L`amicizia fra Zaccagnini e Boldrini inizia da lontano. Amicizia
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L`amicizia fra Zaccagnini e Boldrini inizia da lontano. Amicizia
L’amicizia fra Zaccagnini e Boldrini inizia da lontano. Amicizia intensa. E rara, date le caratteristiche delle due persone, in quel periodo appartenenti a gruppi politici opposti. Non conoscevo personalmente Zaccagnini, non sapevo nulla della sua età giovanile e come adulto era per me semplicemente un deputato, di cui tutti parlavano con stima, persona seria e gentile. L’ho conosciuto direttamente più avanti, al massimo del suo impegno politico, come segretario della DC, esponente della corrente di Aldo Moro. Di lui, ricordo, si parlava nella Segreteria del PCI, come di un interlocutore importante e riservato per il rapporto che allora andava sviluppandosi fra DC e PCI. E fu lui stesso protagonista nella drammatica vicenda del rapimento del Presidente della DC. Sono note le sue doti di fermezza. E si sapeva della sua dolorosissima condizione nel dovere essere coerente, come sempre egli fu, pur amico carissimo di Moro, al principio di fermezza antiterrorista. Il suo valore morale e politico in quei giorni eccelse e dopo di allora il suo nome è rimasto eccelso nella memoria degli italiani e nel loro cuore. Emergono in questi giorni notizie su probabili trattative, che si sarebbero svolte qualche anno dopo la morte di Moro, nel 1992 fra rappresentanti dello Stato e la mafia assassina e vengono crudemente alla mente domande sconcertanti: “e davvero - scrive il Corriere della Sera - il riconoscimento della mafia come soggetto con cui è possibile anche solo iniziare una trattativa è meno grave di quello che si provoca trattando con i terroristi? Ma perché per Moro non si volle trattare e ora leggiamo che ci sarebbero stati “ministri” nel mirino delle cosche e da queste risparmiati durante una trattativa con lo Stato?” Domande incresciose che ora Zaccagnini non può più porsi, ma che si pongono gli Italiani. Zaccagnini fu democratico esemplare in tutta la sua esistenza. Per una persona di tale forza umana e politica è naturale che fosse grande la stima di Boldrini, difensore forte e giusto della libertà. La stima reciproca fu alla base della loro amicizia. Combattenti ambedue per i propri ideali e coerenti - ecco l’aggettivo che ritorna - con essi, Una amicizia affettuosa e sincera che ebbe inizio negli anni della loro giovinezza, che durò anche nei momenti delle contrapposizioni politiche più aspre e che finì soltanto con la loro fine. 1 Ho conosciuto bene Arrigo. Non durante la guerra partigiana, mentre lui era valoroso comandante nella pianura romagnola ed io rinchiuso nel carcere di San Vittore. Ma subito dopo e poi lungo i molti anni della militanza comune. La sua storia è nota, si confonde con la storia della Repubblica. Sostenitore convinto e lucidissimo di una politica unitaria, nei rapporti con le altre forze politiche e dentro le file del suo stesso partito e dentro il movimento resistenziale raccolto attorno alla sua Associazione, l’ANPI. Eroe, decorato sul campo con la Medaglia d’Oro, si impegnò a sottolineare dinanzi al mondo che “durante la Resistenza ci battemmo per la libertà di tutti, la nostra, quella di chi non partecipava, quella di chi era contro”. Sono sue parole, ripetute centinaia di volte. Aperto alle intese più larghe, lo ricordo sempre in prima fila nelle mille e mille manifestazioni unitarie. Proprio in questi giorni ho rivisto la bellissima fotografia in cui Arrigo Boldrini è ritratto a fianco dei massimi protagonisti nazionali della battaglia vittoriosa per la democrazia in Italia. Era a Torino, nella celebrazione solenne del 100° anniversario dell’Unità d’Italia, a ricordare la continuità della storia della Patria, dal Risorgimento alla Resistenza. Ed oggi mi pare pura follia esitare a fare dell’imminente 150° anniversario momento cruciale del complesso percorso democratico degli Italiani. Ci sono gli avversari dichiarati dell’unità nazionale, che considerano il Risorgimento male supremo, i suoi protagonisti, da Garibaldi a Cavour, dei volgari politicanti, se non addirittura dei banditi: mi riferisco alla Lega, che detesta il Tricolore. E ci sono altri che pensano alle lunghe “giornate” del secolo XIX con distacco politico e morale, annoiati dal dover compiere il loro dovere istituzionale e nazionale, a ricordare solennemente il significato storico ed il valore attuale del 150°. Grande invece è la nostra partecipazione alle celebrazioni, di noi antifascisti, di noi partigiani, che abbiamo saputo costruire la grande Guerra di Liberazione come secondo e conclusivo Risorgimento, contribuendo a portare grandi masse popolari – che furono estraniate dai moti e dagli ideali risorgimentali del ’48, del ’60, del ’70 – ad essere questa volta protagoniste della più grande epopea della storia italiana, la Resistenza. Zaccagnini e Boldrini furono insieme da subito, nella riscossa dopo l’otto settembre. Ambedue partigiani nella medesima Brigata Garibaldi, e poi l’uno al comando militare e l’altro alla guida politica del CLN di Ravenna. 2 Ricordo con emozione il momento in cui, morto Boldrini, tutti i gruppi politici di centrosinistra mi invitarono a prendere la parola nell’Aula di Palazzo Madama. Ricordai Bulow e ricordai la sua amicizia con Benigno Zaccagnini. I senatori applaudirono in piedi i nomi dei due splendidi ravennati. Boldrini fu un grande italiano, comunista; Zaccagnini fu un grande italiano, democratico cristiano. A conclusione della biografia di Zaccagnini, scritta da Boldrini personalmente e pubblicata da Einaudi nella Enciclopedia della Resistenza, Bulow dice: “In lui la fede religiosa senza ombra si intrecciava alla capacità di ascoltare le ragioni degli altri”. Questi gli uomini di allora. Altri tempi, altre tempre! Ed oggi in Italia grave è la condizione economica, sociale e culturale; pesante è quella politica, caratterizzata da una padronanza del centrodestra in ogni settore della vita nazionale: non soltanto nei processi economici e finanziari, ma in tutti i gangli della vita civile: nel Parlamento, nella giustizia, nell’informazione, nella scuola, dappertutto. Il presidente del Consiglio ha un insopportabile comportamento padronale nelle scelte politiche e volgarmente indecoroso nelle sue scelte private, con una leadership che non ha saputo diventare cultura politica ma si è chiusa nella contemplazione del suo dominio, credendo di sostituire lo Stato con un uomo, il governo con il comando, la politica con il potere assoluto e carismatico. Oggi quel potere forse è giunto al limite della sua autosufficienza. Appare, forse si affaccia il segno di un suo declino che comincia ad essere auspicato da settori della borghesia, della magistratura della Chiesa e da non pochi ambienti del centrodestra. Io penso con infinita amarezza alla situazione in cui operiamo. Rasentiamo il disastro. Ma guardo con speranza, per fievole che essa sia, alla possibilità che il nostro popolo ritrovi la via della sua unità democratica e sappia fare da argine ai tentativi di eversione anticostituzionale. Non abbiamo oggi capitani illuminati e coraggiosi come furono Zaccagnini e Boldrini. Ma abbiamo tuttavia radicata nella coscienza degli Italiani, anche per merito loro, la fierezza invincibile della indipendenza e della libertà della Patria. Ravenna, 23 ottobre 2009 3