidentali, lungo la scarpata murgiana adriatica presso Ostuni (BR) e nelle Murge
meridionali, in prossimità della Soglia Messapica.
Tutte le cavità si sviluppano in seno alle unità del
Cretaceo Superiore facenti parte Gruppo dei Calcari delle Murge. Le grotte altamurane si collocano in prossimità di una delle zone epicentrali dei
sismi murgiani (1988, Altamura) di recente rilevazione (DEL GAUDIO et al., 2004).
Sono stati osservati elementi diagnostici, come
disallineamento tra stalattiti e stalagmiti, anoma132
lie di accrescimento, dislocazioni e fratture degli
speleotemi. già altrove correlati ad attività tettonica o sismica (POSTPISCHL et al., 1991; BRUNO &
SGOBBA, 1993). Le strutture rilevate interessano
tanto speleotemi di piccole dimensioni che imponenti strutture colonnari con diametro sino ai 5-6
m. Nel corso della ricerca è stato effettuato anche
il confronto tra i dati strutturali rilevati sui calcari mesozoici affioranti nelle cavità e quelli rilevati
sulle unità affioranti all’esterno; in particolare lungo il lato adriatico delle Murge si sta cercando di
correlare i dati rilevati in grotta con le strutture
disgiuntive che interessano i depositi riferibili al
Tirreniano ed alcune forme di cripto-carso datate
al passaggio Pleistocene medio – Pleistocene superiore presenti lungo costa (MARSICO et al.,
2003). In quest’ultimo settore, le direzioni delle
gallerie dei sistemi studiati, i sistemi di giunti rile-
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vati, nonché alcune dislocazioni degli speleotemi (fig. 1), si concentrano lungo la direzione ONO-ESE,
che corrisponde anche all’allungamento di discontinuità generate alla fine del secondario (Luperto Sinni & Borgomano, 1989); ciò confermerebbe la funzione delle vecchie discontinuità nella trasmissione
degli sforzi prodotti successivamente e fino a tempi anche molto recenti.
Nella grotta di Nove Casedde, situata presso il ciglio della scarpata che raccorda l’altopiano murgiano all’arco ionico tarantino, la datazione col metodo U/Th di una prima serie di campioni (fig. 2),
provenienti da una frattura beante che taglia un imponenete complesso stalatto-stalagmitico, attribuisce un’età di 240 Ka alle concrezioni post-frattura.
Da questi primi risultati sono state ricavate indicazioni di attività tettonica recente in alcuni settori
chiave dell’avampaese apulo. Si è ottenuta inoltre una conferma della applicabilità dei metodi utilizzati in un ambiente, come quello murgiano, dove l’assenza di frequenti e precisi marker stratigrafici limita le possibilità di una rigorosa e precisa ricostruzione degli eventi tettonici.
Bibliografia
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Poster 41
ASPETTI DELL’IMPATTO ANTROPICO SULL’AMBIENTE
DELLE VALLI DOLOMITICHE: IL
CASO DELLA VAL GIUMELA
(VERSANTE ORIENTALE DELL’ALTA VAL DI FASSA)
Laureti Lamberto
Università degli Studi di Pavia, Dipartimento di Scienze
della Terra, Via Ferrata 1, 27100 Pavia (Italy) [email protected]
FIGURA 1
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FIGURA 2
Di tutte le regioni alpine quella dolomitica è
certamente la più nota turisticamente e quindi la
più frequentata, sia durante la stagione estiva che
in quella invernale. Di conseguenza particolarmente elevate sono le potenzialità dell’impatto
antropico in una regione come questa che si distingue per la particolare fragilità dei suoi equilibri ambientali, specialmente relativi alle zone di
media e alta montagna dove, grazie anche all’articolazione e al raffittimento delle vie d’accesso, as-
134
sai forte per il turista medio è il richiamo di una
crescente disponibilità di invitanti strutture ricettive e sportive. A ciò si aggiunga che annualmente oltre 3 milioni di escursionisti frequentino i rifugi e i bivacchi delle Alpi italiane e quindi le relative zone di alta quota da essi raggiungibili: si
tratta di un vero e proprio «esercito» non sempre
dotato di quella sensibilità e di quella preparazione necessarie per affrontare e per convivere con
un ambiente per molti versi ancora completamente naturale.
Un esempio emblematico di tale situazione e
tendenza è rappresentato dalla Val Giumela, un
modesto ma pittoresco bacino torrentizio che si
apre sul versante orientale dell’alta Val di Fassa,
tra Pozza e Canazei, da cui si risale all’Alpe Ciampàc a specchio della Marmolada. I suoi caratteri
geomorfologici si distinguono per la prevalente
morbidezza delle forme, modellate come sono su
depositi vulcanici (lave e piroclastiti) di età ladinica compresi tra la formazione di San Cassiano e la
Dolomia del Serla sulla quale si appoggiano con
giacitura in genere concordante. La loro deposizione è avvenuta in ambiente sottomarino come
rivelano numerosi affioramenti di pillow lavas di
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tipo latitico-andesitico e latitico-basaltico (chiaramente osservabili nel settore inferiore della Val Giumela e sullo sperone del Buffaure che la separa dalla contigua valle di San Nicolò) alternate a brecce e
accumuli di frane sottomarine ad elementi grossolani della serie triassica medio-inferiore (»agglomerati ladinici» e «tufi basali» Auct.). Verso l’interno la Val Giumela appare sovrastata dall’imponente rilievo del Collaccio (2715 m), scolpito nel calcare ladinico della Marmolada a dominare la conca del Ciampàc (2200 m) che ospita anche evidenti testimonianze dell’azione del glacialismo quaternario, ben riconoscibili in pur modesti accumuli morenici, mentre lungo i versanti della piccola adiacente Val Crepa e della stessa Val Giumela l’idrografia postglaciale ha inoltre contribuito a depositare più o meno
sottili veli alluvionali, ma anche ad incidere, specialmente alle quote inferiori, profonde e articolate forre torrentizie.
Ma più che l’assetto geomorfologico è il paesaggio vegetale l’elemento fisico che caratterizza e rende peculiare l’ambiente naturale della Val Giumela e delle aree circostanti. Il loro settore basale è generalmente rivestito da compatte e uniformi peccete che si spingono fino ai 1800-1900 metri di
quota per diradarsi e lasciare spazio ad aperti raggruppamenti di pino cembro e a vaste e ondulate
praterie di festuceti e nardeti. È questa la zona dei
pascoli (un tempo soggetti a sfalcio per la raccolta di foraggio che veniva conservato in appositi
fienili di cui restano ancora numerosi esemplari)
che si stende tra i 1800 e 2400 metri di quota e dove ha avuto larga diffusione la pratica dell’alpeggio che ha contribuito, fino a tempi abbastanza recenti, a mantenere discrete condizioni economiche e di popolamento in questa come in altre vallate alpine. Non mancano, nelle incisioni più
riparate e umide, anche arbusteti di ontano verde
cui fanno seguito, oltre i 2000 metri di quota, estese coperture di Rhododendrum ferrugineum. Il
substrato acido che caratterizza tutta l’area dei pascoli alti, relativo alla prevalenza di depositi a dominante composizione basaltica, ha inoltre favorito lo sviluppo di una flora particolarmente diversificata e assai ricca di specie (circa 400), con numerosi endemismi (tra cui una rara specie di
muschio, il Botrychium simplex, noto in Italia solo nella Val Giumela e perciò incluso dall’Unione
Europea tra le «specie animali e vegetali di interesse comunitario») che ne dimostrano la peculiarità e di conseguenza l’opportunità che un simile
ambiente conservi la sua sostanziale integrità.
Ancora fino a un paio d’anni fa la Val Giumela poteva considerarsi immune da quelle modificazioni ambientali (che hanno fatto sì la fortuna
economica di altri distretti dolomitici, ma a prezzo di notevoli alterazioni paesaggistiche) e nonostante che assai frequentati impianti di risalita ne
avessero già raggiunto i suoi limiti, come le funivie del Buffaure (che risale da Pozza di Fassa) e
del Ciampàc (che risale da Penia di Canazei per
collegarsi alla seggiovia che porta alla Sella di Brunéch, 2418 m). Tuttavia la ferma opposizione degli ambientalisti locali non ha potuto impedire che
un progetto, avanzato da parte degli amministratori provinciali su sollecitazione di potenti interessi economici legati al turismo invernale, vedesse la
sua pratica applicazione con la costruzione di una
serie di impianti che oggi collegano direttamente
le due funivie che si arroccavano da Pozza di Fassa e da Penia.
Al di là delle evidenti manomissioni del paesaggio naturale (conseguente all’inserimento di
elementi estranei ad esso come i piloni degli impianti a fune con le relative stazioni terminali e i
movimenti di terra che per esso sono stati necessari, unitamente all’asportazione della sottile cotica erbosa, già sottoposta, sui versanti prativi, al logorio del pascolo bovino di cui si osservano tuttora le tipiche tracce) anche i suoi valori estetici ne
risultano irreversibilmente stravolti. I prossimi anni, infine, ci diranno quali saranno le conseguenze di questo ulteriore impatto, considerando che,
in periodi di scarso innevamento, per mantenere
attive le nuove piste si dovrà ricorrere ai ben noti
metodi artificiali, mentre, specialmente nella stagione estiva, aumenterà sensibilmente la frequenza dell’escursionismo selvaggio e sicuramente altri vecchi fienili saranno trasformati, come già verificatosi, in confortevoli chalets.
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Poster 42
DINAMICA ALTITUDINALE DELLA VEGETAZIONE ARBOREA
IN RISPOSTA A FATTORI MORFOLOGICI, ANTROPICI E CLIMATICI: L’ESEMPIO DELL’ALTA
VAL BREMBANA (BG)
Leonelli Giovanni & Pelfini Manuela
Università degli Studi di Milano, Dipartimento di Scienze della Terra, Via Mangiagalli 33, 20133 Milano (Italy)
[email protected], [email protected]
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Il limite superiore degli alberi (tree-line) è una componente fondamentale dell’organizzazione e del
funzionamento degli ecosistemi d’altitudine, ed è molto sensibile alle variazioni climatiche e ambientali che ne possono influire direttamente la quota e la struttura (KÖRNER, 1998). Dalla fine della Piccola Età Glaciale, si è registrato globalmente un innalzamento in quota delle tree-line in seguito al diffuso
riscaldamento
climatico
in
atto. A livello locale tuttavia altri fattori possono giocare un ruolo anche più importante di quello climatico
(DIDIER
&
BRUN
1998).
Nella
presente ricerca si è svolta un’analisi a scala di sito (1:10.000), al fine di individuare i fattori che giocano un
ruolo determinante sulla quota e sulla dinamica altitudinale del limite degli alberi ed i loro effetti in
funzione di morfologia e topografia del territorio e delle attività antropiche. L’area analizzata comprende due valli nel settore orientale dell’alta Val Brembana (Alpi Orobie Bergamasche, BG), definite «area
Gemelli» e «area Calvi», che hanno caratteristiche climatiche, vegetazionali, morfologiche e di
utilizzo del territorio simili tra loro. In entrambe
le aree il limite degli alberi è determinato dal larice (Larix decidua Miller), la specie arborea dominante, e si presenta frammentato sul territorio
in funzione del fattore limitante principale (climatico, geomorfologico o antropico). Al fine di
studiare la dinamica altitudinale, si sono definite
delle «tessere di vegetazione», comprendenti tutti gli alberi soprastanti e sottostanti il limite degli
alberi considerato e per ogni tessera si è effettuato un censimento a distanza, rilevando per ciascun albero, altezza, diametro alla base, portamento, quota, esposizione, caratteristiche del
substrato nel suo intorno.
Sono stati censiti 2045 larici nell’area Gemelli e 1496 nell’area Calvi, per un totale di 3541 alberi. Dallo studio dei versanti, nell’area Gemelli
in totale risultano 8 tessere controllate maggiormente nella loro quota massima da elementi morfologici del territorio (macereti di frana, affioramenti in roccia, falde detritiche) e topografici
(crinali, altitudine delle vette), 7 condizionate
maggiormente dalle attività antropiche (essenzialmente il pascolo d’altura e il taglio attivo), ed 1
in cui l’influenza geomorfologica e antropica so-
no praticamente assenti ed è quindi presente una
dinamica di vegetazione più collegabile alla sola
influenza del clima. In totale nell’area Calvi si sono riscontrate 4 tessere maggiormente controllate dalla morfologia del territorio e 4 dalle attività
antropiche.
Nelle due aree, le tessere più interessate dall’attività antropica mostrano valori di assolazione relativa pari a –2%, mentre quelle limitate dalla
morfologia del territorio mostrano valori pari a
–30%, confermando che le zone interessate da pascolo sono quelle con migliore esposizione. Per le
tessere di vegetazione disturbate dalle attività antropiche, le percentuali di alberi che vivono su
substrato roccioso sono intorno al 15% nell’area
Gemelli ed al 35% circa nell’area Calvi. Nelle tessere di vegetazione controllate dalla morfologia
del territorio, gli alberi che vivono su substrato
roccioso aumentano a circa il 40% nell’area Gemelli e quasi al 60% nell’area Calvi, ad indicare
come in corrispondenza di un limite geomorfologico, una maggiore porzione di alberi cresca su
substrati molto sfavorevoli.
Nella porzione di territorio meno interessata
da disturbo antropico e priva di limitazioni geomorfologiche o topografiche sulla dinamica altitudinale, è stata calcolata la quota del limite poten-
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ziale della vegetazione arborea (definito dalla quota massima di alberi non disturbati alti meno di 3 m):
2290 m s.l.m. (area Gemelli). I tratti continui di limiti degli alberi, nelle due aree, presentano quote
massime che si discostano dal limite potenziale calcolato: i limiti geomorfologici risultano essere mediamente più bassi di –120 m (area Gemelli) e –130 m (area Calvi); quelli condizionati dalle attività antropiche, sono mediamente più bassi di –145 m (area Gemelli) e di –175 m (area Calvi). È evidente come gli alberi crescano a quote ben inferiori alle potenzialità della specie espresse nell’area di studio
(2290 m).
Inoltre va sottolineata la compressione della dinamica altitudinale della vegetazione di alcune tessere: in pochi metri di dislivello si passa dal limite della specie (definito dalla quota massima raggiunta
da un albero vivente della specie) al limite degli alberi (definito dalla quota massima degli alberi più alti di 3 m) (fig. 1).
Dai risultati ottenuti si evince che in questa porzione periferica dell’arco alpino i controlli geomorfologico, topografico ed antropico risultano molto importanti nel determinare la quota e la dinamica
di vegetazione del limite degli alberi. Il controllo morfologico impedisce una libera variazione di quota del limite degli alberi ed influenza fortemente anche la dinamica di vegetazione; anche in condizioni climatiche migliori, il limite degli alberi non potrebbe variare di quota in quanto gli alberi non riuscirebbero ad insediarsi su substrati troppo sfavorevoli. Le attività antropiche possono anch’esse avere un’influenza maggiore del clima e determinano quota e dinamica del limite degli alberi in
funzione delle necessità di utilizzo del territorio.
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138
Poster 43
STUDIO INTEGRATO DEI CAMINI DI DISSOLUZIONE
CARSICA DI ROCA VECCHIA
(SALENTO ORIENTALE)
Leucci Giovanni, Sansò Paolo & Selleri Gianluca1
1
Osservatorio di Chimica, Fisica e Geologia Ambientali,
Dipartimento di Scienza dei Materiali, Università di
Lecce Via per Arnesano, 73100 Lecce (Italy) [email protected]
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È stato condotto uno studio integrato di carattere geomorfologico e geofisico sui camini di dissoluzione carsica esposti a Roca Vecchia, nel Salento orientale (Puglia). I camini di dissoluzione si sono
formati per processi di cripto-soluzione, hanno forme cilindrica; sono sviluppati in profondità mediamente 2 metri. Il diametro del profilo trasversale di queste forme in corrispondenza della superficie
topografica è mediamente compreso tra 0.5 e 1 metro. Lo studio integrato ha messo in evidenza che
le i camini di dissoluzione non sono distribuiti casualmente ma esistono aree con forme aventi caratteri omogenei. Attraverso l’indagine geofisica è stata rilevato in seno all’ammasso roccioso una anisotropia marcata dall’allineamento delle zone di maggiore scattering dell’energia elettromagnetica. Tuttavia, la presenza di numerosi camini con profilo trasversale circolare o per i quali il valore del rapporto asse maggiore/asse minore del profilo trasversale è generalmente prossimo ad 1, lascerebbero
presupporre una condizione di sostanziale isotropia in seno all’ammasso roccioso durante l’intervallo
di tempo in cui sono stati attivi i processi di cripto-soluzione (fine Pleistocene medio - inizio Pleistocene superiore). Durante questo periodo inoltre la infiltrazione delle soluzioni acquose nel substrato
calcarenitico attraverso la rete di fratture sarebbe
stata rallentata o inibita per la impermeabilizzazione dei sistemi di frattura in seguito alla formazione di riempimenti di calcite. Questa condizione avrebbe promosso i processi di cripto-soluzione e la formazione dei camini di dissoluzione.
Poster 44
VARIAZIONI GEOMORFOLOGICHE RAPIDE DELL’ASSETTO
DEL LAGO DI OCCHITO (PUGLIA)
DESUNTE MEDIANTE TECNICHE DI TELERILEVAMENTO
Lo Curzio Sergio1 & Valente Alessio1
1
Università degli Studi del Sannio, Dipartimento di Studi Geologici e Ambientali, Via Port’Arsa 11, 82100 Benevento (Italy) - [email protected], [email protected]
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FIGURA 1 - Legenda: 1) areanarie e marne (Miocene); 2) complesso deltizio a limi, argille e sabbie in lenti (Pleistocene
medio; 3) ghiaie alluvionali (Pleistocene medio); 4a/4b) sabbile, arenarie conglomeratiche a Strombus b. (Pleistocene sup.- Stadio 5); 5b) ghiaie alluvionali (Pleistocen e sup. – Stadio 2) ; 6a,b,c,d,) colmata a sabbie, limi
e torbe (Pleistocene sup.- Olocene).
Vengono presentati i primi risultati di un’analisi geoambientale finalizzata alla valutazione delle modificazioni geomorfologiche di un bacino artificiale, il lago di Occhito, posto al confine tra le
province di Benevento, Foggia e Campobasso.
L’analisi è stata condotta integrando dati satellitari multitemporali con quelli desunti da ortofoto e
documenti cartografici, gestiti in ambiente GIS. I
risultati conseguiti hanno evidenziato che nel periodo 1999-2001 l’area lacustre ha subito profonde modificazioni geomorfologiche della linea di
costa con evidente restrizione perimetrale dovuta
alla crescita progradazionale degli apparati di foce dei principali immissari del lago, di cui il principale è il Fiume Fortore. Queste modificazioni
geoambientali dell’area bacinale in tempi così brevi rappresentano un sicuro elemento di pericolosità che inficia, a causa del rapido interrimento, il
funzionamento del sistema-diga con conseguenti
gravi ripercussioni socio-economiche.
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EVOLUZIONE RECENTE DEI
PROCESSI GEOMORFICI IN ATTO
NEL PAESAGGIO COLLINARE A
SUD DI FIRENZE, IN CONSEGUENZA DI MODIFICAZIONI
DEI SISTEMI DI AGRICOLTURA
Lombardi Luca1, Maerker Michael1, Pelacani
Samanta1, Rodolfi Giuliano1 & Ungano
Fabrizio2
1
Università degli Studi di Firenze, Dipartimento di Scien-
za della Terra e Nutrizione della Pianta, P.le Cascine 15,
50144 Firenze (Italy) - [email protected], [email protected]
2
CNR IRPI Pedologia Applicata, Firenze (Italy)
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L’avvento della meccanizzazione, durante gli ultimi 50 anni, ha determinato considerevoli trasformazioni nell’ambiente agrario collinare della Toscana Centrale. L’impianto dei vigneti mediante nuove
tecniche colturali comporta intensi modellamenti del paesaggio effettuati con mezzi meccanici pesanti. Queste pratiche hanno determinato un aumento del rischio di frana e dell’erosione del suolo sia con
effetti on-site che off-site. Questo studio ha come obiettivo l’identificazione e la successiva modellizzazione delle forme e dei processi erosivi in atto all’interno del bacino del torrente Orme, 30 km a sud di
Firenze. Particolare attenzione è stata posta ai processi di erosione laminare e per rivoli e ai fenomeni
a grande scala, quali movimenti di massa, frane di crollo e frane rotazionali. Le aree in erosione e soggette a frane sono state identificate mediante le Unità di Risposta alla Erosione (ERU). Dall’applicazione di questo modello è emerso che il 48,8% del territorio del bacino del Torrente Orme presenta una
instabilità geomorfologica da alta a molto alta. Fino a oggi i rimodellamenti delle pendici hanno interessato il 15% della superficie del sottobacino rappresentativo. Per valutare il fattore di erodibilità (K
di Wischmeier) sono stati raccolti 98 campioni secondo il metodo stratified random sampling. I risultati hanno indicato che l’erodibilità dei suoli
varia da 0,025 a 0,044 Mg ha h MJ-1
ha-1 mm; si tratta quindi di suoli caratterizzati da
erodibilità bassa o moderatamente bassa, con una
distribuzione sul territorio influenzata principalmente dalla caratteristiche tessiturali e, secondariamente, dal contenuto in sostanza organica, a
sua volta profondamente influenzato dalla tipologia di uso del suolo.
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LE FORME DEL TERRENO VISTE
DAL CIELO: IL VENETO.
ATLANTE GEOMORFOLOGICO
Lovat Roberto1, Schiavon Enrico2, Spagna Valerio3 & Toffoletto Federico2
1
Libero professionista - Via Roma 110 - 31010 Fregona
(Treviso) (Italy)
2
Regione Veneto, Servizio Geologia - Cannaregio 99 -
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30121 Venezia (Italy)
3
Libero professionista - Via Cristofori 20 - 35100 Padova (Italy)
La Regione del Veneto ha in corso di elaborazione un «Atlante aerofotografico» delle Unità e
dei lineamenti geomorfologici presenti nel proprio territorio in coerenza con i termini e il glossario del Quaderno n° 4 del Servizio Geologico
Nazionale (APAT) per il rilevamento della Carta
geomorfologica d’Italia alla scala 1:50.000.
Per prima in Italia, il Veneto ha rilevato con
funzionari regionali e pubblicato a metà degli anni ’90 una Carta geomorfologica alla scala
1:50.000, il Foglio n. 62 «Belluno», impiegando la
legenda contenuta in quella Guida al rilevamento
geomorfologico.
Per la verità la Guida riprende, essenzialmente, la Legenda dei simboli e delle Unità geomorfologiche già proposta e pubblicata nel 1988 dal-
la Regione del Veneto.
L’iniziativa editoriale ora intrapresa con l’Atlante, del quale qui si presenta un saggio esplicativo, mette a disposizione dei geologi rilevatori
sul terreno, ricercatori e professionisti che operano nel Veneto (e altrove) e per ognuno dei termini della legenda, un esempio significativo e didattico di forme del paesaggio naturale illustrato da:
– la simbologia grafica ufficiale ufficiale adottata
dalla Guida e rappresentata, con i colori del
tratto ufficiali proposti, su stralci della Carta
Tecnica Regionale;
– una immagine fotografica ripresa da terra del fenomeno o processo naturale;
– una ripresa aerea verticale della forma prescel-
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ta e del paesaggio naturale all’intorno.
Le forme descritte sono quelle esposte nella Guida al rilevamento e cioè fra quelle che sono state ritenute le più significative per il territorio del Veneto alcune delle forme strutturali, di quelle di versante, fluviali, crionivali, glaciali, marine, antropiche ecc.
La scelta del tipo e della scala delle riprese è determinata dalle dimensioni degli oggetti a terra o dei
paesaggi che si vogliono rappresentare con un particolare riferimento alle loro forme, alla natura del
substrato geologico e alla loro evoluzione geomorfologica.
Si passano così in rassegna i paesaggi delle strutture geologiche e delle grandi fratture della crosta
terrestre, come ad esempio quella che percorre la linea tettonica «giudicariense» parallela all’Alto Garda e che si congiunge con la linea «insubrica», i paesaggi dei Lessini, del Garda, delle Grandi Valli Veronesi, dei Berici, dell’Alta Pianura, degli Euganei, del sistema fluviale Adige-Po, della Laguna di Venezia, del Delta Padano, della Laguna di Caorle,
delle grandi valli fluviali dell’Adige, del Brenta,
del Piave e del Tagliamento, delle Prealpi, delle
Dolomiti Bellunesi e di quelle Ampezzane.
Il vasto impiego delle immagini aeree utilizzate nel volume valorizza, e fa conoscere, il patrimonio documentale delle riprese aeree storiche,
come quelle riprese nel periodo bellico del 1943
della R.A.F. (Royal Air Force) britannica, quelle
del Volo GAI (IGMI) nel 1954 e 1955 e quelle
fatte eseguire per le esigenze della Carta Tecnica
Regionale e per la pianificazione urbanistica e
territoriali in missioni diverse (dal 1978 al 2001)
oltre ad immagini orbitali riprese dal Landsat o
dalla capsula spaziale Sojuz, tutto materiale in
possesso e messo a disposizione dalla Regione.
Bibliografia
SERVIZIO GEOLOGICO NAZIONALE, Serie III Quaderno
n. 4 - 1994.
Copertura aerofotografica RAF (1943).
Copertura aerofotografica GAI (IGMI 1954-55).
Copertura aerofotografica voli regione veneto (19782001).
Immagini Landsat 5 - TM (1986).
Immagini KFA 1000 ripresa dalla capsula spaziale Sojuz (1992).
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Poster 47
CONCENTRAZIONE DI MOVIMENTI DI MASSA DURANTE L’EVENTO DEL 23 GIUGNO 2002 IN
VALSAVARENCHE (VAL D’AOSTA)
Luino Fabio, Chiarle Marta & Audisio Chiara
Consiglio Nazionale delle Ricerche, IRPI, Sezione di
Torino, Strada delle Cacce 73, 10135 Torino (Italy)
[email protected]
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I bacini alpini con superficie sino a pochi chilometri quadrati rappresentano, durante eventi idrologici intensi, una notevole fonte di pericolo, spesso sottostimato, in particolare se si raccordano a
fondivalle confinati tra ripidi versanti rocciosi. Le frane che s’innescano in questi bacini, per lo più
per fluidificazione della coltre superficiale, in condizioni particolari possono evolvere in rapide colate torrentizie, in grado di percorrere rapidamente lunghe distanze, raggiungere densità elevatissime ed altezze considerevoli, sviluppando una grande forza d’impatto sulle strutture.
La sera del 23 giugno 2002, al termine di un periodo di alta pressione durato una decina di giorni e caratterizzato da temperature eccezionalmente elevate, l’arco alpino fu raggiunto da una perturbazione di origine atlantica associata a temporali violenti e localizzati. Le precipitazioni più cospicue
si concentrarono sui rilievi al confine italo-francese, estendendosi fino al Massiccio del Gran Paradiso, con isoterma zero attestata al di sopra di quota 3000 m. In quest’ultimo settore l’evento pluviometrico interessò in successione la Val di Cogne,
la Valsavarenche ed infine la Val di Rhêmes. A
Eaux Rousses (Valsavarenche) in 35’ furono registrati 11 mm di pioggia, 7 dei quali nei primi 7
minuti dello scroscio: poiché la stazione è ubicata 3 km a monte dell’areale dove maggiormente
si concentrarono i fenomeni d’instabilità, è ragionevole supporre che nell’occhio del temporale la precipitazione sia stata ancora superiore. La
ridotta spazialità di violenti scrosci di pioggia durante eventi estivi è d’altronde un fenomeno abbastanza comune: a tal riguardo si segnala che alla stazione di Pont (4,3 km a monte di Eaux
Rousses) non venne registrata alcuna precipitazione.
I fenomeni d’instabilità più significativi si
produssero nella media Valsavarenche dove, tra
Eaux Rousses (1700 m) e Bois-de-Clin (1410 m),
gran parte dei tributari del T. Savara subirono
un’attivazione più o meno accentuata, originando fenomeni di alluvionamento o erosione di
coltivi e una quindicina di interruzioni della strada regionale di fondovalle in un tratto di circa 7
km (e ben 6 nello spazio di un solo chilometro).
Più di 500 turisti rimasero bloccati nella parte alta della vallata, mentre alcune autovetture rimasero intrappolate tra interruzioni stradali successive, fortunatamente senza conseguenze per l’incolumità dei passeggeri.
Flussi iperconcentrati e, con maggior frequenza, colate detritiche torrentizie si svilupparono in piccoli bacini idrografici, con aree comprese tra 1,3 e 1,8 km2 e pendenza media del canale tra 28° e 35°. Marcata sovraincisione del
canale di deflusso, lobi e cordoni detritici, scortecciamento della vegetazione investita dal flusso sono state le manifestazioni più frequentemente osservate (fig. 1).
Data l’esigua ampiezza del fondovalle, le colate più importanti interferirono con il corso del
T. Savara, causandone talora il temporaneo sbarramento. Nel caso del T. Fouy è da sottolineare
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la forza d’impatto esercitata sul ponte sul T. Savara, ubicato immediatamente a valle della confluenza nel Savara stesso e trascinato per 35 m
(fig. 2).
I casi descritti sono rappresentativi di una situazione di pericolo comune nelle valli laterali alpine, in particolare nel periodo estivo. Le difficoltà e le incertezze che ancora sussistono in merito
all’identificazione del momento e del luogo in cui
i fenomeni impulsivi di colata possono innescarsi
lungo la rete idrografica minore devono essere
motivo di stimolo e monito agli organi pianificatori che devono prestare massima attenzione per
questi processi, la cui pericolosità è legata in particolare alla repentinità d’innesco, alle notevoli velocità e forza di impatto, ai cospicui volumi di materiale solido mobilizzabili, a fronte delle dimensioni solitamente ridotte dei bacini coinvolti.
Bibliografia
CHIARLE M. & LUINO F. (1998), Colate detritiche torrentizie innescate dal nubifragio dell’8 luglio 1996
sul M. Mottarone (VB-Piemonte). Proc. of the International Conference «La prevenzione delle catastrofi idrogeologiche: il contributo della ricerca
scientifica». Alba (CN), 5-7 novembre 1996. Volume II, 231-245.
COSTA J.E. (1988), Rheologic, geomorphic and sedimentologic differentiation of water floods, hyperconcentrated flows and debris flows. In: Baker, Kochel &
Patton (eds), «Flood Geomorphology», Wiley,
New York. 113-122.
TROPEANO D., LUINO F. & TURCONI L. (2000), Evento
alluvionale del 14-15 ottobre nell’Italia Nord-Occidentale. Fenomeni ed effetti. GEAM, 37, 4, 203216.
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Poster 48
IL PAESAGGIO CARSICO DELLA
PUGLIA MERIDIONALE
Marsico Antonella1 & Selleri Gianluca2
1
Università degli Studi di Bari, Dipartimento di Geologia e Geofisica.
2
Osservatorio di Chimica Fisica e Geologia Ambientale,
Università di Lecce, Dipartimento di Scienza dei Mater
i
a
l
i
[email protected]
Le Murge ed il Salento sono due fra le più estese aree carsiche dell’Italia meridionale. Nel contesto geodinamico e strutturale del Bacino mediterraneo questi settori rappresentano un ampio tratto dell’avampaese apulo. La parte meridionale delle Murge è un altopiano posto mediamente a 400
metri di quota, delimitato a NE ed a SO da scarpate di faglia più o meno degradate. A SE l’altopiano si raccorda con la penisola salentina attraverso un complesso di superfici disposte a gradinata. Questa penisola è un basso tavolato poco articolato altimetricamente per la presenza di estese
superfici subpianeggianti, disposte a quote differenti e normalmente allungate in direzione NO-
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SE. Lungo la fascia costiera è presente una gradinata di terrazzi marini modellata durante l’ultima parte del Quaternario. Il paesaggio fisico in questi due settori è caratterizzato dalla presenza di estese superfici carsiche aventi caratteri morfologici peculiari. Le conoscenze acquisite permettono di ipotizzare
solo per il settore salentino una successione chiara di eventi responsabili del modellamento del carso.
Per il settore murgiano invece non è ancora possibile delineare, se non per sommi capi, una successione di fasi morfogenetiche.
Il paesaggio carsico delle Murge meridionali è policiclico (GRASSI et al., 1982) ed è caratterizzato dalla presenza di doline, uvala, polje e rilievi residuali cupoliformi o di forma tronco-conica. Sulla sommità di alcuni di questi rilievi, infatti, sono conservati lembi poco estesi di un’antica superficie di spianamento (BOENZI & CALDARA, 1991). Localmente è esposto un tipico paesaggio a cockpits (SAURO, 1991).
Le più antiche fasi morfogenetiche sono riferite genericamente al Terziario (GRASSI et al., 1985). Tuttavia, le forme di dimensioni maggiori, le più imponenti forme ipogee nonché le grandi doline da
crollo che caratterizzano l’altopiano sarebbero di
età quaternaria (BRUNO et al., 1995). Durante questo intervallo di tempo l’evoluzione del carso sarebbe stata condizionata da una tettonica distensiva (GRASSI et al., 1982). Il paesaggio fisico del Salento interno è caratterizzato da tre unità geomorfologiche. Queste sono rappresentate: dall’insieme
dei lembi riesumati ed in parte riattivati di una superficie carsica modellata tra la fine del ciclo sedimentario della Fossa bradanica ed i più antichi
eventi sedimentari riferibili al ciclo dei Depositi
marini terrazzati (inizio del Pleistocene medio); da
ripiani di origine complessa in corrispondenza dei
quali affiorano i Depositi marini terrazzati; da alti
morfologico- strutturali dove affiorano prevalentemente le unità calcareo-dolomitiche della piattaforma apula (SELLERI, 2004). Le superfici carsiche
quaternarie sono poco articolate altimetricamente
e sono caratterizzate dalla presenza di ampie depressioni di forma complessa e di doline generalmente poco profonde perché colmate sino alla soglia da depositi del Pleistocene medio. Le doline
FIGURA 1 - Ubicazione, estensione e forme d’erosione dei depositi limosi di sheetflood (Unità della Val Paolaccia) (modificato da SANTILLI et al., 2002). Nel riquadro è evidenziata la vallecola (A) analizzata nel presente lavoro.
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FIGURA 2 - Schema della dinamica degli sheetfloods (A) e del processo di erosione e di arretramento della testata della vallecola (B) dovuto alla sovrapposizione di depositi limosi su depositi ghiaiosi (modificato da SANTILLI, 2004).
sono raramente coalescenti, il dislivello tra la soglia
ed il fondo roccioso può arrivare fino a 20 – 30 metri, hanno il diametro compreso tra poche decine
di metri e più di 200 metri. La densità di queste
forme può essere localmente superiore a 15 unità/kmq. In corrispondenza dei rilievi morfologicostrutturali sono esposti lembi variamente estesi di
un paesaggio carsico caratterizzato dalla presenza
di forme epigee di tipo tropicale (SANSÒ, 1997).
Questa superficie carsica è ricoperta da argille residuali bauxitiche ed è riferibile al Paleogene essendo estesamente fossilizzata da unità carbonatiche dell’Oligocene superiore e del Miocene. Le su-
perfici carsiche quaternarie e le superfici di abrasione marina presenti lungo la fascia costiera sono
state localmente rimodellate tra la fine del Pleistocene medio e l’inizio del Pleistocene superiore per
processi di cripto-carsificazione (MARSICO et al.,
2003). Le superfici di cripto-carso sono state parzialmente esposte nel corso del Pleistocene superiore (MARSICO et al., 2003). In alcuni settori dove
affiorano le unità mioceniche sono presenti, inoltre, limitate esposizioni di un carso fossilizzato da
sedimenti di età pliocenica, caratterizzato dalla
presenza di ampie doline (SELLERI, 2004). Nel settore salentino le fasi di morfogenesi carsica coinci149
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dono con le più importanti fasi regressive accompagnate da tettonica attiva che hanno interessato
la penisola (SELLERI, 2004).
Sulla base delle conoscenze acquisite si può
ipotizzare che il carso del Salento e delle Murge
meridionali si sia evoluto con una sostanziale uniformità di caratteri per buona parte del Paleogene. Solo successivamente a questo intervallo di
tempo l’evoluzione del carso è continuata indipendentemente, probabilmente in seguito alla individuazione sempre più netta di questi due settori dell’avampese apulo ed al differente assetto
geologico-strutturale che questi hanno assunto.
Infatti, tra l’Oligocene ed il Pleistocene superiore
questi settori dell’avampaese, benché coinvolti negli stessi eventi geodinamici, hanno avuto una differente evoluzione tettonica e geologico-stratigrafica. Il Salento è stato interessato, probabilmente
mai integralmente, da più fasi di sedimentazione
marina mentre il settore murgiano meridionale è
stato coinvolto esclusivamente negli eventi sedimentari di età pleistocenica.
Bibliografia
BOENZI F., CALDARA M. (1991), Appunti sul paesaggio
carsico pugliese. Itinerari Speleologici, serie II, n. 4,
17-30.
BRUNO G., DEL GAUDIO V., MASCIA U., RUINA G.
(1995), Numerical analysis of morphology in relation
to coastline variations and karstic phenomena in the
southeastern Murge (Apulia, Italy). Geomorphology, 12, 313-322.
GRASSI D., ROMANAZZI L., SALVEMINI A., SPILOTRO G.
(1982), Grado di evoluzione e ciclicità del fenomeno
carsico in Puglia in rapporto all’evoluzione tettonica.
Geol. Appl. e Idroegeol., vol. XVII, 55-73.
MARSICO A., SELLERI G., MASTRONUZZI G., SANSÒ P.,
WALSH N. (2003), Criptokarst: the case-study of the
150
Quaternary landforms of Southern Apulia (Southern
Italy). Acta Carsologica, 32/2, 147-159.
SAURO U. (1991), A polygonal karst in Alte Murge (Puglia, Southern Italy). Z. Geomorph. N. F., 35, 2,
207-223.
SELLERI G. (2003), Il paesaggio carsico della penisola
salentina: genesi, evoluzione e problematiche di dinamica ambientale. Tesi di Dottorato in Geomorfologia e Dinamica Ambientale, Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali, Università di
Bari.
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Poster 49
PROCESSI DI DEGRADAZIONE DEI VERSANTI
E LORO CONTRIBUTO AL TRASPORTO SOLIDO IN ALVEO
Moretti Sandro, Lombardi Luca & Menci Sara
Università degli Studi di Firenze, Dipartimento di Scienze della Terra, Via La Pira, 4 50121 Firenze (Italy)
[email protected], [email protected], [email protected]
Nel periodo intercorso tra la metà di ottobre e
fine novembre del 2000 nella Liguria di ponente
si sono verificati una serie di eventi meteorici di
particolare intensità che hanno provocato numerosi fenomeni franosi e alluvionali. In particolar
modo tra il 23 e il 24 novembre sono piovuti in 12
ore circa 200 mm di pioggia colpendo in particolar modo l’area compresa tra Ventimiglia e Imperia. L’area di studio è il bacino del torrente Armea
situato nella parte centrale della zona maggiormente colpita, all’interno di questo bacino si sono verificate numerose frane coinvolgendo infrastrutture e provocando anche delle vittime.
Il presente lavoro vuole fornire una metodologia di studio per la stima del materiale pervenuto
nella rete idrografica derivante dall’erosione superficiale dai versanti e dal materiale proveniente
dai movimenti franosi confluiti direttamente all’interno del reticolo fluviale, nonché la stima del
materiale che proverrà successivamente in seguito alle variate condizioni topografiche e del substrato.
Per la stima del materiale pervenuto in alveo
direttamente dai fenomeni franosi sono stati realizzati dei DTM ad alta risoluzione della topografia pre-frana e post-frana. Questi ultimi sono stati realizzati con una tecnica aereofotogrammetrica digitale basata su una serie di fotografie aeree
successive all’evento alluvionale. Il software utilizzato permette una restituzione delle immagini in
modo semiautomatico; una semina di punti collimati manualmente rende infatti possibile una restituzione automatica secondo un coefficiente di
correlazione scelto dall’operatore. I DTM prefrana sono stati invece ottenuti dalla carta tecnica
regionale 1:10.000.
Il materiale giunto in alveo direttamente dai
movimenti franosi è stimato eseguendo la differenza tra i DTM pre-frana e post-frana.
La quantificazione del materiale eroso è stata
ottenuta applicando il modello GEOWEPP che
permette l’integrazione del modello WEPP all’interno di un ambiente GIS.
La modellizzazione è stata così eseguita nelle
condizioni precedenti l’evento alluvionale ed in
concomitanza con l’evento del novembre 2003.
Successivamente è stata modificata la topografia
del bacino inserendo nelle aree in frana la nuova topografia dell’area ottenuta dal DTM post-frana.
Sono state così eseguite nuove simulazioni nelle variate condizioni topografiche e del substrato
in modo da quantificare il contributo del materia-
FIGURA 1 - Schema neotettonico su DTM della Sardegna.
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le che perviene all’interno della rete idrografica rispetto alla situazione pre-evento.
Poster 50
IL GLACIALISMO DEL LIVIGNASCO (ALPI LOMBARDE):
VARIAZIONI RECENTI E RELAZIONI CON IL CLIMA.
VARIAZIONI RECENTI DEL GLACIALISMO DEL LIVIGNASCO
(ALPI LOMBARDE) ED EFFETTI
MORFOLOGICI
NELLE AREE PROGLACIALI
Nucci Riccardo1 & Mauri Achille
1
FIGURA 2 - Vista DTM della piana di Campu Giavesu.
152
Dipartimento Scienze della Terra «Ardito Desio», Università degli Studi di Milano, Via Mangiagalli 37 - 20133
Milano (Italy) - [email protected]
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Sono state studiate le variazioni frontali ed areali del glacialismo del Livignasco (Alpi
Lombarde)degli ultimi sessanta anni. Il confronto bibliografico ha evidenziato una sensibile riduzione areale delle masse glaciali (quasi il 30%fra il 1941 e il 2002), accompagnata da un notevole innalzamento delle quote frontali (da una valore medio di 2.693 m a un valore medio di 2.746 m per i sei
ghiacciai per i quali si hanno i dati completi). L’elaborazione dei dati sulle variazioni frontali (disponibili solo per un numero limitato di ghiacciai), ha permesso di evidenziare un regresso di 230 m dal
1940 al 2002 per il Ghiacciaio Settentrionale di Campo e di 140 in 20 anni (1941-1961) per la fronte occidentale del Ghiacciaio delle Mine. Questa dinamica non è stata però continua, ma ha visto
una fase di rallentamento del regresso e di limitata espansione fra il 1977 e il 1985, che ha lasciato
nell’area proglaciale ben evidenti depositi e forme (presso la fronte del Ghiacciaio Settentrionale di
Campo è stato individuato un complesso di cordoni morenici, definibili come «morene della seconda metà del XX secolo»). Le variazioni glaciali sopra descritte sono state correlate con i dati termici e pluviometrici della stazione meteo di Bormio, che hanno permesso di rilevare un abbassamento
delle temperature medie estive di quasi un grado (–0,95 °C rispetto alla media del periodo 19221995), avvenuto tra il 1968 e il 1990, ed un concomitante aumento delle precipitazioni invernali di
circa 100 mm (sempre rispetto alla media sull’intera serie). Questo tipo di dinamica glaciale bene s’inserisce nel quadro delle variazioni recenti dei ghiacciai alpini che, dopo una continua fase di regresso fino alla fine degli anni ’50 del XX secolo, hanno visto una limitata fase globale di espansione fra
gli anni ’60 e gli anni ’80 del XX secolo, seguita da una ripresa intensa della riduzione.
Poster 51
EVOLUZIONE OLOCENICA DELLA PIANA COSTIERA DI CAGLIARI
Orrù Paolo1, Antonioli Fabrizio2, Lecca Carlo1,
Panizza Valeria3,
Pintus Mariano1 & Puliga Giuseppe1
1
Università degli Studi di Cagliari, Dipartimento di
Scienze della Terra, Via Trentino 51, Cagliari (Italy)
[email protected]
2
ENEA, Via Angullarese 301, Roma (Italy)
3
Università degli Studi di Sassari, Dipartimento Teorie e
Ricerche Sistemi culturali, P.zza Conte di Moriana, Sassari (Italy) - [email protected]
Nuovi dati sull’evoluzione olocenica della pianura costiera di Cagliari sono stai acquisiti attraverso l’analisi di 3 sondaggi a carotaggio continuo
(profondità max 35 m) realizzati presso la bocca
della laguna di Santa Gilla mirati al campionamento dei sedimenti relativi alla risalita versiliana
(Federici, 1993). Dalle carote sono stati prelevati
i materiali utilizzati per le datazioni 14C A.M.S.
(GeoChron Lab. U.S.A.) i sedimenti, i pollini ed
i macro e micro fossili. Rilevamenti geologicogeomorfologici integrati da campionamenti ed immagini satellitari (LANDSAT e SPOT) sono stati
utilizzati per la ricostruzione del settore emerso.
Rilievi sismici ad alta risoluzione, Side Scan Sonar
e rilevamenti subacquei sono stati eseguiti per lo
studio della piattaforma continentale. La piana
costiera in studio è inserita nel sistema horst-graben del Campidano meridionale. Le direttrici tettoniche principali NO-SE, associate alle quali si
rinvengono affioramenti andesitici oligo-mioceniche (CHERCHI & MONTADERT, 1982; CASULA et al.
2001), sono evidenziate dalla presenza di versanti di faglia, evoluti e degradati, interrotti da valli
trasversali impostate lungo le linee tettoniche secondarie NE-SO e dalle quali si sono originati conoidi di deiezione a ghiaie poligeniche eterometriche. Alla base dei versanti di faglia si rinvengono
falde di detrito stratificate troncate sulla linea di
costa da una ripa d’erosione indicante una messa
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in posto del corpo sedimentario in condizioni di
livello di base più basso rispetto all’attuale, probabilmente durante stadio 6. I dati mostrano evidente la corrispondenza tra i processi di arretramento del versante di faglia e formazione dei corpi sedimentari di sostituzione per le fasi più antiche,
dal Miocene inferiore al Pleistocene superiore;
mentre non sono state rilevate evidenze di una riattivazione recente della morfogenesi collegabile a
movimenti olocenici di up-lift.
La successione stratigrafica quaternaria, relativa alla piana di Cagliari, è rappresentata alla base della successione si rilevano, litotipi fluvio-deltizi (sabbie, ghiaie, limi, argille) grigio-verdastre
contenenti lenti a ostree e livelli nettamente torbosi, sedimenti attribuibili alla fase chiusura dello stadio 6.
Arenarie e conglomerati fossiliferi di spiaggia
(Strombus bubonius, Glycimeris, Arca noa,
Cymatium, Thais haemastoma) costituiscono il
cordone fossile di Sa Illetta, ove è conservata una
scogliera bioermale a Cladocora coespitosa attribuibile atto stage 5e (ULZEGA & HEARTY, 1986),
che durante la fase massima trasgressiva (+7,5 m)
si sarebbe trovata profondità di circa –5 m in accordo con l’ecologia delle biocostruzioni coralline
(PEIRANO et al. 2003).
La continuità degli affioramenti dell’antico
cordone litorale «eutirreniano» è stata interrotta
dai processi di erosione durante la regressione relativa all’ultima fase fredda (stage 4/2 - 70/20 ka)
cui ha corrisposto alla incisione delle valli, la principale delle quali è rilevabile in corrispondenza
della attuale bocca lagunare, qui alla profondità di
–40 metri è identificabile la zona di talweg della
paleoincisione fluviale mentre sui bordi a quote
comprese tra –35 e –30 m sono stati campionati
in sondaggio le ghiaie poligeniche ed eterometriche dei terrazzi alluvionali.
La colmata delle paleo incisioni fluviali relativa alle ultime fasi della trasgressione versiliana, è
rappresentata da sedimenti fluvio-deltizi e paralico-litorali intercalate da livelli di torbe (Posidonia
oceanica). Arenarie e conglomerati superficiali,
–1/–1,5 m, di chiusura del ciclo trasgressivo versiliano sulle sponde della laguna di Santa Gilla,
ove le beach-rock presentano alcuni caratteri da
ambiente di sebka. Relativa stabilità tettonica è
documentata per la pianura costiera di Cagliari a
partire dal Pleistocene medio stabilità confermata dalle quote delle linee di riva relative allo stadio 5e (ULZEGA & HEARTY, 1986). Il settore continentale è caratterizzato da alluvioni a ghiaie
154
grosse di natura granitica, quarzitica e metamorfico-cornubianitica, organizzate in tre ordini di
terrazzi a quota variabile tra 50 m ed 1 m s.l.m.
La piattaforma continentale è condizionata
dall’assetto strutturale del basso Campidano, il
bordo, lungo il quale sono stati osservati corpi sedimentari interpretati come terrazzi deposizionali sommersi dello stage 3 e 2, si attesta tra –75m
(canyon di Foxi e di S. Elia) e –120m. Testimonianze di sistemi deposizionali litorali relitti, relativi alla trasgressione versiliana, stage 1, sono state osservate tra –45m e –1/ – 1.5m e correlate con
le beach-rock del Nord Sardegna datate tra 9,5 ed
i 9,9 Ky BP ed i 4,5 e 6 Ky BP (DE MURO & ORRÙ, 1998).
Lo studio dei tre sondaggi ha permesso di osservare in le facies stratigrafico-sedimentologiche
della colmata olocenica del paleoalveo sepolto relativo allo stadio 2. È stata ricostruita in dettaglio
la sequenza dei paleoambienti deposizionali che si
sono succeduti durante la risalita del mare olocenico (ORRÙ et al. 2004). Le datazioni radioisotopiche eseguite sul contenuto fossilifero collocano
l’inizio della colmata a limi sabbiosi paralici sulle
alluvioni terrazzate relative allo Stadio isotopico 2,
in un periodo immediatamente successiva allo
Younger Dryass (9,63 Ky BP). La risalita del mare PreBoreale è marcata da sabbie limose di spiaggia e depositi con resti di Posidonia oceanica cui
seguono, tra Boreale ed Atlantico inf. (7,4 Ky
BP), alternanze a sedimenti fini e grossi che documentano la successiva chiusura e riapertura della
paleobocca di laguna. Tra Atlantico sup. e SubBoreale (4 Ky BP) ghiaie fini, sabbie grosse e medie marcano un momento di apertura della laguna seguito da deposizione di sedimenti ricchi in
sostanza organica della colmata Sub-Atlantica e
storica. Lo studio del contenuto malacologico ha
definito le associazioni faunistiche e contribuito
ad individuare l’evoluzione paleogeografica ed i
passaggi da ambiente paralico a marino-litorale e
lagunare. Tali studi, integrati con dati geoarcheologici (SOLINAS & ORRÙ, 2004), hanno consentito
di realizzare una curva eustatica olocenica per la
piana di Cagliari, che, confrontata con quella teorica secondo i modelli idro-isostatici di Lambeck
(ORRÙ et al., 2004), evidenzia la relativa stabilità
tettonica della piana tra Pl. sup. ed Ol., confermata dalle evidenze evolutive del sistema dei versanti di faglia del bordo occidentale. Un processo di
subsidenza attiva, probabile conseguenza dell’assestamento dei livelli compressibili a torbe, è attivo da 5 Ky e presenta un tasso di abbassamento
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medio stimato in 0.8 ±0.02 mm/anno.
Bibliografia
CASULA G., CHERCHI A., MONTADERT L., MURRU M.& SARRIA E. (2001), The Cenozoic graben system of Sardinia
(Italy): geodynamic evolution from new seismic data. Marine and Petroleum Geology 18, 863-888.
CHERCHI A. & MONTADERT L. (1982), The Oligo-Miocene Rift of Sardinia and the early history of the western mediterranean basin. Nature, 298 (5876), 736-739.
DE MURO S., ORRÙ P. (1998), Il contributo delle beach-rock nello studio della risalita del mare olocenico. Le
beach-rock post-glaciali della Sardegna nord-orientale. Il Quaternario, 11, 19-39.
FEDERICI P. (1993), The Versilian transgression of the Versilia area (Tuscany, Italy) in the light of drillings and radiometric data, Mem. Soc. Geol. It., 49 (1993), 217-225, 4 ff.
ORRÙ P.E., ANTONIOLI F., LAMBECK K. & VERRUBBI V. (2004), Holocene sea-level change in the Cagliari coastal
plain (South Sardinia, Italy), Quaternaria nova,
VIII, 2004.
PEIRANO A., MORRI C., BIANCHI C.N., AGUIRRE J.,
ANTONIOLI F., CALZETTA G., CAROBENE L., MASTRONUZZI G. & ORRÙ P. (2003), The Mediterranean coral Cladocora coespitosa: a Proxy for past
climate fluctuations? - Global and Planetary
Change -00841
SOLINAS E. & ORRÙ P.E., Santa Gilla: spiagge sommerse e frequentazioni di epoca punica - Atti del Cong.
Int. AEQUORA Mare uomini e merci nel Mediterraneo antico - GENOVA, 2004
ULZEGA A. & HEARTY J. P. (1986), Geomorphology,
Stratigraphy and Geochronology of late Quaternary
marine deposits in Sardinia, 2. Geomorph. N. F.,
Suppl. - Bd. 62, 119-129.
Poster 52
IN SITU SURVEYS AND REASERCHES ON THE SNOW COVER
IN HIGH ALTITUDE: STATE OF
THE ART AND PERSPECTIVES
IN ITALIAN AND HIMALAYAN
MOUNTAIN RANGES
Pecci Massimo
ISPESL - Dipartimento Insediamenti Produttivi e Interazione con l’Ambiente, P.za dei Caprettari 70, 00186 Roma (Italy) - [email protected]
FIGURE 1 - Oblique image of debris flows fan B in S. Anna di
Vinadio. Sampled trees (dots), limits of fan and June, 12th 2000 event (light line) are indicated.
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FIGURE 2 - Example of two event response maps drawn for the B fan. The first recorded event (1950) and the last one
(1998) are shown. Dot: undisturbed tree; triangle: heavily stressed tree; square: stressed tree.
In questo lavoro vengono presentati i profili
della neve al suolo, comprensivi dei valori di pH
misurati, realizzati in alcuni siti d’alta quota delle
montagne alpine, appenniniche ed himalayane.
Tali ricerche hanno riguardato principalmente gli
aspetti di stabilità del manto nevoso,sia per quanto riguarda il rischio territoriale, sia la sicurezza
degli operatori durante lo svolgimento delle attività di ricerca, e l’inquinamento contenuto nella
neve al suolo, ai fini della valutazione della qualità delle acque. Vengono discussi i risultati già ottenuti nello svolgimento di ricerche effettuate nel
gruppo del Gran Sasso d’Italia e dell’Himalaya tibetano (Monte Cho Oyu), a fronte dei nuovi dati
ottenuti nel corso delle campagne di rilevamento
del 2003 nel gruppo del Monte Rosa (Colle del
Lys) e del 2004 nel gruppo del Monte Everest.
Viene quindi presentata la proposta di creare specifici database dei profili del manto nevoso e degli andamenti caratteristici del pH nella neve al
suolo, relativi all’alta quota, al fine di migliorare le
conoscenze relative alla stabilità del manto nevoso e della provenienza degli inquinanti, nell’ambito della circolazione atmosferica globale.
156
Poster 53
INFLUENZA DELLE PRECIPITAZIONI E DEI CICLI UMIDO-SECCO SULLA MORFOGENESI CALANCHIVA IN UN’AREA SEMIARIDA DELLA BASILICATA (ITALIA MERIDIONALE)
Piccarreta Marco, Capolongo Domenico1, Bentivenga Mario & Pennetta Luigi2
1
Università degli Stusi di Bari, Dipartimento di Geologia
e Geofisica, Via Orabona 4, 70125 Bari (Italy)
2
Università degli Studi di Cassino - [email protected],
[email protected]
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Oggetto del presente studio è l’analisi del ruolo svolto dalle precipitazioni sullo sviluppo della morfogenesi calanchiva in un’area semi-arida della Basilicata, attraverso il calcolo, dal 1951 al 2000, di
differenti parametri: erosività, tempi di ritorno medi di eventi di magnitudo critica, lunghezza media
dei periodi secchi e umidi, massimo numero di giorni secchi e umidi consecutivi. I risultati mostrano
come le precipitazioni giochino un ruolo determinante nel controllo dell’erodibilità dei suoli. Per tutta l’area di studio si registra una tendenza omogenea all’incremento della frequenza e della durata dei
periodi secchi ed una costante diminuizione dei giorni umidi consecutivi. In dettaglio, tuttavia, il regime pluviometrico produce, nella stessa area, effetti differenti a Nord e a Sud, tanto da poter distinguere una sub-area settentrionale, solcata dal Basento, in cui si registra un netto decremento dell’erosività e della ricorrenza media di eventi estremi ed una sub-area meridionale, comprendente Cavone, Agri e Sinni, caratterizzata da un incremento dell’erosività e della frequenza di eventi estremi,con
intensità superiore ai 30 mm giornalieri. Il tutto si traduce in differenti lavori geomorfici, intesi come
capacità delle precipitazioni di asportare materiale e di modificare il paesaggio, con le aree meridionali caratterizzate da fenomeni pseudocarsici
e movimenti di massa e le aree settentrionali con
evoluzione calanchiva che procede per effetto
prevalente del ruscellamento concentrato.
Poster 54
PROGETTO EUROSION: L’ESPERIENZA DEL CASO STUDIO
DELLA BAIA DI GIARDINI (SICILIA ORIENTALE)
Randazzo Giovanni, Geremia Francesco, Lanza
Stefania & Ruggeri Santina
Università degli Studi di Messina, Dipartimento di Scienze della Terra, Salita Sperone, 31 98166 Messina (Italy)
[email protected]
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Attualmente, i circa 70 milioni di Europei che
vivono lungo le coste ed i futuri 158 milioni che si
prevede vi vivranno entro il 2020, sono soggetti a
fenomeni come eventi alluvionali ed erosione costiera, che nel corso degli ultimi 15 anni si sono
drasticamente esacerbati.
In termini economici le variazioni delle condizioni ambientali hanno determinato nel 2001 un
esborso, per opere di protezione costiera di circa
3.200 milioni di EURO, contro i 2.500 EURO
spesi nel 1986 (European Commission, 2004). È
quindi evidente un incremento di spesa per le
opere a difesa dei litorali e la situazione di rischio
potenziale in cui versano le aree costiere dell’intero continente.
Partendo da queste considerazioni la Direzione Generale Ambiente della Commissione
Europea ha finanziato il programma di studio
EUROSION che è stato affidato ad un consorzio Europeo (RIKZ-EUCC-IGN-UAB-BRGMIFEN-EADS).
158
Il progetto EUROSION definisce chiaramente gli ambiti spaziali e tecnici da considerare negli
studi costieri, per raggiungere risultati soddisfacenti nella progettazione di opere di difesa ribadendo i concetti di Profilo di Equilibrio di Spiaggia e Cella Sedimentaria Costiera come elementi
base per l’analisi dell’erosione costiera, mentre il
Piano di Gestione dei Sedimenti Costieri (PGSC)
diventa nel contesto di un quadro politico locale
una base indispensabile per la gestione dell’erosione costiera e la valutazione dei rischi associati.
Inoltre, EUROSION considera la sostenibilità
dello sviluppo delle aree costiere e la conservazione degli habitat dinamici, in particolare nelle aree
non ancora sviluppate, come un importante obiettivo a lungo termine per le aree costiere europee
da raggiungere sulla base di un certo numero di
opzioni politiche, che possono essere riassunte
nelle seguenti quattro linee:
∞ Tenere la linea.
∞ Muoversi verso mare.
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∞ Gestire il riallineamento.
∞ Non promuovere interventi attivi.
Sulla base dei risultati del progetto EUROSION (European Commission, 2004) sono state proposte quattro raccomandazioni chiave che, una volta implementate e fornite dovrebbero permettere di gestire i problemi dell’erosione costiera in Europa ed i rischi ad esso associati.
∞ Ripristino del bilancio sedimentario ed ampliamento degli spazi per i processi costieri.
∞ Integrazione dei costi dell’erosione costiera e dei rischi connessi con la pianificazione e le decisioni di
investimento.
∞ Rispondere in modo attendibile all’erosione costiera.
∞ Rafforzare la conoscenza di base relativa alla gestione ed alla programmazione dell’erosione costiera.
A valle di questi risultati e raccomandazioni politiche, EUROSION ha sviluppato un ampio spettro
di prodotti – inclusi rapporti e database – che sono accessibili e consultabili attraverso il
sito internet di EUROSION (http://www.eurosion.org) o su richiesta tramite la Commissione Europea.
I più importanti di questi prodotti, pubblicati nella loro versione definitiva nel Maggio 2004, sono:
∞ Il database EUROSION: eseguito in GIS, sviluppato a scala 1:100.000, contiene 19 livelli di informazioni ed aspetti territoriali e temporali.
∞ Linee Guida per integrare i problemi di erosione costiera nelle procedure di Valutazione Ambientale. Il
documento rivede anche un certo numero di
azioni di mitigazione che permettano di ridurre gli effetti dell’erosione costiera e possano essere adottate dai progettisti.
∞ Linee Guida per la mappatura del rischio derivante dall’erosione costiera. Il documento rivede i principali metodi usati in Europa per cartografare l’evoluzione della linea di costa a
«basso costo».
∞ Linee Guida per valutare i costi ed i benefici economici ed ambientali associati alle tecniche di gestione della linea di costa.
∞ Linee Guida per l’implementazione di Sistemi
Informativi Territoriali (SIT) dedicati alla gestione delle aree costiere.
∞ La Guida per la Gestione della Linea di Riva di
EUROSION. Una sintesi di circa 60 esperienze
di gestione di problemi costieri in Europa.
La Baia di Giardini Naxos, sita nel settore settentrionale della costa ionica siciliana tra le città
di Messina e Catania, è uno dei 12 siti pilota su cui
sono state condotte analisi dirette, mentre sugli altri 48 siti sono state acquisite soltanto informazioni bibliografiche. Con circa 10.000 abitanti, 34
hotel e 46 ristoranti concentrati lungo circa 5 km
di costa, ed un turismo attivo con più di un milione di presenze annue, il sito in esame rappresenta un esempio esplicativo di sviluppo turistico costiero nel Mar Mediterraneo.
Negli ultimi anni numerosi tratti della baia di
Giardini hanno subito un’intensa erosione, ulteriormente acutizzata da una serie di interventi antropici effettuati lungo la fascia costiera.
In linea con la visione sviluppata da EUROSION, solo recentemente le autorità regionali
hanno maturato una maggiore consapevolezza
che le pratiche di gestione dell’erosione lungo la
Baia di Giardini non erano soddisfacenti e si è intervenuti con un nuovo programma di investimento, ancora in fase di completamento, per il ripristino delle condizioni naturali di equilibrio della linea di costa e del trasporto sedimentario.
Dall’esperienza EUROSION in ambito locale
si evince che il progetto per la propria struttura ha
permesso di mettere insieme e confrontare molte
esperienze operative, note agli addetti ai lavori,
ma pressoché sconosciute ad un pubblico più ampio. Quindi se da un lato si spinge affinché la Valutazione di Impatto Ambientale (VIA) ed ancor
di più la Valutazione Ambientale Strategica (VAS)
FIGURA 1 - Carte dei suoli di semi-dettaglio disponibili all’inizio del progetto.
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Poster 55
L’IMPATTO DELLE ERUZIONI
VULCANICHE SUI SITI
ARCHEOLOGICI NELL’AREA
DEL SOMMA-VESUVIO
Russo Filippo & Valente Alessio
Università degli Studi del Sannio, Dipartimento di Studi
geologici e ambientali, Via Port’Arsa 11, 82100 Benevento
(Italy)
[email protected],
[email protected]
FIGURA 2 - Pedopaesaggi (in nero) e microrilievo (curve di
livello a 1m, in grigio) di un’area a contatto tra
alta pianura (conoide di Bassano) e bassa pianura alluvionale del Brenta.
acquisiscano un ruolo determinante nella valutazione delle future iniziative da intraprendere, dall’altro lato non vengono forniti elementi tecnici di
rilievo per la loro determinazione.
Al di là infatti della reale omogeneizzazione
dei sistemi legislativi di valutazione, risulta evidente come, utilizzando indici e metodologie di
analisi differenti (per esempio numerica e/o descrittiva), si possa giungere ad un alto livello di
«interpretazione» dell’impatto rispetto alla reale
valutazione oggettiva della sua reale ricaduta ambientale. Dovrà essere compito degli amministratori locali (regionali) più attenti, che nello
studio EUROSION vengono giustamente responsabilizzati, individuare quei percorsi che
permettano di implementare l’oggettivizzazione
degli studi ambientali al fine di giungere a scelte
più mature e consapevoli.
Bibliografia
EUROPEAN COMMISSION (2004). Living with Coastal
Erosion in Europe: Sediment and space for Sustainability. Results from the Eurosion Study. Luxembourg: Office for Official Publications of European
Communities, 40 pp.
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MOSTRA CARTOGRAFICA
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CARTE GEOMORFOLOGICHE ITALIANE
DEGLI ULTIMI QUARANTA ANNI
(elenco provvisorio)
01 G.B. CASTIGLIONI (1964). Carta geomorfologica della conca di Bressanone (Alto Adige), alla scala 1:30.000, Società Cooperativa Tipografica, Padova.
02 M. PANIZZA (1966), Carta geomorfologica del territorio di Calopezzati (Calabria), alla scala 1:25.000, LAC; Firenze.
03 G. NANGERONI (1967), Carta geomorfologica del territorio Malnate-Tradate, alla scala 1:25.000, LAC, Firenze.
04 M. PANIZZA (1968), Carta geomorfologica del territorio di San Giorgio Lucano e Colobraro (Lucania orientale), alla scala 1:30.000, LAC, Firenze.
05 G.B. CASTIGLIONI (1969), Saggio di carta geomorfologica dell’Italia nord-orientale, alla scala 1:1.000.000, LAC,
Firenze.
06 F. PETRUCCI, G.C. BORTOLAMI & G.V. DAL PIAZ (1969), Carta geomorfologica dell’anfiteatro di Rivoli-Avigliana (Prov. di Torino) e del suo substrato cristallino, alla scala 1:40.000, LAC, Firenze.
07 G.B. CASTIGLIONI & A. SESTINI (collaborazione a) (1971), International geomorphological Map of Europe,
Sheet 10 (J. DEMEK ed.), alla scala 1:2.500.000, Institute of Geography of Czechoslovakia Akademie of Sciences,
Brno; I.G.U. Commission on Geomorphological Survey and UNESCO.
08 U. SAURO (1971), Carta geomorfologica degli Alti Lessini (Prealpi Venete), alla scala 1:25.000, LAC, Firenze.
09 G.B. CASTIGLIONI, G.O. GATTO & G.B. PELLEGRINI (coordinamento d’insieme) (1972), Carta dell’alluvione del Novembre 1966 nel Veneto e nel Trentino-Alto Adige; effetti morfologici e allagamenti, alla scala 1:200.000,
C.N.R., Centro di Studio per la Geografia fisica, Università di Padova, T.C.I., Milano.
10 F. TESSARI (1973), Carta geomorfologica del bacino di Lamon (Val Cismon, Alpi Dolomitiche), alla scala 1:25.000,
LAC, Firenze.
11 M. PANIZZA & F. MANTOVANI (1974), Carta geomorfologica del territorio di Pavullo nel Frignano (Appennino
modenese) , alla scala 1:20.000, LAC; Firenze.
12 M. PANIZZA & A. CARTON (1975), Carta geomorfologica della Valle dei Monzoni (Dolomiti), alla scala 1:15.000,
TEMI, Trento.
13 E. LUPIA PALMIERI & G.M. ZUPPI (1974), Il carsismo degli altopiani di Arcinazzo (Lazio). Carta dei fenomeni
carsici, alla scala 1:25.000, Grafica Editoriale Cartografica s.p.a., Roma.
14 G.B. PELLEGRINI (1975), Carta geomorfologica del bacino del Valda (Prealpi dell’Alpago), alla scala 1:10.000,
LAC, Firenze.
15 F. MANTOVANI & M. PANIZZA (1976), Carta geomorfologica dell’Alpago (Prealpi Bellunesi), alla scala 1:25.000,
CTF s.n.c., Parma
16 GRUPPO DI STUDIO DELLE UNIVERSITÀ EMILIANE PER LA GEOMORFOLOGIA (1977), Carta geomorfolgica dell’area circostante la Pietra di Bismantova (Appennino Reggiano), alla scala 1:10.000, Tipolito TemiFotolito Tridentum,Trento.
17 P. CANUTI, F. FRASCATI, C.A. GARZONIO & G. RODOLFI (1979), Carta geomorfologica, Sezione n. 275140
«Lucignano», Regione Toscana - C.N.R, alla scala 1:10.000, LAC, Firenze.
18 F. DRAMIS, B. GENTILI & U.PIERUCCINI (1979), Carta geomorfologica del medio bacino del Tenna, alla scala
1:25.000, Università di Camerino.
19 A. CARTON (1980), Carta geomorfologica del Monte S.Giulia (Appennino modenese), alla scala 1:10.00, STEM,
Modena.
20 G. CASTIGLIONI & G.B. PELLEGRINI (1980), L’alveo del fiume Brenta nella pianura tra Bassano e Padova, alla scala 1:13.000, S.EL.CA., Firenze.
21 F. FRASCATI & G. RODOLFI (1980), Carta geomorfologica dell’Alta Valdera (Pisa), alla scala 1:10.000, S.EL.CA.,
Firenze.
22 G.B. PELLEGRINI (1980), L’alveo del fiume Brenta negli ultimi cento anni, alla scala 1:33.000, S.EL.CA., Firenze.
23 A. BIANCOTTI (1981), Carta geomorfologica della Media Valle del Tanaro, alla scala 1:25.000, SIREA, Torino.
24 E. CENTAMORE, C. CHERUBINI, L. DI EUSEBIO, F. DRAMIS, B. GENTILI, P. MARCHETTI & F. PONTONI (1981), Carta geomorfologica a indirizzo applicativo dell’area compresa tra Camporotondo di Fiastrone e Caldarola (Bacino del Chienti), alla scala 1:10.000, Litografia Longi, Roma.
25 E. CENTAMORE, F. DRAMIS, B. GENTILI & S. LEOPERDI (1981), Carta geomorfologica dell’area circostante
Pietralunga (alti bacini dei torrenti: Biscubio, Soara, Carpina, Carpinella), Appennino umbro-marchigiano, alla scala
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1:12.500, Delta Grafica, Città di Castello (PG).
26 D. MAGALDI, P. BAZZOFFI, D. BIDINI, F. FRASCATI, E. GREGORI, P. LORENZONI & N. MICLAUS
(1981), Studio interdisciplinare sulla classificazione e la valutazione del territorio un esempio nel comune di Pescia
(Pistoia), alla scala 1:20.000, S.EL.CA., Firenze.
27 F. MANTOVANI & G. MASÈ (1981), Carta della dinamica geomorfologica della Valturcana (Alpago-Belluno), alla scala 1:5.000, Istituto di Geologia della Università di Ferrara, Ferrara.
28 GRUPPO DI RICERCA C.N.R. GEOMORFOLOGIA (1982), Carta geomorfologica del territorio di Febbio tra il
Monte Cusna e il fiume Secchia (Appennino emiliano), alla scala 1:20.000, S.EL.CA., Firenze.
29 A. BIANCOTTI, M. GALLO & G. MENZIO (1983), Carta della dinamica dei versanti. Alta Valle Varaita, alla
scala 1:25.000, SIREA, Torino.
30 A. BIASINI, G. BUONASORTE, P. FREDI & E. LUPIA PALMIERI (1983), Bacino dell’Ovito, Pietrasecca. Carta geomorfologica, alla scala 1:15.000, con altre carte tematiche, Multigrafica Editrice, Roma.
31 A. CARTON & M. PANIZZA (1983), Carta geomorfologica dell’Alpe di Lusia, tra Moena ed il Monte Viezzena (Dolomiti), alla scala 1:15.000, Mucchi, Modena.
32 C. TELLINI & P.R. FEDERICI (1983), Carta geomorfologica dell’Alta Val Parma (Emilia), alla scala 1:15.000, Grafiche STEP, Parma.
33 P. ORRU & A. ULZEGA (1984), Carta geomorfologica del settore costiero di Funtanamare (Sardegna sud-occidentale), alla scala 1:10.000, STEF, Cagliari.
34 G.B. CASTIGLIONI & A. SESTINI (collaborazione a) (1985), International geomorphological Map of Europe,
Sheet 14 (J. DEMEK ed.), alla scala 1:2.500.000, Institute of Geography of Czechoslovakia Akademie of Sciences,
Brno; I.G.U. Commission on Geomorphological Survey and UNESCO.
35 GRUPPO NAZIONALE GEOGRAFIA FISICA E GEOMORFOLOGIA del C.N.R. (1985), Carta geomorfologica dell’Alta Val di Peio (Gruppo del Cevedale), alla scala 1:15.000, S.EL.CA., Firenze.
36 C. TELLINI (1985), Carta geomorfologica della Val Pisella (Alta Valfurva-Sondrio), alla scala 1:10.000, CTF s.n.c.,
Parma.
37 M. PANIZZA (1986), Carta geomorfologica di Cortina d’Ampezzo (Dolomiti), alla scala 1:15.000, SELCA, Firenze.
38 C. BARONI & A.CARTON (1987), Carta geomorfologica della Valle dell’Avio (Gruppo dell’Adamello), alla scala
1:15.00, CTF s.n.c., Parma.
39 A. CAVALLIN, M. MARCHETTI & N. PADOVAN (1987), Carta geomorfologica della Pianura Friulana, ad est
del F. Tagliamento ed a sud dell’anfiteatro morenico, alla scala 1:100.000, Dipartimento di Scienze della Terra, Università di Milano, Milano.
40 AUTORI VARI (1988), Carta geomorfologica del crinale appenninico, settori piacentino, parmense e reggiano p.p..
Scala 1:100.000. Grafis, Bologna
41 AUTORI VARI (1988), Carta geomorfologica del crinale appenninico, settori reggiano p.p., modenese e bolognese.
Scala 1:100.000. Grafis, Bologna
42 A CARTON, F FRANCAVILLA & S STANZANI (1988), Carta geomorfologica dell’alta Valle del Torrente Fellicarolo e del Torrente Ospitale, Appennino modenese. Scala 1:25.000. Grafis, Bologna
43 C. CATTUTTO, C. CENCETTI & L. GREGORI (1988), Lineamenti geomorfologici del territorio compreso tra le
valli dei fiumi Paglia e Tevere, alla scala 1:100.000, Dipartimento di Scienze della Terra, Università di Perugia, Perugia.
44 G MARCHETTI & D BARBANO (1988), Carta geomorfologica dell’area compresa tra la Val Trebbia e la Valle del
Perino, Appennino piacentino. Scala 1:25.000. Grafis, Bologna.
45 G MARCHETTI & R FRACCIA (1988), Carta geomorfologica dell’alta Val Nure, Appennino piacentino. Scala
1:25.000. Grafis, Bologna.
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75 SERVIZIO GEOLOGICO D’ITALIA-REGIONE LAZIO (Coordinatore scientifico E.LUPIA PALMIERI)
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INDICE
Prefazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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COMUNICAZIONI ORALI
CELEBRAZIONI IN ONORE DI GIOVANNI BATTISTA E CASTIGLIONI
Federici Paolo Roberto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
SESSIONE GEOMORFOLOGIA GLACIALE E GLACIALOGIA
Seppi Roberto, Carton Alberto & Baroni Carlo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Pellegrini Giovanni Battista, Albanese Diego, Bertoldi Remo & Surian Nicola . . . .
Sauro Ugo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Haeberli Wilfried . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Rampini A., Rota Nodari F., Brivio P. A. & Serandrei Barbero Rossana . . . . . . . . . .
Pignotti Stefano, Cecili A., Cinnirrella A., Cipollini C. & Fazzini Massimiliano . . .
SESSIONE CLIMATOLOGIA
Biancotti Augusto, Destefanis Enrico, Fratianni Simona & Masciocco Luciano . . .
Fazzini Massimiliano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Belloni S., Annovazzi A. & Diolaiuti Guglielmina . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
SESSIONE GEOMORFOLOGIA FLUVIALE E COSTIERA
Brancucci Gerardo & Paliaga Guido . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Rinaldi Massimo, Simoncini Cristina & SogniDaniele . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Surian Nicola, Pellegrini Giovanni Battista & Scomazzone Elisa . . . . . . . . . . . . . . .
Cattuto C., Gregori Lucilia, Melelli L., Tatamelli A. & Broso D. . . . . . . . . . . . . . . .
Mozzi Paolo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Starkel Leszek . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Magliulo Paolo & Russo Filippo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Lezziero Alberto, Donnici Sandra & Serandrei Barbero Rossana . . . . . . . . . . . . . . .
Chelli Alessandro, Federici Paolo Roberto & Pappalardo Marta . . . . . . . . . . . . . . .
Orombelli Giuseppe . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
SESSIONE DINAMICA GEOMORFOLOGICA E PROCESSI ANTROPICI
Pelfini Manuela, Santilli Maurizio & Colzani M. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Aucelli Pietro Patrizio Ciro, Cinque Aldo & Esposito A. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Giardino Marco & Audisio Chiara. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Elmi Carlo, Bertoni W. & Marabini F. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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SESSIONE POSTER
11. Alberto Walter, Carraro Francesco & Giardino Marco . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
12. Aucelli Pietro Patrizio Ciro, De Martino Diego, Di Lauro Angelo, Di Rollo Andrea,
Miccadei Enrico & Rosskopf Carmen Maria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
13. Avigliano Roberto, Calderoni Gilberto, Donegana Marta, Monegato Giovanna, Paiero Giovanni, Pini Roberta & Ravazzi Cesare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
14. Bondesan Aldino, Corain Livio, Favaretto Sonia, Miola Antonella, Mozzi Paolo, Piovan Silvia, Sostizzo Ismaele & Valentini Gianna . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
15. Bondesan Aldino, Asioli Alessandra, Favaretto Sonia, Fontana Alessandro,
Gobbato Dino, Lubiani Alberto, Miola Antonella, Sostizzo Ismaele, Toffoletto Federico & Valentini Gianna . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
16. Boni Paolo, Pellegrini Luisa & Peloso Gianfrancesco . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
17. Brandolini Pierluigi, Faccini Francesco, Piccazzo Mauro, Robbiano Andrea, Olivari
Francesco & Canepa Giacomo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
18. Brandolini Pierluigi, Faccini Francesco, Nicchia P. & Terranova R. . . . . . . . . . . . . . . .
19. Brandolini Pierluigi, Pelfini Manuela & Piccazzo Mauro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
10. Carnielli Teresa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
11. Carturan Luca, Seppi Roberto, Bezzi Roberto & Paoli Andrea . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
12. Casarosa Nicola, Chelli Alessandro, Firpo Marco, Ginesu Sergio, Guglielmin Mauro,
Pappalardo Marta, Pecci Massimo, Queirolo Cristiano, Ribolini Adriano, Robustelli
Gaetano, Scarciglia Fabio, Sias Stefania & Tellini Claudio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
13. Castaldini Doriano, Marchetti Mauro, Anghinelli Antonio , Anghinelli Sergio & Tirabassi James . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
14. Castiglione Emanuele, Ciavola Paolo & Balouin Yann . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
15. Cavalli Alberto & Rodolfi Giuliano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
16. Citterio Michele, Mihalcea Claudia, Diolaiuti Guglielmina & Smiraglia Claudio . . . .
17. Citterio Michele, Turri Stefano, Bini Alfredo & Maggi Valter . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
18. Coltorti Mauro & Pieruccini Pierluigi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
19. Coltorti Mauro, Della Fazia Jacopo, Paredes Rios Freddy & Pieruccini Pierluigi . . . .
20. Coratza Paola, Marchetti Mauro & Soldati Mauro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
21. Costamagna Alberto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
22. Cremaschi Mauro, Pizzi Chiara & Zerboni Andrea . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
23. D’Alessandro Leandro, Miccadei Enrico, Paron Paolo & Piacentini Tommaso . . . . .
24. De Amicis Mattia, Villa Fabio. & Bagattini M. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
25. Della Seta Marta, Fredi Paola, Lupia Palmieri Elvidio, Nesci Olivia, Savelli Daniele &
Troiani Francesco . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
26. De Pippo Tommaso, Petrosino Carmela, Vecchione Carlo, Randazzo Giovanni, Geremia Francesco, Lanza Stefania . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
27. Diolaiuti Guglielmina, D’Agata Carlo, Carnielli Teresa, Citterio Michele & Smiraglia
Claudio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
28. Faccini Francesco, Brandolini Pierluigi1, Robbiano A., Perasso L. & Sola A. . . . . . . .
29. Farabollini Piero, Gentili Bernardino, Materazzi Marco, Pambianchi Gilberto & Aringoli Domenico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
30. Firpo Marco, Guglielmin Mauro & Queirolo Cristiano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
31. Forno Maria Gabriella, Gianotti Franco, Grosso Federico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
32. Forno Maria Gabriella & Lucchesi Stefania . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
33. Gardelli Manuela, Armaroli Clara & Ciavola Paolo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
34. Ghinoi Alessandro & Soldati Mario . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
35. Giardino Marco & Armand Marco . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
36. Giardino Marco & Chabod Alex . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
37. Giardino Marco, Mortara Giovanni, Chiuminatto Daniele & Amerio Marco . . . . . . .
38. Ginesu Sergio & Pala Maria Elena . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
39. Ginesu Sergio, Pusceddu Elisabetta & Sias Stefania . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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Iurilli V., Mastronuzzi Giuseppe, Palmentola G. & Selleri Gianluca . . . . . . . . . . . . . .
Laureti Lamberto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Leonelli Giovanni & Pelfini Manuela . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Leucci Giovanni, Sansò Paolo & Selleri Gianluca . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Lo Curzio Sergio & Valente Alessio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Lombardi Luca, Maerker Michael, Pelacani Samanta, Rodolfi Giuliano & Ungano
Fabrizio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Lovat Roberto, Schiavon Enrico, Spagna Valerio & Toffoletto Federico . . . . . . . . . . .
Luino Fabio, Chiarle Marta & Audisio Chiara . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Marsico Antonella & Selleri Gianluca . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Moretti Sandro, Lombardi Luca & Menci Sara . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Nucci Riccardo & Mauri Achille . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Orrù Paolo, Antonioli Fabrizio, Lecca Carlo, Panizza Valeria, Pintus Mariano & Puliga Giuseppe . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Pecci Massimo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Piccarreta Marco, Capolongo Domenico, Bentivenga Mario & Pennetta Luigi . . . . . .
Randazzo Giovanni, Geremia Francesco, Lanza Stefania & Ruggeri Santina . . . . . . . .
Russo Filippo & Valente Alessio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Santilli Maurizio & Pelfini Manuela . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Sias Stefania & Ginesu Sergio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Soldati Mauro, Albanese Diego, Borgatti Lisa, Carraro Francesco, Chelli Alessandro,
De Amicis Mattia, Frigerio Simone, Giardino Marco, Mortara Giovanni, Pellegrini
Giovanni Battista, Ravazzi Cesare, Surian Nicola & Tellini Claudio . . . . . . . . . . . . . . .
Stefanini Maria Cleofe & Ribolini Adriano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Tellini Claudio & Chelli Alessandro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Vinci Ialina, Garlato Adriano, Sartori Giacomo, Carnicelli Stefano, Filippi Nicola, Minelli Rodolfo, Mozzi Paolo, Wolf Ugo, Cappellin Roberta, Obber Silvia, Pocaterra
Francesca, Ragazzi Francesca & Zamarchi Paola . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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MOSTRA CARTOGRAFICA
Carte geomorfologiche italiane degli ultimi quaranta anni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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