l`odore del ghiaccio - Biblioteca Vercurago
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L'ODORE DEL GHIACCIO L'odore del ghiaccio, anzi la sua puzza. Ricordava bene il giorno in cui l'aveva sentito per la prima volta. Erano stati piovosi quei giorni di metà inverno nella casa dei nonni in collina e non sempre, Ofelia, era riuscita ad uscire in giardino a giocare. Finalmente le grasse gocce sembravano aver dato un po' di tregua, anche se il cielo restava scuro e dipinto di tante pallide sfumature. Simili a lunghe serpi fumose, le basse nubi bianchissime strisciavano davanti alle pareti rocciose tagliando i profili dei monti che attorniavano la valle, scuriti dall'acqua caduta nei giorni precedenti. La bambina fissò estasiata e allo stesso tempo intimorita quelle sagome enormi che sembravano stringersi in un grave abbraccio, quasi materno, attorno ai colli. Decisa a riprendere i suoi giochi a lungo interroti dal maltempo, Ofelia calpestò la scura fanghiglia del sentiero che serpeggiava tra l'erba giallastra, bruciata dal gelo, con gli stivaletti verniciati di azzurro che la nonna le aveva comprato la settimana prima. Raggiunto il casotto in cui il nonno teneva gli attrezzi per curare il giardino, la bambina si avvicinò a quello ch'era diventato il suo “baule dei giocattoli”. Si trattava di una sorta di vecchio mobile di lamiera bianca, chiazzato qui e là dalla ruggine. Ofelia sollevò il coperchio, fissato al lato lungo opposto da dei cardini cigolanti, e lo spinse fino al punto di blocco. Il tanfo la travolse e una smorfia di disgusto le fece storcere il naso. Era un odore strano, un olezzo che in futuro non avrebbe saputo mai descrivere a nessuno con efficacia. Una fragranza formata dall'alchimia tra l'acqua stagnante nelle ammaccature del fondo del suo “baule” e le foglie affogate, ormai da tempo, in quella brodaglia marrone. Arrampicatasi sul bordo del mobile, Ofelia scrutò i giocattoli che giacevano scomposti sul fondo di lamina imbarcata. Ce n'era un po' per tutte le stagioni: dal pallone di plastica blu al set di paletta e secchiello che lei usava durante le vacanze al mare per costruire grandiose torri di sabbia. Ofelia guardò il secchiello con un certo rimpianto, l'estate era ancora lontana e il cilindro di plastica gialla dal manico rosa era colmo di acqua congelata. Al suo interno era rimasto anche il retino con cui la bambina si dilettava nel tentativo di catturare le farfalle quando il giardino rifioriva a primavera. Ofelia scrutò il suo tesoro, indecisa su quale dei suoi cimeli utilizzare. Alla fine con un sorriso decise per il secchiello. Certo, il fango smunto non era l'ideale per realizzare torri simili a quelle che lei erigeva sulla spiaggia ma Ofelia aveva in mente ben altri modi per impiegare il secchiello in questa stagione. Amava, alle volte, fingersi strega e gettare in quel calderone colmo d'acqua fili d'erba, foglie, sassolini e qualunque altro ingrediente riuscisse a recuperare per creare pozioni portentose. Inerpicata sul suo “scrigno”, Ofelia cercava a fatica di afferarre il manico di legno del retino, scurito dall'acqua, per sollevare e quindi recuperare il secchiello. Quando finalmente la sua manina riuscì ad afferrare l'impugnatura, la bimba si ritrovò in equilibrio precario, con il coperchio del “baule” che dondolava minaccioso. Ignara e soddisfatta, Ofelia cercò di trarre a sé il bacile ma all'ultimo lo strato di ghiaccio che legava il manico del retino al secchiello si spezzò lasciandolo precipitare sul fondo. Ofelia, sbilanciata dall'inaspettato accidente, cadde all'indietro con metà del legno stretto nella mano mentre il coperchio si richiudeva sull'altra tranciando di netto il retino. Ofelia sentì gocce scorrere sulle sue guance, incerta se fossero lacrime o se, invece, avesse ripreso a piovere. Non ebbe più dubbi quando gli occhi gonfi sbottarono nello sfogò del dolore rimediato con la caduta. Ad un tratto si sentì afferrare, era una stretta decisa ma allo stesso tempo tenera. Le mani, celate dai logori guanti da lavoro, erano quelle di suo nonno. Mani amorevoli la rimisero in piedi e poi, sfilatesi i guanti, slacciarono il foulard dal collo e con esso asciugarono via il luccichio dagli occhi della nipotina. Ofelia tirò un po' su col naso abbozzando un sorriso e suo nonno gli rispose inarcando le labbra sotto i baffoni castani. Da quella prima volta, ogni inverno e in diverse occasioni, aveva sentito l'odore del ghiaccio: un fetore più penetrante della sensazione stessa del gelo. E anche quel grigio pomeriggio di metà inverno, al cimitero, circondata da decine di vesti nere, la puzza di ghiaccio le aveva riportato alla mente quell'evento. Ma se prima di oggi, cresciuta, aveva guardato con ironia a quel buffo incidente, ora, non poteva far altro che piangere davanti alla scura bara, inesorabile simbolo dell'eterno addio di suo nonno. Ofelia strinse la mano di sua nonna, era fredda come la sua, tentando di trasmetterle la stessa sicura dolcezza con cui suo nonno l'aveva rimessa in piedi quel giorno e, Ofelia, sperò di esserci riuscita. William Bonacina