sviluppo e caratterizzazione del rivelatore a deriva di silicio per
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sviluppo e caratterizzazione del rivelatore a deriva di silicio per
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TRIESTE Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali Corso di Laurea in Fisica Tesi di Laurea SVILUPPO E CARATTERIZZAZIONE DEL RIVELATORE A DERIVA DI SILICIO PER L’ESPERIMENTO ALICE Relatore: Prof. Rinaldo Rui Laureando: Alessandro Roncastri Correlatore: Prof. Andrea Vacchi ANNO ACCADEMICO 2000-2001 Indice 1 Fisica delle Collisioni di Ioni Pesanti 1.1 Quark, gluoni e QCD . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.2 Il Bag Model degli adroni . . . . . . . . . . . . . . . . 1.3 Il Plasma di quark e gluoni (QGP) . . . . . . . . . . . 1.3.1 Il plasma di quark e gluoni ad alte temperature 1.3.2 QGP ad alta densità barionica . . . . . . . . . . 1.4 Collisioni tra nuclei . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.5 Dinamica del plasma di quark e gluoni . . . . . . . . . 1.6 Cenni sull’idrodinamica del QGP . . . . . . . . . . . . 1.7 I segnali del plasma di quark e gluoni . . . . . . . . . . 1.7.1 Produzione di dileptoni . . . . . . . . . . . . . . 1.7.2 Soppressione della J/ψ . . . . . . . . . . . . . . 1.7.3 Produzione di fotoni . . . . . . . . . . . . . . . 1.7.4 L’effetto Hanbury-Brown-Twiss . . . . . . . . . 1.7.5 L’incremento di stranezza . . . . . . . . . . . . 1.8 Problemi connessi all’interpretazione dei segnali . . . . 1.9 Primi risultati sperimentali . . . . . . . . . . . . . . . . 2 ALICE: l’Esperimento ed il Rivelatore 2.1 Il ruolo di ALICE nel programma sperimentale di LHC 2.2 “I numeri” di ALICE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.3 Struttura del rivelatore . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.4 Il sistema di tracciamento interno (ITS) . . . . . . . . 2.5 Performance dell’ITS . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.5.1 Considerazioni sul tracciamento . . . . . . . . . 2.5.2 Ricostruzione delle tracce . . . . . . . . . . . . 2.5.3 Identificazione delle particelle . . . . . . . . . . 2.5.4 Ulteriori funzioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7 7 9 10 11 12 14 15 17 19 19 20 20 21 22 22 25 . . . . . . . . . 27 27 28 30 32 33 33 34 35 36 2 INDICE 3 Il Rivelatore a Deriva di Silicio 3.1 Princı̀pio di funzionamento del rivelatore a deriva di silicio 3.2 Forma del potenziale in un SDD . . . . . . . . . . . . . . . 3.3 Disegno di un rivelatore a deriva di silicio . . . . . . . . . . 3.4 SDD per l’esperimento ALICE . . . . . . . . . . . . . . . . 3.4.1 Il partitore integrato . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.4.2 La zona di guardia . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.4.3 La zona di raccolta . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.4.4 Gli iniettori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.5 Test di laboratorio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.5.1 Misura I-V . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.5.2 Corrente di leakage . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.5.3 Distribuzione di potenziale sul partitore integrato . 3.5.4 Segnale degli iniettori . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.5.5 Misura delle caratteristiche dei MOS . . . . . . . . 3.5.6 Probe card e probe station . . . . . . . . . . . . . . 3.6 Test Beam . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4 Il Partitore Integrato 4.1 Descrizione del partitore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4.2 Performance del partitore integrato e simulazione . . . . . . 4.2.1 Caso (1): catodi di deriva in corto circuito . . . . . . 4.2.2 Caso (2): centro di generazione di alta corrente localizzato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4.2.3 Caso (3): interruzione del partitore di deriva . . . . . 4.2.4 Casi (4), (5) e (6): difetti nella regione di guardia . . 4.3 Conclusioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 37 37 38 39 41 43 44 45 46 48 49 49 50 51 53 56 57 61 . 61 . 61 . 64 . . . . 68 78 79 80 5 Test d’Irraggiamento 83 5.1 Interazione della radiazione con la materia . . . . . . . . . . . 83 5.2 Effetti della radiazione nei dispositivi silicei . . . . . . . . . . . 87 5.2.1 Nel bulk . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 87 5.2.2 Nella superficie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 88 5.3 Conseguenze della radiazione sulle caratteristiche del rivelatore 89 5.4 Stima della fluenza elettronica . . . . . . . . . . . . . . . . . . 90 5.5 Irraggiamenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 92 5.5.1 Caratteristiche del fascio - setup di misura . . . . . . . 92 5.5.2 Primo irraggiamento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 92 5.5.3 Secondo irraggiamento . . . . . . . . . . . . . . . . . . 96 5.5.4 Terzo irraggiamento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 98 5.6 Conclusioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 104 INDICE 3 6 Efficienza di raccolta del segnale 105 6.1 Analisi della zona di raccolta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 105 6.2 Analisi lungo la direzione di deriva . . . . . . . . . . . . . . . 110 6.3 Conclusioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 114 4 INDICE Introduzione Negli ultimi anni, la fisica delle alte energie sta cercando di fornire le risposte agli interrogativi ancora aperti nella completa comprensione del Modello Standard, quali il confinamento dei quark e la rottura spontanea della simmetria. Nel caso di densità di energia non elevate, quark (q) e gluoni (g) sono strettamente legati tra loro a formare gli adroni (confinamento); inoltre i quark possiedono una massa effettiva, che è data dalle mutue interazioni q-q e dai loro legami con il vuoto fisico circostante (rottura della simmetria chirale). In condizioni di densità di energia elevate, ottenute aumentando la temperatura o la densità della materia, è stata ipotizzata la formazione del Plasma di quark e gluoni (QGP), in cui i legami tra i costituenti fondamentali della materia sono spezzati (deconfinamento) e la simmetria chirale è (parzialmente) ristabilita. Nel primo capitolo di questa tesi vengono descritte qualitativamente i processi di formazione ed evoluzione del plasma; inoltre vengono presi in esame i segnali dai quali è possibile ottenere informazioni su questo stato inesplorato della materia. La conoscenza dei fenomeni critici che avvengono nelle transizioni di fase possono ricoprire un ruolo importante nella comprensione di aspetti cosmologici, quali la nucleosintesi e la materia oscura; è presumibile che durante le prime fasi in seguito al Big Bang, l’Universo abbia attraversato la fase del QGP. É in questo scenario che si inseriscono gli esperimenti di collisioni di ioni pesanti ad alte energie. L’esperimento ALICE, o meglio il rivelatore disegnato per esso, utilizzerà le informazioni delle migliaia di particelle prodotte nell’urto tra ioni al Large Hadron Collider (CERN) per studiare le caratteristiche del plasma di quark e gluoni. Nel capitolo 2 viene descritta la struttura del rivelatore, con una attenzione particolare al sistema di tracciamento interno (ITS) ed alle sue funzioni (tracciamento, identificazione delle particelle, . . . ). L’ITS è costituito da sei strutture cilindriche concentriche, composte da rivelatori silicei; i due “strati” centrali sono formati da rivelatori a deriva di silicio (SDD). 6 INTRODUZIONE Lo sviluppo di questo tipo di rivelatori è stato affidato alle sezioni INFN di Torino e Trieste, che recentemente hanno proposto il disegno finale per il detector. Il capitolo 3 comprende la descrizione delle caratteristiche di tale dispositivo e del meccanismo del suo funzionamento. Vengono inoltre sottolineati gli aspetti convenzionali e le innovazioni degli SDD per l’esperimento ALICE (partitore integrato, iniettori, zona di raccolta, . . . ). I capitoli seguenti riguardano la caratterizzazione del rivelatore di disegno più recente (ALICE-D2) e contengono i risultati del mio diretto impegno seprimentale. Il capitolo quarto è interamente dedicato alla descrizione del partitore integrato ed allo studio delle conseguenze sulle performance del detector causate dalla presenza di difetti, quali centri di generazione di alta corrente, corti circuito o interruzioni della catena resistiva. É necessario sottolineare come la linearità della distribuzione di potenziale sul partitore sia di fondamentale importanza per rendere minima l’incertezza sulle misure, in quanto il funzionamento di un SDD si basa sulla deriva delle cariche che compongono il segnale: della perfetta efficienza di questo fenomeno è totalmente responsabile il partitore di tensione. Nel capitolo successivo vengono presentati i risultati dei test di irraggiamento cui sono stati sottoposti i rivelatori a deriva di silicio con lo scopo di verificarne la resistenza alla radiazione corrispondente a 10 anni di operatività dell’esperimento ALICE. In seguito ad una breve trattazione riguardante gli effetti della radiazione nei dispositivi silicei, vengono esaminate le conseguenze sulle caratterisiche (in particolare le correnti anodiche) dei rivelatori sottoposti ai singoli irraggiamenti alla luce delle condizioni imposte dal disciplinare tecnico per gli SDD in ALICE. Infine, nel capitolo 6 viene descritto lo studio riguardante l’efficienza di raccolta del segnale per un rivelatore (AL1B-3), preso ad esempio di una serie di detector che presentavano una Charge Collection Efficiency anomala. Capitolo 1 Fisica delle Collisioni di Ioni Pesanti Con l’avvento delle collisioni ultra-relativistiche di ioni pesanti al CERN e a Brookhaven nel 1986, si è aperto un nuovo campo di studio delle proprietà della materia e delle sue interazioni, nato dalla fusione di concetti e metodi d’indagine caratteristici della fisica delle particelle elementari e della fisica nucleare. Nella fisica delle alte energie, le interazioni vengono derivate da princı̀pi primi, le teorie di gauge, e la materia in esame consiste fondamentalmente di singole particelle (adroni/quark). D’altro canto, su scala nucleare l’interazione forte può essere descritta solamente per mezzo di teorie effettive o fenomenologiche, e si considerano sistemi estesi che presentano proprietà “collettive”. La via delle collisioni di ioni pesanti e lo studio di sistemi di particelle fortemente interagenti nascono dall’unificazione dell’aspetto di interazione elementare - proprio della fisica delle alte energie - con la visione di materia macroscopica caratteristica della fisica nucleare. Il linguaggio utilizzato in questo nuovo campo è quello della termodinamica, in cui un sistema complesso formato da numerose particelle viene descritto in termini di poche variabili macroscopiche, quali temperatura e densità. Un particolare motivo di interesse verso questa termodinamica-QCD è rappresentato dalla previsione che ad alte densità di energia la materia dovrebbe essere soggetta ad una transizione di fase e presentarsi sotto forma di plasma di quark e gluoni (QGP). 1.1 Quark, gluoni e QCD I quark sono fermioni (possiedono spin 1/2) e sono caratterizzati dal loro flavor. Esistono 6 differenti tipi di flavor, indicati con le lettere u,d,s,c,b e 1. FISICA DELLE COLLISIONI DI IONI PESANTI 8 t (up, down, strange, charme, bottom e top). In tabella 1.1 sono elencate la carica (Q), la componente z dell’isospin (I3 ), la stranezza (S) ed i numeri quantici di charm (C), bottomness (B) e topness (T ) per i 6 tipi di quark, nonché la loro massa. Ogni quark ha numero barionico 1/3. Nello schema unificante del modello standard, i quark e i leptoni sono ragruppati in doppietti: u e d, assieme ai leptoni νe ed e costituiscono la prima generazione di particelle elementari; c e s con νµ e µ formano la seconda generazione di particelle elementari; la terza generazione è composta da t, b, ντ e τ (v. tabella 1.2). Quark Q I3 u 2/3 1/2 d −1/3 −1/2 s −1/3 0 c 2/3 0 b −1/3 0 t 2/3 0 S C 0 0 0 0 -1 0 0 1 0 0 0 0 B T 0 0 0 0 0 0 0 0 -1 0 0 1 massa (GeV /c2 ) 0.005 0.01 0.2 1.5 4.7 180 Tabella 1.1: numeri quantici e masse dei quark. Prima Generazione (u, d) (νe , e) Seconda Generazione Terza Generazione (c, s) (t, b) (νµ , µ) (ντ , τ ) Tabella 1.2: le 3 generazioni in cui si raggruppano quark e leptoni. I quark sono caratterizzati da un ulteriore numero quantico detto colore; ogni flavor può presentarsi in 3 stati di colore diversi. L’interazione tra i quark dipende dal colore, in maniera simile all’interazione Coulombiana tra cariche elettriche. Per questo motivo, in analogia con quanto accade per l’elettromagnetismo, si parla di carica di colore e la teoria che descrive l’interazione tra i quark viene detta cromodinamica quantistica (QCD). La QCD appartiene alla classe delle teorie di gauge: l’interazione nasce come conseguenza della richiesta di invarianza della Lagrangiana rispetto ad una trasformazione di gauge locale. Per ottenere tale invarianza, i quanti del campo di gauge (i gluoni) devono avere massa nulla. Parallelamente ai fotoni nel caso dell’elettromagnetismo, i gluoni possiedono spin 1, ovvero sono bosoni. In questa teoria, il gruppo che descrive i gluoni e i quark è il gruppo SU(3)C , dove C indica il grado di libertà di colore. In linea di principio, esistono di 9 tipi di 1.2 Il Bag Model degli adroni 9 gluoni, raggruppati in un singoletto ed un ottetto di colore; tuttavia, lo stato di singoletto non ha una carica di colore. Ciò comporterebbe una interazione a lungo range mai osservata in natura: questo esclude di fatto l’esistenza del singoletto e porta ad 8 il numero di gluoni che mediano l’interazione tra quark. Nei modelli fenomenologici, gli adroni sono descritti come stati legati di quark (-antiquark) privi di carica di colore; i mesoni e i barioni possono essere considerati come stati formati da quark-antiquark o da 3 quark rispettivamente. Fino a questo momento, tutti gli adroni osservati sono completamente antisimmetrici per scambio di 2 quark; inoltre non è mai stato osservato un quark isolato. Questo fatto porta alla considerazione che l’interazione tra quark deve essere molto forte a grandi distanze. D’altra parte, esperimenti di scattering ad alte energie hanno evidenziato che, con elevati momenti trasferiti, i quark all’interno degli adroni possono essere considerati come liberi. Un sistema di questo tipo può venire descritto per mezzo di una teoria di gauge non Abeliana, in cui gli operatori di campo non commutano, contrariamente al caso della teoria Abeliana dell’elettromagnetismo (QED). La costante di accoppiamento della QCD α dipende dal momento trasferito q come: α0 ! " ! 2" α(q 2 ) = (1.1.1) 33−2nf q log − 1 + α0 12π µ2 dove α0 è la costante d’accoppiamento per il momento trasferito µ e nf è il numero di flavor. Per piccole distanze, la costante d’accoppiamento è piccola e si parla di libertà asintotica. In questo caso una teoria perturbativa descrive in modo appropriato il processo e il modello a partoni è un concetto utile. D’altro canto, a grandi distanze (come nel caso dello studio dello stato fondamentale di un adrone) l’interazione è forte; in questo caso è necessario utilizzare una trattazione non-perturbativa. 1.2 Il Bag Model degli adroni Come accennato in precedenza, nessun quark è stato mai isolato; questo fatto porta alla conclusione che i quark sono confinati all’interno degli adroni. Per visualizzare questa caratteristica dell’interazione tra quark si può pensare ad un filo che simula l’interazione di colore tra un quark ed un antiquark (fig. 1.1). Al crescere della distanza tra q e q è favorita la produzione di una coppia qq lungo il filo ed il quark prodotto è collegato all’antiquark e viceversa. Tentare di isolare un quark cercando di dividerlo dal suo partner 1. FISICA DELLE COLLISIONI DI IONI PESANTI 10 q q q̄ q q̄ q̄ q q̄ Figura 1.1: processo di formazione di una coppia qq che impedisce l’isolamento di un singolo quark. diventa cosı̀ impossibile. Il confinamento dei quark viene anche chiamato schiavitù infrarossa: questo termine è usato per sottolineare il fatto che entrano in gioco grandi distanze (o piccoli momenti trasferiti). Il bag model è una descrizione fenomenologica del confinamento dei quark negli adroni. In particolare, nel bag model del MIT [1] i quark sono trattati come particelle prive di massa all’interno di uno spazio di dimensioni finite, mentre acquistano una massa infinita al di fuori di esso. Il confinamento è il risultato dell’equilibrio tra la pressione del bag (B, una quantità fenomenologica) e la pressione dovuta all’energia cinetica dei quark. Se i quark sono confinati, lo sono anche i gluoni; in tal caso la carica di colore totale della materia è nulla, ovvero gli adroni non sono ”colorati”. 1.3 Il Plasma di quark e gluoni (QGP) Il principale effetto della QCD non-perturbativa nel bag model è quello di creare una pressione B che contrasta la pressione dovuta ai quark confinati. A questo punto si intuisce la possibilità di un nuovo stato della materia: se la pressione dei quark (diretta verso l’esterno) aumenta, ci sarà un punto oltre il quale la pressione B non riuscirà più a mantenere il confinamento, dando luogo ad una nuova fase per la materia. Per elevare la pressione dei quark si può agire in due modi: 1. innalzare la temperatura dei quark; 2. aumentare la densità di numero barionico. 1.3 Il Plasma di quark e gluoni (QGP) 1.3.1 11 Il plasma di quark e gluoni ad alte temperature Consideriamo innanzitutto un sistema di gluoni e quark privi di massa e non interagenti in equilibrio termico ad una elevata temperatura T , entro un volume V ; i quark sono in numero uguale agli antiquark e non c’è numero barionico. La pressione totale di un ideale QGP è data da [2] P = gtot π2 4 T 90 (1.3.1) con 7 gtot = gg + (gq + gq ) , 8 dove gg , gq e gq indicano la degenerazione rispettivamente di gluoni, quark e antiquark1 . Ricordiamo che i gluoni sono 8, ognuno con 2 possibili polarizzazioni, mentre la degenerazione dei quark dipende dal numero di flavor considerati: per un plasma di quark e gluoni con 2 flavor (la materia ordinaria è composta da quark u e d), la degenerazione sarà 2. Il numero totale dei gradi di libertà, ricordando che ogni quark ha 3 varianti di colore e 2 possibili orientazioni di spin, sarà allora 37, per cui P = 37 π2 4 T 90 e la densità di energia & del QGP, sapendo che P = & = 37 1E 3V = 3# , è π2 4 T , 30 che dà un valore per la densità di energia di 2.54 GeV /f m3 ad una temperatura di 200 MeV . La temperatura critica a cui la pressione del plasma eguaglia la pressione B è data da TC = # 90 37π 2 $1/4 B 1/4 . Quindi, per B 1/4 = 206 MeV 2 , si ha che TC = 144 MeV . Il sistema di quark, se riscaldato ad una temperatura superiore a TC , passerà allo stato Se i quark (e gli antiquark) e i gluoni sono confinati entro un volume V, la pressione totale deve includere altri contributi dovuti all’energia cinetica delle particelle, che è proporzionale al raggio del volume di confinamento. Nel caso di materia ”deconfinata” come nel caso qui trattato, questo contributo è trascurabile. 2 Per un sistema di 3 quark liberi confinati in una sfera di raggio 0.8 f m (≡ barione) [2]. 1 1. FISICA DELLE COLLISIONI DI IONI PESANTI 12 deconfinato. Questa fase della materia è comunemente chiamata plasma di quark e gluoni. Va notato che quello di plasma di quark e gluoni è un concetto continuo. D’altro canto, un QGP prodotto in laboratorio deve essere un sistema finito e compreso entro una superficie limite; anche nel caso di deconfinamento, il plasma si estende solo nella regione entro il limite della materia “calda”. Il plasma è soggetto alla pressione B di questo “involucro”, e l’equazione 1.3.2 diventa: PQGP = PQGP continuo − B = g π2 4 T −B 90 (1.3.2) e la corrispondente densità di energia è data da &QGP = &QGP continuo + B = g 1.3.2 π2 4 T +B. 30 QGP ad alta densità barionica Consideriamo ora la situazione in cui la materia del sistema confinato consiste di quark con numero barionico molto elevato. Secondo quanto afferma il principio di Pauli, uno stato con un definito set di numeri quantici non può essere occupato da più di un fermione. Ciò comporta che in un sistema con alta densità barionica i quark debbano occupare stati con grande momento; in tal modo la pressione dovuta ai quark cresce con la loro densità. Ci sarà un punto in cui la pressione di questo gas supererà la pressione B, portando ad un possibile deconfinamento dei quark. E’ possibile stimare la densità barionica critica a T = 0 per un gas relativistico di quark (trascurando i contributi di antiquark e gluoni): in un gas di quark, la loro densità è data da [2] gq Nq nq = = 2 µ3q , V 6π dove µq indica il momento di Fermi dei quark e Nq è dato da gq V Nq = (2π)3 % µq 4πp2 dp . 0 La densità di energia è allora gq &q = (2π)3 % 0 µq 4πp2 dp = gq 4 µ . 8π q 1.3 Il Plasma di quark e gluoni (QGP) 13 & Dalla relazione che lega pressione e densità di energia P = Pq = gq 4 µ . 24π 2 q 1E 3V ' , si trova che Il passaggio critico tra i due stati della materia avviene quando # $1/4 24π 2 B ; µq = gq questo corrisponde ad una densità di numero barionico critica di 4 ! gq "1/4 3/4 nB(QGP ) = B 3 24π 2 (ricordando che ogni quark ha numero barionico 1/3). Per un plasma creato comprimendo l’ordinaria materia nucleare, formata solo dai due quark u e d ad una pressione B 1/4 = 206 MeV , la densità critica di numero barionico per la teoretica creazione di un QGP a T = 0 è nB(QGP ) = 0.72f m−3 , che corrisponde ad un momento di Fermi µq Temperatura µu,d = 434MeV . Prime fasi dell’Universo LHC RHIC Plasma di Quark e Gluoni Gas di Adroni Materia Nucleare !/!0 − 5−10 Densita’ barionica Figura 1.2: diagramma di fase nel piano della temperatura e della densità barionica. Confrontando questi valori con la densità barionica di un nucleone nB = 0.14 f m−3 e con il momento di Fermi per un nucleone, pari a 251 MeV (per 1. FISICA DELLE COLLISIONI DI IONI PESANTI 14 materia nucleare ordinaria all’equilibrio), possiamo osservare che la densità barionica critica è circa 5 volte superiore alla densità della materia nucleare in condizioni normali. Per un sistema con caratteristiche entro questi due limiti (di temperatura e densità), possiamo rifarci al diagramma in figura 1.2. Un importante obiettivo della fisica delle collisioni di ioni pesanti ad alte energie è quello di esplorare questo diagramma di fase in varie regioni di temperatura e densità barionica, in modo da confermare l’esistenza di una nuova fase della materia, il plasma di quark e gluoni. 1.4 Collisioni tra nuclei Come affermato nella sezione 1.3, ci sono due diversi modi per produrre un plasma di quark e gluoni: ma come è possibile creare materia con cosı̀ alta temperatura o desità barionica in laboratorio? Un metodo per raggiungere questo scopo è dato dalle collisioni tra nuclei ad energie elevatissime. Infatti è sperimentalmente provato che un nucleone di un nucleo può subire collisioni multiple con i nucleoni componenti gli altri nuclei e depositare cosı̀ un’elevata quantità di energia nella regione dell’urto. Questa perdita di energia cinetica da parte della materia nucleare è accompagnata dalla produzione di un grande numero di particelle, per lo più pioni. Inoltre, in collisioni nucleo-nucleo ad alte energie, buona parte della componente longitudinale dell’energia viene convertita in materia adronica prodotta nelle vicinanze del centro di massa del sistema. Il grado di frenamento può rivelare se la densità di energia raggiunta è abbastanza elevata da permettere una transizione di fase, consentendo la formazione del plasma di quark e gluoni. Una collisione di ioni pesanti può essere divisa in due diverse regioni energertiche: • la regione del plasma di quark e gluoni puro o baryon-free; il potere d’arresto nucleare (nuclear stopping power ) che un nucleo incidente subisce da parte di un’altro nucleo deve essere noto, per poter determinare se i barioni incidenti e quelle del bersaglio possano allontanarsi dal centro di massa senza essere fermati completamente nell’urto. In questo caso il QGP avrà un contenuto barionico √ molto limitato. Le energie caratteristiche di questa regione sono s ≥ 100 GeV per nucleone; • la regione del plasma di quark e gluoni ad elevato numero barionico 1.5 Dinamica del plasma di quark e gluoni 15 √ o stopping region ( s ≥ 5-10 GeV per nucleone); per un opportuno potere d’arresto nucleare, i barioni saranno fermati nel centro di massa per dar vita ad un QGP con elevata densità barionica. 1.5 Dinamica del plasma di quark e gluoni Consideriamo la collisione di due nuclei uguali ad energie estremamente elevate. Secondo le ben note equazioni di Lorentz, lungo la direzione del moto le lunghezze subiscono una contrazione; possiamo allora trascurare le dimensioni longitudinali e pensare ai due nuclei come a due dischi. Fissiamo per comodità la collisione nel punto z = 0 e al tempo t = 0. La dinamica del sistema è visibile nelle figure 1.3 e 1.4. "z a) z b) 0 0 A B prima dell’urto A B dopo l’urto Figura 1.3: visione schematica della collisione tra due nuclei relativistici. Sappiamo che il numero di urti nucleone-nucleone in una collisione nucleonucleo può essere molto elevato, a causa delle collisioni multiple; ogni urto inelastico nucleone-ione è accompagnato da una ingente perdita di energia da parte dei barioni, che in tal modo rallentano dopo le collisioni subite. Ad energie molto elevate possono comunque avere ancora momenti abbastanza grandi da uscire dalla regione dell’urto. L’energia persa dai barioni è depositata nella zona di z = 0: una grande quantità di energia viene cosı̀ rilasciata in una piccola regione spaziale in un breve intervallo temporale. La materia creata nella regione dell’urto possiede una grande densità di energia, ma ha un piccolo contenuto barionico. I quanti 1. FISICA DELLE COLLISIONI DI IONI PESANTI 16 che trasportano l’energia depositata attorno a z ∼ 0 possono essere quark, aluoni o adroni: la loro natura nei primi istanti dopo l’urto costituisce ancora un problema aperto. t freeze−out degli adroni adronizzazione idrodinamica del plasma di quark e gluoni # = #0 equilibrio formazione z til et oi pr lio ag rs be e 0 Figura 1.4: diagramma spazio-temporale dell’urto tra due nuclei uguali. Le traiettorie di proiettile e bersaglio sono individuate dalle linee più spesse. La grande densità di energia rilasciata nella zona z ∼ 0 ha suggerito a Bjorken [3] il seguente scenario (fig. 1.4): • subito dopo l’urto, la densità di energia può essere abbastanza elevata da permettere la formazione di un plasma di quark e gluoni; • inizialmente, il plasma può non essere in equilibrio termico; in seguito ad una fase di ”assestamento” raggiunge un equilibrio locale ad un tempo proprio τ0 ; • il plasma evolve seguendo le leggi dell’idrodinamica; • durante l’espansione, la sua temperatura cala ed ha luogo la formazione degli adroni (adronizzazione); • quando la temperatura scende al di sotto della soglia di freeze-out, gli adroni escono dalla regione dell’urto. Un fenomeno atteso come conseguenza della formazione di un QGP è il rispristino della simmetria chirale: i quark dovrebbero perdere la massa effettiva dovuta al loro confinamento negli adroni ed esibire la loro massa “nuda”. 1.6 Cenni sull’idrodinamica del QGP 17 In altre parole, con le masse dei quark piccole e preaticamente uguali tra loro, il plasma diverrebbe chiralmente simmetrico. Questo comportamento dovrebbe manifestarsi in un aumento di stranezza e nella variazione delle masse adroniche. Le masse, la larghezza e i decadimenti di risonanze come ρ, ω e φ dovrebbero subire bruschi cambiamenti. Per stimare la densità di energia iniziale &0 precedente l’evoluzione idrodinamica del plasma di quark e gluoni, dobbiamo conoscere la quantità di energia depositata nella regione dell’urto; essa si manifesta con la produzione di adroni che escono dalla zona di collisione. Ricostruendo le traiettorie di queste particelle e calcolando la quantità di energia posseduta ed il volume occupato nel loro punto d’origine nello spazio-tempo, possiamo avere un’idea della densità energetica iniziale. Il nostro interesse è concentrato attorno a z = 0 al tempo τ0 , quando il QGP dovrebbe essersi formato. La quantità τ0 non è nota; Bjorken la stima in 1 f m/c. E’ stato suggerito che questa quantità può essere stimata dal tempo necessario alla produzione delle particelle (τpro ). Varie stime assegnano a τpro valori tra 0.4 e 1.2 f m/c. 1.6 Cenni sull’idrodinamica del QGP Nella descrizione idrodinamica del plasma di quark e gluoni la dinamica del sistema è descritta da 4 campi: il campo densità di energia &, il campo pressione p, il campo temperatura T e il campo quadri-velocità uµ = dxµ /dτ relativi a differenti punti dello spazio-tempo durante l’evoluzione del sistema. La densità di energia &, la pressione p e la temperatura T sono legati tra loro dall’equazione di stato & = &(p, T ). Nel modello idrodinamico di Bjorken il sistema è approssimato da un ideale continuum con una simmetria traslazionale longitudinale, in modo che una trasformazione di Lorentz lungo la direzione longitudinale entro un range limitato dà luogo alle stesse condizioni iniziali e di conseguenza alla stessa dinamica del sistema. In ciascuno di questi sistemi di riferimento, la completa dinamica del sistema è definita dalle variabili termodinamiche &(τ ), p(τ ) e T (τ ). L’equazione del moto per il plasma è descritta da ∂T µν =0, ∂xµ (1.6.1) dove T µν è il tensore energia-momento, definito dal momento nella direzione µ per unità di 3-superficie perpendicolare alla direzione ν, cioè T µν = (& + p)uµ uν − g µν p . 1. FISICA DELLE COLLISIONI DI IONI PESANTI 18 L’equazione per le variabili termodinamiche & e p è ∂& (& + p) + =0. ∂τ τ (1.6.2) Nel caso di un gas ideale di quark privi di massa e di gluoni (p = &/3), l’equazione di stato diventa ∂& 4& =− , ∂τ 3τ che ha soluzione (1.6.3) &(τ ) &(τ ) ! τ0 "4/3 = = . &(τ0 ) &0 τ Per un gas ideale relativistico, la densità di energia e la pressione sono proporzionali a T 4 , cosı̀ ! τ "1/3 T (τ ) 0 = . T (τ0 ) τ Nel modello di Bjorken il plasma raggiunge l’equilibrio termico locale a τ = τ0 , quando la densità di energia iniziale è &0 e la temperatura T (τ0 ) è proporzionale a &1/4 . In seguito la densità di energia e la pressione calano con tempo proprio τ 4/3 , mentre la temperatura diminuisce come τ −1/3 . Al tempo proprio # $3 T (τ0 ) τ0 , τc = Tc la temperatura raggiunge il valore Tc e inizia il processo di adronizzazione. Il plasma di quark e gluoni si troverà in una fase mista per un intervallo proprio τc ≤ τ ≤ τh , dove ( gqg f (τc ) + 1 − f (τc ) τh = gh 1 f (τc ) = gqg − gh )3/4 τc , # $ τc 4/3 {f (τc )gqg + [1 − f (τc ] gh } 4/3 − gh . τ In queste equazioni, gqg è la degenerazione del plasma e gh rappresenta la degenerazione della materia adronica. Nel caso di materia con f (τc ) = 1 (ponendo gqg = 37 e gh = 3) il sistema si troverà nella fase mista per un intervallo temporale di 6.16 τc . Dopo un tempo proprio τh , il sistema sarà nella fase adronica. 1.7 I segnali del plasma di quark e gluoni 1.7 19 I segnali del plasma di quark e gluoni Dopo una collisione tra due nuclei pesanti ad alte energie, la materia prodotta evolve dalla fase adronica verso la fase di plasma di quark e gluoni; il successivo raffreddamento riporta la materia allo stato adronico. Le particelle prodotte dall’interazione tra i costituenti del plasma forniscono informazioni riguardanti lo stato di questa particolare fase della materia [2, 4]. 1.7.1 Produzione di dileptoni In un plasma di quark e gluoni, un quark può interagire con un antiquark per formare un fotone virtuale γ ∗ ; questo fotone decade in una coppia leptoneantileptone l+ l− chiamata dileptone. Il diagramma che descrive l’interazione è visibile in figura 1.5. Per poter essere osservati, i leptoni l+ e l− devono q̄ l− γ∗ q l+ Figura 1.5: formazione di una coppia di leptoni in seguito all’interazione di un quark ed un antiquark. attraversare la regione di collisione. L’interazione tra leptoni e particelle cariche non è forte; l’interazione √ 2elettromagnetica è caratterizzata da una sezione d’urto √ dell’ordine di (α/ s) , dove α = 1/137 è la costante di struttura fine e s è l’energia del centro di massa del sistema leptone-particella carica. Il cammino libero medio dei leptoni è grande, e si può pensare che i leptoni non subiscano ulteriori collisioni dopo la loro produzione. La velocità di produzione e la distribuzione dei momenti della coppie l+ l− dipendono dalla distribuzione dei momenti di quark e antiquark nel plasma, che sono determinate dalle condizioni termodinamiche del QGP. Quindi i dileptoni sono forieri di informazioni per quanto riguarda lo stato termodinamico del plasma all’istante della sua produzione: dallo spettro dei dileptoni si può determinare la temperatura iniziale del plasma. 20 1.7.2 1. FISICA DELLE COLLISIONI DI IONI PESANTI Soppressione della J/ψ In un plasma di quark e gluoni, la carica di colore di un quark è soggetta ad un processo di schermatura (screening) dovuto alla presenza di altri quark, antiquark e gluoni (v. figura 1.6). Questo fenomeno prende il nome di screening di Debye, in analogia con q Figura 1.6: raffigurazione del processo di screening di Debye della carica di colore di un quark all’interno di un QGP. quanto accade alle cariche elettriche nella QED. É proprio per questo motivo che l’interazione tra un quark c ed un antiquark c (costituenti della particella denominata J/ψ) all’interno di un plasma è fortemente indebolita. Per di più in un plasma i quark e i gluoni sono deconfinati, il che comporta la totale scomparsa del legame tra c e c. Ciò determina la soppressione della produzione di particelle J/ψ in un QGP ad alte temperature. 1.7.3 Produzione di fotoni In un plasma di quark e gluoni, un quark può interagire con un antiquark per produrre un fotone ed un gluone, q+q →γ+g; questo processo è detto annichilazione (figura 1.7a, c). Anche un processo elettromagnetico qq → γγ è permesso, ma la probabilità che questo avvenga è minore di quella per il processo q + q → γ + g di un fattore αe /αs = 0.2. Un gluone può interagire con un quark per produrre un fotone per mezzo della reazione g+q →γ+q, 1.7 I segnali del plasma di quark e gluoni 21 oppure con un antiquark per dare luogo all’interazione g+q →γ+q (figura 1.7b, d); queste reazioni presentano un’analogia con lo scattering Compton, perciò sono chiamate processi Compton. q γ g γ b) a) q̄ g q (q̄) q (q̄) q g g q (q̄) c) d) q̄ γ q (q̄) γ Figura 1.7: processi di formazione di fotoni in un plasma di quark e gluoni. Per poter essere rivelati, i fotoni prodotti devono uscire dalla zona di collisione. Dal momento che γ interagisce solamente elettromagneticamente con le altre particelle, il suo cammino libero medio è grande. Come avviene per i dileptoni, anche la distribuzione dei momenti dei fotoni dipende da quella dei costituenti del QGP; anche i fotoni portano informazioni sullo stato termodinamico del plasma al momento della loro formazione. 1.7.4 L’effetto Hanbury-Brown-Twiss Quando un fotone viene “visto” da un detector, la probabilità di osservarne un secondo in coincidenza esibisce una correlazione rispetto alla separazione trasversa relativa dei due rivelatori. Il grado di correlazione dipende dal diametro angolare della sorgente. Questo fenomeno prende il nome di effetto Hanbury-Brown-Twiss (HBT). Per collisioni di ioni pesanti ad elevate energie, la correlazione dei momenti di due pioni identici rivelati in coincidenza è collegata alla trasformata di Fourier di una funzione della distribuzione nello spazio delle fasi della sorgente. Quindi l’effetto HBT può essere utilizzato per estrarre informazioni sulla distribuzione della materia durante gli ultimi passi dei processi di reazione ed essere utilizzato per la ricerca del plasma di quark e gluoni. 1. FISICA DELLE COLLISIONI DI IONI PESANTI 22 1.7.5 L’incremento di stranezza Nelle collisioni nucleo-nucleo viene prodotto un alto numero di adroni, per lo più pioni e kaoni. Possiamo stimare il contenuto di stranezza trattando il sistema di π e k come un gas di bosoni elettricamente neutro in equilibrio termico e chimico. In questo caso, il rapporto tra densità di quark strani e non strani è dato da ns + ns nk+ /nπ+ = = 0.2018 . nu + nu + nd + nd 1.5 + nk+ /nπ+ Sperimentalmente, si osservano rapporti ss/uudd molto minori (per collisioni p − Be si ottengono valori di 0.05 - 0.08). Simulazioni mostrano un aumento della densità di π e k al crescere della temperatura; la densità di kaoni cresce però più rapidamente, per cui il rapporto nk+ /nπ+ cresce con T . Ad oggi, non è stato confermato se la materia adronica prodotta nelle collisioni nucleo-nucleo possa interagire con frequenza sufficiente da raggiungere l’equilibrio chimico. Inoltre i vari modelli proposti per descrivere l’incremento di stranezza non hanno fornito risultati definitivi. 1.8 Problemi connessi all’interpretazione dei segnali Purtroppo non esiste un unico segnale che permetta l’univoca identificazione del plasma. Inoltre i segnali elencati in precedenza non derivano unicamente dalla formazione di un plasma di quark e gluoni: altri processi possono svilupparsi in seguito alla collisione di due nuclei e dare luogo ai medesimi effetti che si avrebbero in presenza di un QGP. Per ottenere un prova certa del raggiungimento di questa nuova fase della materia è d’obbligo perciò conoscere queste fonti “inquinanti” ed isolare i contributi da esse derivanti, per indagare unicamente sulle prove della formazione del plasma. Alcuni esempi di questi fenomeni sono [2]: • Processi di Drell-Yan In una collisione nucleo-nucleo un quark di un nucleo può interagire con un antiquark di un altro nucleone per formare un fotone virtuale che decade in una coppia l+ l− (figura 1.8). Il numero di dileptoni prodotto tramite processi di questo tipo in una collisione di due nuclei uguali è proporzionale ad A2 . 1.8 Problemi connessi all’interpretazione dei segnali 23 A q γ ∗ q̄ l+ l− B Figura 1.8: formazione di un dileptone attraverso un processo di Drell-Yan. • Decadimenti di particelle con charm Mesoni con charm, come D + (formato da c e u, d o s) e D − (formato da c e u, d o s), sono prodotti da interazioni quark-antiquark o gluonegluone (fig. 1.9) q + q → g∗ → c + c g+g →c+c. q c g c b) a) q̄ c̄ g c̄ g c g c g c̄ c) d) g c̄ Figura 1.9: formazione di una coppia cc̄ da interazione quark-antiquark o gluonegluone. 1. FISICA DELLE COLLISIONI DI IONI PESANTI 24 • Produzione di dileptoni da adroni e risonanze I dileptoni possono essere prodotti dall’interazione di adroni carichi con le loro antiparticelle con processi del tipo π + +π − → l+ +l− (fig. 1.10); i dileptoni possono altresı̀ derivare da decadimenti di risonanze adroniche come ρ, ω, φ e J/ψ. π+ l+ γ∗ o ρ π− l− Figura 1.10: formazione di una coppia l+ l− attraverso una collisione tra adroni o un decadimento di una risonanza adronica. • Soppressione di J/ψ in ambiente adronico Le particelle J/ψ prodotte nelle collisioni nucleari possono interagire con gli adroni; queste interazioni causano la rottura della J/ψ. Un esempio di tali reazioni è dato da J/ψ + h → D + D + X . • Produzione di fotoni da interazioni di adroni Un gas caldo di adroni può emettere fotoni per mezzo di reazioni del tipo π + + π − → γ + ρ0 , π ± + π 0 → γ + ρ± , π ± + ρ∓ → γ + π 0 , ... (analoghe ai processi Compton). Siccome il QGP si forma ad una temperatura maggiore di quella critica per la transizione di fase TC , mentre per gli adroni T < TC , ci si aspetta che i fotoni derivanti dal plasma abbiano una distribuzione in energia caratterizzata da temperature maggiori rispetto ai fotoni prodotti da interazioni adroniche. 1.9 1.9 Primi risultati sperimentali 25 Primi risultati sperimentali Il programma di collisioni di ioni pesanti al SPS (CERN) ha avuto inizio nel 1986 ed ha accumulato una notevole mole di risultati sullo studio della materia nucleare ad alte densità di energia. Diversi esperimenti sono stati progettati per l’analisi di specifici segnali, tra cui NA49 per lo studio della produzione di adroni, NA50 per la fisica dei dimuoni, NA57 per lo studio degli iperoni strani e NA45 (CERES) per la misura della produzione di dielettroni nella regione dei massa invariante nella regione sotto 1 GeV /c2 . I citati esperimenti hanno confermato un’anomala soppressione della J/ψ, un incremento di stranezza ed hanno portato ad una misura del valore della temperatura di freeze-out di 120 ± 12 GeV [5, 6, 7]. Nel febbraio del 2000, al CERN, è stata annunciata l’evidenza sperimentale di un nuovo stato della materia che presenta molte delle caratteristiche del teoretico QGP. A partire dallo scorso anno sono diventati operativi gli esperimenti PHENIX, STAR, PHOBOS e BRAHMS al RHIC; essi mirano principalmente allo studio della molteplicità delle particelle, della produzione di stranezza e della densità barionica. Tutti questi esperimenti concordano sull’aumento della molteplicità delle particelle cariche ripsetto ai dati del SPS. Incrementando l’energia di collisione, ci si aspetta che il meccanismo di reazione tra ioni pesanti evolva da un completo frenamento ad una completa trasparenza; in quest’ultimo caso la densità barionica nella regione di mid-rapidity sarà nulla. STAR, PHOBOS e BRAHMS hanno ottenuto per collisioni Au-Au a √ s = 130 GeV una densità barionica a η ≈ 0 minore di quella misurata al SPS, ma non ancora nulla [8, 9, 10, 11, 12, 13]. L’avvio del programma di collisioni Pb-Pb al LHC permetterà di estendere il range energetico delle collisioni nucleo-nucleo e raggiungere nelle regioni centrali una densità barionica pressoché nulla. 26 1. FISICA DELLE COLLISIONI DI IONI PESANTI Capitolo 2 ALICE: l’Esperimento ed il Rivelatore 2.1 Il ruolo di ALICE nel programma sperimentale di LHC ALICE (A Large Ion Collider Experiment) costituisce parte integrante del programma sperimentale di LHC, che investiga alcuni problemi fondamentali per la conoscenza del microcosmo: la connessione tra le transizioni di fase che coinvolgono la teoria dei campi delle particelle elementari, le simmetrie fondamentali della natura e l’origine delle masse nell’universo. La teoria segna una chiara linea di confine tra le simmetrie delle leggi dinamiche della natura e le simmetrie degli stati fisici rispetto ai quali vengono considerate le leggi dinamiche (ad esempio, le simmetrie del vuoto o di uno stato eccitato). ALICE utilizzerà le collisioni di ioni pesanti per raggiungere elevate densità di energia entro grandi volumi e su vaste scale temporali, per studiare la fisica dell’equilibrio - e del non-equilibrio - della materia fortemente interagente nella regione di densità di energia & ≈ 1 - 100 GeV /f m3 [14]. In particolare, lo scopo principale è di accrescere le nostre conoscenze di fisica delle densità di partoni in condizioni di saturazione in un ambiente nucleare “denso”. In tal modo, si cerca di esplorare più a fondo la struttura del diagramma di fase della QCD (v. fig. 1.2) e le proprietà del plasma di quark e gluoni. 2. ALICE: L’ESPERIMENTO ED IL RIVELATORE 28 2.2 “I numeri” di ALICE Il programma di attività dell’esperimento prevede lo studio di interazioni tra nuclei di diverse specie; collisioni protone-protone, protone-nucleo e urti tra ioni pesanti permettono di raggiungere una vasta gamma di densità di energie e di fornire un quadro più completo delle leggi fisiche in questo ambiente estremo. Per i primi 5-6 anni di attività, a partire dal 2006, sono previsti [15]: • 2-3 anni di collisioni Pb-Pb ad energie di 5.5 T eV per nucleone • 2 anni di collisioni Ar-Ar • 1 anno di collisioni d-Pb o α-Pb • collisioni pp nominali a 14 T eV In seguito ai risultati ottenuti dai dati raccolti durante i primi anni, saranno possibili ulteriori scenari: • collisioni dedicate pp o pp-like a 5.5 T eV • altri sistemi A-A al di fuori dei possibili candidati proposti per LHC (O-O, Kr-Kr, Sn-Sn) • un altro sistema d-A (d-Ar ?) • urti Pb-Pb a basse energie Un’idea delle condizioni di lavoro a cui sarà soggetto il rivelatore ci viene fornita dalle simulazioni di urti tra ioni pesanti. I dati presenti in questa sezione sono relativi allo scenario proposto da HIJING (Heavy Ion Jet INteracting Generator), un pacchetto che permette di simulare collisioni protone-nucleo e nucleo-nucleo ad energie ultrarelativistiche. In tabella 2.1 sono elencate le molteplicità medie per le particelle prodotte in urti pp, Ca-Ca (centrali e periferici) e Pb-Pb (centrali e periferici) ad energie di 5.5 T eV per nucleone. La molteplicità totale varia da circa 100 per collisioni pp fino ad oltre 80000 per collisioni Pb-Pb centrali. In quest’ultimo caso, il modello prevede una densità di particelle cariche dNch /dη = 5000 a η = 0 ed una luminosità dell’ordine di L = 2 · 1027 cm−2 s−1 (1 ). 1 Il simbolo η rappresenta la pseuderapidity, definita come η = − ln [tan(θ/2)] , 2.2 “I numeri” di ALICE Particella Tutte Cariche π0 π+ π− γ K+ K− K0L K0R p n p n pp Ca-Ca centr. b = 1 fm 124.9 11872 72.6 6835 33.0 3166 29.5 2804 28.9 2799 5.6 556 3.7 343 3.7 342 3.7 334 3.6 340 3.5 240 2.6 255 2.2 205 2.1 212 29 Ca-Ca per. b = 7 fm 1306 738 337 291 287 56 31 33 37 39 62 59 23 20 Pb-Pb centr. b = 1 fm 82803 47866 22060 19569 19589 3811 2394 2386 2321 2266 1708 1718 1518 1520 Pb-Pb per. b = 12 f m 6770 3806 1722 1496 1493 292 189 182 179 195 269 354 109 118 Tabella 2.1: molteplicità delle particelle prodotte in urti a 6 T eV per nucleone secondo il modello HIJING v. 1.35, senza tagli nella pseudorapidità; b è il parametro d’impatto della collisione. dove θ è l’angolo tra il momento p di una particella e l’asse del fascio ed è l’unica variabile che definisce la grandezza η. In funzione del momento, la pseudorapidity assume la forma # $ |p| + pz 1 η = ln , 2 |p| − pz dove pz = γβm è il momento della particella nella direzione longitudinale. Per collisioni di ioni pesanti, la variabile η è strettamente legata alla direzione delle particelle prodotte nell’urto e quindi alla quantità di momento trasferito: valori di pseudorapidity prossimi allo 0, corrispondenti ad angoli di emissione di ∼ 90o , indicano grossi momenti trasferiti, mentre particelle con |η| >>0 procedono quasi parallelamente alla direzione del fascio. Nel caso di momenti elevati (|p| ≈ p0 = γm), la pseudorapidity coincide con la rapidity, definita come # $ p0 + pz 1 η = ln . 2 p0 − pz La luminosità è la misura della probabilità di interazione in un collider. Dipende dall’intensità, dalle dimensioni dei due fasci e dalla loro sovrapposizione. La frequenza di interazione è proporzionale alla luminosità: R = σL (σ è la sezione d’urto di interazione). 2. ALICE: L’ESPERIMENTO ED IL RIVELATORE 30 2.3 Struttura del rivelatore Il rivelatore consiste di due parti fondamentali [15]: la parte centrale, formata da componenti dedicati principalmente allo studio dei segnali adronici e dileptonici generati nell’urto tra i nuclei, ed un successivo spettrometro per muoni, designato allo studio del comportamento dei quark nella materia densa (v. Sez. 1.7). Sono inoltre presenti dei calorimetri per lo studio della geometria dell’impatto (non visibili in figura). ASSORBITORE HMPID MAGNETE DIPOLARE TOF−PID MAGNETE L3 TPC ITS FILTRO MUONICO MUON CHAMBERS etro o omuonic r t t pe M PHOS S rale te Par Cent Figura 2.1: struttura del rivelatore utilizzato in ALICE: parte centrale e spettrometro muonico. La parte centrale (figura 2.1), che copre ±45o (|η| < 0.9) dell’intero azimuth, è circondata da un grande magnete che produce un debole campo solenoidale (circa 0.4 T ). Questa struttura è composta da tre gusci cilindrici: il sistema di tracciamento, o ITS (Inner Tracking System) con 6 strati di rivelatori al silicio ad alta risoluzione, il TPC (Time Projection Chamber ) e un sistema di contatori TOF (Time Of Flight) per l’identificazione delle particelle (Particle Identification Detector, PID). Più esternamente sono collocati due altri rivelatori: un calorimetro elettromagnetico (PHOton Spectrometer, PHOS) e una serie di contatori ottimizzati per l’identificazione di particelle con grandi momenti (High-Momentum Particle Identification De- 2.3 Struttura del rivelatore 31 tector, HMPID), costituito da contatori RICH (Ring Imaging Cerenkov ) e TOF. La scelta di utilizzare un TPC è dovuta alla necessità di avere un efficiente e robusto sistema di tracciamento. Nonostante i suoi svantaggi riguardo a velocità e volume di dati, solo un dispositivo convenzionale e un tracciamento ridondante possono garantire le prestazioni desiderate con una produzione di particelle cariche che raggiunge le 8000 unità per unità di rapidity. La struttura cilindrica del TPC [16] contiene una mistura di Ne (90%) e CO2 (10%); applicando alte tensioni (fino a 100 KV ), viene prodotto un campo elettrostatico altamente uniforme per mezzo del quale le cariche primarie percorrono tragitti relativamente lunghi verso le piastre di read-out. Il raggio interno della camera (r ≈ 90 cm) è definito dalla massima densità di hit accettabile (0.1 cm−2 ), mentre il raggio esterno (r ≈ 250 cm) è determinato dallo spessore necessario per una risoluzione nella dE/dx migliore del 7%. L’identificazione di molti tipi di particelle in una vasta parte dello spazio delle fasi è un’importante caratteristica del progetto di ALICE. Per questo, due sistemi di rivelazione sono dedicati esclusivamente al PID, un insieme di TOF ottimizzato per grande accettanza ed un piccolo sistema specializzato in momenti elevati. Per il TOF [17] sono state scelte delle Multigap Resistive Plate Chambers (MRPC), in quanto associano la semplicità di costruzione ad una buona risoluzione temporale. La RPC è un detector gassoso con elettrodi resistivi che inibiscono il fenomeno di breakdown delle cariche per mezzo di un effetto di quenching. Una RPC multigap è costituita da una serie di gap gassosi con un singolo set di strip di lettura in parallelo per tutti i gap. Per l’identificazione di particelle con grandi momenti verrà utilizzato un rivelatore RICH, posto ad una distanza di circa 4.5 m dall’asse del fascio. Esso utilizza un radiatore contenente C6 F14 liquido ed una camera proporzionale multifilo (MultiWire Proportional Chamber, MWPC). L’identificazione degli elettroni è affidata ad ITS, TPC e TOF in combinazione con un Transition Radiation Detector (TRD), costituito da sei strati di radiator foil stacks seguiti da Time Expansion Chambers. Fotoni prompt, π 0 e η saranno misurati in un calorimetro elettromagnetico ad alta risoluzione (PHOS). Esso si trova a 5 m dal vertice ed è realizzato in cristalli scintillanti di PbWO4 , un materiale con un piccolo raggio di Molière2 Il raggio di Molière è una costante caratteristica di un materiale che descrive le sue proprietà d’interazione elettromagnetica; è legato alla lunghezza di radiazione per mezzo della formula RM = 0.0265X0(Z + 1.2) 2 dove X0 è la lunghezza di radiazione e Z il numero atomico del materiale. RM è una buona variabile di scaling per la descrizione della dimensione trasversa delle cascate elettromagnetiche. 32 2. ALICE: L’ESPERIMENTO ED IL RIVELATORE (2 cm), per ridurre l’occupazione. Siccome la struttura è dedicata alla rivelazione di particelle con energia relativamente bassa (minore di ∼ 15 GeV ), i cristalli vengono raffreddati a -25oC per aumentare la risposta di luce. Infine, una serie di Multiplicity Counters posti in prossimità della zona di interazione permette di estendere l’intervallo di copertura della pseudorapidity. Come si è visto nel Cap. 1, uno dei più importanti segnali dell’esistenza di uno stato in cui la materia è deconfinata è la soppressione delle risonanze mesoniche; lo spettrometro muonico situato esternamente al magnete che circonda la parte centrale del rivelatore è dedicato allo studio dei decadimenti in µ+ µ− di J/Ψ, J/Ψ$ , Υ, Υ$ e Υ$$ . Questo dispositivo consiste di un assorbitore composto, accuratamente disegnato per ridurre il fondo di µ dovuti ai decadimenti di π e K, seguito da un magnete dipolare che produce un campo nominale di 0.7 T . Le informazioni sul tracciamento dei muoni saranno fornite da dieci piani di sottili MWPC. Le uniche particelle che riusciranno ad attraversare un secondo assorbitore posto alla fine dello spettrometro saranno riconosciute come µ da due RPC. La determinazione della geometria della collisione è ottenuta grazie all’utilizzo di calorimetri adronici (Zero Degree Calorimeters, ZDC), situati a circa 110 metri dal punto di impatto. In caso di urto non centrale (parametro d’impatto diverso da 0), alcuni neutroni e protoni non interagiscono con i nucleoni dell’altro ione e continuano indisturbati il loro moto. Grazie alla misura dell’energia di n e p in due distinti calorimetri, costituiti rispettivamente da tantalio e ottone con fibre di quarzo, è possibile risalire al valore del parametro d’impatto. 2.4 Il sistema di tracciamento interno (ITS) Le funzioni di base del sistema di tracciamento interno [15] - ricostruzione dei vertici secondari, identificazione delle particelle, tracciamento di particelle con piccoli momenti, incremento della risoluzione del momento - vengono assolte da sei strutture cilindriche composte da rivelatori silicei ad alta risoluzione (v. fig. 2.2). Le caratteristiche dei componenti sono visualizzate in tabella 2.2. La granularità richiesta per l’ITS è raggiunta utilizzando dispositivi bidimensionali: rivelatori a pixel (Silicon Pixel Detectors, SPD) e rivelatori a deriva di silicio (Silicon Drift Detectors, SDD). A distanze maggiori, con un criterio per la granularità meno stringente, è possibile utilizzare rivelatori a micropstrip (Silicon Strip Detectors, SSD) a doppia faccia. Sono stati scelti 2.5 Performance dell’ITS 33 5 & 6 STRATO 3 & 4 STRATO 1 & 2 STRATO Rivelatori a pixel Rivelatori a deriva di silicio Rivelatori a microstrip Figura 2.2: struttura del sistema di tracciamento ITS. Si notano i 6 layer concentrici di rivelatori. detector double-sided piuttosto che a faccia singola perché in tal modo si introduce meno materiale nel volume attivo. In più, essi offrono la possibilità di correlare gli impulsi letti su ciascuna faccia ed in tal modo aiutano a risolvere le ambiguità che nascono dall’utilizzo di rivelatori a lettura proiettiva. I parametri che caratterizzano i tre tipi di detector - precisione spaziale, two-track resolution, dimensione delle celle, numero di canali per detector sono elencati in tabella 2.3. 2.5 2.5.1 Performance dell’ITS Considerazioni sul tracciamento Lo scopo fondamentale dell’ITS è il tracciamento delle traiettorie delle singole particelle create nell’urto tra gli ioni. Poiché si desidera misurare particelle in un vasto range di momenti, inclusi quelli al di sotto dei 100 MeV /c, la quantità di materiale presente nell’area attiva è un parametro critico. Qualsiasi materiale presente lungo una traiettoria influenza il cammino della particella 2. ALICE: L’ESPERIMENTO ED IL RIVELATORE 34 Layer 1 2 3 4 5 6 Tipo pixel pixel drift drift strip strip r(cm) 4 7 14.9 23.8 39.1 43.6 ±z(cm) 16.5 16.5 22.2 29.7 45.1 50.8 Area(m2 ) 0.09 0.18 0.42 0.89 2.28 2.88 Ladders 80 (×4) 160 (×4) 14 22 34 38 Det./ ladder 1 1 6 8 23 26 Total area = 6.74 m2 Tabella 2.2: caratteristiche dei componenti del sistema di tracciamento. Parametro Precisione spaziale rφ µm Precisione spaziale z µm Two track resolution rφ µm Two track resolution z µm Dimensioni cella µm2 Area attiva per modulo mm2 Numero di moduli Canali di readout per modulo Pixel Drift Strip 12 38 20 70 28 830 100 200 300 600 600 2400 50×300 150×300 95×40000 13.8×82 72.5×75.3 73×40 240 260 1770 65536 2×256 2×768 Tabella 2.3: parametri dei tre tipi di detector utilizzati in ALICE. a causa di due effetti: la perdita di energia per ionizzazione e lo scattering multiplo. Entrambi questi parametri devono essere tenuti in considerazione al momento della ricostruzione delle tracce. L’efficienza di tracciamento aumenta in presenza di un debole campo magnetico, in particolare a piccoli momenti, quando la traiettoria è meno incurvata. Questa considerazione, assieme alla richiesta di avere un cut-off dei momenti più basso possibile, ha portato alla scelta di utilizzare un debole campo magnetico (0.4 T ) e di effettuare il tracciamento su una lunga distanza (l = 2.5 m) utilizzando rivelatori molto sottili. 2.5.2 Ricostruzione delle tracce Nello strato più interno, la densità di particelle cariche raggiunge un valore di 90 particelle per cm2 ; una cosı̀ elevata densità è utile alla determinazione della posizione del vertice d’interazione. Per quanto riguarda i due layer di pixel, 2.5 Performance dell’ITS 35 correlando i segnali dei rivelatori è possibile risalire alla coordinata z (lungo l’asse del fascio) del punto d’interazione con una precisione di circa 10 µm senza alcun tipo di tracciamento. La precisione cala con la molteplicità, e raggiunge valori di circa 90 µm per collisioni pp. Il tracciamento per TPC ed ITS è basato sull’algoritmo di filtro di Kalman, largamente utilizzato per esperimenti ad alte energie. Questo algoritmo inizia col cercare il “seme” negli strati più esterni del TPC, espandendosi poi fino a comprendere l’intero TPC. In seguito viene aggiunto il contributo del sistema di tracciamento interno, a cominciare dallo strato più esterno, per tutti gli strati. 2.5.3 Identificazione delle particelle dE/dx (mip units) La misura dell’altezza dell’impulso ottenuto dai rivelatori a deriva e a strip servirà a determinare la dE/dx delle particelle. Per questo tipo di misura si utilizzeranno le tracce che avranno fornito almeno tre segnali (sui quattro detector) che non si sovrappongano ad altri hit; questo determina un fattore di 0.9 nell’efficienza. Con una procedura che utilizza dei tagli dipendenti dal momento sulla media dei due più bassi valori registrati, si ottiene una risoluzione Gaussiana del 9-11% che dipende dal momento e dal tipo di particella. Per quanto concerne la separazione e− -π, è possibile identificare gli elettroni con un’efficienza del 70% o superiore con una contaminazione del 10% di pioni per momenti fino a 160 MeV /c (v. fig. 2.5). Un metodo analogo viene utilizzato per l’identificazione degli adroni. 10 p K 5 $ e 0 0 0.2 0.4 0.6 0.8 1 1.2 p (GeV/c) Figura 2.3: perdita di energia specifica misurata con l’ITS con il sistema di media troncata in funzione del momento di diversi tipi di particelle; i dati sono relativi a cinque urti Pb-Pb centrali. 2. ALICE: L’ESPERIMENTO ED IL RIVELATORE 36 2.5.4 Ulteriori funzioni Il sistema di tracciamento interno, oltre a permettere la ricostruzione delle tracce e l’identificazione delle diverse particelle che l’attraversano, offre la possibilità di studiare la forma della funzione di correlazione tra diversi tipi di particelle. La misura della correlazione dipende da alcune caratteristiche sperimentali, quali accettanza, identificazione delle particelle, risoluzione dei momenti e two-track separation. Le performance attese per l’ITS prevedono: • studio della forma della funzione di correlazione fino a raggi di ∼ 3040 f m per diversi tipi di particelle; • interferometria di pioni evento-per-evento con un errore relativo del 22% fino a dimensioni effettive di 15 f m per elevate densità di particelle; • differenze nel tempo di emissione per particelle di diverso tipo e carica fino a pochi f m/c tramite correlazione di particelle non identiche. Inoltre, la capacità dell’ITS di identificare i vertici d’interazione secondari permette di ricostruire con buona efficienza i decadimenti dei mesoni D, K0S , λ, Ω− e Ξ. Capitolo 3 Il Rivelatore a Deriva di Silicio 3.1 Princı̀pio di funzionamento del rivelatore a deriva di silicio Negli esperimenti di fisica delle alte energie i rivelatori di posizione sono costituiti per lo più da camere a gas proporzionali o a deriva. Tuttavia negli ultimi anni si è reso possibile lo sviluppo di nuove camere a deriva di materiale semiconduttore [20]. Come introduzione alla descrizione di questi nuovi dispositivi è utile un acenno ai princı̀pi su cui è basato il loro funzionamento. In fig. 3.1a si osservano due rivelatori al silicio n-type con una giunzione p+ ed una giunzione n+ alle superfici opposte del wafer, posizionati parallelamente tra loro in modo che gli elettrodi n+ siano in contatto. Polarizzando inversamente entrambe le strutture con la medesima tensione, si ha la formazione di una zona svuotata, in cui le cariche positive sono compensate da un egual numero di cariche negative ai due lati della giunzione p+ n. Trascurando il potenziale di built-in, l’espressione che definisce lo spessore della regione di svuotamento d è data dalla seguente relazione: * 2&U d= , d ≤ l/2 , (3.1.1) qND dove U è il potenziale applicato ai capi della giunzione, & è la costante dielettrica del silicio, q la carica di un elettrone e ND la concentrazione di droganti nel bulk del semiconduttore. C’è da notare che la giunzione n+ n non gioca alcun ruolo nel meccanismo dello svuotamento: l’unica sua funzione è quella di garantire un contatto ohmico tra il metallo ed il semiconduttore. Consideriamo ora un wafer di semiconduttore di spessore doppio rispetto ai precedenti (figura 3.1c). Le due superfici del dispositivo sono costituite da 3. IL RIVELATORE A DERIVA DI SILICIO 38 a) d/2 d/2 n+ VBIAS z n d/2 d/2 b) x n+ p+ n x c) d) x z zona non svuotata VBIAS z n d p+ p+ d Figura 3.1: princı̀pio di funzionamento di un rivelatore a deriva: la larghezza della zona svuotata ed il potenziale generato all’interno di due rivelatori con giunzioni p+ ed n+ affiancati in modo speculare (a, b) sono i medesimi che per un rivelatore di spessore doppio con le sole giunzioni p+ (c, d). giunzioni p+ n. In questo caso la regione non svuotata al centro del wafer si comporta da conduttore e svolge la medesima funzione della giunzione n− n+ del caso precedente. Il meccanismo di svuotamento è identico a quello classico della giunzione p+ n, ed è quindi governato dall’equazione (3.1.1). Al crescere del potenziale di alimentazione U, la regione svuotata si espande alle spese dello spessore del canale conduttore non svuotato. Nel caso di completo svuotamento, il potenziale lungo l’asse z del wafer assume una forma parabolica (v. Sezione 3.2). In questa configurazione il dispositivo può essere utilizzato come rivelatore di particelle. Applicando inoltre un campo elettrico uniforme lungo l’asse y ortogonale al piano del foglio, gli elettroni generati nel rivelatore vengono trasportati verso un anodo posto ai margini del wafer, non visibile in figura; il rivelatore cosı̀ ottenuto è detto rivelatore a deriva di silicio (Silicon Drift Detector, SDD). 3.2 Forma del potenziale in un SDD Il campo elettrico all’interno di un dispositivo a semiconduttore è descritto dal potenziale Φ che governa il movimento dei portatori di carica e di conseguenza il comportamento del detector. Trascurando l’effetto dei portatori mobili di carica, la distribuzione del potenziale all’interno del semiconduttore viene calcolata tramite l’equazione 3.3 Disegno di un rivelatore a deriva di silicio 39 di Poisson: ∆Φ = − ND · q , & ∆= d2 , dr 2 (3.2.1) imponendo le opportune condizioni al contorno. È utile considerare il potenziale Φ come somma di due termini, Φ1 e Φ2 : Φ1 sarà il potenziale di svuotamento (la cui forma è data dalla densità di drogaggio del semiconduttore), mentre Φ2 sarà il potenziale che determina il movimento dei portatori di carica. L’equazione (3.2.1) si scinde quindi nelle due componenti ∆Φ1 = − ND · q , & ∆Φ2 = 0 . (3.2.2) (3.2.3) Per quanto concerne Φ1 , nel caso unidimensionale l’equazione di Poisson si riduce a d2 Φ1 ND · q , =− 2 dz & (3.2.4) che ha soluzione parabolica Φ1 (z) = − ND · q (z − z0 )2 + Φ0 , 2& (3.2.5) dove z0 e Φ0 sono le costanti d’integrazione determinate dalle condizioni al contorno. Generalmente, per Φ2 si pone Φ2 = −E · y (3.2.6) in modo da ottenere un campo elettrico costante E lungo la direzione di deriva y. La forma del potenziale Φ nelle due dimensioni z − y per un SDD è visibile in fig. 3.2. 3.3 Disegno di un rivelatore a deriva di silicio Le richieste formulate nelle sezioni precedenti riguardo a zona di svuotamento, forma del potenziale, caratteristiche delle giunzioni, portano alla definizione di un disegno generale per un rivelatore a deriva. In fig. 3.3 possiamo 40 3. IL RIVELATORE A DERIVA DI SILICIO Figura 3.2: forma del potenziale all’interno di un rivelatore a deriva di silicio; sono evidenziati gli effetti di tale potenziale sugli elettroni che compongono il segnale (raggruppamento al centro e deriva verso gli anodi di raccolta). valutarne le principali caratteristiche [21]. Lo svuotamento del bulk è ottenuto per mezzo di una serie di giunzioni p+ (catodi), poste su entrambe le facce del wafer; questi stessi elementi, alimentati attraverso un partitore di tensione, producono il campo elettrico che guida la deriva degli elettroni. Ad una estremità del rivelatore e solo su un lato di esso è presente l’anodo o, più in generale, una serie di anodi preposti alla raccolta del segnale generato nel silicio. Nella stessa figura è illustrato anche il funzionamento di questo tipo di detector. Al passaggio di radiazione ionizzante, vengono create delle coppie ione-elettrone all’interno del silicio. La forma parabolica del potenziale nel piano xz all’interno del bulk attua la divisione tra le cariche positive (lacune), spinte verso le giunzioni p+ presenti sulle due facce del rivelatore, e le cariche negative (gli elettroni), che vengono convogliate nella parte centrale del wafer e spinte verso gli anodi dal campo di deriva. È importante notare che la lettura del segnale elettronico sugli anodi fornisce un’informazione bidimensionale riguardo alla posizione di generazione delle coppie, grazie alle informazioni ottenute dal tempo di deriva e dalla distribuzione del segnale sugli anodi. 3.4 SDD per l’esperimento ALICE 41 partitore anodi metallizzazione n+ p+ p+ p+ e! p+ ossido (SiO2) p+ x catodi lacune n!bulk p+ p+ p+ p+ p+ y p+ z Figura 3.3: sezione di un rivelatore a deriva; sono visibili gli anodi (su un solo lato), i catodi (su entrambi) ed il partitore che li unisce. Il rivelatore è coperto da uno strato di ossido. Gli impianti n+ e p+ sono collegati con l’esterno per mezzo di una metallizzazione. In figura è visibile il meccanismo di raccolta del segnale generato dal passaggio di una particella ionizzante. Il disegno di un rivelatore a deriva di silicio riguarda essenzialmente la definizione e l’ottimizzazione delle strutture elementari dal punto di vista geometrico e tecnologico, in modo da garantire una buona risoluzione spaziale in entrambe le coordinate ed una buona affidabilità del dispositivo. Tutto ciò richiede buone caratteristiche di deriva nel piano parallelo alle superfici del detector, un’effettiva raccolta di carica agli anodi ed un buon rapporto segnale/rumore, favorito da basse correnti di leakage in entrata negli anodi. 3.4 SDD per l’esperimento ALICE Come affermato in precedenza (v. Cap. 2), il sistema di tracciamento interno (ITS) dell’esperimento ALICE al LHC consiste di 6 strati cilindrici concentrici costituiti da rivelatori di posizione ad alta precisione. I 260 rivelatori a deriva di silicio che equipaggeranno il terzo e quarto strato forniranno informazioni sulla posizione e sulla perdita di energia delle particelle che li attraverseranno. 42 3. IL RIVELATORE A DERIVA DI SILICIO I rivelatori sono prodotti da wafer di silicio NTD (Neutron Transmution Doped) del diametro di 5” (127 mm), con una resistività di 3 kΩcm ed un spessore di 300µm [22]. Il silicio NTD è ideale per la produzione di rivelatori a deriva, poiché è soggetto a fluttuazioni di drogaggio minime, che consentono di evitare importanti distorsioni nelle traiettorie di deriva, impedendo il deterioramento della risoluzione spaziale del rivelatore. In uno studio sul silicio utilizzato per gli SDD [23] è stato calcolato che le fluttuazioni sono contenute entro il 6% r.m.s., con variazioni massime attorno al 27%. anodi partitore di tensione integrato catodo centale MOS anodi catodi di guardia Figura 3.4: il rivelatore a deriva di silicio per l’esperimento ALICE; sono indicati il catodo centrale comune, le aree di guardia, le due file di anodi. Il rivelatore (fig. 3.4) ha una struttura bidirezionale, in quanto è composto da due detector uguali posizionati in maniera speculare: gli elettroni, spinti dal campo elettrico di deriva, si muovono dal catodo p+ centrale comune alle due metà verso due linee opposte di anodi n+ , presenti solamente su una superficie. Convenzionalmente, il lato anodico di un SDD viene chiamato lato n (n-side), mentre l’altro lato è chiamato lato p (p-side). Per ognuna delle metà che costituiscono il rivelatore ci sono 292 catodi di deriva, con un passo di 120 µm, e 256 anodi ad intervalli di 294 µm. Le ridotte dimensioni degli anodi (150÷170 µm×110 ÷130 µm per gli impianti) fanno sı̀ che la capacità vista da un anodo sia molto piccola, dell’ordine dei 60 f C, con il risultato di aumentare la risoluzione in energia. La lunghezza totale della regione sensibile delimitata dalle due file di anodi è di 70.0 mm, mentre la larghezza nella direzione degli anodi raggiunge i 75.264 mm. Ai fianchi dell’area sensibile, sui lati non occupati dagli anodi, ci sono due zone triangolari chiamate regioni di guardia. Sono costituite da una serie di catodi perpendicolari a quelli di deriva e polarizzati opportunamente, in modo 3.4 SDD per l’esperimento ALICE 43 da scalare gradualmente l’elevato potenziale dei catodi di deriva verso il potenziale di massa dell’anello n+ posto al bordo del rivelatore. Naturalmente queste regioni devono essere minimizzate in quanto non sono zone sensibili; per tale motivo il passo dei catodi è molto ridotto (32 µm). L’aspetto di un rivelatore ALICE è caratterizzato quindi da una forma esagonale, con un’area sensibile rettangolare che permette di minimizzare la sovrapposizione di due SDD adiacenti nell’assemblaggio finale. Il rapporto tra area sensibile e area totale è pari all’88%. Sebbene il rivelatore abbia una forma esagonale, esso viene tagliato dalla “fetta” di silicio seguendo un inviluppo rettangolare di area 87.6 x 72.5 mm2 . Le quattro zone triangolari poste ai vertici del rettangolo contengono delle strutture di test (MOS). Vediamo ora in dettaglio alcune caratteristiche del disegno finale del rivelatore, denominato ALICE-D2. 3.4.1 Il partitore integrato Il rivelatore è alimentato attraverso un insieme di partitori integrati realizzati mediante impianti p+ ad alta resistività [24]. Esistono partitori separati per alimentare indipendentemente i catodi di deriva di ciascuna metà e i catodi di guardia (fig. 3.5). In questo modo, le possibili distorsioni della distribuzione Figura 3.5: dettaglio della regione del partitore integrato del rivelatore ALICED2: sono visibili i catodi di deriva (1), le guardie (2), le resistenze del partitore per i catodi di deriva (3), le resistenze del partitore dei catodi di guardia (4). di potenziale su catodi di deriva di una metà del detector - oppure sui catodi di guardia - non vengono trasmesse direttamente all’altra metà. Il valore 3. IL RIVELATORE A DERIVA DI SILICIO 44 di una resistenza che connette tra loro due catodi di deriva adiacenti è di 180 kΩ. Il capitolo 4 è interamente dedicato ad una trattazione delle caratteristiche del partitore integrato. 3.4.2 La zona di guardia Ai lati del rivelatore sono presenti dei catodi di guardia, necessari per scalare la tensione dei catodi di deriva verso l’anello di massa che circonda il detector. È presente una guardia ogni due catodi di deriva; per questo motivo la differenza di potenziale tra due guardie è il doppio della differenza di potenziale tra i catodi di deriva. Le condizioni di lavoro nominaliprevedono una differenza di potenziale tra catodi di deriva contigui di 8 V , che corrisponde ad un campo elettrico di deriva di 670 V /cm. Il campo elettrico di deriva nella regione di guardia raggiunge valori di 5000 V /cm; questa zona costituisce una delle più critiche strutture di un rivelatore a deriva di silicio. Nel disegno di un SDD è importante garantire la stabilità elettrica a lungo termine; da questo punto di vista e per questo particolare tipo di rivelatore, il fenomeno del punch-through è il più critico [25]. Quando la differenza di potenziale tra catodi adiacenti raggiunge il valore critico Up.th. , tra loro inizia a scorrere una corrente di lacune. Questo fenomeno può essere considerato alla stregua di un resistore parassita inserito in parallelo agli impianti-resistenze del partitore che altera la distribuzione lineare del potenziale dei catodi. Nella situazione ideale, senza cioè considerare le condizioni ambientali, il valore di Up.th. dipende dalla carica fissa positiva dell’ossido, dalla resistività del silicio e dalla distanza tra i catodi; utilizzando dei valori tipici per queste grandezze, Up.th. risulta essere maggiore dei 16 V che costituiscono la differenza di tensione tra due catodi di guardia adiacenti. Tuttavia, si verifica un deposito di cariche negative dovute all’ambiente circostante sulla superficie esterna dell’ossido che con l’andare del tempo compensa le cariche positive all’interno dell’ossido. La dinamica dell’accumulazione delle cariche negative, la loro quantità e capacità di compensazione dipendono da diversi fattori: 1. dalla tensione di alimentazione del detector; 2. dal livello di umidità ambientale; 3. dalla presenza di una metallizzazione sopra gli impianti p+ e, in tal caso, di quanto questa metallizzazione si estende sull’ossido per formare un field-plate; 4. dall’intervallo di tempo durante il quale il rivelatore è alimentato. 3.4 SDD per l’esperimento ALICE 45 In certe condizioni questa carica negativa non solo compensa parzialmente o totalmente la carica positiva presente all’interno dell’ossido, ma la sovrasta e causa la formazione di uno strato di inversione sotto l’ossido. Di conseguenza, il valore di Up.th. può calare drammaticamente e l’apparente perfetta linearità della distribuzione di potenziale sui catodi di deriva misurata in un tempo immediatamente successivo all’alimentazione del rivelatore viene in seguito alterata. Questo abbassamento della soglia Up.th. può provocare variazioni nella distribuzione di potenziale con tempi caratteristici di ore o persino giorni prima di raggiungere una situazione stabile. molecole d’acqua U !!!!!!! !!!!!! metallo molecole d’acqua U+ Up.th. metallo ++++++++++++ impianto p+ U ossido impianto p+ carica positiva nell’ossido !!!! !!! metallo ++++++++++++ impianto p+ U+ Up.th. metallo ossido ! !!!!!!! !! impianto p+ carica positiva nell’ossido Figura 3.6: vecchio e nuovo disegno del field-plate per i rivelatori a deriva di silicio per ALICE; la metallizazione più estesa aumenta il valore di Up.th. . Per risolvere questo problema è stato implementato il disegno del rivelatore estendendo la metallizzazione dei field-plate dei catodi. In figura 3.6 è evidenziata la differenza tra il vecchio disegno della struttura di guardia, dove il metallo si estende per 4 µm oltre l’impianto p+ su entrambi i lati a formare un field-plate simmetrico, e il nuovo disegno, dove il field-plate “interno” è largo 8 µm. Questa soluzione impedisce la compensazione nei pressi dell’impianto più positivo, aumentando effettivamente il valore asintotico di Up.th. . 3.4.3 La zona di raccolta Un’accurata simulazione della zona di raccolta (la parte del rivelatore nei pressi degli anodi) si è resa necessaria al fine di ridurre il più possibile il numero di catodi di deriva alimentati singolarmente che servono a guidare le cariche dal piano centrale del bulk del detector verso gli anodi n+ , dove il segnale viene raccolto. Lo scopo è quello di mantenere gli elettroni che subiscono la deriva nel piano centrale fino a 150 µm dagli anodi, per poi spingerli rapidamente verso gli anodi utilizzando un ridotto numero di catodi p+ posti sulla superficie opposta del wafer. Nella zona di raccolta (fig. 3.7) è presente solamente un catodo polarizzato indipendentemente dal partitore di tensione integrato: il catodo di griglia. Esso è posto sul lato n e separa gli anodi gli uni dagli altri. La necessità di 3. IL RIVELATORE A DERIVA DI SILICIO 46 un’alimentazione autonoma è dovuta all’esigenza di minimizzare il rumore: il forte accoppiamento capacitivo esistente tra gli anodi e la griglia impedisce di collegare quest’ultima al partitore, come invece avviene per i due catodi (detti di kick-up) posti sul lato p, che forzano la carica di segnale verso gli anodi sul lato p. −600 catodi di deriva Microns n!side griglia −300 anodo catodi terminali contatto n+ bulk 0 #291 #292 #293 Bulk 300 catodi di catodi terminali kick−up catodi di deriva 600 contatto p+ bulk p!side 900 −1200 −800 −400 0 400 800 1200 Microns Figura 3.7: struttura della zona di raccolta per i lati n e p di un rivelatore tipo ALICE-D2. Il valore dei resistori del partitore integrato è costante fino al catodo di deriva # 291 (l’ultimo prima dell’elettrodo di griglia sul lato n e l’ultimo prima degli elettrodi di kick-up sul lato p) ed è pari a 180 kΩ. Sui due lati, oltre le file di anodi, sono presenti due anelli p+ che circondano il rivelatore. Questi catodi sono necessari per scalare il potenziale degli impianti della zona di raccolta verso il potenziale dei contatti di bulk esterni, posti a potenziale di massa. 3.4.4 Gli iniettori La velocità di deriva è proporzionale al campo elettrico E ed alla mobilità elettronica µe : v = µe E . (3.4.1) Nel silicio ad alta resistività utilizzato nella fabbricazione dei rivelatori, la mobilità varia considerevolmente con la temperatura: µ ∝ T −2.4 ; (3.4.2) 3.4 SDD per l’esperimento ALICE 47 questo comporta variazioni della velocità di deriva dell’ordine dello 0.8%/K a temperatura ambiente. Parallelamente a questo, variazioni nella linearità della distribuzione di tensione, dovute alla presenza di difetti nel partitore integrato o a centri di generazione di alta corrente nel bulk siliceo (v. Cap. 4), introducono degli errori sistematici con conseguente perdita di linearità nella velocità di deriva. Ai rivelatori a deriva per il sistema di tracciamento interno dell’esperimento ALICE è richiesta una precisione spaziale di circa 30 µm, con un tragitto di deriva massimo di 35 mm. Per ottenere queste performance è necessario effettuare un preciso monitoraggio delle fluttuazioni della velocità di deriva causate dal gradiente di temperatura dovuto al riscaldamento del partitore integrato e dalla distorsione della distribuzione di potenziale dei catodi di deriva. A questo proposito sono stati studiati degli iniettori di carica MOS (MetalloOssido-Semocinduttore), che si sono dimostrati essere strutture molto utili e performanti [26]. Per un MOS esistono quattro situazioni caratteristiche [27]: • la condizione di flat-band, in cui il silicio si trova in una condizione di uniformità di distribuzione di carica fino all’interfaccia con l’ossido; • l’accumulazione, in cui i portatori maggioritari (gli e− ) sono attratti verso l’interfaccia e vanno a formare un sottile strato conduttivo dello stesso tipo del semiconduttore; • lo svuotamento superficiale, in cui i portatori di maggioranza sono respinti dall’interfaccia Si-SiO2 . Uno strato svuotato isolante, il cui spessore dipende dalla tensione applicata, si crea nella regione superficiale del semiconduttore; • l’inversione, in cui un sottile strato di portatori di minoranza (lacune) va a formarsi all’interfaccia ossido-semiconduttore, seguito da uno strato isolante la cui dimensione non dipende dalla tensione applicata. È chiaro allora che applicando un breve impulso negativo al gate metallico, preceduto da una tensione positiva per favorire la raccolta di cariche, gli elettroni accumulati nel silicio all’interfaccia con l’ossido (grazie alla presenza di cariche positive nel SiO2 ) possono essere immessi nel bulk siliceo per essere in seguito trascinati verso gli anodi. La geometria degli iniettori è visibile in fig. 3.8. Sotto il metallo e l’ossido è presente un impianto p+ per impedire la formazione di uno strato di accumulazione di elettroni. In alcune zone, dove l’impianto è interrotto, le cariche 48 3. IL RIVELATORE A DERIVA DI SILICIO Figura 3.8: dettaglio della regione degli iniettori di carica: sono visibili le interruzioni dell’impianto p+ in corrispondenza delle piazzole d’iniezione rettangolari (1) e le piazzole per la connessione dei microcavi di alimentazione (2). possono essere raccolte: queste aree, di forma rettangolare, costituiscono gli iniettori veri e propri. Il gate metallico ha dimensioni 100 x 20 µm; ognuna di queste piazzole dista dalla successiva 2.35 mm, corrispondenti a 8 anodi. Tutti gli iniettori di una linea sono controllati simultaneamente per mezzo di una connessione esterna. In ognuna delle due metà costituenti il rivelatore sono presenti tre file di iniettori, distanti 5 mm, 17.6 mm e 35.0 mm dagli anodi. 3.5 Test di laboratorio Nel caso dei rivelatori a deriva di silicio, le misure fondamentali da effettuare riguardano la corrente di leakage, la distribuzione di potenziale sul partitore e l’efficienza degli iniettori, nonché le caratteristiche dello strato di ossido. Ricordiamo che è in ogni caso auspicabile avere a disposizione dei rivelatori che presentano basse correnti di leakage, in modo da minimizzare il rumore e permettere una migliore analisi del segnale, grazie ad un elevato rapporto segnale/rumore. Le caratteristiche dell’elettronica di read-out associata agli SDD impongono un valore per la corrente misurata inferiore a 3.5 nA per anodo [29]. Per i rivelatori a deriva, che basano il loro funzionamento sul trasporto di cariche nel silicio, è inoltre opportuno disporre di una distribuzione di potenziale sui catodi di deriva quanto più lineare possibile, in modo da evitare fluttuazioni nella velocità di deriva con conseguente diminuzione della capacità di risoluzione del dispositivo. In caso contrario, la conoscenza approfondita della distribuzione di potenziale fornisce un indispensabile strumento per la correzione di questo sgradito effetto. 3.5 Test di laboratorio 49 Infine, lo studio delle caratteristiche dello strato di ossido permette di valutare l’efficienza degli iniettori MOS. 3.5.1 Misura I-V Prima di effettuare una lunga e particolareggiata misura di correnti anodiche e distribuzioni di potenziale, è utile verificare la presenza di eventuali difetti che generano alta corrente attraverso una misura I-V. In pratica, applicando due punte, una sull’ultimo catodo di deriva ed una sul contatto di bulk, è possibile polarizzare un intero lato del detector, in quanto tutti i catodi di deriva sono connessi tra loro attraverso il partitore integrato. La corrente inversa viene misurata fino ad una tensione di -80 V ; il valore relativo alle condizioni di lavoro del SDD corrisponde al valore misurato a -30 V . le specifiche tecniche per gli SDD che verranno utilizzati nell’esperimento ALICE richiedono una corrente inferiore a 5 µA alla tensione di -30 V La misura della corrente fornisce una chiara indicazione sulla presenza ed entità di eventuali difetti; in figura 3.9a si nota come la presenza di un centro di generazione di alta corrente provochi un inusuale andamento della curva I-V. Dal grafico di figura 3.9b al contrario si può ricavare un valore molto basso per la corrente di leakage, pari a 1 nA per anodo alle condizioni di lavoro. a) 5e+03 b) lato n lato p 3e+03 2e+03 1e+03 0e+00 lato n lato p 8e+02 corrente (nA) corrente (nA) 4e+03 1e+03 6e+02 4e+02 2e+02 10 20 30 40 50 tensione (V) 60 70 80 0e+00 10 20 30 40 50 tensione (V) 60 70 80 Figura 3.9: misure I-V per SDD con (a) o senza difetti (b). 3.5.2 Corrente di leakage In seguito al primo test I-V, si procede con la misura delle singole correnti anodiche. Il disciplinare tecnico impone una corrente media per anodo inferiore a 10 nA ad una tensione di polarizzazione di -2500 V a 20o C, esclusi eventuali hot-spot con correnti superiori a 100 nA [29]. Per poter passare 3. IL RIVELATORE A DERIVA DI SILICIO 50 alla fase di test successiva, ciascun rivelatore dovrà avere una percentuale inferiore al 2% di anodi con corrente superiore a 100 nA. La misura della corrente di leakage viene effettuata sui singoli anodi oppure connettendo tra loro 8 anodi. In fig. 3.10 è riprodotto il risultato di una misura su un rivelatore ALICE-D2. 1e+04 corrente (nA) 1e+03 1e+02 1e+01 1e+00 1e-01 1e-02 50 100 150 anodo 200 250 Figura 3.10: corrente anodica misurata ogni singolo anodo; si nota la presenza di un difetto che genera alta corrente nei pressi dell’anodo # 30. Nel grafico di figura 3.10 possiamo notare come il valore medio della corrente di leakage di un tipico SDD sia di circa 1 nA alla tensione di alimentazione di -2368 V . Si osseva inoltre un hot spot nei pressi dell’anodo # 30, segnale inequivocabile della presenza di un difetto nel rivelatore. 3.5.3 Distribuzione di potenziale sul partitore integrato Per la misura della distribuzione di potenziale sul partitore, un catodo ogni 10 viene connesso alla detector card. Un esempio di distribuzione del potenziale sui catodi di deriva di entrambe le facce di una metà detector (p e n-side) è visibile in fig. 3.11. La misura è stata effettuata ad una tensione di alimentazione di -2368 V , pari ad una caduta di potenziale di 8 V per catodo. Si può notare come, mentre sul lato p la distribuzione di potenziale segue una buona linearità, con cadute di tensione attorno agli 80 V ogni 10 catodi, sul lato n essa si discosta dalla linearità a causa della presenza di un difetto all’altezza del catodo # 110. 3.5 Test di laboratorio 51 caduta di potenziale ogni 10 catodi (V) La massima variazione picco-picco della distribuzione di potenziale misurata ogni 10 catodi adiacenti, alla tensione operativa di -2400 V ed alla temperatura di 20 o C, non deve superare i 5 V su ciascun lato [29]. 90 n-side p-side 85 80 75 70 0 50 100 150 200 catodo di deriva 250 300 Figura 3.11: distribuzione di potenziale su una metà di un rivelatore ALICE-D2; la misura è effettuata ogni 10 catodi di deriva. Sul lato n è visibile la deviazione dalla linearità dovuta ad un difetto. Una trattazione più approfondita delle distorsioni del potenziale causate dalla presenza di difetti nel rivelatore è presente al Cap. 4. 3.5.4 Segnale degli iniettori Gli iniettori MOS danno l’opportunità di calibrare on-line il tempo di deriva per variazioni di temperatura. Il grafico di fig. 3.12 mostra la lettura sugli anodi del segnale prodotto da una linea di iniettori. Come si può notare, tutti i cluster sono nettamente separati; le differenze di ampiezza dei segnali sono probabilmente imputabili a inomogeneità dell’ossido, che causano localmente una diversa iniezione di carica. In fig. 3.13 si nota l’andamento dell’ampiezza del segnale in funzione della frequenza di iniezione; aumentando la frequenza degli impulsi, l’accumulo di cariche nel bulk sotto i MOS diventa via via più difficoltoso ed il segnale meno intenso. Le stesse considerazioni valgono nel caso in cui venga diminuita l’ampiezza dell’impulso di iniezione o ne venga aumentata la durata (ancora fig. 3.13). 3. IL RIVELATORE A DERIVA DI SILICIO 52 ampiezza del segnale (mV) 300 250 200 150 100 50 0 0 10 20 30 40 anodo 50 60 Figura 3.12: segnale degli iniettori misurato agli anodi; i segnali corrispondenti ai diversi iniettori sono ben separati tra loro. 80 90ns 50ns ampiezza segnale (mV) 70 60 50 40 30 20 10 0.1 1 10 frequenza impulso 100 Figura 3.13: ampiezza del segnale misurato agli anodi in funzione della frequenza dell’impulso di iniezione; i dati sono relativi a impulsi di lunghezza diversa (50 e 90 ns). 3.5 Test di laboratorio 53 Per le misure del segnale generato dagli iniettori, è necessario processare il segnale per mezzo di un’opportuna elettronica di read-out. Il chip di frontend utilizzato, denominato OLA [32], è un circuito integrato “full-custom” costruito con tecnologia bipolare a 32 canali con un bassissimo livello di rumore. Ogni canale comprende un amplificatore charge-sensitive, uno shaper semi-gaussiano ed un “simmetrical line driver”. La “sensitività” del circuito è di circa 30 mV /f C, il peaking time dello shaper è di 55 ns per un segnale in ingresso “δ-like”. La “carica di rumore equivalente” (Eqivalnet Noise Charge, ENC) è pari a circa 230 e− alla capacità 0 del rivelatore. Il range dinamico del chip OLA è di ∼ 12 f C per l’output positivo e ∼ 16 f C per il negativo. In realtà l’elettronica di front-end per le camere a deriva di silicio per l’esperimento ALICE sarà costituita da due chip ASIC (Application Specific Integrated Circuit) [15], particolari chip VLSI (Very Large Scale Integration) con prestazioni superiori, denominati PASCAL (Preamplifier, Analogue Storage and Conversion from Analogue to Digital) ed AMBRA (A Multievent Buffer Readout Architecture). Il loro impiego non è stato possibile in quanto durante i test effettuati i due chip erano ancora in fase di sviluppo. 3.5.5 Misura delle caratteristiche dei MOS La caratteristica C − V di una struttura MOS fornisce informazioni non solo riguardo al semiconduttore (silicio, nel nostro caso), ma anche all’isolante (SiO2 ) ed all’interfaccia isolante-semiconduttore. La capacità viene misurata sovrapponendo un piccolo segnale sinusoidale alla tensione di bias costante del dispositivo e leggendo la corrente (anch’essa sinusoidale) in uscita. Siccome applichiamo un segnale che varia nel tempo, dobbiamo tenere in considerazione l’intervallo di tempo in cui vengono raggiunte le condizioni di equilibrio termico. Nel caso dell’accumulazione (v. Sez. 3.4.4), la variazione della carica nello strato di cariche positive si accompagna all’attrazione o alla repulsione degli elettroni del bulk. Questo è un processo veloce ed è governato dalla mobilità. Considerazioni simili si possono applicare al caso dello svuotamento. Per l’inversione, il processo è diverso: i cambiamenti della densità di carica nello strato di inversione sono associati a fenomeni di generazione e ricombinazione nella regione svuotata e nella regione di superficie. Per buoni semiconduttori, con grandi tempi di generazione, la costante di tempo per raggiungere l’equilibrio termico può essere estremamente lunga (millisecondi 3. IL RIVELATORE A DERIVA DI SILICIO 54 o secondi)1 . Analizziamo nel dettaglio le caratteristiche capacità-tensione in funzione della frequenza del segnale applicato ad una struttura MOS. A basse frequenza, ciò che viene misurato è • C = Cox nel caso dell’accumulazione; Cs • C = CCoxox+C (le capacità di ossido e strato di svuotamento in serie) nel s caso dello svuotamento; • C = Cox nel caso dell’inversione (lo strato di inversione varia a causa dell’oscillazione della tensione in ingresso, mentre lo strato svuotato rimane costante). In questo caso, Cox = #doxox#0 è la capacità dell’ossido e Cs = #ds #s0 è la capacità dello strato svuotato. Per frequenze elevate, lo strato di inversione rimane costante, mentre la zona svuotata varia con la tensione applicata. La capacità è allora data da Cs C = CCoxox+C (v. fig. 3.14). s C accumulazione bassa frequenza Cox inversione svuotamento alta frequenza V FB Cox Cs Cox+ Cs V Figura 3.14: capacità in funzione della tensione di gate per un MOS ideale con substrato di tipo n per basse ed alte frequenze. Poiché le funzioni di lavoro di metallo (Φm ) e semiconduttore (Φs ) sono diverse, è necessario applicare una tensione (detta di banda piatta - flat band voltage, VF B ) VF B = Φm − Φs (3.5.1) Valido solo in caso di assenza di correnti parallele all’interfaccia. Questo tipo di correnti può venire fornito da vicini impianti; in tal caso i transienti sono più rapidi. 1 3.5 Test di laboratorio 55 per raggiungere la condizione di banda piatta, in cui la concentrazione di portatori di carica nel semiconduttore è uniforme fino al confine con l’ossido ed il campo elettrico all’interno del semiconduttore è nullo. Una correzione supplementare alla tensione di banda piatta è causata dalla presenza nell’ossido, nei pressi dell’interfaccia con il silicio, di uno strato di cariche positive costituito da lacune intrappolate in difetti. Il contributo a VF B di uno strato di cariche positive con densità superficiale σ, poste ad una distanza dox dal metallo, e della restante regione con densità di carica ρox sarà dato da % dox 1 [σdox + ρ(x)xdx] , (3.5.2) ∆VF B = − &ox &0 x=0 dove &ox e &0 rappresentano le costanti dielettriche dell’ossido e del vuoto rispettivamente. 5e-10 Capacita’ (F) 4e-10 3e-10 2e-10 1e-10 0e+00 0 1 2 tensione (- V) 3 4 Figura 3.15: curva C − V caratteristica ad alta frequenza misurata per un MOS presente sul wafer di un SDD per l’esperimento ALICE. Un’ulteriore effetto di variazione dall’idealità della curva C−V di un MOS è rappresentato dalla presenza di atomi accettori o donatori all’interfaccia tra ossido e silicio, che introducono dei livelli energetici all’interno della banda proibita; il risultato è una diminuzione della pendenza della curva e quindi un’ulteriore variazione della tensione di banda piatta. Dalla misura delle caratteristiche C − V dei MOS posti agli angoli della struttura rettangolare in cui è ricavato il rivelatore è quindi possibile stimare la carica positiva presente nell’ossido, lo spessore dello strato di SiO2 , la tensione di flat-band e la densità di drogaggio del silicio. 3. IL RIVELATORE A DERIVA DI SILICIO 56 3.5.6 Probe card e probe station Per le misure elettriche dei rivelatori a deriva di silicio (corrente di leakage e distribuzione di tensione sul partitore integrato), cosı̀ come del tempo di deriva attraverso l’utilizzo degli iniettori MOS, sono state sviluppate delle schede a circuiti stampati (printed circuit boards, PCB). Il rivelatore è montato su (2) (1) Figura 3.16: PCB per gli SDD di ALICE per la misura di correnti anodiche (1) e potenziale sul partitore (2). una detector card (v. fig. 3.16), su cui sono presenti i punti per la misura della distribuzione di tensione del partitore dei catodi di deriva (un catodo ogni 10). La scheda del rivelatore è completata con una piccola PCB per la lettura dei singoli segnali anodici o di gruppi di 8 anodi, oppure con una PCB contenente l’elettronica di front-end (v. Sez. 4.5). Tutti i collegamenti necessari sono realizzati con saldature ultrasoniche. La detector card viene allocata su una motherboard, che fornisce l’alta tensione per l’alimentazione del rivelatore e la bassa tensione per la polarizzazione dei catodi della zona di raccolta. É in fase di allestimento una probe station a doppia faccia per la misura completa dei rivelatori, in vista della produzione di massa; due serie di aghi permetteranno la misura simultanea delle correnti agli anodi e della distribuzione di potenziale sul partitore. 3.6 Test Beam 3.6 57 Test Beam Per quanto riguarda il calcolo della risoluzione spaziale del rivelatore nelle due direzioni, è necessario ricorrere ai dati forniti dai Test Beam. La coordinata del punto di impatto nella direzione degli anodi (z nel sistema di riferimento di ALICE) è ottenuta dal centroide della distribuzione di carica misurata2 . In figura 3.17 è evidente la buona linearità della posizione del centroide in funzione del punto di riferimento ottenuto da un telescopio a microstrip. Per Figura 3.17: posizione del centroide lungo l’asse degli anodi in funzione della corrispondente coordinata data dalle microstrip. ottenere la risoluzione richiesta in ALICE (circa 30 µm lungo entrambi gli assi) [15, 29] è necessario avere un campo di deriva con un’ottima uniformità in tutta la regione sensibile del rivelatore; in caso contrario bisogna correggere gli errori provocati dalla sua inomogeneità nella misura [30, 31]. Una disuniformità del campo lungo la direzione di deriva altera la proporzionalità tra il tempo di deriva della nube elettronica e la distanza del punto d’impatto della particella dagli anodi, introducendo un’incertezza sulla coordinata Durante la deriva, la nuvola di carica prodotta dalla ionizzazione nel silicio diffonde e si presenta distribuita gaussianamente lungo l’asse degli anodi. La carica raccolta è pari a % +p (x−x0 )2 Q= A · e− 2σ2 , 2 −p dove p è il passo degli anodi e x0 è il centroide della distribuzione. 3. IL RIVELATORE A DERIVA DI SILICIO 58 Punto d’impatto Campo di deriva Ed Campo parassita E(x,y) "x Anodi Figura 3.18: disegno di una traiettoria elettronica in un SDD in presenza di un campo elettrico parassita aggiuntivo. Deviazioni sistematiche ( µm) Asse degli anodi (mm) !250 !200 !150 !100 !50 0 50 100 150 200 250 22 20 18 16 14 12 10 8 6 0 5 10 15 20 25 30 35 Distanza di deriva (mm) Figura 3.19: deviazioni sistematiche della coordinata anodica del centroide della nuvola elettronica rispetto alla proiezione corrispondente del punto d’impatto in funzione della distanza di deriva e della coordinata anodica. Il grafico si riferisce ad una porzione laterale della zona sensibile. 3.6 Test Beam 59 Risoluzione ( µ m) dell’asse di deriva. Inoltre, la presenza di un campo elettrico trasversale parassita all’interno del wafer causa deviazioni delle traiettorie elettroniche dal percorso ideale, come illustrato in fig. 3.18. Escludendo possibili difetti a carico del partitore di tensione integrato o variazioni locali di temperatura, la possibile causa di un’alterazione della omogeneità del campo di deriva è data da fluttuazioni di drogaggio nel silicio . Confrontando la coordinata d’impatto misurata in un SDD con quella ottenuta da un telescopio a microstrip, è stata evidenziata la presenza di strutture ad anello con diverse concentazioni di drogaggio, con una periodicità di 4 mm e centrate nel punto mediano del wafer (v. fig. 3.19) [30]. Si può osservare come l’ampiezza delle fluttuazioni cresca con la distanza di deriva; questo aspetto può essere spiegato dal fatto che il campo elettrico parassita prodotto dalle fluttuazioni di drogaggio è perpendicolare al campo di deriva alla massima distanza, e perciò le deviazioni dalla traiettoria lineare risultano maggiori in questa regione. Dal momento che la massima deviazione sistematica è di circa 300 µm, è evidente la necessità di correggere questo effetto. Applicando la correzione alla risoluzione anodica, definita 120 100 80 60 40 20 0 0 5 10 15 20 25 30 35 Distanza di deriva (mm) Figura 3.20: risoluzione anodica di un SDD in funzione della distanza di deriva con (cerchi pieni) e senza (cerchi vuoti) correzioni per le deviazioni sistematiche. come la radice quadratica media (r.m.s.) della distribuzione dei residui tra le coordinate misurate con il rivelatore a deriva ed il telescopio a microstrip, si osserva un evidente miglioramento, soprattutto per grandi distanze di deriva (v. fig. 3.20). La risoluzione lungo i due assi si attesta sui valori di ∼ 35 µ per la direzione di deriva e ∼ 25 µ per la direzione anodica. 60 3. IL RIVELATORE A DERIVA DI SILICIO Capitolo 4 Il Partitore Integrato In questo capitolo sono analizzate in dettaglio le caratteristiche di stabilità del partitore di tensione integrato del rivelatore a deriva di silicio per l’esperimento ALICE. 4.1 Descrizione del partitore Come affermato nel capitolo 3, i catodi di deriva e le guardie sono alimentati per mezzo di tre partitori di tensione - due per i catodi di guardia, uno per quelli di deriva - tra loro separati (v. fig. 4.1) [24]. Tale soluzione impedisce la riproduzione di eventuali deviazioni della distribuzione del potenziale da una metà del rivelatore all’altra, garantendo una buona indipendenza delle due regioni. Per questioni di stabilità, non è possibile mantenere le catene di resistori di guardie e catodi di deriva completamente autonome; per questo motivo è stata introdotta una connessione “leggera” tra le due strutture: ogni resistore dei partitori integrati è dotato di un MOS switch, come illustrato in figura 4.2a. Il gate del MOS è connesso al resistore di deriva(fig. 4.2b). La connessione “leggera” tra i corrispondenti catodi delle due metà del detector può essere descritta come ’catodo di deriva 1a metà - MOS - catodo di guardia - MOS - catodo di deriva 2a metà’. 4.2 Performance del partitore integrato e simulazione Veniamo ora ai risultati dei test sulla solidità della struttura di alimentazione del rivelatore a deriva di silicio per l’esperimento ALICE. L’analisi è stata effettuata attraverso una simulazione della struttura ed utilizzando misure di 4. IL PARTITORE INTEGRATO 62 prima meta’ del rivelatore seconda meta’ del rivelatore catodo di guardia Rg MOS switch catodo di deriva Rd UBIAS catodo di guardia Figura 4.1: schema delle connessioni tra catodi di guardia e di deriva nel rivelatore ALICE-D2. partitore delle guardie catodo di deriva MOS switch a) partitore dei catodi di deriva catodo di guardia partitore delle guardie partitore dei catodi di deriva metallo SiO 2 p p b) n−bulk Figura 4.2: dettaglio del partitore integrato di alta tensione. 4.2 Performance del partitore integrato e simulazione 63 laboratorio. Questi test riguardano il comportamento del partitore integrato in presenza di un difetto localizzato. In primo luogo, è stato simulato il comportamento del MOS switch utilizzando il programma ATLAS Semiconductor Device Simulator [33]; risolvendo le equazioni di Poisson per la struttura bidimensionale di figura 4.2b per diverse condizioni di alimentazione, è possibile ottenere una descrizione dettagliata del MOS in termini di quantità elettriche. La simulazione inizia alimentando entrambi gli impianti p+ alla tensione di -30 V , in modo da riprodurre le condizioni operative di un rivelatore a deriva di ALICE. In seguito, si procede portando un solo impianto a valori di tensione sempre più negativi. Applicando un potenziale più negativo ai resistori di deriva si osserva che, con un tipico valore di 2.0 × 1011 q/cm2 per la carica dell’ossido, inizia a scorrere una corrente di lacune dal resistore più positivo (guardia) a quello più negativo (deriva) ad una differenza di potenziale di circa 0.5 V . Al contrario, nel caso in cui il resistore di deriva si trovi ad un potenziale più positivo, la corrente di lacune non scorre fino a quando la differenza di potenziale tra i due impianti non abbia raggiunto i 20 V . In un rivelatore, tuttavia, si nota la presenza di una corrente già ad una differenza di potenziale Up.t. di circa 10 V ; questo è dovuto all’effetto di punch-through che si instaura nella zona dei resistori non coperta dal gate del MOS. La simulazione del comportamento del partitore di tensione integrato in presenza di un difetto è stat effettuata con il programma Pspice [34]. Una porzione del cicuito equivalente utilizzato nella simulazione è visibile in figura 4.3; questa zona corrisponde all’area evidenziata dal contorno tratteggiato catodo di guardia all’altra meta’ del rivelatore catena resistiva delle guardie Rg 2 Rg 2 Rg 2 catodo di deriva Rd 2 Rd 2 Rg 2 Rg 2 Rd 2 Rg 2 catodo di deriva Rd 2 catodo di deriva Rd 2 Rd 2 Rd 2 catena resistiva dei catodi di deriva catena resistiva delle guardie Rg 2 Rg 2 all’altra meta’ del rivelatore catodo di guardia Figura 4.3: porzione del circuito equivalente utilizzato nella simulazione. 4. IL PARTITORE INTEGRATO 64 in figura 4.1. I MOS switch sono stati rimpiazzati con diodi Zener con tensione di breakdown uguale a Up.t. . La corrente di leakage raccolta dai catodi di guardia e di deriva è stata simulata introducendo generatori di corrente. Tutti i difetti che possono causare una deviazione dalla linearità della distribuzione di potenziale possono essere divisi in quattro casi: 1. un corto circuito tra due o più catodi di deriva consecutivi in una metà del rivelatore; 2. un difetto che genera un’elevata corrente di leakage che viene raccolta da un catodo di deriva di una metà del rivelatore; 3. un’interruzione del partitore di deriva; 4. un corto circuito tra due o più catodi di guardia consecutivi; 5. un difetto che genera un’elevata corrente di leakage che viene raccolta da un catodo di guardia; 6. un’interruzione nel partitore delle guardie. L’analisi approfondita del circuito è limitata ai casi (1), (2) e (3), in quanto per i casi successivi non è possibile confrontare i risultati della simulazione con le misure di laboratorio; sulle guardie infatti non sono presenti piazzole di test per la rilevazione della tensione. Per quanto concerne i casi (4), (5) e (6) le conclusioni saranno esposte in maniera qualitativa. 4.2.1 Caso (1): catodi di deriva in corto circuito La distribuzione di potenziale in un rivelatore a deriva di silicio convenzionale (equipaggiato con un partitore di tensione singolo) in presenza di un certo numero di catodi consecutivi in corto circuito è presentata in figura 4.4. A causa del corto circuito, il numero dei resistori è inferiore; per questo, ad una data tensione di alimentazione (Ubias < 0), la corrente nel partitore è maggiore. In questa situazione, i resistori in posizione precedente al difetto possiedono un potenziale più positivo rispetto al caso ideale, mentre quelli che seguono il corto hanno un potenziale più negativo. La pendenza della distribuzione del potenziale sui catodi precedenti e successivi il difetto è la stessa; naturalmente, la distribuzione di potenziale sull’altra metà del rivelatore è la stessa. Volgendo il nostro interesse al rivelatore di tipo ALICE, la situazione è notevolmente più complessa ed è necessario affidarsi al simulatore Pspice. Per Performance del partitore integrato e simulazione (a) Ubias caduta di tensione sui resistori (V) 4.2 potenziale (V) caso ideale catodi in corto circuito 65 (b) caso ideale catodi in corto circuito 0 0 150 catodo (#) 300 0 150 300 catodo (#) Figura 4.4: (a) distribuzione di potenziale sul partitore e (b) caduta di tensione tra catodi successivi in presenza di un corto circuito. ottenere informazioni sulle distorsioni della distribuzione del potenziale dovute ad un corto circuito, basta collegare tra loro un determinato numero di catodi di deriva nel ciucuito illustrato in figura 4.3. Sperimentalmente, si osserva che un corto circuito coinvolge con maggiore probabilità due o tre catodi. Ad una tensione di alimentazione di -2400 V , collegando tra loro fino a quattro catodi non si osserva alcuna trasmissione della deviazione del potenziale indotta dalla presenza del difetto all’altra metà del detector. Per rendere visibile questo effetto, è stato deciso di mettere in corto 12 catodi consecutivi. In figura 4.5 è illustrata l’evoluzione della distribuzione del potenziale sui catodi di deriva all’aumentare della tensione di alimentazione. Già per tensioni non elevate (fig. 4.5a), una corrente di lacune scorre dai resistori delle guardie verso quelli di deriva nei catodi che seguono il difetto. Nella zona precedente il corto circuito non è presente alcuna corrente di lacune (diretta ora dai resistori di deriva verso quelli delle guardie) fino a quando la differenza di potenziale tra i corrispondenti catodi di deriva e di guardia non raggiunge il valore Up.t. (fig. 4.5b). Va notato che il valore della corrente che scorre nel partitore delle guardie è circa il triplo del valore per il partitore di deriva per una metà. È per questa ragione che per tensioni di bias relativamente basse (fig. 4.5a-b), la distribuzione di potenziale dei catodi successivi al difetto è praticamente la stessa dei quella ideale. Quando la differenza di potenziale tra catodo di guardia e catodo di deriva nella zona precedente il difetto raggiunge il valore Up.t. , i partitori di deriva e di guardia della metà-rivelatore difettosa sono completamente collegati. Tuttavia, il difetto non viene ancora trasmesso all’altra metà (fig. 4.5b). Ciò avviene solamente quando le strutture MOS tra resistori di guardia e di deriva della metà non difettosa del rivelatore vengono attivate (fig. 4.5c-d). In figura 4.6 è possibile osservare l’evoluzione del fenomeno descritta in precedenza. Il primo grafico riguarda la differenza di potenziale ∆U1 tra le 4. IL PARTITORE INTEGRATO 66 -190 -340 -180 a) b) (ii) : VBIAS = -600 V -320 potenziale (V) potenziale (V) -330 (i) : VBIAS = -300 V -170 -160 -150 -140 -130 -310 -300 -290 -280 meta’ detector con il difetto meta’ detector senza il difetto distribuzione ideale -120 -110 130 135 140 145 -270 150 155 -260 130 160 135 140 catodo (#) -650 150 155 160 -1260 -640 c) -630 -1250 (iii) : VBIAS = -1200 V "U2 -620 -610 -600 -1230 -1210 -1200 -580 -1190 135 140 145 150 155 "U1 -1220 -590 -570 130 d) (iv) : VBIAS = -2400 V -1240 potenziale (V) potenziale (V) 145 catodo (#) -1180 130 160 135 catodo (#) 140 145 150 155 160 catodo (#) Figura 4.5: caso (1), 12 catodi in corto circuito: distribuzione di potenziale in funzione del potenziale di alimentazione. (iv) a) 25 b) 20 primo catodo in corto (iv) 20 10 15 (i) "U2 (V) "U1 (V) (ii) (i) (iii) (ii) 0 10 −10 (iii) 5 ultimo catodo in corto −20 primo catodo in corto ultimo catodo in corto 0 0 −500 −1000 −1500 VBIAS (V) −2000 −2500 0 −500 −1000 −1500 VBIAS (V) −2000 −2500 Figura 4.6: caso (1): propagazione della deviazione della distribuzione del potenziale da una metà del rivelatore all’altra. 4.2 Performance del partitore integrato e simulazione 67 due metà del rivelatore in corrispondenza del primo e dell’ultimo catodo in corto circuito, mentre nel secondo è illustrato l’andamento della differenza di potenziale ∆U2 tra i succitati catodi della metà priva di difetti e i corrispondenti catodi di un rivelatore “ideale”. Le quattro situazioni di figura 4.5, corrispondenti a quattro diverse tensioni di alimentazione, sono evidenziate dalle linee verticali. Analizzando il primo di questi grafici, si può notare come la differenza di potenziale Up.t. tra i catodi di deriva precedenti al difetto e le guardie venga raggiunta ad una Ubias di circa -400 V . Per quanto riguarda la zona della catena catodica successiva al corto circuito, la stessa situazione si ha a partire dai -800 V di alimentazione. È evidente inoltre (fig. 4.6b) come la distribuzione di potenziale sul partitore della metà integra del rivelatore non si discosti particolarmente dal valore della distribuzione in assenza di difetti per tensioni di bias fino ai -800 V circa (fino a quando, cioè, le precedenti zone non entrano in punch-through con le guardie). Per valori di tensione più negativi, il difetto si propaga anche al partitore della seconda metà: il potenziale dei catodi analoghi a quelli collegati tra loro nella prima metà assume valori diversi dal caso ideale (più positivo per i catodi precedenti, più negativo per i successivi). Ora le due distribuzioni di potenziale procedono accoppiate e la differenza di potenziale tra i catodi corrispondenti - nelle zone lontane dal corto circuito - rimane fissa sul valore Up.t. . 40 meta’ rivelatore con difetto meta’ rivelatore senza difetto (a) 4 VBIAS = -913 V 3 VBIAS = -622 V 2 VBIAS = -331 V 1 0 130 135 140 145 150 155 catodo (#) 160 165 170 caduta di potenziale ogni 10 catodi (V) caduta di potenziale ogni 10 catodi (V) 5 meta’ rivelatore con difetto meta’ rivelatore senza difetto (b) 35 30 VBIAS = -913 V 25 20 VBIAS = -622 V 15 10 VBIAS = -331 V 5 0 130 135 140 145 150 155 catodo (/#) 160 165 170 Figura 4.7: caso (1): caduta di potenziale tra due (a) e dieci (b) catodi di deriva consecutivi in funzione della posizione dei catodi, simulata per varie tensioni di alimentazione e per entrambe le metà del rivelatore . Il grafico 4.7a illustra il salto di potenziale tra due catodi di deriva consecutivi in funzione della posizione dei catodi. Per verificare i risultati della simulazione, sono stati collegati attraverso microsaldatura 12 catodi consecutivi di una metà del rivelatore. In figura 4.7b è visibile il salto di potenziale 4. IL PARTITORE INTEGRATO 68 ogni 10 catodi; questo grafico è indispensabile per poterci ricondurre alla situazione sperimentale e poter attuare un confronto simulazione-misura. Le misure effettuate (fig. 4.8) evidenziano un buon accordo con i dati ottenuti per mezzo della simulazione. 40 meta’ rivelatore con difetto meta’ rivelatore senza difetto caduta di potenziale ogni 10 catodi (V) 35 30 VBIAS = 913 V 25 20 VBIAS = 622 V 15 10 VBIAS = 331 V 5 0 130 135 140 145 150 155 160 165 170 catodo (/#) Figura 4.8: caso (1): caduta di potenziale misurata ogni dieci catodi di deriva in funzione della posizione dei catodi. 4.2.2 Caso (2): centro di generazione di alta corrente localizzato Consideriamo in maniera più approfondita gli effetti della corrente di leakage, generata da possibili difetti localizzati, e della corrente di buio generata sia nel bulk svuotato sia all’interfaccia Si-SiO2 [35]. Nei rivelatori a pixel o a microstrip, una corrente elevata generata localmente è confinata entro pochi pixel/strip; normalmente una bassa percentuale di pixel/strip con correnti elevate è tollerata per questi tipi di rivelatori. Non è il caso degli SDD, dove un difetto di questo tipo viene propagato all’intera struttura: una corrente elevata può rendere inutilizzabile il rivelatore. I difetti si manifestano come centri di generazione (di corrente) oppure attraverso breakdown. I centri di generazione si trovano sia nel bulk sia sulla superficie del semiconduttore, mentre il breakdown avviene in prossimità delle giunzioni p-n. Quando un difetto si trova nella regione di deriva del rivelatore, la componente elettronica della corrente viene raccolta dagli anodi; un esempio è visibile in fig. 4.9a, dove l’hot spot è localizzato nei pressi dell’anodo # 30. A causa della diffusione e della repulsione Coulombiana, l’hot-spot 4.2 Performance del partitore integrato e simulazione 95 1e+03 caduta di tensione ogni 10 catodi (V) 1e+04 a) 1e+02 corrente (nA) 69 1e+01 1e+00 1e-01 1e-02 b) 90 85 80 75 70 30 60 90 anodo 120 150 0 50 100 150 200 250 300 catodo Figura 4.9: distribuzione di corrente sugli anodi e caduta di potenziale misurata ogni 10 catodi di deriva; la causa del “salto” nei pressi del catodo # 100 è l’hot-spot centrato attorno all’anodo # 30. ha la forma di una gaussiana. La componente di lacune è invece raccolta dai catodi di deriva più vicini; se il difetto si trova nel bulk, in prossimità del piano centrale del wafer, la corrente di lacune sarà distribuita tra i catodi di deriva di entrambe le superfici. Quando il difetto è localizzato nella parte del dispositivo occupata dalle guardie, la corrente di elettroni migra verso il bordo del rivelatore, e più precisamente verso l’anello n+ che lo circonda, mentre la corrente di lacune è preda dei catodi di guardia. Entrando nella catena costituita da catodi di deriva, partitori di alta tensione e catodi di guardia, la corrente di lacune si aggiunge alla corrente del partitore e può provocare mutamenti nella distribuzione di potenziale sui catodi di deriva (fig. 4.9b). Ciò comporta un errore sistematico sulla risoluzione lungo la direzione di deriva. È sempre possibile eliminare questo effetto costruendo la curva di calibrazione per il dispositivo, ma ripetere questo procedimento per ognuno dei circa 300 SDD necessari per l’ITS è chiaramente un compito irrealizzabile. Risulta allora naturale cercare di includere l’errore sistematico dovuto alla non linearità della distribuzione di potenziale del partitore nel limite della risoluzione spaziale. Al momento attuale non è possibile stimare i vari contributi a questo limite (rumore dell’elettronica e del rivelatore, variazioni della temperatura e della resistività): affermiamo quindi arbitrariamente che il massimo errore sistematico sostenibile è 21 µm. Per una più semplice ricostruzione del punto di impatto di una particella nella direzione di deriva è necessario che il campo elettrico di deriva sia costante, ovvero che la distribuzione di potenziale sui catodi di deriva sia lineare. Questo è un parametro che influisce sulla scelta del valore delle resistenze che costituiscono i partitori; un’altro aspetto è la necessità di rendere 4. IL PARTITORE INTEGRATO 70 minimo il calore dissipato dalle catene resistive, in modo da non sviluppare gradienti di temperatura che comportano deviazioni sistematiche della velocità di deriva degli elettroni. Il valore scelto per le resistenze del partitore delle guardie (Rg ) nei rivelatori di tipo D2 è di 540 kΩ, mentre per i resistori del partitore di deriva (Rd ) è di 180 kΩ. Analizziamo ora nel dettaglio l’influenza di un singolo difetto che genera correnti elevate sulla linearità della distribuzione di potenziale sul partitore integrato e, di conseguenza, sulla risoluzione spaziale. Il numero totale di catodi di deriva di una metà del rivelatore è 292; alimentando il rivelatore ad una tensione Ubias = -2328 V (riferita al potenziale dell’ultimo catodo di deriva, -40 V ), pari ad una caduta di potenziale di 8 V per catodo, la corrente che scorre nel partitore è 2328 V /(291·180KΩ) + 44 µA. Il caso ideale è illustrato in fig. 4.10a-b, dove sono riportati la caduta di potenziale sui singoli catodi ed il potenziale assoluto in funzione della posizione dei catodi di deriva. Se un difetto si trova nelle vicinanze del catodo n, una corrente In entra nel partitore attraverso di esso (fig. 4.11). In questa situazione, si ha che $ Ubias = 291 Rd Idiv + nRd In , (4.2.1) con n In . 291 potenziale dei catodi di deriva (V) caduta di tensione tra catodi adiacenti (V) $ Idiv = Idiv − 10 a) 8 6 4 2 0 (4.2.2) b) !2000 !1000 0 0 291 catodo di deriva 0 291 catodo di deriva Figura 4.10: caduta di tensione misurata ogni 10 catodi di deriva (a) e distribuzione del potenziale sul partitore (b) in funzione della posizione dei catodi di deriva. 4.2 Performance del partitore integrato e simulazione 71 partitore 0 U0 n!1 In I n + I’div n U bias difetto n+1 Un I’div 290 U 290 291 !40 V Figura 4.11: un difetto genera corrente (In ) che entra nel partitore. Il potenziale sul catodo k è descritto dall’equazione: + $ (291 − k)Rd Idiv + (n − k)Rd In 0 ≤ k ≤ n U(k) = . $ (291 − k)Rd Idiv n ≤ k ≤ 291 (4.2.3) In figura 4.12 sono illustrate la variazione δu della caduta di potenziale tra catodi attigui (a) e la distribuzione di potenziale (b) in funzione della posizione del catodo “difettoso”. La variazione δu è definita come $ $ ) − Rd Idiv = Rd In . δu = Rd (In + Idiv (4.2.4) La deviazione della distribuzione del potenziale dal caso ideale raggiunge il suo massimo ∆U sul catodo difettoso n (fig. 4.12b). ∆U è dato da $ ) − nRd Idiv . ∆U = nRd (In + Idiv (4.2.5) Si può immediatamente notare come per un valore fisso di In , ∆U dipenda dalla posizione del catodo difettoso, mentre δu rimane costante. Da una simulazione dell’effetto di un singolo difetto localizzato in una metà del rivelatore per differenti valori di δu, si può ottenere il valore della deviazione ∆U in funzione della posizione del difetto (fig. 4.13a). Il caso peggiore è quello in cui la corrente In entra nel catodo centrale della zona di deriva. In aggiunta alla perdita di linearità della distribuzione di potenziale, 4. IL PARTITORE INTEGRATO 72 b) 10 potenziale del catodo di deriva U(k) (V) caduta di tensione tra catodi successivi (V) a) 8 %u 6 4 2 0 1 !2000 !1000 "U 0 291 0 291 catodo (#) 10 potenziale del catodo di deriva U(k) (V) caduta di tensione tra catodi successivi (V) catodo (#) %u 8 6 4 caso ideale 2 0 1 caso ideale !2000 "U !1000 0 291 0 291 catodo (#) 10 potenziale del catodo di deriva U(k) (V) caduta di tensione tra catodi successivi (V) catodo (#) %u 8 6 4 2 0 1 291 catodo (#) "U !2000 !1000 0 0 291 catodo (#) Figura 4.12: distribuzione del potenziale per tre diverse posizioni del difetto nella regione di deriva. 4.2 Performance del partitore integrato e simulazione 73 si osserva anche uno spostamento ∆X del minimo del potenziale parabolico dal piano centrale del wafer; questo effetto raggiunge il suo massimo all’altezza del catodo difettoso (fig. 4.13b). Ciò comporta una inefficienza della raccolta del segnale, in quanto gli elettroni vengono deflessi vicino alla superficie, dove possono essere intrappolati. 100 140 a) 90 80 120 %u=1.00 V 70 %u=1.00 V 100 60 " X (µm) " U (V) b) 0.75 V 50 40 0.50 V 30 80 0.75 V 60 0.50 V 40 20 0.25 V 10 0.10 V 0.25 V 20 0 0 0 50 100 150 200 250 0 50 catodo (#) 100 150 200 250 catodo (#) deviazione standard del tempo di deriva (ns) Figura 4.13: massima variazione della distribuzione di potenziale rispetto al caso reale (a) e massimo spostamento del fondo del potenziale parabolico dal centro del wafer (b) in funzione della posizione del difetto. 30 %u=1.00 V 25 0.75 V 20 0.50 V 15 10 0.25 V 5 0.10 V 0 0 50 100 150 200 250 catodo (#) Figura 4.14: deviazione standard del tempo di deriva in funzione della posizione del difetto. In figura 4.14 è graficata la deviazione standard del tempo di deriva in funzione della posizione del difetto per diversi valori di δu; questo valore è 4. IL PARTITORE INTEGRATO 74 stato calcolato sottraendo al tempo di deriva per un rivelatore con distribuzione di potenziale non lineare il tempo di deriva per un detector “ideale”. Nella situazione di campo elettrico pari a 670 V /cm - corrispondente ad una caduta di potenziale di 8 V tra catodi successivi - la velocità di deriva è di circa 8 µm/ns. La deviazione standard del tempo di deriva corrispondente all’errore sistematico di 21 µm causato dalla corrente di leakage è pari a circa 3 ns. Questo comporta che la variazione δu non deve in ogni caso superare i 0.1 V (fig. 4.14), che corrisponde ad un valore massimo per la deviazione del potenziale ∆U di circa 7 V (fig. 4.13). Dall’equazione (4.2.4) risulta che la corrente generata dal difetto è 600 nA. La linearità della distribuzione del potenziale sul partitore è messa a rischio anche da un altro fattore: la corrente di buio. Nella condizione ideale, in cui tutti i resistori hanno un valore costante Rd e la corrente di buio è nulla, la caduta di potenziale u tra due catodi adiacenti è costante ed è determinata dal prodotto Rd · Idiv , dove Idiv rappresenta la corrente che scorre nel partitore. Nelle condizioni reali tuttavia è sempre presente una corrente di buio che entra nei catodi di guardia e di deriva; per il k-esimo catodo di deriva, la caduta di potenziale è data da $$ u$ = Rd (Idiv + kidark ) , (4.2.6) dove idark , che si suppone costante, è la corrente di buio - costituita da lacune $$ - che entra in un singolo catodo, mentre Idiv è la corrente del partitore. In questa situazione, si ha Ubias = $$ 291Rd Idiv + Rd idark 291 , k, (4.2.7) k=1 e quindi $$ = Idiv Ubias − 146idark = Idiv − 146idark . 291Rd (4.2.8) La distribuzione di potenziale non ha più una forma orizzontale, ma presenta una pendenza (fig. 4.15a); il potenziale del k-esimo catodo (fig. 4.15b) è ora descritto dall’equazione # $ 292 − k U(k) = Uideal (k) − (291 − k)Rd 146 − (4.2.9) idark . 2 L’influenza della corrente di buio sulla linearità del potenziale è stata simulata per i rivelatori di ALICE. In figura 4.16a si osserva la dipendenza 10 291.r.idark 8 a) 6 caso ideale 4 2 0 1 potenziale del catodo di deriva (V) Performance del partitore integrato e simulazione cadua di tensione tra catodi successivi (V) 4.2 75 b) −2000 "U −1000 0 291 291 1 catodo (#) catodo (#) Figura 4.15: caduta di tensione ogni 10 catodi di deriva (a) e distribuzione del potenziale sul partitore (b) in funzione della posizione dei catodi di deriva. 6 devizaione standard del tempo di deriva (ns) 7 a) " U (V) 5 4 3 2 1 0 0 0.5 1 1.5 2 2.5 idark (nA) 3 3.5 4 8 7 b) 6 5 4 3 2 1 0 0 0.5 1 1.5 2 2.5 3 3.5 4 idark (nA) Figura 4.16: massima variazione del potenziale (a) e deviazione standard del tempo di deriva (b) in funzione del valore della corrente di buio per catodo. della massima deviazione del potenziale ∆U causata dalla corrente di buio che entra in ciascun catodo di deriva; il valore è massimo nella regione centrale della zona di deriva (∼ catodo # 145). Il grafico di figura 4.16b propone la deviazione standard del tempo di deriva in funzione della corrente di buio. Considerando il valore determinato in precedenza (3 ns) per la deviazione standard del tempo di deriva, da questo grafico si ottiene un limite di circa 1.5 nA per catodo per la corrente; la corrente anodica corrispondente, calcolata moltiplicando il valore della corrente catodica per il numero di catodi su entrambe le facce del rivelatore e dividendo il risultato ottenuto per il numero di anodi, è pari a 3.5 nA. 4. IL PARTITORE INTEGRATO 76 Veniamo ora ai risultati ottenuti per mezzo della simulazione del partitore effettuata con l’utilizzo del programma Pspice. Per simulare l’effetto di un centro di generazione di corrente, è stata introdotta una resistenza tra il catodo difettoso e la massa del circuito di figura 4.3. Dato che i catodi della metà difettosa del rivelatore sono tutti più positivi dei corrispondenti catodi di guardia, non è presente alcuna corrente di lacune tra i due partitori fino a quando la differenza di potenziale tra loro non raggiunge il valore Up.t. . In 15 1.45 "U1 = 8.95 V 1.4 1.35 VBIAS = −400 V 1.3 (a1) 1.25 120 125 130 135 140 145 150 155 160 165 170 caduta di potenziale ogni 10 catodi (V) caduta di potenziale ogni 2 catodi (V) 1.5 meta’ rivelatore con difetto meta’ rivelatore senza difetto 14.5 "U1 = 8.95 V 14 13.5 VBIAS = −400 V 13 (a2) 12.5 120 125 130 135 140 145 150 155 160 165 170 catodo (/#) catodo (/#) 4.3 "U1 = 9.37 V 4.2 4.1 4 3.9 VBIAS = −1200 V (b1) caduta di potenziale ogni 10 catodi (V) caduta di potenziale ogni 2 catodi (V) 4.4 43 42 "U1 = 9.37 V 41 40 VBIAS = −1200 V 39 (b2) 120 125 130 135 140 145 150 155 160 165 170 120 125 130 135 140 145 150 155 160 165 170 catodo (/#) catodo (/#) Figura 4.17: caso (1): caduta di potenziale tra due (a) e dieci (b) catodi di deriva consecutivi in funzione della posizione dei catodi, simuata per due tensioni di alimentazione e per entrambe le metà del rivelatore . figura 4.17 è illustrata la caduta di tensione simulata tra due catodi quando il difetto è ancora confinato nella prima metà del rivelatore (a1) e quando invece anche la distribuzione di potenziale sulla seconda metà viene corrotta (b1). I grafici (a2) e (b2) sono necessari per poter comparare i dati della simulazione con i risultati sperimentali; questi ultimi sono visualizzati in figura 4.18 e si riferiscono alle misure effettuate su un rivelatore cui è stata 4.2 Performance del partitore integrato e simulazione 77 applicata una resistenza tra il catodo difettoso e la massa. La distribuzione di potenziale misurata alla tensione di lavoro di -1200 V mostra un buon accordo con i dati ottenuti dalla simulazione. 44 a) meta’ rivelatore con difetto meta’ rivelatore senza difetto caduta di potenziale ogni 10 catodi (V) caduta di potenziale ogni 10 catodi (V) 15 14.5 14 13.5 VBIAS = -400 V 13 b) meta’ rivelatore con difetto meta’ rivelatore senza difetto 43 42 41 40 VBIAS = -1200 V 39 12.5 120 125 130 135 140 145 150 155 160 165 170 120 125 130 135 140 145 150 155 160 165 170 catodo (/#) catodo (/#) Figura 4.18: caso (1): caduta di potenziale misurata ogni dieci catodi di deriva in funzione della posizione dei catodi. L’accordo simulazione-misura risulta essere buono anche dall’analisi della differenza di potenziale ∆U1 tra il catodo difettoso ed il corrispondente catodo della metà opposta (fig. 4.19). Il punto d’inizio del plateau (-400 V ) indica il valore di soglia per ∆U1 (circa 9 V ) per il quale la distorsione della distribuzione di potenziale viene trasmessa alla metà non difettosa del rivelatore. Per tensioni di alimentazione maggiori le due distribuzioni procedono 12 10 "U1 (V) 8 6 4 2 0 misura simulazione 0 -200 -400 -600 -800 VBIAS -1000 -1200 -1400 Figura 4.19: massima differenza di potenziale tra le due metà. accoppiate e mantengono tra loro una differenza ∆U1 costante. Al punto di soglia, la corrente che scorre nella resistenza introdotta per simulare il difetto è pari a 1 µA. Questa corrente cresce all’aumentare della tensione di bias, 4. IL PARTITORE INTEGRATO 78 quindi l’effetto del centro di generazione di alta corrente dovrebbe dipendere da Ubias . In realtà la corrente emessa da un difetto non dipende dalla tensione di lavoro, per cui il valore critico di 1 µA trovato per Ubias = -400 V è da considerarsi valido per ogni valore della tensione di alimentazione. 4.2.3 Caso (3): interruzione del partitore di deriva La distribuzione di potenziale in un SDD convenzionale in presenza di un’interruzione del partitore integrato è visibile in figura 4.20a. La corrente inizia (a) (b) caduta di tensione sui resistori (V) Ubias potenziale (V) posizione del difetto caso ideale caso ideale posizione del difetto 0 0 150 catodo (#) 300 0 150 300 catodo (#) Figura 4.20: (a) distribuzione di potenziale sul partitore e (b) caduta di tensione tra catodi succesivi in presenza di un’interruzione nel partitore integrato. a scorrere lungo l’intero partitore solamente quando la differenza di potenziale tra le strutture ai bordi dell’interruzione raggiunge il valore critico Up.th. . Tuttavia, a causa della presenza della connessione precedentemente descritta, la corrente devia il suo percorso attraverso le guardie e la metà rivelatore senza difetto; in questo modo, per basse tensioni di alimentazione, la caduta di tensione sul resistore “interrotto” è il doppio di quella che si avrebbe nel caso di un resistore senza difetti. Quando la differenza di tensione ai capi dell’interruzione raggiunge il valore Up.th. , essa si stabilizza e la caduta di tensione sul resistore interrotto subisce un aumento pari a Up.th. rispetto al valore che si osserverebbe in assenza di difetti (fig. 4.20b). È importante far notare che il valore di Up.th. è legato alla larghezza dell’interruzione: più questa è estesa, maggiore sarà la tensione di punch-through necessaria per dar luogo alla formazione della corrente di lacune che supplisce al gap nel resistore. Nel caso dei rivelatori ALICE-D2 è stata simulata l’interruzione del partitore integrato mediante l’utilizzo di un diodo Zener, a cui sono state associate diverse tensioni di breakdown (da 3 a 21 V ) in modo da prendere in considerazione interruzioni di varia entità. In figura 4.21 sono presentate le 4.2 Performance del partitore integrato e simulazione 79 caduta di tensione tra catodi successivi (V) caduta di tensione tra catodi successivi (V) distribuzioni della caduta di tensione tra catodi successivi per le due metà del rivelatore (con e senza difetto). Grazie a questo disegno, la corrente non ha 16 14 a) 12 10 8 6 4 2 0 130 meta’ difettosa meta’ non difettosa 135 140 145 150 catodo (#) 155 160 25 b) 20 15 10 5 0 130 meta’ difettosa meta’ non difettosa 135 140 145 150 catodo (#) 155 160 Figura 4.21: simulazione dell’interruzione di un resistore di deriva utilizzando due valori per Up.th. : (a) 9 V e (b) 21 V . la possibilità di scorrere verso la metà del rivelatore non interessata dall’interruzione del partitore. Similmente a quanto accade in un rivelatore a deriva di silicio convenzionale, la corrente scorre nel partitore difettoso solamente quando tra i capi dell’interruzione è presente una differenza di potenziale pari a Up.th. . Per tensioni di alimentazione minori, la caduta di tensione è determinata dalla connessione MOS verso i catodi di guardia; per questo motivo la metà integra non viene mai interessata dall’interruzione presente nella parte difettosa. In figura è riportato un esempio di misura della caduta di tensione ogni dieci catodi di deriva in presenza di un’interruzione sul partitore; si può notare come, nonostante la grandezza del picco, il difetto non venga trasmesso all’altra metà. 4.2.4 Casi (4), (5) e (6): difetti nella regione di guardia Per quanto riguarda il caso (4), in cui si considera un collegamento tra due o più catodi di guardia consecutivi, si possono ripetere le considerazioni espresse per il caso (1). Inizialmente, i resistori delle guardie posizionati nella zona precedente al difetto sono più positivi dei rispettivi resistori di deriva di entrambe le metà del rivelatore. Già a basse tensioni inizia a scorrere una corrente di lacune tra i due partitori e la corruzione della distribuzione di potenziale viene trasmessa quasi immediatamente alle due metà. Nel caso (5), un difetto che genera una elevata corrente è situato nella zona delle guardie. Indipendentemente dalla posizione del difetto, ogni resistore delle guardie ha un potenziale più positivo dei corrispondenti resistori 4. IL PARTITORE INTEGRATO 80 caduta di tensione tra catodi successivi (V) caduta di tensione tra catodi successivi (V) di deriva di entrambe le metà. Ciò comporta una trasmissione della deviazione di potenziale ad entrambi i partitori di deriva già per basse tensioni di alimentazione. Se ha luogo un’interruzione di un resistore sul partitore delle guardie (caso (6)), la reazione della catena resistiva di deriva è riportata in fig. 4.22. È interessante notare che la deviazione della distribuzione di potenziale viene trasmessa ai catodi di deriva in maniera alquanto smorzata. 10 a) 8 6 4 2 0 130 prima meta’ seconda meta’ 135 140 145 150 catodo (#) 155 160 10 b) 8 6 4 2 0 130 prima meta’ seconda meta’ 135 140 145 150 catodo (#) 155 160 Figura 4.22: simulazione dell’interruzione del resistore di guardia; sono stati utilizzati due valori per Up.th. : (a) 9 V e (b) 21 V . 4.3 Conclusioni Lo studio presentato in questo capitolo conferma che l’attuale disegno del partitore di tensione integrato del rivelatore a deriva di silicio per l’esperimento ALICE permette di attenuare la propagazione della deviazione della distribuzione di potenziale causata dalla presenza di un difetto localizzato in una metà del dispositivo. In particolare, alla tensione di lavoro di ALICE, l’effetto di distorsione del potenziale dovuto ad un corto circuito tra catodi di deriva non viene trasmesso alla metà non difettosa se il numero di catodi collegati tra loro è inferiore a cinque. Inoltre, un centro di generazione di alta corrente deve produrre più di 1 µA per causare una corruzione della linearità della distribuzione di potenziale su entrambe le metà del rivelatore. Per finire, l’effetto di un’interruzione del partitore di deriva non viene mai trasmesso alla metà non difettosa del dispositivo. Ogni tipologia di difetto nella zona di guardia influisce sul potenziale dei partitori di deriva. Tuttavia, è stato evidenziato da osservazioni sperimentali che i difetti di gran lunga più probabili sono i centri di generazione di alta 4.3 Conclusioni 81 corrente. Inoltre, la probabilità che il difetto si trovi in una qualsiasi posizione all’interno del rivelatore è data principalmente da un fattore geometrico e, poiché la regione delle guardie occupa solamente il 12% dell’area totale, le due metà del dispositivo si possono considerare praticamente indipendenti l’una dall’altra. 82 4. IL PARTITORE INTEGRATO Capitolo 5 Test d’Irraggiamento In questo capitolo vengono illustrati i test di stabilità in seguito ad irraggiamento con elettroni da 1 GeV effettuati sui rivelatori a deriva di silicio precedentemente descritti. Tali prove hanno lo scopo di verificare la resistenza alla radiazione del detector esposto ad una dose corrispondente a 10 anni di operatività di ALICE. Come introduzione alla descrizione dei test vengono proposte alcune sezioni riguardanti l’interazione radiazione-materia e gli effetti del passaggio di particelle attraverso dispositivi silicei. 5.1 Interazione della radiazione con la materia Come anticipato al Capitolo 2 (v. tab. 2.1), la maggior parte delle particelle prodotte nella collisione di nuclei pesanti ad alte energie consiste di pioni (π 0 , π + e π − ); una minore percentuale è rappresentata da γ, K, protoni (antiprotoni) e neutroni (antineutroni). Le modalità di interazione della radiazione con la materia dipendono da massa, energia cinetica, carica e tipo della radiazione incidente e da massa, numero atomico e densità del materiale irraggiato [36]. Nel caso di particelle cariche, l’attrazione o la repulsione coulombiana con le nuvole elettroniche degli atomi costituiscono le principali interazioni con la materia. Più in dettaglio, i protoni o i pioni danno origine ai seguenti fenomeni: • interazione coulombiana, che può causare ionizzazione o eccitazione atomica (Ep < 100 keV ); 5. TEST D’IRRAGGIAMENTO 84 • collisioni con i nuclei con successivi eccitazione o displacement(1); • reazioni nucleari (Ep > 10 MeV ). Gli elettroni, presenti nella radiazione incidente o prodotti dal passaggio nella materia di altre particelle, possono interagire in diversi modi: • interazione coulombiana, che, come nel caso dei protoni, può causare ionizzazione o eccitazione atomica; • scattering con i nuclei, con conseguente displacement se l’energia degli elettroni e l’energia trasferita ai nuclei sono abbastanza elevate; • perdita di energia per Bremsstrahlung: gli elettroni decelerati nella materia perdono la loro energia emettendo fotoni (raggi X). Le particelle cariche inoltre emettono fotoni (radiazione Čerenkov) se la loro velocità nel mezzo è superiore alla velocità di fase della luce oppure se attraversa un’interfaccia tra due materiali con diverse proprietà ottiche (transition radiation)2 . Le particelle neutre non sono soggette alla forza di Coulomb, quindi fotoni e neutroni presentano comportamenti diversi da protoni, pioni ed elettroni. I neutroni danno origine a tre diversi fenomeni: • reazioni nucelari: il neutrone incidente viene assorbito dal nucleo che in seguito emette altre particelle (protoni, particelle α, fotoni). È possibile che abbia luogo la fissione nucleare; • collisioni elastiche: il neutrone continua il suo percorso dopo l’interazione con il nucleo. Se l’energia trasferita è sufficientemente alta, può presentarsi un displacement del nucleo che può eventualmente generare fenomeni di ionizzazione o displacement; • collisioni inelastiche: valgono le stesse considerazioni del caso precedente. In aggiunta il nucleo viene eccitato ed in seguito decade emettendo raggi γ. La probabilità relativa di questi fenomeni dipende fortemente dall’energia dei neutroni: neutroni lenti (E < 1 eV ) danno luogo per lo più a reazioni nucleari o collisioni elastiche, neutroni veloci (E > 100 keV ) a collisioni elastiche. Per Il termine displacement indica lo spostamento di un nucleo dal proprio sito nel reticolo. Questi processi non sono importanti dal punto di vista della perdita di energia, ma vengono utilizzati nei rivelatori per la fisica delle alte energie. 1 2 5.1 Interazione della radiazione con la materia 85 energie molto elevate domina lo scattering anelastico. Per concludere, i fotoni interagiscono con la materia attraverso i seguenti processi: • effetto fotoelettrico: l’assorbimento di un fotone da parte di un atomo è accompagnato dall’emissione di un elettrone. • scattering elastico (Thompson - Rayleigh): l’interazione tra fotone e atomo non provoca eccitazione o ionizzazione; • scattering inelastico (Compton): in seguito all’interazione di un fotone con un atomo vengono emessi un e− ed un fotone. La somma delle loro energie è data dall’energia del fotone incidente; • creazione di coppie: il fotone incidente dà luogo alla formazione di una coppia elettrone-positrone. Questo fenomeno presenta una soglia di energia pari a 1.024 MeV , valore che cresce al diminuire della massa atomica Z; • assorbimento nucleare: l’assorbimento di un fotone da parte di un nucleo è seguito dall’emissione di un neutrone o di un’altra particella. Piombo (Z=82) sezione d’urto (barn/atomo) 1 Mb ' & tot sperimentale & ph . e . & el. 1 kb & c. N &compton & c. e 1b & nucl. 10 mb 10 eV 1 keV 1 MeV 1 GeV 100 GeV energia del fotone Figura 5.1: sezione d’urto per l’interazione di fotoni con la materia (Pb in particolare). Si notano le componenti dovute ai diversi processi: fotoelettrico (σph.e.), scattering elastico (σel ) ed anelastico (σcompton ), creazione di coppie nei campi elettronico (σc.e ) e nucleare (σc.N ), assorbimento nucleare (σnucl ). 5. TEST D’IRRAGGIAMENTO 86 L’immagine di fig. 5.1 evidenzia la diversa sezione d’urto per i singoli processi in funzione dell’energia del fotone incidente. Gli effetti causati dal passaggio di particelle (cariche o neutre) nella materia possono essere divisi in due gruppi: effetti da ionizzazione e displacement nucleari. Tutti questi fenomeni possono essere causati direttamente dalla radiazione incidente o da fenomeni secondari da essa indotti. Essi sono presenti in diverse proporzioni a seconda del tipo di particella incidente: i neutroni, particelle neutre e di grande massa, danno origine per lo più a displacement nucleari, mentre i fotoni e gli elettroni sono responsabili nella maggior parte dei casi di effetti di ionizzazione. La ionizzazione in un materiale crea coppie e− -ione. Il numero di coppie create è proporzionale alla quantità di energia depositata nel materiale, grandezza calcolabile con l’ausilio della formula di Bethe-Block ( ) dE C 1 2me c2 β 2 γ 2 Tmax δ 2Z 1 2 − −β − − = Kz ln (5.1.1) dx A β2 2 I2 Z 2 (dove β = v/c, γ = 1/ 1 − β 2 , z carica della particella incidente, Z numero atomico del mezzo, A massa atomica del mezzo, me massa elettronica, K = 4πNA re2 me c2 con NA numero di Avogadro, re = e2 /4π&0 me c2 raggio classico dell’elettrone, C/Z correzione di shell con C = πNA (Z/A)re2 e δ correzione per l’effetto di densità). 1e+04 1e+03 protoni NIEL / NIEL 1MeV−n 1e+02 1e+01 1e+00 1e−01 pioni neutroni elettroni 1e−02 1e−03 1e−04 1e−05 1e−04 1e−03 1e−02 1e−01 1e+00 1e+01 1e+02 1e+03 1e+04 E (MeV) Figura 5.2: NIEL normalizzata a neutroni da 1 MeV nel silicio per diversi tipi di particelle. Per quanto riguarda i displacement si fa riferimento all’ipotesi NIEL (nonionizing energy loss) [40], secondo la quale i danni al bulk sono proporzionali 5.2 Effetti della radiazione nei dispositivi silicei 87 alla perdita di energia non-ionizzante nel materiale; la figura 5.2 ci illustra la perdita di energia non ionizzante nel silicio per protoni, neutroni, pioni ed elettroni. È abitudine scalare le misure riguardanti i danni causati da un tipo ed energia di radiazione rispetto al valore di 1 MeV di neutroni. 5.2 Effetti della radiazione nei dispositivi silicei Esaminiamo ora in particolare le conseguenze del passaggio di particelle in un SDD o più in generale in un rivelatore siliceo [41]. Poiché gli effetti della radiazione sono diversi per bulk e superficie, prenderemo in considerazione queste due zone separatamente. 5.2.1 Nel bulk Nella regione del bulk, la radiazione può interagire con la nuvola elettronica di un atomo (ionizzazione, effetto utilizzato per la rivelazione della radiazione) oppure con i nuclei del reticolo. Nel caso d’interazione nucleare, si possono instaurare cambiamenti permanenti nel materiale, quali: • displacement degli atomi nel reticolo, con formazione di vacanze e siti interstiziali (coppie di Frenkel, v. fig. 5.3); • interazioni nucleari (ad es. cattura neutronica e trasmutazione nucleare); • processi secondari da atomi non più posizionati nel reticolo. atomi di silicio vacanza sito interstiziale Figura 5.3: effetti della radiazione sul reticolo del bulk siliceo di un rivelatore: vacanze e siti interstiziali. 5. TEST D’IRRAGGIAMENTO 88 La probabilità di creazione di un difetto primario nel reticolo (un atomo di silicio spostato dal suo sito), cosı̀ come la sua distribuzione di energia, dipende dalla radiazione in esame; infatti la sezione d’urto elastica è funzione del tipo di radiazione, mentre l’energia trasferita ad un atomo è fortemente dipendente dalla massa della radiazione incidente. Nel silicio i difetti primari sono mobili a temperatura ambiente e diffondono all’interno del cristallo fino a quando formano una struttura stabile combinandosi con altre impurità o difetti oppure fino al momento in cui una vacanza si “annulla” con un sito interstiziale. Inoltre questo tipo di difetti può scomparire quando raggiunge la superficie. I difetti causati dalla radiazione modificano l’effettivo drogaggio nella regione del bulk e comportano una variazione della tensione di svuotamento (v. eq. (3.1.1)). Altri effetti dovuti ai danni provocati al reticolo sono rappresentati dall’aumento della corrente inversa e dalla perdita di segnale causata dalla cattura e dal ritardato rilascio (trapping - detrapping) delle cariche che compongono il segnale. In seguito all’irraggiamento si osservano dei processi di riarrangiamento denominati annealing e reverse annealing. Il primo di questi si manifesta con un ritorno alle condizioni precedenti l’irraggiamento (diminuzione della corrente di leakage, dell’effettiva densità di drogaggio e della probabilità di trapping) ed è associato alla scomparsa di una parte dei difetti del reticolo (un esempio è dato dalla ricombinazione di una vacanza con un sito interstiziale). D’altro canto, in molti casi si assiste alla formazione di difetti più complessi, stabili nel tempo, che non apportano un miglioramento alle performance del detector: è il caso del reverse annealing. Un esempio di questo fenomeno è l’aumento della densità di drogaggio in rivelatori sottoposti ad irraggiamenti massicci. 5.2.2 Nella superficie Su buona parte della superficie di un SDD, il bulk è a contatto con un isolante (SiO2 , diossido di silicio). Anche senza irraggiamento, questa zona del rivelatore presenta un reticolo altamente irregolare; eventuali danni da radiazione non comportano fondamentali modificazioni alla struttura del materiale. L’energia depositata per ionizzazione al passaggio della radiazione crea all’interno dell’ossido delle coppie elettrone-ione; gli elettroni, più mobili delle lacune (gli ioni positivi), vengono raccolti dagli elettrodi di alluminio. Le lacune che sfuggono alla ricombinazione iniziale sono soggette ad un processo di trasporto “a balzi” attraverso l’ossido, guidate dal campo elettrico ivi presente. Quando raggiungono l’interfaccia Si-SiO2 , una frazione di queste viene catturata in trappole a lungo termine, causando un incremento della 5.3 Conseguenze della radiazione sulle caratteristiche del rivelatore 89 carica nell’ossido ed un conseguente shift nella tensione di banda piatta (v. Sez. 3.5.5). Questo fenomeno ha tempi caratteristici che variano da pochi secondi ad alcuni mesi o perfino anni. Un’altro aspetto dei danni da radiazione nel diossido di silicio è rappresentato dalla formazione di trappole all’interfaccia Si-SiO2 la cui probabilità di occupazione dipende dalla posizione del livello di Fermi3 . Queste trappole danno luogo ad uno shift in tensione che dipende dal potenziale del bulk siliceo all’interfaccia e ad un aumento della componente superficiale della corrente di leakage. L’intrappolamento delle lacune, il fenomeno di annealing, la natura ed il numero di trappole all’interfaccia sono molto sensibili ai processi di produzione, ai campi elettrici ed alla temperatura. 5.3 Conseguenze della radiazione sulle caratteristiche del rivelatore La conseguenza degli irraggiamenti maggiormente temuta nel caso degli SDD per ALICE è la crescita della corrente di leakage raccolta dagli anodi; l’elettronica di read-out infatti pone un limite di 200 nA per anodo, che comporta severe restrizioni alla crescita della corrente di buio ed alla formazione di possibili difetti che generano alta corrente. Parallelamente a questo, la componente di lacune della corrente di leakage è raccolta dai catodi di deriva ed entra nel partitore integrato, minando la linearità della distribuzione di potenziale (v. Cap. 4) e di conseguenza l’uniformaità della velocità di deriva. Quindi, l’aumento della fluenza di particelle introduce una sistematica incertezza sulla ricostruzione del punto d’impatto lungo la direzione di deriva. Per correggere questo errore è necessario un monitoraggio continuo della velocità di deriva durante l’intera durata dell’esperimento. I MOS sono delle strutture la cui funzionalità dipende fortemente dalle condizioni della superficie, poiché l’ampiezza del segnale rivelato agli anodi dipende, oltre che dall’ampiezza dell’impulso applicato al gate metallico, anche dal numero di elettroni attratti dalla carica positiva presente nell’ossido. Siccome la radiazione aumenta il valore di questa carica, il segnale degli iniettori dovrebbe aumentare con la fluenza di particelle, a parità di impulso applicato. 3 Ultimo livello energetico occupato dagli elettroni di un atomo. 5. TEST D’IRRAGGIAMENTO 90 5.4 Stima della fluenza elettronica Esaminiamo ora la situazione che si prospetta nell’esperimento ALICE per poi cercare di riprodurre i valori attesi di fluenza utilizzando il fascio elettronico a nostra disposizione. La radiazione generata in ALICE è molto minore rispetto agli altri esperimenti che si svolgeranno al LHC. In tabella 5.1 sono riportate la dose totale e la fluenza neutronica attese per 10 anni di operatività di ALICE per quanto riguarda i sei strati di rivelatori al silicio che compongono l’Inner Tracking System [15, 37]. Il primo strato di rivelatori a deriva di silicio sarà sottopoStrato Rivelatori 1 2 3 4 5 6 Pixel Pixel SDD SDD Pixel Pixel ID (krad) 130 39 13.4 5.4 2.4 1.9 Fluenza di neutroni (× 1011 cm−2 ) 3.2 3.1 3.5 3.3 3.7 3.3 Tabella 5.1: dosi di radiazione e fluenze neutroniche attese nell’ITS per 10 anni di operatività. sto ad una dose totale da ionizzazione (ionizing dose, ID) pari a 13.4 krad e ad una fluenza di neutroni equivalente di 3.5 × 1011 cm−2 . Come riportato in precedenza (v. tabella 2.1), la molteplicità di particelle ottenuta tramite simulazione evidenzia che il più corposo contributo alla dose da ionizzazione viene fornito dai pioni. Consideriamo innanzitutto il danno di superficie: per ricreare le condizione di ALICE per quanto riguarda la perdita di energia per ionizzazione, è sufficiente riprodurre la dose totale da ionizzazione nel silicio, dovuta per la quasi totalità a pioni. Poiché la perdita di energia da ionizzazione per elettroni di 1 GeV nel silicio è pari a −dE/dξ ∼ = 2.1 MeV cm2 /g, la fluenza elettronica (Fe ) necessaria per riprodurre le condizioni di un rivelatore del terzo strato dell’ITS è data da Fe = 13.4krad D = = 3.98 × 1011 e− /cm2 , −dE/dξ 2.1MeV cm2 /g dove D indica la dose rilasciata nel detector4 . 4 Si ricorda che 1 rad = 6.24 × 1013 eV /g. (5.4.1) 5.4 Stima della fluenza elettronica 91 Per quanto riguarda i danni al bulk, la stima risulta leggermente più complessa. L’ipotesi NIEL afferma che gli effetti di displacement sono legati alla perdita di energia non-ionizzante nel materiale. Gettando uno sguardo alla figura 5.2, possiamo notare come per energie superiori ai 100 MeV la NIEL abbia un andamento leggermente decrescente e simile per tutti gli adroni. In particolare, i π hanno una NIEL relativa a 1 MeV di neutroni considerevolmente inferiore ad 1, esclusa la regione della risonanza ∆ (attorno ai 200 MeV ). Per gli elettroni, l’andamento è crescente fino ai 100 MeV circa; per energie superiori la NIEL è costante e pari a circa 1/10 del valore di riferimento (neutroni di 1 MeV ). Operando una sovrastima, possiamo affermare che la perdita di energia nonionizzante degli elettroni di 1 GeV è 10 volte inferiore a quella dei pioni di medesima energia. Per questo motivo, per ottenere lo stesso danno di bulk, la fluenza elettronica deve essere dieci volte maggiore della fluenza dei π. Una conclusione analoga si può trarre per quanto riguarda il rapporto elettronineutroni, che scegliamo pari a 1/20. Per semplificare i calcoli, la fluenza dei pioni può essere derivata dalla ID considerando tutte le particelle come m.i.p.s: Fπ = 13.4krad ID = = 5.23 × 1011 π/cm2 . −dE/dξ(m.i.p.) 1.6MeV cm2 /g (5.4.2) Va notato che questa approssimazione genera una ulteriore sovrastima del numero di pioni, in quanto massimizza il numero di particelle necessarie per ottenere la dose in questione e quindi il numero di elettroni equivalenti. La fluenza di elettroni equivalente a 10 anni di operatività di ALICE è quindi: Fe = 10 × (Fπ + Fn ) ≈ 10 × (5.23 × 1011 + 2 × 3.5 × 1011 ) ≈ 1.22 × 1013 e− /cm2(5.4.3) . Questa fluenza elettronica corrisponde ad una dose assorbita nel silicio di circa 410 krad. Sottolineiamo ancora che, a causa delle approssimazioni utilizzate, il valore calcolato rappresenta una sovrastima della reale fluenza equivalente per quanto concerne il danno di bulk; inoltre la dose rilasciata (410 krad) è di un ordine di grandezza maggiore di quella necessaria per riprodurre i danni di superficie generati nell’ambiente di ALICE (13.4 krad). Tutto questo, aggiunto alla considerazione che gli irraggiamenti si concentrano in un periodo di tempo di poche ore (contro i 10 anni di ALICE!!), durante le quali non possono verificarsi evidenti processi di annealing, assicura condizioni ben più impegnative di quelle a gli SDD saranno sottoposti al LHC. 5. TEST D’IRRAGGIAMENTO 92 5.5 5.5.1 Irraggiamenti Caratteristiche del fascio - setup di misura Le prove di irraggiamento [38] per determinare la stabilità e la resistenza alla radiazione dei rivelatori a deriva si sono svolte al LINAC (LINear ACcelerator, acceleratore lineare) del sincrotrone ELETTRA di Trieste, capace di fornire un fascio di elettroni di 1 GeV di energia con un flusso dell’ordine di 1010 e− /(cm2 s). Il fascio è “impulsato”, con una frequenza di 10 Hz, ed è distribuito gaussianamente sul piano trasverso, con una FWHM di ≈ 2.5 cm in entrambe le direzioni. La stabilità del flusso si è rivelata buona, per cui il rilascio di energia all’interno dei rivelatori si può considerare uniforme durante i singoli irraggiamenti. La posizione e le dimensioni del fascio sono state misurate per mezzo di una lastra radiografica. I rivelatori, coperti da un box plastico, sono stati fissati ad una motherboard, che ha offerto la possibilità di alimentare i detector durante gli irraggiamenti; la scheda è stata montata su un movimento micrometrico x-y che ha permesso di esporre parzialmente o completamente l’area sensibile al fascio elettronico; la velocità di spostamento dei motori è di circa 1 mm/s. 5.5.2 Primo irraggiamento Il primo rivelatore è stato irraggiato solo parzialmente [39]: in primo luogo, è stato centrato rispetto al fascio nella direzione orizzontale, per poi essere spostato verticalmente in modo che la radiazione investisse l’intera porzione della zona di deriva in corrispondenza degli anodi centrali (v. fig. 5.4). Il dispositivo è stato alimentato alla tensione operativa nominale di -2400 V durante l’irraggiameno. Nella regione interessata dal centro del fascio è stata raggiunta una fluenza di circa 1.8 × 1013 e− /cm2 , corrispondente ad una dose totale da ionizzazione di 480 krad. Tre giorni dopo l’irraggiamento è stata misurata la corrente anodica, la cui distribuzione è graficata in fig. 5.5; è chiaramente riconoscibile la forma gaussiana del fascio riprodotta dalla corrente. Entrambe le misure presenti in figura 5.5 sono state effettuate in camera climatica alla temperatura di 20o C. In queste condizioni, il valore della corrente di leakage è approssimativamente un terzo di quello riscontrabile a temperatura ambiente, in quanto il calore generato dal partitore integrato - che dà luogo ad un aumento della corrente viene parzialmente rimosso. Questo ambiente controllato replica la situazione che si avrà nell’ITS, dove un flusso d’aria manterrà la temperatura al valore costante sopra citato. Per questo motivo, tutte le misure a cui sarà fatto 5.5 Irraggiamenti 93 ( (e−/cm2 ) 1.8 x 10 13 2.5 cm Figura 5.4: irraggiamento del primo rivelatore e caratteristiche del fascio. a) 72 ore dopo l’irraggiamento fit corrente anodica (nA) corrente anodica (nA) 6e+02 5e+02 4e+02 3e+02 2e+02 b) pre−irraggiamento 72 ore dopo l’irraggiamento 1e+02 1e+01 1e+00 1e+02 0e+00 0 50 100 150 anodo (#) 200 250 1e−01 0 50 100 150 anodo (#) 200 250 Figura 5.5: distribuzioni delle correnti anodiche: a) 72 ore dopo l’irraggiamento a temperatura ambiente e b) prima e dopo l’irraggiamento a 20o C. 5. TEST D’IRRAGGIAMENTO 94 riferimento d’ora in avanti dovranno essere considerate come effettuate alla temperatura di 20o C. Successivamente, per un periodo di tempo di 1 mese, sono state effettuate ulteriori misure della corrente anodica, ma non si sono evidenziati cambiamenti significativi. Per questo motivo si è deciso di velocizzare il processo di annealing ponendo il rivelatore in camera climatica alla temperatura di 80o C per due ore. In figura 5.6 sono illustrate le distribuzioni della corrente misu- corrente anodica (nA) 250 3 giorni dopo irraggiamento 20 giorni dopo irraggiamento o 2 ore annealing a 80 C 200 150 100 50 0 50 100 150 200 250 anodo (#) Figura 5.6: distribuzione della corrente anodica 3 giorni e 20 giorni dopo l’irraggiamento e in seguito all’annealing forzato. rata rispettivamente 3 giorni e 20 giorni dopo l’irraggiamento ed in seguito all’annealing accelerato. Si può notare come il processo di annealing sia più marcato per la parte del rivelatore sottoposta ad un irraggiamento maggiore; in particolare, il valore di picco della gaussiana passa da 200 nA a 100 nA. Nei grafici in questione si osserva la presenza di picchi lungo i fianchi ed all’esterno della gaussiana: siccome si trovano in una regione al più marginalmente interessata dal passaggio di particelle, è ragionevole ritenere che non siano una diretta conseguenza del danno da radiazione nel silicio. In seguito ad una analisi della superficie del rivelatore al microscopio, si è potuto constatare la presenza di bruciature sul catodo centrale (il più negativo) in corrispondenza degli anodi con corrente elevata (figura 5.7). In un primo momento si è pensato che ciò fosse la conseguenza di microscariche tra il box di copertura del rivelatore ed il catodo con il potenziale più negativo. In ragione di questo, nei successivi test si è cercato di ovviare all’inconveniente aumentando la distanza tra la superficie del rivelatore ed il coperchio plastico e ricoprendo il catodo con colla siliconica, ma senza ottenere il risultato auspicato. Solo in un secondo momento è stata chiarita l’origine di questo 5.5 Irraggiamenti 95 problema: l’elevato flusso di elettroni prodotto dal LINAC genera una elevatissima corrente di ionizzazione, che ha l’effeto di abbassare bruscamente il potenziale dei catodi di guardia e di deriva (v. cap. 4). D’altra parte, il catodo più negativo è forzato dal generatore di alta tensione a mantenere un potenziale di -2400 V ; cosı̀ facendo, il catodo centrale è soggetto ad elevate tensioni che portano alla formazione di breakdown e quindi al suo danneggiamento. In ogni caso, i dati dei test non sono in alcun modo inficiati dal Figura 5.7: danneggiamento del catodo centrale in seguito a breakdown durante l’irraggiamento. corrente anodica (nA) problema. Ritornando ai dati, è possibile in questo primo test ricostruire la relazione tra corrente anodica misurata e dose (o fluenza), sfruttando la non uniformità della distribuzione del profilo del fascio lungo l’asse degli anodi. La misura della corrente anodica - dopo 3 giorni dall’irraggiamento ed in 3 giorni dopo irraggiamento o 30 giorni + 2−h annealing a 80 C 200 150 100 50 ALICE 0 0 50 100 150 200 250 300 350 400 450 Dose (krad) Figura 5.8: corrente anodica in funzione della dose rilasciata nel rivelatore. 5. TEST D’IRRAGGIAMENTO 96 seguito all’annealing - in funzione della dose rilasciata nel silicio è visibile in figura 5.8. Nel primo caso è evidente la perfetta linearità della dipendenza, mentre in seguito all’annealing la corrente relativa a dosi maggiori cala più marcatamente. La linea verticale nel grafico segnala la situazione in cui la dose rilasciata dagli elettroni nel silicio è equivalente alla dose attesa per 10 anni di operatività di ALICE (v. Sez. 5.4). Per tale situazione, si ottiene un valore della corrente anodica di circa 150 nA, al di sotto delle condizioni imposte dall’elettronica di read-out. In seguito all’annealing forzato, il valore scende ancora, portandosi a circa 110 nA. Questo dovrebbe essere il valore effettivo in ALICE, dal momento che avrà luogo un costante annealing durante i 10 anni di esperimento. 5.5.3 Secondo irraggiamento Nel secondo test il rivelatore è stato uniformemente irraggiato: il detector è stato pilotato in modo da compiere un percorso a serpentina, con passi di circa 0.5 mm sull’asse verticale (v. fig. 5.9). L’idea di irraggiare in due Figura 5.9: irraggiamento del secondo rivelatore. passi, il primo fino a raggiungere una dose di circa 100 krad, il secondo fino a 300 krad, è stata accantonata; il breakdown del catodo centrale, cosı̀ come era avvenuto nel precedente SDD, ha determinato la conclusione anticipata del test. 5.5 Irraggiamenti 97 La corrente anodica misurata al termine dell’irraggiamento era distribuita secondo il grafico di figura 5.10a; si osserva un aumento uniforme dei valori della corrente da circa 1 nA (prima dell’iraggiamento) fino a raggiungere i 60 nA dopo un annealing durato 30 giorni in seguito al test. L’unica dia) 1e+03 1e+02 30 giorni dopo l’irraggiamento 1e+01 pre−irraggiamento 1e+00 1e−01 0 50 100 150 anodo (#) b) bruciature bruciature corrente anodica (nA) corrente anodica (nA) 1e+03 200 1e+02 30 giorni dopo l’irraggiamento 1e+01 pre−irraggiamento 1e+00 250 1e−01 0 50 100 150 anodo (#) 200 250 Figura 5.10: corrente anodica prima e dopo l’irraggiamento. somogeneità è determinata dalla presenza di due piccoli difetti ai lati del rivelatore. I valori ottenuti sono leggermente superiori a quelli relativi al precedente irraggiamento; anche in seguito ad un annealing forzato in camera climatica per 2 ore a 80o C i valori non subiscono grossi cambiamenti. Due fatti sono da sottolineare: a parte i due piccoli difetti in corrispondenza degli anodi estremi, non si verifica alcun problema per dosi fino ai 100 krad; inoltre i difetti presenti nel SDD precedentemente al test non si sono accresciuti, e la corrente aggiuntiva dovuta all’irraggiamento si somma semplicemente a quella iniziale. La distribuzione di potenziale (fig. 5.11) ci fornisce ulteriori interessanti informazioni. Alla tensione di alimentazione di -2368 V la distribuzione della caduta di potenziale misurata ogni 10 catodi di deriva dovrebbe assumere il valore costante di 80 V (8 V per catodo); ciò è chiaramente rispettato prima dell’irraggiamento. L’unico difetto riscontrabile è una leggera distorsione dovuta ad un effetto di punch-through attorno alla metà della zona di deriva. Al contrario, in seguito al test si osserva una forte pendenza della distribuzione di potenziale; come già premesso nella Sezione 5.3, è la componente di lacune della corrente di leakage a produrre questo effetto. Se la distribuzione dei difetti generati dall’irraggiamento è uniforme nel bulk, le lacune che entrano nella catena resistiva del partitore si dividono in parti uguali tra lato n e lato p. Poiché è noto che gli ioni si muovono verso i potenziali più negativi, 5. TEST D’IRRAGGIAMENTO 98 120 a) 110 dopo l’irraggiamento 100 90 pre−irraggiamento 80 70 60 50 caduta di tensione ogni 10 catodi (V) caduta di tensione ogni 10 catodi (V) 120 b) 110 dopo l’irraggiamento 100 90 pre−irraggiamento 80 70 60 50 0 50 100 150 200 250 300 catodo di deriva (#) 0 50 100 150 200 catodo di deriva (#) 250 300 Figura 5.11: distribuzione di potenziale sul partitore di deriva prima e dopo l’irraggiamento. risulta chiaro come la corrente di lacune che scorre nel partitore cresca mano a mano che ci si sposta verso il catodo centrale (identificato dal #0), facendo innalzare di conseguenza la caduta di tensione corrispondente. Inoltre, siccome la tensione di bias è fissa, supponendo una distribuzione uniforme dei difetti si dovrebbe osservare una linea retta che incrocia il valore di 80 V sul catodo mediano della zona di deriva: ciò è riscontrabile nella parte di rivelatore posta oltre il catodo #100. In questo settore vale la proporzionalità tra corrente misurata e dose rilasciata nel detector. Per i catodi precedenti, il contributo dato dalle bruciature presenti sul catodo centrale non è trascurabile e si riscontra un allontanamento dalla linearità. Un’ultima osservazione riguarda le distorsioni da punch-through evidenziate prima dell’irraggiamento: si nota come l’aumento della carica positiva nell’ossido dovuto al passaggio degli elettroni vieti l’insorgere di questo fenomeno, grazie alla più efficace azione dei field-plate (v. Sez. 3.4.2). 5.5.4 Terzo irraggiamento Anche il terzo rivelatore è stato irraggiato uniformemente come il precedente. Lo stesso trattamento è stato riservato ad un diodo prodotto dallo stesso wafer del detector, posizionato davanti al SDD: in questo modo entrambi i dispositivi hanno assorbito la medesima dose, pari a 250 krad. In figura 5.12 è presentata la distribuzione della corrente anodica per le due metà del rivelatore misurata prima dell’irraggiamento ed in seguito all’ormai classico annealing forzato (2 h a 80o C), effettuato due settimane dopo la conclusione del test. Il valore medio della corrente corrispondente 5.5 Irraggiamenti 99 1e+03 1e+03 b) corrente anodica (nA) corrente anodica (nA) a) 1e+02 o 2h annealing a 80 C + 15 gg dopo l’irraggiamento 1e+01 1e+00 pre−irraggiamento 1e−01 0 50 100 150 anodo (#) 200 1e+02 o 2h annealing a 80 C 1e+01 + 15 gg dopo l’irraggiamento 1e+00 1e−01 0 250 50 100 150 anodo (#) 200 250 Figura 5.12: misura della corrente anodica per il rivelatore sottoposto al terzo test di irraggiamento. 140 a) 110 caduta di tensione ogni 10 catodi (V) caduta di tensione ogni 10 catodi (V) 120 dopo l’irraggiamento 100 90 pre−irraggiamento 80 70 60 50 40 b) 120 dopo l’irraggiamento 100 pre−irraggiamento 80 60 40 20 0 50 100 150 200 catodo di deriva (#) 250 300 0 50 100 150 200 catodo di deriva (#) 250 300 Figura 5.13: distribuzione di potenziale per il terzo rivelatore irraggiato. alla prima metà del rivelatore (fig. 5.12a) è attorno ai 70 nA; prima dell’annealing accelerato, lo stesso si attestava sui 100 nA. Questo comportamento è in ottimo accordo con i risultati ottenuti dal primo test (v. fig. 5.8). Per quanto riguarda la seconda metà, il valore medio è leggermente minore; ciò è dovuto al fatto che il movimento x-y si è inceppato prima del completo irraggiamento del detector e si è perciò dovuto interrompere il fascio. Supponendo valida la relazione lineare dose assorbita-corrente misurata, si trova che la differenza tra i valori medi delle correnti nelle due metà è totalmente imputabile alla mancata effettuazione degli ultimi tre passaggi orizzontali da parte dei motori. Anche in questo rivelatore sono presenti dei picchi nella distribuzione del- 5. TEST D’IRRAGGIAMENTO 100 la corrente, dovuti al più volte citato danneggiamento del catodo centrale. L’ultima annotazione riguarda il picco visibile in fig. 5.12b: anche in seguito all’irraggiamento, il suo valore resta costante. Dando uno sguardo al potenziale sui catodi di deriva, possiamo notare come su un lato del SDD la corrente causata dall’irraggiamento abbia accresciuto - come era lecito attendersi - la pendenza della distribuzione (fig. 5.13); sull’altro lato invece si segnala la presenza di due gradini. Uno di questi era visibile anche in precedenza e può essere ricondotto al picco di corrente visibile sugli anodi laterali in fig. 5.12b. Anche il secondo gradino, attorno al catodo #200, era presente nelle primissime misure effettuate sul rivelatore a basse tensioni di alimentazione, ma in seguito era scomparso. Molto probabilmente, la visibilità di questo difetto è collegata al valore della carica positiva nell’ossido che, per tempi moderatamente lunghi, viene parzialmente compensata dalle carihe negative introdotte nel sistema dall’umidità ambientale. In seguito all’irraggiamento ed alla conseguente crescita delle cariche nel SiO2 , il difetto trova le condizioni adatte per potersi nuovamente manifestare. Se un difetto si trova nella zona di deriva, esso deve necessariamente manifestarsi attraverso un picco nella distribuzione della corrente anodica ed un gradino in quella del potenziale (v. Sez. 4.3). Perciò uno dei due picchi di figura 5.12 può essere ritenuto responsabile del secondo gradino di figura 5.13. D’altro canto, il difetto potrebbe essere localizzato nella regione di guardia; in tal caso la componente elettronica della corrente generata viene raccolta dall’anello n che circonda il rivelatore. 5e-10 capacita‘ (F) 4e-10 dose completa 3e-10 2e-10 dose non completa 1e-10 0 0 5 10 tensione (V) 15 20 Figura 5.14: caratteristica C − V dei quattro MOS irraggiati durante il terzo test. 5.5 Irraggiamenti 101 Per ottenere il valore della carica generata nell’ossido dal passaggio della radiazione basta semplicemente analizzare le caratteristiche C − V ad alta frequenza dei quattro MOS, la cui posizione è indicata in fig. 5.9. Prima dell’irraggiamento, la carica nell’ossido cosı̀ calcolata risultava essere circa 1 × 1011 q/cm2 . Come ricordato in precedenza, i motori si sono fermati prima che il fascio avesse completamente irraggiato il rivelatore. Poichè i MOS si trovano agli angoli del rivelatore, due di questi sono stati soggetti ad una minore fluenza e danno quindi un minore valore per la carica generata nell’ossido: 6 × 1011 q/cm2 contro i 9.5 × 1011 q/cm2 per i MOS che hanno assorbito 250 krad di dose (v. fig. 5.14). Come previsto (v. Sez. 5.3), il funzionamento degli iniettori migliora in seguito all’irraggiamento dei rivelatori. Infatti, grazie all’aumento della carica positiva nell’ossido, si accumula un maggior numero di elettroni nel bulk nei pressi dell’interfaccia Si-SiO2 ; in tal modo la carica iniettata nel silicio sarà maggiore. In figura 5.15 è evidenziato l’aumento dell’ampiezza 400 post irraggiamento (Tox=300nm) ampiezza segnale (mV) 350 300 250 200 150 100 tipico (Tox=900nm) 50 0 0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 ampiezza impulso (V) Figura 5.15: ampiezza del segnale prodotto dagli iniettori e raccolto agli anodi in funzione dell’ampiezza dell’impulso applicato. del segnale in funzione dell’ampiezza dell’impulso applicato nel caso di un rivelatore non irraggiato e del rivelatore sottoposto al terzo irraggiamento. Va notato come il valore dello spessore dello strato d’ossido (legato al valore della carica positiva ivi presente), sia molto maggiore nel caso del rivelatore non irraggiato. Ciò dipende dal fatto che è necessario garantire una determinata densità di carica nel SiO2 per ottenere un’ampiezza del segnale apprezzabile. Si nota che per ottenere un segnale di 180 mV è sufficiente applicare un impulso di 3 V al rivelatore irraggiato, contro i 6−7 V necessari per l’altro 5. TEST D’IRRAGGIAMENTO 102 detector. Inoltre, per impulsi oltre i 5 V l’ampiezza del segnale è tale da comportare la saturazione nella risposta dell’elettronica. Un’altra conseguenza della maggiore disponibilità di elettroni nei pressi della superficie è costituita dall’ampliamento della banda di frequenza di iniezione. Come illustrato in figura 5.16, nel caso di rivelatori irraggiati è ampiezza segnale (mV) 350 300 o 22 C 250 200 150 o 10 C prima dell’ irraggiamento post irraggiamento 100 50 0 1e+01 1e+02 1e+03 1e+04 1e+05 frequenza segnale (Hz) Figura 5.16: ampiezza del segnale prodotto dagli iniettori e raccolto agli anodi in funzione della frequenza dell’impulso applicato. possibile utilizzare tempi di ripetizione molto minori: la maggiore generazione nei pressi della superficie - causata dal passaggio della radiazione consente un immediato riempimento della sacca di potenziale sotto il gate in seguito allo svuotamento che si verifica all’applicazione dell’impulso negativo. Oltre una certa frequenza di soglia, che dipende dalla carica presente nell’ossido, questo processo di riempimento perde la sua efficienza. Possiamo notare come il valore di tale frequenza risulti essere di due ordini di grandezza superiore per il rivelatore utilizzato nel terzo test d’irraggiamento rispetto alle condizioni standard. Possiamo inoltre osservare l’effetto della temperatura sulla frequenza di soglia: come era naturale attendersi, l’abbassamento della temperatura limita la generazione di portatori di carica e rallenta di conseguenza il meccanismo di riempimento. Infine, volgiamo la nostra attenzione al diodo. Come previsto, la misura C − V è sostanzialmente invariata dopo l’irraggiamento; d’altro canto, la misura I − V evidenzia una corrente di leakage al completo svuotamento del rivelatore circa 600 volte maggiore di quella di partenza (5.17). Da questa misura possiamo ottenere il coefficiente di danno (damage coefficient), 5.5 Irraggiamenti 103 1e-06 corrente (A) 1e-07 dopo l’irraggiamento 1e-08 1e-09 1e-10 prima dell’irraggiamento 1e-11 0 20 40 60 80 100 120 140 160 180 tensione (V) Figura 5.17: caratteristica I − V del diodo prima e dopo il test di irraggiamento. definito come: ∆I , (5.5.1) FV dove ∆I è la differenza fra i valori della corrente di leakage prima e dopo l’irraggiamento, F rappresenta la fluenza e V il volume svuotato. Il parametro α fornisce un’idea del danno di bulk creato da particelle con una certa energia. Nel nostro caso, esso vale 2.5 × 10−18 A/cm. Confrontando questo valore 5 1.4 Do1 HH2 HH1 PPE ECP NIEL 3 1.2 1 0.8 a inf (10 −17 A/cm) 4 0.6 2 0.4 1 0.2 0 NIEL relative to 1 MeV neutrons α= 0 0 100 200 300 400 500 E (MeV) Figura 5.18: coefficiente di danno dei pioni (da [42]). con il coefficiente di danno dei pioni [42] (fig. 5.18), possiamo confermare che gli elettroni producono 10 volte meno danno dei π per energie prossime al picco della risonanza ∆; tale risultato è un’ulteriore conferma della validità dell’ipotesi NIEL e delle considerazioni esposte nella Sezione 5.4. 5. TEST D’IRRAGGIAMENTO 104 5.6 Conclusioni I test di irraggiamento effettuati dimostrano che i rivelatori a deriva di silicio sono sufficientemente resistenti rispetto ai livelli di radiazione attesi in ALICE. Il valore della corrente anodica misurata dopo un irraggiamento pari a 10 anni di operatività di ALICE è al di sotto dei limiti imposti dall’elettronica di read-out. La distribuzione del potenziale sul partitore integrato viene notevolmente alterata dagli effetti della radiazione; per detector privi di difetti è possibile correggere l’errore sistematico causato dalla disuniformità del campo calibrando la velocità di deriva per mezzo degli iniettori. Per situazioni più realistiche, è necessario mappare la velocità di deriva durante lo svolgersi dell’esperimento. Infine, le performance degli iniettori MOS subiscono un evidente miglioramento, dovuto alla maggiore carica positiva nell’ossido ed alla minore vita media dei portatori di carica, che incrementano rispettivamente il numero e la velocità di raggruppamento degli elettroni sotto l’interfaccia Si-SiO2 . Capitolo 6 Efficienza di raccolta del segnale Durante il test beam svolto nell’Agosto del 2000, uno dei rivelatori (denominato AL1B-3) evidenziava una efficienza di raccolta del segnale (Charge Collection Efficiency, CCE) pari al 20% . Successive misure riguardanti altri SDD hanno dimostrato la presenza di anomalie che compromettevano la perfetta efficienza nella raccolta degli elettroni. Nelle sezioni seguenti viene discussa l’analisi effettuata riguardo alla zona di raccolta ed alla zona di deriva per cercare di dare una spiegazione a questo indesiderato effetto. 6.1 Analisi della zona di raccolta In mancanza di un fascio di particelle con cui poter sondare l’efficienza di raccolta di carica, il segnale nel rivelatore è stato creato utilizzando la luce generata per mezzo dello Stabilized Picosecond Light Pulser C4725 di Hamamatsu, associato ad una testina laser con lunghezza d’onda della luce di 845 nm. La ionizzazione nel silicio è limitata ad uno strato superficiale: infatti, dall’equazione x I(x) = e− λ , I0 (6.1.1) con I intensità del fascio laser, il valore della lunghezza di assorbimento λ risulta essere di ∼ 10 µm [43]. La durata del segnale prodotto è fissa e pari a 32 ns. Il tempo di ripetizione è variabile; per le misure qui di seguito descritte si è scelto un trep = 10 ms. Il fascio fotonico, focalizzato per mezzo di un opportuno sistema ottico, è distribuito su una superficie circolare del diametro minimo di circa 60 µm. Il segnale raccolto dagli anodi di una metà del 6. EFFICIENZA DI RACCOLTA DEL SEGNALE 106 rivelatore viene letto con l’ausilio di chip di read-out OLA (v. Sez. 3.5.4). Il rivelatore da testare è fissato ad un movimento micrometrico x-y che permette di esplorare la totalità di una metà del detector nella direzione di deriva e buona parte di esso nella direzione anodica. Come prima misura, si è testata l’effettiva raccolta del segnale da parte degli anodi. Iniettando carica tra i catodi # 289 e # 290 (ovvero a 350 µm di distanza dagli anodi) e muovendo il rivelatore nella direzione degli anodi, è possibile evidenziare una eventuale perdita di segnale dovuta alla non ottimale configurazione dei potenziali delle strutture che compongono la zona di raccolta (v. Sez. 3.4.3). Il grafico di figura 6.1 riporta la misura dell’ampiezza dei singoli segnali per un cluster di quattro anodi. Si può notare come 1.2 singoli anodi somma ampiezze ampiezza relativa 1 0.8 0.6 0.4 0.2 400 600 800 1000 1200 coordinata anodica (µm) 1400 1600 Figura 6.1: rivelatore AL1B-3: ampiezza del segnale misurato per ogni singolo anodo e somma dei contributi. Le coordinate sull’asse delle ascisse non sono da considerarsi assolute, ma forniscono un’indicazione sulle dimensioni delle strutture in esame. l’ampiezza totale risulti minore quando il laser si trova ad iniettare carica tra due anodi rispetto a quando il segnale è generato in corrispondenza degli impianti anodici. Tuttavia ciò non implica che parte del segnale sfugga alla raccolta: dallo screenshot ottenuto dall’oscilloscopio e visibile in fig. 6.2, si deduce che la minore ampiezza rilevata nel caso di segnale formato tra due anodi è dovuta ad una diversa forma dell’impulso, ovvero ad un segnale più dilatato nel tempo. La presunta “perdita” si spiega allora come evidenza di un effetto 6.1 Analisi della zona di raccolta 107 Figura 6.2: forma del segnale raccolto agli anodi in corrispondenza di diverse zone di iniezione (in corrispondenza di un anodo o tra due anodi). di deficit balistico. La particolare forma del potenziale della zona di raccolta costringe le cariche che si dirigono verso gli spazi inter-anodici a deviare il loro percorso verso gli anodi: la nuvola di elettroni viene deformata ed il segnale risulta leggermente dilatato. Questa spiegazione è supportata dal fatto che la carica totale raccolta, rappresentata dall’integrale temporale del segnale in uscita da OLA, risulta costante lungo la direzione degli anodi, segnale inequivocabile di una buona efficienza di raccolta (fig. 6.3). 1.1 1 0.9 0.8 0.7 ampiezza carica 0.6 0 0.2 0.4 0.6 mm 0.8 1 Figura 6.3: ampiezza del segnale e carica raccolta dagli anodi per il rivelatore AL1B-3. 6. EFFICIENZA DI RACCOLTA DEL SEGNALE 108 Inoltre, spostando il punto di iniezione più lontano dagli anodi, si osserva la completa scomparsa di questo effetto sull’ampiezza del segnale (fig. 6.4). La nuvola di carica ora ha il tempo di diffondere e di presentarsi meno com1.1 1 0.9 0.8 0.7 0.6 ampiezza carica 0.5 0.4 0 0.2 0.4 0.6 0.8 1 Figura 6.4: ampiezza del segnale e carica raccolta dagli anodi per il rivelatore AL1B-3; il sengale è iniettato ad una distanza di 3.6 mm. patta sugli anodi; la distorsione dovuta al deficit balistico descritto in precedenza non gioca più alcun ruolo evidente. In seguito sono state effettuate misure analoghe su altri rivelatori che evidenziavano considerevoli inefficienze di raccolta. I risultati si sono dimostrati consistenti con quanto fin qui esposto. Un’altra possibile causa della mancata raccolta degli elettroni prodotti dalla ionizzazione nel silicio è costituita dalla non corretta scelta dei potenziali dei catodi di kick-up, di griglia e degli ultimi catodi di deriva. I valori per le tensioni di questi catodi sono stati ottenuti da simulazioni della zona di raccolta e sono indicati in figura 6.5. Per scoprire se effettivamente la scelta −40 −20 −20 −40 −30 #292 #293 −40 −30 anodo catodi di deriva griglia #291 −40 w1 w2 w1 −64 −80 −64 contatti di bulk Figura 6.5: situazione standard di polarizzazione della zona di raccolta (ALICED2). effettuata comporta una inefficienza di raccolta del segnale, si è proceduto variando singolarmente i potenziali dei diversi catodi durante la raccolta del 6.1 Analisi della zona di raccolta 109 1.1 1 0.9 0.8 0.7 0.6 0.5 ampiezza segnale ampiezza segnale segnaele prodotto dagli iniettori. Si è scelto di formare due gruppi di 7 anodi, posti in diverse zone del rivelatore e letti ognuno da un canale di OLA; in questo modo si evitano possibili effetti di cross-talk tra gli anodi con la comparsa di segnali indotti. I risultati ottenuti sono visibili in fig. 6.6. cluster 1 cluster 2 -50 -45 -40 -35 -30 1.1 1.05 1 0.95 0.9 cluster 1 cluster 2 -80 -75 -70 1.1 1.05 1 0.95 cluster 1 cluster 2 0.9 -30 -25 -20 -15 -10 -55 -50 1.1 1 0.95 cluster 1 cluster 2 0.9 -100 -95 -90 -85 -80 -75 -70 -65 -60 -55 1.1 1.05 1 cluster 1 cluster 2 0.9 -45 -40 -35 -30 -25 -20 -15 V(292n) V(W2) ampiezza segnale ampiezza segnale -60 1.05 V(griglia) 0.95 -65 V(W3) ampiezza segnale ampiezza segnale V(291) 1.1 1.05 1 0.95 0.9 -80 cluster 1 cluster 2 -75 -70 -65 -60 V(W1) -55 -50 -45 Figura 6.6: ampiezza del segnale in funzione del potenziale dei singoli catodi della zona di raccolta. La scelta dettata dalla simulazione si è dimostrata buona, ma non la più adatta per rispecchiare le reali condizioni presenti nel rivelatore (ad es. fluttuazioni di droggaggio che comportano deviazioni dall’idealità). Alla luce dei risultati ottenuti dalle misure, si è deciso di imporre nuove polarizzazioni standard; in particolare, si è deciso di portare la tensione del catodo # 291 da -40 V a -45 V , quella del catodo w1 da -64 V a -69 V e quella del catodo di kick-up centrale (w2) da -80 V a -85 V . Modifiche più consistenti sono sconsigliate, in quanto l’accresciuto gap di tensione tra catodi vicini favorisce l’insorgere di fenomeni di punch-through che modificano la configurazione del potenziale nella zona di raccolta. In ogni caso, la non perfetta scelta dei potenziali della zona di raccolta non spiega la consistente perdita di segnale registrata da alcuni rivelatori. 6. EFFICIENZA DI RACCOLTA DEL SEGNALE 110 6.2 Analisi lungo la direzione di deriva Fugato ogni dubbio sulle performance della zona di raccolta, non resta che esaminare il cammino che compiono gli elettroni prima di giungere agli anodi, in cerca di eventuali punti deboli nel disegno del rivelatore. Per questo sono stati formati gruppi di 5-7 anodi posti in diverse zone del detector. Quindi sono stati generati elettroni per mezzo del laser lungo la direzione di deriva, procedendo ad intervalli regolari di 10 catodi a partire dal gap tra i catodi # 289 e # 290. I risultati della misura ottenuti per tre diveri campi di deriva sono presentati in fig. 6.7. Si può notare un valore per l’inefficienza di 8V/gap 5V/gap 3V/gap 1 CCE 0.8 0.6 0.4 0.2 0 0 5 10 15 20 25 30 35 distanza dagli anodi (mm) Figura 6.7: efficienza di raccolta di carica (CCE) in funzione della distanza di deriva per tre diversi campi di deriva. raccolta del segnale consistente con quanto emerso dal test beam; questo dato ci rassicura sulla bontà del nostro metodo di misura. In figura 6.8 è visibile la forma del segnale raccolto agli anodi dopo che la nuvola elettronica ha percorso 400 µm e 22 mm di silicio. Si nota chiaramente la differenza tra le aree sottese alle due curve, proporzionali alla carica raccolta. Una causa di perdita del segnale lungo la direzione di deriva potrebbe essere costituita da un eventuale squilibrio nella distribuzione di potenziale tra il lato p ed il lato n del rivelatore. Se i catodi corrispondenti delle due superfici non hanno la stessa tensione, il minimo della parabola non si trova più in corrispondenza del piano mediano del detector; in tal caso la nuvola elettronica non viene raccolta nella regione centrale del bulk, ma è spostata verso una delle superfici. All’interfaccia Si-SiO2 sono presenti delle trappole che potrebbero diminuire la quantità di carica raccolta. 6.2 Analisi lungo la direzione di deriva 111 Figura 6.8: forma del segnale dopo 400 µm e 22 mm di deriva. Per verificare la presenza o meno di questo effetto, si è deciso di collegare tra loro uno ogni dieci tra i corrispondenti catodi di deriva dei lati n e p e di ripetere la misura precedente. I risultati ottenuti non hanno evidenziato alcun miglioramento delle prestazioni. Visto l’aumento regolare dell’inefficienza in funzione del cammino effettuato dagli elettroni, l’unica spiegazione possibile al problema sembra essere il fenomeno del trapping: la presenza di difetti o impurità nel silicio causa la formazione di livelli energetici all’interno del gap tra banda di conduzione e banda di valenza. La posizione di questi livelli determina la probabilità per un difetto di catturare un elettrone. Per chiarire se si tratti effettivamente di trapping, il passo successivo è consistito nell’aumento progressivo della frequenza di iniezione della carica. Se inviamo dei segnali con un tempo di ripetizione minore del tempo proprio di trapping, si osserverà un aumento dell’efficienza di raccolta, poiché alcune delle “trappole” sono ancora occupate dagli elettroni catturati in precedenza. Per frequenze molto elevate si potrà raggiungere una situazione in cui la quasi totalità dei difetti viene neutralizzata e l’efficienza di raccolta dovrebbe raggiungere il 100%. In figura 6.9a viene evidenziata la dipendenza dell’efficienza di raccolta di carica dalla frequenza di iniezione per il rivelatore AL1B-3 ad una tensione di alimentazione di -2373 V , pari a 8 V per gap. Questa misura, come le successive, è stata effettuata con una diversa elettronica: si è scelto di utilizzare il preamplificatore charge-sensitive della ASTER Technology ATI-1089, in grado di fornire una maggiore sensibilità (11.5 mV /m.i.p.) e di eliminare l’incertezza data dall’integrazione del segnale in uscita da OLA effettuata con 6. EFFICIENZA DI RACCOLTA DEL SEGNALE 112 l’ausilio dell’oscilloscopio HP 54522A. Le caratteristiche del preamplificatore sono elencate in tabella 6.1. 0 a) 23 C 0 b) 5 C 1 0.8 CCE CCE 1 5 µs 10 µs 20 µs 50 µs 1 ms 10 ms 0.6 0.4 0 50 100 250 5 µs 10 µs 20 µs 50 µs 200 µs 1 ms 0.4 10 ms 0.6 300 0 c) -5 C 0 0.8 0.8 5 µs 10 µs 0.6 20 µs 50 µs 200 µs 1 ms 0.4 10 ms 100 150 200 catodo (#) 250 150 200 catodo (#) 250 300 250 300 0 1 50 100 -15 C 1 0 50 d) CCE CCE 150 200 catodo (#) 0.8 5 µs 10 µs 20 µs 50 µs 200 µs 1 ms 0.4 10 ms 0.6 300 0 50 100 150 200 catodo (#) Figura 6.9: CCE in funzione della lunghezza di deriva per varie frequenze di iniezione e diverse temperature. Impedenza d’ingresso Impedenza d’uscita Capacità d’ingresso Rise time Fall time Sensibilità Rumore Resistenza di feedback Capacità di feedback 1.75 kΩ 50 Ω 5 pF 55 ns 6 µs 3 mV /f C 150 e− r.m.s. 10 MΩ .35 pF Tabella 6.1: caratteristiche del preamplificatore ATI-1089. Per completare il quadro, l’ultimo passo è stato quello di diminuire la temperatura di esercizio del rivelatore. Al calare della temperatura (figura 6.9) si osserva un generale aumento dell’efficienza di raccolta; solamente per basse frequenze di iniezione è riscontrabile un calo della CCE, mentre per frequenze elevate l’efficienza raggiunge il 100%. 6.2 Analisi lungo la direzione di deriva 113 In figura 6.10 è presentato il quadro generale sul rivelatore AL1B-3, preso ad esempio sul metodo di analisi lungo la direzione della deriva: nel grafico è riportata l’efficienza di raccolta del segnale in funzione della frequenza di iniezione della carica per varie temperature alla tensione di alimentazione di -2373 V . Si può stimare un tempo di intrappolamento per gli elettroni di circa 1 µs a temperatura ambiente, valore che cala con l’abbassarsi della temperatura. La diminuzione dell’efficienza di raccolta osservata per temperature decrescenti a basse frequenze di iniezione (v. fig. 6.10) è imputabile al calo della corrente di leakage. Infatti, anche gli elettroni che compongono questa corrente subiscono il processo di intrappolamento; una diminuzione del loro numero dovuta alla minore temperatura porta cosı̀ all’aumento della densità di trappole vuote che il segnale dovrà attraversare e ad una conseguente diminuzione della CCE. 1.2 1.1 1 CCE 0.9 o 23oC 5 C o -5 C o -15 C 0.8 0.7 0.6 0.5 0.4 0.3 0.2 1e+01 1e+03 1e+05 1e+07 frequenza di iniezione (Hz) Figura 6.10: CCE in funzione della frequenza di iniezione a diverse temperature. Possiamo introdurre un coefficiente di assorbimento lineare del segnale µtr , definito come µtr = Nef f · σtr , (6.2.1) dove Nef f rappresenta la densità efficacie di trappole nel silicio e σtr è la loro sezione d’urto per il processo di cattura degli elettroni. L’efficienza di raccolta del segnale in funzione della distanza di deriva avrà 6. EFFICIENZA DI RACCOLTA DEL SEGNALE 114 un’andamento del tipo CCE(x) = S(x) = e−µtr x , S(0) (6.2.2) dove S(x) rappresenta la carica raccolta dopo un percorso x nel silicio ed S(0) il segnale iniziale. In figura 6.11 è illustrata la CCE in funzione della distanza di deriva per il rivelatore AL1B-3; la temperatura a cui è stata effettuata la misura è 23o C, il tempo di ripetizione degli impulsi laser è pari a 10 ms. Il valore di µtr ottenuto dal fit dei dati è 0.0255/35 = 7.3 × 10−4 mm−1 . 1 CCE 0.8 0.6 0.4 CCE = e- Ntr &tr d = e-0.0255 0.2 0 0 5 10 15 20 25 distanza di deriva (mm) 30 35 Figura 6.11: fit della CCE in funzione della distanza di deriva. 6.3 Conclusioni I risultati dello studio qui esposto sottolineano che l’inefficienza di raccolta del segnale evidenziata in alcuni SDD non è imputabile al disegno del rivelatore. È palese che risulta quanto meno sconveniente utilizzare dispositivi che presentano una perdita del segnale che raggiunge valori dell’80% nel peggiore dei casi. Nasce ora il problema di capire l’origine di questo difetto; se per i rivelatori fortemente irraggiati è comprensibile l’insorgere di problemi di trapping, nel caso del rivelatore AL1B-3 e degli altri SDD mai utilizzati in precedenti test beam o esposti a radiazione e che tuttavia presentano una 6.3 Conclusioni 115 deficitaria raccolta di carica la spiegazione non è immediata. L’unica via percorribile sembra essere quella della presenza di impurità pregresse nel wafer di silicio oppure la creazione di difetti in seguito ai processi di lavorazione del rivelatore. Un’unica nota riguarda il disegno degli SDD: i valori dei potenziali di alcuni catodi della zona di raccolta sono stati leggermente modificati per assicurare una perfetta efficienza di raccolta di carica. 116 6. EFFICIENZA DI RACCOLTA DEL SEGNALE Ringraziamenti Al termine di questa esperienza desidero porgere un doveroso ringraziamento al Prof. Andrea Vacchi ed al Prof. Rinaldo Rui per la Loro continua disponibiltà e collaborazione. La mia piú sincera stima va ad Alexander Rashevsky e Claudio Piemonte, persone di indubbia competenza e grande professionalità. Devo a Loro la conoscenza di quanto è presentato in questo lavoro ed il ricordo di un periodo sereno e stimolante. Bibliografia [1] J. Kapusta, Phys. Rev. D23 (1981) 2444. [2] C. Y. Wong, Introduction to High-Energy Heavy-Ion Collisions, World Scientific. [3] J. D. Bjorken, Phys. Rev. D27 (1983) 140. [4] J. P. Blaizot, Signals of the quark-gluon plasma in nucleus-nucleus collisions. [5] M. Abreu et al., Phys. Lett. B477 (2000) 28. [6] S. Margetis et al., J. Phys. G25 (1999) 189. [7] E. Andersen et al., Phys. Lett. B449 (1999) 401. [8] J. W. Harris et al. (STAR Collaboration), Proc. Quark Matter 2001, Nucl. Phys. A698 (2002) 64c-77c. 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