Atti della giornata di studi - IBC Emilia Romagna

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Atti della giornata di studi - IBC Emilia Romagna
Atti della Giornata di studi
Percentuale per l’arte negli edifici pubblici
Bologna, Palazzo Gnudi, Sala degli Specchi, via Riva Reno 77
13 maggio 2009 ore 9.30-18
SESSIONE MATTUTINA
Ezio Raimondi
Presidente Istituto Beni Artistici, Culturali e Naturali (IBC) della Regione
Emilia-Romagna
Tocca a me, come Presidente dell’Istituto per i Beni Culturali, di
attendere all’ufficio di apertura di un convegno che è quello dei saluti rituali.
Il saluto a tutti gli amici che sono qui presenti, che si trasforma in un
ringraziamento per aver accettato, insieme con noi, di dibattere un problema
che riteniamo di qualche interesse.
L’Istituto che ho l’onore di presiedere ha per compiti istituzionali lo
studio di aggregazione, di censimento e di conoscenza dei fatti artistici,
culturali e naturali della Regione e da tempo aveva in mente di concedere
ad un’operazione relativa agli effetti della legge 719 del 29 luglio 1949 sul
cosiddetto 2%; e da qualche anno la solerzia con cui i alcuni dei suoi
funzionari si è attesa ad una raccolta di dati e al censimento relativo alle
opere nate attraverso la legge del 2%.
Ci sono voluti un certo numero di anni per fare una ricerca complicata e
difficile
e
ricomporre
un
capitolo
che
ancora
nessuno
conosceva,
o
conosceva soltanto per frammenti, senza ricavarne una logica più ampia,
senza trarne delle conseguenze per quello che può anche essere uno
sviluppo futuro. E il censimento è arrivato ai suoi effetti conclusivi,
producendo un libro che è stato distribuito, Il percento per l’arte in EmiliaRomagna, che da conto dei risultati del censimento 158 luoghi che sono
tornati ad essere un capitolo unitario, con una serie di complementi ed
osservazioni, o commenti a una situazione o ripresa di un discorso perché
ricomporre il capitolo del 2% nella nostra regione, significa riprendere un
problema che nel fondo è la presenza del contemporaneo dei cosiddetti beni
culturali visti nella loro insolita dimensione storica.
Il volume è il punto di partenza per quello che è il nostro dibattito oggi e
come dicevo, per ripetere il titolo di un capitolo all’interno del volume, si
tratta di trovare il rapporto tra architettura, arti e città, quindi un problema
del nostro presente.
In questo modo, abbiamo operato un’operazione a due effetti: da una
parte abbiamo riproposto un capitolo unitario che è una specie di museo
diffuso vincolato alle ragioni dirette della vita quotidiana di edifici, di
istituzioni e della società nelle sue sfumature private, dall’altra il discorso
storico diventa il punto di partenza per riprendere un problema, per
ricomporre di nuovo la nostra attenzione su ciò che essere contemporaneo
nel nostro presente con una funzione che è contemporanea mente di gusto,
la cosiddetta estetica, e dall’altra parte di ordine sociale.
A me non compete aggiungere altro, il mio saluto è diventato un
ringraziamento e vi faccio gli auguri di buon lavoro tenuto conto che
speriamo che la vecchia legge si riattivi e di riprendere, con questi incontri,
risultati positivi per il nostro presente così conteso e così difficile.
Pur
tuttavia
un
discorso
sull’estetico
è
una
ragione
che
si
può
raggiungere ancora nel modo di intendere il nostro presente ai sensi di
questo tempo così cruciale e così complesso.
Buon lavoro a tutti e grazie di essere qui con noi.
Interventi
Andrea Emiliani
Storico dell’arte e amministratore culturale, già Soprintendente ai Beni
Storici e Artistici
La “decorazione “ dell’arte, ovvero l’arte applicata all’arte, è un’antica,
classica dimensione della stessa espressione artistica - dalla pittura alle
cosiddette arti minori - e insieme una nozione concettuale . In realtà,
nell’esperienza
moderna
le
due
dimensioni
sono
strumentalmente divise. La decorazione - a fine ’800
strumenti concettuali e
quel
un
- fu elevata
po’
tra gli
critici anche da alcuni storici dell’arte, come da
Bernard Berenson , a far parte
pura visibilità
state
dell’orizzonte
dell’età che nasceva dalla
nata sul finire del secolo XIX. Il suo significato divenne in
mo mento
di
uso
assai
limitativo
,
quasi
a
dimostrare
‘decorazione’ fosse un atto di valore soltanto aggiunto .
intesa come modello operativo
che
la
Essa tuttavia,
in forte crescita di un’età che aveva
conosciuto molte “arti”, da quelle meccaniche a quelle ‘belle’ e ideali, e poi
anche quelle artigiane per non dire di quelle industriali
arrivate,
- che , ultime
addirittura furoreggiarono nell’Europa delle grandi Esposizioni, a
partire da quella di South Kensington a Londra nel 1851- aveva preso e
continuava a prendere, aspetti e responsabilità molto diverse tra loro. La
forza che la decorazione si era guadagnata sul campo
finì
infine per
renderla autonoma e per dividerla dall’arte .
In Italia , l’età delle “arti” decorative storiche si rivolgeva , quasi per un
loro
destino
riassunzione
post-rinascimentale
,
ad
una
continua,
delle caratteristiche degli infiniti modelli
che si aggiravano nei musei e prima ancora nelle
creative generarono arte e decorazione,
ceramiche, ma poi anche
oggetti bronzei,
quasi
obbligata
esistenti , esempi
grandi collezioni.
Città
così da produrre soprattutto
strutture lignee, modelli di
tessitura , invenzioni tratte dal vetro e un intero mondo in rapporto con
forme e materie . Un esempio tra molti: il Museo del Bargello, in una città
della Rinascenza anche “produtti va” come Firenze, nacque progettualmente
come una concentrazione di arti “industriali” storiche da opporre ,
secolo XIX ,
nel
ai massimi esempi di Norimberga, di Parigi, di Vienna come
anche di Londra. Ma poi, come a Londra il grande impianto di South
Kensington divenne
forza
d’arte
il museo Victoria & Albert ,
propriamente
detta,
a
assumendo una specifica
Firenze
il
Bargello
divenne
inesorabilmente un museo d’arti elette e per nulla industriali. E così è
tuttora.
L’arte antica è sempre contenuta in
riconnette
ogni
forma
alla
lasso di tempo e di spazio che
nozione
centrale
dell’espressione,
così
nell’architettura che nella pittura oppure nelle arti strumentali o appunto
decorative.
Ciò accade
perfino nel grande spazio-tempo del paesaggio,
l’ambiente
costruito dall’uomo e dal suo lavoro , già affascinante
per
nostra volontà , e che oggi stiamo stupidamente deteriorando e portando in
tal modo alla distruzione.
Le
avanguardie
novecentesche
che
nacquero
appunto
dal
puro-
visibilismo e soprattutto dalla riflessione portata sul grande ceppo della
forma come vitalità dell’espressione, dal futurismo allo stesso divisionismo,
e soprattutto al cubismo, nonché al surrealismo e ad altre correnti ancora,
entrano - dopo la proposta delle avanguardie di Parigi di comporre il tutto
nel regime dell’Art-Deco- entro questa stagione che è così particolare, ma
anche generale. Gli anni ‘30 in Italia, vivendo la contraddizione ben nota di
ultima
ma resistente cultura, così d’arte che di letteratura, ma in pieno e
anche
retorico
regime
reazionario,
hanno
manifestato
grandissima
attenzione a l’Art-Deco . Essa forse allora si denominava in modo più
tradizionale, ma gli artisti la usavano esattamente come post-avanguardia e
nell’intelligenza di un’arte sempre più vitale e intelligente.
Questa, già negli anni ’30,
gradevole,
che
del
resto
all’economia produttiva che
si
fu una tematica tanto diffusa quanto
affiancava
alla
moda,
allo
spettacolo,
allora cercava per giunta le strade dell’
”autarchia” e che dunque accettava soll ecitazioni artistico-artigiane, e le
nuove articolazioni che si spinsero già allora nella direzione del “design”
come espressione di molteplici interessi, voluttà sperimentali di materie
diverse e anche “povere”: ma tutte sostenute, si direbbe, entro il ri ferimento
alla
grande
forma
in
quanto
spazio
e
tempo,
tutte
realizzate
con
un’esperienza produttiva capace di tradurre la grande abilità del lavoro
“ manuale” ed artigiano in una perfezione che tendeva a trasformarsi in
ricchezza industriale.
Un esempio di eccezionale importanza per la presenza vitale dell’ atto
“deco” e anche più ampiamente “decorativo” è esplicito, anche prima del
conflitto
mondiale
pianificazione
1940-1945,
architettonica
nella
italiana.
progettazione
Già
e
nella
nell’eclettismo
stessa
progettuale
europeo, ma soprattutto nell’età assai alta del razionalismo italiano, la
forma architettonica che decorreva da Bigini e Pollini e da altri – che
incontreremo anche del dopoguerra - esigeva la presenza di forme create, di
oggettivazioni formali e materiali che conferissero a quelle volute e razionali
nudità il prestigio del decoro: e dunque appunto della decorazione.
Il
tema
dell’architettura
e
dell’arte
decorativa
venne
assumendo
grande sviluppo in previsione dell’E42 nei pressi di Roma. Per il numero
degli specialisti, degli architetti e anche degli artisti, il progetto – spezzato
dallo scoppio della guerra mondiale -
ha rappresentato il cantiere più
espressivo
italiane.
dell’arte
e
dell’architettura
Ed
è
singolare
ma
comprensibile che proprio il materiale ceramico fosse considerato materia
espressiva durevole e calorosa. Più tardi, ma
in quello stesso spirito dei
tempi, nacque una legge nazionale che doveva associare in ogni progetto
architettonico l’esistenza necessaria – si diceva – di un’opera d’arte: ma
che in realtà doveva essere, nella mente dell’architetto progettista, un’opera
immaginata e cresciuta in una opportuna visione autonoma e nel tempo
stesso connaturata al suo ambiente . Come abbiamo già ricordato , allora si
chiamavano anche “arti applicate” ma era proprio quella “applicazione” che
una
volta
ancora
doveva
essere
combattuta,
come
ogni
banale
sovrapposizione, per ritrovare infine una possibile “unità” delle arti. Del
cantiere annoso dell’EUR
attuazione
e delle sue prospettive di progettazione e di
la Fondazione Cassa di Risparmio di Imola ha promosso la
pubblicazione del volume documentativo
di Mario Serio, edito da Bononia
University Press con il titolo Istituzioni e politiche per i beni culturali
Materiali per una storia nel 2005.
Nacque da questa esigenza molto avvertita, sopraffatta più tardi dallo
scoppio della guerra, quella legge detta del 2/100 che prevedeva un’opera
“deco” ovvero decorativa
per ogni edificio statale costruito, finanziata con
una percentuale – appunto – della spesa globale incontrata . Essa fu molto
sostenuta da un giovane Giulio Carlo Argan, per non dire di Mario Socrate,
quale responsabile del Sindacato Artistico di sinistra nel dopoguerra. Ebbe
qualche applicazione sparsa, e soprattutto malconosciuta .
incaricato
Io stesso
fui
d’ufficio negli anni ’60, a Bologna e in Romagna, di condurre
qualche pubblico concorso. Tra tutti, vorrei ricordare la bellissima lastra di
grés bianco di Carlo Zauli, realizzata circa nel 1966, che oggi è stata
ricollocata nel nuovo Ospedale Civico di Vecchiazzano a Forlì; così come,
più tardi, il grande girale collocato a giorno sulla fiancata dell’Istituto
Universitario di Matematica al fondo di piazza San Donato a Bologna.
Se la legge è stata poi sommersa e dimenticata (sarebbe ancora in
vigore, in teoria) ciò è accaduto sia per la disattitudine nazionale
programmazioni culturali, che
alle
insieme per la caduta di questi valori
nell’ambito dell’architettura contemporanea. Non ho mai visto architetto
progettista che fosse in grado di ideare, in collaborazione
con un artista ,
si intende, un assetto decorativo per un edificio pubblico, ma cresciuto in
una collaborazione vera e anzi connaturato ad esso , alle sue finalità e
infine al suo stile. Ancora una volta, in questi decenni, ha finito per
prevalere l’ “applicazione”
di un brano decorativo , magari di qualità ma
senza dimestichezza alcuna con lo spazio-tempo della forma architettonica.
Tutto si risolve insomma in
un oggetto da appendere, sovrapporre,
attaccare, ma non da creare nella sua autonomia .
Ho voluto insistere su di un evento che poteva essere molto utile e
produttivo, ricco di lavoro, di professionalità e di economia . Però bisogna
riconoscere che l’art-deco autonoma
comunque proceduto
e indipendente nel frattempo ha
in forza del suo fascino e della ricchezza delle sue
possibilità. Molti artisti sono divenuti soggetti ricercati e amatissimi da un
fecondo collezionismo, numerose sono le abitazioni contrassegnate da una
notevole qualità di arredo decorativo. Il collezionismo privato ha stimolato il
settore dell’art-deco, lo ha condotto verso l’attenzione di alcune manifatture
nazionali famose in queste iniziative oppure rinnovando in tempi moderni il
valore insostituibile della bottega e del laboratorio privato. Ciò è avvenuto
con grande fortuna in questa Italia, con accentuazione diverse e anche
sopravvivenze novecentesche, di reviviscenza regionalistica oppure legate a
linee produttive tradizionali ancora riconoscibili. Bisogna dire che anche per
questo l’autonomia espressiva della creatività “deco” è stata saldamente,
squisitamente riconfermata, almeno sul piano dell’oggetto nell’ambiente
domestico e nella sua riconoscibilità privata .
Credo di essermi ritrovato, nella qualità di primo incaricato di Cesare
Gnudi, Soprintendente – come si diceva allora – “alle Gallerie e ai Musei “
di Bologna e delle province di Romagna, a dover affrontare in
legale estensione
nazionali
aspetti, snodi e congiunture
dei moderni concorsi
(detti “del 2 /100”). Si trattava di prendere contatto con l’ente
costruttore, per lo più un Comune: e concordare con lui
visibilità
ogni sua
contenuti e
di un oggetto dotato di decoro formale, oppure anche cromatico
che venisse a configurarsi in progetto e in ipotesi poi sviluppata in progetto
di
investimento,
di
spesa,
di
messa
in
opera
e
alla
fine
anche
di
comunicazione pubblica.
Ho già dato esito pubblico
- da allora - alla necessaria discussione a
riguardo dell’evidente crisi per sfinimento così inventivo che finanziario che
progressivamente
invase le virtù delle ‘arti applicate’
spazio evidente, come la ceramica
anche in aree di
di forte cromatismo
nell’occasione dell’uscita editoriale
del fascicolo
: e ciò accadde
n°7 del Rapporto
sull’attività di tutela, conservazione e restauro della Soprintendenza alle
Gallerie, con un contributo dal titolo Improrogabile una riforma della Legge
717 ovvero del 2%
( pp. 55-67).
Si trattava, ricordo, del primo fascicolo
intestato alla funzione di Rapporto
sull’attivi tà di tutela sviluppata da
questa Soprintendenza. I numeri precedenti erano stati destinati alla
funzione di Diario di lavoro e di Soccorso bibliografico e cartografico delle
prime Campagne di Rilevamento dei beni culturali (anni 1968-1969 e parte
del 1970) Nota in calce. La Collana dei Rapporti della SBAS di Bologna
realizzò una novantina di numeri editoriali , comprensivi di scritti come
quelli di Hans Belting, di Cesare Gnudi,
e di Vincenzo Cardarelli , ma
soprattutto di relazioni propositive e riassuntive dell’esperienza di restauro
e di conservazione. La Collana , la sola sede di un dibattito museografico e
anche urbanistico
silenziosamente
organizzata nel dopoguerra immediato in Italia, fu
cassata senza neppure un comunicato in proposito, alla
mia cessazione di attività per pensionamento (aprile 1997) ; come del resto
ogni altra documentazione di recupero, di restauro, e di tecniche di
supporto.
La causa prima della progressiva riduzione di interesse a riguardo del
destino culturale e della metodologia di invenzione e di realizzazione,
risiedette palesemente nella evidente
perdita di contiguità del concetto
spaziale che ha governato, nei secoli,
plasticità come figurazione e
struttura come massa : una contiguità che ha letteralmente popolato i l
mondo greco-latino, come anche spesso quello medioevale e rinascimentale
, ma che a decorrere dall’architettura dell’eclettismo ha imparato a separare
i due mondi e non li ha riaccostati se non, come si è detto, in fase di volontà
creativa di avanguardia.
Nel 1942, avendo l’EUR romano come campo di sperimentazione, si
comprese (talora reboante, talaltra corretta, la consanguineità spaziale che
il neoclassicismo con i suoi teorici e storici, a cominciare da Leopoldo
Cicognara (1808-18) e da Pietro Giordani, avevano postulato anche nel bel
mezzo nell’hegeliano grande ritorno dei valori plastici, il modello neorazionalista e in certi aspetti anche quello neo-retorico e celebrativo del
regime, ritornarono a praticare e proprio sulla scorta dell’art-deco, alcune
congiunzioni di sapore diverso: molto corretta la Sala della Scherma di
Moretti, un capolavoro oggi da restaurare e da riabilitare, e a pochi metri lo
Stadio dei Marmi, più esibizionistico anche se gradevole nel suo approccio
al paesaggio (Foro Itali co ).
La legge del ’42 nasceva come corollario dalla revisione della 1089 del 1
giugno 1939, legge di tutela nata con Corrado Ricci nel giugno 1909, n.364;
nonché dalla finalmente nata Legge urbanistica emanata nel ’42 stesso da
Bottai, ormai in
fase di chiaro dissenso dal regime. Per non dire, a
Ricostruzione avviata, dalla necessità di tenere in piedi ed attive quelle
tuttora presenti fasce di speciale mano d’opera (scultori praticanti, ma
anche ceramisti, fonditori, fabbri plasmatori, mosaicisti,
pavi mentisti,
ornatisti di volte e di pareti, falegnami, ecc.) che proprio nell’opera mirabile
di riabilitazione del patrimonio italiano si erano rafforzate. Basterebbe
ricordare la grande, incomparabile forza creativa e decorativa per molte
materie espressa dalle maestranze ancora presenti ed attive nelle Scuole
d’Arte : un riserva di formazione e di esperienza senza confronti, dopo pochi
anni distrutte e demolite - purtroppo - da banali sovrapposizioni di attualità
sorte dinanzi alle nuove tecniche di mesti ere o presunte tali: cinematografia
sperimentale,
o
cromato
fotografia,
oppure
regia
teatrale,
ed
altre
qualificazioni improbabili a Caltagirone come a Cittadella .
L’impulso più conscio per procedere ad una sperimentazione rinnovata,
in fondo , doveva giungere fino alla conoscenza critica da un esatto dettato
di
Giulio
Carlo
Argan
nella
dell’Associazione Internazionale
modestamente
ma
anche
più
qualità,
anno
1963,
di
Presidente
dei Critici d’Arte ( AICA). Io stesso,
praticamente,
nel
corso
di
più
un’ormai
storicizzata collaborazione con il primo quotidiano “Il Giorno” delle origini,
quello diretto da Italo Pietra , avevo scritto qualcosa circa la legge ( bella
ma latente ) che aveva richiamato l’attenzione di Mario
Segretario AIAP. Fatto sta che
Penelope
, allora
in quei mesi di fine ’70, il Provveditorato
alle Opere Pubbliche di Bologna, che ricordo a quelle date assai ben diretto,
richiamò in vita
il
provvedimento e sottolineò a tutti coloro che si
preparassero a privilegiare qualche evento di ‘abbellimento di edifici
pubblici’ (così si diceva, malamente, in quegli anni) ne raccomandava
l’affidamento in collaborazione proprio con la locale Soprintendenza ai beni
artistici e storici (che si chiamava ancora “alle Gallerie “) .
Fu in questo modo che per qualche anno ci ponemmo a lavorare,
inadeguati in quanto a organizzazione e a comunicazione,
attorno ad un
discreto numero di appalti-concorsi , piuttosto vivaci – da un lato – per la
sempre discreta entità economica di premio ; e dall’altro per la volontà di
garantire scelte artistiche, concetti spaziali, materialità opportune di peso e
selezione tale da resuscitare un non contestabile lavoro di ‘contiguità’ ma
non di sovrapposizione
oppure di abbellimento, oppure di falsa banalità
sovrapponibile. La stagione, alla quale fui delegato personalmente, vide
realizzati alcuni
grandi ‘premi’ specie nel campo di materiali creativi
durevoli , dal bronzo alla ceramica, dal bronzo alla pietra. Il territorio più
intenso di offerte fu quello romagnolo, anche in presenza d’una forte
tradizione nel campo della ceramica ( Faenza, Imola ), oppure del mosaico
(Ravenna)
e infine delle fusioni nobili (Bologna). Privilegiammo anche
talune
espressioni
non
tradizionali
(Paesaggi
fotografici
di
grande
estensione per Scuola Elementare di Castel d’Aiano , autore: Paolo Monti),
come anche Ferri lavorati a Imola (Piscina Comunale, autore: Germano
Sartelli ). Ma le più durevoli furono , anche in ragione della loro qualità, le
opere di grandi scultori ceramisti come il giovane Carlo Zauli , oppure di
Angelo Biancini, e infine di altri dell’Istituto Ballardini di Faenza (Bianco,
Piancastelli, Dal Monte, Leoni ecc.). Opere in bronzo di elevato peso e
spessore spaziale furono quelle di Sandro Cherchi nell’Ospedale Maggi ore
di Bologna, e le altre di Quinto Ghermandi realizzate in Bologna (Scuole
Zanotti) e in Forlì ( Tribunale Civile ).
A metà degli anni ’70 l’afflusso di notizie dal Ministero del Lavoro venne
a decadere vistosamente, e l’attività
si venne spegnendo nuovamente
anche per la carenza di un solido lavoro di comunicazione da istituire e da
approvvigionare
stessa.
nelle informazioni di lavoro degli Enti Locali e la Regione
Piero Orlandi
Responsabile del Servizio Beni Architettonici e Ambientali dell’IBC
Questo convegno è dedicato ad esaminare i casi migliori dell'arte
pubblica nella nostra regione, e anche a presentare un progetto di legge di
revisione della normativa statale sul percento per l'arte, che è stato
elaborato dal Servizio Legislativo della Regione Emilia-Romagna con il
supporto di un gruppo di lavoro coordinato dall’Istituto Beni Culturali. Un
decreto
ministeriale
ha
definito
questa
materia
come
a
legislazione
concorrente, invitando dunque le Regioni a intervenire sulla questione della
applicabilità, dell’attuazione, delle problematiche connesse alla gestione
della legge del 2%, anche attraverso provvedimenti legislativi regionali.
Nella
nostra
regione
abbiamo
avuto
una
anticipazione
di
questo
percorso perché nel 2002 è stata emanata una legge, la Legge 16, che
toccava anche la questione dell'arte pubblica tra le sue diverse finalità. Da
un lato infatti essa si occupa di rinnovare norme che la Regione si è data fin
dall’inizio degli anni ’70: una, è la Legge 2 del 1974, che uscì ancora prima
che la Regione avesse una legge urbanistica - la legge urbanistica regionale
è
del
1978
-
e
aveva
essenzialmente
il
compito
di
incentivare,
di
promuovere la cultura della conservazione dei centri storici presso i comuni.
Come
è
noto,
nella
nostra
regione
la
prima
esperienza
importante,
significativa di conservazione dei centri storici è stata quella fatta dal
Comune di Bologna alla fine degli anni ’60, quando le Regioni non c’erano
ancora. Nel ’74, la Legge 2 decise di occuparsi dell’argomento della
conservazione dei centri storici – ripeto, in assenza di una organica
disciplina urbanistica. La conservazione dei centri storici passava anche per
il restauro degli edifici, e anche attraverso questa norma si estese la pratica
del restauro dai singoli edifici monu mentali a edifici all’intero tessuto del
centro edificato storico.
Tra l’altro la legge prevedeva che l’Istituto Beni Culturali, che nel
frattempo stava entrando in funzione, redigesse un inventario dei centri
storici, che poi è stata una lunga, grande, importante occupazione delle
prime fasi di lavoro dell’Istituto Beni Culturali nel settore del territorio;
questo inventario è stato recepito dopo oltre dieci anni, nel 1985, quando, a
seguito dell’uscita della legge “Galasso” sulla pianificazione paesistica, si
decise che il Piano Territoriale Paesistico regionale - elaborato, essendo
Assessore
Felicia
Bottino,
nel
quinquennio
’85-’90
-
doveva
anche
riprendere i risultati della Legge 2 del 1974 quanto alla indicazione delle
varie località storiche che erano presenti nel territorio regionale. Questo
corrisponde a recepire in un importantissimo piano regionale i concetti di
estensione della tutela dal singolo edificio al tessuto urbanistico
La Legge 2/1974 poi generò nel 1989 una nuova normativa. Nell’89 si
era ancora all’interno del decennio degli anni ’80, un decennio ricco di
disponibilità finanziarie: si decise dunque di allargare alla proprietà privata i
benefici della legge regionale, infatti fino al 2002 sono stati anche sostenuti
interventi su edifici privati, di restauro e di rifunzionalizzazione.
Poiché sin dalle origini le Regioni hanno competenze in materia di
urbanistica,
si
inserivano
queste
norme
nell'ambito
della
disciplina
urbanistica, non essendo la materia della conservazione, della tutela dei
beni culturali, di competenza regionale. Del resto, è del tutto plausibile
ritenere che un edificio abbia importanza non solo dal punto di vista
architettonico e artistico, ma anche dal punto di vista della funzionalità
urbana: ridando valore, ridando atti vità e funzioni a un edificio, si opera
nell’ambito della qualità urbanistica delle città, che è una competenza
comunale, con un controllo provinciale e una funzione normativa regionale.
Dopo questa serie di leggi, nel 2002 (con la legge 16, “Promozione della
qualità architettonica e paesaggistica del territorio”) la Regione ritiene di
rinnovare i concetti legati alla qualità architettonica e comincia ad esprimere
anche una necessaria distinzione tra la qualità architettonica intesa come
“beni culturali” - cioè ciò che esiste - e la qualità architettonica di ciò che va
costruito. Per la prima volta in una legge si pone questa questione, facendo
tesoro dell'esperienza tratta dalla programmazione ventennale dell’edilizia
residenziale pubblica: i programmi integrati, i programmi di riqualificazione
urbana, che sono gli ultimi strumenti individuati per programmare le risorse
per la casa, si pongono l'obiettivo di ridare qualità a quartieri che sono stati
costruiti con i fondi dell’edilizia pubblica per le categorie disagiate: anziani,
giovani coppie, emigrati, lavoratori in mobilità. La giusta attenzione agli
effetti sociali aveva fino allora messo in ombra i problemi di qualità urbana,
e contribuito ad espandere le città con i vari piani per l'edilizia economica e
popolare. Sono stati costruiti quartieri con pochi servizi, si è continuato a
riprodurre all'infinito l’effetto di copertura di impermeabilizzazione del
territorio, a espandere le strade, i servizi a rete: insomma, tutte cose che
dal punto di vista degl i urbanisti, degli ambientalisti sono note e che magari
sembrano meno pertinenti a un convegno sull'arte; ma quanto forti sono i
nessi tra architettura, urbanistica e arte si capirà più oltre.
Ecco dunque il discorso nuovo che affronta la legge regionale 16. Che
dice: restauriamo ancora gli edifici che meritano di essere restaurati,
finanziamo ancora i piani di recupero dei Comuni che vogliono fare
interventi di recupero nei quartieri e nei comparti del centro storico, però
inventiamoci anche altre due cose per qualificare il paesaggio: costruiamo
nuova architettura di qualità più alta di quanto fatto finora, e demoliamo gli
edifici
che
sono
stati
costruiti
con
evidente
incongruità
rispetto
al
paesaggio. E ancora: incentiviamo concorsi di architettura, una pratica
necessaria per stimolare il confronto tra più proposte,e dunque la qualità del
progetto, forse l'unica possibile, come a quei tempi sembrava anche alla
DARC, la Direzione generale per l’Architettura e per l’Arte Contemporanee
del Ministero Beni Culturali. In questa idea di lanciare nuovi strumenti sta
anche il ricorso all’arte contemporanea, non solo come abbellimento,
inserimento di una decorazione in un edificio o in uno spazio pubblico ma
come occasione di co-progettazione di artisti ed architetti, e urbanisti. Molti
sostengono – e forse in parte è vero – che spesso e volentieri gli architetti
non amano molto lavorare con gli artisti, e gli artisti con gli architetti, ci
sono ovviamente alla base delle formazioni diverse, delle professionalità
diverse, ma quello che sembra
paradossale è che non si riesca più a fare
ciò che si faceva storicamente. Arte e architettura, arte e città, per un
periodo molto lungo e glorioso della nostra storia sono state fortunatamente
coese, poi si sono improvvisamente allontanate.
Ci si può chiedere il perché, e ce ne sono tanti. Sono questioni che
datano dalla fine dell’800, e raccontano della fine di una funzione storica
dell’arte come trasmissione di valori civili, religiosi, tradizionali. Già con
l’impressionismo si erano create delle fratture nella comprensione tra il
pubblico e gli artisti. Ma poi c'è altro: la nascita della fotografia, che porta a
svalorizzare l’arte figurativa, a porre delle domande su quale sia la funzione
dell’arte quando è nato il mezzo fotografico, che può rappresentare la realtà
in maniera così evidente e incontrovertibile (almeno all'apparenza, almeno
secondo un ingenuo positivismo).
E più tardi
agisce il razionalismo architettonico, ma ancora prima il
viennese Adolf Loos, che qualifica l’ornamento come delitto, nel suo famoso
libro omonimo. Insomma si crea una rottura
profondissima, tra arte e
architettura, una rottura che appunto nel 1949 si sente il bisogno di colmare
con una legge, la 717 sul due per cento. Che negli anni '50, '60 e anche
negli
anni
'70
viene
applicata,
ma
sempre
meno,
e
alla
fine
viene
dimenticata.
Gli anni recenti hanno portato di nuovo a una certa centralità la
questione dell’arte. Un esempio tra i più felici è sicuramente quello di
Barcellona; molto celebrata agli i nizi degli anni ’90, Barcellona entra con
prepotenza all’interno della storiografia urbanistica e architettonica: si cita
la capacità di
Oriol Bohigas, nominato come l’architetto capo della
municipalità, nel recuperare e qualificare gli spazi pubblici, attraverso
interventi che vedono la collaborazione molto stretta di alcuni architetti
molto importanti della new wave spagnola con artisti.
La stessa cosa succede, notoriamente, a Bilbao con l’intervento di Frank
Gehry che realizza il Guggenheim Museum. Poi ci sono altri esempi europei,
per
esempio
l'IBA
Emscher
Park
in
Germania,
è
una
grandissima
riconversione di area industriale, l’area industriale più importante d’Europa,
che viene negli anni ’80 recuperata riconvertendo anche le scorie di
carbone, i gasometri a finalità ambientali, paesaggistiche, creando colline di
rifiuti industriali, rinaturalizzando spazi che un tempo erano fortemente
degradati.
Mi
piace
poi
citare,
anche
se
ha
portato
molte
polemiche
tra
i
conservatori e/o i fautori del nuovo all’interno dei centri storici, il cosiddetto
Friendly alien che è la Kunsthaus di Peter Cook a Graz, perché è un oggetto
– anche in questo caso un museo - all’interno di un tessuto urbano antico,
che crea dissonanze molto forti: è un tema che da noi – a Bologna, in Italia
- è difficile trattare, quello della possibile interazione tra moderno e antico
nei centri storici; la nostra cultura, tendenzialmente, mi pare che lo escluda,
salvo alcuni rari casi. A Bologna ho in mente soltanto il caso in cui furono
allestite le sculture di Pomodoro a Piazza Verdi, ma poco dopo furono
allontanate. Non mi viene in mente molto d’altro, se non vogliamo osare
citare il caso delle Gocce di Cucinella che tanti problemi portarono negli
anni passati.
Ho sentito anche un illustre opi nione espressa da Renato Barilli a un
convegno che si fece quattro o cinque anni fa, alla Fiera del Restauro di
Ferrara.
Pur
essendo
egli
un
noto
storico
dell’arte
contemporanea
esprimeva, però, una sua decisa contrarietà alla presenza di scultura
contemporanea all’interno di un centro storico, sostenendo che non c’è
possibilità di dialogo tra la scultura contemporanea e le forme antiche di un
centro storico. Diceva che invece l’arte contemporanea è molto ben
dialogante con il paesaggio extraurbano, cioè con il paesaggio naturale.
La legge 16 - per tornare al discorso avviato più sopra - ha prodotto
alcune esperienze interessanti: la più importante fu quando si riuscì a
destinare un contributo a un concorso di artisti a inviti per la realizzazione
di
un'opera
d'arte
nel
realizzando
(lo
era
allora,
lo
è
ancora...ma
probabilmente ancora per poco) giardino del Mambo a Bologna. Feci parte
della commissione, insieme a Dede Auregli, insieme all’allora direttore Peter
W eiermair, e ad altri specialisti. Vinse il progetto di Eva Marisaldi.
Ci sono casi importanti di buona cooperazione tra arte e architettura nel
Novecento a
Bologna: per esempio il Palazzo della Camera del Lavoro di
Florestano Di Fausto architetto non bolognese, ma romano; e, se pur in
misura minore, e cita l’edificio del Provveditorato alle Opere Pubbliche in
piazza VIII Agosto, di Cosentino e Molteni. Vorrei citare anche un edificio di
Vinicio Vecchi, in via Ugo Bassi, il cosiddetto Palazzo Sant’Unione. Ecco
tutti questi edifici hanno fregi artistici che sono stati fatti senza la
partecipazione della legge del 2%; quello di Vinicio Vecchi, il Palazzo
Sant’Unione che è della metà degli anni ’50 ha un fregio di Veldo Vecchi,
che era suo fratello.
Anna Maria Tatò
Architetto, esperto del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici
Ragioni e contraddizioni della legge del 2%. Il mio intervento vuole portare
la vostra attenzione sulla Legge Quadro sulla qualità architettonica, disegno
di legge presentato dal Ministro Bondi di concerto con i Ministri Meloni ,
Matteoli, Gelmini. Fitto, Prestigiacomo, contenente al suo interno l’articolo
10 – Opere d’arte negli edifici pubblici, articolo che abroga la legge 717/’49.
Premetto che, parlando di opere d’arte, per semplificazione, farò
riferimento alla pittura e alla scultura, ma so bene che questi termini stanno
stretti all’arte contemporanea che si esprime anche con altri codici.
In questa occasione merita ripercorrere velocemente la storia e
l’evoluzione
della
legge
cosiddetta
del
2%,
sia
per
rilevarne
le
problematiche e le contraddizioni dell’applicazione che se ne è fatta, sia, e
di conseguenza, per avanzare qualche proposta.
La prima stesura della legge che porta il nome “Arte negli edifici
pubblici” è di cinque anni prima quella del ‘49, la n. 839 dell’11 maggio del
42. Dice Giuseppe Bottai: “scopo della legge non è d’assicurare ai pubblici
edifici un congruo apparato decorativo, ma d’affermare il valore di pubblica
utilità del lavoro artistico.”
Dunque un progetto culturale e politico in cui l’arte doveva svolgere un
ruolo primario, di rappresentanza, di celebrazione.
Tale iniziativa non riscosse del tutto il favore degli architetti; nelle
pagine delle riviste “Architettura” e “Casabella” si leggeva una certa
preoccupazione per queste opere che avrebbero dovuto far parte delle
architetture: il nodo era come riuscire a far collaborare architetti, pittori e
scultori appunto integrando i loro diversi strumenti espressivi. La via che
sembrava più praticabile era quella del concorso promosso dallo Stato sia
per l’urbanistica, l’ingegneria e l’architettura, sia per la pittura murale, la
decorazione, la scultura.
Nel ‘49 la legge viene abrogata
e sostituita con la n. 717 che
modificata e integrata con la n. 237 nel ‘60 e con la n. 352 nel ‘97, ovvero
dodici anni fa, è quella tuttora in vigore.
Da notare le parole del testo del ’49: la quota del 2% si intende che
vada destinata
“all’esecuzione di opere d’arte figurativa”, mentre nel testo
del ‘60 si parla di opere d’arte destinate “all’abbellimento” degli edifici
pubblici; parola “abbellimento” ancora presente nel testo vigente.
Sostanzialmente le variazioni hanno riguardato la composizione della
commissione giudicatrice: nove membri nella 237/’60, cinque nella 352/’97,
due dei quali devono essere artisti di “chiara fama”.
Sottolineo questa
dizione chiara fama perché la scelta di questi artisti
ha comportato e
comporta
notevoli
difficoltà:
infatti
quali
sono
i
riferimenti
che
un’amministrazione pubblica può avere per procedere a tali nomine? Forse
bisognerebbe
indicare
la
Soprintendenza
ai
Beni
Culturali
o
anche
l’Accademia di San Luca, unico ente quest’ultimo, a carattere nazionale, che
si interessi in Italia delle arti figurative.
Altro
aspetto
rilevante:
in
quest’arco
di
tempo,
scompaiono
dall’obbligatorietà di applicazione della legge, le scuole (‘75), le università
(‘79)
e
l’edilizia
sanitaria
(‘93).
Queste
esclusioni
la
dicono
lunga
sull’impegno dello Stato nei confronti della cultura: si elimina l’arte proprio
dagli edifici e dai luoghi pubblici più importanti sia per la formazione che per
la conoscenza.
Ma è tutto passato sotto silenzio.
Comunque la scarsa diffusione e il ridotto utilizzo della legge, di fatto,
l’hanno resa
quasi inutile sia dal punto di vista sociale che culturale. E
pensare che la legge del 2% è stata ed è l’unica legge finalizzata alla
promozione dell’arte e quindi all’accrescimento attualizzato, moderno e
contemporaneo del nostro patrimonio artistico.
I pochi dati di cui siamo in possesso confermano che negli anni la
legge è stata pressoché disattesa: l’accantonamento nel quadro economico
dell’intervento veniva destinato agli aumenti dei costi.
Ricordiamo che l’eventuale inadempienza doveva e deve essere
rilevata dai collaudatori, collaudatori che, come spesso anche i progettisti,
ignoravano e ignorano l’esistenza di questa legge.
La mia esperienza nella gestione di tanti concorsi al Provveditorato
del Lazio e in altri Provveditorati è stata traumatica, anche perché non è
facile gestire una legge così sintetica e priva di un regolamento.
Nella maggior parte dei concorsi si è trattato sempre di edifici già
completati o in fase di ultimazione, ovvero la quota per l’opera di scultura
e/o pittura, pur essendo preventivata, veniva e viene messa a concorso ad
architettura ultimata o in via di ultimazione, secondo quel concetto di
“abbellimento”
sopra
sottolineato.
Peraltro
il
progettista
dell’edificio,
chiamato per dare indicazioni ai fini della stesura del bando, quasi sempre
non aveva elaborato alcuna idea in merito all’inserimento “postu mo” di
opere che invece nella storia spesso sono state pensate insieme, a
testimonianza di avere in sé molteplici elementi e ragioni d’integrazione.
Un esempio abbastanza recente sono i mosaici eseguiti nelle stazioni
delle metropolitane sia a Roma, che a Napoli: sono opere particolarmente
belle
e importanti, di artisti famosi (almeno la maggior parte): una grande
idea, ma anch’essa postuma. Infatti questi mosaici sono stati inseriti in
spazi certo non nati per accogliere opere di tale specie e misura, m. 2 x 10,
così che la loro vista e il loro apprezzamento risulta spesso impossibile.
Altro grosso tema da affrontare è stato ed è la pubblicizzazione di
questi concorsi. Non è certo la G.U. l’organo più letto, ma neanche gli avvisi
sui
giornali
nazionali.
Anche
in
questo
caso
la
Soprintendenza
e
l’Accademia di San Luca potrebbero essere dei giusti tramiti.
Da questi problemi nell’applicazione della legge e dall’obiettivo di
risvegliare l’attenzione su questi temi sono scaturite le “Linee Guida
all’applicazione della Legge – Arte negli edifici pubblici” , lavoro di una
Commissione del Ministero delle Infrastrutture e dei Beni Culturali,
da me
presieduta .
Il documento si articola in due parti: una
procedurale (facsimile di
bandi, decreti, contratti, ecc) per rendere l’iter più agile ma anche più
corretto, la seconda (che poi nel testo è la prima) affronta una rilettura della
legge, articolo per articolo, comma per comma, commentandola.
Ed è proprio nel commento che c’è stato uno sforzo di interpretazione
della norma cercando, pur nel rispetto del testo, di far emergere il
potenziale che ancora poteva essere ritrovato al suo interno.
Per esempio quando la legge dice all’articolo 1 comma 2 che “i
progetti
dovranno
d’arte…..”
contenere
l’indicazione
di
la domanda è: quando, a che livello?
massima
di
dette
opere
Prima del ‘94 il progetto
era elaborato attraverso due livelli, il progetto di massima ed esecutivo; ma
adesso, con la legge 109/’94 il progetto si svolge in tre fasi, preliminare,
definitiva ed esecutiva. Allora potremmo dire che già nel preliminare si deve
rintracciare una possibile interazione tra l’opera d’arte e l’edificio, nonché
possibili collocazioni anche in relazione gerarchica con gli spazi pubblici.
Questo potrebbe consentire di individuare, con procedura concorsuale,
l’artista o gli artisti (scultore, pittore) che potrà o potranno così elaborare il
progetto artistico in relazione all’evolversi del progetto architettonico.
E’ evidente la radicale differenza linguistica, tecnica, nonché nell’uso
stesso
dei
materiali,
ovvero
complessivamente
di
significato
tra
la
realizzazione di un progetto di architettura, e quello di scultura e di pittura,
che
si confrontano all’interno di uno stesso processo realizzativo, rispetto
ad un mero inserimento effettuato quando l’architettura dell’edificio pubblico
è ormai completamente definita.
Già nel ’90 Domenico Guzzi, a proposito del 2%, scriveva che tutto
l'annoso problema arte-architettura poteva derimersi solo su altre basi.
Partendo dal presupposto che l'architetto è pur egli - nelle migliori accezioni
- un artista, così come ovviamente sono artisti - una volta ancora nelle
migliori accezioni - i pittori e gli scultori che verranno chiamati ad
intervenire, opportunità vorrebbe che il lavoro di entrambi procedesse ab
origine di pari passo, non interscambiando i ruoli, ma, sì, opinioni e
confronti dialettici e metodologici, in ogni caso salvando gli specifici
d'ognuno.
Questo sforzo di rilettura degli articoli della legge, come ho detto,
aveva anche l’obiettivo di risvegliare l’attenzione sulla sua applicazione e di
sollecitarne la vigilanza.
Purtroppo, per motivi strettamente politici, il documento era firmato da
due Ministri che nel frattempo erano decaduti, queste Linee Guida sono
state solo pubblicate nella Gazzetta Ufficiale, senza ulteriori informazioni e
distribuzioni mirate a chi di competenza.
Vorrei inoltre fare una riflessione di carattere generale: le varie tappe
di modificazione e integrazione di questa legge, 1949, 1960, 1997, hanno
portato solo minimi cambiamenti. Dal primo schema non si è mai usciti,
quasi fosse perfetto e meritasse solo accomodamenti nella composizione
della commissione giudicatrice e nel limite minimo di spesa al di sotto del
quale non si applica il 2%.
E così veniamo al nuovo disegno di legge intitolato “Legge quadro
sulla qualità architettonica” comunicato alla Presidenza del Senato il 5
dicembre 2008.
Troviamo il nuovo articolo (Art. 10) “Opere d’arte negli
edifici pubblici” che si compone di nove punti e che viene a sostituire la
legge 717/’49.
Il titolo è pressoché lo stesso; i cambiamenti riguardano l’applicazione
del 2% non solo ai nuovi edifici pubblici, ma anche alle ristrutturazioni
edilizie e urbanistiche degli edifici esistenti. Vengono escluse l’edilizia
penitenziaria,
l’edilizia
residenziale
pubblica
e
gli
interventi
di
reindustrializzazione e di recupero di immobili a destinazione industriale.
Vorrei
avere
la
certezza
che
con
questo
atto
si
riammettano
all’obbligatorità dell’applicazione del 2% le scuole, le università e le
strutture sanitarie: a tal proposito ho sentito pareri discordi.
Nel comma 3 viene indicato il progetto definitivo dell’intervento come
momento in cui occorre prevedere l’inserimento delle opere d’arte ed il
relativo costo, altrimenti il progetto non potrà essere approvato dagli organi
competenti.
Quando l’opera d’arte da realizzare ha un costo inferiore a 500.000
euro (ovvero l’intervento edilizio non costi più di 25.000.000 di euro!!!) non
si procede con concorso ma la scelta dell’artista che deve realizzare l’opera
d’arte è affidata a tre persone: il committente, un critico-storico dell’arte e il
progettista dell’edificio.
Mi chiedo se non ci sia un errore sulle cifre. Potrebbe accadere che i
500.000
euro
siano
divisi
in,
supponiamo
10
opere
e
la
predetta
commissione debba scegliere dieci artisti.
Hanno sicuramente semplificato la procedura!
In contraddizione, a mio parere, nella stessa proposta di legge, negli
articoli precedenti,
si promuove lo strumento del concorso di architettura
nelle forme del concorso di idee e del concorso di progettazione, favorendo
anche la partecipazione dei giovani, istituendo premi e riconoscimenti.
Per importi superiori (che nella realtà si verificheranno in rarissimi
casi) si procederà per concorso e la co mmissione giudicatrice sarà formata
da cinque membri.
Un’ultima nota:
cui
al comma 5, sempre dell’art. 10,
si dice nei casi in
bandi dei concorsi di architettura prevedano la definizione dell’opera
d’arte e la partecipazione dell’artista nell’ambito dell’offerta, non si applica
il comma 4, ovvero non si procede ad ulteriore concorso per l’opera d’arte.
La
dizione
appare
molto
generica,
sarebbe
più
opportuno
rendere
obbligatoria la presenza di un artista nel caso di concorsi di progettazione
di opere pubbliche e, nel giudizio, dare il giusto peso a questa componente.
Inoltre
nel
gestire
la
legge
in
vigore
è
sempre
un
problema
compensare la commissione in quanto la legge non dice niente in proposito.
Anche in questa proposta non è chiaro come venga ri solto questo aspetto:
al tal proposito ritengo che sia importante, oltre che giusto, ricompensare
tutti i me mbri; ricordiamo che le commissioni per i concorsi di progettazione
sono retribuite.
E’ ancora il collaudatore che, sotto la sua personale responsabilità,
dovrà accertare l’adempimento della norma e comunicarlo al Ministero dei
Beni Culturali, altrimenti dovrà dichiarare l’opera incollaudabile.
Rimane il
dubbio: se il collaudatore non fa questo accertamento che succede? Che
significa sotto la sua personale responsabilità, c’è una sanzione?
Infine vorrei
rifarmi a quelli che, a mio parere, sono gli obiettivi
primari di cui si dovrebbe far carico lo Stato:
-
puntare sul valore “culturale” della qualità come questione di pubblico
interesse, in quanto teso a soddisfare la domanda di qualità della vita
che deriva anche da ciò che ci circonda, dai luoghi che frequentiamo e
in cui vogliamo riconoscerci;
-
impegnare risorse per continuare la nostra tradizione e lasciare il
proprio segno nell’ambito delle arti .
Se questi sono gli obiettivi fondamentali allora si tratta di intervenire
con le opere d’arte certamente negli edifici pubblici della città di recente
nonché ultima espansione. Una città dalle caratteristiche diverse da quelle
dei primi decenni del dopoguerra (ricordiamo che la legge 717 è del ’49).
Una città la cui diffusione periurbana, ma anche extraurbana, oggi cerca di
polarizzarsi intorno a elementi di centralità tra cui, appunto, gli edifici
pubblici.
Dunque è evidente che gli edifici pubblici giocano un ruolo molto
importante; da sempre, vuoi per la rilevanza della funzione, vuoi per la loro
ubicazione nella città, sono stati e sono l’elemento caratterizzante di
qualsiasi insediamento.
Ma non dobbiamo dimenticare i luoghi, i parchi, le piazze, l e nuove
aree urbanizzate,
dove molte persone per vari motivi, anche economici,
preferiscono abitare; è lì che occorre un intento comune di artisti, architetti,
urbanisti per interpretare i nuovi luoghi della modernità, prendendo atto di
realtà complesse e cogliendone gli originali impulsi che ne derivano, dando
riconoscibilità e qualità a questi spazi.
Solo con lavori multidisciplinari, in questo caso con l’integrazione
delle arti, sarà possibile elaborare una qualità che esprima il nostro essere
contemporanei nei luoghi delle nuove centralità, sia nelle aree periferiche
che nelle aree della diffusione urbana.
Dovremmo quindi parlare, a mio avviso, di arte nelle opere pubbliche e
non di arte
negli edifici pubblici, facendo rientrare anche interventi di
progettazione dei luoghi.
Del resto questa proposta di legge sulla qualità architettonica, all’art.
2, come a mbito di applicazione individua contesti naturali e urbani e la loro
infrastrutturazione; nello stesso art. 10 si parla di inserimento delle opere
d’arte citando la ristrutturazione urbanistica, intervento notoriamente esteso
ai luoghi, strade, piazze, aree verdi, infrastrutture, appunto.
Però, in generale,
tutto l’articolo 10 – Opere d’arte negli edifici
pubblici” pare vivere di vita propria: non c’è nessun collegamento con gli
altri articoli del disegno di legge proposto: questo testo potrebbe stare
anche da solo come è stato sino ad oggi.
La sua presenza all’interno di
questa nuova proposta di legge poteva far pensare che l’opera d’arte
concorresse alla qualità cui si fa riferimento, invece non c’è nessuna frase
che espliciti i legami, le interrelazioni fra architettura, urbanistica, scultura,
pittura, la cui integrazione è nelle radici della storia dell’arte italiana.
Anna Maria Tatò
per Margherita Guccione
Direttrice del MAXXI Architettura e del Servizio Architettura della PARC
Sicuramente, l’arch. Guccione voleva parlarvi, come mi ha detto, del
concorso che si sta svolgendo e di cui si è svolta solo la prima fase, per due
opere d’arte da inserire nel Maxi. Il Maxi è il nuovo Museo di Arte
Contemporanea a Roma, progettato da Zaha Hadid.
Devo dire che l’approccio con questi architetti le cui opere, in qualche
misura, rasentano forme che possono essere vicine alla scultura più che
all’architettura, non è stato facile, comunque, le indicazione sono venute da
lei, esattamente. Cioè le due opere, dove dovevano essere collocate e
anche alcune indicazioni su misure, cose quindi diciamo abbastanza
collegate al suo progetto.
Il concorso è stato gesti to insieme dai Beni Culturali e dal Ministero
delle Infrastrutture, ma soprattutto, devo dire, dai Beni Culturali che hanno
messo
su
un’organizzazione
seria
e
devo
dire
sono
rimasta
molto
soddisfatta di come sono andate le cose.
Il concorso è in due fase e nella prima fase gli artisti dovevano
presentare curriculum e quant’altro e soprattutto dovevano presentare una
prima idea di quello che intendevano fare.
Devo dire che forse, questo è stato l’unico neo, nel senso che, secondo
me, consultando qualsiasi persona dicendo esprimi un’idea su quello che
vuoi fare, voglio dire, va in direzione opposta. E quindi sono arrivati artisti
che
presentavano
uno
schizzo,
così
appena
accennato,
con
qualche
descrizione scritta. Altri che presentavano quasi un progetto. Quindi,
insomma, non è facile entrare in questa valutazione.
Comunque sia, il concorso ha avuto abbastanza risonanza, sono arrivate
560 domande, per un totale di 700 proposte, perché alcuni artisti hanno
presentato il progetto sia per l’opera che era interna e per l’altra esterna.
Quindi
sicuramente
c’è
stata
una
forma
di
pubblicizzazione,
che
norma l mente non c’è. Ma quello che mi risulta strano è che c’erano molti più
artisti stranieri che italiani. Che risulta incredibile, cioè i nostri “grandi” non
c’erano, questa è la verità.
Dunque, la commissione per giudicare è stata anche allargata, sia
perché c’era il rappresentante dei Beni Culturali, che in questo caso era il
direttore del PARC, l’architetto Francesco Prosperetti, sia il Ministero delle
Infrastrutture e in questo caso ero io che lo rappresentavo, ed è stato
aggiunto rispetto a quelli che sono citati come necessari nella legge
717/1949, è stato aggiunto anche un critico che era Mario Codognato. E
quindi la commissione era formata da sette persone, i due artisti erano
Giuseppe Penone e Alfredo Jaar, che era un artista straniero che lavora a
New York.
Abbiamo lavorato molto, è stata fatta questa selezione, sono stati scelti i
sei artisti da ammettere alla seconda fase. E questi artisti, a parte che, il
vincitore farà l’opera, gli altri avranno un congruo rimborso spese e quindi
diciamo che si chiede a tutti un impegno serio.
Non aggiungerei altro, direi che veramente questa è stata un’esperienza
che esula dalla normalità perché ovviamente il Ministero dei Beni Culturali
sa come organizzare queste cose, come procedere, cosa che spesso nelle
amministrazioni pubbliche per ovvie ragioni, non per demeriti, questo non
succede.
Luigi Ficacci
Soprintendente ai Beni Storici e Artistici delle province di Bo-Fe-Ra-FC Rn
Parlando per ultimo, naturalmente ho ascoltato, ho sentito molti concetti:
dal prof. Raimondi, da Piero Orlandi e dall’arch. Tatò, che stimolavano ad
interloquire, a domandare e così via, naturalmente non posso farlo. Si
coglie come sempre l’eco dell’ultima cosa ascoltata.
A tutti Noi credo che sia molto piaciuta e credo che tutti voi abbiamo
trovato molto puntuale la considerazione finale dell’arch. Tatò rispetto alle
sue critiche sul votato testo del decreto di legge sulla qualità architettonica,
quando
evocava
e
un
po’
infocava
la
citazione
o
la
dizione
di
un’integrazione dell’arte, come categoria universale. L’integrazione dell’arte
nelle opere pubbliche. Certo, siamo tutti d’accordo, e con questo si torna ad
uno dei concetti base della rivoluzi one fascista, la quale a sua volta era una
risposta operativa a quella domanda del positivismo tardo ottocentesco che
aveva avuto come esito operativo la fondazione di una Galleria d’Arte
Moderna che fosse una Soprintendenza speciale. Una nomina quindi, della
DARC con tutti i contenuti tardivamente dati alla DARC, ma con una
nettezza di confini concettuali, che la DARC nel frattempo, per peso, per
affaticamento; e lo dico, di peso, e di affaticamento, che citava Andrea
Emiliani, ha, e che invece la Galleria d’Arte moderna nel 1911, nella sua
concezione come Soprintendenza speciale, cioè un luogo che dovesse
risolvere il problema dell’arte contemporanea nel vivo della società,
a
quell’epoca aveva. E si ritorna, dunque, all’unità delle arti. E poi, quando si
comincia a parlare, c’è nell’orecchio l’eco di concetti sui quali si vorrebbe
interloquire, etc. etc. Piero Orlandi, ad un certo punto, diceva, con una
discrezione, quasi una timidezza, che mi è piaciuta, se non altro per
rilanciargliela come una partita di palla volo e, invece, no va affermata
senza discrezione, ed era sulla determinazione regionale di conservare. Io
dico nella pratica, conservare, perché conservare è un termine che detiene
contestualmente la tutela e la valorizzazione. Sono due aspetti di versi di
uno stesso atto, di una stessa attività, questa attività è la conservazione.
Ancora si accennava alla determinazione di conservare architetture della
seconda metà del novecento, e affermava che non c’è il minimo dubbio che
questo sia indispensabil e, che questo vada fatto, non c’è il minimo dubbio
che su questo la cultura della conservazione e, quindi, la cultura storicoartistica italiana è in grandissimo ritardo. Piero Orlandi lo annunciava
sommessamente dicendo, portando così come prova, che anche le opere
che fossero oggetti architettonici, organismi di oggetti architettonici, quindi
urbanistica, hanno qualità architettonica, o ci sembra che abbiano, molto
discretamente aveva detto, o ci sembra che abbiano. Aveva colto nel giusto.
E un problema e videntemente critico: nel dire ci sembra che abbiano,
nonostante la discrezione con cui lo affermava, denunciava e portava l a
nostra attenzione in evidenza che il miglior risultato è solo conseguenza di
un atto critico, con tutto l’arbitrio dell’atto criti co.
Detto questo, sono qui, ringrazio per l’invito del Presente dell’Istituto per
i Beni Culturali, che credo mi abbia invitato perché ho fatto parte delle
riunioni di consultazione, in vista della stesura del progetto di legge
regionale sul percento; e presumo di aver fatto parte di queste assemblee,
in quanto Soprintendente e quindi , di riflesso oggi, di una passata centralità
della Soprintendenza nel giudizio e nelle determinazioni di questa attività.
Più che altro, durante queste riunioni, ho partecipato poi ad una
solamente, ho portato dubbi, perplessità, considerazioni frutto di esperienza
pratica. Ma lo scopo e la raccomandazione principale era, e scusatemi se
taglio tutti i passaggi e quindi può sembrare un po’ drastico quello che
affermo, il ridimensionamento, o per lo meno, la valutazione pratica e
pragmatica della necessità della presenza della Soprintendenza, con la
stessa
centralità
che
aveva
storicamente,
all’interno
almeno
della
legislazione regionale. Considerando e dicendo spesso, la presenza della
Soprintendenza è una scaramanzia normativa, ma quello che la legge deve
ottenere è un effetto pratico, che naturalmente non si può conoscere al
momento della stesura del disegno, tanto è vero che nei nostri incontri,
quello che si faceva o si proponeva era di tentare di azzardare delle
simulazioni di effetti di applicazioni e di effetti della legge. In quattro o
cinque casi simulati, che cosa potrebbe accadere e che conseguenze
desiderate, auspicate, indesiderate, potrebbe provocare la legislazione sul
percento. E abbiamo anche una storiografia sulle spalle che ci aiuta a
simulare, appunto.
Dunque, intanto oggi siamo qui attorno ad un libro curato da Claudia
Collina che è la lunga storia, è un libro di storia ed è un’introduzione
storica, lo leggo almeno, lo recepisco con un’introduzione storica premessa
al disegno di legge. E questo non come Soprintendente, ma come lettore. E
curioso di queste cose, mi piace molto. Anche perché mi ricorda una
metodologia che a suo tempo mi fu cara, ed che è quella formativa
dell’Istituto per Beni Culturali. L’Istituto per i Beni Culturali come sapete
tutti, scusatemi se lo ripeto in questa sede, ma lo ripeto anche a me stesso.
L’Istituto per i Beni Culturali comparve nell’orizzonte intellettuale di chi si
occupava di storia dell’arte, di chi studiava a quell’epoca la storia dell’arte,
come un prodotto assolutamente precoce nella storia istituzionale delle
regioni d’Italia, sottoforma di introduzione ad un progetto, prima ancora
della sua istituzione. Quindi mi piace che così ricompaia il disegno di legge
sul percento. Solo che questo libro, dal momento che fa la storia, comporta
dei
cambiamenti,
e
implica
della
conseguenze
molto
importanti
nel
panorama che io conoscevo, o credevo di conoscere. Anche perché, come
diceva il Presidente dell’Istituto per i Beni Culturali questi 158 luoghi, se
non ho capito e recepito male il numero, tornano ad essere nel racconto
storico, tornano ad essere un capitolo unitario. Capitolo unitario che nella
loro espansione, non sono, anzi forse, nella loro realtà non sono affatto
riuniti in un libro succede che ripercorre qualcosa di molto strano, non
prevedibile.
Ed è attraverso la storia del percento in Emilia-Romagna, attraverso la
storia come riduzione a capitolo unitario, emergono tutte le circostanze in
che in filigrana, vedo, una situazione di cause storiche che supera
abbondantemente l’essenza di una variatissima qualità nei prodotti. Qualità
lo possiamo dire tra di noi, burocrati dei beni cultuali e storici dell’arte. Se
qui ci fosse invece, un rappresentante delle discipline della giurisprudenza,
subito mi chiederebbe su che base posso definire questo concetto di
qualità,
in
base
a
che?
Così
dici
che
ci
sono
delle
opere
che
qualitativamente sono migliori di altre. Risponderei senza nessuna difficoltà
in base all’arbitrio più autoreferente. L’arbitrio più autoreferente nell’ambito
della storia dell’arte si chiama giudizio, giudizio critico. Quindi, di nuovo
siamo in un ambito, in un contesto critico, che è il contesto che evocava
appunto Piero Orlandi, nei due momenti in cui l’ha fatta breve, dicendo: non
voglio dilungarmi su questo, e tutte e due le cose erano dei riferimenti
cruciali
all’attività
regionale,
riferimenti
di
attività
che
si
basano
esclusivamente sull’intervento critico, tali devono essere, non devono
essere eccessivamente condizionati da quelle scaramanzie istituzionali che
sono i successivi controlli da parte di istituzioni, le quali possono essere
detentrici, per esempio di una determinazione di qualità solo per astrazione.
Anche perché si parla di opere d’arte. Ho degli artisti che mi ascoltano, ne
ho uno soprattutto Concetto Pozzati, che spesso in Montecatini, Verucchio,
nei ricordi in cui quando gli artisti si organizzavano da soli, dicevano ai
critici, e rinfacciavano ai critici che comunque l’azione critica, l’atto critico
ha una sua presunzione, come se il critico, e lo storiografo peggio ancora,
avesse già scritto quello che l’arte deve essere, e valutasse quindi l’opera
d’arte, l’attività dell’artista, in base alla sua rispondenza o meno su
qualcosa che è in luce, che è impotenza e che l’artista deve soltanto
trasformare in atto, un atto tutto implicito nella potenza. Ecco questo difetto,
sto parlando di Verucchio, e sto parlando di Montecatini, dove erano luoghi
dove questo problema emergeva nella sua giusta e vitalissima dialettica di
contrapposizione.
Nell’ambito invece della normativa, l’ambito della scrittura e della
normativa, non è l’ambito della dialettica e della contrapposizione critica. E’
l’ambio dove una particolare disciplina, una particolare professione sta
facendo il suo lavoro, scrive la legge. E quindi in questo è anche sola e
isolata e su questo i risultati sono ipotetici. Ma nel limitare l’azi one e la, non
voglio dire la competenza, ma l’azione della Soprintendenza e soprattutto la
sua presenza salvifica non facevo altro che indicare a me stesso il limite
della mia professione, che è storiografica sull’arte, quindi rispetto alla
fenomenologia dell’arte è una parte assolutamente limitata.
Dicevo che nella storia del percento in Emilia-Romagna si leggono in
filigrana, gli studiosi, i critici, le personalità che sono state i dibattiti
estetici, le opportunità caso per caso, che erano all’origine, che erano alla
causa della scelta e della produzione di opere, alcune delle quali di grande
qualità, altre meno. In quelle meno è evidente in filigrana, anche l’assenza
di quei contesti di concorso, o della presenza di quelle personalità che
invece si impegnavano sui risultati migliori.
Personalità, individui, sto parlando di personalità e individui. In molti
casi
queste
personalità
e
individui
erano
anche
istituzioni.
Erano
personalità, istituzioni. Personalità che avevano vestito e creato e costruito
un ruolo istituzionale attorno alla loro personalità intellettuale, attorno al
loro mondo intellettuale. Per ragioni automatiche, inevitabili del progresso
intellettuale,
cresciuta,
culturale,
grazie
configurandone
amministrativo,
all’anima
che
assolutamente
ecc.,
queste
sul
l’istituzione
individualità
proprio
carattere
ormai
hanno
così
dato,
intellettuale,
l’istituzione oggi va per conto suo, quindi oggi abbiamo istituzioni che
vengono assolte da persone.
La mia remissività e i miei colleghi e compagni di discussione nel corso
della elaborazione e delle consulenze sull a stesura del disegno di legge del
percento
in
fondamento
Emilia-Romagna,
sul
chiarire
a
la
me
mia
stesso
remissività
qual
è
il
era,
aveva
mio
ruolo
il
suo
oggi
di
Soprintendente, sono una persona che assolve una funzione. Questo vuol
dire un panorama intellettuale e pratico, radicalmente diverso dalla scena
che ci ha preceduto fino a venti anni fa e che ha provocato anche lo
scenario attuale. Tutto questo si legge in filigrana.
Piero Orlandi ha letto il testo di Emiliani. E’ la migliore riprova di quanto
storica sia e quanto perfettamente corrispondente alla sua figura sua
storica, al suo gusto, al suo carattere intellettuale, sia il suo testo. Tra
l’altro, questo libro ha sì una parte storica sulle opere, ma ha anche una
parte di storia della giurisprudenza del settore, che Claudia Collina molto
opportunamente ha dato lo stesso valore della parte delle opere. Molto
interessante,soprattutto
complicata.
Molto
come
complicata
storia
ed
alla
della
fine
giurisprudenza
della
e
complicazione,
molto
molto
interessante, perché perfettamente leggibile per capire una storia, ma
tuttavia molto complicata, forse troppo complicata. Sicuramente molto più
complicata di una storia della giurisprudenza di settore di altri Paesi
europei.
E un altro degli ambiti sui quali Piero Orlandi ha sorvolato dicendo:
vorrei riferirmi a questo, ma non voglio dilungarmi troppo, però ha indicato
dei riferimenti estremamente determinati nella nostra riflessione, che sono
dei riferimenti europei. Non è vero?
Molto apprezzato che i punti sui quali sorvolava erano quelli cruciali e
ancora irrisolti. Quindi omaggio all’eleganza, sono proprio i due ambiti più
fini, sui quali ha operato maggiormente la sua discrezione.
Tra l’altro, nella storia della giurisprudenza di settore c’è una data,
credo sia il 1970, che è l’anno di due interventi: uno di Argan e uno di
Emiliani. Quello di Argan era apparentemente sulla stessa legge, anzi non
apparentemente, di fatto sulla stessa legge e sullo stesso argomento:
“Dell’arte nei pubblici edifici” è il testo di Argan, “I mprorogabile una riforma
della legge 717 ovvero del 2%” sul testo di Emiliani. Quest’ultimo, con un
piglio, come dire avanguardistico, Argan più mediano, cita la categoria
astratta dell’arte, dell’arte negli edifici pubblici, i ntendono il 2% in maniera
totalmente diversa nella applicazione.
Emiliani la intende proprio come è emerso dall’apertura del suo testo,
come una decorazione, quindi proprio con l’intento di salvaguardare la
prassi e la tradizione dell’aggiunta, della sovrapposizione, perché la
sovrapposizione è opera di tutta quella qualità artistica, modesta, moderata,
che ha a che vedere col fare, che secondo una gerarchia idealistica è arte
minore ed applicata, tanto è vero che quando abbiamo sentito tutti,
dall’avventura che ne faceva Piero Orlandi, quando parla dei prodotti nei
quali era più soddisfatto come Zauli all’Ospedale di Forlì, ora all’Ospedale
civico di Vecchiazzano; e l’altra opera di Leoni all’Istituto di Matematica,
nota
quest’opera
integrazione.
E
per
una
infatti
qualità
diceva,
proprio
l’abbiamo
di
sovrapposizione
sentito,
la
notava
non
di
per
la
collaborazione vera, e anzi per la discrezione di Zauli di piegare la umile
pratica
della
ceramica,
alla
monumentalità
dell’edificio
che
alla
sua
oggettività, starei per dire. Come se fosse un mezzo dell’individuo, quindi
l’individuo viene prima dell’opera. Ma nel concetto arganiano c’è invece quel
riferimento alla integrazione dell’arte nelle opere pubbliche, e fa riferimento
ad un arte come entità superiore rispetto alla prassi dell’individuo e quindi è
un primato dell’opera, che è proprio alla base della rivoluzione fascista; ed
è un concetto che frequentemente si ripresenta e può ripresentarsi, si è
ripresentato negli auspici dell’arch. Tatò, si ripresenta nel linguaggio di
molti artisti, devo citare i concettuali, o non ce n’è bisogno? Devo citare
Paolini e il primato sovrapersonale dell’opera o non ce n’è bisogno? Direi
che non ce n’è bisogno. E tutto questo era la risposta che la rivoluzione
fascista dava all’interrogativo positivistico di cosa fare delle arti, rispetto ad
un presente che non conosciamo. Interrogativo positivistico che a sua volta
discendeva da un idealismo illuministico, cui invece il fascismo, non il
fascismo, ma la rivoluzione fascista ha dato. Nessuna paura, facciamo
storia, quindi è normale che i concetti si ripresentino. E però si può dare
con quanta identità si ripresenta.
Quindi questo rafforza il fatto che nel momento della scrittura di una
normativa, prima di tutto si interviene su una esperienza e su una cultura
che già c’è, che già esiste, che preesiste; e dunque, la mano della norma
deve
essere
leggerissima,
per
non
produrre
un
eccesso
di
effetti
indesiderati. Oggi quando sfogliamo questo libro vediamo una storia, una
storia
non,
fra
l’altro,
non
da
manuale
mondiale
di
storia
dell’arte
contemporanea e dove mai c’è qualcosa di cui oggi abbiamo ancora
fortissimo bisogno, l’esperienza particolarmente viva, e mi sentirei di
mettere quest’esperienza in Idearte a Bologna e l’Autorità portuale di
Ravenna. Allora mi chiedo, nel momento in cui scrivo questo, scrivo la
norma, o contribuisco a scrivere la norma, o applico la norma o mi pongo
dei problemi di riflessione sulla norma: Idearte e l’Autorità portuale sono il
frutto
del
percento
o
è
una
congiuntura
dove
soggetti
individuali
e
istituzionali hanno prodotto una utile applicazione del percento? E di nuovo
si torna ad un problema critico.
Certo l’Autorità portuale e Idearte che sono fra l’altro un’esperienza, una
delle esperienze più recenti credo comprese nella storiografia del percento
in Emilia-Romagna. E quindi essendo tra le più recenti, è una delle
esperienza che meglio presentano alla scrittura normativa una realtà delle
esigenze attuali, oltre che una realtà dell’arte. E’ l’esperienza che è più
attuale. In quel senso, arbitrario, ma significativo del termine attualità.
Se quell’esperienza è attuale credo che il suo risultato rivelante non sia
dovuto dalla persistenza della legislazione del %, ma sia dovuto ad una
qualità professionale. La qualità professionale, indipendentemente dalle
persone è data dalla professione di critico, di critico di qualità. E’ difficile.
Mentre
architetto
è
una
professione
che
ha
una
bella
definizione
dall’attuale, è evidente a tutti che l’architetto costruisce gli archi e i tetti .
Storico
dell’arte
è
già
una
definizione
professionale
più
ambigua
e
difficilmente spiegabile alla società nella sua generalità. Ma critico ancora
meno, però intendevo proprio quella, il critico competente. Che è più
importante che vi sia un critico competente che non la presenza burocratica,
e sicuramente rassicurante dal punto di vista della scaramanzia istituzionale
del Soprintendente; quindi trovo che oltre che inevitabilmente necessario
com’è
nella
legislazione
regionale
che
il
Soprintendente
non
sia
istituzionalmente obbligatoria come presenza; credo che il Soprintendente
non debba, come rappresentante dello Stato, essere obbligatoriamente
essere presente in uno strumento legislativo regionale.
Il Soprintendente degli anni ’30, degli anni ’40, degli anni ’50, ecc. fino
agli anni ’80, era il garante istituzionale della storia dell’arte, ma la storia
dell’arte nel frattempo è cresciuta, si è fortificata. E’ cresciuta, e sono
anche le istituzioni locali e le amministrazioni locali. Cresciute così tanto
che un ente che si chiamava ente locale quando è nato e oggi si chiama
Governo locale, sto pensando alle Regioni.
Quindi è questo il luogo dove forse, con maggiore precocità, in Italia è
stata messa a punto, e data una risposta, la preoccupazione che le stesse
strutture di rappresentanza esclusiva ed obbligatoria delle amministrazioni
che erano proprie dello Stato, venissero trasferite alle Regioni. Mi sto
riferendo
proprio
alla
nascita,
alla
concezione
e
alla
progettazione
dell’Istituto per i Beni Culturali. Quindi, sono cambiati i soggetti, per cui la
centralità e il primato del Soprintendente sono abbondantemente superate
dai fatti. Anche perché nel frattempo, nello stesso cuore del Ministero a cui
fanno capo i Soprintendenti , si è sviluppato qualcosa come un tentativo, un
inizio, o un collaudo di superamento di questo con l’istituzione della
Direzione generale per l’Arte e l’Architettura contemporanea, la DARC, e
oggi molti luoghi, piccoli luoghi che per tradizione avevano la vocazione del
contemporaneo, e dell’attività sul contemporaneo, hanno patito, hanno
sofferto come un ulteriore centralizzazione di argomenti che privava la
polarità dei luoghi di autonomia di forze soprattutto finanziarie e questo
effettivamente hanno fatto, noi tutti siamo molto lieti che esista la PARC,
siamo meno lieti dell’ansia e del modo spasmodico di riforma che non lascia
possibilità
alle
istituzioni
amministrative
di
andare
a
regime,
ma
la
conseguenza non desiderata, perché prevista, è stata uno spegnimento
delle attività sul contemporaneo di tanti luoghi , museali e non museali , di
proprietà
demaniale
e
di
identità
demaniale,
che
precedentemente
l’avevano. Problemi dello Stato centrale e nell’Amministrazione centrale.
Quindi,
ritornando
invece
all’Amministrazione
regionale,
trovo
che
l’elasticità con cui la presenza del Soprintendente è resa non obbligatoria,
ma possibile in un ruolo consuntivo e perfino questo c’è anche nelle
legislazioni precedenti , in nuce e in alcuni casi anche in parola, la
possibilità che il Soprintendente deleghi ad un critico o a quello che uno dei
miei tanti maestri, in questo caso Giuliano Briganti chiamava semplicemente
il il competente di settore, credo che nella legislazione regionale si possa
ovviare alcuni degli effetti indesiderati della legge nazionale; soprattutto
ottenendo una delicatezza, una leggerezza normativa che non produca il
linguaggio del 2%, ma solo strumenti che consentano qualcosa. Non
dimentichiamo che nella storia della giurisprudenza che leggo in questo
libro, c’è un momento che nel la storia della giurisprudenza si legge come
malinconico, ed è stata la soppressione del 2% tra il 1975 – 1978 in edifici
scolastici, università e AUSL. Forse sarebbe stata patita a Bologna, ma a
Roma dove esisteva un vero e proprio linguaggio del 2%, il disinnesto della
legge del 2% è stata considerata una misura opportuna per il bene dell’arte
contemporanea. C’è anche una ragione interna all’arte contemporanea
perché questo a Roma fosse salutato come un progresso, perché a Roma, i n
quegli anni non era più una capitale dell’arte contemporanea ma lo era stata
pochi anni prima, succedeva qualcosa di concreto e causato dagli artisti che
richiedeva da parte della legislazione un recepimento che la legislazione
non può perché questa è materia della critica e del la storiografia dell’arte.
Vi ringrazio.
DIBATTITO PUBBLICO
Milena Naldi
Assessore alle Politiche abitative e della Casa del Comune di Bologna,
già Consigliere comunale
Grazie, scusate, sono fuori sacco, ma avevo mandato a Claudia Collina,
quando ho saputo di questo convegno, un lavoro fatto anche insieme a
Orlandi e a altri amici che non ci sono più, Oscar Stivali in questo caso.
Io sono Consigliere comunale e una storica dell’arte, quando noi
nell’Amministrazione
nostra
abbiamo
cominciato
a
pensare,
o
io
ho
cominciato a pensare, quali potevano essere le nuove frontiere dello spazio
pubblico, perché la declinazione, forse migliore, a volte di edificio pubblico
è quello dello spazio pubblico. Ecco, in questo mi sono allora messa a
lavorare e ho prodotto un ordine del giorno che adesso vi legge brevemente
che era un po’ la sintesi, dentro un’Amministrazione comunale, di quelle che
potevano essere le nuove frontiere di cui oggi voi parlate. E anche, spesso,
dell’incomunicabilità tra enti e invece quello che poi una città ha bisogno,
della convergenza su quello spazio pubblico dell’obiettivo di qualità, dentro
il quale l’arte, io ho pensato, e lo pensa ovviamente la legge del 2% potesse
essere un elemento di rigenerazione urbana; e anche dico di divertimento,
di capacità di giocare con la città in senso bello.
Ve lo leggo, ci metto cinque minuti, così non tolgo, perché dietro c’è
tutta la città, ci sono le scelte nuove, ci sono i piani strutturali comunali che
incidono, ci sono le aree da riqualificare e dentro queste bisogna far calare,
quando è possibile la convergenza di questa legge del 2% di cui ovviamente
notiamo l’assoluta inapplicabilità, se non in pochissimi casi.
L’avevo
chiamato:
Lo
spazio,
uno
specifico
ruolo
interdisciplinare
dell’arte pubblica e del progetto di architettura nella rigenerazione urbana,
tenendo conto che l’obiettivo mio, era anche quello di pensare a una qualità
architettonica moderna che potesse avere, anche in questa città, una qualità
che non sempre c’è.
Dicevo, nei prossimi anni Bologna sarà interessata da grandi interventi
pubblici, e non solo, e che contestualmente si profilano le scelte strategiche
per il suo territorio. Questo Ordine del Giorno il 3 giugno del 2008, quindi
non avevamo ancora approvato il piano strutturale comunale il RUE
e il
primo POC, che è il Piano Operativo Comunale.
Sono previste grandi infrastrutture di mobilità e di trasporto: stazione
ferroviaria, servizio ferroviario metropolitano, People Mover, metro-tramvia
e adesso, per fortuna questa sta decadendo nelle priorità, Civis. Quindi
mettevo dentro le infrastrutture che sono, secondo me, un capitolo per la
legge del 2%, fantastico.
E che tali infrastrutture modificheranno non solo funzionalmente, ma
anche esteticamente buona parte del tessuto urbano cittadino. A fronte di
ciò sembra utile e irrinunciabile porsi le domande giuste, trovare soluzioni
nuove per migliorare la qualità e l’aspetto di tali scelte. Perché se
un’infrastruttura è fatta in maniera sbagliata, progettualmente sbagliata
diventa
elemento
di
degrado,
invece
è
elemento
in
tutta
Europa
di
riqualificazione.
Nel momento in cui, prevedendo la propria strumentazione urbanistica
infrastrutturale sarà forse possibile migliorare qualitativamente intere parti
de nostro tessuto territoriale, è bene utilizzare anche il linguaggio dell’arte,
in un ottica e in un approccio sempre più interdisciplinare, affinché
l’espressione artistica possa diventare un fondamentale elemento della
riqualificazione urbana di Bologna.
Premesso altresì che spesso prevale nella progettazione e nell’adozione
una visione settoriale che non si occupa della qualità urbana, cioè
dell’integrazione dei punti di vista e della cura dei dettagli progettuali, che
rendono belle le cose che si fanno. In forma prioritaria ormai il concorso sul
quale io ho fatto diversi lavori, il concorso è considerato strumento
importante e decisivo nell’attuazione e nell’approfondimento dei contenuti
dei programmi urbanistici e dei lavori pubblici. Che è forse il tassello più
arretrato rispetto, invece, all’urbanistica. Nelle realizzazione degli interventi
sullo spazio pubblico e non solo. Infatti, con la definizione delle linee guida
concorsuali, vengono resi evidenti gli obiettivi di qualità, le varianti
progettuali,
le
specifiche
necessità,
assicurando
così
un
quadro
di
riferimento chiaro e concreto, per il confronto delle diverse proposte e
visioni, al fine della scelta del progetto che si ritiene più corrispondente agli
obiettivi dati, quale migliore congiunzione tra l’idea del progetto urbanistico
iniziale e la progettazione del dettaglio, che è poi quella che il cittadino
vivrà direttamente.
A Bologna si potrà cominciare a proporre una casistica estesa delle
possibili
applicazioni,
tra
cui
il
concorso
urbanistico,
il
concorso
di
progettazione per le opere pubbliche, l’individuazione e qualificazione dei
nuovi
luoghi
pubblici.
In
tale
contesto
appare
importante
prevedere
l’aggiunta, tra virgolette, di un tema nuovo nello scenario bolognese, ovvero
l’inserimento dell’arte nel contesto urbano, che ovviamente è la legge del
2%.
Valutato che un paesaggio metropolitano può essere arricchito con una
riuscita architettura contemporanea, un paesaggio storico può essere
conservato
demolendo
parti
incongrue,
un
paesaggio
urbano
si
può
valorizzare attraverso la realizzazione di un sistema di elementi che
possono dare identità architettoniche o artistiche mirate per lo spazio
pubblico, o anche solo partendo da un’opera capace però di relazione con il
contesto territoriale.
Insomma è una vera, tra l’altro, novità che artisti in grado di recepire
quale potenziale abbia, è veramente importante.
Un edificio pubblico, un luogo di aggregazione, un parco, una piazza,
non necessariamente dovranno contenere un’opera d’arte, ma piuttosto
esprimere un’idea di artisticità, e qui mi sono lasciata forse prendere la
mano, d’altra parte, il concetto era quello.
Lo
stesso
monumento,
invece,
per
celebrare
la
propria
staticità
consolidata in una struttura fissa, impenetrabile, potrà essere dinamico,
perfino percorrevole, come l’esempio del Mausoleo dell’Olocausto di Peter
Eisenman a Berlino.
Gli interventi di arte pubblica devono essere quindi frutto di un
approccio interdisciplinare, indicato fin dall’inizio nei bandi di concorso.
Quindi come diceva lei prima, se non lo facciamo prima diventa un
abbellimento ridicolo a volte. Prevedendo così di avviare un processo che
può portare l’integrazione del concetto di opera d’arte con quello di
artisticità di un luogo e di nuove identità, soprattutto nelle periferie, nei
luoghi che hanno bisogno di una nuova identità.
E poi, ribadito che ci sono degli ordini del giorno che già avevano
lavorato nel nuovo piano strutturale l’idea di concorso nel RUE è parte
integrante, così come quello dell’arte pubblica, dicevo che bisogna anche,
per l’Amministrazione comunale, istituire un ufficio, un interlocutore, perché
altrimenti
come
faccio
a
dialogare
con
il
Soprintendente,
con
l’Ente
regionale se non ho delle persone capaci di comprendere. A volte un
assessore, un sindaco nemmeno.
Peraltro, altresì che negli
ultimi
tre
anni
il
Comune
di
Bologna,
soprattutto il settore Urbanistica ha cominciato a indire e a favorire
importanti concorsi di architettura. Non è un dettaglio che noi, forse l’avete
detto anche prima, alla stazione è frutto di un concorso internazi onale come
RFI e ha vinto Arata Isozaki, e quindi lo vedremo comparire. Però neanche
lì in quel grande concorso c’è stato l’elemento dell’arte pubblica, del 2%,
non se lo sono posti, non se lo sono chiesti. E sono occasioni perdute. E
cominciamo a sperimentare concorsi di arte pubblica ecc. : il progetto
Iceberg, per esempio, Bologna nella cultura, nel 2008 si è concentrato
proprio sull’arte pubblica, attivando forum, GAP, giovani artisti per l’arte
pubblica, a Spazio Aperto e iniziative. A fronte di tutto ciò bisognerà
prevedere anche uno specifico tema dell’arte pubblica in una commissione
lavoro che istituisca dentro il Comune un referente.
E poi finivo con una nota un po’ dolente. Considerato che il quadro
normativo di riferimento per queste tematiche è prevalentemente regolato,
ma spesso non applicato; che a livello nazionale, nel provvedimento
legislativo risalente al 1949, successivamente modificato, del 2%, insomma
non sto a ripeterl o, è il tema di questo convegno, a livello regionale c’è lo
strumento legislativo la Legge regionale 16 del 2002, che favorisce la
riqualificazione del paesaggio urbano degradato e da riqualificare, anche
con interventi concorsuali che prevedeva opere d’arte; quindi la Regione
Emilia-Romagna ha lavorato molto su questo.
E i mpegnavo la Giunta, e finisco.
Predispongono proprio atto in cui siano indicate e programmate le aree
e le opere pubbliche da sottoporre a procedura concorsuale interessata ad
interventi di qualità urbana e di arte pubblica, in particolare quelle previste
dal PSC, aree da riqualificare, di nuova estensione o dimesse o dismettibili.
Aree militari - voi sapete che si è sbloccata l’intesa con le 19 aree militari
qui a Bologna, che diventeranno patrimonio comunale -, aree che sono
attualmente di proprietà pubbl ica, nei vecchi comparti di qualificazione
urbana, oltre ad aree ferroviarie, non oggetto del primo concorso, perché
ovviamente non potevo correre dietro a una cosa che già non prevedeva il
2%.
Individuare quegli spazi pubblici nel tessuto urbano esistenti : piazze,
slarghi che necessitano di riqualificazione di carattere formale ed artistico,
per i quali prevedere concorsi d’arte e di design urbano, così come per le
importanti aree urbane attraversate dalle nuove infrastrutture.
Concordare
con
RFI
l’inserimento,
ma
questo
non
ce
l’ho
fatta,
prevedere interventi artistici nei comparti urbanistici, ad attuazione privata
equiparandole ad opere di urbanizzazione similmente ad opere normalmente
a carico di privati attuatori. Perché non è detto che debba essere solo il
pubblico a fare ciò, si possono fare delle sinergie con i privati. E infine
accantonare il 2% come previsto dalla legge, in quanto stanziato per la
realizzazione delle opere pubbliche, previste dal piano triennale del Comune
di Bologna, di autorizzare per l’arte pubblica. Questo, oggettivamente, non
ce l’ho fatta.
Wanda Benatti
Artista
Io sono un’artista di Bologna, per me questo è un grande giorno in
quanto finalmente seguo con attenzione una persona che dice e scrive le
stesse cose che io da dieci anni continuo a dire.
Dieci anni fa con
l’architetto Glauco Gresleri abbiamo presentato per Bologna 2000 Città della
Cultura Europea un progetto per la riqualificazione di un’area dismessa e ci
hanno quasi presi in giro. Io ho lottato da anni per fare applicare questa
legge del 2% . Io non sono abituata a parlare così, tra l’altro io sono
abituata a esprimermi con i colori e non con le parole, però questo è un
giorno fondamentale perché finalmente sento che ci sono tante persone che
si prendono cura delle opere d’arte, così come dovrebbero essere stanziati
già da anni e anni .
A Bologna sono quasi vent’anni che non si applica la
legge del 2%, addirittura quando ci fu
anni fa il sindacato degli artisti a
Bologna è stata una lotta pazzesca perché , andando in giro per i quartieri,
per vedere a quali di questi quartieri era applicata la legge venivo quasi
presa in giro perché mi dicevano che la legge del 2% era una legge
inesistente, inapplicabile e parlando con gli assessori, con assessori anche
alle opere pubbliche mi dicevano che erano gli artisti stessi che non si
muovevano per far rispettare i propri diritti e quindi
gli artisti stessi si
disinteressavano di questa cosa forse perché avevano lavori sicuri etc.,
comunque è proprio importante che questa legge sia applicata in pratica e
non solo discussa a livello legislativo sicuramente è una cosa fondamentale,
ma deve essere applicata si deve soprattutto mettere in condizione gli
architetti di essere informati di questa legge esistente e come devono
applicarla, hanno l’obbligo morale di applicarla nei confronti degli artisti,
invece molte volte si fanno progetti e si ignora la legge e la quota, la quota
che per legge dovrebbe essere stabilita e stanziata e tenuta in disparte per
l’intervento artistico, viene invece utilizzata per comperare le poltroncine,
comprare le tende e quant’altro occorre per il completamento dell’arredo,
mentre l’opera d’arte non è certamente complemento di arredo ma è 1
elemento che va ad entrare in sintonia con l’architettura e soprattutto
determina il rispetto che la città deve ai suoi artisti, è fondamentale
questa..quindi è una cosa importantissima che proprio i personaggi del
Co mune,
gli
amministratori
comunali,
i
componenti
del le
commissioni
edilizie, loro stessi per primi non s apevano di dover applicare la legge
quindi secondo me è fondamentale come diceva la Sig. ra Naldi, creare
proprio una preparazione di questi funzionari , l’ordine degli architetti
dovrebbe sensibilizzare, in contemporanea, i suoi iscritti informarli che la
legge c’è e deve essere applicata, i concorsi dovrebbero essere aperti e
secondo me a tutti gli artisti che vogliono partecipare e non solo a quelli che
presentando il loro curricula già determinano a priori una loro eventuale
scelta perché ci sono artisti che magari possono essere quarant’anni
operativi sul territorio e altri magari lo sono solo da 10 hanno idee
altrettanto innovative rispetto a quelli che hanno il curriculum ben fornito.
Anche
il
curriculum
dovrebbe
essere
un
elemento
di
discriminazione
secondo me, è fondamentale che l’opera d’arte nasca insieme al progetto
stesso, perché deve essere un tutt’uno col progetto, quindi deve essere un
tutt’uno col progetto architettonico, elementi fondamentali per creare l’opera
d’arte all’interno del suo stesso progetto. È fondamentale che il comune, la
regione si crei un ufficio dove ci sia una specie di censimento proprio delle
aree che si potrebbero utilizzare, noi dieci anni fa abbiamo individuato il
giardino di un inquilino dell’area Stefanini all’interno del vecchio Pilastro; il
Co mune ci aveva dato già un primo stanziamento, poi abbiamo avuto delle
situazioni pazzesche con presidenti di quartiere che non capivano niente,
anche a capo di uffici comunali adibiti alla cultura ci devono essere
personaggi che sanno riconoscere la potenzialità delle opere d’arte in un
contesto urbano, non che le considerino come optionals che possono essere
accantonate in qualunque momento, è quindi un discorso molto complesso,
e la Sig.ra Naldi ha puntualizzato esattamente quello che noi già da dieci
anni
cercavamo
di
far
importantissimo, che poi
presente
alla
nascita
di
questo
progetto
aveva coinvolto sette o otto artisti di Bologna. E’
stato un progetto massacrante e non ha portato a nulla perché abbiamo
cozzato sempre contro istituzioni pubbliche insensibili a questo discorso,
quindi è importantissimo sensibilizzare chi deve poi giudi care e attribuire le
aree etc etc, è un discorso complicatissimo ma sarebbe importante che
finalmente cominciasse ad essere applicato e non soltanto parlato, deve
essere applicato perché gli artisti , perché nel ’35 quando nacque questa
legge, durante il fascismo per la prima volta furono presi in considerazione
gli artisti perché dovevano comunque sopravvivere, dovevano vivere e le
loro opere d’arte, il loro prodotto, è quello che all’artista permette di vivere
e di rinnovarsi continuamente, se all’artista non vengono date queste
possibilità finisce poi in questi contesti urbani abbastanza poveri e tutto
sommato anche abbastanza squallidi . Inso mma, ci sono partecipazioni
pubbliche che si potrebbero sicuramente sfruttare come finanziamenti
pubblici, ma ci sono anche tanti finanziamenti privati che potrebbero essere
convogliati in aree limitrofe, quindi, è un problema molto grosso molto bello
e molto importante .
Io faccio i complimenti alla Sig.ra Naldi, non so se è architetto
funzionario, ma è stata perfetta perché è stato un intervento puntualissimo
ha detto delle cose che veramente necessitano per mandare avanti questa
situazione. Grazie, scusate ancora, ma non sono abituata.
Dede Auregli
Responsabile del Servizio Cultura della Provincia di Bologna
Volevo solo richiamare l’attenzione sulla storia che ha detto prima
l’architetto Tato’ e poi son stata chiamata in causa diverse volte nei vostri
interventi, ad esempio il comma 4 dell’art 5 che sostanzialmente prefigura
una scelta quasi “intuito persone” dando un tetto cosi alto superiore ai
700mila euro, mi chiedo se non sia contrario alle leggi europee, ad esempio
a tutta la normativa che è venuta avanti in questi anni, adesso io parlo
appunto in qualità di non di critico, chiaramente, ma di dirigente di un
servizio di un ente pubblico, perché questa è la mia professione da qualche
anno a questa parte, allora mi chiedo se non sia contrario alle normative
europee sui bandi e contratti visto che le soglie non sono sicuramente di
500 mila euro ma sono assai inferiori.
Tornando invece alla mia precedente professione ribadisco, questo
concetto perché il concorso che è stato fatto grazie alla legge regionale,
alla Galleria d’Arte Moderna e Mambo si realizzarono con cifre diciamo pure
irrisorie, perché ad aprile quello che si riuscì a ritagliare questo 2% sui
lavori di sistemazione esterna, perché siamo arrivati all’ultimo, perché molto
spesso i servizi edilizi, quindi architetti e ingegneri che si occupano di nuovi
edifici e penso alla Provincia, a quelli scolastici non tengono come si diceva
min i mamente in conto l’esistenza di questo tipo di legge, e se lo sanno la
chiudono nel cassetto perché appunto tutte le spese servono, soprattutto in
questi periodi di estrema indigenza negli enti pubblici, per terminare
l’illuminazione piuttosto che l’arredo, dicevo si trattò di 14mila euro questo
2% poi c’erano sette mila euro offerti grazie alla legge regionale, quindi
veramente a mio avviso no, come giustamente ha detto Tatò, occorrerebbe
probabilmente mettere mano alla legge in particolare su questi aspetti
estremamente discrezionali, che porteranno a gravi appunto abusi , a mio
avviso, poi una piccolissima annotazione e chiudo: rispetto a quello che
diceva prima l’architetto che si stupiva della scarsa partecipazione da parte
degli artisti italiani , avendo lavorato ventitre, ventiquattro anni all’interno di
questo mondo mi rendo conto che gli artisti non sono abi tuati a partecipare
a concorsi pubblici, probabilmente non guardano più nemmeno quando
vengono pubblicizzati , sicuramente gli artisti non guardano la gazzetta
ufficiale e probabilmente piccoli trafiletti all’interno dei quotidiani non
attirano
la
loro
attenzione,
poi
magari
può
esistere
in
quelli
che
conoscevano il bando, il timore di essere discriminati o esclusi perché
probabilmente
non erano sicuri delle procedure, perché appunto non c’è
l’abitudine e questo è un problema decennale.
Wanda Benatti
Artista
Riguardo agli abusi, essi nascono da una cattiva applicazione della
legge, non è da dimenticare che molti edifici a Bologna, molti edifici
pubblici, sono stati collaudati senza che al loro interno ci fosse l’inserimento
dell’opera d’arte, perché l’opera d’arte è l’elemento fondamentale perché
l’edificio
si
debba
poi
poter
collaudare
.
Essi
sono
stati
collaudati
ugualmente, quindi questi sono reati di falso in atto pubblico, cioè hanno
collaudato un sacco di edifici pubblici senza curarsi minimamente di inserire
l’opera d’arte, come da legge avrebbero dovuto fare. Ci vorrebbe un ufficio
specifico di controlli di queste cose, proprio per il rispetto che devono
all’arte e alla legge stessa.
Giuseppe Bertolino
Artista
Devo
porre
una
domanda
all’architetto
Tatò,
per
chiedere
una
spiegazione o una delucidazione: perché l’edilizia penitenziale è esclusa?
Da anni si sta attendendo a Forlì una casa circondariale e si stava
aspettando l’autorizzazione al nuovo carcere per poter pensare d’indurre gli
amministratori all’applicazione del 2%.
Anna Maria Tatò
Architetto, esperto del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici
Dunque, non lo so perché sia stata esclusa, credo anche perché le
carceri sono anche uno degli edifici pubblici che costa di più in assoluto e
nei quattro carceri del Lazio di cui io ho gestito i concorsi, insomma, le cifre
erano veramente alte destinate al 2% e questa cosa sarebbe da rivedere,
non nell’eliminare le carceri dal 2%, ma stabilire una graduazione di questo
2%
perché
effettivamente
quando
il
costo
dell’edificio
sale
a
cifre
astronomiche è astronomica anche la cifra del 2%, questo è assolutamente
vero.
Quindi,
più
che
eliminare
sarebbe
da
graduare,
cioè
quando
l’intervento supera una certa cifra il 2% può essere l’1.5, può essere l’1% ,
questo è quanto. Devo dire poi che in effetti quando si lavora sui carceri, si
lavora soprattutto nelle aree pre-carceri, dove stanno le abitazioni, dove
stanno gli uffici. Dentro al carcere è abbastanza difficile lavorare per tutta
una serie di motivi, però le mie esperienze sono state molto belle, per
esempio nel carcere di Viterbo nell’ingresso principale, dentro al carcere,
Magnoni, uno scultore romano, ha fatto una scultura che ha costruito lì, cioè
l’ha fatta, poi ha fatto l’impianto a terra l’ha lucidata e in questo lavoro che
è durato 1 mese c’è stato il coinvolgimento di tutti , dei secondini, di quelli
che lavorano in ufficio, e anche di qualche ospite momentaneo della Casa
Circondariale. Questo scultore me ne parla come di un’esperienza stupenda.
Però certo queste opere rimangono poco viste, poco usufruite, perché
sono posti dove la gente non può andare insomma, io sostengo che se si
potesse fare un giro turistico delle quattro carceri del Lazio dove sono state
fatte le opere d’arte, sarebbe uno dei più bei giri da offrire agli amanti
dell’arte perché ci sono cose dei nostri maggiori pittori e scultori a
cominciare da Uncini per proseguire appunto con Magnoni , Maraniello, però
sono poco usufruiti , non è questa la ragione per toglierle, ma sicura mente
per ridimensionare la quota. Un’altra cosa che vi posso dire per esempio
che per il carcere di Bollate a Milano ancora il collaudo non si è concluso,
saranno almeno tre anni che io son stata chiamata dal provveditore e gli ho
dato una mano a scrivere il bando per le opere d’arte di
Bollate e non
l’hanno fatto e con la graduatoria non finiscono di collaudare, ma il carcere
è più che usato. Volevo dire un’altra cosa sull’osservazione, giustissima
fatta sulle norme europee per i contratti, è verissimo quello che dice, io non
l’ho voluto dire, perché ho sempre sostenuto con i miei colleghi provveditori
così, che erano portati a gestire il concorso di opere d’arte come un
concorso
di
opere
pubbliche,
e
quindi
con
una
ristrettezza
mentale
pazzesca, che il concorso per le opere d’arte era per l’ingegno, per l’idea
dell’ingegno e quindi non era un concorso per l’opera pubblica come la
intendono le amministrazioni, insomma come la intendono i provveditorati
delle opere pubbliche e quindi andava gestita diversamente , non c’era la
gara al ribasso, non c’erano tante cose perché è un’opera dell’ingegno e in
quel senso, però detto questo non è ammissibile che queste cifre vadano a
discrezionalità, assolutamente.
Giuseppe Bertolino
Artista
Non vorrei polemizzare con la categoria degli architetti, ma vorrei
raccontare cosa mi è successo a Ravenna. Son stato portato dalla proprietà
di una catena d’alberghi che mi voleva commissionare un’opera dall’
architetto progettista che ha finito per darmi le indicazioni precise su quello
che voleva realizzare nella “sua” opera d’arte. Credo sia molto importante la
possibilità di poter dialogare, che lei stessa ha sottolineato, quindi la
collaborazione non dico paritaria, ma quantomeno una integrazione dal
punto di vista artistico, insomma, alla fine sono sul punto di non a portare
avanti questa commessa a causa di questo.
Anna Maria Tatò
Architetto, esperto del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici
Volevo riprendere il discorso fatto dall’ultimo intervento. Emiliani parla di
decorazione, ecco secondo me non è e non ne parla come un termine, come
dire
vorrei
dire
dispregiativo
ma
non
è
dispregiativo
(Luigi
Ficacci
suggerisce applicativo), applicativo. Dico: a me sta bene decorazione non
sta bene abbellimento perché se penso, ad esempio, a quei rosoni di Della
Robbia nell’Ospedale degli Innocenti a Firenze sono decorazione, ma sono
arte, integrazione, ossia non c’è niente che mi disturbi in questo termine,
mentre mi disturba tantissimo il termine abbellimento.
Luigi Ficacci
Soprintendente ai Beni Storici e Artistici delle province di Bo-Fe-Ra-FC e
Rn
Se posso risponderti è questo che la decorazione come elemento
ornamentale staccato sovrapposto, applicato in senso storico all’architettura
come concetto autonomo e in qualche modo oggettivo è il contrario di quel
tentativo di raggiungere una unità dell’intenzione artistica dove tecniche,
manodopera e tutto questo si concentrino tutte nell’invenzione. Ipotesi che
può non avere alcun bisogno di un 2% aggiuntivo perché l’edificio stesso
può essere in se un’opera d’arte detentrice sia del 100 che del 2% e non
richiedere assolutamente niente. Questa è per la posizione che lei conosce
bene se ha seguito le discussioni del MAXXI nei suoi primi tempi prima che
si chiamasse MAXXI quando nella commissione che aveva ancora la sua
potestà da Direttrice della Galleria Nazionale d’Arte Moderna, la Dott.ssa
Pinto, la quale richiamava come concetto fondamentale la riunione di tutte
le
arti
alla
storicistica
tecnica
e
tutto
unificante
questo
del
però
disegno,
intendeva
una
dire
pensata
proprio
sicuramente
questo.
Una
invenzione artistica che in se detenga la concentrazione di tutte le arti ,
questa era la spiegazione di chi dava voce in questo senso a un concetto
della rivoluzione fascista, vale a dire i nazionalisti italiani, Bottai come
estensore della legge e i giovani storiografi che facevano parte del suo
circolo.
Graziano Campanini
Direttore del Museo della Sanità dell’Azienda Usl di Bologna
Volevo approfittare per parlare di un settore particolare del patrimonio
artistico italiano e anche delle attività che riguarderebbero la legge del 2%
che è il settore del patrimonio storico artistico di proprietà delle aziende
sanitarie di questa regione di cui io mi occupo per conto dell’Assessorato
alla Sanità e abbiamo qui Graziano Pompili che è uno dei massimi scultori
italiani e internazionali , che davanti all’ospedale di Montecchio Emilia, che è
anche un po’ la sua patria, ha realizzato un’opera d’arte.
All’interno di questo ospedale ci sono altri lavori che sono stati
acquistati dalla struttura ospedaliera grazie alle sponsorizzazioni delle ditte
che hanno fatto i lavori perché la legge del 2% per gli ospedali non si
applica, e non si sa perché si vede che quando siamo ammalati non siamo
più cittadini non abbiamo più diritto all’arte ,così come quando andiamo a
scuola .
Per i carcerati capisco l’intento punitivo quindi non devono avere le
opere d’arte..ci sono dicevo 3 altre opere d’arte: 2 vetrate di Valerio Adami
che è un artista che pur essendo nato a Bologna vive a Parigi e in altra
località, ha comunque delle grosse frequentazioni con Reggio Emilia perché
ha fatto altri lavori. Quindi c’è stato un gruppo di cervelli in quella città, in
quel territorio, che ha organizzato un percorso nella ri strutturazione del
nuovo ospedale dove son state inserite queste opere d’arte.
Allora all’ingresso c’è quest’opera monumentale di Graziano: è una casa
con la sua ombra, la possiamo definire come vogliamo all’interno del suo
percorso artistico, all’interno del settore attuale delle opere d’arte ma,
davanti all’ospedale come le vetrate di Valerio Adami dentro all’ospedale,
hanno anche, come dovrebbero avere e hanno sicuramente sempre l e opere
d’arte, un altro valore. E’ una casa, chi l’ha costruita questa casa in scultura
di Graziano Pompili, come chi l’ha pensata, ha pensato di dire a tutti quelli
che vengono li ricoverati o ai visitatori dei ricoverati o anche a chi lavora lì:
“guardate che non siete lontani, non siete in un altro mondo, siete a casa,
siete ancora nella vostra città e se camminate nelle corsie dell’ospedale
perché siete ammalati o perché tutti i giorni ci lavorate, avete tutti i giorni
un confronto con delle opere d’arte che comunque parlano, comunque
raccontano, comunque ci fanno individuare dentro loro delle storie nuove
che tutte le volte possiamo cerchiamo di capire…” , poi un altro può
dire:”guarda non avevo visto questo particolare ieri , oggi m’ha suggerito
questa idea questa emozione”, ecco questo è il valore delle opere d’arte che
ci sono, che ci dovrebbero essere all’interno dei monumenti delle nostre
città quelli che potremmo fare nuovi.
In un altro ospedale, a Vecchiezzano, che è stato citato nel testo del
prof. Emiliani è stata fatta un’operazione simile: tutte le vecchie opere
d’arte che si sono potute staccare dal vecchio ospedale Morgagni che era
nel centro città che poi è stato trasferito in questa nuovo grande ospedale in
periferia e che erano state comperate con la legge 2% dicevo tranne quelle
che si sarebbero potute frantumare, che sono rimaste là, e adesso in quei
luoghi c’è l’Università e non c’è più l’ospedale e sono state portate nel
nuovo
ospedale.
Gli
ospedali
nuovi
non
sono
più
come
quelli
che
conoscevamo una volta, quando venivamo ricoverati in vecchi stanzoni
magari che facevano parte di un convento ricostruito dopo Napoleone, oggi
sono vere e proprie piazze coperte con strutture sanitarie ma con strutture
normali, ristoranti, librerie, in qualche luogo c’è anche il cinema sono luoghi
in cui uno continua a vivere, continua a vivere la vita possibile della città
dalla quale è stato momentaneamente tolto. Dicevo queste opere d’arte
sono state ricollocate, alcune nel percorso quotidiano della grande piazza
coperta come i due gessi, che citava prima Andrea Emiliani, che riguardano
la storia cittadina una è la storia della chirurgia l’altro è il trionfo
dell’oculistica, o altre per esempio sistemate nel ristorante nella sala mensa
e cosi via; e si sta cercando di organizzare un percorso per il cittadino, per
l’ammalato per il visitatore che se vuole in un momento libero può fare un
percorso artistico che racconta la storia della sanità in quel luogo. Per
chiudere brevemente questo discorso, se andiamo a Roma, a S. Spirito in
Sassia che è il vecchio ospedale costruito da Papa Sisto V°, per i pellegrini
che andavano a Roma ed erano tedeschi diciamo cosi, per i sassoni
vediamo che ci sono 400 metri lineari di affreschi che decorano tutte le due
grandi
corsie
ospedaliere
degli
uomini
e
delle
donne,
se
guardo
il
patrimonio ospedaliera antico vedo molti quadri comunque con scene che
riguardano la cura, Tobiolo e l’angelo per esempio è uno dei quadri tipici , o
tante altre guarigioni miracolose vuole dire che l’opera d’arte ha sempre
fatto parte del patrimonio degli ospedali perché c’era una relazione diretta
in molti casi tra l’ammalato e Dio e in molti casi tra l’ammalato e un’opera
arte, perché in ogni caso il concetto della bellezza era un concetto che
poteva esser utile a guarire come era utile un piatto di minestra caldo, così
era utile un abito di lino fresco, così era utile come S. Maria della Scala
vedere la bellezza che la struttura ospedaliera metteva a disposizione.
Allora io capisco che sia difficile oggi, dove l’arte è negletta e non si può
mica dire che l’arte in Italia sia al primo posto nel pensiero né dei nostri
governanti né della maggior parte dei nostri cittadini . Sicuramente l’arte è
negletta, se quando vado per lavoro, e mi tocca andarci spesso purtroppo,
da Ferrara a Rovigo, per la
strada normale che attraversa Occhiobello,
vedo il modello che ci siamo costruiti in questi anni: dentro a questi 30 km
di strada non ci sta nulla di artistico,l’unica cosa che si potrebbe forse fare
è bombardare tutto , distruggere tutto, ricominciare, ripiantare degli alberi
ecc, però in questo modello, che prevede che nella città storica ci siano
co munque delle opere d’arte come un grande museo diffuso, anche se
trascurate continuamente nei giorni, con una distruzione, una piccola
scomparsa, e all’improvviso con una cesura netta comincia la grande
periferia costruita dopo gli anni 40 dove l’arte non c’è, non si è voluta
costruire e si è costruita con dei modelli concorsuali per i quali a volte
vinceva una mediazione, non vinceva l’oggetto d’arte più bello, o quello più
poetico, o quello che aveva più dialogo coi cittadini e da lì, da un certo
punto avanti ancora non c’è proprio più nemmeno quello, io credo che sia
fondamentale mantenere una legge come quella del 2%, forse migliorata,
migliorata intanto mettendo una sanzione, perché una legge senza, che non
prevede sanzioni per chi non l’applica è inutile, fare una legge perché è
inutile non serve a nessuno, nessuno mai, quale sindaco si prende la
responsabilità di dire che farà il 2% se fa fatica a finire con le risorse,
perché dovrà comunque chiedere ancora un altro 20%... “lo spreco” per le
opere d’arte e i miei cittadini mi uccidono, egli pensa,;quale architetto se
non qualcuno illuminato… Allora, non possiamo sperare o pensare di aver
sempre delle persone illuminate, non possiamo sempre pensare o sperare
che ci siano delle soluzioni come a Reggio Emilia dove un gruppo di lavoro
è riuscito a costruire dal modello intellettuale un percorso buono, bisogna
pensare che sia la legge che organizza questo modello, ma in una maniera
molto più libera, più veloce, meno burocratica, però con un controllo e una
sanzione se il lavoro non viene fatto. Grazie.
Paolo Frabboni
Direzione regionale Beni culturali e paesaggistici dell'Emilia-Romagna
Io ho preso solo alcuni appunti , ma alcuni aspetti volevo ricordarli
perché sono stati appena accennati e forse è utile tornarci sopra. Quando si
è parlato dell’architettura degli anni ‘50 come un qualcosa di scarso valore è
però inesatto e comunque è stato analizzato, esaminato recentemente nel
libro che tutti conoscete Quale e quanta architettura in Emilia-Romagna
curato appunto da Piero Orlandi dove si è presa in considerazi one
l’architettura del secondo Novecento. Vorrei ricordare che l’architettura
degli anni ’50 rientra a pieno titolo nel Codice dei Beni Culturali, essa ha più
di cinquant’anni anni e quindi è soggetta a eventuale dichi arazione di
interesse culturale. A questo va sommato il fatto che noi stiamo svolgendo
dal 2004 ormai un’attività intensissima sulla verifica dei beni di proprietà
pubblica che sono soggetti ai sensi dell’art.12 del Codice a questa verifica
d’interesse culturale e quindi sono stati emessi più di un decreto di tutela
più di una dichiarazione di interesse culturale per i nuovi edifici degli anni
50: ne cito alcuni, c’è il Cinema Olimpia di Vinicio Vecchi a Modena, il
palazzo
INA a Parma di Albini , il palazzo comunale di Alfonsine di
Vaccaro, sono tutti edifici degli anni 50 dichiarati di interesse culturale, e
questo lo dico anche perché recentemente abbiamo avviato una procedura
di tutela di un altro cinema di Vecchi, il Principe a Modena, un edificio molto
interessante ed è datato 1958,
questo per dire, siccome di solito si pensa
al Ministero dei Beni Culturali che di solito tutela il passato, ma non il
passato prossimo diciamo così, questa attenzione c’è anche per questo tipo
di architettura relativamente recente. Aggiungo che il codice prevede anche
la tutela automatica per così dire, cioè la sottoposizione alla procedura di
verifica
di verifica, cioè art. 12. Piccolo inciso: noi verifichiamo beni della
proprietà pubblica nella misura di circa 800 beni all’anno e abbiamo
dichiarato di interesse culturale , nei primi anni a partire da fine 2004 , circa
il quasi 50% di questi immobili , adesso la cifra si è attestata intorno a 1/3,
quindi produciamo circa 300 decreti all’anno , ecco stiamo parlando di cifre
di questo tipo. E dicevo che sono soggetti a verifica anche le strade, le aree
pubbliche gli spazi pubblici, lo spazio di proprietà comunale avente più di
cinquant’anni, sono soggetti a procedure di verifica. Concludo, ricordando
che per esempio adesso recentemente è stata accennata la questione del
concorso per la stazione di Bologna c’è anche un progetto di sistemazione
dell’area antistante alla stazione con provvedimento della vecchia stazione
di Bologna che è stata dichiarata di interesse culturale ormai da non più di
10 anni, no 7/8 anni. In questo confronto con i progettisti si sono stupiti del
fatto che noi consideravamo tutelabile anche piazza XX settembre, per
esempio anche il ponte di Galliera, anche viale Pietramellara
perché son
tutte aree pubbliche che hanno più di 50 anni quindi tutte soggette a verifica
e, almeno in un paio di casi, non avrei dubbi sul fatto di riconoscerne
l’interesse culturale. Questo discorso un po’ a margine è stato accennato
inizialmente stamattina, per ultimo invece è il bando, cioè il concorso con la
vittoria di Isozaki; ecco, per me su questo c’è ancora un punto interrogativo,
non è stato applicato il 2%, è stato ricordato però il punto interrogativo sta
se le Ferrovie dello Stato sono un’amministrazione pubblica, perché questa
per me è una cosa che non è mai stata chiarita. Le Ferrovie dello Stato si
sono trasformate nel tempo, erano certamente pubbliche all’inizio, sono
diventate Ferrovie dello Stato S.P.A e hanno dato luogo a tutta una serie di
altri enti altre società, quindi serve proprio a capire. Io posso dire che, nel
dubbio, quando abbiamo fatto la dichiarazione di interesse culturale della
stazione centrale, abbiamo fatto una procedura come se fossero dei privati ,
perché c’era questa grande incertezza sulla natura giuridica di Ferrovie
dello Stato S.P.A. allora si chiamava così. Ho finito.
Anna Maria Tatò
Architetto, esperto del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici
Ce l’ha il contributo dello Stato? Perché, se ce l’ha, deve rispettare la
legge del 2%.
SESSIONE POMERIDIANA
Laura Carlini
Responsabile del Servizio Musei e Beni Culturali dell’IBC
La ricerca svolta dall’IBC sulla produzione artistica direttamente riconducibile alla legge
717/49 ha posto in evidenza alcuni significativi esiti, in base ai quali vorrei sviluppare
qualche considerazione in merito alla connessione tra arte pubblica e musei.
La prima concerne la semplice constatazione che i musei non rientrano tra i luoghi della
nostra regione che sono stati oggetto d’intervento in esecuzione della legge del 2%.
L’unico progetto di arte pubblica in ambito museale, il concorso IdeARTe per un
progetto di Public Art per il parco della nuova sede della galleria d’arte moderna di
Bologna, oggi Mambo, è stato realizzato mediante la L. R. 15 luglio 2002, n. 16, Norme
per il recupero degli edifici storico-artistici e la promozione della qualità architettonica e
paesaggistica del territorio, che riverbera, integrandoli su scala regionale, i dettati della
legge nazionale.
A prescindere da questa recente occorrenza, il concorso per la Manifattura si è svolto
nel 2005, l’unico caso riscontrato di attuazione della legge, non per un museo bensì per un
centro culturale, va ascritto al Comune di Sant’Ilario d’Enza, nel cui centro culturale
Mavarta è stata installata una scultura di Graziano Pompili.
Tale assenza è probabilmente imputabile al fatto che i musei sono di regola collocati in
ambienti storici e che la legge sulla percentuale per l’arte limita la propria applicazione agli
edifici di nuova costruzione e non include, perciò, le architetture e i luoghi oggetto di
restauro, recupero e riqualificazione, come invece prevede la già citata normativa
regionale sulla qualità dell’architettura.
A supporto di tale ipotesi conviene inoltre rammentare che l’indagine campionaria
dell’Istat sul settore musei (2000) aveva messo in evidenza che gli istituti museali della
regione sono nella quasi totalità ospitati in chiese e conventi, palazzi e castelli storici
riattati a destinazione museale, per i quali non è richiesto l’abbellimento mediante opere
d’arte contemporanea.
E’ opportuno, tuttavia, sottolineare la dicotomia creatasi tra la crescita esponenziale del
numero dei musei in Emilia-Romagna dal 1950 ad oggi e la totale assenza d’interventi ex
lege 717/49 in questa tipologia di strutture.
In effetti i musei non statali della nostra regione istituiti dopo il 1950 rappresentano
l’80% del patrimonio composto dai quasi 400 musei compresi nella più recente indagine
Istat (2006). A fronte di questo tumultuoso sviluppo del comparto non si è verificata
un’altrettanta vigorosa crescita di progettualità architettonica ed artistica contemporanea.
In altri termini, sembra aver prevalso la necessità di restauro e recupero del patrimonio
monumentale, da destinare a finalità culturali, rispetto alle opportunità di innovazione
architettonica connaturate a progetti di nuova ideazione.
D’altra parte la mappatura degli interventi d’arte riconducibili al 2%, che è stata tracciata
con un paziente lavoro d’archivio, ci restituisce nell’insieme una trama di estrema
rarefazione.
Nei sessant’anni di vita della legge risultano banditi solo 158 interventi (di cui realizzati
149), nelle più variegate tipologie d’edificio, pari a circa 2,6 concorsi in media all’anno su
base regionale.
Non stupisce a questo punto che i musei non abbiano giocato un ruolo da protagonisti
nella promozione dell’arte pubblica legata al 2%, e seppure sia certamente plausibile che
non tutti gli interventi effettuati siano stati reperiti nel corso della ricerca, è altrettanto
verosimile che non vi sia stata una sistematica applicazione della normativa e che non
tutte le opportunità siano state colte.
I musei in Emilia-Romagna non hanno preso parte in modo diretto alle politiche di arte
pubblica connesse alla legge nazionale 717/49. La legge nazionale stessa non fa alcun
riferimento ad istituzioni museali, dal momento che nell’individuare i soggetti per la
costituzione della commissione di concorso non prevede la partecipazione di esperti di
storia dell’arte, ed in particolare di contemporaneisti, provenienti dai ruoli direttivi dei musei
(i quali avrebbero comunque potuto essere designati dall’amministrazione locale
committente). Il compito di rappresentare gli storici dell’arte in seno alla Commissione è
affidato al Soprintendente ai beni artistici e storici. Scelta comprensibile se si tiene conto
della data di emanazione della legge (1949) che ci riporta ad un’Italia con
un’amministrazione centralista e nella quale la diffusione di musei d’arte moderna e
contemporanea era molto modesta.
Inoltre, va pure considerato che, in generale, le opere messe a bando non avevano
costi tali da richiedere la formazione di una commissione di carattere nazionale per la loro
valutazione.
Un’ultima notazione concerne il fatto che nel momento storico in cui la legge è stata
emanata si era lungi dall’ipotizzare il coinvolgimento della collettività nelle scelte artistiche
e di politica culturale, nell’espressione di un’opinione o di una volontà in merito alla
consonanza tra arte, architettura, urbanistica e società.
La legge nazionale tuttora in vigore, seppure successivamente emendata ed integrata,
sembra non tenere conto dei molteplici mutamenti nella percezione della sostanza e delle
finalità dell’arte contemporanea da parte del corpo sociale ed in particolare delle esigenze
di partecipazione e condivisione della collettività nella scelta dei progetti artistici per il
proprio territorio. Ad oggi anche i casi più riusciti di buona integrazione tra arte ed
architettura non sono scevri da una significativa esclusione della cittadinanza dai processi
decisionali.
In molti concorsi d’arte pubblica pare che l’orientamento degli artisti e dei committenti
sia stato e continui ad essere ispirato alla concezione espressa da Henry Moore nei primi
anni Settanta:
«Non mi piace realizzare opere su commessa andando sul posto per poi farmi venire
un’idea. Quando mi viene chiesto di considerare un luogo dove una delle mie sculture
potrebbe essere collocata, cerco di scegliere qualcosa di adatto tra le opere che ho già
scolpito o che sto preparando, ma non tento di creare qualcosa di specifico per quel luogo.
Ritengo che il miglior modo di esporre la scultura all'aperto sia di porla in relazione con il
cielo piuttosto che con gli alberi, gli edifici, la gente o altri aspetti di quanto la circonda.
Solo il cielo, miglia lontano, ci consente di porre in contrasto l'infinito con il reale, in modo
da poter scoprire l'intima e peculiare scala dello scultore senza termini di paragone. »
Le parole di Moore potrebbero essere prese a paradigma della fase aurorale del
rapporto tra arte moderna e movimento per l'arte pubblica, che ha caratterizzato la scena
internazionale delle ultime quattro decadi. Rapporto che si è evoluto nel tempo in tre
susseguenti approcci.
Il primo è fondato sul concetto di art-in-public-spaces (arte negli spazi pubblici), prevalente
nel periodo che va dalla metà degli anni ‘60 alla metà degli anni ‘70, caratterizzato da
opere autonome dal contesto e che riproducevano in scala più ampia il tipo di sculture
presenti in musei e gallerie. In questa concezione, che non considerava le caratteristiche
del luogo, gli artisti, gli urbanisti e gli architetti assegnavano all'arte la vocazione a
contribuire all'estetica del sito, negandole tuttavia la possibilità d'interagire effettivamente
con l'architettura e d'influire sulla qualità intrinseca dello spazio.
La seconda fase: art-as-public-spaces (arte come spazio pubblico) si afferma sulla scena
internazionale alla fine degli anni ‘70 e permea l'operare di artisti, curatori e responsabili di
programmi di arte pubblica per tutti gli anni ‘80. E' il momento in cui l'arte viene intesa
come arredo urbano, elemento paesaggistico o architettonico e riflette l'idea che l'arte
possa rendere lo spazio più umano e che possa concorrere a superare il senso di
alienazione e di estraneità che il paesaggio urbano contemporaneo genera. In altre parole
si attribuiva all'arte un ruolo di contrasto e di superamento delle fredde stilizzazioni
dell'architettura del modernismo, anche se lo stile prevalente delle opere rimaneva spesso
incomprensibile ed alieno, se non ostile, agli occhi del pubblico, a meno che non si
potesse associarlo, anche solo parzialmente, all'idea di utilità e di piacere come, ad
esempio, nel caso di aree attrezzate per la sosta e lo svago o d’impianti per attività
ludiche. In sostanza si chiedeva agli artisti di partecipare al concepimento e alla
realizzazione di spazi urbani unitari e coerenti. L'intervento artistico non è più concepito
quale creazione di un'opera d'arte autonoma, ma piuttosto come un dialogo con l'intorno
ambientale, flettendo la creatività artistica verso il design urbano. Quanto più un'opera si
distaccava dalla propria natura intrinsecamente artistica per mimetizzarsi ed essere
assimilata dal sito e confondersi con il design urbano, tanto più veniva considerata
accettabile e avanzata Si prospettava, inoltre, agli artisti l'opportunità di sviluppare
creazioni di una dimensione mai prima raggiunta, purché il valore d'uso eccedesse il
valore puramente estetico. In questo secondo periodo emerge in seno alle pubbliche
amministrazioni responsabili delle politiche per le arti un’esplicita sensibilità nei confronti
del sentire della collettività ed un’attenzione più profonda alle esigenze di migliore
comprensibilità, di accettazione condivisa e di utilità dei progetti da finanziare.
A questa seconda fase si sostituisce il modello art-in-the-public-interest (arte di pubblico
interesse) nel quale si privilegiano le istanze sociali, l'attivismo politico e il coinvolgimento
della comunità, che si consolida a partire dagli anni ‘90. Il ricorso ambiguo e costante al
termine comunità, dai contorni sfumati e incerti e l'uso opinabile del termine pubblico per
indicare ogni intervento che immaginasse la partecipazione di persone e gruppi in uno
spazio adibito alla pubblica utilità hanno improntato la produzione artistica degli anni più
recenti. La priorità è accordata ora al processo collettivo e all'interazione sociale, senza
che vi sia la certezza di un risultato finale tangibile.
La storia dell'arte pubblica, a questo punto, condensa molte delle criticità del rapporto tra
artisti, architetti, urbanisti, esperti e critici, amministratori, media e comunità.
Le politiche attuate per favorire lo sviluppo dell'arte nei luoghi di vita collettivi suscitano
arroventate controversie, che giungono fino a episodi di reciproca ostilità tra le parti in
causa. Le decisioni sulla scelta degli spazi, la selezione degli artisti, la qualità ed
appropriatezza dell'opera, la sua rappresentatività ed utilità per i residenti, arrivano a
generare sia rifiuti clamorosi in sede di concorso, sia mancate realizzazioni di progetti già
approvati per timore di reazioni sociali negative. Accade che si giunga perfino ad eliminare
opere celebrate come il Tilted Arc di Richard Serra, creato per la Federal Plaza a New
York nel 1981, e rimosso dalla sua collocazione nel 1989, a seguito di un regolare
procedimento legale intentato da quanti ritenevano che la scultura distruggesse e violasse
il passato di un luogo di rimarchevole vitalità, ponendosi come un'arrogante ed
assolutamente inappropriata affermazione di un ego privato in uno spazio pubblico.
Sono innumerevoli gli esempi di difficoltà ed incomprensioni, di opportunità trascurate e di
mancanza di coraggio e di fantasia, che hanno segnato tante operazioni di arte pubblica,
al punto da domandarsi se siano più significative le assenze delle presenze, i presunti
fallimenti dei casi di successo, o, al contempo, se il valore dell'impresa non vada ravvisato
proprio nel confronto e nella tensione contraddittoria, per la potenzialità implicita a sfociare
nel riconoscimento di un'identità unitaria e a rendere i membri della comunità più
consapevoli e più autonomi.
Nell’atlante del 2% in Emilia Romagna sono reperibili numerosi esempi di opere riferibili
all’idea di arte nello spazio pubblico, ed altre indubbiamente concepite per integrarsi al
luogo e richiamare con il proprio contenuto la funzione dello stesso: scuola, ospedale, e
così via, e però non è stato possibile rintracciare processi partecipativi connaturati al
concetto di arte di pubblico interesse, che unisce il gesto artistico alla partecipazione
sociale, come è invece riscontrabile nei più recenti progetti elaborati per i finanziamenti
della L.R. 16/02.
La seconda considerazione sull’applicazione della percentuale per l’arte concerne la
frequenza d’interventi che impiegano i materiali e le tecniche della tradizione locale,
laddove questa si sostanzia in un tessuto creativo e produttivo tuttora di grande spessore:
nello specifico il mosaico nel Ravennate e la ceramica nell’area faentina.
Questo rilevante risultato emerso dall’indagine consente di proporre tre esempi della
funzione che i musei svolgono nei confronti dei loro portatori d’interesse e che
plausibilmente ha avuto un impatto, seppure indiretto, anche sulle scelte concernenti il 2%.
E’ proprio nella capacità di conservare la tradizione ed al contempo di propugnare la
ricerca costante d’innovazione che i musei testimoniano il ruolo straordinario che rivestono
come forum per alimentare l’interesse e la partecipazione pubblica, con l’obiettivo
d’individuare le esigenze e le aspettative della popolazione nel momento in cui s’indice un
concorso d’arte pubblica. Un ruolo che sarebbe necessario potenziare e sostenere
ulteriormente.
La tradizione di Ravenna nell’impiego del mosaico, anche contemporaneo, vanta un
polo assolutamente unico in Italia nel MAR, Museo d’arte della Città. Il museo, dotato di
una significativa raccolta d’arte contemporanea, espone nel loggiato un’ampia e preziosa
collezione di opere realizzate dai mosaicisti ravennati su bozzetti di alcuni tra i più noti
artisti del XX secolo, selezionati negli anni Cinquanta anche con la consulenza di Giulio
Carlo Argan e Palma Bucarelli.
In questo modo il museo offre ad artisti, studenti e visitatori una vasta campionatura di
stili e di tecniche ed un termine di paragone raro per quanti intendono mettersi alla prova e
a confronto con l’arte musiva. Nel 2003 il museo ha inoltre creato al proprio interno il
CIDM, Centro Internazionale di Documentazione sul Mosaico, frutto della collaborazione di
più enti, che documenta e rende accessibile, anche via web, la cultura musiva in tutti i suoi
aspetti. Nel sito del CIDM trova spazio l’intero mondo del mosaico, dall’antichità ai nostri
giorni.
Il Centro opera da collante e funge da propulsore per le iniziative che interessano il
mosaico, dalle mostre ai restauri, ai concorsi, agli studi alle banche dati e si è collocato fin
da subito in una dimensione internazionale, essendo stato istituito grazie ai fondi europei
interreg.
Il CIDM - Centro Internazionale di Documentazione sul Mosaico - è una sezione del
Museo d’Arte della città di Ravenna nata per promuovere la ricerca, lo studio e la
valorizzazione del mosaico.
E’ rilevante che proprio a Ravenna, protagonista indiscussa nel panorama dell'arte
musiva, sia scaturita l’idea di creare un luogo che fosse punto di riferimento per gli studi
sulla materia, al fine di valorizzare l’antico splendore dell’età giustinianea e, allo stesso
tempo, di perpetuarne la tradizione nella contemporaneità.
Così come la produzione artistica in mosaico ha un saldo referente nel MAR di
Ravenna, altrettanto la vocazione di Faenza per la creazione in ceramica trova riscontro in
due istituzioni museali, diverse e complementari: il Museo Internazionale della Ceramica e
la casa museo Carlo Zauli.
Il MIC nasce un secolo fa (1908) e dalla sua costituzione svolge un lavoro di
promozione e valorizzazione anche del contemporaneo, come si desume dallo statuto in
cui si enuncia che:
È finalità del Museo: a) raccogliere e disporre sistematicamente i tipi della produzione
ceramica italiana e straniera, interessanti sotto l'aspetto dell'arte, della tecnica, della
tradizione, mediante la cooperazione delle fabbriche nazionali ed estere e dei privati
collezionisti; b) mettere in relazione le fabbriche con la pubblicazione di uno speciale
bollettino; c) indire mostre internazionali periodiche di ceramiche, interessanti l'uno o
l'altro punto dell'arte, della tecnica, dell'uso pratico; d) raccogliere pubblicazioni in modo
da offrire agli studiosi un materiale bibliografico di critica, di storia, di arte, di tecnologia
ceramica; e) disporre una rappresentazione oggettiva dello sviluppo della ceramica arte, tecnica, uso, tradizione - mediante una collezione di oggetti retrospettivi; f)
divulgare il gusto della decorazione ceramica, in modo da intensificarne l'uso estetico e
razionale nella casa, nella applicazione architettonica; g) indire concorsi internazionali
per la produzione, sotto l'aspetto d'arte e di tecnica, di oggetti di determinato uso
pratico; h) sottoporre all'esame di congressi internazionali di ceramica le questioni che
interessano l'arte, la letteratura e bibliografia ceramica, la legislazione (invenzioni e
brevetti) e la tecnica; i) stabilire una terminologia internazionale scientifica, per evitare
l'anfibologia nelle discussioni di critica storica e nei trattati tecnici; j) farsi promotore di
una scuola pratica di ceramica in Faenza che, ad integrazione delle finalità del Museo,
sia intesa all'elevamento intellettuale e tecnico dei ceramisti; k) proporre e favorire ogni
altra iniziativa che rientri nelle finalità del Museo.
Fin dagli esordi, sulla traccia dei musei d’arte industriale del XIX secolo, il Museo di
Faenza si propone di essere il punto di riferimento per la conoscenza scientifica e lo
sviluppo dell’arte ceramica in ogni campo. In particolare il museo organizza da 56 edizioni
il Concorso Internazionale della Ceramica d'Arte Contemporanea, un momento importante
per la crescita degli artisti e dell’industria ad essi collegata. Come viene ricordato nel testo
di presentazione del sito web del museo :
«La Manifestazione è stata, fin dall'inizio, un importante momento nella valorizzazione,
nel rinnovamento, nella promozione della ceramica sia sotto l'aspetto artistico e
decorativo, sia in quello funzionale e dell'arredo».
La stessa Manifestazione ha inoltre dato impulso a una ricerca complessa, non solo
estetica, ma riguardante anche esperienze nel settore della tecnologia delle argille, degli
smalti, delle cotture mutuandole dall'industria e coinvolgendo di ritorno l'industria stessa
nel design di oggettistica e di piastrelle.
Nel 1962 il premio al concorso internazionale organizzato dal MIC viene attribuito a
Carlo Zauli e il caso del maestro e del museo a lui dedicato, rappresenta il terzo esempio
paradigmatico di ciò che, al di là della presenza nelle giurie, può essere il ruolo del museo
per la conoscenza e la valorizzazione degli artisti contemporanei e la promozione dell’arte
d’oggi nella società.
La vicenda umana ed artistica di Carlo Zauli, scultore faentino di straordinario talento
nell’uso della ceramica, viene ripercorsa nella casa-museo di Faenza inaugurata nel 2003,
che conserva ancora i materiali e gli strumenti utilizzati per la creazione delle opere e che
documenta, anche attraverso il sito web, i lavori di Carlo, inclusi quelli presentati ai diversi
concorsi del 2%. Di queste opere il museo conserva i bozzetti.
Le strategie culturali messe in atto dal museo Zauli, come negli altri due musei, ben
esemplificano Il ruolo che un’organizzazione museale può giocare nella partita dell’arte
pubblica, dimostrando che questo non è necessariamente limitato ai pur necessari e
fondamentali compiti di ricerca e studio, documentazione, conservazione ed esposizione
al pubblico. Il museo si pone nei confronti delle comunità, dei cittadini e degli artisti, come
un operatore che, come si dichiara nel sito del museo:
«oltre alla conservazione e alla divulgazione dell’opera dell’artista faentino, intende
promuovere l’utilizzo della ceramica nell’arte contemporanea, ed in questo senso
valorizzare l’opera di artisti delle ultime generazioni che già utilizzano o vorrebbero
sperimentare tale materiale nella propria ricerca».
In questa prospettiva il Museo Carlo Zauli nel 2003 istituisce il progetto Residenza
d’Artista, promosso insieme all’Assessorato alle Politiche Culturali del Comune di Faenza,
e in collaborazione con l’associazione Diatonia. Il progetto prevede ogni anno la
partecipazione di 3 artisti giovani ma già di spessore internazionale invitati dalla curatrice
Daniela Lotta a risiedere presso il Museo Carlo Zauli. L’invito alla Residenza d’Artista è
rivolto a personalità artistiche capaci di generare un complesso dialogo tra i linguaggi della
contemporaneità e quelli della tradizione; artisti la cui attitudine concettuale è slegata da
un uso esclusivo del mezzo espressivo, ma che siano quindi interessati a stabilire relazioni
tra i luoghi e le persone, a mettere in atto strategie estetiche all’interno di un più ampio
processo creativo capace di attivare il pensiero.
I documenti fondanti dei tre musei ed i loro programmi, nei quali si dichiara che si ritiene
essenziale agire affinché siano stabilite relazioni tra i luoghi e le persone mediante un
incontro tra contemporaneità e tradizione, sono stati qui presentati come casi esemplari,
ma non esclusivi, di un possibile punto d’incontro tra museo e arte pubblica.
Si vuole sottolineare la competenza dell’istituzione museo nel sostenere gli aspetti
squisitamente scientifici di studio, ricerca e conservazione, l’idoneità a fungere da
attrattore di nuovi talenti e di diffusore delle più aggiornate ricerche e tendenze, ed infine la
capacità di porsi come luogo dell’incontro e del dialogo per tutti. Perché non
avvantaggiarsene ?
Claudia Collina
Storica e critica d’arte contemporanea, Servizio Musei e Beni Culturali
dell’IBC
“Che cosa fare? Elenco alcune iniziative: un censimento delle opere
realizzate in base alla legge 2%; un riassunto delle conclusioni a cui erano
arrivati i dibattiti per il suo superamento; una proposta di legge che, mentre
proponga di migliorarne l’applicabilità, richiami anche l’attenzione sul fatto
che la vecchia legge va semmai abrogata, / non può essere semplicemente
ignorata
(salvo
semi -clandestine
eccezioni);
una
serie
di
misure
che
affrontino il problema dell’arte contemporanea, per favorirne la competitività
nei confronti dell’arte già consolidata”.
Le proposte encomiabili formulate da Renato Nicolini nel 1990 nel suo
volume 2% considerazioni in margine hanno trovato terreno fertile nelle
strategie culturali dell’Istituto Beni Artistici e Culturali della Regione Emilia
Romagna, primariamente nel suo Direttore Alessandro Zucchini, che ha
attivato il censimento delle opere d’arte realizzate con la legge del 2 % sul
territorio attraverso un’indagine a tappeto e tenendo conto delle indicazioni
sull’argomento determinate dalla precoce promulgazione da parte dell’Ente
Regione Emilia-Romagna della ricordata legge regionale 16 del 2002
Promozione dell’architettura contemporanea e salvaguardia del patrimonio
architettonico.
Dall’analisi dei numerosi documenti d’archivio di vari enti è emerso che
la
legge 717/49 è stata applicata con analogo andamento del suo iter
legislativo nazionale, ossia con una forte incidenza sino al 1975 in istituti
scolastici di tutti i gradi, universitari, enti vari, impianti sportivi e ospedali,
privilegiando temi educativi ed exempla virtutis nonché artisti del territorio;
e dopo un ventennio di silenzio si è registrata la sua ripresa dalla fine degli
anni
Novanta
in
poi,
soprattutto
in
caserme
e
penitenzi ari,
con
un
allargamento al panorama artistico nazionale più aggiornato.
Il censimento, che è iniziato nel 2003 con uno spoglio dei documenti di
archivio delle Soprintendenze ai Beni Storici e Artistici della Regione EmiliaRomagna, è proseguito con la richiesta di documenti di applicazione della
legge
agli
uffici
regionali
del
Ministero
dei
Lavori
pubblici
e
delle
infrastrutture, poi con una analoga ai direttori dei settori Lavori Pubblici
delle Provincie e per finire ai singoli comuni della Regione.
La ricerca negli archivi è stata la più fruttuosa, mentre la richiesta ai
comuni
la
meno
in
assoluto.
Nel
corso
del
censimento,
agevolato
veramente da tante persone, sono emerse nuove notizie non
sempre
documentate, ma decisamente attendibili: in Emilia-Romagna la legge risulta
quindi applicata, o avviata la procedura della sua applicazione, o la sua
attuazione in maniera ibrida in 158 luoghi di cui 149 conservano l’opera.
Precisamente si tratta di 8 luoghi nella Provincia di Piacenza, 1 nella
Provincia di Parma, 18 nella Provincia di Reggio-Emilia, 18 nella Provincia
di Modena, 24 in quella di Bologna, 21 nella Provincia di Ferrara, 23 nella
Provincia di Ravenna, 25 in quella di Forlì-Cesena e 9 nella Provincia di
Rimini. La campagna fotografica, di cui state vedendo alcuni esempi alle
mie spalle, è stata condotta da Andrea Scardova e da me, e da essa
scaturiscono il presente volume, una futura mostra fotografica itinerante
volta a sensibilizzare il territorio regionale, nazionale e internazionale
sull’argomento e la sua valorizzazione; e una banca dati dedicata al
percento per l’arte sul nostro futuro catalogo multimediale del patrimonio
culturale.
La necessità di riflessione sulla revisione degli articoli della legge
717/49 alla luce della flagranza degli interrogativi posti da Renato Nicolini,
attualizzati alla situazione amministrativa, legislativa, culturale ed artistica
odierna in direzione della qualità e dell’integrazione armonica tra le arti,
l’architettura ed il contesto urbano con la finalità dell a loro ottimale
valorizzazione nel processo di riconoscimento, identificazione e vivibilità dei
luoghi pubblici attraverso valori estetici contemporanei riconosciuti ha
portato
l’Istituto
sull’argomento
a
costituire
affinché
un
proponesse
gruppo
alla
di
Giunta
studio
della
interistituzionale
Regione
Emilia-
Romagna un documento innovativo – a cui ha collaborato significativamente
anche Flavio Delbono che ringrazio di essere qui - che guarda verso le
esperienze europee di Francia e Germania, come la Bozza di legge
regionale per l’arte nelle opere pubbliche in Emilia-Romagna, pubblicata al
termine di questo volume e di cui ci parlerà tra breve Elena Bastianin.
Alla luce della ricerca attuata, in Emilia-Romagna – e come ho motivo di
ritenere anche nel resto d’Italia perché la legge attuale prevede queste due
possibilità – i concorsi sono stati realizzati in due costanti direzioni,
determinanti differenti integrazioni funzionali dell’arte: opere d’arte più o
meno completate all’architettura, ma ad essa volutamente legate, e opere
d’arte acquistate successivamente come arredo mobile. Nel corso del tempo
sino ad ora, entrambe le modalità sono state perseguite senza tener troppo
conto del determinante ed imprescindibile fattore che « la qualità estetica di
un’opera architettonica non è separabile da quella delle opere pittoriche o
plastiche
che
la
integrano»,
ma
d'altronde
l’architettura
italiana,
dall’immediato secondo dopo guerra in poi, procedeva su un duplice binario
volto, da un lato, alla produzione di singolari eccellenze architettoniche
create da progettisti culturalmente impegnati e dall’altro alla monotonia
architettonica
di
edilizia
anonima
e
speculativa,
superficialmente
imbellettata, che ha dettato la “triste uniformità” fruibile fuori dai centri
storici delle città.
Nell’arte
del
percento
in
Emilia-Romagna,
l’evoluzione
delle
trasformazioni culturali inizia pacatamente a Piacenza sui muri esterni
dell’Istituto Leonardo da Vinci dove Luciano Richetti e Pietro Daveri
realizzavano due bassorilievi i cui soggetti popolari ed educativi di lavoro e
scienza sono stati disegnati con sintesi e plasticismo monumentale, ancora
stilisticamente ancorato alla corrente di Novecento; mentre a Bologna,
Quinto Ghermandi scolpiva “per via di levare” dal marmo un’imponente
Famiglia carica di pathos e in stile cubo-surrealista picassiano davanti all’ex
Palazzo delle Telecomunicazioni; e il neorealismo sociale filo guttusiano era
espresso con cogenza da Nello Leonardi a Reggio Emilia in quadri come
Salvataggio degli alluvionati per il Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco,
o I sette fratelli Cervi per la Scuola Media professionale di Sant’Ilario
d’Enza. Alla fine del sesto decennio, nel 1959, Dino Balsadella e Aldo
Borgonzoni vincevano il concorso per la realizzazione di opere d’arte
all’Istituto Tecnico Commerciale “Iacopo Barozzi”di Modena. La modernità
avanzava: del Vignola era data espressività essenziale ed esistenziale dal
pannello astratto informale di Balsadella.
Quinto Ghermandi, formatosi sullo studio delle opere di Picasso e
Moore, sceglieva in seguito il bronzo come materiale elettivo. Largo gesto
per un massimo spazio del 1969 segnava il passaggio dell’abbandono
dell’oggetto-forma per l’oggetto-spazio, in cui costruire
«magici giardini,
cristallizzati nel bronzo argentato» e composti da elementi naturali che si
trasformano, prodromi di un naturalismo concettuale generato dalla ricerca
informale. E’ così che la fitomorfica Fontana degli Istituti di patologia
Speciale
Medica,
Chirurgica
dell’Ospedale
Sant’Orsola
di
Bologna
è
costruita con Grandi foglie notturne rovesciate che l’artista ripropone
solitarie ancora nel 1973-74, mentre nella Bilancia del Palazzo di Giustizia
di Forlì l’elemento della foglia evolve in senso floreale e stilizzato.
Tra i pop-artisti italiani c’é stato Concetto Pozzati che, dopo aver
esposto alla Biennale del 1964 insieme a Festa, Angeli e Schifano, eseguiva
due anni dopo il dipinto Inventario: mio rinnovato amore per Léger per le
Scuole Archimede di san Giovanni in Persiceto. Il titolo è programmatico per
l’ispirazione: l’artista sviluppava in esso simboli e forme già apparsi in
Ortogonale II del 1963, ma è con opere come L’ultimo persuasore che egli si
affaccia a una rivisitazione stilistica esplicitamente surrealista e la figura
affianca i coaguli di forme organiche e viscerali predilette dal pittore, a quel
tempo in uscita dall’Informale con possibilità di relazione, per una poetica
decisamente Pop.
Contemporaneamente, a Reggio Emilia l’Amministrazione provinciale
applicava la legge del 2% con frequente incidenza per l’edilizia scolastica,
sia con la realizzazione di sculture in dialettico confronto con l’ architettura
per lo più anonima, sia con l’acquisto di numerosi quadri da arredo parete.
Gli artisti privilegiati erano per lo più territoriali, tra i quali si distinguono per
ricerca e qualità la fronda che visitava «l’ultimo naturalismo» come Rina
Ferri, Enzo Vescovi, Vittorio Cavicchioni e Gianni Ruspaggiari, il chiarista
lirico Gino Gandini e il cubo surrealista Albano Seguri.
La coniugazione d’istanze stilistiche di Moore e Picasso suggestionava
anche Luciano Ceschia che realizzava La scienza, la tecnica e il lavoro in
un grande pannello architettonico per l’Istituto Corni di Modena:
è assai
interessante lo schizzo preparatorio dell’altorilievo, datato 1963, perché la
composizione si presenta come un ammasso di forme morbide e sinuose
d’ispirazione a Moore, chiuse all’interno di un’imponente cornice a guisa di
porta, ma nella realizzazione alcune di esse diventano più spigolose e
geometriche dando vita a una maggiore dialettica con il cubismo che
influenzava anche l’informalismo scultoreo di Beppe Marzot, presente a
Reggio nell’Istituto Secchi -Scaruffi e a Forlì nella Scuola “Dante Alighieri”.
Fontana
e
Leoncillo
avevano
già
eletto
la
ceramica
a
materiale
privilegiato per le opere concettuali e informali quando il faentino Carlo
Zauli iniziò ad emergere come artista aggiornato all’avanguardia: allievo di
Domenico Rambelli, egli sperimentò ed incardinò la sua ricerca artistica
sulla
«dialettica
tra
forma
mentale
e
‘naturalità
fisica’»
coniugando
«organicità e razionalismo» in una formula oggi definibile naturalismo
concettuale. Egli vinceva numerosi concorsi del 2% costellando gli edifici
con opere di straordinaria potenza materica e spazi ale e cercando un
rapporto dialettico con l’ambiente d’inserimento: dal Cubo alato per la
Camera di Commercio di Forlì, alle sculture per la Facoltà di Lettere a
Bologna ove tra i solchi, concavi e convessi suoi tipici e processuali
scivolature morbide come stoffa piegata, si alternano i segni incisi nella
materia / rilevando le lame taglienti e aggettanti che compongono l’ossimoro
conflittuale dei segni opposti dell’arte di Zauli, mentre in Genesi geometrica
per l’Ospedale di Faenza l’artista generava un’opera concettuale che
coniuga forme astratte e geometriche rigorosamente simmetriche con una
personale rivisitazione delle sculture surrealiste e brutaliste di Edoardo
Paolozzi.
La scultura astratto-concreta di Gianni Cinciarini, la cui cifra stilistica
rinvia sempre agli alveoli dello smalto champlevè, risultava vincente in
numerosi concorsi a Forlì, dove egli compiva la Fontana dell’Artstud,
l’emancipazione sul sapere della stilizzata Donna nel secondo Risorgimento
per la Scuola “Diego Fabbri”, il pannell o natatorio per la Piscina Comunale
di Imola, le biomorfe Pulsazioni cardiache per il reparto di Medicina e
Cardiologia
dell’Ospedale
Morgagni
trionfanti
sui
bozzetti
di
gusto
surrealista di Augusto Neri; ed, infine, Il mondo della ginnastica cesellato
nel mar mo per la nuova Palestra progettata dall’architetto Gabrio Furani.
Qui l’artista ha rappresentato le discipline della ginnastica artistica che si
alternano come sinuose mummie fasciate all’interno degli alveoli di materia
lacerata
con
un
aggiornamento
stilistico
postmoderno,
mentre
la
decorazione parietale interna, astratto-geometrica, è frutto di Paolo Carli
Moretti che l’ha ideata in accordo con il progettista.
Ancora dalla stretta collaborazione tra un artista e una architetto, anche
se non progettista dell’ampliamento della struttura cui l’opera è collegata,
nasce l’installazione Luce ed ombra di Ilario Nati e Stefania Mirandola per la
nuova parte ipogea del cimitero del Piratello di Imola. Si tratta di un’opera
concettuale che s’integra con le fughe dell’architettura e la cui valenza
metaforica è volta a richiamare lo scambio osmotico, tra il raggio di luce e il
cono d’ombra della soglia, del passaggio tra la vita e la morte e la
trasformazione che ne consegue. E sempre a Imola, in straordinario
equilibrio armonico con i volumi architettonici postmoderni, Bertozzi &
Casoni concretano a metà degli anni Novanta il gioioso pannello neo Pop in
ceramica Ditelo con i fiori per l’Ospedale Santa Maria della Scaletta che va
ad aggiungersi a un Mare mediterraneo di Carlo Zauli posto nell’atrio.
Alla fine degli anni Novanta i concorsi del 2% in Emilia-Romagna
prendono maggior quota grazie a un bando del Comune di Ravenna e a un
altro del Ministero dei lavori Pubblici che prevede opere d’arte in varie case
circondariali e caserme dei Carabinieri del territorio.
A Ravenna vincevano Sandro Piermarini e Fernando Iraci con un
pannello in marmo- mosaico, architettonico, astratto, modulare e pittorico dal
titolo
evocativo
assistenziale
per
Acque
la
chiare
terza
età
e
trasparenti
della
città,
per
mentre
la
Struttura
Davide
soci o-
Rivalta
si
aggiudicava lo spazio della piazza interna del nuovo Palazzo di Giustizia,
ove dislocava Occulti latices, sei gorilla in bronzo alti tre metri ciascuno e
realizzati dall’artista con l’i ntenzione di dare forma animale ai sentimenti
intensi, a volte brutali, vissuti da chi attraversa un Tribunale. L’efficacia
dell’opera, terminata nel 2002, nasce proprio dal contrasto tra la linearità
austera dell’immobile e l’energia primordiale delle sculture: le dimensioni,
gli atteggiamenti, la natura degli animali e naturalmente l’approccio alla
materia, fisico e viscerale, completano come un emozionante ossimoro gli
equilibri di un’architettura simmetrica, rigida e lineare.
Sempre a Ravenna, per l’edificio dell’Arma dei Carabinieri, Giuseppe
Uncini traduceva in acciaio una delle sue Dimore, toccando il riferimento
topologico abitativo holderliniano, fonte d’ispirazione anche per Graziano
Pompili
che
sviluppa
il
tema
nelle
varie
versioni
della
sua
opera
Poeticamente abita l’uomo, e in Tannetum a Mavarta di Sant’Ilario d’Enza
dove l’artista coniuga il nucleo abitativo installato all’architettura rurale
riattata e ampliata, in un contrappunto armonico spaziale tra architettura e
scultura che ridona fiduci a al perduto dialogo tra le due arti.
Inaugurata il 21 marzo del 2000, la scultura Senza titolo di Giuseppe
Maraniello per l’Arma dei Carabinieri di Rimini coniuga elementi arcaici alla
simbologia dell’arma con equilibrio ed atletica potenza. Lo stesso anno si
concludevano, con la nomina a vincitore di Giuseppe Spagnulo, i lavori del
concorso pubblico tra artisti per l’ideazione e l’esecuzione di un’opera d’arte
destinata all’abbellimento del nuovo Palazzo dello Sport di Faenza. La
commissione sceglieva l’opera di Spagnulo «per la qualità intrinseca, per la
capacità di porsi in relazione all’edificio, per le garanzie di durata nel tempo
che i materiali proposti offrono, per gli elementi che suggeriscono saldezza
e dinamismo e che rispecchiano la destinazione e peculiarità dell’edificio,
per la sua capacità di raccogliere in modo differenziato le variazioni di luce
nell’arco della giornata e al mutare delle stagioni» . L’opera, scelta con il
meccanismo più tradizionale della legge e senza alcuna partecipazione
cittadina, suscitava polemiche campaniliste in chi desiderava che venisse
scelto un lavoro realizzato con la tecnica ceramica che tradizionalmente
contraddistingue il luogo, ma si trattava di sterili polemiche perché la
scultura
equilibrio
concettuale
tettonico
di
e
retaggio
realizzata
poverista
con
di
Spagnulo
raffinato
ed
è
creata
aggiornato
con
senso
monumentale.
Il paesaggismo astratto, mentale, concettuale, simbolico, realizzato con
tecnica musiva nello stesso biennio e incastonato in parete, accomuna le
opere di Erio Carnevali, Il pensiero e Dopo per l’Ospedale di Baggiovara e
di Nataly Maier Mare per la Capitaneria di Porto di Ravenna, il cui bando del
2% veniva vinto nel 2004 anche da altri artisti come Gianfranco Cresciani,
Franco Marocco, Antonio Rinaldi e Ignazio Gadaleta.
Contemporaneamente, l’Amministrazione sanitaria della Provincia di
Ferrara procedeva all’affidamento diretto di alcune opere d’arte da eseguire
con il residuo finanziario della costruzione, o riattamento, di strutture di sua
co mpetenza: il forlivese Matteo Lucca eseguiva la scultura d’influenza
transavaguardista Autoforia per l’Ospedale di Bondeno; Sara Berti, con
esistenzialismo dolente e forse suggestionata dalla pittura di Roberto Barni
plastica come terracotta il bronzo Rinascita, l’Uomo e la Fenice per
l’Ospedale “del Delta” di Lagosanto / mentre il principio di trasformazione di
figure stilizzate, archetipiche, fuse con uno stile che guarda con occhio
postmoderno a Henry Moore alberga in Rinascita di Maria Cristina Pacelli
per l’Ospedale di Argenta; ma, in particolare, è l’installazione concettuale,
site
specific,
di
Riccardo
Catozzi
che
s’interseca
con
intelligenza
nell’architettura preesistente del Dipartimento di Sanità Pubblica di Ferrara.
Infine,
nel
2008,
l’Autorità
portuale
di
Ravenna,
in
seguito
al
trasferimento nel nuovo edificio ideato dall’architetto Anita Sardellini - ove
sono coniugate al contempo suggestioni d’impianto gregottiano a finiture più
vicine a Mario Botta - apriva un «bando di concorso per la realizzazione di
opere d’arte destinate all’allestimento di sale del nuovo edificio» ai sensi
delle “Linee guida per l’applicazione della legge n.717/1949 pubblicate nel
2006 .
La commissione, composta da Giuseppe Parrello, Anita Sardellini, Maria
Concetta
Muscolino,
Vittorio
D’Augusta,
Concetto
Pozzati
e
con
la
consulenza esterna di Claudio Spadoni, decideva d’individuare nei soli
Giovanni Lombardini, Luca Piovaccari, Davide Rivalta e Marco de Luca, gli
artisti ai quali assegnare il compimento delle quattro opere individuate
orchestrando così una significativa sintesi del pluralismo di poetiche e
tecniche di qualità della contemporaneità, anche se susseguenti al progetto
architettonico e alla costruzione dell’edificio. Marco De Luca componeva un
suggestivo e cangiante astratto Mediterraneo in mosaico, Luca Piovaccari
installava Una strada del mondo prestando la sua opera ad una lettura
antropologica, culturalmente nomadica, Giovanni Lombardini dava corpo ad
un’opera astratta, cromaticamente fluida; e Davide Rivalta raggiungeva esiti
poetici ed estetici particolari con un wall drawing in cui Rinoceronti ispirati
dalla lettura del Milione di Marco Polo galleggiano, preistorici ed arcaici
nella potenza semantica e sintattica del suo segno, su un’ampia parete della
Sala Riunioni dell’Autorità portuale, che si apre così ad effetti scenografici
dettati dalla studiata divaricazione della traiettoria prospettica.
Leonardo Benevolo concludeva il suo testo su L’architettura del nuovo
millennio
con una grande attenzione alla tettonica infrastrutturale mentre
sono di estrema attualità e significativa portata storica i dieci progetti dei
grandi architetti, da Jean Nouvel a Bernardo Secchi, invitati a riprogettare
l’urbanistica, le infrastrutture e la viabilità di una metropoli come Parigi.
In Italia, la legge 717 del ’49 si appresta ad essere abrogata e confluire
modificata nell’articolo 10 del Disegno di Legge sulla Qualità architettonica
dal Governo attuale; e in un momento in cui storici dell’arte e critici sono
tutti d’accordo che l’arte sia arrivata ad un punto di saturazione del
postmodernismo quale espressione e sinonimo di una società tecnologica,
tardo capitalista e consumista, ora in drammatica crisi che si spera almeno
apra a diverse opportunità artistiche di nuova autenticità.
Giulio Carlo Argan nel suo testo L’integrazione di architettura, pittura e
scultura indicava già, con saggezza chiaroveggente, il nodo cruciale con il
quale
si
confrontano
oggi,
all’inizio
del
XXI
secolo,
le
arti
e,
di
conseguenza, la nostra ri cerca: egli segnava già un viatico che individua
nella progettazione unitaria delle arti un sensibile rinnovamento di esse in
funzione sociale. E’ importante, allora, iniziare a progettare in maniera
unitaria, perché una modernità autentica e nuova delle arti, socialmente
funzionale e significativamente relazionale, potrebbe proprio rinascere da
questi
presupposti
e
dalle
parole
di
Argan
a
cui
lascio,
un
po’
provocatoriamente, la conclusione: “l’integrazione delle arti costituisce
un’esigenza vitale della cultura artistica moderna e del suo sviluppo nel
senso di una maggiore funzionalità sociale dell’arte […] Una delle obiezioni
più frequenti contro la tesi, teoricamente inattaccabile, della cooperazione
in fase progettistica è che, in questo modo, sarebbero gli architetti a
scegliere gli artisti e ad approvare o respingere il loro lavoro. Se lo scopo
non è di distribuire un po’ di denaro tra gli artisti, ma di giungere a risultati
artistici di valore, è inevitabile che sia così. ”
Franco Gazzarri
Responsabile Progettazione e esecuzione lavori del Comune di Venezia
Mi fa piacere che Venezia sia considerata significativa in questo campo,
nella sua specificità. Quelle che vi mostrerò sono sostanzialmente due
esperienze di applicazione della legge 717/1949, avviate tra il 2002 e 2005,
una ultimata, cioè arrivata alla realizzazione dell’opera, quella relativa al
nuovo cimitero di San Pietro in Volta, e una invece, quella
relativa alla
Nuova Cittadella di Giustizia, ancora in corso. Per quest’ultima sono stati
selezionati gli artisti e, una volta ultimati i lavori edilizi, dovranno essere
realizzate le opere d’arte.
Come formazione sono architetto e sono dirigente del Comune di
Venezia
nel
settore
dei
Lavori
pubblici;
vi
parlo,
pertanto,
in
base
all’esperienza come tecnico funzionario della pubblica amministrazione, in
qualità di responsabile di procedimenti - la legge nazionale italiana ha
individuato una figura, che si chiama responsabile unico del procedimento,
che deve seguire il procedimento di opera pubbli ca in tutte le sue fasi, dalla
fase di programmazione, alla fase di progettazione, fino alla fase di appalto
e poi di realizzazione - nonché di tecnico responsabile della progettazione e
direzione lavori. La legge 717 del 1949 non è certo perfetta, però è una
legge che può essere applicata con alcuni piccoli accorgimenti operativi.
Questi
accorgimenti
sono
interpretazioni
del
quadro
normativo,
che
possono essere discrezionali da parte del responsabile del procedimento, e
possono migliorare l’applicazione della legge stessa. Il problema di fondo,
secondo me, è che la legge viene applicata poco. Personalmente preferisco
avere la presente legge, che mi garantisce, se bene applicata, comunque,
un
procedimento
“ad
evidenza
pubblica”,
ovvero
un
procedimento
concorsuale, la non discrezionalità delle scelte, piuttosto che un quadro
normativo che lascia ampio margine alla discrezionalità, come mi sembra di
capire dai disegni di legge in discussione. Come spesso succede in Italia, la
legge c’è e, se fosse applicata, potrebbe funzionare, purtroppo non viene
applicata e forse il problema è farla applicare di più. Mi permetto di fare
un’osservazione
all’architetto
Anna
Maria
Tatò,
nella
sua
figura
di
funzionario ministeriale: perché l’Osservatorio dei Lavori Pubblici, nella
verifica campionaria delle schede relative a lavori pubblici, non verifica che
il quadro economico contenga l’applicazione del 2% ? E perché, nella fase
di collaudo, non si propone di verificare anche l’applicazione della 2%,
quando obbligatorio? Questo sarebbe già un buon sistema per estendere l’
applicazione della legge e l’arte pubblica. Spiego per i non tecnici: tutte le
opere pubbliche devono essere rendicontate all’Osservatorio Lavori Pubblici
del Ministero, attraverso un sistema informatico, applicando una procedura
complessa; all’interno di questa procedura informatica deve essere indicato,
tra l’altro, il quadro economico dell’opera. Voi sapete che la 717 prescrive
che, per le opere pubbliche di nuova realizzazione, il quadro economico
debba contenere un accantonamento del 2% dell’appalto per opere di
abbellimento artistico. Il Ministero, pertanto, potrebbe avere la possibilità di
controllare
se
le
amministrazioni
applicano
il
2%
oppure
no;
successivamente, all’interno del quadro sanzionatorio previsto, ci potrebbe
essere il coinvolgimento del responsabile unico del procedimento, una volta
evidenziate
alcune
inadempienze,
ad
esempio
nel
caso
di
collaudo
dell’opera senza applicazione del 2%. Questa è un’ipotesi, all’interno del
quadro normativo esistente, di stimolo per l’applicazione della legge.
Veniamo adesso alla presentazione delle esperienze. Questo che vedete
è l’ampliamento del cimitero di San Pietro in Volta. San Pietro in Volta
fa
parte di Pellestrina, che è l’isola lunga e stretta che separa, con il Lido, la
laguna dal mare. Nel 2003, in occasione dell’ampliamento del cimitero,
abbiamo applicato la legge del 2% per realizzare un’opera d’arte per il
nuovo cimitero.
La cifra stanziata era limitata, circa 32.000 euro. Il
concorso ha previsto diverse fasi: la fase della pubblicazione del concorso
attraverso il bando, le fasi di selezione degli artisti, di realizzazione
dell’opera,
di
comunicazione.
Relativamente
alla
pubblicazione, c’è un aspetto importante da sottolineare:
prima
fase
di
è evidente che
l’artista non sempre va a vedere le affissioni all’Albo pretorio del Comune o
legge i giornali sui quali la pubblica amministrazione è tenuta a pubblicare
l’estratto del bando di gara, quindi, contemporaneamente alla pubblicazione
istituzionale, abbiamo attivato una serie di comunicazioni specialistiche nei
siti più importanti nel mondo dell’arte, ad esempio utilizzando il network
UnDo.net. Con una pubblicazione diversificata abbiamo avuto, sia nel caso
di San Pietro in Volta, sia nel caso della Cittadella, una presentazione di
domande di partecipazione consistente: il che significa che gli artisti
riescono ad essere informati se la comunicazione avviene anche attraverso
organi di comunicazione che non sono solo quelli istituzionali legati al
settore degli appalti pubblici. Nel caso di San Pietro in Volta abbiamo avuto
circa settanta domande di partecipazione; all’interno di queste domande la
commissione ha selezionato cinque artisti, che hanno avuto un rimborso
spese per la presentazione del bozzetto di idea artistica.
La commissione è molto importante. Intanto, a mio parere, è importante
che sia nota all’inizio, con la pubblicazione del bando stesso; anche se, su
questo punto, il dibattito è aperto, in quanto, a livello di gara pubblica, è
bene
che
la
commissione
di
un
concorso
non
sia
conosciuta
prima
dell’apertura delle offerte. Si ritiene infatti che i membri della commissione
potrebbero essere contattati dai concorrenti e spinti verso una determinata
scelta. Nel caso di applicazione del 2%, però, è significativo, da parte di un
artista, conoscere prima
Pietro,
quando
è
stato
chi giudica; per questo motivo il bando di San
pubblicato,
conteneva
già
la
nomina
della
commissione. Per San Pietro la commissione era costituita dal responsabile
unico del procedimento, dal progettista dell’intervento, da un artista – la
legge parla di due artisti di chiara fama nazionale; anche in questo caso
abbiamo
dato
un’interpretazione
più
attuale
del
contesto
artistico
contemporaneo, un po’ discrezionale, ma, riteniamo, rientrante all’interno
del quadro normativo vigente e quindi non suscettibile di ricorso e di
contenzioso; abbiamo scelto un artista veneziano, perché l’intervento è
riferito ad una piccola comunità, periferica della realtà veneziana; ma come
secondo rappresentante, secondo intellettuale, non tecnico, coinvolto nella
scelta, abbiamo optato per un curatore, un critico, nel caso specifico Vittorio
Urbani che è il Presidente dell’Associazione Nuova Icona di Venezia, che
forse alcuni conoscono - poi vi era un rappresentante della Sovrintendenza
ai Beni Artistici, per un totale di cinque elementi. Abbiamo fatto partecipare
ai lavori della commissione, senza diritto di voto, anche un rappresentante
della Municipalità di Pellestrina. La giuria ha indivi duato cinque artisti, che
erano: Stephan Dornbusch, architetto tedesco di Berlino, Maurizio Pellegrin,
Olga Gabrielli, Terry Smith da Londra e Peter Johansson, svedese. Gli
artisti dovevano presentare un bozzetto;
vi presento ora due progetti:
questo è il progetto presentato da Peter Johansson, l’artista svedese, un po’
nazionalpopolare-pop-kitsch;
la sua idea era la collocazione, lungo la
rampa di accesso ai campi inumatori sopraelevati sul piano di capagna, di
una fontana che sprigiona vapore e crea una barriera di 50 cm di altezza da
oltrepassare salendo o scendendo. L’artista vincitore è stato l’architetto
Stephan Dornbusch e ciò mi ha fatto piacere perché, secondo me, è riuscito
a inserire la sua opera all’interno dell’intervento architettonico. Il
l avoro
trae idea da Italo Calvino, s’intitola Nella lontananza così vicino, con
riferimento ad una delle Città invisibili, Despina. Si tratta di una serie di
oggetti che l’artista colloca in diverse posizioni del nuovo cimitero; questi
oggetti fanno riferimento ad alcuni concetti astratti, ad alcune idee generali
- sviluppo, comunità, leggerezza e celeste - ad esempio
azzurro è un
pannello metallico che fa da sfondo alla rampa, sviluppo è rappresentato da
oggetti seriali, legati alla forma della fabbrica, delle case, collocati sulla
rampa in corrispondenza dell’ossario comune. E’ un lavoro che riesce ad
esprimere, a mio parere, il senso civico di una comunità, dialogando con lo
skyline dell’abitato di San Pietro in Volta, che fa da sfondo all’opera
attraverso l’apertura sul muro di cinta del cimitero.
Il problema del rifiuto dell’opera d’arte è un problema forte. Questo
problema è emerso in maniera molto evidente nella seconda esperienza che
illustrerò, quella della Cittadella della Giustizia. Per San Pietro in Volta
abbiamo pensato di prevenire tale rifiuto, avviando un’azione di animazione
locale e promozione. Tenete presente che la comunità di San Pietro in Volta
è
una
comunità
abbastanza
piccola
e
marginale
rispetto
alla
città
‘cosmopolita’ che è Venezia, aperta al mondo dell’arte contemporanea,
quindi abbiamo pensato di coinvolgere uno dei cinque artisti che era stato
selezionato, Olga Gabrielli, in un’operazione di laboratorio di partecipazione
con la comunità del luogo. L’intento era quello che i bambini dovevano
spiegare agli adulti, ai genitori, l’opera d’arte, quella che avrebbero trovato
una volta aperto il nuovo cimitero. Sono stati affissi e distribuiti manifestini
anonimi, una settimana prima dell’inaugurazione; l’isola è stata riempita di
posters, con tante figure diverse che facevano riferimento ai temi delle
opere di Stephan Dornbusch - sviluppo, comunità, leggerezza e celeste -; la
gente doveva incuriosirsi a tali raffigurazioni, chiedersi cosa fossero, solo
alla fine avrebbe ritrovato quegl i oggetti rappresentati, in forma fisica, nel
nuovo cimitero. Abbiamo poi organizzato un laboratorio di animazione con
Stephan Dornbusch e i bambini della scuola media,
in collaborazione con
gli insegnanti, stimolando i bambini a fare disegni sugli stessi temi. Erano
stati predisposti dei libretti: nei libretti c’erano le figure dei posters e i
bambini dovevano integrarli con i loro disegni sugli stessi temi. Alla fine
dell’esperienza
di
laboratorio
abbiamo
organizzato
una
mostra,
in
concomitanza con l’apertura del cimi tero stesso. Ci sono state quindi la
cerimonia di apertura del nuovo cimitero, la messa, la benedizione e, subito
dopo, l’apertura della mostra, con relativo rinfresco pubblico organizzato
dagli anziani dell’isola, dove erano esposti i cinque bozzetti degli artisti
selezionati, compreso quello dell’artista vincitore, e poi tutti i lavori dei
bambini realizzati nella settimana di laboratorio. In questo concorso la
partecipazione era importante, del resto l’opera d’arte contemporanea, che
effettivamente ha perso il contatto immediato con la gente, rischia di essere
un’operazione
l’operazione
intellettuale
di
abbellimento
e
autoreferenziale;
artistico
prevede
risulta
anche
strategico
un
momento
se
di
partecipazione di questo genere.
La seconda esperienza che vi mostro è stata più significativa in termini
finanziari e di coinvolgimento dei soggetti. In questo caso l’applicazione
della legge 717 riguarda la Nuova Cittadella della Giustizia, i cui lavori di
realizzazione sono in corso.
Questo concorso nasce nel 2003 ed era stato anticipato dal convegno
organizzato dal Comune di Venezia insieme all’Università Iuav nel 2004, sul
tema del “dueXcento”. In quella occasione abbiamo presentato il concorso.
che è stato bandito subito dopo. Il bando di concorso è stato redatto da
Marco De Michelis, critico d’arte, docente IUAV e coordinatore scientifico
dell’evento, insieme al sottoscritto. Il modello di bando è stato tratto
dall’esperienza di Salerno, dove stanno realizzando il nuovo palazzo di
Giustizia su progetto di David Chipperfiled. Ricordo che il Comune di
Venezia sta realizzando l’ampliamento del cimitero di San Michele su
progetto dello stesso architetto, vincitore di un concorso di progettazione,
dove speriamo, tra qualche anno, di applicare il 2%, accantonato nel quadro
economico. Parlando, appunto, con lo studio di progettazione, abbiamo
ripreso quello che stavano facendo a Salerno, proprio per il Palazzo di
Giustizia. Il bando di Salerno, redatto con il coordinamento di Achille Bonito
Oliva, prevede, per la scelta degli artisti, due diverse sezioni: una sezione
libera e una sezione ad invito. Nel nostro caso abbiamo individuato due
aree all’interno del progetto: un’area per la sezione libera e un’area per la
sezione invito. Sezione libera significa che gli artisti invitati sono scelti sulla
base delle domande di partecipazione sulla base dei curricula trasmessi,
mentre, per quanto riguarda la sezione ad invito, la commissione, che era
già nota con la pubblicazione del bando, poteva proporre otto arti sti da
invitare direttamente. Nel caso della Cittadella la commissione - altro
aspetto importante – per quanto riguarda la sua costituzione, prevedeva la
nomina di membri effettivi e membri supplenti, che hanno partecipato, fin
dall’inizio, ai lavori della giuria. La commissione, infatti, deve decidere in
compresenza di tutti i membri nominati; quindi, in caso di assenza di
qualche membro, non può prendere decisioni e deve essere riconvocata. I
membri supplenti nominati sostituivano il membro effettivo risultato assente
il giorno della convocazione. La commissione era costituita da sette membri:
il progettista che è Pietro Mainardis – il progetto della Cittadella è di Cappai
e Mainardis e dei giovani Cappai/Segantini -; il direttore dei Musei Civici
Giandomenico Romanelli; il rappresentante della Sovrintendenza ai Beni
Artistici Ettore Merkel; il Presidente della Corte d’Appello, in qualità di
rappresentante dei destinatari/utenti, che poi ha delegato un sostituto; il
curatore scientifico dell’evento Marco De Michelis; infine, anche in questo
caso, anziché due artisti di chiara fama, un critico-curatore che era Carlos
Basualdo e un solo artista, Michelangelo Pistoletto. I membri supplenti, che
poi sono intervenuti nella selezione in quanto, in una delle due sedute,
alcuni dei membri effettivi erano mancati, erano Angela Vettese, Margherita
Guccione e Carlo Cappai, quest’ultimo come rappresentante dei progettisti.
In
questo
caso
l’ordine
di
grandezza
economica
del
concorso
è
consistente. Lo stanziamento per i l 2% è stato calcolato soltanto sugli edifici
di nuova costruzione – e non sugli edifici oggetto di recupero – esso
ammonta a circa 529.000 euro. La sezione libera del concorso interessa il
nuovo edificio di entrata, lungo e stretto; la sezione libera prevede la
collocazione di un opera d’arte nella hall di ingresso, che è il luogo
identificato con il numero 1; mentre la sezione ad inviti riguarda uno spazio
scoperto, che è il numero 2 della pianta, una specie di piazza di raccordo
tra i diversi corpi di fabbrica. Nel caso della collocazione n° 2 il bando
prevede
che
l’artista
selezionato
definisca,
assieme
agli
architetti,
il
progetto esecutivo della piazzetta inserendovi l’opera d’arte prevista. Sono
pervenute circa 200 domande, anche qui facendo una buona comunicazione
non limitata agli organi istituzionali. Sono stati poi selezionati gli otto artisti
della sezione libera: Remo Salvadori Katrin Korfmann, Loris Cecchini, Jorg
Mandernach,
Mario
Airò,
Botto&Bruno,
Marjetica
Potrc,
Jeanne
Van
Heeswijk.
Per la sezione ad inviti i commissari hanno scelto otto artisti da invitare
direttamente, e altri sette artisti sostituti, nel caso l’artista non avesse
confermato la partecipazione. Gli artisti che hanno aderito sono stati sette:
Dan Graham, Franz West, Mimmo Palladino, Giuseppe Penone, Alberto
Garutti,
Tobias
Rehberger,
Rachel
Whiteread;
tre
quelli
che
hanno
presentato la proposta di opera: Alberto Garutti, Giuseppe Penone e Dan
Graham.
Sette artisti della sezione libera hanno presentato il bozzetto, tutti
tranne Loris Cecchini. Gli artisti, sia della sezione libera che della sezione
ad invito, avevano un rimborso spese di 2.000 euro a testa e tutti i
commissari avevano un gettone di presenza, come nel concorso del
cimitero. Dimenticavo: il premio per il concorso del cimitero era 4.100 euro
, circa 8 milioni perché era ancora in lire. Per la Cittadella il premio era di
20.000 euro per la sezione libera e di 50.000 euro per la sezione ad inviti.
All’interno di questa cifra c’è anche la partecipazione dell’artista selezionato
alla
definizione
commissione
è
progettuale
stata
assieme
convocata
agli
all’interno
architetti
del
progettisti.
manufatto
della
La
ex
manifattura Tabacchi, vicino a piazzale Roma, interessata dai lavori di
ristrutturazione per la nuova Ci ttadella della Giustizia. Tutto si è svolto nei
luoghi interessati dai lavori stessi; la presentazione dei bozzetti artistici ai
commissari è avvenuta organizzando anche una piccola mostra, che, nei
giorni successivi, è stata aperta anche a soggetti esterni.
Vi faccio vedere, ora, il lavoro di Alberto Garutti, che a me è piaciuto
molto; in realtà, nella sezione ad inviti, è stato scelto Dan Graham, mentre
per la sezione libera hanno vinto i due artisti torinesi Botto&Bruno. Vi
mostro il video presentato da Garutti: l’artista ha previsto un captatore di
tuoni che fa accendere una serie di display con la scritta “la legge è uguale
per tutti”. Molto bello anche il lavoro di Penone: due piccoli disegni
rappresentano due massi che hanno lo stesso peso, posti sui piatti di una
bilancia, quella della Giustizia, in perfetto equilibrio tra loro; in uno dei due
disegni la bilancia è posta dentro una vasca d’acqua; uno dei due massi è
stato raccolto a monte in prossimità della cava, mentre l’altro è stato
raccolto, a valle, in prossimità della foce, una volta che il masso, attraverso
il rotolamento progressivo, si è dilavato e lucidato e ogni asperità è
scomparsa dalla sua massa.
Vi
mostro
anche
il
lavoro
di
Marjetica
Potrc
che
prevedeva
la
collocazione di alcune fontanelle di acqua potabile, riciclando l’acqua del
vicino canale. Questa invece è l’opera vincitrice della sezione libera, degli
artisti Botto & Bruno: è un gigantografia fotografica di 23 m di lunghezza da
collocare nell’ingresso del palazzo, tra le colonne dell’atrio, rappresentante
le fabbriche dismesse di Porto Marghera.
A questo punto volevo dire una cosa: pur con la massima accortezza
abbiamo fatto alcuni errori; come spesso succede in Italia, la solerzia
anziché premiare penalizza. Avevamo pensato di bandire il concorso
all’inizio dei lavori, in maniera che le opere d’arte potessero interagire con
l’architettura, coordinando il loro inserimento con gli archietti progettisti in
fase esecutiva. Ma sono sopraggiunte complicazioni in fase realizzativa e si
sono
accumulati
grossi
ritardi
vario
genere,
rinvenimento di resti archeologici, necessità di bonificare l’area.
I lavori
sono, pertanto, in ritardo e
per
problematiche
di
sarà difficile, a lavori ultimati, recuperare lo
stimolo iniziale per gli artisti coinvolti, soprattutto per Dan Graham. La
seconda difficoltà riguarda l’impatto dell’opera, l’accettazione da parte dei
fruitori: è successo che, quando abbiamo mostrato l’opera di Botto&Bruno ai
rappresentanti dei Magistrati, essa è sembrata troppo forte, di rottura,
troppo legata ad un’immagine di degrado fisico e sociale. L’idea è, ora,
quella di mantenere l’opera così com’è, ma collocarla, anziché in entrata,
all’interno
del
bar
previsto
l’architettura e l’arredo del
al
piano
terra
dell’edificio,
trasformando
bar nell’opera d’arte di Botto&Bruno. Questa,
infine, è l’opera di Dan Graham: è un gazebo di superfici riflettenti ed
elementi a verde, che si interfaccia con le architetture e gli elementi
vegetali presenti nel contesto.
Ho finito, grazie della vostra attenzione.
Elena Bastianin
Servizio Affari legislativi e qualità dei processi normativi della Regione
Emilia-Romagna
Buonasera a tutti. Allora io passerò ad illustrarvi quella che è la bozza di
un primo articolato di un progetto di legge che non è stato ancora
presentato formalmente, ma che ci auguriamo avrà un esito positivo,
riguardante –appunto – “Norme regionali per l’arte negli edifici pubblici”.
Questo progetto di legge è il frutto del lavoro di un gruppo di studio
interistituzionale cui io e il mio responsabile dott. Ricciardelli siamo stati
chiamati a partecipare e che è stato veramente molto stimolante per
l’interesse che queste tematiche hanno suscitato nel nostro lavoro: non
capita spesso di dover tradurre delle istanze che vengono da settori
diversissimi in un articolato di legge.
Quindi, tentando di essere chiara -anche perché, visto l’orario, non so
l’attenzione e la resistenza a che punto siano- mi aiuterò con delle slides
per illustrarvi l’articolato.
Và premesso innanzitutto che, nel predisporre questo progetto di legge,
la Regione Emilia-Romagna si muove in una di quelle materie cosiddette di
“legislazione concorrente”: come saprete, dopo la riforma costituzionale del
2001, c’è sostanzialmente una tripartizione nelle materie su cui lo Stato e le
Regioni possono esercitare una competenza legislativa: quelle dove può
dettare le regole solamente lo Stato, un secondo gruppo di materie - quale
quella in esame - che sono a legislazione cosiddetta “concorrente” (in cui la
Regione può l egiferare andando a specificare principi generali comunque
stabiliti a livello statale) ed, infine, un gruppo di materie a legislazione
cosiddetta
“esclusiva
residuale”
(in
cui
la
regione
può
dettare
autonomamente la propria disciplina).
Va premesso dunque che ci troviamo in un ambito in cui non abbiamo
completamente le mani libere perché dobbiamo rispettare i principi dettati
dalla normativa nazionale ed abbiamo avuto quindi come riferimento la
disciplina della legge 717, le linee guida che sono state emanate nel 2006
ed il disegno di legge a promozione della qualità architettonica che è stato
approvato dal consiglio dei ministri alla fine dell’anno scorso (che ancora
dunque è in una fase diciamo non avanzatissima. Insomma, si tratta di un
progetto che sta andando avanti, ma di cui non conosciamo esattamente la
tempistica). Diciamo comunque che con l’iniziativa in esame la regione
mostra una sensibilità che si è manifestata contemporaneamente anche a
livello nazionale perché il gruppo di studio sul per cento per l’arte lavorava mi sembra di ricordare- già dal 2006.
All’articolo 1 di questo progetto di legge vengono chiarite le finalità ed i
principi che sono quelli di incentivare la realizzazione e l’acquisizione di
opere d’arte negli edifici pubblici per favorire l’identificazione del cittadino
con
i
luoghi
pubblici,
migliorare
la
vivibilità
dell’ambiente
urbano
e
incoraggiare i progetti che incentivino uno sviluppo armonico del territorio.
Nella seconda parte dell’articolo 1 viene richiamato un principio contenuto
nella legge che veniva menzionata già questa mattina (cioè la legge 16 del
2002), specificando che il progetto di legge sull’arte negli edifici pubblici è
finalizzato anche al raggiungimento degli obiettivi della legge 16, ma
precisando che i finanziamenti che siano eventualmente erogati dalla
regione per promuovere la qualità architettonica attraverso l’inserimento di
opere d’arte negli edifici pubblici e nelle aree di loro pertinenza, non
possono essere utilizzate a copertura delle percentuali da destinare appunto
all’arte nelle opere pubbliche di cui al successivo articolo 4. Si è colta cioè
l’occasione per, da un lato, ribadire il principio già affermato nella appunto
precedente legge 16 e, dall’altro, per chiarire il rapporto appunto tra questa
nuova
normativa
regionale
e
la
precedente.
Quindi,
i
finanziamenti
eventualmente emanati sulla base della legge 16 saranno finanziamenti
ulteriori, non finanziamenti per andare a coprire questo obbligo.
Per quanto riguarda l’ambito applicativo della legge si è chiarito,
probabilmente con un eccesso di zelo (nel senso che non poteva che essere
così), che ovviamente la legge regionale riguarderà le opere realizzate sul
territorio regionale da parte delle pubbliche amministrazioni che non siano
né
statali
né
enti
pubblici
nazionali:
questo
perché
sulle
pubbliche
amministrazioni che sono enti pubblici nazionali ovviamente non abbiamo
una competenza legislativa diretta, essendo questa riservata allo Stato. Si
sono invece comprese (in questo aderendo all’opzione accolta nel nuovo
disegno
di
legge
statale
sulla
qualità
architettonica)
nell’ambito
di
applicazione della legge non solo le opere di nuova realizzazione, ma anche
le
opere
di
restauro,
quelle
di
ristrutturazione
edilizia
e
quelle
di
ristrutturazione urbanistica richiamando le definizioni legislative nazionali
che definiscono appunto il concetto di restauro, di ristrutturazione edilizia e
di ristrutturazione urbanistica.
Al secondo comma dell’articolo 2 invece si è, diciamo, posta l’enfasi su
un caso particolare: e cioè quello in cui il restauro abbia ad oggetto
un’opera che sia già di per sé di intrinseco valore artistico, abbia una sua
unità storica perfetta. Se per esempio l’opera è frutto di un’artista famoso
(l’esempio
che
si
citava
nelle
riunioni
dei
gruppi
di
lavoro
come
paradigmatico era il Ponte di Calatrava a Venezia) si è specificato - appunto
avendo in mente un esempio di questo tipo- che, se il restauro ha ad
oggetto un opera di tal fatta, il semplice restauro è considerato sufficiente
per l’attuazione delle finalità della legge, senza obbligo di destinare ulteriori
somme. Ovviamente, si è riservata la valutazione di questi casi - che
saranno comunque casi eccezionali - alla valutazione della commissione
(che è la stessa commissione, nelle due diverse articolazioni, che è
deputata alla scelta dell’artista cui affidare l’esecuzione delle opere d’arte)
Nell’ottica di favorire la progettazione integrata -e quindi quel processo
che anche stamattina veniva indicato come fondamentale per far sì che
architettura ed arte si fondano in maniera proficua -è stato previsto che, sia
che l’opera costituisca un’invenzione progettuale, sia che sia oggetto di
restauro, valorizzazione o ristrutturazione edilizia, di norma l’inserimento
dell’opera d’arte debba essere contemplata fin dal progetto preliminare. E
questo anche quando si tratti di opere di design espressamente realizzate
per l’opera pubblica, o di acquisizione successiva di opere d’arte: questo,
appunto, come si diceva, per favorire in tutti i modi quella progettazione
integrata che veniva anche stamane auspicata da più parti.
Per rendere più pregnante l’obbligo di attuare la legge - quindi l’obbligo
da parte delle amministrazioni di destinare il 2 per cento, o meglio la
diversa percentuale che adesso andrò ad illustrarvi, alle opere d’arte- si è
previsto che il progetto definitivo che non rechi previsione dell’opera d’arte
o il relativo costo non possa essere approvato dagli organi competenti. Si è
tentato
così
di
rendere
veramente
stringente
l’obbligo
appunto
dell’applicazione
della
legge,
consapevoli
e
forti
delle
considerazioni
sull’applicazione passata della stessa.
Per quanto riguarda la percentuale per l’arte, si è graduata la medesima:
invece che ritenere il due per cento da destinare all’arte una percentuale
fissa, si è graduata la quota della spesa (sul modello utilizzato dalla legge
tedesca):
in
questo
modo
le
amministrazioni,
dunque,
destinano
all’inserimento di opere d’arte una quota della spesa totale, come risultante
dal computo metrico estimativo:
non inferiore al 2 per cento per la parte di spesa totale da 500.000,00
euro a 5.000.000,00 di euro;
all’1 per cento l’ulteriore parte di spesa fino a 10.000.000,00 di euro;
allo 0,5 per cento per l’ulteriore parte di spesa totale eccedenti i
10.000.000,00 di euro.
La soglia di esenzione al di sotto della quale la legge non trova
applicazione è stata mantenuta sullo stesso livello fissato dalla legge 717
del ‘49 ancora in vigore: 500.000,00 euro (un miliardo delle vecchie lire).
Si è previsto, quindi, come vi mostravo, un metodo non fisso del 2 per
cento sempre, ma un metodo “a scaglioni” che è stato pensato anche per
evitare i frazionamenti artificiali e artificiosi degli importi delle opere
pubbliche.
Anche in tema di individuazione dell’artista a cui affidare l’esecuzione
delle opere d’arte si è inserita una previsione che vuole agevolare il più
possibile la sinergia tra l’architetto e l’artista, dicendo che l’individuazione
appunto dell’artista deve avvenire tempestivamente, di norma subito dopo
l’approvazione del progetto preliminare. Ovviamente, fanno eccezione i casi
in cui l’artista venga individuato nell’ambito del concorso di progettazione o
del concorso di idee effettuato per il progetto perché in questi casi l’artista è
individuato a monte ed è parte attiva della progettazione. Quindi questa
fase di individuazione è anticipata addirittura rispetto a quanto previsto dal
nuovo disegno di legge del governo (il cui articolo 10 fa riferimento al
progetto definitivo per quanto riguarda la procedura di scelta dell’artista).
Mi rendo conto, dalle considerazioni che sono emerse prima, che la
scelta di differenziare la procedura sulla base del costo dell’opera forse non
riscuote tutto questo successo, però il lavoro è perfezionabile. Noi abbiamo
ritenuto ragionevole la scelta operata nel disegno di legge statale di
differenziare la procedura sulla base del costo dell’opera d’arte, prevedendo
appunto una commissione differenziata, composta di soli 3 soggetti (che
sono il committente o un suo rappresentante esperto, il critico storico
dell’arte nominato fra i membri dell’elenco cui vi dirò fra un momento e il
progettista) se appunto il costo dell’opera d’arte è inferiore a 100.000,00
euro, mentre di ricorrere alla vera e propria commissione di concorso, e
quindi a una procedura concorsuale, e se il costo dell’opera da realizzare è
superiore a 100.000,00 euro. In questo caso la commissione è composta dal
dirigente del settore lavori pubblici o responsabile dell’ufficio tecnico - cui
spetta presiedere la commissione- il dirigente del settore cultura
o
responsabile del patrimonio culturale dell’amministrazione proponente, il
progettista
ed
il
rappresentante
degli
utenti
dell’edificio
(vi
segnalo
quest’ultima novità perché si è tentato, in questo modo, di dare enfasi agli
istituti partecipativi su cui la Regione Emilia-Romagna ha sempre mostrato
una rilevante sensibilità) e infine due membri scelti dall’elenco regionale per
l’arte
contemporanea
nelle
opere
pubbliche.
Non
si
è
prevista
la
partecipazione obbligatori a del Sopraintendente, ma si è utilizzata una
diversa formula perché, essendo il Sopraintendente un organo dello Stato
( mi spiace, dato che il sopraintendente stamattina aveva sollevato il
problema, di non potergli dire di come avevamo pensato l’escamotage), non
potevamo imporne la presenza con una norma regionale: si è quindi pensato
di formulare la disposizione dicendo che ne viene richiesta la partecipazione
e starà a lui poi accettare o nominare un esperto in propria rappresentanza.
In mancanza, invece, si provvederà alla nomina di un ulteriore esperto fra
quelli
dell’elenco
regionale
per
l’arte
contemporanea.
Quindi
questo
meccanismo di sostituzione del Sopraintendente che può nominare in
sostituzione un esperto, un delegato o un ulteriore esperto dell’elenco
regionale è stata studiata per garantire comunque che il numero dei
componenti della commissione rimanga dispari, in modo che quando si vota
si ha comunque la possibilità di avere una maggioranza.
Ecco un’ulteriore disposizione innovativa (mi sembra qui di poter dare
una risposta anche ad una sollecitazione che emergeva stamattina forse dal
discorso dell’architetto Tatò): noi abbiamo previsto che, ad eccezione che
per
i
me mbri
esperti
scelti
appunto
da
questo
elenco
regionale,
la
partecipazione ai lavori della commissione sia senza oneri per la pubblica
amministrazione. Questo, diciamo, da un lato, perché si tratta comunque di
dipendenti pubblici e, dall’altro, perché si è comunque in un momento di
tagli, ci si muove in un contesto di ristrettezza delle risorse. Insomma,
garantire il risparmio di spesa è una finalità che ci è sembrata ragionevole.
L’articolo 6 si occupa invece di demandare a un avviso della giunta
regionale l’individuazione di un elenco regionale di personalità ed esperti in
storia dell’arte, critica d’arte, architettura ed arte visiva che coniughino
competenze tecnico-amministrative a conoscenza artistica; ai componenti
inseriti in questo elenco verranno affidati gli incarichi di membri della
commissione di cui all’articolo 5, comma 3 (che è quello che vi ho fatto
vedere prima, cioè la commissione di concorso vera e propria, non nella
forma semplificata).
Per quanto riguarda la parte sanzionatoria, essendo la questione molto
delicata perché la competenza regionale sulla parte sanzionatoria non è
pacifica, abbiamo preferito riportarci al sistema sanzionatorio previsto dalla
legge 717 il quale, come veniva ricordato stamattina, prevede che spetti al
collaudatore accertare l’adempimento degli obblighi. Il procedimento per
l’applicazione
delle
sanzioni
viene
dal
progetto
di
legge
regionale
demandato alla definizione di un successivo atto della Giunta Regionale.
L’articolo di chiusura, che riguarda il monitoraggio, prevede che per il
monitoraggio dell’applicazione della legge la Giunta Regionale si coordinerà
con l’osservatorio regionale per i lavori pubblici e con la direzione regionale
per i beni culturali e paesaggistici. E’ prevista la possibilità di concordare
l’istituzione di una commissione comune e questa commissione ogni anno
dovrà presentare alla giunta una apposita relazione sullo stato di attuazione
della legge.
Rita Finzi
Ingegnere, Responsabile Servizio Ricerche e Progetti del Consorzio Cooperative
Costruzioni di Bologna, Presidente del Concessionario DUC Bologna SpA,
Presidente del Concessionario Terzatorre e Vice Presidente Lega Coop
in vece di Mario Cucinella - Architetto
Buonasera a tutti. In effetti io indegnamente sostituisco Mario Cucinella
trattenuto a Parigi oggi che mi ha chiesto, visto che abbiamo vissuto
insieme l’avventura della costruzione della nuova sede del Comune di
Bologna, di venire a parlare dell’ episodio, perché di questo poi alla fine si
tratta,
dell’installazione
di
un’opera
d’arte
all’interno
di
questa
realizzazione. Voi sapete, se non lo sapete ve lo dico rapidamente, perché
elemento qualificante di questa vicenda la realizzazione della nuova sede
del Comune in Bologna è un caso di finanza di progetto, sostanzialmente
ormai da qualche tempo la Pubblica Amministrazione non dispone di risorse
econo mico finanziarie sufficienti alle opere pubbliche, siano esse per la
comunità siano esse per fini direzionali e quindi fa ricorso al capitale
privato; quindi, con una gara l’amministrazione decise appunto in finanza di
progetto di rivolgersi al mercato del capitale privato per realizzare la sua
nuova sede. Il raggruppamento i mprenditoriale che io rappresento mi vede
presidente della società concessionaria che ha realizzato questo intervento
e che gestirà per 27 anni questa sede nuova del Comune di Bologna.
Questo raggruppamento, Concessionario DUC Bologna SpA, vinse la gara
con un progetto che avevamo affidato a Mario Guccinella nel 2004 quando
Mario
ancora
era
abbastanza
sconosciuto
a
Bologna
se non
per la
realizzazione e la progettazione delle gocce, delle famigerate gocce, uno
dei primi esempi di architettura contemporanea di grandissima qualità che
Bologna ha avuto e che poi ha deciso di eliminare.
Noi abbiamo realizzato questo intervento del Comune finanziando
l’opera attraverso un finanziamento di circa 100 milioni di euro che poi noi
restituiremo
alle
banche
nei
prossimi
27
anni
percependo
dall’amministrazione un canone in base al quale appunto restituiremo il
debito; questo è il meccanismo detto in modo molto semplice. Io poi sono
direttore tecnico e direttore progetti speciali del Consorzio Cooperative e
Costruzioni che è il capofila di questo gruppo di imprese di soggetti
imprenditoriali che hanno costituito la società concessionaria e devo dire
che in una vita professionale ormai molto lunga, la mia, francamente non mi
è mai capitato di vedere in un quadro economico costituito dalla Pubblica
Amministrazione, messo a base di gara per la realizzazione di un opera
pubblica la somma del 2% per l’opera d’arte. Mai, perché per anni la
Pubblica Amministrazione ha disatteso i contenuti della legge, per altro
molto nota, quindi anche nella mia formazione diciamo giovanile di studente
di ingegneria anche dagli esami del corso di laurea sapevo che esisteva
questa legge, ma mai vista applicare. Ho poi sempre lavorato come privato
e come privato cioè come costruttore e come costruttore, viceversa,
siccome ho sempre attribuito in realtà a questa legge un significato
importante e come privato nelle rare occasioni che ho avuto a disposizione
ci siamo autodisciplinati o abbiamo proposto al cliente, al committente
privato, di invitare una rosa di artisti, di selezionare, e questo lo potevamo
fare in quanto privati; quindi, non una gara ma per inviti individuare e
assegnare un premio e far realizzare l’opera dall’artista. Questo è avvenuto
per la sede dell’ Unipol negli anni ’80, sede di via Stalingrado dove vinse
Spagnulo questa gara ad inviti e c’è la sua scultura installata. L’altro caso è
per la nuova sede della mia azienda: il Consorzio Cooperative Costruzioni,
dove convinsi il nostro presidente allibito, grazie anche alla collaborazione
di Maraniello il direttore di MAMbo, che ci aiutò a predisporre una rosa di
artisti e anche in questo caso noi attribuimmo la vincita a due artisti su
quattro invitati, perché piacquero ben due lavori e abbiamo realizzati. Uno è
di Loris Cecchini e l’altro è di Graziano Pompili , ma a parte questo fatto, è
importante dirvi che la sensibilità su questo punto è un sensibilità comunque
presente, soprattutto in chi costruisce tanti oggetti e soprattutto in quelli di
particolare significato per chi abita l’edificio, per il committente, per la
natura del committente il fatto di fare una scelta in campo artistico e quindi
di dare spazio a un espressione artistica è per me, io ritengo, una cosa
abbastanza importante ed è comunque presente. Oggi, alla luce della
normativa intervenuta della legge del ’49, in realtà si porta giustamente ad
un integrazione fra valore dell’architettura e valore artistico culturale, quindi
il contenuto che prima si attribuiva all’acquisto di un opera artistica oggi la
si vede integrata, infatti prima era citato il caso del ponte di Calatrava. Io mi
sono occupata di alta velocità dal ’92, per esempio, sulla Milano – Bologna
dove il problema dell’opera d’arte non si è mai posto anche perché si è
sempre detto: “noi abbiamo il ponte di Calatrava, l’asse attrezzato di Reggio
Emilia progettato da Calatrava integrato nel contratto, perché Tav ha
finanziato e ha pagato l’asse attrezzato di Reggio Emilia e lo scavalco
dell’alta velocità e dell’autostrada con il progetto di Calatrava e a questo
punto il problema è risolto”. La stessa cosa a un certo punto si pose con la
nuova sede del Comune di Bologna. Perché? Perché in questo caso il
soggetto attuatore non è la Pubblica Amministrazione. Questa è una legge
rivolta alla Pubblica Amministrazione quindi il soggetto attuatore, in questo
caso come d’ora in avanti secondo me sarà nella maggior parte dei casi,
diventa il privato ossia colui che finanzia; per quello che dicevo prima che
se l’amministrazione non ha i mezzi , se è il privato che finanzia e si sottrae
di
fatto
alla
applicazione
della
norma
aiutato
anche
dal
fatto
che
l’interpretazione più recente è quella che vede appunto un’interpretazione
del contenuto artistico e culturale ampio e quindi nella stessa architettura si
può vedere tale contenuto. Nel nostro caso però il privato che realizzava
l’opera e che io rappresentavo a un certo punto si è posto il problema,
anche perché Mario Cuccinella a un certo punto mi propose di rivestire di
specchi una intera parete nella hall principale della sede del Comune di
Bologna. Io il budget lo avevo ormai chiuso, avevo già degli extra costi
dovuti a tante cose, fra l’altro al fatto che non potevo permettermi un solo
giorno di ritardo nella consegna dell’immobile al cliente per la questione
finanziaria, perché io dal tal giorno fissato avrei dovuto cominciare ad
incassare il canone d’affitto dalla Amministrazione e di conseguenza avere
consegnato l’opera per potere iniziare a restituire il debito alle banche. E
questo è tassativo, altrimenti se vado in crisi con il rapporto con le banche è
un problema e un grande deterrente per consegnare le opere assolutamente
in tempo. Quindi, io non avevo più possibilità di “splaphonare” dal mio
budget che era concordato con le banche ed era quello il valore che mi
finanziavano, non un euro in più; ed è stato a questo punto che è scattata
l’idea: siccome mi chiedevano una parete a specchio perché l’architetto
aveva bisogno di un effetto di amplificazione di ri flessione del movimento di
persone che entravano e uscivano dalla hall mi sono detta, perché non
facciamo un opera di Pistoletto e rientriamo nel 2% e lo proponiamo
all’Amministrazione? Essa potrebbe in effetti accedere a quanto previsto
dalla legge! Sbagliatissimo, perché l’Amministrazione non poteva accedere
assolutamente a nulla, perché non lo aveva messo nel quadro economico!
Casomai ero io, concessionario, che avrei dovuto fare una gara pubblica per
individuare l’artista… A questo punto feci approfondi re dal nostro ufficio
legale tutto il tema e in effetti non c’era via di uscita, ma la cosa fu poi
risolta, anzi l’ufficio legale mi di mostrò che l’edificio di Mario Cucinella
aveva tutti i requisiti per poter sostenere che l’opera d’arte fosse la stessa
architettura di Mario Cucinella, con particolare riferimento alla vela. Chi di
voi ha presente l’edificio sa che c’è una struttura di carpenteria metallica
che incarta i 4 edifici che costituiscono di fatto il complesso immobiliare e
un graticcio metallico che ha una sua forza espressiva importante, con una
funzione di un ombreggiamento di certe facciate e di copertura di tutta
l’impiantistica che è sul tetto degli edifici ; e, questa che noi chiamiamo vela,
ha anche un forte contenuto espressivo, è un’espressione artistica. In
seguito, l’ufficio legale mi disse che con ciò saremmo stati a posto: io
concessionario
sarei
a
posto
perché
ho
offerto
all’Amministrazione
un’architettura che comunque ha forti contenuti di espressione artistica di
alta qualità, ma, nello stesso tempo, francamente debbo dire che al di là di
questa interpretazione della legge giusta, che segue una un aggiornamento
culturale ed è un modo contemporaneo e moderno dell’interpretazione
dell’opera d’arte oggi , anche la stessa espressione artistica e sempre di più
un insieme di espressioni artistiche che non sono solo la singola opera.
Oggi si fa arte anche dialogando fra varie espressioni artistiche, il luogo
dell’arte è il luogo dove si incontrano anche scultura, musica, pittura e sono
tanti i fatti che insieme dialogano. E’ diventato tutto interconnesso e anche
articolato e il fatto di pensare a un’ espressione artistica anche autonoma
da inserire in uno spazio pubblico è, secondo me, una valenza importante, è
uno stimolo ed è un elemento, un punto di grande interesse soprattutto per
chi entra nell’edificio pubblico, soprattutto per l’utente visitatore, per la
gente e, quindi, nonostante che alla fine fossimo assolutamente in regola
rispetto al contenuto di questa legge abbiamo continuato su questa strada
e, dopo avere incontrato Michelangelo Pistoletto e aver sentito la proposta
della sua opera Mar Mediterraneo Love Differents installata nella hall del
Comune di Bologna - è un grande specchio di 9 m e 50 x 3 che è a forma di
Mar Mediterraneo cioè il perimetro di questo specchio sono le coste
dell’Italia, della Grecia, dell’Africa del Nord e della Spagna che insieme
rappresentano la metafora del luogo su cui si affacciano più culture e più
paesi che debbono comunque dialogare fra di loro – abbiamo deciso per un
opera su cui Pistoletto lavorava già da due anni come contenuto suo
proprio, culturale e ideologico, pieno di messaggi e adatto, quindi, a stare
anche nella hall di una Pubblica Ammi nistrazione.
A questo punto, però, chi metteva le risorse per acquisire dalla
fondazione Pistoletto quest’opera del valore di circa 450.000 euro? Non
certo il concessionario e neppure il Comune di Bologna… E allora, in un
paio di occasioni, ho avuto l’opportunità di fare vedere questo bozzetto fatto
da Michelangelo e la Fondazione del Monte ha deciso che era un’opera di
suo interesse e il prof. Cammelli, che ne ha apprezzato il contenuto, l’ha
acquisito al proprio patrimonio della Fondazione e l’ha dato in comodato
gratuito per la sede del Comune.
Sostanzialmente io vi racconto di un caso che non c’entra niente con
una buona prassi di applicazione della legge, ma che a seguito di una
riflessione
sulla
applicazione
di
essa
ha
avuto
poi
questo
esito
assolutamente fortuito, ma fortunato, perché io credo che il Comune di
Bologna, che ci farà penare per i prossimi 27 anni , sia avvalso di un punto
di attrazione estetica, di un punto di contenuto e di valore molto importante.
Grazie.
M+M
Artisti
Buongiorno, siamo Martin de Mattia e Marc Weis e faremo questa mini
conferenza sempre scambiandoci il ruolo.
Cominciamo con un lavoro, un fiocco autostradale. L’idea del fiocco
autostradale è d’integrare una curva di 360°gradi in un’ autostrada esistente
come la A27, vicino a Vittorio Veneto e il progetto consiste nell’offrire
all’automobilista la possibilità di lasciare l’autostrada e percorrere questa
curva, che si vede qui in questo montaggio di foto shop. Lavoriamo su
questo progetto dal 1996 tentando di realizzarlo passo a passo; e l’inizio è
stato questo disegno tecnico che abbiamo fatto con un ingegnere, che ha
fatto questo bozzetto rispettando tutte le regole e i limiti per costruire una
tale strada. Nel corso del tempo, seguivamo una simulazione video e altri
passi come per esempio questo libro che abbiamo pubblicato in cui tutte le
date e le misure rilevanti per questo progetto sono poi stati pubblicati .
Queste sono alcune immagini in questo libro e poi abbiamo anche fatto
qualcosa per reperire i mezzi finanziari per questo progetto, perché come si
può immaginare questo progetto è molto costoso e abbiamo bisogno
urgentemente di soldi per realizzarlo. Naturalmente forse qualcuno si
chiederà il perché di questo lavoro, ma di questo non vorrei parlarne, vorrei
parlare più in che tipo di spazio si trova questo lavoro secondo noi: questo è
un tema molto importante per gli artisti di oggi, a parte anche per lavori
negli edifici pubblici è il tema dello spazio pubblico oggi , perché l’idea dello
spazio è cambiato radicalmente come si sa anche leggendo filosofi francesi
ormai si parla più di rete spaziale. Famoso è la metafora del rizoma, cioè di
un apparato radicale che ormai vuol dire tutta un’altra immagine dello
spazio rispetto alla classica piazza o alla classica architettura. L’esempio di
questo nuovo concetto spaziale è presente nell’interno del corpo, della rete
telefonica, o quella della strada che abbiamo elaborato con questo fiocco
autostradale; tutti quanti sono reti individuali e con un rito anche specifico,
anche a causa di questo l’idea dello spazio è vista con altri sintomi rispetto
a l’idea dello spazio tradizionale; sintomi come la dissoluzione della
differenza tra spazio pubblico e lo spazio privato, la comunione tra lo spazio
vitale reale e lo spazio virtuale e la permeabilità tra spazio architettonico e
l’interno del corpo umano, ad esempio. Adesso come affronta un artista di
oggi questa nuova idea dello spazio? Noi abbiamo la metafora che, forse
come artisti, si dovrebbe più o meno vivere come un virus o come anche un
agente segreto in maniera camuffata, come un massimo adattamento al
sistema per aprirlo, o per farlo scoppiare dopo essersi infiltrato. La meta
sarebbe di creare spazi di libertà individuali e di mettere in discussione
l’autorità del sistema stesso.
Ora proponiamo un altro esempio: questo lavoro si chiama chiosco
e
l’edicola che è alla base di questo progetto era un vecchio chiosco che non
funzionava più, noi abbiamo prodotto questo giornale Putin fatto dopo l’anno
scorso, perché il primo giornale che è stato esposto qui si chiamava Bush
ed era stato realizzato sulla base di una conferenza stampa che Bush aveva
fatto dopo la cattura di Saddam Hussein 2003. Questo giornale è stato
esposto in questo chiosco e poi, a una certa ora di un dato giorno è stato
anche venduto, così questa architettura vecchia, questo chiosco, è stato da
noi animato ed è stato inaugurato come deposito per questo giornale, ma ha
significato anche un punto di partenza per la distribuzione di esso nella rete
sociale.
A seguire vi facciamo vedere solo opere che sono state realizzate con la
percentuale per l’arte dei soldi dello Stato tedesco, però proviamo di farvi
vedere che per noi la strategia dietro i nostri lavori è la medesima e
proviamo lo stesso a mantenere la stessa meta che abbiamo già raggiunto
nei nostri lavori liberi , che abbiamo illustrato prima.
lavoro che facciamo vedere si chiama Buchstation, sarebbe come una
stazione dei libri ed è un architettura abbiamo studiato insieme con gli
architetti richiedendo loro di aiutarci per fare un architettura molto simile
alla loro, quindi questa strategia di camuffamento c’è dentro. Si tratta di un
grosso muro con circa 4000 libri che sono quasi vuoti e ogni anno i nuovi
allievi di questa scuola superiore prendono uno di questi libri che possono
adoperare come diari , magari anche co me libro di poesia, ma anche gli
a mici e gli insegnanti scrivono qualcosa dentro essi e si distribuisce questo
piccolo
pezzo del lavoro a tutta la società scolastica, mentre, a poco a
poco viene scoperta una grande immagine che è dietro i libri, un panorama
che nessuno conosce ancora, solo noi naturalmente perché nessuno doveva
esserci quando abbiamo costruito questo lavoro per mantenere questo
segreto che sarebbe poi stato una sorpresa per tutti quanti .
I prossimi lavori vanno più sotto la pelle dell’architettura. Per esempio,
questo progetto si chiama Spalt, in italiano fessura o spiraglio. Questa
architettura è fatta da un azienda austriaca e si tratta del largo ingresso di
una assicurazione a Monaco: questo ingresso è tutto rivestito di pannellare,
anzi di parquet, e quando si entra in questo ampio ingresso sembra di
entrare in uno spazio fantastico costruito con un programma 3d de l
computer. Lì noi abbiamo costruito un avvenimento temporale così ogni ora
una porta di 7 m di altezza si apre per un minuto e mezzo per 2 minuti e
scopre una immagine vitale, una natura quasi tropicale che cambia ogni ora
l’atmosfera adattandosi alla trasformazione degli orari reali, cosicché se
questa fessura si apre alle 8 l’atmosfera in è simile a quella di un mattino,
identico alla sera, perché anche in queste i mmagini diventa buio e così ogni
minuto. Ci sono anche piccole narrazioni e piccole cose che succedono: una
coppia che si trova lì vicino a un albero, una persona attraversa l’immagine.
Questo è un piccolo bozzetto e tutta la sceneggiatura è stata visualizzata in
3d al computer. Al centro di tutta questa storia c’è sempre un piccolo fauno
onnipresente, che qualche volta non è visibile perché nascosto dietro un
albero, o questo per esempio è un altro piccolo momento quando un uomo
aspetta una donna giorno dopo giorno senza che ella arrivi. Lui aspetta e lei
non viene.
L’obiettivo di questo lavoro, come del successivo, è la narrazione
nell’architettura che in Germania molto più forte che in Italia. In Germania
l’architettura è molto astratta e talvolta non si capisce neanche di che tipo
sia l’edificio quando vi si entra, se pubblico o privato e noi lavoriamo un po’
sull’ambiguità di questo tema e anche sul tema del tempo, su quando si
arriva e quando si va via. Talvolta il lavoro scompare, talvolta di nuovo
rientra nella vita.
In un altro edificio dove abbiamo vinto un concorso con l’opera La
mécanique e che era l’ufficio di immatricolazione per le automobili avevamo
messo, anche se l’architetto non era molto contento, dentro l’interno
dell’entrata l’immagine di un garage. Anche il nostro Sindaco non era molto
contento, ma la cosa positiva è che da noi all’interno della commissione
decide soprattutto l’esperto critico d’arte e lui pensava che il nostro fosse
un ottimo lavoro. Quindi mettemmo un garage dentro l’edificio che quando si
apre la sua porta avvolgibile mostra una donna, una famosa attrice di
Monaco si chiama Barbara Rudnik, vestita come una meccanica che proprio
molto tecnicamente spiega alcune idee sulle macchine per esempio come
cambiare le ruote o come preparar la macchina per l’inverno cose molto
utili, ma dopo due minuti questa porta si chiude di nuovo e rimane chiusa
per quaranta minuti; e davanti a questa porta chiusa si sono sviluppati tanti
dibattiti sul tipo di lavoro, ma non solo sul nostro ma anche su altri lavori
come quelli di Santiago Serra o di Walter Maria, che sono lavori nascosti
che non si vedono e che sono più da immaginare. Naturalmente sopratutto
tra i politici ci sono sempre discussioni , tipo se ha senso pagare per un
lavoro che si veda solo per due minuti.
Se mpre sulla narrazione nell’architettura astratta moderna verte anche il
prossimo lavoro che è un po’ nascosto i n una chiesa che è stata costruita
nuova a Monaco. Questa chiesa, Herz -Jesu Church, non ha una cripta e noi
abbiamo fatto cinque caverne profonde, l’opera si chiama
appunto Fünf
W unden, di cui ne mostriamo due: queste caverne sono piene di luci con
delle fotografie anamorfiche che riportano cinque mo menti molto crudi della
crocefissione, in particolare i momenti del giuramento di Cristo, cioè il
momento come viene messo il chiodo, poi la prima botta, il chiodo nella
carne, la ferita del petto nella posizione centrale. Questa è una narrazione
quasi nascosta sotto il pavimento della chiesa e per noi è stato molto
interessante pensarla come base di costruzione di una chiesa nuova come
fossero ossa di un santo di 2000 anni fa, ma sull’immagine di oggi che è la
realtà
del
dolore
rappresentata
dalla
crocefissione
affrontata
con
un’influenza di tipo filmico, di cui l’archetipo erano films tipo Pasolini , o altri
films molto realistici su questo tema della crocefissione. Le immagini sono
fotografie che abbiamo fatto fare noi proprio come su un set di film, quindi
la chiesa adesso si basa su tutto un altro tipo di narrazione che lavora
proprio su questa idea, di come oggi viene trasportato con realismo questo
dolore e, infatti, il nostro lavoro molto spesso si pone sul confine tra la
realtà concreta di spazi moderni e riti sociali e ma l’immaginario; e, quindi,
la realtà cinematografica ci ha spesso influenzati tanto che proviamo anche
di ideare un lavoro che unisca questa realtà simulata o falsa del cinema a
quella della fantasia vera della nostra vita di carne e ossa.
In seguito, siamo stati invitati a un altro concorso dal Ministero della
Sanità statale della Germania per la realizzazione di qualche lavoro
all’entrata del nuovo edificio del Ministero della Sanità, che è fatto in modo
che solo il Ministro entri ed esca con l’auto, mentre dietro il vetro vi sono le
persone che lavorano, dislocati in due edifici molto grandi accanto a questa
entrata e quindi , per noi, si ponevano due temi su cui lavorare: il tema de
corpo, che è un tema che ci interessa da sempre, e il tema del trasporto,
interessante per altri versi. Questi temi ci hanno ricordato un film dove tutti
questi aspetti sono molto contigui: è Viaggio allucinante dove una piccola
navicella percorre i canali del sangue per salvare un politico da un embolo.
Proprio dentro questa piccola macchina vi sono
piccolissimi uomini e
scienziati per salvare il politico, quindi noi abbiamo preso un’i mmagine del
film, un frame, poi siamo andati dagli architetti che ne hanno tratto un
disegno tridimensionale e in seguito un piccolo modello che abbiamo
inserito dentro una struttura. Per esempio questa sarebbe una piccola bolla
di sangue, mentre l’altro è poi un pezzo del cuore. Ora lo stiamo facendo
gigantesco, alto 6 metri, e ci sembra di fare concorrenza a Moore, perché
alla fine risulta un lavoro che sembra quasi di Henri Moore, e sarà installato
la prossima settimana nel Ministero di Sanità.
In Germania, a Monaco, hanno riflettuto anche tanto su questo tema cui
stiamo parlando oggi , del 2 %, e lì hanno capito che per alcune nuove
costruzioni non ne hanno bisogno, perché non ha senso per gli artisti
lavorare su questi edifici tipo caverne, quindi hanno liberato 1% da questo
2% destinandolo a lavori liberi e temporali . Questa è stato una grande idea
dell’Assessorato alla cultura di allora, che disse: facciamo l’ 1% in generale
per l’arte negli edifici pubblici e l’altro 1% lo usiamo per eventi temporali e,
secondo noi come artisti, è stata una cosa molto saggia, perché come già
detto all’inizio, certi temi di oggi certi e certi spazi di oggi non sono gli
stessi compatibili con gli edifici pubblici.
Si tratta di temi che, sia per gli artisti, sia per la società, sono al di là
della classica architettura o della classica piazza; anche noi abbiamo vinto
una volta quattro anni un concorso per questo altro programma e avevamo
fatto un lavoro che si chiama Dance with me, Germany. Si tratta di un lavoro
anche un po’ italiano perché è una specie di cinema all’aperto nei spazi
della periferia ove vi sono quattro teloni da proiezione su cui, attraverso una
macchina con dei video, si vedono 4 film sincronizzati tra loro dando origine
ad una narrazione libera e senza cronologia fissa. La produzione è stata
anche come una produzione di un film cinematografico, ma con un tema
molto specifico per Monaco, ossia fatti su ispirazione della storia di un
giovane turco, un criminale che è stato trasferito da quattordici anni in
Turchia. Quindi, il tema per noi era la ricerca dell’identità di un individuo in
un paese straniero e un’ulteriore ispirazione l’abbiamo avuta dal nostro
soggiorno a Roma, quasi 10 anni fa siamo stati a Roma per un anno, dove
c’era una forte interazione tra luogo e narrazione - per esempio si stava
vicino al Colosseo e si vedeva Ben Hur - e per noi questo strano misto tra la
narrazione di un fil m che tratta un tema nello stesso luogo del film era una
cosa molto interessante e abbiamo sempre pensato che questa comunione
tra le realtà e le immagini è qualcosa di molto ispirante. A noi è piaciuto
accostare il mito e spazio pubblico della televisione e del cinema allo spazio
pubblico della piazza esplorandone i confini mettendoli l’uno vicino all’altro.
Quindi queste sono le nostre idee sulla modalità di fare arte nel spazio
pubblico. Non so, abbiamo messo tutto insieme come un’insalata mista da
cui, speriamo, che si estragga qualcosa. Grazie.
Concetto Pozzati
Artista, già Professore dell’Accademia di Belle Arti di Bologna
Io sono qui da vecchio pittore, non mi sono mai sentito un politico e
faccio fatica a scegliere, perché sceglierei altro. In questo importante
convegno, scusate se faccio un po’ di polemica visto che siamo rimasti in
pochi e i grandi capi se ne sono andati via probabilmente, cos’è che non
vedo? Architetti pochi, non vedo artisti, se non pochissimi e fortunatamente
siamo stati gli ultimi a parlare perché ho così avuto la fortuna di sentire due
colleghi, ovviamente più giovani non solo di età ma più giovani anche di
eidetica, se non di ideologia in certi momenti , quindi sono stato affascinato;
e come sono stato affascinato dai lavori di Venezia di Gazzarri, dove mi
sembrava di aver già superato finalmente questa legge del 2% di cui io,
essendo anziano, ho delle me morie terrificanti di questa legge e quindi alla
lunga parlerò anche delle memorie terrificanti e non solo di un possibile
futuro della legge, di una sua modificazione, di una possibilità di integrare
con il falso e il vero. Non è solo arte applicata all’arte, come abbiamo
sentito dire anche stamattina, ma è arte che produce arte: questo è il
problema di fondo, il tema, e questa legge del 2%, ovvero quella che
dovrebbe essere la percentuale per l’arte degli uffici pubblici come recita il
titolo di questo convegno, abbiamo sentito che è spesso disattesa o
addirittura integrata con abbellimenti artistici invece di opere. O ancor
meglio, mancano di artisti ad invito che creino anche collezioni se non video
– biblioteche, didattica d’arte e laboratori, cioè manca l’investimento in
cultura e progresso. E invece abbiamo avuto la dimostrazione anche da
Roma che ci doveva essere un mi glioramento della qualità dell’edilizia
attraverso l’intervento artistico esaltando il vecchio sodalizio fra le arti e
l’architettura. Argan, l’abbiamo sentito giustamente citare oggi, ha avuto
anche un'altra visione: Argan parlava della cultura generale del progetto che
deve avere risultati imprevedibili rispetto alla sua stessa progettualità. C’è
un bell’incrocio ed è affascinante questa cosa: in quanto deve galleggiare uso parole sue - lo sfruttamento creativo dell’ambiente. Però, come siamo
diversi dall’edificare solo.
Un pensiero dunque, un pensiero e una forma, augurandomi che l a
stessa forma crei pensieri . Le opere non devono esser casuali , abbiamo
sentito giustamente, ma non devono nemmeno essere che come è di moda,
soprattutto
in
certo
design
che
propone
“texturizzazioni”
decorative
indifferenziate; proprio la “texturizzazione” del mondo ha dato origine a una
mania, la convinzione che cambiando textur al mondo cambi il mondo. No, è
come cambiare vestito.
Questi
pensieri
devono
essere
sempre
inseriti,
ovviamente,
nella
progettazione di entrambi gli artisti e dico artisti , architetto e artista, perché
artista
è
una
parola
molto
forte.
Io
desidero
sempre
dire
più
specificatamente visual-design, o pittore, insomma la parola artista è cosa
rara è difficile, però tentiamo di dirlo lo stesso con garbo, come recitano le
linee guida che sottolineano come deve esistere un rapporto linguistico,
formale
e
funzionale,
tra
le
cosiddette
architettura si sono integrate e allargate
classi,
ma
pittura,
scultura,
pur esistendo nello specifico,
ovviamente, ma dilatate. L’abbiamo visto anche in istallazioni, in video
istallazioni in funk arte, in foto, in lavori fatti con il plotter, in visual-design
etc, quindi siamo già certi per fortuna che non si pretende si facciano più,
come un tempo, fontane, mo saici, pannelli, pittorici e bassorilievi . Se
ricordo bene, nella commissione erano citati e spesso presenti due artisti di
chiara fama, anche se io credo sia molto difficile individuare chi abbia
“chiara fama”; Argan, come critico rispetto a certi giovani rampanti molto più
noti di lui era sicuramente di chiara fama, anche se mi continua a essere
difficile individuare che cos’è la “chiara fama”. Io parlo di qualità e di
pensiero semmai , ma quello è un altro tipo di discorso, però nelle Linee
guida erano presenti due artisti di chiara fama nominati dall’amministrazione
e sicuramente è già un salto di qualità rispetto al passato, ma, perdonatemi
con
tutto
il
rispetto
essendo
stato
amministratore,
l’amministrazione,
escluso rari casi, ha il potere di dire quale artista è di chiara fama? E
soprattutto adatto a giudicare quel tipo di concorso,ma siamo proprio sicuri?
Per non parlare dell’iter procedurale dei rimborsi che non lo sto a fare.
I grandi concorsi con forte denaro vengono vinti da artisti che possono
investire e che sono già ricchi , è notorio questo.
Se ci guardiamo in giro per la nostra Italietta, vediamo questo, e che
poi la legge del 2 per cento e l’architettura abbiano favorito l’arte
contemporanea - ho detto che ho gli occhi dietro la nuca in questo momento
- è una delle menzogne più corpose, perché basta guardare al dilettantismo,
alla mediocrazia che veniva allattata fino a pochi anni fa, dove quasi tutto
era in mano alle corporazioni sindacali di cui alcune addirittura inventate ad
hoc, di volta in volta, per ogni concorso.
Mi è piaciuto molto avere delle belle notizie da Venezia, mi è piaciuto
molto sentire i nomi di Garutti e Penone, cioè di artisti di un'altra
generazione che pur noi stimiamo moltissimo, e che il rapporto arte-città
arte-ambiente muove i luoghi della modernità per un museo diffuso come la
già citata metropolitana di Roma. Per la metropolitana di Roma siamo stati
invitati direttamente dall’allora Sindaco e avevamo un art-director generale
che coordinava tutti gli artisti e che era Piero D’Orazio, un grande artista, e
tutti abbiamo avuto lo stesso gettone la realizzazione dei mosaici , anche se
purtroppo postumi rispetto al progetto e anche di difficile visibilità, perché i
mosaici sono tutti alti 10 m e sono quasi tutti curvati, o leggermente ad
angolo, però tutti abbiamo avuto lo stesso gettone. In questo caso, forse
non c’è stato un valore d’uso, ma probabilmente c’è stata una funzionalità
didattica e un modo trasparente, dove il solo giudizio e “il potere” dell’artista
era lasciato libero, non era scelto, ma sceglieva. Ottima anche la metro di
Napoli.
Chiedo scusa se faccio un po’ di biografia, ma sono stato vice
presidente dell’Art Club, Presidente era D’Orazio, famosa associazione
Severini addirittura, che al convegno di Torino del ’97 si è espressa sul 2%
rappresentati
da
Nicola
Carrino,
attuale
Presidente
non
a
caso
dell’Accademia di S. Luca e tenterò di fare unire le due cose. Già a Torino
si parlò primariamente dei sindacati che hanno esaurito la loro funzione
assistenziale, secondariamente che la finalità non era la faccia del mercato,
ma quella della ricerca e dalla cultura; e terzo, qualsiasi spazio è uno
spazio pubblico, che va interrogato per relazionarsi qualcuno. Carrino ha
anche insistito sulla socializzazione dell’arte, eravamo negli anni Novanta
dove si disse basta con i privilegi corporativi e assistenziali
e per
organizzammo l’incontro dell’Art Club a Palazzo Delle Esposizioni di Roma,
dove
si
parò
di
committenza
diretta,
pur
concorsuale
ad
invito,
e
dichiarammo che fondamentale e centrale era soprattutto l’opera dell’artista
in quanto comunicazione del suo pensiero.
Nel 2002 ricordo un convegno all’Accademia di S. Luca di Roma che
voleva, come istituzione libera, adottare la legge stessa cioè la S. Luca è
l’unico ente, l’ha citato anche l’architetto Tatò e lo scriveva addirittura sul
giornale l’altro non so accademico avvocato Fabrizio Lemme, a carattere
nazionale che si interessa in Italia delle arti figurative, come per le lettere e
scienze l’Accademia Dei Lincei e per la musica la Santa Cecilia e non a
caso il premio del Presidente della Repubblica viene dato insieme a tutte e
tre. Scopo dell’Accademia di S. Luca sarebbe stato distinguere gli artisti di
chiara fama e farne un el enco, altrimenti avremmo avuto decine di elenchi
differenti. L’Accademia avrebbe potuto offrire anche l’alta consulenza alle
Regioni, lo stesso per le nomine delle commissioni che privilegino la
professionalità. Insomma, perdonatemi, io ho fatto un convegno nel 1979 a
Bologna dove venne tutto il mondo dall a Nevelson a Tapies
da Max Bill a
tutti i più grandi artisti vennero. Bene, gli artisti da allora sono stati
espropriati da tutto, non abbiamo nemmeno più il padiglione Italia alla
Biennale di Venezia perché l’abbiamo fuori , perché per essere internazionali
ed
essere
aperti
bisogna
dare
il
nostro
padiglione
alla
mostra
internazionale; chiedetelo al padiglione tedesco, o francese, inglese o
a mericano se ve lo da… In questo sfacelo, chiedo scusa, di me morie e nella
mediocrazia assistenziale ci sono stati molti esempi : ne abbiamo sentiti e
non voglio più ripeterli tutti oltre la metropolitana di Roma e di Napoli già
citate e il concorso al Museo MAXXI che ci è stato ricordato a Roma, fatto in
due tempi per due luoghi, ma la scelta degli artisti idonei fu fatta attraverso
dei books, attraverso una documentazione, e qui io ho dei dubbi : è già molto
avere una documentazione piuttosto allora che la segretezza del concorso,
no? E’ ovvio la segretezza del concorso addirittura era per motti pensate:
una
volta,
se
io
volevo
vincere
un
concorso
sapevo
che
in
quella
commissione piaceva Turcato facevo un lavoro alla Turcato e vincevo, ma
era invece di Pozzati, quindi mostruoso. E’ già un miglioramento il problema
della docu mentazione, però sappiate una cosa: gli artisti, non tutti, ma gli
artisti si modificano, possibilmente anche mensilmente, e quindi quella
documentazione mandata e il lavoro che si realizzerà dopo un anno o dopo
due anni o dopo due mesi non sarà più consona a quello che l’artista sta
facendo, ecco dove ho il dubbio, ma è solo un dubbio ma è già un passo
avanti anche quello della documentazione stessa, tutti gli artisti selezionati
faranno un modello o hanno già fatto un modello del concorso del MAXXI
che poi gli verrà pagato a tutti . Ottime le partecipazioni da Kossuth a
Mochetti… Ottime e vorrei citare una cosa che qui non è stata ricordata: qui
a Bologna abbiamo fatto il concorso, dal punto di vista metodologico, più
importante e anche con i i mportanti no mi direi, ma è stato più innovativo
perché eravamo agli inizi degli anni ’80. E’ il famoso concorso delle fontane
voluto dalla Diga di Ridracoli per tutte le città della Romagna, ossia chi
vinceva aveva questa enorme fontana scultorea in tutte le città della
Romagna. Si trattò d’inviti mirati prima solo a 10 scultori pagati ognuno
all’ora per il bozzetto 10 milioni di lire. Non ci ricordiamo questo concorso?
Dal punto di vista metodologico ripeto è stato tra i più trasparenti e i più
affascinanti, perché non solo gli artisti erano notissimi , e ovviamente
anziani, grandi maestri da Minguzzi a Cascella da Somaini a Ghermandi che
vinse, da Fabbri a Alik Cavaliere e via dicendo…A parte, furono poi
realizzate in più altre due fontane, quelle di Casella e di Somai ni, e tutta la
collezione rimase alla Diga di Ridracoli dove c’è una collezione stupenda di
dieci sculture; e poi ci sono 10 città che le hanno ospitate; e in più Cascella
e
Somaini,
che
erano
piaciuti
ugualmente,
hanno
realizzato
un'altra
fontana.. Insomma non era del tutto male come idea invitare direttamente e
dare 10 milioni in partenza per il bozzetto.
Ottimi, li abbiamo sentiti , i concorsi per la Caserma dei Carabinieri a
Ravenna vinto da Uncini , ero in commissione per cui me lo ricordo bene
come quello vinto da Maraniello a Rimini; ottimi come quello per i caduti di
Nassirya da Spagnulo e anche per il teatro di Gregotti a Milano; c’è stata
committenza con 10 artisti ad invito a Bologna, l’abbiamo sentito per il
nuovo Mambo, ma era solo per la parte del prato. E’ stato un concorso di
idee fatto addirittura nel 2005, ne ha parlato prima Dede Auregli, vinto da
Eva Marisaldi e non ancora realizzato; abbiamo avuto la relazione del
Comune di Bologna realizzato con fondi privati e non pubblici dove si è
collocato un grande Pistoletto multietnico attraverso una donazione di
comodato
bancaria,
quindi
non
c’è
stata
ovviamente
committenza
concorsuale, come non ci sarà, temo, per la nuova stazione di Bologna e
come, invece, spero ci sia per Expò di Milano.
I miei appunti stanno per finire, ma il mio era solo un lamento di un
vecchio pittore.
Il disegno di legge presentato dal ministro Bondi non migliora per
niente, anzi l’articolo citato più volte, l’articolo 10, dice addirittura e spero
che sia un refuso che “la percentuale non è inferiore al 2 per cento”, cioè
cosa vuol dire non è inferiore al 2%? Che potrebbe anche essere più
elevata per quote superiori poi a 500.000,00 euro? Abbiamo sentito che la
commissione sarà composta dal rappresentante dell’amministrazione, dal
progettista, dal sovraintendente, da un critico designato dal comune, da un
direttore di museo o di accademia - ho insegnato 44 anni in accademia non
sapendo il basso spessore della maggior parte dei direttori di accademia
come, senza polemica assolutamente figuriamoci , ma di certa ignoranza sul
contemporaneo di molti sovraintendenti perché non è la loro pagnotta non
c’è niente di male - perché citare ancora queste cose mentre il progetto che
abbiamo sentito poco tempo fa, il progetto regionale, è di gran lunga
migliore: c’è visibilità del luogo per prima cosa, c’è vivibilità altra cosa
importante, c’è il restauro inteso come opera, e oltre all’inserimento del
design, propone che la percentuale vari da 0,5 % al 2 %, propone un elenco
regionale di esperti di figure istituzionali , io sono molto contento che si
faccia un elenco di esperti , ma perché di figure istituzionali? Faccio un
esempio, non c’entra col 2 %, ma il grande poeta Roversi di Bologna l’unico
grande rimasto del periodo di Officina di Roversi, Pasolini, Leonetti, Scalia
è uno dei più grandi poeti italiani non c’è dubbio, addirittura superiore a
Zanzotto ecc. Bene, se ci fosse un concorso di poesia con lo stesso
meccanismo
non
lo
potrei
chiamare
perché
non
è
istituzionale?
In
commissione? In giuria? Ma se è proprio quello che mi può dire la verità,
allora non è detto che devono esser per forza sempre figure istituzionali,
certo che devono essere esperti , ma se no, io che non sono più assessore,
non
posso
andare
da
nessuna
parte,
no?
Io
che
non
insegno
più
all’Accademia, perché adesso sono in pensione, non posso andare più da
nessuna parte, cioè non mi potete chiamare come pittore, no? Questo me lo
chiedo però, perché l’opera qui è intesa in maniera alta, cioè l’opera è un
segno-segnale della città che si identifica con la città, che la guarda, che la
giudica e che viene giudicata, ecco questo mi sembra un apertura, anche
intellettuale, molto alta; non è solo burocrazia, in essa si propone un unità
delle arti come chiasmo a incrocio, quindi un dialogo tra specifici anche se,
l’abbiamo detto, le classi dell’arte non esistono quasi più e il concetto della
professionalità dell’arte si è dilatato.
Credo che bisognerà allargare l’idea di utilità e usabilità dell’arte
attraverso
committenze
rigorose
e
far
applicare
la
legge,
magari
sburocratizzandola un po’; la legge, che spesso è stata disattesa, deve
rifondarsi sulla centralità dell’opera, perché l’arte è sempre interrogazione e
non arrogante esclamazione, l’arte non può essere solo edificatoria ma è un
estratto eidetico che avrà gli occhi per guardare la città e per farsi guardare
in quanto la cultura civile passa solo attraverso l’arte.
CONCLUSIONI
Gian Carlo Muzzarelli
Assessore alla Programmazione e sviluppo territoriale, cooperazione con il
sistema delle autonomie e organizzazione della Regione Emilia-Romagna
Il convegno di oggi rappresenta una importante opportunità: mi impegna
a riaccendere la memoria del passato, per ricordare le profonde e irripetibili
esperienze della mia vita, gli incontri con tanti artisti al simposio del mio
paese quando io ero Sindaco. Un giovane Sindaco di un Comune come
Fanano, con tanti artisti come Ghermandi, Cascella, Argan e tanti altri che
vivevano quelle settimane di passione che passavamo insieme. Allora ho
maturato una parte della mia esperienza e anche delle mie relazioni umane;
e in quei 15 giorni le relazioni umane erano prioritarie rispetto a tutto.
Quindi, diciamo che “la legge del 2%” è una parte della mia vita, per il
semplice fatto che è stata oggetto di riflessioni, di discussioni e di
approfondimenti, ma anche di applicazioni, perché poi alla fine gli interventi
li abbiamo anche realizzati.
Ho ascoltato con interesse le relazioni di questo convegno, perché
ovviamente sono coinvolte le emozioni ma anche la mia funzione di
assessore regionale alla programmazione e sviluppo territoriale.
Questo significa ricondurre il pensiero e la trasformazione del pensiero
dentro ad un contesto di trasformazione della materia, in una società che
cambia, in una società difficile. Potremmo parlare della crisi che rende
difficile
far
passare
oggi
un
principio
di
qualità,
perché
sta
invece
prevalendo l’essenzialità: non ci sono i soldi quindi facciamo solo questo,
mentre invece dobbiamo fare uno sforzo aggiuntivo perché nei mo menti di
difficoltà bisogna “tenere più alta l’asticella” e rigiocare la partita. Perché
altrimenti si fa tutto brutto non solo perché non c’è denaro: si fa tutto più
brutto perché quando agiamo per depressione il risultato non può essere
quello della bellezza.
E quindi abbiamo bisogno di ragionare in modo più profondo, e ringrazio
l’istituto dei Beni Culturali, Claudia Collina, perché io credo che riportare a
verifica
anche le cose che sono state fatte sia un passo importante, una
testimonianza importante, a prescindere dal fatto che poi “quel 2%”, come
viene chiamato, sia stato applicato a fasi alterne, che ci siano stati momenti
con le persone giuste che fanno la differenza, e dopo passato quel periodo
si bloccava tutto, per cui la legge c’era, ma ogni tanto veniva applicata, ogni
tanto no e quando c’era un determinato assessore si ripartiva, poi ci si
rifermava.
Noi oggi dobbiamo articolare una visione un po’ più completa per
cercare di capire come inserire il 2% in una società che cambia: noi siamo
in una fase non facile. Ho assistito anche in passato a discussioni tra gli
artisti e gli architetti e noto che gli architetti sono artisti e gli artisti allora “si
incavolano”. Ho passato nottate intere in discussioni che non portavano a
nessun risultato perché alla fine anche lì quando le persone più intelligenti
si mettevano insieme facevano grandissime cose: invece quando non si
mettevano insieme si scontravano, se ne dicevano di tutti i colori e non si
riusciva mai ad arrivare in porto. Perché poi alla fine quella fontana fatta
dall’architetto era comunque sempre brutta, e così via… Quindi, è quando si
fa sintesi anche tra questi mondi che aumenta la bellezza.
E io credo che di bellezza noi ne abbiamo bisogno, così come abbiamo
bisogno anche della legge regionale che modificherà la legge urbanistica.
Dobbiamo inserire alcune riflessioni sui temi della qualità urbana perché
abbiamo bisogno di assumere una responsabilità politica che è quella di
ragionare nuovamente sulla città, e sulla sua qualità. Una città in cui
inserire una comunità che cambia dentro una città che deve cambiare:
luoghi vivibili, credibili, ai quali bisogna dare un senso. Quando noi parliamo
di una società multiculturale parliamo di una città che esiste, non che non
esiste, e che ha bisogno di spazi diversi, di dimensioni diverse, che ha
bisogno di appartamenti più piccoli per l’anziano, per la giovane coppia e
per chi arriva che ha bisogno di piazze che oggi non ci sono più, che ha
bisogno di allungare le città rispetto al restringerle, che ha bisogno di
ricreare gli spazi per cui, uno quando esce, non deve stare solo in mezzo
alle macchine, ma ogni tanto deve ritrovare emozioni.
Bisogna che riproviamo a ridare emozioni alle nostre città in difficoltà, e
come si fa a dare emozione se non le ridisegniamo bene, se non le
rifacciamo da un punto di vista architettonico, se non le costruiamo con le
migliori caratteristiche antisismiche, di di certificazione energetica, ma
anche di bellezza? A me personalmente non interessa se faccio un pi ano in
più o un piano in meno: io ho bisogno di capire quella casa come è fatta e
quella piazza e quel luogo che cosa trasmettono quando uno ci abita:
depressione o prospettiva.
Al mio paese, a Fanano, ci sono 150 sculture che magari nemmeno noto:
però ogni tanto vi ripenso e quando vedo lo scarabocchio fatto alle 2 di
notte da Ghermandi che ha provato a disegnare la mia faccia. Lui dice che
ci è riuscito, quindi probabilmente è vero! Quell’opera è diventata per me
una testimonianza, la tengo come una reliquia perché non rappresenta il
Ghermandi ma rappresenta l’amico che la notte discuteva con me di mille
cose e che trasmetteva a determinate persone un modo culturale di vedere
le cose, e quindi aiutava a operare in modo diverso anche l’amministratore.
Perché quello che è servito, quello che serve, non è solo la discussione
architetti-artisti. Ricordo i “cenacoli” che si facevano negli anni 80 o ancor
prima…a proposito di testimonianze di passi che ognuno ha compiuto, io nel
1993 parlai in un convegno a Modena intitolato “Oltre il 2%. L’arte negli
edifici pubblici, ipotesi e prospettive”. Già allora discutevamo di questa
cosa, e se io ripenso a quello che ho detto nel 1993, una parte di queste
cose non sono ancora state realizzate. Ci abbiamo girato attorno, abbiamo
migliorato, se volete con orgoglio dico che in Emilia Romagna abbiamo fatto
qualcosa in più degli altri: tutto giusto e vero, ma non sufficiente. Non era
sufficiente, per cui quando abbiamo discusso di queste cose avevo aperto
un cenacolo autonomo invitando un centinaio di artisti modenesi dicendo
loro:
giorno
se avete voglia di parlare, una volta ogni 2 mesi ci troviamo il tal
nella
sala
del
consiglio
provinciale.
Non
venivano
tutti,
ma
discutevamo. Io ascoltavo gli sfoghi anche duri, ma io il giorno dopo
amministravo meglio, perché avevo assorbito una parte di cultura, quella
che loro riuscivano a trasmettere quando trasformavano una pietra in
un’opera
d’arte;
bisogna
tramutare
questo
anche
in
provvedimenti
legislativi.
Per esempio noi abbiamo fatto la Legge 16/2002 e abbiamo cercato di
recuperare una parte di edifici storico-artistici e abbiamo promosso la
qualità architettonica del paesaggio. Abbiamo fatto questo, abbiamo fatto la
legge 19/1998, insieme abbiamo iniziato a ragionare di opere incongrue,
abbiamo
iniziato
anche
a
finanziare
qualche
demolizione
di
opere
incongrue, insomma anche una politica dei piccoli passi serve, perché,
come sapete, dopo 50 anni le opere incongrue diventano congrue e
vincolate.
Io ho vissuto, essendo originario della provincia di Modena, l’esperienza
della Palazzina Puccini dietro l’Accademia, che è stata contestata da Sgarbi
e dal mondo intero per tanto tempo e poi dopo son passati 50 anni e adesso
è un’opera intoccabile; e, quindi, essendo intoccabile adesso è diventata
bella, per cui quello che fino a 49 anni era una cosa brutta e contestata
dopo il cinquantunesimo anno adesso è diventata un’opera integrata nella
città ecc..quindi la cosa è anche complicata. Io credo che noi dobbiamo
andare oltre il 2%, perché è l’impianto urbanistico - culturale
che deve
cambiare – lo si deve prevedere in modo autonomo. Quando parliamo della
qualità urbana, è dentro quel contesto che dobbiamo collocare una intensa
sensibilità artistica: ci sono le condizioni per ragionare e cercare di
aumentare quella cultura della bellezza che è un antidoto anche alle azioni
dei nuovi barbari. Abbiamo bisogno di ragionare con puntualità e superare
gli slogan, guardando a una società che sembra sempre più orientata a
privilegiare gli elementi individuali rispetto a quelli collettivi. I fenomeni
sono anche evidenti: noi abbiamo risposto introducendo il tema della città
contemporanea che deve provare a mettersi in gioco. Quindi la sfida che noi
vogliamo provare è, anche con questa occasione, rimettere in gioco le città,
per provare a cambiarle e ricreare spazi e contenitori collettivi. Questa è
l’azione
che
porteremo
avanti
con
la
modifica
della
legge
20/2000.
Concludendo, noi facciamo un’operazione che è culturale; nella modifica
alla legge 20/2000 inseriremo una percentuale del 20% di edilizia sociale
per
qualsiasi
intervento
non
residenziale
-
dalla
demolizione
alla
ricostruzione alla riqualificazione di pezzi di città e inseriremo il 20%
sociale. Perché noi faremo un'operazione di grande valore: so che molti non
sono d’accordo, ma io credo che se vogliamo costruire una comunità nuova
e unita dobbiamo prima costruire una città nuova ed unita, e quindi bisogna
che noi tutti i cittadini li teniamo dentro alla città. Per cui l’edilizia
residenziale e sociale dovrà essere “un pezzo della città dentro la città”,
non fuori dalla città. Detta così, sembra facile, invece sarà difficilissimo:
sarà una battaglia culturale. Già nella modifica della 20 inseriremo qualche
approccio e riflessione sia sulla 16 che sulla 19, perché riteniamo che ci
siano le condizioni per elevare il livello della qualità e della vivibilità delle
nostre comunità. Sono convinto che la sfida dal fare bene al fare meglio sia
importante e da assumere fino in fondo.
Ieri sera mi ero preparato una breve relazione per oggi, ma come avete
capito l’ho cambiata e ho parlato a braccio! E’ sul versante emozionale di
ciò che siamo, della nostra identità, della nostra cultura e del nostro essere
che dobbiamo lavorare per creare una città più pubblica, più avanzata. Su
questo terreno dobbiamo fare uno sforzo per un miglior disegno urbano e
una migliore qualità architettonica, compresa naturalmente la sicurezza
degli edifici. I luoghi in cui viviamo devono diventare più emozionanti,
attraenti, umani. Dentro a questa umanità c’è anche l’arte: anche stasera,
per quella che è la mia competenza, assumo l’impegno di rafforzare questo
asse tra arte e umanità: sono cardini del nostro essere cittadini ma
soprattutto della stessa nostra esistenza.
DIBATTITO PUBBLICO CONCLUSIVO
Michele d’Aniello
Scultore
Come sappiamo, l’arte contemporanea ha un pubblico diverso dai cittadini. Chi lavora nel
settore sa che chi compra l’arte contemporanea sono i collezionisti e non è la gente.
Sono i grandi artisti che hanno grandi committenze e
quindi entrano nelle strutture
pubbliche quindi entrano nei grandi santuari dei musei di arte contemporanea e tra l’altro
la gente non capisce. In realtà questa legge del 2% che da potere, in qualche modo
all’arte di entrare nei luoghi pubblici, in realtà è estranea al pubblico. Io sono un artista,
non voglio difendere gli artisti, ma voglio fare questa autocritica: un concettuale
non
rientra nello schema della gente, non lo capisce. Certo gli artisti da molto tempo non
hanno la percezione del pubblico ma, come abbiamo detto, di un discorso individualista,
ideologico come vogliamo dire, per cui da un lato le amministrazioni si sforzano di creare
questo senso sociale, questo senso di vivere all’interno della società, d’altro lato opere che
non c’entrano niente, cioè opere che non sono vissute come valori. Abbiamo visto la
scultura di Serra che è stata rimossa e il mio professore Augusto Lenzi di Napoli fece un
monumento che fu rimosso perché la gente non capiva questo monumento . Con questo
non voglio dire che l’arte non debba fare il suo corso ma voglio dire che, evidentemente
bisogna che i linguaggi artistici siano anche umani, come diceva prima
l’assessore,
bisogna essere umani, portatori di valori umani . Il fatto che tutti quanti noi ci facciamo
belli, perché poi gli artisti alla fine…Io mi ricordo sempre la Genesi: “Dio disse e cosa fu”.
In realtà dobbiamo essere non dei Padreterni, ma essere persone che costruiscono per il
bene anche del loro prossimo , dell’altrui realtà. E, quindi, mi rendo conto che come
scultore che in realtà valorizza l’idea astratta che la gente non capisce neanche . Ecco,
allora io vorrei chiedere questo: come fanno gli amministratori a scegliere in tutta questa
confusione di ideologie? Concettuale, Minimalismo, come fanno a scegliere questi valori
che i poveri cittadini dovrebbero vivere, dovrebbero apprezzare? Con quale metro
potrebbero ? Certo, ci sono delle commissioni di esperti, tutto quello che vogliamo, ma ci
saranno i critici che avranno nelle commissioni una loro tendenza ideologica, ci saranno
degli amministratori che ameranno più i figurativi che concettuali, quindi alla fine questa
scelta di valori sociali chi la deve fare? Come la si fa? E’ questa la mia domanda, forse un
po’ grave per le amministrazioni, ma come scultore mi sento di dire che bisogna fare
questa autocritica da entrambe le parti, sia delle strutture amministrative che nel rapporto
con la natura dell’arte. Grazie
Gian Carlo Muzzarelli
Assessore alla Programmazione e sviluppo territoriale, cooperazione con il
sistema delle autonomie e organizzazione della Regione Emilia-Romagna
Su una questione come questa ognuno di noi può esprimere opinioni completamente
diverse. Certamente fattori come le priorità sociali, la crisi economica, un certo egoismo
possono prevalere. A quel punto magari non è prioritario il fatto che un Comune sposti una
scultura, sbagliando o riposizionandola male non so, credo di solito sbagliando. Però la
cosa che mi preoccupa è: vogliamo la perfezione o vogliamo provarci?
Bisogna trovare le condizioni per una certa “libertà di azione”.
Da 1 a 100 ci vogliamo provare ad arrivare a 60 o arrivare a 70 o continuiamo tutta la vita
a dire che bisogna andare oltre il 2% ma poi non riusciamo a fare un passo in avanti?
Noi come Regione abbiamo tentato, con l’ipotesi che è stata presentata, di aprire una
riflessione per provare a fare ancora un passo in avanti: questo mi sembra un elemento di
innovazione. Quindi bisogna fare uno sforzo: ad esempio, dentro ad un’operazione di
riqualificazione urbanistica detta “Contratti di quartiere 2” che vanno a toccare le aree
peggiori della nostra regione perché sono quelle più degradate, abbiamo provato a fare
un’operazione di investimento.
Per esempio, a Modena una galleria che è stata soprannominata a Modena “Palazzo
Eroina”, tanto per capirci di cosa stiamo discutendo: bene, c’era la una necessità di
ristrutturare questa galleria per mettere al suo interno i Vigili Urbani, un centro
commerciale, servizi comunali. E’ stato fatto un piccolo bando, un’operazione di
riqualificazione, ed è stato scelto un gruppo di giovani artisti che hanno ridisegnato questa
galleria piena di colori. Ora la stanno realizzando e quel pezzo di palazzo è cambiato
totalmente, forse anche perché chi la abita ora ha più rispetto, per i nuovi colori, per il
nuovo aspetto (ovviamente conta anche l’impatto dei Vigili Urbani, dei servizi… non voglio
mica sottovalutare nessuno di questi aspetti). Certo, oggi quella galleria è un’altra cosa.
Abbiamo fatto il massimo? Non lo so, credo però che abbiamo anche dato una risposta di
integrazione e di partecipazione, e quei giovani artisti hanno comunque contribuito a
rendere più bello quel pezzettino di città. So che è una piccola risposta, però...è una
risposta. Dopo di che, se riusciamo ad avviare investimenti nuovi, anche con il 2% di cui
parliamo ora, bene. Quando facevo il Sindaco, contattavamo gli artisti che arrivavano
dall’Accademia del mondo, senza chiedere che cosa facevano: potete bene immaginare in
un piccolo comune di montagna cosa è successo, con il coinvolgimento di tanti mondi, le
difficoltà in corso d’opera per rispettare la volontà di quelle persone che hanno trasformato
le pietre in opere d’arte…un lavoro complicatissimo. C’è ancora gente che non mi saluta
perché era legata a determinate idee! Però, un pezzo alla volta, si costruisce tutto e nel
rispetto delle regole, perché ogni società ha bisogno di qualche regola, cosa che non
significa pretendere la perfezione ma introdurre elementi di democrazia. Quindi, facciamo
un passo in avanti, ci proviamo, poi riproviamo ed assumiamo, in questa fase di crisi, la
responsabilità di fare un’operazione seria, perché crediamo che non può funzionare una
nuova società se dentro non ci stanno tutti e se dentro non ci sono emozioni, umanità e
forza. Io credo che questo sia il senso, e noi per fare umanità, forza e ricreare socialità
bisogna che ridisegniamo un senso di appartenenza, e il senso di appartenenza sta anche
nel segno che poi è emozione che poi è forza che poi è vita.
Rappresentante non identificata
Amministrazione comunale di Lugo di Romagna
Io sono nuova ai discorsi di leggi , però probabilmente il discorso urbanistico è tutt’altra
cosa o è collegato anche a questa parte legale. Io sono di Lugo e lì queste cose
interessano. L’arte è un’espressione umana quindi è un discorso storico è un discorso
culturale, di quello che uno vuole rappresentare, di quello che vuole esprimere. Penso che
almeno per le città siano più importanti i discorsi funzionali, un discorso di vivibilità vera,
come strade e fognature. Io adoro l’arte, ma la vivibilità degli ambienti secondo me non è
anche la valorizzazione delle cose antiche che ci sono, e delle cose storiche, come diceva
anche l’assessore . Io sono più per la riqualificazione urbana dal punto di vista funzionale,
questo volevo dire, oltre che culturale-storico.
Architetto non identificato
Io quello che ho riportato è l’esperienza di 16 anni di attività da architetto e il vuoto
assoluto informativo e applicativo di questa norma.
Già è abbastanza triste che l’arte debba essere imposta e che per le amministrazioni arrivi
quasi come una tassa. Faccio un esempio: in studio con me lavorano 14 persone e solo io
conoscevo questa norma, perché nessuno di noi l’ha mai vista applicata, o attuata. In
nessun bando pubblico esse viene richiamata, nei quadri economici non è mai richiamata
la voce, nei collaudi tecnici amministrativi nemmeno. Viene quindi da chiedersi: questo 2%
dove va? E quando mancano i soldi? Perché c’è il grandissimo problema dei quadri
economici con cui vengono fatte le opere pubbliche e se si deve tagliare si sa benissimo
che questo 2% viene eliminato o demandato. Quindi, la mia domanda è: quando e come si
applica nel pubblico e nel privato e chi verifica l’applicazione di questa norma?
Gian Carlo Muzzarelli
Assessore alla Programmazione e sviluppo territoriale, cooperazione con il
sistema delle autonomie e organizzazione della Regione Emilia-Romagna
Rispondo alla signora che è intervenuta. Noi vogliamo rilanciare la qualità urbana tenendo
insieme ogni trasformazione, senza trascurare ne la strada ne l’opera di cui noi abbiamo
bisogno, perché quando parliamo di riqualificazione delle città parliamo di ridisegnare
compiutamente le città e quindi garantire una qualità diversa e ovviamente tenere insieme
strade ed opera, perché è una sfida vera che rafforza la qualità. Occasioni come queste
sono importanti, potrebbe anche servire un altro seminario per discutere della
riorganizzazione degli organi statali, dalle Soprintendenze in giù. Le Soprintendenze,
infatti, non hanno il personale per garantire neanche i pareri preventivi sui progetti. Le
nostre città, i nostri contenitori debbono diventare nuovi luoghi quindi dobbiamo assumere
tutti questa sfida: una sfida ecologica, una sfida culturale, una sfida per lo sviluppo. Quello
che vorrei nell’Emilia Romagna è contribuire a una visione unitaria, perché se finiamo – in
tempi di carenza di risorse – a fare le priorità delle priorità delle priorità, il rischio è poi di
non assegnare risorse nemmeno per sistemare le buche.
Il rischio è che qui non riusciamo più a pensare, non riusciamo più a guardare oltre la
quotidianità, e quindi il risultato finale è che alla fine riusciamo a organizzare il normale,
l’ordinaria amministrazione. Bisogna programmare il futuro; credo quindi che “il 2%” ci aiuti
a pensare che oltre il 2% c’è una visione di società in cui, insieme, l’arte, gli architetti, la
società, gli amministratori, i cittadini si devono sentire tutti uniti. Oggi i cittadini vivono
meno la città, perché sono più isolati: noi dobbiamo superare quell’isolamento per
guardare a una prospettiva. Dobbiamo trovare le soluzioni, programmando città più belle e
vivibili.
Anna Maria Tatò
Architetto, esperto del Consigli o Superiore dei Lavori Pubblici
Infatti da architetto io sono cresciuta e capisco il fatto che solo lei, del suo studio, aveva
questo riferimento mi dice ancora una volta di più che c’è un clima di ignoranza rispetto a
questo, perché chi progetta deve conoscere le norme che regolano la progettazione, così
come quando progetta lei deve sapere l’indice di costruzione, i volumi che può fare e
sapere che c’è anche questa norma. E devo dire che in questo caso corrisponde di fatto a
un disinteresse degli architetti nei confronti dell’arte, che sia scultura, o pittura, o altro. Io
devo dire che frequento le mostre, le biennali, frequento le mostre di tutti i tipi per mia
personale passione e siccome sono architetto e ho tantissime conoscenze di colleghi dico
che non li vedo mai a una mostra, non c’è mai interrelazione, bisogna trovare, dobbiamo
ritrovarci con l’arte e gli artisti, perché per tanti versi l’arte degli artisti, scultori, pittori etc. è
più avanti, ha meno condizionamenti, l’artista-architetto, perché così penso così anch’io
che l’architetto sia un artista nel suo lavoro, ha però un grosso condizionamento, ossia che
quello che costruisce deve essere funzionale. Alla fine puoi fare tutti i giri che vuoi, ma
l’opera che fa il progettista deve avere una funzione al contrario la libertà dell’artista
scultore, pittore è quella che è libero, cioè la sua opera non ha questa camicia della
funzionalità, e allora è intrigante mettere insieme queste due cose. Trovo veramente che
sarebbe una bella esperienza se architetto e artista dovessero collaborare.
Altro problema che mi pare importante è quello che diceva Gazzarri, quello del controllo
dell’Osservatorio. Fino a poco c’e’ stato tempo fa un altro organo che controllava ed era la
Corte dei Conti. Per esempio, tutte le Caserme dei Carabinieri che son state fatte in Emilia
Romagna, ma era un programma nazionale che prevedeva carceri e caserma in tutta
Italia. I Carabinieri all’inizio non avevano voluto quel 2%, perché dicevano con quello
facciamo una caserma in più, ma la Corte dei Conti non l’ha passato!
Un altro ente che potrebbe verificare è la Soprintendenza. La Soprintendenza ha come
suo compito la verifica del 2% quindi si dovrebbero mettere tutti un pochino in moto, anche
se, secondo me, il primo da mettere in moto è il progettista incaricato di fare il progetto, è il
primo che se lo deve porre pensando anche che se lavora con un artista può anche
risparmiare sull’edificio, perché un architetto può pensare a un scultura piazzata da una
parte o un video che si proietta, ma potrebbe anche essere una vetrata antisfondamento
che sta all’ingresso dipinta, dipinta a fuoco, oppure potrebbe essere una pavimentazione,
o una recinzione fatta da uno scultore; non è detto che deve essere una cosa così
staccata dalla struttura dell’edificio per dire, può anche venire incontro a quello che è il
costo proprio dell’intervento.
Volevo dire un’ultima cosa sulla presenza nelle commissioni di un rappresentante
dell’ente dell’edificio che verrà costruito: è stata per me una cosa tragica, perché i
carabinieri, i vigili del fuoco vogliono solo il loro stemma, il portabandiera, insomma c’è
proprio difficoltà di colloquio.
FINE