Atti della giornata di studi - IBC Emilia Romagna
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Atti della giornata di studi - IBC Emilia Romagna
Atti della Giornata di studi Percentuale per l’arte negli edifici pubblici Bologna, Palazzo Gnudi, Sala degli Specchi, via Riva Reno 77 13 maggio 2009 ore 9.30-18 SESSIONE MATTUTINA Ezio Raimondi Presidente Istituto Beni Artistici, Culturali e Naturali (IBC) della Regione Emilia-Romagna Tocca a me, come Presidente dell’Istituto per i Beni Culturali, di attendere all’ufficio di apertura di un convegno che è quello dei saluti rituali. Il saluto a tutti gli amici che sono qui presenti, che si trasforma in un ringraziamento per aver accettato, insieme con noi, di dibattere un problema che riteniamo di qualche interesse. L’Istituto che ho l’onore di presiedere ha per compiti istituzionali lo studio di aggregazione, di censimento e di conoscenza dei fatti artistici, culturali e naturali della Regione e da tempo aveva in mente di concedere ad un’operazione relativa agli effetti della legge 719 del 29 luglio 1949 sul cosiddetto 2%; e da qualche anno la solerzia con cui i alcuni dei suoi funzionari si è attesa ad una raccolta di dati e al censimento relativo alle opere nate attraverso la legge del 2%. Ci sono voluti un certo numero di anni per fare una ricerca complicata e difficile e ricomporre un capitolo che ancora nessuno conosceva, o conosceva soltanto per frammenti, senza ricavarne una logica più ampia, senza trarne delle conseguenze per quello che può anche essere uno sviluppo futuro. E il censimento è arrivato ai suoi effetti conclusivi, producendo un libro che è stato distribuito, Il percento per l’arte in EmiliaRomagna, che da conto dei risultati del censimento 158 luoghi che sono tornati ad essere un capitolo unitario, con una serie di complementi ed osservazioni, o commenti a una situazione o ripresa di un discorso perché ricomporre il capitolo del 2% nella nostra regione, significa riprendere un problema che nel fondo è la presenza del contemporaneo dei cosiddetti beni culturali visti nella loro insolita dimensione storica. Il volume è il punto di partenza per quello che è il nostro dibattito oggi e come dicevo, per ripetere il titolo di un capitolo all’interno del volume, si tratta di trovare il rapporto tra architettura, arti e città, quindi un problema del nostro presente. In questo modo, abbiamo operato un’operazione a due effetti: da una parte abbiamo riproposto un capitolo unitario che è una specie di museo diffuso vincolato alle ragioni dirette della vita quotidiana di edifici, di istituzioni e della società nelle sue sfumature private, dall’altra il discorso storico diventa il punto di partenza per riprendere un problema, per ricomporre di nuovo la nostra attenzione su ciò che essere contemporaneo nel nostro presente con una funzione che è contemporanea mente di gusto, la cosiddetta estetica, e dall’altra parte di ordine sociale. A me non compete aggiungere altro, il mio saluto è diventato un ringraziamento e vi faccio gli auguri di buon lavoro tenuto conto che speriamo che la vecchia legge si riattivi e di riprendere, con questi incontri, risultati positivi per il nostro presente così conteso e così difficile. Pur tuttavia un discorso sull’estetico è una ragione che si può raggiungere ancora nel modo di intendere il nostro presente ai sensi di questo tempo così cruciale e così complesso. Buon lavoro a tutti e grazie di essere qui con noi. Interventi Andrea Emiliani Storico dell’arte e amministratore culturale, già Soprintendente ai Beni Storici e Artistici La “decorazione “ dell’arte, ovvero l’arte applicata all’arte, è un’antica, classica dimensione della stessa espressione artistica - dalla pittura alle cosiddette arti minori - e insieme una nozione concettuale . In realtà, nell’esperienza moderna le due dimensioni sono strumentalmente divise. La decorazione - a fine ’800 strumenti concettuali e quel un - fu elevata po’ tra gli critici anche da alcuni storici dell’arte, come da Bernard Berenson , a far parte pura visibilità state dell’orizzonte dell’età che nasceva dalla nata sul finire del secolo XIX. Il suo significato divenne in mo mento di uso assai limitativo , quasi a dimostrare ‘decorazione’ fosse un atto di valore soltanto aggiunto . intesa come modello operativo che la Essa tuttavia, in forte crescita di un’età che aveva conosciuto molte “arti”, da quelle meccaniche a quelle ‘belle’ e ideali, e poi anche quelle artigiane per non dire di quelle industriali arrivate, - che , ultime addirittura furoreggiarono nell’Europa delle grandi Esposizioni, a partire da quella di South Kensington a Londra nel 1851- aveva preso e continuava a prendere, aspetti e responsabilità molto diverse tra loro. La forza che la decorazione si era guadagnata sul campo finì infine per renderla autonoma e per dividerla dall’arte . In Italia , l’età delle “arti” decorative storiche si rivolgeva , quasi per un loro destino riassunzione post-rinascimentale , ad una continua, delle caratteristiche degli infiniti modelli che si aggiravano nei musei e prima ancora nelle creative generarono arte e decorazione, ceramiche, ma poi anche oggetti bronzei, quasi obbligata esistenti , esempi grandi collezioni. Città così da produrre soprattutto strutture lignee, modelli di tessitura , invenzioni tratte dal vetro e un intero mondo in rapporto con forme e materie . Un esempio tra molti: il Museo del Bargello, in una città della Rinascenza anche “produtti va” come Firenze, nacque progettualmente come una concentrazione di arti “industriali” storiche da opporre , secolo XIX , nel ai massimi esempi di Norimberga, di Parigi, di Vienna come anche di Londra. Ma poi, come a Londra il grande impianto di South Kensington divenne forza d’arte il museo Victoria & Albert , propriamente detta, a assumendo una specifica Firenze il Bargello divenne inesorabilmente un museo d’arti elette e per nulla industriali. E così è tuttora. L’arte antica è sempre contenuta in riconnette ogni forma alla lasso di tempo e di spazio che nozione centrale dell’espressione, così nell’architettura che nella pittura oppure nelle arti strumentali o appunto decorative. Ciò accade perfino nel grande spazio-tempo del paesaggio, l’ambiente costruito dall’uomo e dal suo lavoro , già affascinante per nostra volontà , e che oggi stiamo stupidamente deteriorando e portando in tal modo alla distruzione. Le avanguardie novecentesche che nacquero appunto dal puro- visibilismo e soprattutto dalla riflessione portata sul grande ceppo della forma come vitalità dell’espressione, dal futurismo allo stesso divisionismo, e soprattutto al cubismo, nonché al surrealismo e ad altre correnti ancora, entrano - dopo la proposta delle avanguardie di Parigi di comporre il tutto nel regime dell’Art-Deco- entro questa stagione che è così particolare, ma anche generale. Gli anni ‘30 in Italia, vivendo la contraddizione ben nota di ultima ma resistente cultura, così d’arte che di letteratura, ma in pieno e anche retorico regime reazionario, hanno manifestato grandissima attenzione a l’Art-Deco . Essa forse allora si denominava in modo più tradizionale, ma gli artisti la usavano esattamente come post-avanguardia e nell’intelligenza di un’arte sempre più vitale e intelligente. Questa, già negli anni ’30, gradevole, che del resto all’economia produttiva che si fu una tematica tanto diffusa quanto affiancava alla moda, allo spettacolo, allora cercava per giunta le strade dell’ ”autarchia” e che dunque accettava soll ecitazioni artistico-artigiane, e le nuove articolazioni che si spinsero già allora nella direzione del “design” come espressione di molteplici interessi, voluttà sperimentali di materie diverse e anche “povere”: ma tutte sostenute, si direbbe, entro il ri ferimento alla grande forma in quanto spazio e tempo, tutte realizzate con un’esperienza produttiva capace di tradurre la grande abilità del lavoro “ manuale” ed artigiano in una perfezione che tendeva a trasformarsi in ricchezza industriale. Un esempio di eccezionale importanza per la presenza vitale dell’ atto “deco” e anche più ampiamente “decorativo” è esplicito, anche prima del conflitto mondiale pianificazione 1940-1945, architettonica nella italiana. progettazione Già e nella nell’eclettismo stessa progettuale europeo, ma soprattutto nell’età assai alta del razionalismo italiano, la forma architettonica che decorreva da Bigini e Pollini e da altri – che incontreremo anche del dopoguerra - esigeva la presenza di forme create, di oggettivazioni formali e materiali che conferissero a quelle volute e razionali nudità il prestigio del decoro: e dunque appunto della decorazione. Il tema dell’architettura e dell’arte decorativa venne assumendo grande sviluppo in previsione dell’E42 nei pressi di Roma. Per il numero degli specialisti, degli architetti e anche degli artisti, il progetto – spezzato dallo scoppio della guerra mondiale - ha rappresentato il cantiere più espressivo italiane. dell’arte e dell’architettura Ed è singolare ma comprensibile che proprio il materiale ceramico fosse considerato materia espressiva durevole e calorosa. Più tardi, ma in quello stesso spirito dei tempi, nacque una legge nazionale che doveva associare in ogni progetto architettonico l’esistenza necessaria – si diceva – di un’opera d’arte: ma che in realtà doveva essere, nella mente dell’architetto progettista, un’opera immaginata e cresciuta in una opportuna visione autonoma e nel tempo stesso connaturata al suo ambiente . Come abbiamo già ricordato , allora si chiamavano anche “arti applicate” ma era proprio quella “applicazione” che una volta ancora doveva essere combattuta, come ogni banale sovrapposizione, per ritrovare infine una possibile “unità” delle arti. Del cantiere annoso dell’EUR attuazione e delle sue prospettive di progettazione e di la Fondazione Cassa di Risparmio di Imola ha promosso la pubblicazione del volume documentativo di Mario Serio, edito da Bononia University Press con il titolo Istituzioni e politiche per i beni culturali Materiali per una storia nel 2005. Nacque da questa esigenza molto avvertita, sopraffatta più tardi dallo scoppio della guerra, quella legge detta del 2/100 che prevedeva un’opera “deco” ovvero decorativa per ogni edificio statale costruito, finanziata con una percentuale – appunto – della spesa globale incontrata . Essa fu molto sostenuta da un giovane Giulio Carlo Argan, per non dire di Mario Socrate, quale responsabile del Sindacato Artistico di sinistra nel dopoguerra. Ebbe qualche applicazione sparsa, e soprattutto malconosciuta . incaricato Io stesso fui d’ufficio negli anni ’60, a Bologna e in Romagna, di condurre qualche pubblico concorso. Tra tutti, vorrei ricordare la bellissima lastra di grés bianco di Carlo Zauli, realizzata circa nel 1966, che oggi è stata ricollocata nel nuovo Ospedale Civico di Vecchiazzano a Forlì; così come, più tardi, il grande girale collocato a giorno sulla fiancata dell’Istituto Universitario di Matematica al fondo di piazza San Donato a Bologna. Se la legge è stata poi sommersa e dimenticata (sarebbe ancora in vigore, in teoria) ciò è accaduto sia per la disattitudine nazionale programmazioni culturali, che alle insieme per la caduta di questi valori nell’ambito dell’architettura contemporanea. Non ho mai visto architetto progettista che fosse in grado di ideare, in collaborazione con un artista , si intende, un assetto decorativo per un edificio pubblico, ma cresciuto in una collaborazione vera e anzi connaturato ad esso , alle sue finalità e infine al suo stile. Ancora una volta, in questi decenni, ha finito per prevalere l’ “applicazione” di un brano decorativo , magari di qualità ma senza dimestichezza alcuna con lo spazio-tempo della forma architettonica. Tutto si risolve insomma in un oggetto da appendere, sovrapporre, attaccare, ma non da creare nella sua autonomia . Ho voluto insistere su di un evento che poteva essere molto utile e produttivo, ricco di lavoro, di professionalità e di economia . Però bisogna riconoscere che l’art-deco autonoma comunque proceduto e indipendente nel frattempo ha in forza del suo fascino e della ricchezza delle sue possibilità. Molti artisti sono divenuti soggetti ricercati e amatissimi da un fecondo collezionismo, numerose sono le abitazioni contrassegnate da una notevole qualità di arredo decorativo. Il collezionismo privato ha stimolato il settore dell’art-deco, lo ha condotto verso l’attenzione di alcune manifatture nazionali famose in queste iniziative oppure rinnovando in tempi moderni il valore insostituibile della bottega e del laboratorio privato. Ciò è avvenuto con grande fortuna in questa Italia, con accentuazione diverse e anche sopravvivenze novecentesche, di reviviscenza regionalistica oppure legate a linee produttive tradizionali ancora riconoscibili. Bisogna dire che anche per questo l’autonomia espressiva della creatività “deco” è stata saldamente, squisitamente riconfermata, almeno sul piano dell’oggetto nell’ambiente domestico e nella sua riconoscibilità privata . Credo di essermi ritrovato, nella qualità di primo incaricato di Cesare Gnudi, Soprintendente – come si diceva allora – “alle Gallerie e ai Musei “ di Bologna e delle province di Romagna, a dover affrontare in legale estensione nazionali aspetti, snodi e congiunture dei moderni concorsi (detti “del 2 /100”). Si trattava di prendere contatto con l’ente costruttore, per lo più un Comune: e concordare con lui visibilità ogni sua contenuti e di un oggetto dotato di decoro formale, oppure anche cromatico che venisse a configurarsi in progetto e in ipotesi poi sviluppata in progetto di investimento, di spesa, di messa in opera e alla fine anche di comunicazione pubblica. Ho già dato esito pubblico - da allora - alla necessaria discussione a riguardo dell’evidente crisi per sfinimento così inventivo che finanziario che progressivamente invase le virtù delle ‘arti applicate’ spazio evidente, come la ceramica anche in aree di di forte cromatismo nell’occasione dell’uscita editoriale del fascicolo : e ciò accadde n°7 del Rapporto sull’attività di tutela, conservazione e restauro della Soprintendenza alle Gallerie, con un contributo dal titolo Improrogabile una riforma della Legge 717 ovvero del 2% ( pp. 55-67). Si trattava, ricordo, del primo fascicolo intestato alla funzione di Rapporto sull’attivi tà di tutela sviluppata da questa Soprintendenza. I numeri precedenti erano stati destinati alla funzione di Diario di lavoro e di Soccorso bibliografico e cartografico delle prime Campagne di Rilevamento dei beni culturali (anni 1968-1969 e parte del 1970) Nota in calce. La Collana dei Rapporti della SBAS di Bologna realizzò una novantina di numeri editoriali , comprensivi di scritti come quelli di Hans Belting, di Cesare Gnudi, e di Vincenzo Cardarelli , ma soprattutto di relazioni propositive e riassuntive dell’esperienza di restauro e di conservazione. La Collana , la sola sede di un dibattito museografico e anche urbanistico silenziosamente organizzata nel dopoguerra immediato in Italia, fu cassata senza neppure un comunicato in proposito, alla mia cessazione di attività per pensionamento (aprile 1997) ; come del resto ogni altra documentazione di recupero, di restauro, e di tecniche di supporto. La causa prima della progressiva riduzione di interesse a riguardo del destino culturale e della metodologia di invenzione e di realizzazione, risiedette palesemente nella evidente perdita di contiguità del concetto spaziale che ha governato, nei secoli, plasticità come figurazione e struttura come massa : una contiguità che ha letteralmente popolato i l mondo greco-latino, come anche spesso quello medioevale e rinascimentale , ma che a decorrere dall’architettura dell’eclettismo ha imparato a separare i due mondi e non li ha riaccostati se non, come si è detto, in fase di volontà creativa di avanguardia. Nel 1942, avendo l’EUR romano come campo di sperimentazione, si comprese (talora reboante, talaltra corretta, la consanguineità spaziale che il neoclassicismo con i suoi teorici e storici, a cominciare da Leopoldo Cicognara (1808-18) e da Pietro Giordani, avevano postulato anche nel bel mezzo nell’hegeliano grande ritorno dei valori plastici, il modello neorazionalista e in certi aspetti anche quello neo-retorico e celebrativo del regime, ritornarono a praticare e proprio sulla scorta dell’art-deco, alcune congiunzioni di sapore diverso: molto corretta la Sala della Scherma di Moretti, un capolavoro oggi da restaurare e da riabilitare, e a pochi metri lo Stadio dei Marmi, più esibizionistico anche se gradevole nel suo approccio al paesaggio (Foro Itali co ). La legge del ’42 nasceva come corollario dalla revisione della 1089 del 1 giugno 1939, legge di tutela nata con Corrado Ricci nel giugno 1909, n.364; nonché dalla finalmente nata Legge urbanistica emanata nel ’42 stesso da Bottai, ormai in fase di chiaro dissenso dal regime. Per non dire, a Ricostruzione avviata, dalla necessità di tenere in piedi ed attive quelle tuttora presenti fasce di speciale mano d’opera (scultori praticanti, ma anche ceramisti, fonditori, fabbri plasmatori, mosaicisti, pavi mentisti, ornatisti di volte e di pareti, falegnami, ecc.) che proprio nell’opera mirabile di riabilitazione del patrimonio italiano si erano rafforzate. Basterebbe ricordare la grande, incomparabile forza creativa e decorativa per molte materie espressa dalle maestranze ancora presenti ed attive nelle Scuole d’Arte : un riserva di formazione e di esperienza senza confronti, dopo pochi anni distrutte e demolite - purtroppo - da banali sovrapposizioni di attualità sorte dinanzi alle nuove tecniche di mesti ere o presunte tali: cinematografia sperimentale, o cromato fotografia, oppure regia teatrale, ed altre qualificazioni improbabili a Caltagirone come a Cittadella . L’impulso più conscio per procedere ad una sperimentazione rinnovata, in fondo , doveva giungere fino alla conoscenza critica da un esatto dettato di Giulio Carlo Argan nella dell’Associazione Internazionale modestamente ma anche più qualità, anno 1963, di Presidente dei Critici d’Arte ( AICA). Io stesso, praticamente, nel corso di più un’ormai storicizzata collaborazione con il primo quotidiano “Il Giorno” delle origini, quello diretto da Italo Pietra , avevo scritto qualcosa circa la legge ( bella ma latente ) che aveva richiamato l’attenzione di Mario Segretario AIAP. Fatto sta che Penelope , allora in quei mesi di fine ’70, il Provveditorato alle Opere Pubbliche di Bologna, che ricordo a quelle date assai ben diretto, richiamò in vita il provvedimento e sottolineò a tutti coloro che si preparassero a privilegiare qualche evento di ‘abbellimento di edifici pubblici’ (così si diceva, malamente, in quegli anni) ne raccomandava l’affidamento in collaborazione proprio con la locale Soprintendenza ai beni artistici e storici (che si chiamava ancora “alle Gallerie “) . Fu in questo modo che per qualche anno ci ponemmo a lavorare, inadeguati in quanto a organizzazione e a comunicazione, attorno ad un discreto numero di appalti-concorsi , piuttosto vivaci – da un lato – per la sempre discreta entità economica di premio ; e dall’altro per la volontà di garantire scelte artistiche, concetti spaziali, materialità opportune di peso e selezione tale da resuscitare un non contestabile lavoro di ‘contiguità’ ma non di sovrapposizione oppure di abbellimento, oppure di falsa banalità sovrapponibile. La stagione, alla quale fui delegato personalmente, vide realizzati alcuni grandi ‘premi’ specie nel campo di materiali creativi durevoli , dal bronzo alla ceramica, dal bronzo alla pietra. Il territorio più intenso di offerte fu quello romagnolo, anche in presenza d’una forte tradizione nel campo della ceramica ( Faenza, Imola ), oppure del mosaico (Ravenna) e infine delle fusioni nobili (Bologna). Privilegiammo anche talune espressioni non tradizionali (Paesaggi fotografici di grande estensione per Scuola Elementare di Castel d’Aiano , autore: Paolo Monti), come anche Ferri lavorati a Imola (Piscina Comunale, autore: Germano Sartelli ). Ma le più durevoli furono , anche in ragione della loro qualità, le opere di grandi scultori ceramisti come il giovane Carlo Zauli , oppure di Angelo Biancini, e infine di altri dell’Istituto Ballardini di Faenza (Bianco, Piancastelli, Dal Monte, Leoni ecc.). Opere in bronzo di elevato peso e spessore spaziale furono quelle di Sandro Cherchi nell’Ospedale Maggi ore di Bologna, e le altre di Quinto Ghermandi realizzate in Bologna (Scuole Zanotti) e in Forlì ( Tribunale Civile ). A metà degli anni ’70 l’afflusso di notizie dal Ministero del Lavoro venne a decadere vistosamente, e l’attività si venne spegnendo nuovamente anche per la carenza di un solido lavoro di comunicazione da istituire e da approvvigionare stessa. nelle informazioni di lavoro degli Enti Locali e la Regione Piero Orlandi Responsabile del Servizio Beni Architettonici e Ambientali dell’IBC Questo convegno è dedicato ad esaminare i casi migliori dell'arte pubblica nella nostra regione, e anche a presentare un progetto di legge di revisione della normativa statale sul percento per l'arte, che è stato elaborato dal Servizio Legislativo della Regione Emilia-Romagna con il supporto di un gruppo di lavoro coordinato dall’Istituto Beni Culturali. Un decreto ministeriale ha definito questa materia come a legislazione concorrente, invitando dunque le Regioni a intervenire sulla questione della applicabilità, dell’attuazione, delle problematiche connesse alla gestione della legge del 2%, anche attraverso provvedimenti legislativi regionali. Nella nostra regione abbiamo avuto una anticipazione di questo percorso perché nel 2002 è stata emanata una legge, la Legge 16, che toccava anche la questione dell'arte pubblica tra le sue diverse finalità. Da un lato infatti essa si occupa di rinnovare norme che la Regione si è data fin dall’inizio degli anni ’70: una, è la Legge 2 del 1974, che uscì ancora prima che la Regione avesse una legge urbanistica - la legge urbanistica regionale è del 1978 - e aveva essenzialmente il compito di incentivare, di promuovere la cultura della conservazione dei centri storici presso i comuni. Come è noto, nella nostra regione la prima esperienza importante, significativa di conservazione dei centri storici è stata quella fatta dal Comune di Bologna alla fine degli anni ’60, quando le Regioni non c’erano ancora. Nel ’74, la Legge 2 decise di occuparsi dell’argomento della conservazione dei centri storici – ripeto, in assenza di una organica disciplina urbanistica. La conservazione dei centri storici passava anche per il restauro degli edifici, e anche attraverso questa norma si estese la pratica del restauro dai singoli edifici monu mentali a edifici all’intero tessuto del centro edificato storico. Tra l’altro la legge prevedeva che l’Istituto Beni Culturali, che nel frattempo stava entrando in funzione, redigesse un inventario dei centri storici, che poi è stata una lunga, grande, importante occupazione delle prime fasi di lavoro dell’Istituto Beni Culturali nel settore del territorio; questo inventario è stato recepito dopo oltre dieci anni, nel 1985, quando, a seguito dell’uscita della legge “Galasso” sulla pianificazione paesistica, si decise che il Piano Territoriale Paesistico regionale - elaborato, essendo Assessore Felicia Bottino, nel quinquennio ’85-’90 - doveva anche riprendere i risultati della Legge 2 del 1974 quanto alla indicazione delle varie località storiche che erano presenti nel territorio regionale. Questo corrisponde a recepire in un importantissimo piano regionale i concetti di estensione della tutela dal singolo edificio al tessuto urbanistico La Legge 2/1974 poi generò nel 1989 una nuova normativa. Nell’89 si era ancora all’interno del decennio degli anni ’80, un decennio ricco di disponibilità finanziarie: si decise dunque di allargare alla proprietà privata i benefici della legge regionale, infatti fino al 2002 sono stati anche sostenuti interventi su edifici privati, di restauro e di rifunzionalizzazione. Poiché sin dalle origini le Regioni hanno competenze in materia di urbanistica, si inserivano queste norme nell'ambito della disciplina urbanistica, non essendo la materia della conservazione, della tutela dei beni culturali, di competenza regionale. Del resto, è del tutto plausibile ritenere che un edificio abbia importanza non solo dal punto di vista architettonico e artistico, ma anche dal punto di vista della funzionalità urbana: ridando valore, ridando atti vità e funzioni a un edificio, si opera nell’ambito della qualità urbanistica delle città, che è una competenza comunale, con un controllo provinciale e una funzione normativa regionale. Dopo questa serie di leggi, nel 2002 (con la legge 16, “Promozione della qualità architettonica e paesaggistica del territorio”) la Regione ritiene di rinnovare i concetti legati alla qualità architettonica e comincia ad esprimere anche una necessaria distinzione tra la qualità architettonica intesa come “beni culturali” - cioè ciò che esiste - e la qualità architettonica di ciò che va costruito. Per la prima volta in una legge si pone questa questione, facendo tesoro dell'esperienza tratta dalla programmazione ventennale dell’edilizia residenziale pubblica: i programmi integrati, i programmi di riqualificazione urbana, che sono gli ultimi strumenti individuati per programmare le risorse per la casa, si pongono l'obiettivo di ridare qualità a quartieri che sono stati costruiti con i fondi dell’edilizia pubblica per le categorie disagiate: anziani, giovani coppie, emigrati, lavoratori in mobilità. La giusta attenzione agli effetti sociali aveva fino allora messo in ombra i problemi di qualità urbana, e contribuito ad espandere le città con i vari piani per l'edilizia economica e popolare. Sono stati costruiti quartieri con pochi servizi, si è continuato a riprodurre all'infinito l’effetto di copertura di impermeabilizzazione del territorio, a espandere le strade, i servizi a rete: insomma, tutte cose che dal punto di vista degl i urbanisti, degli ambientalisti sono note e che magari sembrano meno pertinenti a un convegno sull'arte; ma quanto forti sono i nessi tra architettura, urbanistica e arte si capirà più oltre. Ecco dunque il discorso nuovo che affronta la legge regionale 16. Che dice: restauriamo ancora gli edifici che meritano di essere restaurati, finanziamo ancora i piani di recupero dei Comuni che vogliono fare interventi di recupero nei quartieri e nei comparti del centro storico, però inventiamoci anche altre due cose per qualificare il paesaggio: costruiamo nuova architettura di qualità più alta di quanto fatto finora, e demoliamo gli edifici che sono stati costruiti con evidente incongruità rispetto al paesaggio. E ancora: incentiviamo concorsi di architettura, una pratica necessaria per stimolare il confronto tra più proposte,e dunque la qualità del progetto, forse l'unica possibile, come a quei tempi sembrava anche alla DARC, la Direzione generale per l’Architettura e per l’Arte Contemporanee del Ministero Beni Culturali. In questa idea di lanciare nuovi strumenti sta anche il ricorso all’arte contemporanea, non solo come abbellimento, inserimento di una decorazione in un edificio o in uno spazio pubblico ma come occasione di co-progettazione di artisti ed architetti, e urbanisti. Molti sostengono – e forse in parte è vero – che spesso e volentieri gli architetti non amano molto lavorare con gli artisti, e gli artisti con gli architetti, ci sono ovviamente alla base delle formazioni diverse, delle professionalità diverse, ma quello che sembra paradossale è che non si riesca più a fare ciò che si faceva storicamente. Arte e architettura, arte e città, per un periodo molto lungo e glorioso della nostra storia sono state fortunatamente coese, poi si sono improvvisamente allontanate. Ci si può chiedere il perché, e ce ne sono tanti. Sono questioni che datano dalla fine dell’800, e raccontano della fine di una funzione storica dell’arte come trasmissione di valori civili, religiosi, tradizionali. Già con l’impressionismo si erano create delle fratture nella comprensione tra il pubblico e gli artisti. Ma poi c'è altro: la nascita della fotografia, che porta a svalorizzare l’arte figurativa, a porre delle domande su quale sia la funzione dell’arte quando è nato il mezzo fotografico, che può rappresentare la realtà in maniera così evidente e incontrovertibile (almeno all'apparenza, almeno secondo un ingenuo positivismo). E più tardi agisce il razionalismo architettonico, ma ancora prima il viennese Adolf Loos, che qualifica l’ornamento come delitto, nel suo famoso libro omonimo. Insomma si crea una rottura profondissima, tra arte e architettura, una rottura che appunto nel 1949 si sente il bisogno di colmare con una legge, la 717 sul due per cento. Che negli anni '50, '60 e anche negli anni '70 viene applicata, ma sempre meno, e alla fine viene dimenticata. Gli anni recenti hanno portato di nuovo a una certa centralità la questione dell’arte. Un esempio tra i più felici è sicuramente quello di Barcellona; molto celebrata agli i nizi degli anni ’90, Barcellona entra con prepotenza all’interno della storiografia urbanistica e architettonica: si cita la capacità di Oriol Bohigas, nominato come l’architetto capo della municipalità, nel recuperare e qualificare gli spazi pubblici, attraverso interventi che vedono la collaborazione molto stretta di alcuni architetti molto importanti della new wave spagnola con artisti. La stessa cosa succede, notoriamente, a Bilbao con l’intervento di Frank Gehry che realizza il Guggenheim Museum. Poi ci sono altri esempi europei, per esempio l'IBA Emscher Park in Germania, è una grandissima riconversione di area industriale, l’area industriale più importante d’Europa, che viene negli anni ’80 recuperata riconvertendo anche le scorie di carbone, i gasometri a finalità ambientali, paesaggistiche, creando colline di rifiuti industriali, rinaturalizzando spazi che un tempo erano fortemente degradati. Mi piace poi citare, anche se ha portato molte polemiche tra i conservatori e/o i fautori del nuovo all’interno dei centri storici, il cosiddetto Friendly alien che è la Kunsthaus di Peter Cook a Graz, perché è un oggetto – anche in questo caso un museo - all’interno di un tessuto urbano antico, che crea dissonanze molto forti: è un tema che da noi – a Bologna, in Italia - è difficile trattare, quello della possibile interazione tra moderno e antico nei centri storici; la nostra cultura, tendenzialmente, mi pare che lo escluda, salvo alcuni rari casi. A Bologna ho in mente soltanto il caso in cui furono allestite le sculture di Pomodoro a Piazza Verdi, ma poco dopo furono allontanate. Non mi viene in mente molto d’altro, se non vogliamo osare citare il caso delle Gocce di Cucinella che tanti problemi portarono negli anni passati. Ho sentito anche un illustre opi nione espressa da Renato Barilli a un convegno che si fece quattro o cinque anni fa, alla Fiera del Restauro di Ferrara. Pur essendo egli un noto storico dell’arte contemporanea esprimeva, però, una sua decisa contrarietà alla presenza di scultura contemporanea all’interno di un centro storico, sostenendo che non c’è possibilità di dialogo tra la scultura contemporanea e le forme antiche di un centro storico. Diceva che invece l’arte contemporanea è molto ben dialogante con il paesaggio extraurbano, cioè con il paesaggio naturale. La legge 16 - per tornare al discorso avviato più sopra - ha prodotto alcune esperienze interessanti: la più importante fu quando si riuscì a destinare un contributo a un concorso di artisti a inviti per la realizzazione di un'opera d'arte nel realizzando (lo era allora, lo è ancora...ma probabilmente ancora per poco) giardino del Mambo a Bologna. Feci parte della commissione, insieme a Dede Auregli, insieme all’allora direttore Peter W eiermair, e ad altri specialisti. Vinse il progetto di Eva Marisaldi. Ci sono casi importanti di buona cooperazione tra arte e architettura nel Novecento a Bologna: per esempio il Palazzo della Camera del Lavoro di Florestano Di Fausto architetto non bolognese, ma romano; e, se pur in misura minore, e cita l’edificio del Provveditorato alle Opere Pubbliche in piazza VIII Agosto, di Cosentino e Molteni. Vorrei citare anche un edificio di Vinicio Vecchi, in via Ugo Bassi, il cosiddetto Palazzo Sant’Unione. Ecco tutti questi edifici hanno fregi artistici che sono stati fatti senza la partecipazione della legge del 2%; quello di Vinicio Vecchi, il Palazzo Sant’Unione che è della metà degli anni ’50 ha un fregio di Veldo Vecchi, che era suo fratello. Anna Maria Tatò Architetto, esperto del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici Ragioni e contraddizioni della legge del 2%. Il mio intervento vuole portare la vostra attenzione sulla Legge Quadro sulla qualità architettonica, disegno di legge presentato dal Ministro Bondi di concerto con i Ministri Meloni , Matteoli, Gelmini. Fitto, Prestigiacomo, contenente al suo interno l’articolo 10 – Opere d’arte negli edifici pubblici, articolo che abroga la legge 717/’49. Premetto che, parlando di opere d’arte, per semplificazione, farò riferimento alla pittura e alla scultura, ma so bene che questi termini stanno stretti all’arte contemporanea che si esprime anche con altri codici. In questa occasione merita ripercorrere velocemente la storia e l’evoluzione della legge cosiddetta del 2%, sia per rilevarne le problematiche e le contraddizioni dell’applicazione che se ne è fatta, sia, e di conseguenza, per avanzare qualche proposta. La prima stesura della legge che porta il nome “Arte negli edifici pubblici” è di cinque anni prima quella del ‘49, la n. 839 dell’11 maggio del 42. Dice Giuseppe Bottai: “scopo della legge non è d’assicurare ai pubblici edifici un congruo apparato decorativo, ma d’affermare il valore di pubblica utilità del lavoro artistico.” Dunque un progetto culturale e politico in cui l’arte doveva svolgere un ruolo primario, di rappresentanza, di celebrazione. Tale iniziativa non riscosse del tutto il favore degli architetti; nelle pagine delle riviste “Architettura” e “Casabella” si leggeva una certa preoccupazione per queste opere che avrebbero dovuto far parte delle architetture: il nodo era come riuscire a far collaborare architetti, pittori e scultori appunto integrando i loro diversi strumenti espressivi. La via che sembrava più praticabile era quella del concorso promosso dallo Stato sia per l’urbanistica, l’ingegneria e l’architettura, sia per la pittura murale, la decorazione, la scultura. Nel ‘49 la legge viene abrogata e sostituita con la n. 717 che modificata e integrata con la n. 237 nel ‘60 e con la n. 352 nel ‘97, ovvero dodici anni fa, è quella tuttora in vigore. Da notare le parole del testo del ’49: la quota del 2% si intende che vada destinata “all’esecuzione di opere d’arte figurativa”, mentre nel testo del ‘60 si parla di opere d’arte destinate “all’abbellimento” degli edifici pubblici; parola “abbellimento” ancora presente nel testo vigente. Sostanzialmente le variazioni hanno riguardato la composizione della commissione giudicatrice: nove membri nella 237/’60, cinque nella 352/’97, due dei quali devono essere artisti di “chiara fama”. Sottolineo questa dizione chiara fama perché la scelta di questi artisti ha comportato e comporta notevoli difficoltà: infatti quali sono i riferimenti che un’amministrazione pubblica può avere per procedere a tali nomine? Forse bisognerebbe indicare la Soprintendenza ai Beni Culturali o anche l’Accademia di San Luca, unico ente quest’ultimo, a carattere nazionale, che si interessi in Italia delle arti figurative. Altro aspetto rilevante: in quest’arco di tempo, scompaiono dall’obbligatorietà di applicazione della legge, le scuole (‘75), le università (‘79) e l’edilizia sanitaria (‘93). Queste esclusioni la dicono lunga sull’impegno dello Stato nei confronti della cultura: si elimina l’arte proprio dagli edifici e dai luoghi pubblici più importanti sia per la formazione che per la conoscenza. Ma è tutto passato sotto silenzio. Comunque la scarsa diffusione e il ridotto utilizzo della legge, di fatto, l’hanno resa quasi inutile sia dal punto di vista sociale che culturale. E pensare che la legge del 2% è stata ed è l’unica legge finalizzata alla promozione dell’arte e quindi all’accrescimento attualizzato, moderno e contemporaneo del nostro patrimonio artistico. I pochi dati di cui siamo in possesso confermano che negli anni la legge è stata pressoché disattesa: l’accantonamento nel quadro economico dell’intervento veniva destinato agli aumenti dei costi. Ricordiamo che l’eventuale inadempienza doveva e deve essere rilevata dai collaudatori, collaudatori che, come spesso anche i progettisti, ignoravano e ignorano l’esistenza di questa legge. La mia esperienza nella gestione di tanti concorsi al Provveditorato del Lazio e in altri Provveditorati è stata traumatica, anche perché non è facile gestire una legge così sintetica e priva di un regolamento. Nella maggior parte dei concorsi si è trattato sempre di edifici già completati o in fase di ultimazione, ovvero la quota per l’opera di scultura e/o pittura, pur essendo preventivata, veniva e viene messa a concorso ad architettura ultimata o in via di ultimazione, secondo quel concetto di “abbellimento” sopra sottolineato. Peraltro il progettista dell’edificio, chiamato per dare indicazioni ai fini della stesura del bando, quasi sempre non aveva elaborato alcuna idea in merito all’inserimento “postu mo” di opere che invece nella storia spesso sono state pensate insieme, a testimonianza di avere in sé molteplici elementi e ragioni d’integrazione. Un esempio abbastanza recente sono i mosaici eseguiti nelle stazioni delle metropolitane sia a Roma, che a Napoli: sono opere particolarmente belle e importanti, di artisti famosi (almeno la maggior parte): una grande idea, ma anch’essa postuma. Infatti questi mosaici sono stati inseriti in spazi certo non nati per accogliere opere di tale specie e misura, m. 2 x 10, così che la loro vista e il loro apprezzamento risulta spesso impossibile. Altro grosso tema da affrontare è stato ed è la pubblicizzazione di questi concorsi. Non è certo la G.U. l’organo più letto, ma neanche gli avvisi sui giornali nazionali. Anche in questo caso la Soprintendenza e l’Accademia di San Luca potrebbero essere dei giusti tramiti. Da questi problemi nell’applicazione della legge e dall’obiettivo di risvegliare l’attenzione su questi temi sono scaturite le “Linee Guida all’applicazione della Legge – Arte negli edifici pubblici” , lavoro di una Commissione del Ministero delle Infrastrutture e dei Beni Culturali, da me presieduta . Il documento si articola in due parti: una procedurale (facsimile di bandi, decreti, contratti, ecc) per rendere l’iter più agile ma anche più corretto, la seconda (che poi nel testo è la prima) affronta una rilettura della legge, articolo per articolo, comma per comma, commentandola. Ed è proprio nel commento che c’è stato uno sforzo di interpretazione della norma cercando, pur nel rispetto del testo, di far emergere il potenziale che ancora poteva essere ritrovato al suo interno. Per esempio quando la legge dice all’articolo 1 comma 2 che “i progetti dovranno d’arte…..” contenere l’indicazione di la domanda è: quando, a che livello? massima di dette opere Prima del ‘94 il progetto era elaborato attraverso due livelli, il progetto di massima ed esecutivo; ma adesso, con la legge 109/’94 il progetto si svolge in tre fasi, preliminare, definitiva ed esecutiva. Allora potremmo dire che già nel preliminare si deve rintracciare una possibile interazione tra l’opera d’arte e l’edificio, nonché possibili collocazioni anche in relazione gerarchica con gli spazi pubblici. Questo potrebbe consentire di individuare, con procedura concorsuale, l’artista o gli artisti (scultore, pittore) che potrà o potranno così elaborare il progetto artistico in relazione all’evolversi del progetto architettonico. E’ evidente la radicale differenza linguistica, tecnica, nonché nell’uso stesso dei materiali, ovvero complessivamente di significato tra la realizzazione di un progetto di architettura, e quello di scultura e di pittura, che si confrontano all’interno di uno stesso processo realizzativo, rispetto ad un mero inserimento effettuato quando l’architettura dell’edificio pubblico è ormai completamente definita. Già nel ’90 Domenico Guzzi, a proposito del 2%, scriveva che tutto l'annoso problema arte-architettura poteva derimersi solo su altre basi. Partendo dal presupposto che l'architetto è pur egli - nelle migliori accezioni - un artista, così come ovviamente sono artisti - una volta ancora nelle migliori accezioni - i pittori e gli scultori che verranno chiamati ad intervenire, opportunità vorrebbe che il lavoro di entrambi procedesse ab origine di pari passo, non interscambiando i ruoli, ma, sì, opinioni e confronti dialettici e metodologici, in ogni caso salvando gli specifici d'ognuno. Questo sforzo di rilettura degli articoli della legge, come ho detto, aveva anche l’obiettivo di risvegliare l’attenzione sulla sua applicazione e di sollecitarne la vigilanza. Purtroppo, per motivi strettamente politici, il documento era firmato da due Ministri che nel frattempo erano decaduti, queste Linee Guida sono state solo pubblicate nella Gazzetta Ufficiale, senza ulteriori informazioni e distribuzioni mirate a chi di competenza. Vorrei inoltre fare una riflessione di carattere generale: le varie tappe di modificazione e integrazione di questa legge, 1949, 1960, 1997, hanno portato solo minimi cambiamenti. Dal primo schema non si è mai usciti, quasi fosse perfetto e meritasse solo accomodamenti nella composizione della commissione giudicatrice e nel limite minimo di spesa al di sotto del quale non si applica il 2%. E così veniamo al nuovo disegno di legge intitolato “Legge quadro sulla qualità architettonica” comunicato alla Presidenza del Senato il 5 dicembre 2008. Troviamo il nuovo articolo (Art. 10) “Opere d’arte negli edifici pubblici” che si compone di nove punti e che viene a sostituire la legge 717/’49. Il titolo è pressoché lo stesso; i cambiamenti riguardano l’applicazione del 2% non solo ai nuovi edifici pubblici, ma anche alle ristrutturazioni edilizie e urbanistiche degli edifici esistenti. Vengono escluse l’edilizia penitenziaria, l’edilizia residenziale pubblica e gli interventi di reindustrializzazione e di recupero di immobili a destinazione industriale. Vorrei avere la certezza che con questo atto si riammettano all’obbligatorità dell’applicazione del 2% le scuole, le università e le strutture sanitarie: a tal proposito ho sentito pareri discordi. Nel comma 3 viene indicato il progetto definitivo dell’intervento come momento in cui occorre prevedere l’inserimento delle opere d’arte ed il relativo costo, altrimenti il progetto non potrà essere approvato dagli organi competenti. Quando l’opera d’arte da realizzare ha un costo inferiore a 500.000 euro (ovvero l’intervento edilizio non costi più di 25.000.000 di euro!!!) non si procede con concorso ma la scelta dell’artista che deve realizzare l’opera d’arte è affidata a tre persone: il committente, un critico-storico dell’arte e il progettista dell’edificio. Mi chiedo se non ci sia un errore sulle cifre. Potrebbe accadere che i 500.000 euro siano divisi in, supponiamo 10 opere e la predetta commissione debba scegliere dieci artisti. Hanno sicuramente semplificato la procedura! In contraddizione, a mio parere, nella stessa proposta di legge, negli articoli precedenti, si promuove lo strumento del concorso di architettura nelle forme del concorso di idee e del concorso di progettazione, favorendo anche la partecipazione dei giovani, istituendo premi e riconoscimenti. Per importi superiori (che nella realtà si verificheranno in rarissimi casi) si procederà per concorso e la co mmissione giudicatrice sarà formata da cinque membri. Un’ultima nota: cui al comma 5, sempre dell’art. 10, si dice nei casi in bandi dei concorsi di architettura prevedano la definizione dell’opera d’arte e la partecipazione dell’artista nell’ambito dell’offerta, non si applica il comma 4, ovvero non si procede ad ulteriore concorso per l’opera d’arte. La dizione appare molto generica, sarebbe più opportuno rendere obbligatoria la presenza di un artista nel caso di concorsi di progettazione di opere pubbliche e, nel giudizio, dare il giusto peso a questa componente. Inoltre nel gestire la legge in vigore è sempre un problema compensare la commissione in quanto la legge non dice niente in proposito. Anche in questa proposta non è chiaro come venga ri solto questo aspetto: al tal proposito ritengo che sia importante, oltre che giusto, ricompensare tutti i me mbri; ricordiamo che le commissioni per i concorsi di progettazione sono retribuite. E’ ancora il collaudatore che, sotto la sua personale responsabilità, dovrà accertare l’adempimento della norma e comunicarlo al Ministero dei Beni Culturali, altrimenti dovrà dichiarare l’opera incollaudabile. Rimane il dubbio: se il collaudatore non fa questo accertamento che succede? Che significa sotto la sua personale responsabilità, c’è una sanzione? Infine vorrei rifarmi a quelli che, a mio parere, sono gli obiettivi primari di cui si dovrebbe far carico lo Stato: - puntare sul valore “culturale” della qualità come questione di pubblico interesse, in quanto teso a soddisfare la domanda di qualità della vita che deriva anche da ciò che ci circonda, dai luoghi che frequentiamo e in cui vogliamo riconoscerci; - impegnare risorse per continuare la nostra tradizione e lasciare il proprio segno nell’ambito delle arti . Se questi sono gli obiettivi fondamentali allora si tratta di intervenire con le opere d’arte certamente negli edifici pubblici della città di recente nonché ultima espansione. Una città dalle caratteristiche diverse da quelle dei primi decenni del dopoguerra (ricordiamo che la legge 717 è del ’49). Una città la cui diffusione periurbana, ma anche extraurbana, oggi cerca di polarizzarsi intorno a elementi di centralità tra cui, appunto, gli edifici pubblici. Dunque è evidente che gli edifici pubblici giocano un ruolo molto importante; da sempre, vuoi per la rilevanza della funzione, vuoi per la loro ubicazione nella città, sono stati e sono l’elemento caratterizzante di qualsiasi insediamento. Ma non dobbiamo dimenticare i luoghi, i parchi, le piazze, l e nuove aree urbanizzate, dove molte persone per vari motivi, anche economici, preferiscono abitare; è lì che occorre un intento comune di artisti, architetti, urbanisti per interpretare i nuovi luoghi della modernità, prendendo atto di realtà complesse e cogliendone gli originali impulsi che ne derivano, dando riconoscibilità e qualità a questi spazi. Solo con lavori multidisciplinari, in questo caso con l’integrazione delle arti, sarà possibile elaborare una qualità che esprima il nostro essere contemporanei nei luoghi delle nuove centralità, sia nelle aree periferiche che nelle aree della diffusione urbana. Dovremmo quindi parlare, a mio avviso, di arte nelle opere pubbliche e non di arte negli edifici pubblici, facendo rientrare anche interventi di progettazione dei luoghi. Del resto questa proposta di legge sulla qualità architettonica, all’art. 2, come a mbito di applicazione individua contesti naturali e urbani e la loro infrastrutturazione; nello stesso art. 10 si parla di inserimento delle opere d’arte citando la ristrutturazione urbanistica, intervento notoriamente esteso ai luoghi, strade, piazze, aree verdi, infrastrutture, appunto. Però, in generale, tutto l’articolo 10 – Opere d’arte negli edifici pubblici” pare vivere di vita propria: non c’è nessun collegamento con gli altri articoli del disegno di legge proposto: questo testo potrebbe stare anche da solo come è stato sino ad oggi. La sua presenza all’interno di questa nuova proposta di legge poteva far pensare che l’opera d’arte concorresse alla qualità cui si fa riferimento, invece non c’è nessuna frase che espliciti i legami, le interrelazioni fra architettura, urbanistica, scultura, pittura, la cui integrazione è nelle radici della storia dell’arte italiana. Anna Maria Tatò per Margherita Guccione Direttrice del MAXXI Architettura e del Servizio Architettura della PARC Sicuramente, l’arch. Guccione voleva parlarvi, come mi ha detto, del concorso che si sta svolgendo e di cui si è svolta solo la prima fase, per due opere d’arte da inserire nel Maxi. Il Maxi è il nuovo Museo di Arte Contemporanea a Roma, progettato da Zaha Hadid. Devo dire che l’approccio con questi architetti le cui opere, in qualche misura, rasentano forme che possono essere vicine alla scultura più che all’architettura, non è stato facile, comunque, le indicazione sono venute da lei, esattamente. Cioè le due opere, dove dovevano essere collocate e anche alcune indicazioni su misure, cose quindi diciamo abbastanza collegate al suo progetto. Il concorso è stato gesti to insieme dai Beni Culturali e dal Ministero delle Infrastrutture, ma soprattutto, devo dire, dai Beni Culturali che hanno messo su un’organizzazione seria e devo dire sono rimasta molto soddisfatta di come sono andate le cose. Il concorso è in due fase e nella prima fase gli artisti dovevano presentare curriculum e quant’altro e soprattutto dovevano presentare una prima idea di quello che intendevano fare. Devo dire che forse, questo è stato l’unico neo, nel senso che, secondo me, consultando qualsiasi persona dicendo esprimi un’idea su quello che vuoi fare, voglio dire, va in direzione opposta. E quindi sono arrivati artisti che presentavano uno schizzo, così appena accennato, con qualche descrizione scritta. Altri che presentavano quasi un progetto. Quindi, insomma, non è facile entrare in questa valutazione. Comunque sia, il concorso ha avuto abbastanza risonanza, sono arrivate 560 domande, per un totale di 700 proposte, perché alcuni artisti hanno presentato il progetto sia per l’opera che era interna e per l’altra esterna. Quindi sicuramente c’è stata una forma di pubblicizzazione, che norma l mente non c’è. Ma quello che mi risulta strano è che c’erano molti più artisti stranieri che italiani. Che risulta incredibile, cioè i nostri “grandi” non c’erano, questa è la verità. Dunque, la commissione per giudicare è stata anche allargata, sia perché c’era il rappresentante dei Beni Culturali, che in questo caso era il direttore del PARC, l’architetto Francesco Prosperetti, sia il Ministero delle Infrastrutture e in questo caso ero io che lo rappresentavo, ed è stato aggiunto rispetto a quelli che sono citati come necessari nella legge 717/1949, è stato aggiunto anche un critico che era Mario Codognato. E quindi la commissione era formata da sette persone, i due artisti erano Giuseppe Penone e Alfredo Jaar, che era un artista straniero che lavora a New York. Abbiamo lavorato molto, è stata fatta questa selezione, sono stati scelti i sei artisti da ammettere alla seconda fase. E questi artisti, a parte che, il vincitore farà l’opera, gli altri avranno un congruo rimborso spese e quindi diciamo che si chiede a tutti un impegno serio. Non aggiungerei altro, direi che veramente questa è stata un’esperienza che esula dalla normalità perché ovviamente il Ministero dei Beni Culturali sa come organizzare queste cose, come procedere, cosa che spesso nelle amministrazioni pubbliche per ovvie ragioni, non per demeriti, questo non succede. Luigi Ficacci Soprintendente ai Beni Storici e Artistici delle province di Bo-Fe-Ra-FC Rn Parlando per ultimo, naturalmente ho ascoltato, ho sentito molti concetti: dal prof. Raimondi, da Piero Orlandi e dall’arch. Tatò, che stimolavano ad interloquire, a domandare e così via, naturalmente non posso farlo. Si coglie come sempre l’eco dell’ultima cosa ascoltata. A tutti Noi credo che sia molto piaciuta e credo che tutti voi abbiamo trovato molto puntuale la considerazione finale dell’arch. Tatò rispetto alle sue critiche sul votato testo del decreto di legge sulla qualità architettonica, quando evocava e un po’ infocava la citazione o la dizione di un’integrazione dell’arte, come categoria universale. L’integrazione dell’arte nelle opere pubbliche. Certo, siamo tutti d’accordo, e con questo si torna ad uno dei concetti base della rivoluzi one fascista, la quale a sua volta era una risposta operativa a quella domanda del positivismo tardo ottocentesco che aveva avuto come esito operativo la fondazione di una Galleria d’Arte Moderna che fosse una Soprintendenza speciale. Una nomina quindi, della DARC con tutti i contenuti tardivamente dati alla DARC, ma con una nettezza di confini concettuali, che la DARC nel frattempo, per peso, per affaticamento; e lo dico, di peso, e di affaticamento, che citava Andrea Emiliani, ha, e che invece la Galleria d’Arte moderna nel 1911, nella sua concezione come Soprintendenza speciale, cioè un luogo che dovesse risolvere il problema dell’arte contemporanea nel vivo della società, a quell’epoca aveva. E si ritorna, dunque, all’unità delle arti. E poi, quando si comincia a parlare, c’è nell’orecchio l’eco di concetti sui quali si vorrebbe interloquire, etc. etc. Piero Orlandi, ad un certo punto, diceva, con una discrezione, quasi una timidezza, che mi è piaciuta, se non altro per rilanciargliela come una partita di palla volo e, invece, no va affermata senza discrezione, ed era sulla determinazione regionale di conservare. Io dico nella pratica, conservare, perché conservare è un termine che detiene contestualmente la tutela e la valorizzazione. Sono due aspetti di versi di uno stesso atto, di una stessa attività, questa attività è la conservazione. Ancora si accennava alla determinazione di conservare architetture della seconda metà del novecento, e affermava che non c’è il minimo dubbio che questo sia indispensabil e, che questo vada fatto, non c’è il minimo dubbio che su questo la cultura della conservazione e, quindi, la cultura storicoartistica italiana è in grandissimo ritardo. Piero Orlandi lo annunciava sommessamente dicendo, portando così come prova, che anche le opere che fossero oggetti architettonici, organismi di oggetti architettonici, quindi urbanistica, hanno qualità architettonica, o ci sembra che abbiano, molto discretamente aveva detto, o ci sembra che abbiano. Aveva colto nel giusto. E un problema e videntemente critico: nel dire ci sembra che abbiano, nonostante la discrezione con cui lo affermava, denunciava e portava l a nostra attenzione in evidenza che il miglior risultato è solo conseguenza di un atto critico, con tutto l’arbitrio dell’atto criti co. Detto questo, sono qui, ringrazio per l’invito del Presente dell’Istituto per i Beni Culturali, che credo mi abbia invitato perché ho fatto parte delle riunioni di consultazione, in vista della stesura del progetto di legge regionale sul percento; e presumo di aver fatto parte di queste assemblee, in quanto Soprintendente e quindi , di riflesso oggi, di una passata centralità della Soprintendenza nel giudizio e nelle determinazioni di questa attività. Più che altro, durante queste riunioni, ho partecipato poi ad una solamente, ho portato dubbi, perplessità, considerazioni frutto di esperienza pratica. Ma lo scopo e la raccomandazione principale era, e scusatemi se taglio tutti i passaggi e quindi può sembrare un po’ drastico quello che affermo, il ridimensionamento, o per lo meno, la valutazione pratica e pragmatica della necessità della presenza della Soprintendenza, con la stessa centralità che aveva storicamente, all’interno almeno della legislazione regionale. Considerando e dicendo spesso, la presenza della Soprintendenza è una scaramanzia normativa, ma quello che la legge deve ottenere è un effetto pratico, che naturalmente non si può conoscere al momento della stesura del disegno, tanto è vero che nei nostri incontri, quello che si faceva o si proponeva era di tentare di azzardare delle simulazioni di effetti di applicazioni e di effetti della legge. In quattro o cinque casi simulati, che cosa potrebbe accadere e che conseguenze desiderate, auspicate, indesiderate, potrebbe provocare la legislazione sul percento. E abbiamo anche una storiografia sulle spalle che ci aiuta a simulare, appunto. Dunque, intanto oggi siamo qui attorno ad un libro curato da Claudia Collina che è la lunga storia, è un libro di storia ed è un’introduzione storica, lo leggo almeno, lo recepisco con un’introduzione storica premessa al disegno di legge. E questo non come Soprintendente, ma come lettore. E curioso di queste cose, mi piace molto. Anche perché mi ricorda una metodologia che a suo tempo mi fu cara, ed che è quella formativa dell’Istituto per Beni Culturali. L’Istituto per i Beni Culturali come sapete tutti, scusatemi se lo ripeto in questa sede, ma lo ripeto anche a me stesso. L’Istituto per i Beni Culturali comparve nell’orizzonte intellettuale di chi si occupava di storia dell’arte, di chi studiava a quell’epoca la storia dell’arte, come un prodotto assolutamente precoce nella storia istituzionale delle regioni d’Italia, sottoforma di introduzione ad un progetto, prima ancora della sua istituzione. Quindi mi piace che così ricompaia il disegno di legge sul percento. Solo che questo libro, dal momento che fa la storia, comporta dei cambiamenti, e implica della conseguenze molto importanti nel panorama che io conoscevo, o credevo di conoscere. Anche perché, come diceva il Presidente dell’Istituto per i Beni Culturali questi 158 luoghi, se non ho capito e recepito male il numero, tornano ad essere nel racconto storico, tornano ad essere un capitolo unitario. Capitolo unitario che nella loro espansione, non sono, anzi forse, nella loro realtà non sono affatto riuniti in un libro succede che ripercorre qualcosa di molto strano, non prevedibile. Ed è attraverso la storia del percento in Emilia-Romagna, attraverso la storia come riduzione a capitolo unitario, emergono tutte le circostanze in che in filigrana, vedo, una situazione di cause storiche che supera abbondantemente l’essenza di una variatissima qualità nei prodotti. Qualità lo possiamo dire tra di noi, burocrati dei beni cultuali e storici dell’arte. Se qui ci fosse invece, un rappresentante delle discipline della giurisprudenza, subito mi chiederebbe su che base posso definire questo concetto di qualità, in base a che? Così dici che ci sono delle opere che qualitativamente sono migliori di altre. Risponderei senza nessuna difficoltà in base all’arbitrio più autoreferente. L’arbitrio più autoreferente nell’ambito della storia dell’arte si chiama giudizio, giudizio critico. Quindi, di nuovo siamo in un ambito, in un contesto critico, che è il contesto che evocava appunto Piero Orlandi, nei due momenti in cui l’ha fatta breve, dicendo: non voglio dilungarmi su questo, e tutte e due le cose erano dei riferimenti cruciali all’attività regionale, riferimenti di attività che si basano esclusivamente sull’intervento critico, tali devono essere, non devono essere eccessivamente condizionati da quelle scaramanzie istituzionali che sono i successivi controlli da parte di istituzioni, le quali possono essere detentrici, per esempio di una determinazione di qualità solo per astrazione. Anche perché si parla di opere d’arte. Ho degli artisti che mi ascoltano, ne ho uno soprattutto Concetto Pozzati, che spesso in Montecatini, Verucchio, nei ricordi in cui quando gli artisti si organizzavano da soli, dicevano ai critici, e rinfacciavano ai critici che comunque l’azione critica, l’atto critico ha una sua presunzione, come se il critico, e lo storiografo peggio ancora, avesse già scritto quello che l’arte deve essere, e valutasse quindi l’opera d’arte, l’attività dell’artista, in base alla sua rispondenza o meno su qualcosa che è in luce, che è impotenza e che l’artista deve soltanto trasformare in atto, un atto tutto implicito nella potenza. Ecco questo difetto, sto parlando di Verucchio, e sto parlando di Montecatini, dove erano luoghi dove questo problema emergeva nella sua giusta e vitalissima dialettica di contrapposizione. Nell’ambito invece della normativa, l’ambito della scrittura e della normativa, non è l’ambito della dialettica e della contrapposizione critica. E’ l’ambio dove una particolare disciplina, una particolare professione sta facendo il suo lavoro, scrive la legge. E quindi in questo è anche sola e isolata e su questo i risultati sono ipotetici. Ma nel limitare l’azi one e la, non voglio dire la competenza, ma l’azione della Soprintendenza e soprattutto la sua presenza salvifica non facevo altro che indicare a me stesso il limite della mia professione, che è storiografica sull’arte, quindi rispetto alla fenomenologia dell’arte è una parte assolutamente limitata. Dicevo che nella storia del percento in Emilia-Romagna si leggono in filigrana, gli studiosi, i critici, le personalità che sono state i dibattiti estetici, le opportunità caso per caso, che erano all’origine, che erano alla causa della scelta e della produzione di opere, alcune delle quali di grande qualità, altre meno. In quelle meno è evidente in filigrana, anche l’assenza di quei contesti di concorso, o della presenza di quelle personalità che invece si impegnavano sui risultati migliori. Personalità, individui, sto parlando di personalità e individui. In molti casi queste personalità e individui erano anche istituzioni. Erano personalità, istituzioni. Personalità che avevano vestito e creato e costruito un ruolo istituzionale attorno alla loro personalità intellettuale, attorno al loro mondo intellettuale. Per ragioni automatiche, inevitabili del progresso intellettuale, cresciuta, culturale, grazie configurandone amministrativo, all’anima che assolutamente ecc., queste sul l’istituzione individualità proprio carattere ormai hanno così dato, intellettuale, l’istituzione oggi va per conto suo, quindi oggi abbiamo istituzioni che vengono assolte da persone. La mia remissività e i miei colleghi e compagni di discussione nel corso della elaborazione e delle consulenze sull a stesura del disegno di legge del percento in fondamento Emilia-Romagna, sul chiarire a la me mia stesso remissività qual è il era, aveva mio ruolo il suo oggi di Soprintendente, sono una persona che assolve una funzione. Questo vuol dire un panorama intellettuale e pratico, radicalmente diverso dalla scena che ci ha preceduto fino a venti anni fa e che ha provocato anche lo scenario attuale. Tutto questo si legge in filigrana. Piero Orlandi ha letto il testo di Emiliani. E’ la migliore riprova di quanto storica sia e quanto perfettamente corrispondente alla sua figura sua storica, al suo gusto, al suo carattere intellettuale, sia il suo testo. Tra l’altro, questo libro ha sì una parte storica sulle opere, ma ha anche una parte di storia della giurisprudenza del settore, che Claudia Collina molto opportunamente ha dato lo stesso valore della parte delle opere. Molto interessante,soprattutto complicata. Molto come complicata storia ed alla della fine giurisprudenza della e complicazione, molto molto interessante, perché perfettamente leggibile per capire una storia, ma tuttavia molto complicata, forse troppo complicata. Sicuramente molto più complicata di una storia della giurisprudenza di settore di altri Paesi europei. E un altro degli ambiti sui quali Piero Orlandi ha sorvolato dicendo: vorrei riferirmi a questo, ma non voglio dilungarmi troppo, però ha indicato dei riferimenti estremamente determinati nella nostra riflessione, che sono dei riferimenti europei. Non è vero? Molto apprezzato che i punti sui quali sorvolava erano quelli cruciali e ancora irrisolti. Quindi omaggio all’eleganza, sono proprio i due ambiti più fini, sui quali ha operato maggiormente la sua discrezione. Tra l’altro, nella storia della giurisprudenza di settore c’è una data, credo sia il 1970, che è l’anno di due interventi: uno di Argan e uno di Emiliani. Quello di Argan era apparentemente sulla stessa legge, anzi non apparentemente, di fatto sulla stessa legge e sullo stesso argomento: “Dell’arte nei pubblici edifici” è il testo di Argan, “I mprorogabile una riforma della legge 717 ovvero del 2%” sul testo di Emiliani. Quest’ultimo, con un piglio, come dire avanguardistico, Argan più mediano, cita la categoria astratta dell’arte, dell’arte negli edifici pubblici, i ntendono il 2% in maniera totalmente diversa nella applicazione. Emiliani la intende proprio come è emerso dall’apertura del suo testo, come una decorazione, quindi proprio con l’intento di salvaguardare la prassi e la tradizione dell’aggiunta, della sovrapposizione, perché la sovrapposizione è opera di tutta quella qualità artistica, modesta, moderata, che ha a che vedere col fare, che secondo una gerarchia idealistica è arte minore ed applicata, tanto è vero che quando abbiamo sentito tutti, dall’avventura che ne faceva Piero Orlandi, quando parla dei prodotti nei quali era più soddisfatto come Zauli all’Ospedale di Forlì, ora all’Ospedale civico di Vecchiazzano; e l’altra opera di Leoni all’Istituto di Matematica, nota quest’opera integrazione. E per una infatti qualità diceva, proprio l’abbiamo di sovrapposizione sentito, la notava non di per la collaborazione vera, e anzi per la discrezione di Zauli di piegare la umile pratica della ceramica, alla monumentalità dell’edificio che alla sua oggettività, starei per dire. Come se fosse un mezzo dell’individuo, quindi l’individuo viene prima dell’opera. Ma nel concetto arganiano c’è invece quel riferimento alla integrazione dell’arte nelle opere pubbliche, e fa riferimento ad un arte come entità superiore rispetto alla prassi dell’individuo e quindi è un primato dell’opera, che è proprio alla base della rivoluzione fascista; ed è un concetto che frequentemente si ripresenta e può ripresentarsi, si è ripresentato negli auspici dell’arch. Tatò, si ripresenta nel linguaggio di molti artisti, devo citare i concettuali, o non ce n’è bisogno? Devo citare Paolini e il primato sovrapersonale dell’opera o non ce n’è bisogno? Direi che non ce n’è bisogno. E tutto questo era la risposta che la rivoluzione fascista dava all’interrogativo positivistico di cosa fare delle arti, rispetto ad un presente che non conosciamo. Interrogativo positivistico che a sua volta discendeva da un idealismo illuministico, cui invece il fascismo, non il fascismo, ma la rivoluzione fascista ha dato. Nessuna paura, facciamo storia, quindi è normale che i concetti si ripresentino. E però si può dare con quanta identità si ripresenta. Quindi questo rafforza il fatto che nel momento della scrittura di una normativa, prima di tutto si interviene su una esperienza e su una cultura che già c’è, che già esiste, che preesiste; e dunque, la mano della norma deve essere leggerissima, per non produrre un eccesso di effetti indesiderati. Oggi quando sfogliamo questo libro vediamo una storia, una storia non, fra l’altro, non da manuale mondiale di storia dell’arte contemporanea e dove mai c’è qualcosa di cui oggi abbiamo ancora fortissimo bisogno, l’esperienza particolarmente viva, e mi sentirei di mettere quest’esperienza in Idearte a Bologna e l’Autorità portuale di Ravenna. Allora mi chiedo, nel momento in cui scrivo questo, scrivo la norma, o contribuisco a scrivere la norma, o applico la norma o mi pongo dei problemi di riflessione sulla norma: Idearte e l’Autorità portuale sono il frutto del percento o è una congiuntura dove soggetti individuali e istituzionali hanno prodotto una utile applicazione del percento? E di nuovo si torna ad un problema critico. Certo l’Autorità portuale e Idearte che sono fra l’altro un’esperienza, una delle esperienze più recenti credo comprese nella storiografia del percento in Emilia-Romagna. E quindi essendo tra le più recenti, è una delle esperienza che meglio presentano alla scrittura normativa una realtà delle esigenze attuali, oltre che una realtà dell’arte. E’ l’esperienza che è più attuale. In quel senso, arbitrario, ma significativo del termine attualità. Se quell’esperienza è attuale credo che il suo risultato rivelante non sia dovuto dalla persistenza della legislazione del %, ma sia dovuto ad una qualità professionale. La qualità professionale, indipendentemente dalle persone è data dalla professione di critico, di critico di qualità. E’ difficile. Mentre architetto è una professione che ha una bella definizione dall’attuale, è evidente a tutti che l’architetto costruisce gli archi e i tetti . Storico dell’arte è già una definizione professionale più ambigua e difficilmente spiegabile alla società nella sua generalità. Ma critico ancora meno, però intendevo proprio quella, il critico competente. Che è più importante che vi sia un critico competente che non la presenza burocratica, e sicuramente rassicurante dal punto di vista della scaramanzia istituzionale del Soprintendente; quindi trovo che oltre che inevitabilmente necessario com’è nella legislazione regionale che il Soprintendente non sia istituzionalmente obbligatoria come presenza; credo che il Soprintendente non debba, come rappresentante dello Stato, essere obbligatoriamente essere presente in uno strumento legislativo regionale. Il Soprintendente degli anni ’30, degli anni ’40, degli anni ’50, ecc. fino agli anni ’80, era il garante istituzionale della storia dell’arte, ma la storia dell’arte nel frattempo è cresciuta, si è fortificata. E’ cresciuta, e sono anche le istituzioni locali e le amministrazioni locali. Cresciute così tanto che un ente che si chiamava ente locale quando è nato e oggi si chiama Governo locale, sto pensando alle Regioni. Quindi è questo il luogo dove forse, con maggiore precocità, in Italia è stata messa a punto, e data una risposta, la preoccupazione che le stesse strutture di rappresentanza esclusiva ed obbligatoria delle amministrazioni che erano proprie dello Stato, venissero trasferite alle Regioni. Mi sto riferendo proprio alla nascita, alla concezione e alla progettazione dell’Istituto per i Beni Culturali. Quindi, sono cambiati i soggetti, per cui la centralità e il primato del Soprintendente sono abbondantemente superate dai fatti. Anche perché nel frattempo, nello stesso cuore del Ministero a cui fanno capo i Soprintendenti , si è sviluppato qualcosa come un tentativo, un inizio, o un collaudo di superamento di questo con l’istituzione della Direzione generale per l’Arte e l’Architettura contemporanea, la DARC, e oggi molti luoghi, piccoli luoghi che per tradizione avevano la vocazione del contemporaneo, e dell’attività sul contemporaneo, hanno patito, hanno sofferto come un ulteriore centralizzazione di argomenti che privava la polarità dei luoghi di autonomia di forze soprattutto finanziarie e questo effettivamente hanno fatto, noi tutti siamo molto lieti che esista la PARC, siamo meno lieti dell’ansia e del modo spasmodico di riforma che non lascia possibilità alle istituzioni amministrative di andare a regime, ma la conseguenza non desiderata, perché prevista, è stata uno spegnimento delle attività sul contemporaneo di tanti luoghi , museali e non museali , di proprietà demaniale e di identità demaniale, che precedentemente l’avevano. Problemi dello Stato centrale e nell’Amministrazione centrale. Quindi, ritornando invece all’Amministrazione regionale, trovo che l’elasticità con cui la presenza del Soprintendente è resa non obbligatoria, ma possibile in un ruolo consuntivo e perfino questo c’è anche nelle legislazioni precedenti , in nuce e in alcuni casi anche in parola, la possibilità che il Soprintendente deleghi ad un critico o a quello che uno dei miei tanti maestri, in questo caso Giuliano Briganti chiamava semplicemente il il competente di settore, credo che nella legislazione regionale si possa ovviare alcuni degli effetti indesiderati della legge nazionale; soprattutto ottenendo una delicatezza, una leggerezza normativa che non produca il linguaggio del 2%, ma solo strumenti che consentano qualcosa. Non dimentichiamo che nella storia della giurisprudenza che leggo in questo libro, c’è un momento che nel la storia della giurisprudenza si legge come malinconico, ed è stata la soppressione del 2% tra il 1975 – 1978 in edifici scolastici, università e AUSL. Forse sarebbe stata patita a Bologna, ma a Roma dove esisteva un vero e proprio linguaggio del 2%, il disinnesto della legge del 2% è stata considerata una misura opportuna per il bene dell’arte contemporanea. C’è anche una ragione interna all’arte contemporanea perché questo a Roma fosse salutato come un progresso, perché a Roma, i n quegli anni non era più una capitale dell’arte contemporanea ma lo era stata pochi anni prima, succedeva qualcosa di concreto e causato dagli artisti che richiedeva da parte della legislazione un recepimento che la legislazione non può perché questa è materia della critica e del la storiografia dell’arte. Vi ringrazio. DIBATTITO PUBBLICO Milena Naldi Assessore alle Politiche abitative e della Casa del Comune di Bologna, già Consigliere comunale Grazie, scusate, sono fuori sacco, ma avevo mandato a Claudia Collina, quando ho saputo di questo convegno, un lavoro fatto anche insieme a Orlandi e a altri amici che non ci sono più, Oscar Stivali in questo caso. Io sono Consigliere comunale e una storica dell’arte, quando noi nell’Amministrazione nostra abbiamo cominciato a pensare, o io ho cominciato a pensare, quali potevano essere le nuove frontiere dello spazio pubblico, perché la declinazione, forse migliore, a volte di edificio pubblico è quello dello spazio pubblico. Ecco, in questo mi sono allora messa a lavorare e ho prodotto un ordine del giorno che adesso vi legge brevemente che era un po’ la sintesi, dentro un’Amministrazione comunale, di quelle che potevano essere le nuove frontiere di cui oggi voi parlate. E anche, spesso, dell’incomunicabilità tra enti e invece quello che poi una città ha bisogno, della convergenza su quello spazio pubblico dell’obiettivo di qualità, dentro il quale l’arte, io ho pensato, e lo pensa ovviamente la legge del 2% potesse essere un elemento di rigenerazione urbana; e anche dico di divertimento, di capacità di giocare con la città in senso bello. Ve lo leggo, ci metto cinque minuti, così non tolgo, perché dietro c’è tutta la città, ci sono le scelte nuove, ci sono i piani strutturali comunali che incidono, ci sono le aree da riqualificare e dentro queste bisogna far calare, quando è possibile la convergenza di questa legge del 2% di cui ovviamente notiamo l’assoluta inapplicabilità, se non in pochissimi casi. L’avevo chiamato: Lo spazio, uno specifico ruolo interdisciplinare dell’arte pubblica e del progetto di architettura nella rigenerazione urbana, tenendo conto che l’obiettivo mio, era anche quello di pensare a una qualità architettonica moderna che potesse avere, anche in questa città, una qualità che non sempre c’è. Dicevo, nei prossimi anni Bologna sarà interessata da grandi interventi pubblici, e non solo, e che contestualmente si profilano le scelte strategiche per il suo territorio. Questo Ordine del Giorno il 3 giugno del 2008, quindi non avevamo ancora approvato il piano strutturale comunale il RUE e il primo POC, che è il Piano Operativo Comunale. Sono previste grandi infrastrutture di mobilità e di trasporto: stazione ferroviaria, servizio ferroviario metropolitano, People Mover, metro-tramvia e adesso, per fortuna questa sta decadendo nelle priorità, Civis. Quindi mettevo dentro le infrastrutture che sono, secondo me, un capitolo per la legge del 2%, fantastico. E che tali infrastrutture modificheranno non solo funzionalmente, ma anche esteticamente buona parte del tessuto urbano cittadino. A fronte di ciò sembra utile e irrinunciabile porsi le domande giuste, trovare soluzioni nuove per migliorare la qualità e l’aspetto di tali scelte. Perché se un’infrastruttura è fatta in maniera sbagliata, progettualmente sbagliata diventa elemento di degrado, invece è elemento in tutta Europa di riqualificazione. Nel momento in cui, prevedendo la propria strumentazione urbanistica infrastrutturale sarà forse possibile migliorare qualitativamente intere parti de nostro tessuto territoriale, è bene utilizzare anche il linguaggio dell’arte, in un ottica e in un approccio sempre più interdisciplinare, affinché l’espressione artistica possa diventare un fondamentale elemento della riqualificazione urbana di Bologna. Premesso altresì che spesso prevale nella progettazione e nell’adozione una visione settoriale che non si occupa della qualità urbana, cioè dell’integrazione dei punti di vista e della cura dei dettagli progettuali, che rendono belle le cose che si fanno. In forma prioritaria ormai il concorso sul quale io ho fatto diversi lavori, il concorso è considerato strumento importante e decisivo nell’attuazione e nell’approfondimento dei contenuti dei programmi urbanistici e dei lavori pubblici. Che è forse il tassello più arretrato rispetto, invece, all’urbanistica. Nelle realizzazione degli interventi sullo spazio pubblico e non solo. Infatti, con la definizione delle linee guida concorsuali, vengono resi evidenti gli obiettivi di qualità, le varianti progettuali, le specifiche necessità, assicurando così un quadro di riferimento chiaro e concreto, per il confronto delle diverse proposte e visioni, al fine della scelta del progetto che si ritiene più corrispondente agli obiettivi dati, quale migliore congiunzione tra l’idea del progetto urbanistico iniziale e la progettazione del dettaglio, che è poi quella che il cittadino vivrà direttamente. A Bologna si potrà cominciare a proporre una casistica estesa delle possibili applicazioni, tra cui il concorso urbanistico, il concorso di progettazione per le opere pubbliche, l’individuazione e qualificazione dei nuovi luoghi pubblici. In tale contesto appare importante prevedere l’aggiunta, tra virgolette, di un tema nuovo nello scenario bolognese, ovvero l’inserimento dell’arte nel contesto urbano, che ovviamente è la legge del 2%. Valutato che un paesaggio metropolitano può essere arricchito con una riuscita architettura contemporanea, un paesaggio storico può essere conservato demolendo parti incongrue, un paesaggio urbano si può valorizzare attraverso la realizzazione di un sistema di elementi che possono dare identità architettoniche o artistiche mirate per lo spazio pubblico, o anche solo partendo da un’opera capace però di relazione con il contesto territoriale. Insomma è una vera, tra l’altro, novità che artisti in grado di recepire quale potenziale abbia, è veramente importante. Un edificio pubblico, un luogo di aggregazione, un parco, una piazza, non necessariamente dovranno contenere un’opera d’arte, ma piuttosto esprimere un’idea di artisticità, e qui mi sono lasciata forse prendere la mano, d’altra parte, il concetto era quello. Lo stesso monumento, invece, per celebrare la propria staticità consolidata in una struttura fissa, impenetrabile, potrà essere dinamico, perfino percorrevole, come l’esempio del Mausoleo dell’Olocausto di Peter Eisenman a Berlino. Gli interventi di arte pubblica devono essere quindi frutto di un approccio interdisciplinare, indicato fin dall’inizio nei bandi di concorso. Quindi come diceva lei prima, se non lo facciamo prima diventa un abbellimento ridicolo a volte. Prevedendo così di avviare un processo che può portare l’integrazione del concetto di opera d’arte con quello di artisticità di un luogo e di nuove identità, soprattutto nelle periferie, nei luoghi che hanno bisogno di una nuova identità. E poi, ribadito che ci sono degli ordini del giorno che già avevano lavorato nel nuovo piano strutturale l’idea di concorso nel RUE è parte integrante, così come quello dell’arte pubblica, dicevo che bisogna anche, per l’Amministrazione comunale, istituire un ufficio, un interlocutore, perché altrimenti come faccio a dialogare con il Soprintendente, con l’Ente regionale se non ho delle persone capaci di comprendere. A volte un assessore, un sindaco nemmeno. Peraltro, altresì che negli ultimi tre anni il Comune di Bologna, soprattutto il settore Urbanistica ha cominciato a indire e a favorire importanti concorsi di architettura. Non è un dettaglio che noi, forse l’avete detto anche prima, alla stazione è frutto di un concorso internazi onale come RFI e ha vinto Arata Isozaki, e quindi lo vedremo comparire. Però neanche lì in quel grande concorso c’è stato l’elemento dell’arte pubblica, del 2%, non se lo sono posti, non se lo sono chiesti. E sono occasioni perdute. E cominciamo a sperimentare concorsi di arte pubblica ecc. : il progetto Iceberg, per esempio, Bologna nella cultura, nel 2008 si è concentrato proprio sull’arte pubblica, attivando forum, GAP, giovani artisti per l’arte pubblica, a Spazio Aperto e iniziative. A fronte di tutto ciò bisognerà prevedere anche uno specifico tema dell’arte pubblica in una commissione lavoro che istituisca dentro il Comune un referente. E poi finivo con una nota un po’ dolente. Considerato che il quadro normativo di riferimento per queste tematiche è prevalentemente regolato, ma spesso non applicato; che a livello nazionale, nel provvedimento legislativo risalente al 1949, successivamente modificato, del 2%, insomma non sto a ripeterl o, è il tema di questo convegno, a livello regionale c’è lo strumento legislativo la Legge regionale 16 del 2002, che favorisce la riqualificazione del paesaggio urbano degradato e da riqualificare, anche con interventi concorsuali che prevedeva opere d’arte; quindi la Regione Emilia-Romagna ha lavorato molto su questo. E i mpegnavo la Giunta, e finisco. Predispongono proprio atto in cui siano indicate e programmate le aree e le opere pubbliche da sottoporre a procedura concorsuale interessata ad interventi di qualità urbana e di arte pubblica, in particolare quelle previste dal PSC, aree da riqualificare, di nuova estensione o dimesse o dismettibili. Aree militari - voi sapete che si è sbloccata l’intesa con le 19 aree militari qui a Bologna, che diventeranno patrimonio comunale -, aree che sono attualmente di proprietà pubbl ica, nei vecchi comparti di qualificazione urbana, oltre ad aree ferroviarie, non oggetto del primo concorso, perché ovviamente non potevo correre dietro a una cosa che già non prevedeva il 2%. Individuare quegli spazi pubblici nel tessuto urbano esistenti : piazze, slarghi che necessitano di riqualificazione di carattere formale ed artistico, per i quali prevedere concorsi d’arte e di design urbano, così come per le importanti aree urbane attraversate dalle nuove infrastrutture. Concordare con RFI l’inserimento, ma questo non ce l’ho fatta, prevedere interventi artistici nei comparti urbanistici, ad attuazione privata equiparandole ad opere di urbanizzazione similmente ad opere normalmente a carico di privati attuatori. Perché non è detto che debba essere solo il pubblico a fare ciò, si possono fare delle sinergie con i privati. E infine accantonare il 2% come previsto dalla legge, in quanto stanziato per la realizzazione delle opere pubbliche, previste dal piano triennale del Comune di Bologna, di autorizzare per l’arte pubblica. Questo, oggettivamente, non ce l’ho fatta. Wanda Benatti Artista Io sono un’artista di Bologna, per me questo è un grande giorno in quanto finalmente seguo con attenzione una persona che dice e scrive le stesse cose che io da dieci anni continuo a dire. Dieci anni fa con l’architetto Glauco Gresleri abbiamo presentato per Bologna 2000 Città della Cultura Europea un progetto per la riqualificazione di un’area dismessa e ci hanno quasi presi in giro. Io ho lottato da anni per fare applicare questa legge del 2% . Io non sono abituata a parlare così, tra l’altro io sono abituata a esprimermi con i colori e non con le parole, però questo è un giorno fondamentale perché finalmente sento che ci sono tante persone che si prendono cura delle opere d’arte, così come dovrebbero essere stanziati già da anni e anni . A Bologna sono quasi vent’anni che non si applica la legge del 2%, addirittura quando ci fu anni fa il sindacato degli artisti a Bologna è stata una lotta pazzesca perché , andando in giro per i quartieri, per vedere a quali di questi quartieri era applicata la legge venivo quasi presa in giro perché mi dicevano che la legge del 2% era una legge inesistente, inapplicabile e parlando con gli assessori, con assessori anche alle opere pubbliche mi dicevano che erano gli artisti stessi che non si muovevano per far rispettare i propri diritti e quindi gli artisti stessi si disinteressavano di questa cosa forse perché avevano lavori sicuri etc., comunque è proprio importante che questa legge sia applicata in pratica e non solo discussa a livello legislativo sicuramente è una cosa fondamentale, ma deve essere applicata si deve soprattutto mettere in condizione gli architetti di essere informati di questa legge esistente e come devono applicarla, hanno l’obbligo morale di applicarla nei confronti degli artisti, invece molte volte si fanno progetti e si ignora la legge e la quota, la quota che per legge dovrebbe essere stabilita e stanziata e tenuta in disparte per l’intervento artistico, viene invece utilizzata per comperare le poltroncine, comprare le tende e quant’altro occorre per il completamento dell’arredo, mentre l’opera d’arte non è certamente complemento di arredo ma è 1 elemento che va ad entrare in sintonia con l’architettura e soprattutto determina il rispetto che la città deve ai suoi artisti, è fondamentale questa..quindi è una cosa importantissima che proprio i personaggi del Co mune, gli amministratori comunali, i componenti del le commissioni edilizie, loro stessi per primi non s apevano di dover applicare la legge quindi secondo me è fondamentale come diceva la Sig. ra Naldi, creare proprio una preparazione di questi funzionari , l’ordine degli architetti dovrebbe sensibilizzare, in contemporanea, i suoi iscritti informarli che la legge c’è e deve essere applicata, i concorsi dovrebbero essere aperti e secondo me a tutti gli artisti che vogliono partecipare e non solo a quelli che presentando il loro curricula già determinano a priori una loro eventuale scelta perché ci sono artisti che magari possono essere quarant’anni operativi sul territorio e altri magari lo sono solo da 10 hanno idee altrettanto innovative rispetto a quelli che hanno il curriculum ben fornito. Anche il curriculum dovrebbe essere un elemento di discriminazione secondo me, è fondamentale che l’opera d’arte nasca insieme al progetto stesso, perché deve essere un tutt’uno col progetto, quindi deve essere un tutt’uno col progetto architettonico, elementi fondamentali per creare l’opera d’arte all’interno del suo stesso progetto. È fondamentale che il comune, la regione si crei un ufficio dove ci sia una specie di censimento proprio delle aree che si potrebbero utilizzare, noi dieci anni fa abbiamo individuato il giardino di un inquilino dell’area Stefanini all’interno del vecchio Pilastro; il Co mune ci aveva dato già un primo stanziamento, poi abbiamo avuto delle situazioni pazzesche con presidenti di quartiere che non capivano niente, anche a capo di uffici comunali adibiti alla cultura ci devono essere personaggi che sanno riconoscere la potenzialità delle opere d’arte in un contesto urbano, non che le considerino come optionals che possono essere accantonate in qualunque momento, è quindi un discorso molto complesso, e la Sig.ra Naldi ha puntualizzato esattamente quello che noi già da dieci anni cercavamo di far importantissimo, che poi presente alla nascita di questo progetto aveva coinvolto sette o otto artisti di Bologna. E’ stato un progetto massacrante e non ha portato a nulla perché abbiamo cozzato sempre contro istituzioni pubbliche insensibili a questo discorso, quindi è importantissimo sensibilizzare chi deve poi giudi care e attribuire le aree etc etc, è un discorso complicatissimo ma sarebbe importante che finalmente cominciasse ad essere applicato e non soltanto parlato, deve essere applicato perché gli artisti , perché nel ’35 quando nacque questa legge, durante il fascismo per la prima volta furono presi in considerazione gli artisti perché dovevano comunque sopravvivere, dovevano vivere e le loro opere d’arte, il loro prodotto, è quello che all’artista permette di vivere e di rinnovarsi continuamente, se all’artista non vengono date queste possibilità finisce poi in questi contesti urbani abbastanza poveri e tutto sommato anche abbastanza squallidi . Inso mma, ci sono partecipazioni pubbliche che si potrebbero sicuramente sfruttare come finanziamenti pubblici, ma ci sono anche tanti finanziamenti privati che potrebbero essere convogliati in aree limitrofe, quindi, è un problema molto grosso molto bello e molto importante . Io faccio i complimenti alla Sig.ra Naldi, non so se è architetto funzionario, ma è stata perfetta perché è stato un intervento puntualissimo ha detto delle cose che veramente necessitano per mandare avanti questa situazione. Grazie, scusate ancora, ma non sono abituata. Dede Auregli Responsabile del Servizio Cultura della Provincia di Bologna Volevo solo richiamare l’attenzione sulla storia che ha detto prima l’architetto Tato’ e poi son stata chiamata in causa diverse volte nei vostri interventi, ad esempio il comma 4 dell’art 5 che sostanzialmente prefigura una scelta quasi “intuito persone” dando un tetto cosi alto superiore ai 700mila euro, mi chiedo se non sia contrario alle leggi europee, ad esempio a tutta la normativa che è venuta avanti in questi anni, adesso io parlo appunto in qualità di non di critico, chiaramente, ma di dirigente di un servizio di un ente pubblico, perché questa è la mia professione da qualche anno a questa parte, allora mi chiedo se non sia contrario alle normative europee sui bandi e contratti visto che le soglie non sono sicuramente di 500 mila euro ma sono assai inferiori. Tornando invece alla mia precedente professione ribadisco, questo concetto perché il concorso che è stato fatto grazie alla legge regionale, alla Galleria d’Arte Moderna e Mambo si realizzarono con cifre diciamo pure irrisorie, perché ad aprile quello che si riuscì a ritagliare questo 2% sui lavori di sistemazione esterna, perché siamo arrivati all’ultimo, perché molto spesso i servizi edilizi, quindi architetti e ingegneri che si occupano di nuovi edifici e penso alla Provincia, a quelli scolastici non tengono come si diceva min i mamente in conto l’esistenza di questo tipo di legge, e se lo sanno la chiudono nel cassetto perché appunto tutte le spese servono, soprattutto in questi periodi di estrema indigenza negli enti pubblici, per terminare l’illuminazione piuttosto che l’arredo, dicevo si trattò di 14mila euro questo 2% poi c’erano sette mila euro offerti grazie alla legge regionale, quindi veramente a mio avviso no, come giustamente ha detto Tatò, occorrerebbe probabilmente mettere mano alla legge in particolare su questi aspetti estremamente discrezionali, che porteranno a gravi appunto abusi , a mio avviso, poi una piccolissima annotazione e chiudo: rispetto a quello che diceva prima l’architetto che si stupiva della scarsa partecipazione da parte degli artisti italiani , avendo lavorato ventitre, ventiquattro anni all’interno di questo mondo mi rendo conto che gli artisti non sono abi tuati a partecipare a concorsi pubblici, probabilmente non guardano più nemmeno quando vengono pubblicizzati , sicuramente gli artisti non guardano la gazzetta ufficiale e probabilmente piccoli trafiletti all’interno dei quotidiani non attirano la loro attenzione, poi magari può esistere in quelli che conoscevano il bando, il timore di essere discriminati o esclusi perché probabilmente non erano sicuri delle procedure, perché appunto non c’è l’abitudine e questo è un problema decennale. Wanda Benatti Artista Riguardo agli abusi, essi nascono da una cattiva applicazione della legge, non è da dimenticare che molti edifici a Bologna, molti edifici pubblici, sono stati collaudati senza che al loro interno ci fosse l’inserimento dell’opera d’arte, perché l’opera d’arte è l’elemento fondamentale perché l’edificio si debba poi poter collaudare . Essi sono stati collaudati ugualmente, quindi questi sono reati di falso in atto pubblico, cioè hanno collaudato un sacco di edifici pubblici senza curarsi minimamente di inserire l’opera d’arte, come da legge avrebbero dovuto fare. Ci vorrebbe un ufficio specifico di controlli di queste cose, proprio per il rispetto che devono all’arte e alla legge stessa. Giuseppe Bertolino Artista Devo porre una domanda all’architetto Tatò, per chiedere una spiegazione o una delucidazione: perché l’edilizia penitenziale è esclusa? Da anni si sta attendendo a Forlì una casa circondariale e si stava aspettando l’autorizzazione al nuovo carcere per poter pensare d’indurre gli amministratori all’applicazione del 2%. Anna Maria Tatò Architetto, esperto del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici Dunque, non lo so perché sia stata esclusa, credo anche perché le carceri sono anche uno degli edifici pubblici che costa di più in assoluto e nei quattro carceri del Lazio di cui io ho gestito i concorsi, insomma, le cifre erano veramente alte destinate al 2% e questa cosa sarebbe da rivedere, non nell’eliminare le carceri dal 2%, ma stabilire una graduazione di questo 2% perché effettivamente quando il costo dell’edificio sale a cifre astronomiche è astronomica anche la cifra del 2%, questo è assolutamente vero. Quindi, più che eliminare sarebbe da graduare, cioè quando l’intervento supera una certa cifra il 2% può essere l’1.5, può essere l’1% , questo è quanto. Devo dire poi che in effetti quando si lavora sui carceri, si lavora soprattutto nelle aree pre-carceri, dove stanno le abitazioni, dove stanno gli uffici. Dentro al carcere è abbastanza difficile lavorare per tutta una serie di motivi, però le mie esperienze sono state molto belle, per esempio nel carcere di Viterbo nell’ingresso principale, dentro al carcere, Magnoni, uno scultore romano, ha fatto una scultura che ha costruito lì, cioè l’ha fatta, poi ha fatto l’impianto a terra l’ha lucidata e in questo lavoro che è durato 1 mese c’è stato il coinvolgimento di tutti , dei secondini, di quelli che lavorano in ufficio, e anche di qualche ospite momentaneo della Casa Circondariale. Questo scultore me ne parla come di un’esperienza stupenda. Però certo queste opere rimangono poco viste, poco usufruite, perché sono posti dove la gente non può andare insomma, io sostengo che se si potesse fare un giro turistico delle quattro carceri del Lazio dove sono state fatte le opere d’arte, sarebbe uno dei più bei giri da offrire agli amanti dell’arte perché ci sono cose dei nostri maggiori pittori e scultori a cominciare da Uncini per proseguire appunto con Magnoni , Maraniello, però sono poco usufruiti , non è questa la ragione per toglierle, ma sicura mente per ridimensionare la quota. Un’altra cosa che vi posso dire per esempio che per il carcere di Bollate a Milano ancora il collaudo non si è concluso, saranno almeno tre anni che io son stata chiamata dal provveditore e gli ho dato una mano a scrivere il bando per le opere d’arte di Bollate e non l’hanno fatto e con la graduatoria non finiscono di collaudare, ma il carcere è più che usato. Volevo dire un’altra cosa sull’osservazione, giustissima fatta sulle norme europee per i contratti, è verissimo quello che dice, io non l’ho voluto dire, perché ho sempre sostenuto con i miei colleghi provveditori così, che erano portati a gestire il concorso di opere d’arte come un concorso di opere pubbliche, e quindi con una ristrettezza mentale pazzesca, che il concorso per le opere d’arte era per l’ingegno, per l’idea dell’ingegno e quindi non era un concorso per l’opera pubblica come la intendono le amministrazioni, insomma come la intendono i provveditorati delle opere pubbliche e quindi andava gestita diversamente , non c’era la gara al ribasso, non c’erano tante cose perché è un’opera dell’ingegno e in quel senso, però detto questo non è ammissibile che queste cifre vadano a discrezionalità, assolutamente. Giuseppe Bertolino Artista Non vorrei polemizzare con la categoria degli architetti, ma vorrei raccontare cosa mi è successo a Ravenna. Son stato portato dalla proprietà di una catena d’alberghi che mi voleva commissionare un’opera dall’ architetto progettista che ha finito per darmi le indicazioni precise su quello che voleva realizzare nella “sua” opera d’arte. Credo sia molto importante la possibilità di poter dialogare, che lei stessa ha sottolineato, quindi la collaborazione non dico paritaria, ma quantomeno una integrazione dal punto di vista artistico, insomma, alla fine sono sul punto di non a portare avanti questa commessa a causa di questo. Anna Maria Tatò Architetto, esperto del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici Volevo riprendere il discorso fatto dall’ultimo intervento. Emiliani parla di decorazione, ecco secondo me non è e non ne parla come un termine, come dire vorrei dire dispregiativo ma non è dispregiativo (Luigi Ficacci suggerisce applicativo), applicativo. Dico: a me sta bene decorazione non sta bene abbellimento perché se penso, ad esempio, a quei rosoni di Della Robbia nell’Ospedale degli Innocenti a Firenze sono decorazione, ma sono arte, integrazione, ossia non c’è niente che mi disturbi in questo termine, mentre mi disturba tantissimo il termine abbellimento. Luigi Ficacci Soprintendente ai Beni Storici e Artistici delle province di Bo-Fe-Ra-FC e Rn Se posso risponderti è questo che la decorazione come elemento ornamentale staccato sovrapposto, applicato in senso storico all’architettura come concetto autonomo e in qualche modo oggettivo è il contrario di quel tentativo di raggiungere una unità dell’intenzione artistica dove tecniche, manodopera e tutto questo si concentrino tutte nell’invenzione. Ipotesi che può non avere alcun bisogno di un 2% aggiuntivo perché l’edificio stesso può essere in se un’opera d’arte detentrice sia del 100 che del 2% e non richiedere assolutamente niente. Questa è per la posizione che lei conosce bene se ha seguito le discussioni del MAXXI nei suoi primi tempi prima che si chiamasse MAXXI quando nella commissione che aveva ancora la sua potestà da Direttrice della Galleria Nazionale d’Arte Moderna, la Dott.ssa Pinto, la quale richiamava come concetto fondamentale la riunione di tutte le arti alla storicistica tecnica e tutto unificante questo del però disegno, intendeva una dire pensata proprio sicuramente questo. Una invenzione artistica che in se detenga la concentrazione di tutte le arti , questa era la spiegazione di chi dava voce in questo senso a un concetto della rivoluzione fascista, vale a dire i nazionalisti italiani, Bottai come estensore della legge e i giovani storiografi che facevano parte del suo circolo. Graziano Campanini Direttore del Museo della Sanità dell’Azienda Usl di Bologna Volevo approfittare per parlare di un settore particolare del patrimonio artistico italiano e anche delle attività che riguarderebbero la legge del 2% che è il settore del patrimonio storico artistico di proprietà delle aziende sanitarie di questa regione di cui io mi occupo per conto dell’Assessorato alla Sanità e abbiamo qui Graziano Pompili che è uno dei massimi scultori italiani e internazionali , che davanti all’ospedale di Montecchio Emilia, che è anche un po’ la sua patria, ha realizzato un’opera d’arte. All’interno di questo ospedale ci sono altri lavori che sono stati acquistati dalla struttura ospedaliera grazie alle sponsorizzazioni delle ditte che hanno fatto i lavori perché la legge del 2% per gli ospedali non si applica, e non si sa perché si vede che quando siamo ammalati non siamo più cittadini non abbiamo più diritto all’arte ,così come quando andiamo a scuola . Per i carcerati capisco l’intento punitivo quindi non devono avere le opere d’arte..ci sono dicevo 3 altre opere d’arte: 2 vetrate di Valerio Adami che è un artista che pur essendo nato a Bologna vive a Parigi e in altra località, ha comunque delle grosse frequentazioni con Reggio Emilia perché ha fatto altri lavori. Quindi c’è stato un gruppo di cervelli in quella città, in quel territorio, che ha organizzato un percorso nella ri strutturazione del nuovo ospedale dove son state inserite queste opere d’arte. Allora all’ingresso c’è quest’opera monumentale di Graziano: è una casa con la sua ombra, la possiamo definire come vogliamo all’interno del suo percorso artistico, all’interno del settore attuale delle opere d’arte ma, davanti all’ospedale come le vetrate di Valerio Adami dentro all’ospedale, hanno anche, come dovrebbero avere e hanno sicuramente sempre l e opere d’arte, un altro valore. E’ una casa, chi l’ha costruita questa casa in scultura di Graziano Pompili, come chi l’ha pensata, ha pensato di dire a tutti quelli che vengono li ricoverati o ai visitatori dei ricoverati o anche a chi lavora lì: “guardate che non siete lontani, non siete in un altro mondo, siete a casa, siete ancora nella vostra città e se camminate nelle corsie dell’ospedale perché siete ammalati o perché tutti i giorni ci lavorate, avete tutti i giorni un confronto con delle opere d’arte che comunque parlano, comunque raccontano, comunque ci fanno individuare dentro loro delle storie nuove che tutte le volte possiamo cerchiamo di capire…” , poi un altro può dire:”guarda non avevo visto questo particolare ieri , oggi m’ha suggerito questa idea questa emozione”, ecco questo è il valore delle opere d’arte che ci sono, che ci dovrebbero essere all’interno dei monumenti delle nostre città quelli che potremmo fare nuovi. In un altro ospedale, a Vecchiezzano, che è stato citato nel testo del prof. Emiliani è stata fatta un’operazione simile: tutte le vecchie opere d’arte che si sono potute staccare dal vecchio ospedale Morgagni che era nel centro città che poi è stato trasferito in questa nuovo grande ospedale in periferia e che erano state comperate con la legge 2% dicevo tranne quelle che si sarebbero potute frantumare, che sono rimaste là, e adesso in quei luoghi c’è l’Università e non c’è più l’ospedale e sono state portate nel nuovo ospedale. Gli ospedali nuovi non sono più come quelli che conoscevamo una volta, quando venivamo ricoverati in vecchi stanzoni magari che facevano parte di un convento ricostruito dopo Napoleone, oggi sono vere e proprie piazze coperte con strutture sanitarie ma con strutture normali, ristoranti, librerie, in qualche luogo c’è anche il cinema sono luoghi in cui uno continua a vivere, continua a vivere la vita possibile della città dalla quale è stato momentaneamente tolto. Dicevo queste opere d’arte sono state ricollocate, alcune nel percorso quotidiano della grande piazza coperta come i due gessi, che citava prima Andrea Emiliani, che riguardano la storia cittadina una è la storia della chirurgia l’altro è il trionfo dell’oculistica, o altre per esempio sistemate nel ristorante nella sala mensa e cosi via; e si sta cercando di organizzare un percorso per il cittadino, per l’ammalato per il visitatore che se vuole in un momento libero può fare un percorso artistico che racconta la storia della sanità in quel luogo. Per chiudere brevemente questo discorso, se andiamo a Roma, a S. Spirito in Sassia che è il vecchio ospedale costruito da Papa Sisto V°, per i pellegrini che andavano a Roma ed erano tedeschi diciamo cosi, per i sassoni vediamo che ci sono 400 metri lineari di affreschi che decorano tutte le due grandi corsie ospedaliere degli uomini e delle donne, se guardo il patrimonio ospedaliera antico vedo molti quadri comunque con scene che riguardano la cura, Tobiolo e l’angelo per esempio è uno dei quadri tipici , o tante altre guarigioni miracolose vuole dire che l’opera d’arte ha sempre fatto parte del patrimonio degli ospedali perché c’era una relazione diretta in molti casi tra l’ammalato e Dio e in molti casi tra l’ammalato e un’opera arte, perché in ogni caso il concetto della bellezza era un concetto che poteva esser utile a guarire come era utile un piatto di minestra caldo, così era utile un abito di lino fresco, così era utile come S. Maria della Scala vedere la bellezza che la struttura ospedaliera metteva a disposizione. Allora io capisco che sia difficile oggi, dove l’arte è negletta e non si può mica dire che l’arte in Italia sia al primo posto nel pensiero né dei nostri governanti né della maggior parte dei nostri cittadini . Sicuramente l’arte è negletta, se quando vado per lavoro, e mi tocca andarci spesso purtroppo, da Ferrara a Rovigo, per la strada normale che attraversa Occhiobello, vedo il modello che ci siamo costruiti in questi anni: dentro a questi 30 km di strada non ci sta nulla di artistico,l’unica cosa che si potrebbe forse fare è bombardare tutto , distruggere tutto, ricominciare, ripiantare degli alberi ecc, però in questo modello, che prevede che nella città storica ci siano co munque delle opere d’arte come un grande museo diffuso, anche se trascurate continuamente nei giorni, con una distruzione, una piccola scomparsa, e all’improvviso con una cesura netta comincia la grande periferia costruita dopo gli anni 40 dove l’arte non c’è, non si è voluta costruire e si è costruita con dei modelli concorsuali per i quali a volte vinceva una mediazione, non vinceva l’oggetto d’arte più bello, o quello più poetico, o quello che aveva più dialogo coi cittadini e da lì, da un certo punto avanti ancora non c’è proprio più nemmeno quello, io credo che sia fondamentale mantenere una legge come quella del 2%, forse migliorata, migliorata intanto mettendo una sanzione, perché una legge senza, che non prevede sanzioni per chi non l’applica è inutile, fare una legge perché è inutile non serve a nessuno, nessuno mai, quale sindaco si prende la responsabilità di dire che farà il 2% se fa fatica a finire con le risorse, perché dovrà comunque chiedere ancora un altro 20%... “lo spreco” per le opere d’arte e i miei cittadini mi uccidono, egli pensa,;quale architetto se non qualcuno illuminato… Allora, non possiamo sperare o pensare di aver sempre delle persone illuminate, non possiamo sempre pensare o sperare che ci siano delle soluzioni come a Reggio Emilia dove un gruppo di lavoro è riuscito a costruire dal modello intellettuale un percorso buono, bisogna pensare che sia la legge che organizza questo modello, ma in una maniera molto più libera, più veloce, meno burocratica, però con un controllo e una sanzione se il lavoro non viene fatto. Grazie. Paolo Frabboni Direzione regionale Beni culturali e paesaggistici dell'Emilia-Romagna Io ho preso solo alcuni appunti , ma alcuni aspetti volevo ricordarli perché sono stati appena accennati e forse è utile tornarci sopra. Quando si è parlato dell’architettura degli anni ‘50 come un qualcosa di scarso valore è però inesatto e comunque è stato analizzato, esaminato recentemente nel libro che tutti conoscete Quale e quanta architettura in Emilia-Romagna curato appunto da Piero Orlandi dove si è presa in considerazi one l’architettura del secondo Novecento. Vorrei ricordare che l’architettura degli anni ’50 rientra a pieno titolo nel Codice dei Beni Culturali, essa ha più di cinquant’anni anni e quindi è soggetta a eventuale dichi arazione di interesse culturale. A questo va sommato il fatto che noi stiamo svolgendo dal 2004 ormai un’attività intensissima sulla verifica dei beni di proprietà pubblica che sono soggetti ai sensi dell’art.12 del Codice a questa verifica d’interesse culturale e quindi sono stati emessi più di un decreto di tutela più di una dichiarazione di interesse culturale per i nuovi edifici degli anni 50: ne cito alcuni, c’è il Cinema Olimpia di Vinicio Vecchi a Modena, il palazzo INA a Parma di Albini , il palazzo comunale di Alfonsine di Vaccaro, sono tutti edifici degli anni 50 dichiarati di interesse culturale, e questo lo dico anche perché recentemente abbiamo avviato una procedura di tutela di un altro cinema di Vecchi, il Principe a Modena, un edificio molto interessante ed è datato 1958, questo per dire, siccome di solito si pensa al Ministero dei Beni Culturali che di solito tutela il passato, ma non il passato prossimo diciamo così, questa attenzione c’è anche per questo tipo di architettura relativamente recente. Aggiungo che il codice prevede anche la tutela automatica per così dire, cioè la sottoposizione alla procedura di verifica di verifica, cioè art. 12. Piccolo inciso: noi verifichiamo beni della proprietà pubblica nella misura di circa 800 beni all’anno e abbiamo dichiarato di interesse culturale , nei primi anni a partire da fine 2004 , circa il quasi 50% di questi immobili , adesso la cifra si è attestata intorno a 1/3, quindi produciamo circa 300 decreti all’anno , ecco stiamo parlando di cifre di questo tipo. E dicevo che sono soggetti a verifica anche le strade, le aree pubbliche gli spazi pubblici, lo spazio di proprietà comunale avente più di cinquant’anni, sono soggetti a procedure di verifica. Concludo, ricordando che per esempio adesso recentemente è stata accennata la questione del concorso per la stazione di Bologna c’è anche un progetto di sistemazione dell’area antistante alla stazione con provvedimento della vecchia stazione di Bologna che è stata dichiarata di interesse culturale ormai da non più di 10 anni, no 7/8 anni. In questo confronto con i progettisti si sono stupiti del fatto che noi consideravamo tutelabile anche piazza XX settembre, per esempio anche il ponte di Galliera, anche viale Pietramellara perché son tutte aree pubbliche che hanno più di 50 anni quindi tutte soggette a verifica e, almeno in un paio di casi, non avrei dubbi sul fatto di riconoscerne l’interesse culturale. Questo discorso un po’ a margine è stato accennato inizialmente stamattina, per ultimo invece è il bando, cioè il concorso con la vittoria di Isozaki; ecco, per me su questo c’è ancora un punto interrogativo, non è stato applicato il 2%, è stato ricordato però il punto interrogativo sta se le Ferrovie dello Stato sono un’amministrazione pubblica, perché questa per me è una cosa che non è mai stata chiarita. Le Ferrovie dello Stato si sono trasformate nel tempo, erano certamente pubbliche all’inizio, sono diventate Ferrovie dello Stato S.P.A e hanno dato luogo a tutta una serie di altri enti altre società, quindi serve proprio a capire. Io posso dire che, nel dubbio, quando abbiamo fatto la dichiarazione di interesse culturale della stazione centrale, abbiamo fatto una procedura come se fossero dei privati , perché c’era questa grande incertezza sulla natura giuridica di Ferrovie dello Stato S.P.A. allora si chiamava così. Ho finito. Anna Maria Tatò Architetto, esperto del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici Ce l’ha il contributo dello Stato? Perché, se ce l’ha, deve rispettare la legge del 2%. SESSIONE POMERIDIANA Laura Carlini Responsabile del Servizio Musei e Beni Culturali dell’IBC La ricerca svolta dall’IBC sulla produzione artistica direttamente riconducibile alla legge 717/49 ha posto in evidenza alcuni significativi esiti, in base ai quali vorrei sviluppare qualche considerazione in merito alla connessione tra arte pubblica e musei. La prima concerne la semplice constatazione che i musei non rientrano tra i luoghi della nostra regione che sono stati oggetto d’intervento in esecuzione della legge del 2%. L’unico progetto di arte pubblica in ambito museale, il concorso IdeARTe per un progetto di Public Art per il parco della nuova sede della galleria d’arte moderna di Bologna, oggi Mambo, è stato realizzato mediante la L. R. 15 luglio 2002, n. 16, Norme per il recupero degli edifici storico-artistici e la promozione della qualità architettonica e paesaggistica del territorio, che riverbera, integrandoli su scala regionale, i dettati della legge nazionale. A prescindere da questa recente occorrenza, il concorso per la Manifattura si è svolto nel 2005, l’unico caso riscontrato di attuazione della legge, non per un museo bensì per un centro culturale, va ascritto al Comune di Sant’Ilario d’Enza, nel cui centro culturale Mavarta è stata installata una scultura di Graziano Pompili. Tale assenza è probabilmente imputabile al fatto che i musei sono di regola collocati in ambienti storici e che la legge sulla percentuale per l’arte limita la propria applicazione agli edifici di nuova costruzione e non include, perciò, le architetture e i luoghi oggetto di restauro, recupero e riqualificazione, come invece prevede la già citata normativa regionale sulla qualità dell’architettura. A supporto di tale ipotesi conviene inoltre rammentare che l’indagine campionaria dell’Istat sul settore musei (2000) aveva messo in evidenza che gli istituti museali della regione sono nella quasi totalità ospitati in chiese e conventi, palazzi e castelli storici riattati a destinazione museale, per i quali non è richiesto l’abbellimento mediante opere d’arte contemporanea. E’ opportuno, tuttavia, sottolineare la dicotomia creatasi tra la crescita esponenziale del numero dei musei in Emilia-Romagna dal 1950 ad oggi e la totale assenza d’interventi ex lege 717/49 in questa tipologia di strutture. In effetti i musei non statali della nostra regione istituiti dopo il 1950 rappresentano l’80% del patrimonio composto dai quasi 400 musei compresi nella più recente indagine Istat (2006). A fronte di questo tumultuoso sviluppo del comparto non si è verificata un’altrettanta vigorosa crescita di progettualità architettonica ed artistica contemporanea. In altri termini, sembra aver prevalso la necessità di restauro e recupero del patrimonio monumentale, da destinare a finalità culturali, rispetto alle opportunità di innovazione architettonica connaturate a progetti di nuova ideazione. D’altra parte la mappatura degli interventi d’arte riconducibili al 2%, che è stata tracciata con un paziente lavoro d’archivio, ci restituisce nell’insieme una trama di estrema rarefazione. Nei sessant’anni di vita della legge risultano banditi solo 158 interventi (di cui realizzati 149), nelle più variegate tipologie d’edificio, pari a circa 2,6 concorsi in media all’anno su base regionale. Non stupisce a questo punto che i musei non abbiano giocato un ruolo da protagonisti nella promozione dell’arte pubblica legata al 2%, e seppure sia certamente plausibile che non tutti gli interventi effettuati siano stati reperiti nel corso della ricerca, è altrettanto verosimile che non vi sia stata una sistematica applicazione della normativa e che non tutte le opportunità siano state colte. I musei in Emilia-Romagna non hanno preso parte in modo diretto alle politiche di arte pubblica connesse alla legge nazionale 717/49. La legge nazionale stessa non fa alcun riferimento ad istituzioni museali, dal momento che nell’individuare i soggetti per la costituzione della commissione di concorso non prevede la partecipazione di esperti di storia dell’arte, ed in particolare di contemporaneisti, provenienti dai ruoli direttivi dei musei (i quali avrebbero comunque potuto essere designati dall’amministrazione locale committente). Il compito di rappresentare gli storici dell’arte in seno alla Commissione è affidato al Soprintendente ai beni artistici e storici. Scelta comprensibile se si tiene conto della data di emanazione della legge (1949) che ci riporta ad un’Italia con un’amministrazione centralista e nella quale la diffusione di musei d’arte moderna e contemporanea era molto modesta. Inoltre, va pure considerato che, in generale, le opere messe a bando non avevano costi tali da richiedere la formazione di una commissione di carattere nazionale per la loro valutazione. Un’ultima notazione concerne il fatto che nel momento storico in cui la legge è stata emanata si era lungi dall’ipotizzare il coinvolgimento della collettività nelle scelte artistiche e di politica culturale, nell’espressione di un’opinione o di una volontà in merito alla consonanza tra arte, architettura, urbanistica e società. La legge nazionale tuttora in vigore, seppure successivamente emendata ed integrata, sembra non tenere conto dei molteplici mutamenti nella percezione della sostanza e delle finalità dell’arte contemporanea da parte del corpo sociale ed in particolare delle esigenze di partecipazione e condivisione della collettività nella scelta dei progetti artistici per il proprio territorio. Ad oggi anche i casi più riusciti di buona integrazione tra arte ed architettura non sono scevri da una significativa esclusione della cittadinanza dai processi decisionali. In molti concorsi d’arte pubblica pare che l’orientamento degli artisti e dei committenti sia stato e continui ad essere ispirato alla concezione espressa da Henry Moore nei primi anni Settanta: «Non mi piace realizzare opere su commessa andando sul posto per poi farmi venire un’idea. Quando mi viene chiesto di considerare un luogo dove una delle mie sculture potrebbe essere collocata, cerco di scegliere qualcosa di adatto tra le opere che ho già scolpito o che sto preparando, ma non tento di creare qualcosa di specifico per quel luogo. Ritengo che il miglior modo di esporre la scultura all'aperto sia di porla in relazione con il cielo piuttosto che con gli alberi, gli edifici, la gente o altri aspetti di quanto la circonda. Solo il cielo, miglia lontano, ci consente di porre in contrasto l'infinito con il reale, in modo da poter scoprire l'intima e peculiare scala dello scultore senza termini di paragone. » Le parole di Moore potrebbero essere prese a paradigma della fase aurorale del rapporto tra arte moderna e movimento per l'arte pubblica, che ha caratterizzato la scena internazionale delle ultime quattro decadi. Rapporto che si è evoluto nel tempo in tre susseguenti approcci. Il primo è fondato sul concetto di art-in-public-spaces (arte negli spazi pubblici), prevalente nel periodo che va dalla metà degli anni ‘60 alla metà degli anni ‘70, caratterizzato da opere autonome dal contesto e che riproducevano in scala più ampia il tipo di sculture presenti in musei e gallerie. In questa concezione, che non considerava le caratteristiche del luogo, gli artisti, gli urbanisti e gli architetti assegnavano all'arte la vocazione a contribuire all'estetica del sito, negandole tuttavia la possibilità d'interagire effettivamente con l'architettura e d'influire sulla qualità intrinseca dello spazio. La seconda fase: art-as-public-spaces (arte come spazio pubblico) si afferma sulla scena internazionale alla fine degli anni ‘70 e permea l'operare di artisti, curatori e responsabili di programmi di arte pubblica per tutti gli anni ‘80. E' il momento in cui l'arte viene intesa come arredo urbano, elemento paesaggistico o architettonico e riflette l'idea che l'arte possa rendere lo spazio più umano e che possa concorrere a superare il senso di alienazione e di estraneità che il paesaggio urbano contemporaneo genera. In altre parole si attribuiva all'arte un ruolo di contrasto e di superamento delle fredde stilizzazioni dell'architettura del modernismo, anche se lo stile prevalente delle opere rimaneva spesso incomprensibile ed alieno, se non ostile, agli occhi del pubblico, a meno che non si potesse associarlo, anche solo parzialmente, all'idea di utilità e di piacere come, ad esempio, nel caso di aree attrezzate per la sosta e lo svago o d’impianti per attività ludiche. In sostanza si chiedeva agli artisti di partecipare al concepimento e alla realizzazione di spazi urbani unitari e coerenti. L'intervento artistico non è più concepito quale creazione di un'opera d'arte autonoma, ma piuttosto come un dialogo con l'intorno ambientale, flettendo la creatività artistica verso il design urbano. Quanto più un'opera si distaccava dalla propria natura intrinsecamente artistica per mimetizzarsi ed essere assimilata dal sito e confondersi con il design urbano, tanto più veniva considerata accettabile e avanzata Si prospettava, inoltre, agli artisti l'opportunità di sviluppare creazioni di una dimensione mai prima raggiunta, purché il valore d'uso eccedesse il valore puramente estetico. In questo secondo periodo emerge in seno alle pubbliche amministrazioni responsabili delle politiche per le arti un’esplicita sensibilità nei confronti del sentire della collettività ed un’attenzione più profonda alle esigenze di migliore comprensibilità, di accettazione condivisa e di utilità dei progetti da finanziare. A questa seconda fase si sostituisce il modello art-in-the-public-interest (arte di pubblico interesse) nel quale si privilegiano le istanze sociali, l'attivismo politico e il coinvolgimento della comunità, che si consolida a partire dagli anni ‘90. Il ricorso ambiguo e costante al termine comunità, dai contorni sfumati e incerti e l'uso opinabile del termine pubblico per indicare ogni intervento che immaginasse la partecipazione di persone e gruppi in uno spazio adibito alla pubblica utilità hanno improntato la produzione artistica degli anni più recenti. La priorità è accordata ora al processo collettivo e all'interazione sociale, senza che vi sia la certezza di un risultato finale tangibile. La storia dell'arte pubblica, a questo punto, condensa molte delle criticità del rapporto tra artisti, architetti, urbanisti, esperti e critici, amministratori, media e comunità. Le politiche attuate per favorire lo sviluppo dell'arte nei luoghi di vita collettivi suscitano arroventate controversie, che giungono fino a episodi di reciproca ostilità tra le parti in causa. Le decisioni sulla scelta degli spazi, la selezione degli artisti, la qualità ed appropriatezza dell'opera, la sua rappresentatività ed utilità per i residenti, arrivano a generare sia rifiuti clamorosi in sede di concorso, sia mancate realizzazioni di progetti già approvati per timore di reazioni sociali negative. Accade che si giunga perfino ad eliminare opere celebrate come il Tilted Arc di Richard Serra, creato per la Federal Plaza a New York nel 1981, e rimosso dalla sua collocazione nel 1989, a seguito di un regolare procedimento legale intentato da quanti ritenevano che la scultura distruggesse e violasse il passato di un luogo di rimarchevole vitalità, ponendosi come un'arrogante ed assolutamente inappropriata affermazione di un ego privato in uno spazio pubblico. Sono innumerevoli gli esempi di difficoltà ed incomprensioni, di opportunità trascurate e di mancanza di coraggio e di fantasia, che hanno segnato tante operazioni di arte pubblica, al punto da domandarsi se siano più significative le assenze delle presenze, i presunti fallimenti dei casi di successo, o, al contempo, se il valore dell'impresa non vada ravvisato proprio nel confronto e nella tensione contraddittoria, per la potenzialità implicita a sfociare nel riconoscimento di un'identità unitaria e a rendere i membri della comunità più consapevoli e più autonomi. Nell’atlante del 2% in Emilia Romagna sono reperibili numerosi esempi di opere riferibili all’idea di arte nello spazio pubblico, ed altre indubbiamente concepite per integrarsi al luogo e richiamare con il proprio contenuto la funzione dello stesso: scuola, ospedale, e così via, e però non è stato possibile rintracciare processi partecipativi connaturati al concetto di arte di pubblico interesse, che unisce il gesto artistico alla partecipazione sociale, come è invece riscontrabile nei più recenti progetti elaborati per i finanziamenti della L.R. 16/02. La seconda considerazione sull’applicazione della percentuale per l’arte concerne la frequenza d’interventi che impiegano i materiali e le tecniche della tradizione locale, laddove questa si sostanzia in un tessuto creativo e produttivo tuttora di grande spessore: nello specifico il mosaico nel Ravennate e la ceramica nell’area faentina. Questo rilevante risultato emerso dall’indagine consente di proporre tre esempi della funzione che i musei svolgono nei confronti dei loro portatori d’interesse e che plausibilmente ha avuto un impatto, seppure indiretto, anche sulle scelte concernenti il 2%. E’ proprio nella capacità di conservare la tradizione ed al contempo di propugnare la ricerca costante d’innovazione che i musei testimoniano il ruolo straordinario che rivestono come forum per alimentare l’interesse e la partecipazione pubblica, con l’obiettivo d’individuare le esigenze e le aspettative della popolazione nel momento in cui s’indice un concorso d’arte pubblica. Un ruolo che sarebbe necessario potenziare e sostenere ulteriormente. La tradizione di Ravenna nell’impiego del mosaico, anche contemporaneo, vanta un polo assolutamente unico in Italia nel MAR, Museo d’arte della Città. Il museo, dotato di una significativa raccolta d’arte contemporanea, espone nel loggiato un’ampia e preziosa collezione di opere realizzate dai mosaicisti ravennati su bozzetti di alcuni tra i più noti artisti del XX secolo, selezionati negli anni Cinquanta anche con la consulenza di Giulio Carlo Argan e Palma Bucarelli. In questo modo il museo offre ad artisti, studenti e visitatori una vasta campionatura di stili e di tecniche ed un termine di paragone raro per quanti intendono mettersi alla prova e a confronto con l’arte musiva. Nel 2003 il museo ha inoltre creato al proprio interno il CIDM, Centro Internazionale di Documentazione sul Mosaico, frutto della collaborazione di più enti, che documenta e rende accessibile, anche via web, la cultura musiva in tutti i suoi aspetti. Nel sito del CIDM trova spazio l’intero mondo del mosaico, dall’antichità ai nostri giorni. Il Centro opera da collante e funge da propulsore per le iniziative che interessano il mosaico, dalle mostre ai restauri, ai concorsi, agli studi alle banche dati e si è collocato fin da subito in una dimensione internazionale, essendo stato istituito grazie ai fondi europei interreg. Il CIDM - Centro Internazionale di Documentazione sul Mosaico - è una sezione del Museo d’Arte della città di Ravenna nata per promuovere la ricerca, lo studio e la valorizzazione del mosaico. E’ rilevante che proprio a Ravenna, protagonista indiscussa nel panorama dell'arte musiva, sia scaturita l’idea di creare un luogo che fosse punto di riferimento per gli studi sulla materia, al fine di valorizzare l’antico splendore dell’età giustinianea e, allo stesso tempo, di perpetuarne la tradizione nella contemporaneità. Così come la produzione artistica in mosaico ha un saldo referente nel MAR di Ravenna, altrettanto la vocazione di Faenza per la creazione in ceramica trova riscontro in due istituzioni museali, diverse e complementari: il Museo Internazionale della Ceramica e la casa museo Carlo Zauli. Il MIC nasce un secolo fa (1908) e dalla sua costituzione svolge un lavoro di promozione e valorizzazione anche del contemporaneo, come si desume dallo statuto in cui si enuncia che: È finalità del Museo: a) raccogliere e disporre sistematicamente i tipi della produzione ceramica italiana e straniera, interessanti sotto l'aspetto dell'arte, della tecnica, della tradizione, mediante la cooperazione delle fabbriche nazionali ed estere e dei privati collezionisti; b) mettere in relazione le fabbriche con la pubblicazione di uno speciale bollettino; c) indire mostre internazionali periodiche di ceramiche, interessanti l'uno o l'altro punto dell'arte, della tecnica, dell'uso pratico; d) raccogliere pubblicazioni in modo da offrire agli studiosi un materiale bibliografico di critica, di storia, di arte, di tecnologia ceramica; e) disporre una rappresentazione oggettiva dello sviluppo della ceramica arte, tecnica, uso, tradizione - mediante una collezione di oggetti retrospettivi; f) divulgare il gusto della decorazione ceramica, in modo da intensificarne l'uso estetico e razionale nella casa, nella applicazione architettonica; g) indire concorsi internazionali per la produzione, sotto l'aspetto d'arte e di tecnica, di oggetti di determinato uso pratico; h) sottoporre all'esame di congressi internazionali di ceramica le questioni che interessano l'arte, la letteratura e bibliografia ceramica, la legislazione (invenzioni e brevetti) e la tecnica; i) stabilire una terminologia internazionale scientifica, per evitare l'anfibologia nelle discussioni di critica storica e nei trattati tecnici; j) farsi promotore di una scuola pratica di ceramica in Faenza che, ad integrazione delle finalità del Museo, sia intesa all'elevamento intellettuale e tecnico dei ceramisti; k) proporre e favorire ogni altra iniziativa che rientri nelle finalità del Museo. Fin dagli esordi, sulla traccia dei musei d’arte industriale del XIX secolo, il Museo di Faenza si propone di essere il punto di riferimento per la conoscenza scientifica e lo sviluppo dell’arte ceramica in ogni campo. In particolare il museo organizza da 56 edizioni il Concorso Internazionale della Ceramica d'Arte Contemporanea, un momento importante per la crescita degli artisti e dell’industria ad essi collegata. Come viene ricordato nel testo di presentazione del sito web del museo : «La Manifestazione è stata, fin dall'inizio, un importante momento nella valorizzazione, nel rinnovamento, nella promozione della ceramica sia sotto l'aspetto artistico e decorativo, sia in quello funzionale e dell'arredo». La stessa Manifestazione ha inoltre dato impulso a una ricerca complessa, non solo estetica, ma riguardante anche esperienze nel settore della tecnologia delle argille, degli smalti, delle cotture mutuandole dall'industria e coinvolgendo di ritorno l'industria stessa nel design di oggettistica e di piastrelle. Nel 1962 il premio al concorso internazionale organizzato dal MIC viene attribuito a Carlo Zauli e il caso del maestro e del museo a lui dedicato, rappresenta il terzo esempio paradigmatico di ciò che, al di là della presenza nelle giurie, può essere il ruolo del museo per la conoscenza e la valorizzazione degli artisti contemporanei e la promozione dell’arte d’oggi nella società. La vicenda umana ed artistica di Carlo Zauli, scultore faentino di straordinario talento nell’uso della ceramica, viene ripercorsa nella casa-museo di Faenza inaugurata nel 2003, che conserva ancora i materiali e gli strumenti utilizzati per la creazione delle opere e che documenta, anche attraverso il sito web, i lavori di Carlo, inclusi quelli presentati ai diversi concorsi del 2%. Di queste opere il museo conserva i bozzetti. Le strategie culturali messe in atto dal museo Zauli, come negli altri due musei, ben esemplificano Il ruolo che un’organizzazione museale può giocare nella partita dell’arte pubblica, dimostrando che questo non è necessariamente limitato ai pur necessari e fondamentali compiti di ricerca e studio, documentazione, conservazione ed esposizione al pubblico. Il museo si pone nei confronti delle comunità, dei cittadini e degli artisti, come un operatore che, come si dichiara nel sito del museo: «oltre alla conservazione e alla divulgazione dell’opera dell’artista faentino, intende promuovere l’utilizzo della ceramica nell’arte contemporanea, ed in questo senso valorizzare l’opera di artisti delle ultime generazioni che già utilizzano o vorrebbero sperimentare tale materiale nella propria ricerca». In questa prospettiva il Museo Carlo Zauli nel 2003 istituisce il progetto Residenza d’Artista, promosso insieme all’Assessorato alle Politiche Culturali del Comune di Faenza, e in collaborazione con l’associazione Diatonia. Il progetto prevede ogni anno la partecipazione di 3 artisti giovani ma già di spessore internazionale invitati dalla curatrice Daniela Lotta a risiedere presso il Museo Carlo Zauli. L’invito alla Residenza d’Artista è rivolto a personalità artistiche capaci di generare un complesso dialogo tra i linguaggi della contemporaneità e quelli della tradizione; artisti la cui attitudine concettuale è slegata da un uso esclusivo del mezzo espressivo, ma che siano quindi interessati a stabilire relazioni tra i luoghi e le persone, a mettere in atto strategie estetiche all’interno di un più ampio processo creativo capace di attivare il pensiero. I documenti fondanti dei tre musei ed i loro programmi, nei quali si dichiara che si ritiene essenziale agire affinché siano stabilite relazioni tra i luoghi e le persone mediante un incontro tra contemporaneità e tradizione, sono stati qui presentati come casi esemplari, ma non esclusivi, di un possibile punto d’incontro tra museo e arte pubblica. Si vuole sottolineare la competenza dell’istituzione museo nel sostenere gli aspetti squisitamente scientifici di studio, ricerca e conservazione, l’idoneità a fungere da attrattore di nuovi talenti e di diffusore delle più aggiornate ricerche e tendenze, ed infine la capacità di porsi come luogo dell’incontro e del dialogo per tutti. Perché non avvantaggiarsene ? Claudia Collina Storica e critica d’arte contemporanea, Servizio Musei e Beni Culturali dell’IBC “Che cosa fare? Elenco alcune iniziative: un censimento delle opere realizzate in base alla legge 2%; un riassunto delle conclusioni a cui erano arrivati i dibattiti per il suo superamento; una proposta di legge che, mentre proponga di migliorarne l’applicabilità, richiami anche l’attenzione sul fatto che la vecchia legge va semmai abrogata, / non può essere semplicemente ignorata (salvo semi -clandestine eccezioni); una serie di misure che affrontino il problema dell’arte contemporanea, per favorirne la competitività nei confronti dell’arte già consolidata”. Le proposte encomiabili formulate da Renato Nicolini nel 1990 nel suo volume 2% considerazioni in margine hanno trovato terreno fertile nelle strategie culturali dell’Istituto Beni Artistici e Culturali della Regione Emilia Romagna, primariamente nel suo Direttore Alessandro Zucchini, che ha attivato il censimento delle opere d’arte realizzate con la legge del 2 % sul territorio attraverso un’indagine a tappeto e tenendo conto delle indicazioni sull’argomento determinate dalla precoce promulgazione da parte dell’Ente Regione Emilia-Romagna della ricordata legge regionale 16 del 2002 Promozione dell’architettura contemporanea e salvaguardia del patrimonio architettonico. Dall’analisi dei numerosi documenti d’archivio di vari enti è emerso che la legge 717/49 è stata applicata con analogo andamento del suo iter legislativo nazionale, ossia con una forte incidenza sino al 1975 in istituti scolastici di tutti i gradi, universitari, enti vari, impianti sportivi e ospedali, privilegiando temi educativi ed exempla virtutis nonché artisti del territorio; e dopo un ventennio di silenzio si è registrata la sua ripresa dalla fine degli anni Novanta in poi, soprattutto in caserme e penitenzi ari, con un allargamento al panorama artistico nazionale più aggiornato. Il censimento, che è iniziato nel 2003 con uno spoglio dei documenti di archivio delle Soprintendenze ai Beni Storici e Artistici della Regione EmiliaRomagna, è proseguito con la richiesta di documenti di applicazione della legge agli uffici regionali del Ministero dei Lavori pubblici e delle infrastrutture, poi con una analoga ai direttori dei settori Lavori Pubblici delle Provincie e per finire ai singoli comuni della Regione. La ricerca negli archivi è stata la più fruttuosa, mentre la richiesta ai comuni la meno in assoluto. Nel corso del censimento, agevolato veramente da tante persone, sono emerse nuove notizie non sempre documentate, ma decisamente attendibili: in Emilia-Romagna la legge risulta quindi applicata, o avviata la procedura della sua applicazione, o la sua attuazione in maniera ibrida in 158 luoghi di cui 149 conservano l’opera. Precisamente si tratta di 8 luoghi nella Provincia di Piacenza, 1 nella Provincia di Parma, 18 nella Provincia di Reggio-Emilia, 18 nella Provincia di Modena, 24 in quella di Bologna, 21 nella Provincia di Ferrara, 23 nella Provincia di Ravenna, 25 in quella di Forlì-Cesena e 9 nella Provincia di Rimini. La campagna fotografica, di cui state vedendo alcuni esempi alle mie spalle, è stata condotta da Andrea Scardova e da me, e da essa scaturiscono il presente volume, una futura mostra fotografica itinerante volta a sensibilizzare il territorio regionale, nazionale e internazionale sull’argomento e la sua valorizzazione; e una banca dati dedicata al percento per l’arte sul nostro futuro catalogo multimediale del patrimonio culturale. La necessità di riflessione sulla revisione degli articoli della legge 717/49 alla luce della flagranza degli interrogativi posti da Renato Nicolini, attualizzati alla situazione amministrativa, legislativa, culturale ed artistica odierna in direzione della qualità e dell’integrazione armonica tra le arti, l’architettura ed il contesto urbano con la finalità dell a loro ottimale valorizzazione nel processo di riconoscimento, identificazione e vivibilità dei luoghi pubblici attraverso valori estetici contemporanei riconosciuti ha portato l’Istituto sull’argomento a costituire affinché un proponesse gruppo alla di Giunta studio della interistituzionale Regione Emilia- Romagna un documento innovativo – a cui ha collaborato significativamente anche Flavio Delbono che ringrazio di essere qui - che guarda verso le esperienze europee di Francia e Germania, come la Bozza di legge regionale per l’arte nelle opere pubbliche in Emilia-Romagna, pubblicata al termine di questo volume e di cui ci parlerà tra breve Elena Bastianin. Alla luce della ricerca attuata, in Emilia-Romagna – e come ho motivo di ritenere anche nel resto d’Italia perché la legge attuale prevede queste due possibilità – i concorsi sono stati realizzati in due costanti direzioni, determinanti differenti integrazioni funzionali dell’arte: opere d’arte più o meno completate all’architettura, ma ad essa volutamente legate, e opere d’arte acquistate successivamente come arredo mobile. Nel corso del tempo sino ad ora, entrambe le modalità sono state perseguite senza tener troppo conto del determinante ed imprescindibile fattore che « la qualità estetica di un’opera architettonica non è separabile da quella delle opere pittoriche o plastiche che la integrano», ma d'altronde l’architettura italiana, dall’immediato secondo dopo guerra in poi, procedeva su un duplice binario volto, da un lato, alla produzione di singolari eccellenze architettoniche create da progettisti culturalmente impegnati e dall’altro alla monotonia architettonica di edilizia anonima e speculativa, superficialmente imbellettata, che ha dettato la “triste uniformità” fruibile fuori dai centri storici delle città. Nell’arte del percento in Emilia-Romagna, l’evoluzione delle trasformazioni culturali inizia pacatamente a Piacenza sui muri esterni dell’Istituto Leonardo da Vinci dove Luciano Richetti e Pietro Daveri realizzavano due bassorilievi i cui soggetti popolari ed educativi di lavoro e scienza sono stati disegnati con sintesi e plasticismo monumentale, ancora stilisticamente ancorato alla corrente di Novecento; mentre a Bologna, Quinto Ghermandi scolpiva “per via di levare” dal marmo un’imponente Famiglia carica di pathos e in stile cubo-surrealista picassiano davanti all’ex Palazzo delle Telecomunicazioni; e il neorealismo sociale filo guttusiano era espresso con cogenza da Nello Leonardi a Reggio Emilia in quadri come Salvataggio degli alluvionati per il Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco, o I sette fratelli Cervi per la Scuola Media professionale di Sant’Ilario d’Enza. Alla fine del sesto decennio, nel 1959, Dino Balsadella e Aldo Borgonzoni vincevano il concorso per la realizzazione di opere d’arte all’Istituto Tecnico Commerciale “Iacopo Barozzi”di Modena. La modernità avanzava: del Vignola era data espressività essenziale ed esistenziale dal pannello astratto informale di Balsadella. Quinto Ghermandi, formatosi sullo studio delle opere di Picasso e Moore, sceglieva in seguito il bronzo come materiale elettivo. Largo gesto per un massimo spazio del 1969 segnava il passaggio dell’abbandono dell’oggetto-forma per l’oggetto-spazio, in cui costruire «magici giardini, cristallizzati nel bronzo argentato» e composti da elementi naturali che si trasformano, prodromi di un naturalismo concettuale generato dalla ricerca informale. E’ così che la fitomorfica Fontana degli Istituti di patologia Speciale Medica, Chirurgica dell’Ospedale Sant’Orsola di Bologna è costruita con Grandi foglie notturne rovesciate che l’artista ripropone solitarie ancora nel 1973-74, mentre nella Bilancia del Palazzo di Giustizia di Forlì l’elemento della foglia evolve in senso floreale e stilizzato. Tra i pop-artisti italiani c’é stato Concetto Pozzati che, dopo aver esposto alla Biennale del 1964 insieme a Festa, Angeli e Schifano, eseguiva due anni dopo il dipinto Inventario: mio rinnovato amore per Léger per le Scuole Archimede di san Giovanni in Persiceto. Il titolo è programmatico per l’ispirazione: l’artista sviluppava in esso simboli e forme già apparsi in Ortogonale II del 1963, ma è con opere come L’ultimo persuasore che egli si affaccia a una rivisitazione stilistica esplicitamente surrealista e la figura affianca i coaguli di forme organiche e viscerali predilette dal pittore, a quel tempo in uscita dall’Informale con possibilità di relazione, per una poetica decisamente Pop. Contemporaneamente, a Reggio Emilia l’Amministrazione provinciale applicava la legge del 2% con frequente incidenza per l’edilizia scolastica, sia con la realizzazione di sculture in dialettico confronto con l’ architettura per lo più anonima, sia con l’acquisto di numerosi quadri da arredo parete. Gli artisti privilegiati erano per lo più territoriali, tra i quali si distinguono per ricerca e qualità la fronda che visitava «l’ultimo naturalismo» come Rina Ferri, Enzo Vescovi, Vittorio Cavicchioni e Gianni Ruspaggiari, il chiarista lirico Gino Gandini e il cubo surrealista Albano Seguri. La coniugazione d’istanze stilistiche di Moore e Picasso suggestionava anche Luciano Ceschia che realizzava La scienza, la tecnica e il lavoro in un grande pannello architettonico per l’Istituto Corni di Modena: è assai interessante lo schizzo preparatorio dell’altorilievo, datato 1963, perché la composizione si presenta come un ammasso di forme morbide e sinuose d’ispirazione a Moore, chiuse all’interno di un’imponente cornice a guisa di porta, ma nella realizzazione alcune di esse diventano più spigolose e geometriche dando vita a una maggiore dialettica con il cubismo che influenzava anche l’informalismo scultoreo di Beppe Marzot, presente a Reggio nell’Istituto Secchi -Scaruffi e a Forlì nella Scuola “Dante Alighieri”. Fontana e Leoncillo avevano già eletto la ceramica a materiale privilegiato per le opere concettuali e informali quando il faentino Carlo Zauli iniziò ad emergere come artista aggiornato all’avanguardia: allievo di Domenico Rambelli, egli sperimentò ed incardinò la sua ricerca artistica sulla «dialettica tra forma mentale e ‘naturalità fisica’» coniugando «organicità e razionalismo» in una formula oggi definibile naturalismo concettuale. Egli vinceva numerosi concorsi del 2% costellando gli edifici con opere di straordinaria potenza materica e spazi ale e cercando un rapporto dialettico con l’ambiente d’inserimento: dal Cubo alato per la Camera di Commercio di Forlì, alle sculture per la Facoltà di Lettere a Bologna ove tra i solchi, concavi e convessi suoi tipici e processuali scivolature morbide come stoffa piegata, si alternano i segni incisi nella materia / rilevando le lame taglienti e aggettanti che compongono l’ossimoro conflittuale dei segni opposti dell’arte di Zauli, mentre in Genesi geometrica per l’Ospedale di Faenza l’artista generava un’opera concettuale che coniuga forme astratte e geometriche rigorosamente simmetriche con una personale rivisitazione delle sculture surrealiste e brutaliste di Edoardo Paolozzi. La scultura astratto-concreta di Gianni Cinciarini, la cui cifra stilistica rinvia sempre agli alveoli dello smalto champlevè, risultava vincente in numerosi concorsi a Forlì, dove egli compiva la Fontana dell’Artstud, l’emancipazione sul sapere della stilizzata Donna nel secondo Risorgimento per la Scuola “Diego Fabbri”, il pannell o natatorio per la Piscina Comunale di Imola, le biomorfe Pulsazioni cardiache per il reparto di Medicina e Cardiologia dell’Ospedale Morgagni trionfanti sui bozzetti di gusto surrealista di Augusto Neri; ed, infine, Il mondo della ginnastica cesellato nel mar mo per la nuova Palestra progettata dall’architetto Gabrio Furani. Qui l’artista ha rappresentato le discipline della ginnastica artistica che si alternano come sinuose mummie fasciate all’interno degli alveoli di materia lacerata con un aggiornamento stilistico postmoderno, mentre la decorazione parietale interna, astratto-geometrica, è frutto di Paolo Carli Moretti che l’ha ideata in accordo con il progettista. Ancora dalla stretta collaborazione tra un artista e una architetto, anche se non progettista dell’ampliamento della struttura cui l’opera è collegata, nasce l’installazione Luce ed ombra di Ilario Nati e Stefania Mirandola per la nuova parte ipogea del cimitero del Piratello di Imola. Si tratta di un’opera concettuale che s’integra con le fughe dell’architettura e la cui valenza metaforica è volta a richiamare lo scambio osmotico, tra il raggio di luce e il cono d’ombra della soglia, del passaggio tra la vita e la morte e la trasformazione che ne consegue. E sempre a Imola, in straordinario equilibrio armonico con i volumi architettonici postmoderni, Bertozzi & Casoni concretano a metà degli anni Novanta il gioioso pannello neo Pop in ceramica Ditelo con i fiori per l’Ospedale Santa Maria della Scaletta che va ad aggiungersi a un Mare mediterraneo di Carlo Zauli posto nell’atrio. Alla fine degli anni Novanta i concorsi del 2% in Emilia-Romagna prendono maggior quota grazie a un bando del Comune di Ravenna e a un altro del Ministero dei lavori Pubblici che prevede opere d’arte in varie case circondariali e caserme dei Carabinieri del territorio. A Ravenna vincevano Sandro Piermarini e Fernando Iraci con un pannello in marmo- mosaico, architettonico, astratto, modulare e pittorico dal titolo evocativo assistenziale per Acque la chiare terza età e trasparenti della città, per mentre la Struttura Davide soci o- Rivalta si aggiudicava lo spazio della piazza interna del nuovo Palazzo di Giustizia, ove dislocava Occulti latices, sei gorilla in bronzo alti tre metri ciascuno e realizzati dall’artista con l’i ntenzione di dare forma animale ai sentimenti intensi, a volte brutali, vissuti da chi attraversa un Tribunale. L’efficacia dell’opera, terminata nel 2002, nasce proprio dal contrasto tra la linearità austera dell’immobile e l’energia primordiale delle sculture: le dimensioni, gli atteggiamenti, la natura degli animali e naturalmente l’approccio alla materia, fisico e viscerale, completano come un emozionante ossimoro gli equilibri di un’architettura simmetrica, rigida e lineare. Sempre a Ravenna, per l’edificio dell’Arma dei Carabinieri, Giuseppe Uncini traduceva in acciaio una delle sue Dimore, toccando il riferimento topologico abitativo holderliniano, fonte d’ispirazione anche per Graziano Pompili che sviluppa il tema nelle varie versioni della sua opera Poeticamente abita l’uomo, e in Tannetum a Mavarta di Sant’Ilario d’Enza dove l’artista coniuga il nucleo abitativo installato all’architettura rurale riattata e ampliata, in un contrappunto armonico spaziale tra architettura e scultura che ridona fiduci a al perduto dialogo tra le due arti. Inaugurata il 21 marzo del 2000, la scultura Senza titolo di Giuseppe Maraniello per l’Arma dei Carabinieri di Rimini coniuga elementi arcaici alla simbologia dell’arma con equilibrio ed atletica potenza. Lo stesso anno si concludevano, con la nomina a vincitore di Giuseppe Spagnulo, i lavori del concorso pubblico tra artisti per l’ideazione e l’esecuzione di un’opera d’arte destinata all’abbellimento del nuovo Palazzo dello Sport di Faenza. La commissione sceglieva l’opera di Spagnulo «per la qualità intrinseca, per la capacità di porsi in relazione all’edificio, per le garanzie di durata nel tempo che i materiali proposti offrono, per gli elementi che suggeriscono saldezza e dinamismo e che rispecchiano la destinazione e peculiarità dell’edificio, per la sua capacità di raccogliere in modo differenziato le variazioni di luce nell’arco della giornata e al mutare delle stagioni» . L’opera, scelta con il meccanismo più tradizionale della legge e senza alcuna partecipazione cittadina, suscitava polemiche campaniliste in chi desiderava che venisse scelto un lavoro realizzato con la tecnica ceramica che tradizionalmente contraddistingue il luogo, ma si trattava di sterili polemiche perché la scultura equilibrio concettuale tettonico di e retaggio realizzata poverista con di Spagnulo raffinato ed è creata aggiornato con senso monumentale. Il paesaggismo astratto, mentale, concettuale, simbolico, realizzato con tecnica musiva nello stesso biennio e incastonato in parete, accomuna le opere di Erio Carnevali, Il pensiero e Dopo per l’Ospedale di Baggiovara e di Nataly Maier Mare per la Capitaneria di Porto di Ravenna, il cui bando del 2% veniva vinto nel 2004 anche da altri artisti come Gianfranco Cresciani, Franco Marocco, Antonio Rinaldi e Ignazio Gadaleta. Contemporaneamente, l’Amministrazione sanitaria della Provincia di Ferrara procedeva all’affidamento diretto di alcune opere d’arte da eseguire con il residuo finanziario della costruzione, o riattamento, di strutture di sua co mpetenza: il forlivese Matteo Lucca eseguiva la scultura d’influenza transavaguardista Autoforia per l’Ospedale di Bondeno; Sara Berti, con esistenzialismo dolente e forse suggestionata dalla pittura di Roberto Barni plastica come terracotta il bronzo Rinascita, l’Uomo e la Fenice per l’Ospedale “del Delta” di Lagosanto / mentre il principio di trasformazione di figure stilizzate, archetipiche, fuse con uno stile che guarda con occhio postmoderno a Henry Moore alberga in Rinascita di Maria Cristina Pacelli per l’Ospedale di Argenta; ma, in particolare, è l’installazione concettuale, site specific, di Riccardo Catozzi che s’interseca con intelligenza nell’architettura preesistente del Dipartimento di Sanità Pubblica di Ferrara. Infine, nel 2008, l’Autorità portuale di Ravenna, in seguito al trasferimento nel nuovo edificio ideato dall’architetto Anita Sardellini - ove sono coniugate al contempo suggestioni d’impianto gregottiano a finiture più vicine a Mario Botta - apriva un «bando di concorso per la realizzazione di opere d’arte destinate all’allestimento di sale del nuovo edificio» ai sensi delle “Linee guida per l’applicazione della legge n.717/1949 pubblicate nel 2006 . La commissione, composta da Giuseppe Parrello, Anita Sardellini, Maria Concetta Muscolino, Vittorio D’Augusta, Concetto Pozzati e con la consulenza esterna di Claudio Spadoni, decideva d’individuare nei soli Giovanni Lombardini, Luca Piovaccari, Davide Rivalta e Marco de Luca, gli artisti ai quali assegnare il compimento delle quattro opere individuate orchestrando così una significativa sintesi del pluralismo di poetiche e tecniche di qualità della contemporaneità, anche se susseguenti al progetto architettonico e alla costruzione dell’edificio. Marco De Luca componeva un suggestivo e cangiante astratto Mediterraneo in mosaico, Luca Piovaccari installava Una strada del mondo prestando la sua opera ad una lettura antropologica, culturalmente nomadica, Giovanni Lombardini dava corpo ad un’opera astratta, cromaticamente fluida; e Davide Rivalta raggiungeva esiti poetici ed estetici particolari con un wall drawing in cui Rinoceronti ispirati dalla lettura del Milione di Marco Polo galleggiano, preistorici ed arcaici nella potenza semantica e sintattica del suo segno, su un’ampia parete della Sala Riunioni dell’Autorità portuale, che si apre così ad effetti scenografici dettati dalla studiata divaricazione della traiettoria prospettica. Leonardo Benevolo concludeva il suo testo su L’architettura del nuovo millennio con una grande attenzione alla tettonica infrastrutturale mentre sono di estrema attualità e significativa portata storica i dieci progetti dei grandi architetti, da Jean Nouvel a Bernardo Secchi, invitati a riprogettare l’urbanistica, le infrastrutture e la viabilità di una metropoli come Parigi. In Italia, la legge 717 del ’49 si appresta ad essere abrogata e confluire modificata nell’articolo 10 del Disegno di Legge sulla Qualità architettonica dal Governo attuale; e in un momento in cui storici dell’arte e critici sono tutti d’accordo che l’arte sia arrivata ad un punto di saturazione del postmodernismo quale espressione e sinonimo di una società tecnologica, tardo capitalista e consumista, ora in drammatica crisi che si spera almeno apra a diverse opportunità artistiche di nuova autenticità. Giulio Carlo Argan nel suo testo L’integrazione di architettura, pittura e scultura indicava già, con saggezza chiaroveggente, il nodo cruciale con il quale si confrontano oggi, all’inizio del XXI secolo, le arti e, di conseguenza, la nostra ri cerca: egli segnava già un viatico che individua nella progettazione unitaria delle arti un sensibile rinnovamento di esse in funzione sociale. E’ importante, allora, iniziare a progettare in maniera unitaria, perché una modernità autentica e nuova delle arti, socialmente funzionale e significativamente relazionale, potrebbe proprio rinascere da questi presupposti e dalle parole di Argan a cui lascio, un po’ provocatoriamente, la conclusione: “l’integrazione delle arti costituisce un’esigenza vitale della cultura artistica moderna e del suo sviluppo nel senso di una maggiore funzionalità sociale dell’arte […] Una delle obiezioni più frequenti contro la tesi, teoricamente inattaccabile, della cooperazione in fase progettistica è che, in questo modo, sarebbero gli architetti a scegliere gli artisti e ad approvare o respingere il loro lavoro. Se lo scopo non è di distribuire un po’ di denaro tra gli artisti, ma di giungere a risultati artistici di valore, è inevitabile che sia così. ” Franco Gazzarri Responsabile Progettazione e esecuzione lavori del Comune di Venezia Mi fa piacere che Venezia sia considerata significativa in questo campo, nella sua specificità. Quelle che vi mostrerò sono sostanzialmente due esperienze di applicazione della legge 717/1949, avviate tra il 2002 e 2005, una ultimata, cioè arrivata alla realizzazione dell’opera, quella relativa al nuovo cimitero di San Pietro in Volta, e una invece, quella relativa alla Nuova Cittadella di Giustizia, ancora in corso. Per quest’ultima sono stati selezionati gli artisti e, una volta ultimati i lavori edilizi, dovranno essere realizzate le opere d’arte. Come formazione sono architetto e sono dirigente del Comune di Venezia nel settore dei Lavori pubblici; vi parlo, pertanto, in base all’esperienza come tecnico funzionario della pubblica amministrazione, in qualità di responsabile di procedimenti - la legge nazionale italiana ha individuato una figura, che si chiama responsabile unico del procedimento, che deve seguire il procedimento di opera pubbli ca in tutte le sue fasi, dalla fase di programmazione, alla fase di progettazione, fino alla fase di appalto e poi di realizzazione - nonché di tecnico responsabile della progettazione e direzione lavori. La legge 717 del 1949 non è certo perfetta, però è una legge che può essere applicata con alcuni piccoli accorgimenti operativi. Questi accorgimenti sono interpretazioni del quadro normativo, che possono essere discrezionali da parte del responsabile del procedimento, e possono migliorare l’applicazione della legge stessa. Il problema di fondo, secondo me, è che la legge viene applicata poco. Personalmente preferisco avere la presente legge, che mi garantisce, se bene applicata, comunque, un procedimento “ad evidenza pubblica”, ovvero un procedimento concorsuale, la non discrezionalità delle scelte, piuttosto che un quadro normativo che lascia ampio margine alla discrezionalità, come mi sembra di capire dai disegni di legge in discussione. Come spesso succede in Italia, la legge c’è e, se fosse applicata, potrebbe funzionare, purtroppo non viene applicata e forse il problema è farla applicare di più. Mi permetto di fare un’osservazione all’architetto Anna Maria Tatò, nella sua figura di funzionario ministeriale: perché l’Osservatorio dei Lavori Pubblici, nella verifica campionaria delle schede relative a lavori pubblici, non verifica che il quadro economico contenga l’applicazione del 2% ? E perché, nella fase di collaudo, non si propone di verificare anche l’applicazione della 2%, quando obbligatorio? Questo sarebbe già un buon sistema per estendere l’ applicazione della legge e l’arte pubblica. Spiego per i non tecnici: tutte le opere pubbliche devono essere rendicontate all’Osservatorio Lavori Pubblici del Ministero, attraverso un sistema informatico, applicando una procedura complessa; all’interno di questa procedura informatica deve essere indicato, tra l’altro, il quadro economico dell’opera. Voi sapete che la 717 prescrive che, per le opere pubbliche di nuova realizzazione, il quadro economico debba contenere un accantonamento del 2% dell’appalto per opere di abbellimento artistico. Il Ministero, pertanto, potrebbe avere la possibilità di controllare se le amministrazioni applicano il 2% oppure no; successivamente, all’interno del quadro sanzionatorio previsto, ci potrebbe essere il coinvolgimento del responsabile unico del procedimento, una volta evidenziate alcune inadempienze, ad esempio nel caso di collaudo dell’opera senza applicazione del 2%. Questa è un’ipotesi, all’interno del quadro normativo esistente, di stimolo per l’applicazione della legge. Veniamo adesso alla presentazione delle esperienze. Questo che vedete è l’ampliamento del cimitero di San Pietro in Volta. San Pietro in Volta fa parte di Pellestrina, che è l’isola lunga e stretta che separa, con il Lido, la laguna dal mare. Nel 2003, in occasione dell’ampliamento del cimitero, abbiamo applicato la legge del 2% per realizzare un’opera d’arte per il nuovo cimitero. La cifra stanziata era limitata, circa 32.000 euro. Il concorso ha previsto diverse fasi: la fase della pubblicazione del concorso attraverso il bando, le fasi di selezione degli artisti, di realizzazione dell’opera, di comunicazione. Relativamente alla pubblicazione, c’è un aspetto importante da sottolineare: prima fase di è evidente che l’artista non sempre va a vedere le affissioni all’Albo pretorio del Comune o legge i giornali sui quali la pubblica amministrazione è tenuta a pubblicare l’estratto del bando di gara, quindi, contemporaneamente alla pubblicazione istituzionale, abbiamo attivato una serie di comunicazioni specialistiche nei siti più importanti nel mondo dell’arte, ad esempio utilizzando il network UnDo.net. Con una pubblicazione diversificata abbiamo avuto, sia nel caso di San Pietro in Volta, sia nel caso della Cittadella, una presentazione di domande di partecipazione consistente: il che significa che gli artisti riescono ad essere informati se la comunicazione avviene anche attraverso organi di comunicazione che non sono solo quelli istituzionali legati al settore degli appalti pubblici. Nel caso di San Pietro in Volta abbiamo avuto circa settanta domande di partecipazione; all’interno di queste domande la commissione ha selezionato cinque artisti, che hanno avuto un rimborso spese per la presentazione del bozzetto di idea artistica. La commissione è molto importante. Intanto, a mio parere, è importante che sia nota all’inizio, con la pubblicazione del bando stesso; anche se, su questo punto, il dibattito è aperto, in quanto, a livello di gara pubblica, è bene che la commissione di un concorso non sia conosciuta prima dell’apertura delle offerte. Si ritiene infatti che i membri della commissione potrebbero essere contattati dai concorrenti e spinti verso una determinata scelta. Nel caso di applicazione del 2%, però, è significativo, da parte di un artista, conoscere prima Pietro, quando è stato chi giudica; per questo motivo il bando di San pubblicato, conteneva già la nomina della commissione. Per San Pietro la commissione era costituita dal responsabile unico del procedimento, dal progettista dell’intervento, da un artista – la legge parla di due artisti di chiara fama nazionale; anche in questo caso abbiamo dato un’interpretazione più attuale del contesto artistico contemporaneo, un po’ discrezionale, ma, riteniamo, rientrante all’interno del quadro normativo vigente e quindi non suscettibile di ricorso e di contenzioso; abbiamo scelto un artista veneziano, perché l’intervento è riferito ad una piccola comunità, periferica della realtà veneziana; ma come secondo rappresentante, secondo intellettuale, non tecnico, coinvolto nella scelta, abbiamo optato per un curatore, un critico, nel caso specifico Vittorio Urbani che è il Presidente dell’Associazione Nuova Icona di Venezia, che forse alcuni conoscono - poi vi era un rappresentante della Sovrintendenza ai Beni Artistici, per un totale di cinque elementi. Abbiamo fatto partecipare ai lavori della commissione, senza diritto di voto, anche un rappresentante della Municipalità di Pellestrina. La giuria ha indivi duato cinque artisti, che erano: Stephan Dornbusch, architetto tedesco di Berlino, Maurizio Pellegrin, Olga Gabrielli, Terry Smith da Londra e Peter Johansson, svedese. Gli artisti dovevano presentare un bozzetto; vi presento ora due progetti: questo è il progetto presentato da Peter Johansson, l’artista svedese, un po’ nazionalpopolare-pop-kitsch; la sua idea era la collocazione, lungo la rampa di accesso ai campi inumatori sopraelevati sul piano di capagna, di una fontana che sprigiona vapore e crea una barriera di 50 cm di altezza da oltrepassare salendo o scendendo. L’artista vincitore è stato l’architetto Stephan Dornbusch e ciò mi ha fatto piacere perché, secondo me, è riuscito a inserire la sua opera all’interno dell’intervento architettonico. Il l avoro trae idea da Italo Calvino, s’intitola Nella lontananza così vicino, con riferimento ad una delle Città invisibili, Despina. Si tratta di una serie di oggetti che l’artista colloca in diverse posizioni del nuovo cimitero; questi oggetti fanno riferimento ad alcuni concetti astratti, ad alcune idee generali - sviluppo, comunità, leggerezza e celeste - ad esempio azzurro è un pannello metallico che fa da sfondo alla rampa, sviluppo è rappresentato da oggetti seriali, legati alla forma della fabbrica, delle case, collocati sulla rampa in corrispondenza dell’ossario comune. E’ un lavoro che riesce ad esprimere, a mio parere, il senso civico di una comunità, dialogando con lo skyline dell’abitato di San Pietro in Volta, che fa da sfondo all’opera attraverso l’apertura sul muro di cinta del cimitero. Il problema del rifiuto dell’opera d’arte è un problema forte. Questo problema è emerso in maniera molto evidente nella seconda esperienza che illustrerò, quella della Cittadella della Giustizia. Per San Pietro in Volta abbiamo pensato di prevenire tale rifiuto, avviando un’azione di animazione locale e promozione. Tenete presente che la comunità di San Pietro in Volta è una comunità abbastanza piccola e marginale rispetto alla città ‘cosmopolita’ che è Venezia, aperta al mondo dell’arte contemporanea, quindi abbiamo pensato di coinvolgere uno dei cinque artisti che era stato selezionato, Olga Gabrielli, in un’operazione di laboratorio di partecipazione con la comunità del luogo. L’intento era quello che i bambini dovevano spiegare agli adulti, ai genitori, l’opera d’arte, quella che avrebbero trovato una volta aperto il nuovo cimitero. Sono stati affissi e distribuiti manifestini anonimi, una settimana prima dell’inaugurazione; l’isola è stata riempita di posters, con tante figure diverse che facevano riferimento ai temi delle opere di Stephan Dornbusch - sviluppo, comunità, leggerezza e celeste -; la gente doveva incuriosirsi a tali raffigurazioni, chiedersi cosa fossero, solo alla fine avrebbe ritrovato quegl i oggetti rappresentati, in forma fisica, nel nuovo cimitero. Abbiamo poi organizzato un laboratorio di animazione con Stephan Dornbusch e i bambini della scuola media, in collaborazione con gli insegnanti, stimolando i bambini a fare disegni sugli stessi temi. Erano stati predisposti dei libretti: nei libretti c’erano le figure dei posters e i bambini dovevano integrarli con i loro disegni sugli stessi temi. Alla fine dell’esperienza di laboratorio abbiamo organizzato una mostra, in concomitanza con l’apertura del cimi tero stesso. Ci sono state quindi la cerimonia di apertura del nuovo cimitero, la messa, la benedizione e, subito dopo, l’apertura della mostra, con relativo rinfresco pubblico organizzato dagli anziani dell’isola, dove erano esposti i cinque bozzetti degli artisti selezionati, compreso quello dell’artista vincitore, e poi tutti i lavori dei bambini realizzati nella settimana di laboratorio. In questo concorso la partecipazione era importante, del resto l’opera d’arte contemporanea, che effettivamente ha perso il contatto immediato con la gente, rischia di essere un’operazione l’operazione intellettuale di abbellimento e autoreferenziale; artistico prevede risulta anche strategico un momento se di partecipazione di questo genere. La seconda esperienza che vi mostro è stata più significativa in termini finanziari e di coinvolgimento dei soggetti. In questo caso l’applicazione della legge 717 riguarda la Nuova Cittadella della Giustizia, i cui lavori di realizzazione sono in corso. Questo concorso nasce nel 2003 ed era stato anticipato dal convegno organizzato dal Comune di Venezia insieme all’Università Iuav nel 2004, sul tema del “dueXcento”. In quella occasione abbiamo presentato il concorso. che è stato bandito subito dopo. Il bando di concorso è stato redatto da Marco De Michelis, critico d’arte, docente IUAV e coordinatore scientifico dell’evento, insieme al sottoscritto. Il modello di bando è stato tratto dall’esperienza di Salerno, dove stanno realizzando il nuovo palazzo di Giustizia su progetto di David Chipperfiled. Ricordo che il Comune di Venezia sta realizzando l’ampliamento del cimitero di San Michele su progetto dello stesso architetto, vincitore di un concorso di progettazione, dove speriamo, tra qualche anno, di applicare il 2%, accantonato nel quadro economico. Parlando, appunto, con lo studio di progettazione, abbiamo ripreso quello che stavano facendo a Salerno, proprio per il Palazzo di Giustizia. Il bando di Salerno, redatto con il coordinamento di Achille Bonito Oliva, prevede, per la scelta degli artisti, due diverse sezioni: una sezione libera e una sezione ad invito. Nel nostro caso abbiamo individuato due aree all’interno del progetto: un’area per la sezione libera e un’area per la sezione invito. Sezione libera significa che gli artisti invitati sono scelti sulla base delle domande di partecipazione sulla base dei curricula trasmessi, mentre, per quanto riguarda la sezione ad invito, la commissione, che era già nota con la pubblicazione del bando, poteva proporre otto arti sti da invitare direttamente. Nel caso della Cittadella la commissione - altro aspetto importante – per quanto riguarda la sua costituzione, prevedeva la nomina di membri effettivi e membri supplenti, che hanno partecipato, fin dall’inizio, ai lavori della giuria. La commissione, infatti, deve decidere in compresenza di tutti i membri nominati; quindi, in caso di assenza di qualche membro, non può prendere decisioni e deve essere riconvocata. I membri supplenti nominati sostituivano il membro effettivo risultato assente il giorno della convocazione. La commissione era costituita da sette membri: il progettista che è Pietro Mainardis – il progetto della Cittadella è di Cappai e Mainardis e dei giovani Cappai/Segantini -; il direttore dei Musei Civici Giandomenico Romanelli; il rappresentante della Sovrintendenza ai Beni Artistici Ettore Merkel; il Presidente della Corte d’Appello, in qualità di rappresentante dei destinatari/utenti, che poi ha delegato un sostituto; il curatore scientifico dell’evento Marco De Michelis; infine, anche in questo caso, anziché due artisti di chiara fama, un critico-curatore che era Carlos Basualdo e un solo artista, Michelangelo Pistoletto. I membri supplenti, che poi sono intervenuti nella selezione in quanto, in una delle due sedute, alcuni dei membri effettivi erano mancati, erano Angela Vettese, Margherita Guccione e Carlo Cappai, quest’ultimo come rappresentante dei progettisti. In questo caso l’ordine di grandezza economica del concorso è consistente. Lo stanziamento per i l 2% è stato calcolato soltanto sugli edifici di nuova costruzione – e non sugli edifici oggetto di recupero – esso ammonta a circa 529.000 euro. La sezione libera del concorso interessa il nuovo edificio di entrata, lungo e stretto; la sezione libera prevede la collocazione di un opera d’arte nella hall di ingresso, che è il luogo identificato con il numero 1; mentre la sezione ad inviti riguarda uno spazio scoperto, che è il numero 2 della pianta, una specie di piazza di raccordo tra i diversi corpi di fabbrica. Nel caso della collocazione n° 2 il bando prevede che l’artista selezionato definisca, assieme agli architetti, il progetto esecutivo della piazzetta inserendovi l’opera d’arte prevista. Sono pervenute circa 200 domande, anche qui facendo una buona comunicazione non limitata agli organi istituzionali. Sono stati poi selezionati gli otto artisti della sezione libera: Remo Salvadori Katrin Korfmann, Loris Cecchini, Jorg Mandernach, Mario Airò, Botto&Bruno, Marjetica Potrc, Jeanne Van Heeswijk. Per la sezione ad inviti i commissari hanno scelto otto artisti da invitare direttamente, e altri sette artisti sostituti, nel caso l’artista non avesse confermato la partecipazione. Gli artisti che hanno aderito sono stati sette: Dan Graham, Franz West, Mimmo Palladino, Giuseppe Penone, Alberto Garutti, Tobias Rehberger, Rachel Whiteread; tre quelli che hanno presentato la proposta di opera: Alberto Garutti, Giuseppe Penone e Dan Graham. Sette artisti della sezione libera hanno presentato il bozzetto, tutti tranne Loris Cecchini. Gli artisti, sia della sezione libera che della sezione ad invito, avevano un rimborso spese di 2.000 euro a testa e tutti i commissari avevano un gettone di presenza, come nel concorso del cimitero. Dimenticavo: il premio per il concorso del cimitero era 4.100 euro , circa 8 milioni perché era ancora in lire. Per la Cittadella il premio era di 20.000 euro per la sezione libera e di 50.000 euro per la sezione ad inviti. All’interno di questa cifra c’è anche la partecipazione dell’artista selezionato alla definizione commissione è progettuale stata assieme convocata agli all’interno architetti del progettisti. manufatto della La ex manifattura Tabacchi, vicino a piazzale Roma, interessata dai lavori di ristrutturazione per la nuova Ci ttadella della Giustizia. Tutto si è svolto nei luoghi interessati dai lavori stessi; la presentazione dei bozzetti artistici ai commissari è avvenuta organizzando anche una piccola mostra, che, nei giorni successivi, è stata aperta anche a soggetti esterni. Vi faccio vedere, ora, il lavoro di Alberto Garutti, che a me è piaciuto molto; in realtà, nella sezione ad inviti, è stato scelto Dan Graham, mentre per la sezione libera hanno vinto i due artisti torinesi Botto&Bruno. Vi mostro il video presentato da Garutti: l’artista ha previsto un captatore di tuoni che fa accendere una serie di display con la scritta “la legge è uguale per tutti”. Molto bello anche il lavoro di Penone: due piccoli disegni rappresentano due massi che hanno lo stesso peso, posti sui piatti di una bilancia, quella della Giustizia, in perfetto equilibrio tra loro; in uno dei due disegni la bilancia è posta dentro una vasca d’acqua; uno dei due massi è stato raccolto a monte in prossimità della cava, mentre l’altro è stato raccolto, a valle, in prossimità della foce, una volta che il masso, attraverso il rotolamento progressivo, si è dilavato e lucidato e ogni asperità è scomparsa dalla sua massa. Vi mostro anche il lavoro di Marjetica Potrc che prevedeva la collocazione di alcune fontanelle di acqua potabile, riciclando l’acqua del vicino canale. Questa invece è l’opera vincitrice della sezione libera, degli artisti Botto & Bruno: è un gigantografia fotografica di 23 m di lunghezza da collocare nell’ingresso del palazzo, tra le colonne dell’atrio, rappresentante le fabbriche dismesse di Porto Marghera. A questo punto volevo dire una cosa: pur con la massima accortezza abbiamo fatto alcuni errori; come spesso succede in Italia, la solerzia anziché premiare penalizza. Avevamo pensato di bandire il concorso all’inizio dei lavori, in maniera che le opere d’arte potessero interagire con l’architettura, coordinando il loro inserimento con gli archietti progettisti in fase esecutiva. Ma sono sopraggiunte complicazioni in fase realizzativa e si sono accumulati grossi ritardi vario genere, rinvenimento di resti archeologici, necessità di bonificare l’area. I lavori sono, pertanto, in ritardo e per problematiche di sarà difficile, a lavori ultimati, recuperare lo stimolo iniziale per gli artisti coinvolti, soprattutto per Dan Graham. La seconda difficoltà riguarda l’impatto dell’opera, l’accettazione da parte dei fruitori: è successo che, quando abbiamo mostrato l’opera di Botto&Bruno ai rappresentanti dei Magistrati, essa è sembrata troppo forte, di rottura, troppo legata ad un’immagine di degrado fisico e sociale. L’idea è, ora, quella di mantenere l’opera così com’è, ma collocarla, anziché in entrata, all’interno del bar previsto l’architettura e l’arredo del al piano terra dell’edificio, trasformando bar nell’opera d’arte di Botto&Bruno. Questa, infine, è l’opera di Dan Graham: è un gazebo di superfici riflettenti ed elementi a verde, che si interfaccia con le architetture e gli elementi vegetali presenti nel contesto. Ho finito, grazie della vostra attenzione. Elena Bastianin Servizio Affari legislativi e qualità dei processi normativi della Regione Emilia-Romagna Buonasera a tutti. Allora io passerò ad illustrarvi quella che è la bozza di un primo articolato di un progetto di legge che non è stato ancora presentato formalmente, ma che ci auguriamo avrà un esito positivo, riguardante –appunto – “Norme regionali per l’arte negli edifici pubblici”. Questo progetto di legge è il frutto del lavoro di un gruppo di studio interistituzionale cui io e il mio responsabile dott. Ricciardelli siamo stati chiamati a partecipare e che è stato veramente molto stimolante per l’interesse che queste tematiche hanno suscitato nel nostro lavoro: non capita spesso di dover tradurre delle istanze che vengono da settori diversissimi in un articolato di legge. Quindi, tentando di essere chiara -anche perché, visto l’orario, non so l’attenzione e la resistenza a che punto siano- mi aiuterò con delle slides per illustrarvi l’articolato. Và premesso innanzitutto che, nel predisporre questo progetto di legge, la Regione Emilia-Romagna si muove in una di quelle materie cosiddette di “legislazione concorrente”: come saprete, dopo la riforma costituzionale del 2001, c’è sostanzialmente una tripartizione nelle materie su cui lo Stato e le Regioni possono esercitare una competenza legislativa: quelle dove può dettare le regole solamente lo Stato, un secondo gruppo di materie - quale quella in esame - che sono a legislazione cosiddetta “concorrente” (in cui la Regione può l egiferare andando a specificare principi generali comunque stabiliti a livello statale) ed, infine, un gruppo di materie a legislazione cosiddetta “esclusiva residuale” (in cui la regione può dettare autonomamente la propria disciplina). Va premesso dunque che ci troviamo in un ambito in cui non abbiamo completamente le mani libere perché dobbiamo rispettare i principi dettati dalla normativa nazionale ed abbiamo avuto quindi come riferimento la disciplina della legge 717, le linee guida che sono state emanate nel 2006 ed il disegno di legge a promozione della qualità architettonica che è stato approvato dal consiglio dei ministri alla fine dell’anno scorso (che ancora dunque è in una fase diciamo non avanzatissima. Insomma, si tratta di un progetto che sta andando avanti, ma di cui non conosciamo esattamente la tempistica). Diciamo comunque che con l’iniziativa in esame la regione mostra una sensibilità che si è manifestata contemporaneamente anche a livello nazionale perché il gruppo di studio sul per cento per l’arte lavorava mi sembra di ricordare- già dal 2006. All’articolo 1 di questo progetto di legge vengono chiarite le finalità ed i principi che sono quelli di incentivare la realizzazione e l’acquisizione di opere d’arte negli edifici pubblici per favorire l’identificazione del cittadino con i luoghi pubblici, migliorare la vivibilità dell’ambiente urbano e incoraggiare i progetti che incentivino uno sviluppo armonico del territorio. Nella seconda parte dell’articolo 1 viene richiamato un principio contenuto nella legge che veniva menzionata già questa mattina (cioè la legge 16 del 2002), specificando che il progetto di legge sull’arte negli edifici pubblici è finalizzato anche al raggiungimento degli obiettivi della legge 16, ma precisando che i finanziamenti che siano eventualmente erogati dalla regione per promuovere la qualità architettonica attraverso l’inserimento di opere d’arte negli edifici pubblici e nelle aree di loro pertinenza, non possono essere utilizzate a copertura delle percentuali da destinare appunto all’arte nelle opere pubbliche di cui al successivo articolo 4. Si è colta cioè l’occasione per, da un lato, ribadire il principio già affermato nella appunto precedente legge 16 e, dall’altro, per chiarire il rapporto appunto tra questa nuova normativa regionale e la precedente. Quindi, i finanziamenti eventualmente emanati sulla base della legge 16 saranno finanziamenti ulteriori, non finanziamenti per andare a coprire questo obbligo. Per quanto riguarda l’ambito applicativo della legge si è chiarito, probabilmente con un eccesso di zelo (nel senso che non poteva che essere così), che ovviamente la legge regionale riguarderà le opere realizzate sul territorio regionale da parte delle pubbliche amministrazioni che non siano né statali né enti pubblici nazionali: questo perché sulle pubbliche amministrazioni che sono enti pubblici nazionali ovviamente non abbiamo una competenza legislativa diretta, essendo questa riservata allo Stato. Si sono invece comprese (in questo aderendo all’opzione accolta nel nuovo disegno di legge statale sulla qualità architettonica) nell’ambito di applicazione della legge non solo le opere di nuova realizzazione, ma anche le opere di restauro, quelle di ristrutturazione edilizia e quelle di ristrutturazione urbanistica richiamando le definizioni legislative nazionali che definiscono appunto il concetto di restauro, di ristrutturazione edilizia e di ristrutturazione urbanistica. Al secondo comma dell’articolo 2 invece si è, diciamo, posta l’enfasi su un caso particolare: e cioè quello in cui il restauro abbia ad oggetto un’opera che sia già di per sé di intrinseco valore artistico, abbia una sua unità storica perfetta. Se per esempio l’opera è frutto di un’artista famoso (l’esempio che si citava nelle riunioni dei gruppi di lavoro come paradigmatico era il Ponte di Calatrava a Venezia) si è specificato - appunto avendo in mente un esempio di questo tipo- che, se il restauro ha ad oggetto un opera di tal fatta, il semplice restauro è considerato sufficiente per l’attuazione delle finalità della legge, senza obbligo di destinare ulteriori somme. Ovviamente, si è riservata la valutazione di questi casi - che saranno comunque casi eccezionali - alla valutazione della commissione (che è la stessa commissione, nelle due diverse articolazioni, che è deputata alla scelta dell’artista cui affidare l’esecuzione delle opere d’arte) Nell’ottica di favorire la progettazione integrata -e quindi quel processo che anche stamattina veniva indicato come fondamentale per far sì che architettura ed arte si fondano in maniera proficua -è stato previsto che, sia che l’opera costituisca un’invenzione progettuale, sia che sia oggetto di restauro, valorizzazione o ristrutturazione edilizia, di norma l’inserimento dell’opera d’arte debba essere contemplata fin dal progetto preliminare. E questo anche quando si tratti di opere di design espressamente realizzate per l’opera pubblica, o di acquisizione successiva di opere d’arte: questo, appunto, come si diceva, per favorire in tutti i modi quella progettazione integrata che veniva anche stamane auspicata da più parti. Per rendere più pregnante l’obbligo di attuare la legge - quindi l’obbligo da parte delle amministrazioni di destinare il 2 per cento, o meglio la diversa percentuale che adesso andrò ad illustrarvi, alle opere d’arte- si è previsto che il progetto definitivo che non rechi previsione dell’opera d’arte o il relativo costo non possa essere approvato dagli organi competenti. Si è tentato così di rendere veramente stringente l’obbligo appunto dell’applicazione della legge, consapevoli e forti delle considerazioni sull’applicazione passata della stessa. Per quanto riguarda la percentuale per l’arte, si è graduata la medesima: invece che ritenere il due per cento da destinare all’arte una percentuale fissa, si è graduata la quota della spesa (sul modello utilizzato dalla legge tedesca): in questo modo le amministrazioni, dunque, destinano all’inserimento di opere d’arte una quota della spesa totale, come risultante dal computo metrico estimativo: non inferiore al 2 per cento per la parte di spesa totale da 500.000,00 euro a 5.000.000,00 di euro; all’1 per cento l’ulteriore parte di spesa fino a 10.000.000,00 di euro; allo 0,5 per cento per l’ulteriore parte di spesa totale eccedenti i 10.000.000,00 di euro. La soglia di esenzione al di sotto della quale la legge non trova applicazione è stata mantenuta sullo stesso livello fissato dalla legge 717 del ‘49 ancora in vigore: 500.000,00 euro (un miliardo delle vecchie lire). Si è previsto, quindi, come vi mostravo, un metodo non fisso del 2 per cento sempre, ma un metodo “a scaglioni” che è stato pensato anche per evitare i frazionamenti artificiali e artificiosi degli importi delle opere pubbliche. Anche in tema di individuazione dell’artista a cui affidare l’esecuzione delle opere d’arte si è inserita una previsione che vuole agevolare il più possibile la sinergia tra l’architetto e l’artista, dicendo che l’individuazione appunto dell’artista deve avvenire tempestivamente, di norma subito dopo l’approvazione del progetto preliminare. Ovviamente, fanno eccezione i casi in cui l’artista venga individuato nell’ambito del concorso di progettazione o del concorso di idee effettuato per il progetto perché in questi casi l’artista è individuato a monte ed è parte attiva della progettazione. Quindi questa fase di individuazione è anticipata addirittura rispetto a quanto previsto dal nuovo disegno di legge del governo (il cui articolo 10 fa riferimento al progetto definitivo per quanto riguarda la procedura di scelta dell’artista). Mi rendo conto, dalle considerazioni che sono emerse prima, che la scelta di differenziare la procedura sulla base del costo dell’opera forse non riscuote tutto questo successo, però il lavoro è perfezionabile. Noi abbiamo ritenuto ragionevole la scelta operata nel disegno di legge statale di differenziare la procedura sulla base del costo dell’opera d’arte, prevedendo appunto una commissione differenziata, composta di soli 3 soggetti (che sono il committente o un suo rappresentante esperto, il critico storico dell’arte nominato fra i membri dell’elenco cui vi dirò fra un momento e il progettista) se appunto il costo dell’opera d’arte è inferiore a 100.000,00 euro, mentre di ricorrere alla vera e propria commissione di concorso, e quindi a una procedura concorsuale, e se il costo dell’opera da realizzare è superiore a 100.000,00 euro. In questo caso la commissione è composta dal dirigente del settore lavori pubblici o responsabile dell’ufficio tecnico - cui spetta presiedere la commissione- il dirigente del settore cultura o responsabile del patrimonio culturale dell’amministrazione proponente, il progettista ed il rappresentante degli utenti dell’edificio (vi segnalo quest’ultima novità perché si è tentato, in questo modo, di dare enfasi agli istituti partecipativi su cui la Regione Emilia-Romagna ha sempre mostrato una rilevante sensibilità) e infine due membri scelti dall’elenco regionale per l’arte contemporanea nelle opere pubbliche. Non si è prevista la partecipazione obbligatori a del Sopraintendente, ma si è utilizzata una diversa formula perché, essendo il Sopraintendente un organo dello Stato ( mi spiace, dato che il sopraintendente stamattina aveva sollevato il problema, di non potergli dire di come avevamo pensato l’escamotage), non potevamo imporne la presenza con una norma regionale: si è quindi pensato di formulare la disposizione dicendo che ne viene richiesta la partecipazione e starà a lui poi accettare o nominare un esperto in propria rappresentanza. In mancanza, invece, si provvederà alla nomina di un ulteriore esperto fra quelli dell’elenco regionale per l’arte contemporanea. Quindi questo meccanismo di sostituzione del Sopraintendente che può nominare in sostituzione un esperto, un delegato o un ulteriore esperto dell’elenco regionale è stata studiata per garantire comunque che il numero dei componenti della commissione rimanga dispari, in modo che quando si vota si ha comunque la possibilità di avere una maggioranza. Ecco un’ulteriore disposizione innovativa (mi sembra qui di poter dare una risposta anche ad una sollecitazione che emergeva stamattina forse dal discorso dell’architetto Tatò): noi abbiamo previsto che, ad eccezione che per i me mbri esperti scelti appunto da questo elenco regionale, la partecipazione ai lavori della commissione sia senza oneri per la pubblica amministrazione. Questo, diciamo, da un lato, perché si tratta comunque di dipendenti pubblici e, dall’altro, perché si è comunque in un momento di tagli, ci si muove in un contesto di ristrettezza delle risorse. Insomma, garantire il risparmio di spesa è una finalità che ci è sembrata ragionevole. L’articolo 6 si occupa invece di demandare a un avviso della giunta regionale l’individuazione di un elenco regionale di personalità ed esperti in storia dell’arte, critica d’arte, architettura ed arte visiva che coniughino competenze tecnico-amministrative a conoscenza artistica; ai componenti inseriti in questo elenco verranno affidati gli incarichi di membri della commissione di cui all’articolo 5, comma 3 (che è quello che vi ho fatto vedere prima, cioè la commissione di concorso vera e propria, non nella forma semplificata). Per quanto riguarda la parte sanzionatoria, essendo la questione molto delicata perché la competenza regionale sulla parte sanzionatoria non è pacifica, abbiamo preferito riportarci al sistema sanzionatorio previsto dalla legge 717 il quale, come veniva ricordato stamattina, prevede che spetti al collaudatore accertare l’adempimento degli obblighi. Il procedimento per l’applicazione delle sanzioni viene dal progetto di legge regionale demandato alla definizione di un successivo atto della Giunta Regionale. L’articolo di chiusura, che riguarda il monitoraggio, prevede che per il monitoraggio dell’applicazione della legge la Giunta Regionale si coordinerà con l’osservatorio regionale per i lavori pubblici e con la direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici. E’ prevista la possibilità di concordare l’istituzione di una commissione comune e questa commissione ogni anno dovrà presentare alla giunta una apposita relazione sullo stato di attuazione della legge. Rita Finzi Ingegnere, Responsabile Servizio Ricerche e Progetti del Consorzio Cooperative Costruzioni di Bologna, Presidente del Concessionario DUC Bologna SpA, Presidente del Concessionario Terzatorre e Vice Presidente Lega Coop in vece di Mario Cucinella - Architetto Buonasera a tutti. In effetti io indegnamente sostituisco Mario Cucinella trattenuto a Parigi oggi che mi ha chiesto, visto che abbiamo vissuto insieme l’avventura della costruzione della nuova sede del Comune di Bologna, di venire a parlare dell’ episodio, perché di questo poi alla fine si tratta, dell’installazione di un’opera d’arte all’interno di questa realizzazione. Voi sapete, se non lo sapete ve lo dico rapidamente, perché elemento qualificante di questa vicenda la realizzazione della nuova sede del Comune in Bologna è un caso di finanza di progetto, sostanzialmente ormai da qualche tempo la Pubblica Amministrazione non dispone di risorse econo mico finanziarie sufficienti alle opere pubbliche, siano esse per la comunità siano esse per fini direzionali e quindi fa ricorso al capitale privato; quindi, con una gara l’amministrazione decise appunto in finanza di progetto di rivolgersi al mercato del capitale privato per realizzare la sua nuova sede. Il raggruppamento i mprenditoriale che io rappresento mi vede presidente della società concessionaria che ha realizzato questo intervento e che gestirà per 27 anni questa sede nuova del Comune di Bologna. Questo raggruppamento, Concessionario DUC Bologna SpA, vinse la gara con un progetto che avevamo affidato a Mario Guccinella nel 2004 quando Mario ancora era abbastanza sconosciuto a Bologna se non per la realizzazione e la progettazione delle gocce, delle famigerate gocce, uno dei primi esempi di architettura contemporanea di grandissima qualità che Bologna ha avuto e che poi ha deciso di eliminare. Noi abbiamo realizzato questo intervento del Comune finanziando l’opera attraverso un finanziamento di circa 100 milioni di euro che poi noi restituiremo alle banche nei prossimi 27 anni percependo dall’amministrazione un canone in base al quale appunto restituiremo il debito; questo è il meccanismo detto in modo molto semplice. Io poi sono direttore tecnico e direttore progetti speciali del Consorzio Cooperative e Costruzioni che è il capofila di questo gruppo di imprese di soggetti imprenditoriali che hanno costituito la società concessionaria e devo dire che in una vita professionale ormai molto lunga, la mia, francamente non mi è mai capitato di vedere in un quadro economico costituito dalla Pubblica Amministrazione, messo a base di gara per la realizzazione di un opera pubblica la somma del 2% per l’opera d’arte. Mai, perché per anni la Pubblica Amministrazione ha disatteso i contenuti della legge, per altro molto nota, quindi anche nella mia formazione diciamo giovanile di studente di ingegneria anche dagli esami del corso di laurea sapevo che esisteva questa legge, ma mai vista applicare. Ho poi sempre lavorato come privato e come privato cioè come costruttore e come costruttore, viceversa, siccome ho sempre attribuito in realtà a questa legge un significato importante e come privato nelle rare occasioni che ho avuto a disposizione ci siamo autodisciplinati o abbiamo proposto al cliente, al committente privato, di invitare una rosa di artisti, di selezionare, e questo lo potevamo fare in quanto privati; quindi, non una gara ma per inviti individuare e assegnare un premio e far realizzare l’opera dall’artista. Questo è avvenuto per la sede dell’ Unipol negli anni ’80, sede di via Stalingrado dove vinse Spagnulo questa gara ad inviti e c’è la sua scultura installata. L’altro caso è per la nuova sede della mia azienda: il Consorzio Cooperative Costruzioni, dove convinsi il nostro presidente allibito, grazie anche alla collaborazione di Maraniello il direttore di MAMbo, che ci aiutò a predisporre una rosa di artisti e anche in questo caso noi attribuimmo la vincita a due artisti su quattro invitati, perché piacquero ben due lavori e abbiamo realizzati. Uno è di Loris Cecchini e l’altro è di Graziano Pompili , ma a parte questo fatto, è importante dirvi che la sensibilità su questo punto è un sensibilità comunque presente, soprattutto in chi costruisce tanti oggetti e soprattutto in quelli di particolare significato per chi abita l’edificio, per il committente, per la natura del committente il fatto di fare una scelta in campo artistico e quindi di dare spazio a un espressione artistica è per me, io ritengo, una cosa abbastanza importante ed è comunque presente. Oggi, alla luce della normativa intervenuta della legge del ’49, in realtà si porta giustamente ad un integrazione fra valore dell’architettura e valore artistico culturale, quindi il contenuto che prima si attribuiva all’acquisto di un opera artistica oggi la si vede integrata, infatti prima era citato il caso del ponte di Calatrava. Io mi sono occupata di alta velocità dal ’92, per esempio, sulla Milano – Bologna dove il problema dell’opera d’arte non si è mai posto anche perché si è sempre detto: “noi abbiamo il ponte di Calatrava, l’asse attrezzato di Reggio Emilia progettato da Calatrava integrato nel contratto, perché Tav ha finanziato e ha pagato l’asse attrezzato di Reggio Emilia e lo scavalco dell’alta velocità e dell’autostrada con il progetto di Calatrava e a questo punto il problema è risolto”. La stessa cosa a un certo punto si pose con la nuova sede del Comune di Bologna. Perché? Perché in questo caso il soggetto attuatore non è la Pubblica Amministrazione. Questa è una legge rivolta alla Pubblica Amministrazione quindi il soggetto attuatore, in questo caso come d’ora in avanti secondo me sarà nella maggior parte dei casi, diventa il privato ossia colui che finanzia; per quello che dicevo prima che se l’amministrazione non ha i mezzi , se è il privato che finanzia e si sottrae di fatto alla applicazione della norma aiutato anche dal fatto che l’interpretazione più recente è quella che vede appunto un’interpretazione del contenuto artistico e culturale ampio e quindi nella stessa architettura si può vedere tale contenuto. Nel nostro caso però il privato che realizzava l’opera e che io rappresentavo a un certo punto si è posto il problema, anche perché Mario Cuccinella a un certo punto mi propose di rivestire di specchi una intera parete nella hall principale della sede del Comune di Bologna. Io il budget lo avevo ormai chiuso, avevo già degli extra costi dovuti a tante cose, fra l’altro al fatto che non potevo permettermi un solo giorno di ritardo nella consegna dell’immobile al cliente per la questione finanziaria, perché io dal tal giorno fissato avrei dovuto cominciare ad incassare il canone d’affitto dalla Amministrazione e di conseguenza avere consegnato l’opera per potere iniziare a restituire il debito alle banche. E questo è tassativo, altrimenti se vado in crisi con il rapporto con le banche è un problema e un grande deterrente per consegnare le opere assolutamente in tempo. Quindi, io non avevo più possibilità di “splaphonare” dal mio budget che era concordato con le banche ed era quello il valore che mi finanziavano, non un euro in più; ed è stato a questo punto che è scattata l’idea: siccome mi chiedevano una parete a specchio perché l’architetto aveva bisogno di un effetto di amplificazione di ri flessione del movimento di persone che entravano e uscivano dalla hall mi sono detta, perché non facciamo un opera di Pistoletto e rientriamo nel 2% e lo proponiamo all’Amministrazione? Essa potrebbe in effetti accedere a quanto previsto dalla legge! Sbagliatissimo, perché l’Amministrazione non poteva accedere assolutamente a nulla, perché non lo aveva messo nel quadro economico! Casomai ero io, concessionario, che avrei dovuto fare una gara pubblica per individuare l’artista… A questo punto feci approfondi re dal nostro ufficio legale tutto il tema e in effetti non c’era via di uscita, ma la cosa fu poi risolta, anzi l’ufficio legale mi di mostrò che l’edificio di Mario Cucinella aveva tutti i requisiti per poter sostenere che l’opera d’arte fosse la stessa architettura di Mario Cucinella, con particolare riferimento alla vela. Chi di voi ha presente l’edificio sa che c’è una struttura di carpenteria metallica che incarta i 4 edifici che costituiscono di fatto il complesso immobiliare e un graticcio metallico che ha una sua forza espressiva importante, con una funzione di un ombreggiamento di certe facciate e di copertura di tutta l’impiantistica che è sul tetto degli edifici ; e, questa che noi chiamiamo vela, ha anche un forte contenuto espressivo, è un’espressione artistica. In seguito, l’ufficio legale mi disse che con ciò saremmo stati a posto: io concessionario sarei a posto perché ho offerto all’Amministrazione un’architettura che comunque ha forti contenuti di espressione artistica di alta qualità, ma, nello stesso tempo, francamente debbo dire che al di là di questa interpretazione della legge giusta, che segue una un aggiornamento culturale ed è un modo contemporaneo e moderno dell’interpretazione dell’opera d’arte oggi , anche la stessa espressione artistica e sempre di più un insieme di espressioni artistiche che non sono solo la singola opera. Oggi si fa arte anche dialogando fra varie espressioni artistiche, il luogo dell’arte è il luogo dove si incontrano anche scultura, musica, pittura e sono tanti i fatti che insieme dialogano. E’ diventato tutto interconnesso e anche articolato e il fatto di pensare a un’ espressione artistica anche autonoma da inserire in uno spazio pubblico è, secondo me, una valenza importante, è uno stimolo ed è un elemento, un punto di grande interesse soprattutto per chi entra nell’edificio pubblico, soprattutto per l’utente visitatore, per la gente e, quindi, nonostante che alla fine fossimo assolutamente in regola rispetto al contenuto di questa legge abbiamo continuato su questa strada e, dopo avere incontrato Michelangelo Pistoletto e aver sentito la proposta della sua opera Mar Mediterraneo Love Differents installata nella hall del Comune di Bologna - è un grande specchio di 9 m e 50 x 3 che è a forma di Mar Mediterraneo cioè il perimetro di questo specchio sono le coste dell’Italia, della Grecia, dell’Africa del Nord e della Spagna che insieme rappresentano la metafora del luogo su cui si affacciano più culture e più paesi che debbono comunque dialogare fra di loro – abbiamo deciso per un opera su cui Pistoletto lavorava già da due anni come contenuto suo proprio, culturale e ideologico, pieno di messaggi e adatto, quindi, a stare anche nella hall di una Pubblica Ammi nistrazione. A questo punto, però, chi metteva le risorse per acquisire dalla fondazione Pistoletto quest’opera del valore di circa 450.000 euro? Non certo il concessionario e neppure il Comune di Bologna… E allora, in un paio di occasioni, ho avuto l’opportunità di fare vedere questo bozzetto fatto da Michelangelo e la Fondazione del Monte ha deciso che era un’opera di suo interesse e il prof. Cammelli, che ne ha apprezzato il contenuto, l’ha acquisito al proprio patrimonio della Fondazione e l’ha dato in comodato gratuito per la sede del Comune. Sostanzialmente io vi racconto di un caso che non c’entra niente con una buona prassi di applicazione della legge, ma che a seguito di una riflessione sulla applicazione di essa ha avuto poi questo esito assolutamente fortuito, ma fortunato, perché io credo che il Comune di Bologna, che ci farà penare per i prossimi 27 anni , sia avvalso di un punto di attrazione estetica, di un punto di contenuto e di valore molto importante. Grazie. M+M Artisti Buongiorno, siamo Martin de Mattia e Marc Weis e faremo questa mini conferenza sempre scambiandoci il ruolo. Cominciamo con un lavoro, un fiocco autostradale. L’idea del fiocco autostradale è d’integrare una curva di 360°gradi in un’ autostrada esistente come la A27, vicino a Vittorio Veneto e il progetto consiste nell’offrire all’automobilista la possibilità di lasciare l’autostrada e percorrere questa curva, che si vede qui in questo montaggio di foto shop. Lavoriamo su questo progetto dal 1996 tentando di realizzarlo passo a passo; e l’inizio è stato questo disegno tecnico che abbiamo fatto con un ingegnere, che ha fatto questo bozzetto rispettando tutte le regole e i limiti per costruire una tale strada. Nel corso del tempo, seguivamo una simulazione video e altri passi come per esempio questo libro che abbiamo pubblicato in cui tutte le date e le misure rilevanti per questo progetto sono poi stati pubblicati . Queste sono alcune immagini in questo libro e poi abbiamo anche fatto qualcosa per reperire i mezzi finanziari per questo progetto, perché come si può immaginare questo progetto è molto costoso e abbiamo bisogno urgentemente di soldi per realizzarlo. Naturalmente forse qualcuno si chiederà il perché di questo lavoro, ma di questo non vorrei parlarne, vorrei parlare più in che tipo di spazio si trova questo lavoro secondo noi: questo è un tema molto importante per gli artisti di oggi, a parte anche per lavori negli edifici pubblici è il tema dello spazio pubblico oggi , perché l’idea dello spazio è cambiato radicalmente come si sa anche leggendo filosofi francesi ormai si parla più di rete spaziale. Famoso è la metafora del rizoma, cioè di un apparato radicale che ormai vuol dire tutta un’altra immagine dello spazio rispetto alla classica piazza o alla classica architettura. L’esempio di questo nuovo concetto spaziale è presente nell’interno del corpo, della rete telefonica, o quella della strada che abbiamo elaborato con questo fiocco autostradale; tutti quanti sono reti individuali e con un rito anche specifico, anche a causa di questo l’idea dello spazio è vista con altri sintomi rispetto a l’idea dello spazio tradizionale; sintomi come la dissoluzione della differenza tra spazio pubblico e lo spazio privato, la comunione tra lo spazio vitale reale e lo spazio virtuale e la permeabilità tra spazio architettonico e l’interno del corpo umano, ad esempio. Adesso come affronta un artista di oggi questa nuova idea dello spazio? Noi abbiamo la metafora che, forse come artisti, si dovrebbe più o meno vivere come un virus o come anche un agente segreto in maniera camuffata, come un massimo adattamento al sistema per aprirlo, o per farlo scoppiare dopo essersi infiltrato. La meta sarebbe di creare spazi di libertà individuali e di mettere in discussione l’autorità del sistema stesso. Ora proponiamo un altro esempio: questo lavoro si chiama chiosco e l’edicola che è alla base di questo progetto era un vecchio chiosco che non funzionava più, noi abbiamo prodotto questo giornale Putin fatto dopo l’anno scorso, perché il primo giornale che è stato esposto qui si chiamava Bush ed era stato realizzato sulla base di una conferenza stampa che Bush aveva fatto dopo la cattura di Saddam Hussein 2003. Questo giornale è stato esposto in questo chiosco e poi, a una certa ora di un dato giorno è stato anche venduto, così questa architettura vecchia, questo chiosco, è stato da noi animato ed è stato inaugurato come deposito per questo giornale, ma ha significato anche un punto di partenza per la distribuzione di esso nella rete sociale. A seguire vi facciamo vedere solo opere che sono state realizzate con la percentuale per l’arte dei soldi dello Stato tedesco, però proviamo di farvi vedere che per noi la strategia dietro i nostri lavori è la medesima e proviamo lo stesso a mantenere la stessa meta che abbiamo già raggiunto nei nostri lavori liberi , che abbiamo illustrato prima. lavoro che facciamo vedere si chiama Buchstation, sarebbe come una stazione dei libri ed è un architettura abbiamo studiato insieme con gli architetti richiedendo loro di aiutarci per fare un architettura molto simile alla loro, quindi questa strategia di camuffamento c’è dentro. Si tratta di un grosso muro con circa 4000 libri che sono quasi vuoti e ogni anno i nuovi allievi di questa scuola superiore prendono uno di questi libri che possono adoperare come diari , magari anche co me libro di poesia, ma anche gli a mici e gli insegnanti scrivono qualcosa dentro essi e si distribuisce questo piccolo pezzo del lavoro a tutta la società scolastica, mentre, a poco a poco viene scoperta una grande immagine che è dietro i libri, un panorama che nessuno conosce ancora, solo noi naturalmente perché nessuno doveva esserci quando abbiamo costruito questo lavoro per mantenere questo segreto che sarebbe poi stato una sorpresa per tutti quanti . I prossimi lavori vanno più sotto la pelle dell’architettura. Per esempio, questo progetto si chiama Spalt, in italiano fessura o spiraglio. Questa architettura è fatta da un azienda austriaca e si tratta del largo ingresso di una assicurazione a Monaco: questo ingresso è tutto rivestito di pannellare, anzi di parquet, e quando si entra in questo ampio ingresso sembra di entrare in uno spazio fantastico costruito con un programma 3d de l computer. Lì noi abbiamo costruito un avvenimento temporale così ogni ora una porta di 7 m di altezza si apre per un minuto e mezzo per 2 minuti e scopre una immagine vitale, una natura quasi tropicale che cambia ogni ora l’atmosfera adattandosi alla trasformazione degli orari reali, cosicché se questa fessura si apre alle 8 l’atmosfera in è simile a quella di un mattino, identico alla sera, perché anche in queste i mmagini diventa buio e così ogni minuto. Ci sono anche piccole narrazioni e piccole cose che succedono: una coppia che si trova lì vicino a un albero, una persona attraversa l’immagine. Questo è un piccolo bozzetto e tutta la sceneggiatura è stata visualizzata in 3d al computer. Al centro di tutta questa storia c’è sempre un piccolo fauno onnipresente, che qualche volta non è visibile perché nascosto dietro un albero, o questo per esempio è un altro piccolo momento quando un uomo aspetta una donna giorno dopo giorno senza che ella arrivi. Lui aspetta e lei non viene. L’obiettivo di questo lavoro, come del successivo, è la narrazione nell’architettura che in Germania molto più forte che in Italia. In Germania l’architettura è molto astratta e talvolta non si capisce neanche di che tipo sia l’edificio quando vi si entra, se pubblico o privato e noi lavoriamo un po’ sull’ambiguità di questo tema e anche sul tema del tempo, su quando si arriva e quando si va via. Talvolta il lavoro scompare, talvolta di nuovo rientra nella vita. In un altro edificio dove abbiamo vinto un concorso con l’opera La mécanique e che era l’ufficio di immatricolazione per le automobili avevamo messo, anche se l’architetto non era molto contento, dentro l’interno dell’entrata l’immagine di un garage. Anche il nostro Sindaco non era molto contento, ma la cosa positiva è che da noi all’interno della commissione decide soprattutto l’esperto critico d’arte e lui pensava che il nostro fosse un ottimo lavoro. Quindi mettemmo un garage dentro l’edificio che quando si apre la sua porta avvolgibile mostra una donna, una famosa attrice di Monaco si chiama Barbara Rudnik, vestita come una meccanica che proprio molto tecnicamente spiega alcune idee sulle macchine per esempio come cambiare le ruote o come preparar la macchina per l’inverno cose molto utili, ma dopo due minuti questa porta si chiude di nuovo e rimane chiusa per quaranta minuti; e davanti a questa porta chiusa si sono sviluppati tanti dibattiti sul tipo di lavoro, ma non solo sul nostro ma anche su altri lavori come quelli di Santiago Serra o di Walter Maria, che sono lavori nascosti che non si vedono e che sono più da immaginare. Naturalmente sopratutto tra i politici ci sono sempre discussioni , tipo se ha senso pagare per un lavoro che si veda solo per due minuti. Se mpre sulla narrazione nell’architettura astratta moderna verte anche il prossimo lavoro che è un po’ nascosto i n una chiesa che è stata costruita nuova a Monaco. Questa chiesa, Herz -Jesu Church, non ha una cripta e noi abbiamo fatto cinque caverne profonde, l’opera si chiama appunto Fünf W unden, di cui ne mostriamo due: queste caverne sono piene di luci con delle fotografie anamorfiche che riportano cinque mo menti molto crudi della crocefissione, in particolare i momenti del giuramento di Cristo, cioè il momento come viene messo il chiodo, poi la prima botta, il chiodo nella carne, la ferita del petto nella posizione centrale. Questa è una narrazione quasi nascosta sotto il pavimento della chiesa e per noi è stato molto interessante pensarla come base di costruzione di una chiesa nuova come fossero ossa di un santo di 2000 anni fa, ma sull’immagine di oggi che è la realtà del dolore rappresentata dalla crocefissione affrontata con un’influenza di tipo filmico, di cui l’archetipo erano films tipo Pasolini , o altri films molto realistici su questo tema della crocefissione. Le immagini sono fotografie che abbiamo fatto fare noi proprio come su un set di film, quindi la chiesa adesso si basa su tutto un altro tipo di narrazione che lavora proprio su questa idea, di come oggi viene trasportato con realismo questo dolore e, infatti, il nostro lavoro molto spesso si pone sul confine tra la realtà concreta di spazi moderni e riti sociali e ma l’immaginario; e, quindi, la realtà cinematografica ci ha spesso influenzati tanto che proviamo anche di ideare un lavoro che unisca questa realtà simulata o falsa del cinema a quella della fantasia vera della nostra vita di carne e ossa. In seguito, siamo stati invitati a un altro concorso dal Ministero della Sanità statale della Germania per la realizzazione di qualche lavoro all’entrata del nuovo edificio del Ministero della Sanità, che è fatto in modo che solo il Ministro entri ed esca con l’auto, mentre dietro il vetro vi sono le persone che lavorano, dislocati in due edifici molto grandi accanto a questa entrata e quindi , per noi, si ponevano due temi su cui lavorare: il tema de corpo, che è un tema che ci interessa da sempre, e il tema del trasporto, interessante per altri versi. Questi temi ci hanno ricordato un film dove tutti questi aspetti sono molto contigui: è Viaggio allucinante dove una piccola navicella percorre i canali del sangue per salvare un politico da un embolo. Proprio dentro questa piccola macchina vi sono piccolissimi uomini e scienziati per salvare il politico, quindi noi abbiamo preso un’i mmagine del film, un frame, poi siamo andati dagli architetti che ne hanno tratto un disegno tridimensionale e in seguito un piccolo modello che abbiamo inserito dentro una struttura. Per esempio questa sarebbe una piccola bolla di sangue, mentre l’altro è poi un pezzo del cuore. Ora lo stiamo facendo gigantesco, alto 6 metri, e ci sembra di fare concorrenza a Moore, perché alla fine risulta un lavoro che sembra quasi di Henri Moore, e sarà installato la prossima settimana nel Ministero di Sanità. In Germania, a Monaco, hanno riflettuto anche tanto su questo tema cui stiamo parlando oggi , del 2 %, e lì hanno capito che per alcune nuove costruzioni non ne hanno bisogno, perché non ha senso per gli artisti lavorare su questi edifici tipo caverne, quindi hanno liberato 1% da questo 2% destinandolo a lavori liberi e temporali . Questa è stato una grande idea dell’Assessorato alla cultura di allora, che disse: facciamo l’ 1% in generale per l’arte negli edifici pubblici e l’altro 1% lo usiamo per eventi temporali e, secondo noi come artisti, è stata una cosa molto saggia, perché come già detto all’inizio, certi temi di oggi certi e certi spazi di oggi non sono gli stessi compatibili con gli edifici pubblici. Si tratta di temi che, sia per gli artisti, sia per la società, sono al di là della classica architettura o della classica piazza; anche noi abbiamo vinto una volta quattro anni un concorso per questo altro programma e avevamo fatto un lavoro che si chiama Dance with me, Germany. Si tratta di un lavoro anche un po’ italiano perché è una specie di cinema all’aperto nei spazi della periferia ove vi sono quattro teloni da proiezione su cui, attraverso una macchina con dei video, si vedono 4 film sincronizzati tra loro dando origine ad una narrazione libera e senza cronologia fissa. La produzione è stata anche come una produzione di un film cinematografico, ma con un tema molto specifico per Monaco, ossia fatti su ispirazione della storia di un giovane turco, un criminale che è stato trasferito da quattordici anni in Turchia. Quindi, il tema per noi era la ricerca dell’identità di un individuo in un paese straniero e un’ulteriore ispirazione l’abbiamo avuta dal nostro soggiorno a Roma, quasi 10 anni fa siamo stati a Roma per un anno, dove c’era una forte interazione tra luogo e narrazione - per esempio si stava vicino al Colosseo e si vedeva Ben Hur - e per noi questo strano misto tra la narrazione di un fil m che tratta un tema nello stesso luogo del film era una cosa molto interessante e abbiamo sempre pensato che questa comunione tra le realtà e le immagini è qualcosa di molto ispirante. A noi è piaciuto accostare il mito e spazio pubblico della televisione e del cinema allo spazio pubblico della piazza esplorandone i confini mettendoli l’uno vicino all’altro. Quindi queste sono le nostre idee sulla modalità di fare arte nel spazio pubblico. Non so, abbiamo messo tutto insieme come un’insalata mista da cui, speriamo, che si estragga qualcosa. Grazie. Concetto Pozzati Artista, già Professore dell’Accademia di Belle Arti di Bologna Io sono qui da vecchio pittore, non mi sono mai sentito un politico e faccio fatica a scegliere, perché sceglierei altro. In questo importante convegno, scusate se faccio un po’ di polemica visto che siamo rimasti in pochi e i grandi capi se ne sono andati via probabilmente, cos’è che non vedo? Architetti pochi, non vedo artisti, se non pochissimi e fortunatamente siamo stati gli ultimi a parlare perché ho così avuto la fortuna di sentire due colleghi, ovviamente più giovani non solo di età ma più giovani anche di eidetica, se non di ideologia in certi momenti , quindi sono stato affascinato; e come sono stato affascinato dai lavori di Venezia di Gazzarri, dove mi sembrava di aver già superato finalmente questa legge del 2% di cui io, essendo anziano, ho delle me morie terrificanti di questa legge e quindi alla lunga parlerò anche delle memorie terrificanti e non solo di un possibile futuro della legge, di una sua modificazione, di una possibilità di integrare con il falso e il vero. Non è solo arte applicata all’arte, come abbiamo sentito dire anche stamattina, ma è arte che produce arte: questo è il problema di fondo, il tema, e questa legge del 2%, ovvero quella che dovrebbe essere la percentuale per l’arte degli uffici pubblici come recita il titolo di questo convegno, abbiamo sentito che è spesso disattesa o addirittura integrata con abbellimenti artistici invece di opere. O ancor meglio, mancano di artisti ad invito che creino anche collezioni se non video – biblioteche, didattica d’arte e laboratori, cioè manca l’investimento in cultura e progresso. E invece abbiamo avuto la dimostrazione anche da Roma che ci doveva essere un mi glioramento della qualità dell’edilizia attraverso l’intervento artistico esaltando il vecchio sodalizio fra le arti e l’architettura. Argan, l’abbiamo sentito giustamente citare oggi, ha avuto anche un'altra visione: Argan parlava della cultura generale del progetto che deve avere risultati imprevedibili rispetto alla sua stessa progettualità. C’è un bell’incrocio ed è affascinante questa cosa: in quanto deve galleggiare uso parole sue - lo sfruttamento creativo dell’ambiente. Però, come siamo diversi dall’edificare solo. Un pensiero dunque, un pensiero e una forma, augurandomi che l a stessa forma crei pensieri . Le opere non devono esser casuali , abbiamo sentito giustamente, ma non devono nemmeno essere che come è di moda, soprattutto in certo design che propone “texturizzazioni” decorative indifferenziate; proprio la “texturizzazione” del mondo ha dato origine a una mania, la convinzione che cambiando textur al mondo cambi il mondo. No, è come cambiare vestito. Questi pensieri devono essere sempre inseriti, ovviamente, nella progettazione di entrambi gli artisti e dico artisti , architetto e artista, perché artista è una parola molto forte. Io desidero sempre dire più specificatamente visual-design, o pittore, insomma la parola artista è cosa rara è difficile, però tentiamo di dirlo lo stesso con garbo, come recitano le linee guida che sottolineano come deve esistere un rapporto linguistico, formale e funzionale, tra le cosiddette architettura si sono integrate e allargate classi, ma pittura, scultura, pur esistendo nello specifico, ovviamente, ma dilatate. L’abbiamo visto anche in istallazioni, in video istallazioni in funk arte, in foto, in lavori fatti con il plotter, in visual-design etc, quindi siamo già certi per fortuna che non si pretende si facciano più, come un tempo, fontane, mo saici, pannelli, pittorici e bassorilievi . Se ricordo bene, nella commissione erano citati e spesso presenti due artisti di chiara fama, anche se io credo sia molto difficile individuare chi abbia “chiara fama”; Argan, come critico rispetto a certi giovani rampanti molto più noti di lui era sicuramente di chiara fama, anche se mi continua a essere difficile individuare che cos’è la “chiara fama”. Io parlo di qualità e di pensiero semmai , ma quello è un altro tipo di discorso, però nelle Linee guida erano presenti due artisti di chiara fama nominati dall’amministrazione e sicuramente è già un salto di qualità rispetto al passato, ma, perdonatemi con tutto il rispetto essendo stato amministratore, l’amministrazione, escluso rari casi, ha il potere di dire quale artista è di chiara fama? E soprattutto adatto a giudicare quel tipo di concorso,ma siamo proprio sicuri? Per non parlare dell’iter procedurale dei rimborsi che non lo sto a fare. I grandi concorsi con forte denaro vengono vinti da artisti che possono investire e che sono già ricchi , è notorio questo. Se ci guardiamo in giro per la nostra Italietta, vediamo questo, e che poi la legge del 2 per cento e l’architettura abbiano favorito l’arte contemporanea - ho detto che ho gli occhi dietro la nuca in questo momento - è una delle menzogne più corpose, perché basta guardare al dilettantismo, alla mediocrazia che veniva allattata fino a pochi anni fa, dove quasi tutto era in mano alle corporazioni sindacali di cui alcune addirittura inventate ad hoc, di volta in volta, per ogni concorso. Mi è piaciuto molto avere delle belle notizie da Venezia, mi è piaciuto molto sentire i nomi di Garutti e Penone, cioè di artisti di un'altra generazione che pur noi stimiamo moltissimo, e che il rapporto arte-città arte-ambiente muove i luoghi della modernità per un museo diffuso come la già citata metropolitana di Roma. Per la metropolitana di Roma siamo stati invitati direttamente dall’allora Sindaco e avevamo un art-director generale che coordinava tutti gli artisti e che era Piero D’Orazio, un grande artista, e tutti abbiamo avuto lo stesso gettone la realizzazione dei mosaici , anche se purtroppo postumi rispetto al progetto e anche di difficile visibilità, perché i mosaici sono tutti alti 10 m e sono quasi tutti curvati, o leggermente ad angolo, però tutti abbiamo avuto lo stesso gettone. In questo caso, forse non c’è stato un valore d’uso, ma probabilmente c’è stata una funzionalità didattica e un modo trasparente, dove il solo giudizio e “il potere” dell’artista era lasciato libero, non era scelto, ma sceglieva. Ottima anche la metro di Napoli. Chiedo scusa se faccio un po’ di biografia, ma sono stato vice presidente dell’Art Club, Presidente era D’Orazio, famosa associazione Severini addirittura, che al convegno di Torino del ’97 si è espressa sul 2% rappresentati da Nicola Carrino, attuale Presidente non a caso dell’Accademia di S. Luca e tenterò di fare unire le due cose. Già a Torino si parlò primariamente dei sindacati che hanno esaurito la loro funzione assistenziale, secondariamente che la finalità non era la faccia del mercato, ma quella della ricerca e dalla cultura; e terzo, qualsiasi spazio è uno spazio pubblico, che va interrogato per relazionarsi qualcuno. Carrino ha anche insistito sulla socializzazione dell’arte, eravamo negli anni Novanta dove si disse basta con i privilegi corporativi e assistenziali e per organizzammo l’incontro dell’Art Club a Palazzo Delle Esposizioni di Roma, dove si parò di committenza diretta, pur concorsuale ad invito, e dichiarammo che fondamentale e centrale era soprattutto l’opera dell’artista in quanto comunicazione del suo pensiero. Nel 2002 ricordo un convegno all’Accademia di S. Luca di Roma che voleva, come istituzione libera, adottare la legge stessa cioè la S. Luca è l’unico ente, l’ha citato anche l’architetto Tatò e lo scriveva addirittura sul giornale l’altro non so accademico avvocato Fabrizio Lemme, a carattere nazionale che si interessa in Italia delle arti figurative, come per le lettere e scienze l’Accademia Dei Lincei e per la musica la Santa Cecilia e non a caso il premio del Presidente della Repubblica viene dato insieme a tutte e tre. Scopo dell’Accademia di S. Luca sarebbe stato distinguere gli artisti di chiara fama e farne un el enco, altrimenti avremmo avuto decine di elenchi differenti. L’Accademia avrebbe potuto offrire anche l’alta consulenza alle Regioni, lo stesso per le nomine delle commissioni che privilegino la professionalità. Insomma, perdonatemi, io ho fatto un convegno nel 1979 a Bologna dove venne tutto il mondo dall a Nevelson a Tapies da Max Bill a tutti i più grandi artisti vennero. Bene, gli artisti da allora sono stati espropriati da tutto, non abbiamo nemmeno più il padiglione Italia alla Biennale di Venezia perché l’abbiamo fuori , perché per essere internazionali ed essere aperti bisogna dare il nostro padiglione alla mostra internazionale; chiedetelo al padiglione tedesco, o francese, inglese o a mericano se ve lo da… In questo sfacelo, chiedo scusa, di me morie e nella mediocrazia assistenziale ci sono stati molti esempi : ne abbiamo sentiti e non voglio più ripeterli tutti oltre la metropolitana di Roma e di Napoli già citate e il concorso al Museo MAXXI che ci è stato ricordato a Roma, fatto in due tempi per due luoghi, ma la scelta degli artisti idonei fu fatta attraverso dei books, attraverso una documentazione, e qui io ho dei dubbi : è già molto avere una documentazione piuttosto allora che la segretezza del concorso, no? E’ ovvio la segretezza del concorso addirittura era per motti pensate: una volta, se io volevo vincere un concorso sapevo che in quella commissione piaceva Turcato facevo un lavoro alla Turcato e vincevo, ma era invece di Pozzati, quindi mostruoso. E’ già un miglioramento il problema della docu mentazione, però sappiate una cosa: gli artisti, non tutti, ma gli artisti si modificano, possibilmente anche mensilmente, e quindi quella documentazione mandata e il lavoro che si realizzerà dopo un anno o dopo due anni o dopo due mesi non sarà più consona a quello che l’artista sta facendo, ecco dove ho il dubbio, ma è solo un dubbio ma è già un passo avanti anche quello della documentazione stessa, tutti gli artisti selezionati faranno un modello o hanno già fatto un modello del concorso del MAXXI che poi gli verrà pagato a tutti . Ottime le partecipazioni da Kossuth a Mochetti… Ottime e vorrei citare una cosa che qui non è stata ricordata: qui a Bologna abbiamo fatto il concorso, dal punto di vista metodologico, più importante e anche con i i mportanti no mi direi, ma è stato più innovativo perché eravamo agli inizi degli anni ’80. E’ il famoso concorso delle fontane voluto dalla Diga di Ridracoli per tutte le città della Romagna, ossia chi vinceva aveva questa enorme fontana scultorea in tutte le città della Romagna. Si trattò d’inviti mirati prima solo a 10 scultori pagati ognuno all’ora per il bozzetto 10 milioni di lire. Non ci ricordiamo questo concorso? Dal punto di vista metodologico ripeto è stato tra i più trasparenti e i più affascinanti, perché non solo gli artisti erano notissimi , e ovviamente anziani, grandi maestri da Minguzzi a Cascella da Somaini a Ghermandi che vinse, da Fabbri a Alik Cavaliere e via dicendo…A parte, furono poi realizzate in più altre due fontane, quelle di Casella e di Somai ni, e tutta la collezione rimase alla Diga di Ridracoli dove c’è una collezione stupenda di dieci sculture; e poi ci sono 10 città che le hanno ospitate; e in più Cascella e Somaini, che erano piaciuti ugualmente, hanno realizzato un'altra fontana.. Insomma non era del tutto male come idea invitare direttamente e dare 10 milioni in partenza per il bozzetto. Ottimi, li abbiamo sentiti , i concorsi per la Caserma dei Carabinieri a Ravenna vinto da Uncini , ero in commissione per cui me lo ricordo bene come quello vinto da Maraniello a Rimini; ottimi come quello per i caduti di Nassirya da Spagnulo e anche per il teatro di Gregotti a Milano; c’è stata committenza con 10 artisti ad invito a Bologna, l’abbiamo sentito per il nuovo Mambo, ma era solo per la parte del prato. E’ stato un concorso di idee fatto addirittura nel 2005, ne ha parlato prima Dede Auregli, vinto da Eva Marisaldi e non ancora realizzato; abbiamo avuto la relazione del Comune di Bologna realizzato con fondi privati e non pubblici dove si è collocato un grande Pistoletto multietnico attraverso una donazione di comodato bancaria, quindi non c’è stata ovviamente committenza concorsuale, come non ci sarà, temo, per la nuova stazione di Bologna e come, invece, spero ci sia per Expò di Milano. I miei appunti stanno per finire, ma il mio era solo un lamento di un vecchio pittore. Il disegno di legge presentato dal ministro Bondi non migliora per niente, anzi l’articolo citato più volte, l’articolo 10, dice addirittura e spero che sia un refuso che “la percentuale non è inferiore al 2 per cento”, cioè cosa vuol dire non è inferiore al 2%? Che potrebbe anche essere più elevata per quote superiori poi a 500.000,00 euro? Abbiamo sentito che la commissione sarà composta dal rappresentante dell’amministrazione, dal progettista, dal sovraintendente, da un critico designato dal comune, da un direttore di museo o di accademia - ho insegnato 44 anni in accademia non sapendo il basso spessore della maggior parte dei direttori di accademia come, senza polemica assolutamente figuriamoci , ma di certa ignoranza sul contemporaneo di molti sovraintendenti perché non è la loro pagnotta non c’è niente di male - perché citare ancora queste cose mentre il progetto che abbiamo sentito poco tempo fa, il progetto regionale, è di gran lunga migliore: c’è visibilità del luogo per prima cosa, c’è vivibilità altra cosa importante, c’è il restauro inteso come opera, e oltre all’inserimento del design, propone che la percentuale vari da 0,5 % al 2 %, propone un elenco regionale di esperti di figure istituzionali , io sono molto contento che si faccia un elenco di esperti , ma perché di figure istituzionali? Faccio un esempio, non c’entra col 2 %, ma il grande poeta Roversi di Bologna l’unico grande rimasto del periodo di Officina di Roversi, Pasolini, Leonetti, Scalia è uno dei più grandi poeti italiani non c’è dubbio, addirittura superiore a Zanzotto ecc. Bene, se ci fosse un concorso di poesia con lo stesso meccanismo non lo potrei chiamare perché non è istituzionale? In commissione? In giuria? Ma se è proprio quello che mi può dire la verità, allora non è detto che devono esser per forza sempre figure istituzionali, certo che devono essere esperti , ma se no, io che non sono più assessore, non posso andare da nessuna parte, no? Io che non insegno più all’Accademia, perché adesso sono in pensione, non posso andare più da nessuna parte, cioè non mi potete chiamare come pittore, no? Questo me lo chiedo però, perché l’opera qui è intesa in maniera alta, cioè l’opera è un segno-segnale della città che si identifica con la città, che la guarda, che la giudica e che viene giudicata, ecco questo mi sembra un apertura, anche intellettuale, molto alta; non è solo burocrazia, in essa si propone un unità delle arti come chiasmo a incrocio, quindi un dialogo tra specifici anche se, l’abbiamo detto, le classi dell’arte non esistono quasi più e il concetto della professionalità dell’arte si è dilatato. Credo che bisognerà allargare l’idea di utilità e usabilità dell’arte attraverso committenze rigorose e far applicare la legge, magari sburocratizzandola un po’; la legge, che spesso è stata disattesa, deve rifondarsi sulla centralità dell’opera, perché l’arte è sempre interrogazione e non arrogante esclamazione, l’arte non può essere solo edificatoria ma è un estratto eidetico che avrà gli occhi per guardare la città e per farsi guardare in quanto la cultura civile passa solo attraverso l’arte. CONCLUSIONI Gian Carlo Muzzarelli Assessore alla Programmazione e sviluppo territoriale, cooperazione con il sistema delle autonomie e organizzazione della Regione Emilia-Romagna Il convegno di oggi rappresenta una importante opportunità: mi impegna a riaccendere la memoria del passato, per ricordare le profonde e irripetibili esperienze della mia vita, gli incontri con tanti artisti al simposio del mio paese quando io ero Sindaco. Un giovane Sindaco di un Comune come Fanano, con tanti artisti come Ghermandi, Cascella, Argan e tanti altri che vivevano quelle settimane di passione che passavamo insieme. Allora ho maturato una parte della mia esperienza e anche delle mie relazioni umane; e in quei 15 giorni le relazioni umane erano prioritarie rispetto a tutto. Quindi, diciamo che “la legge del 2%” è una parte della mia vita, per il semplice fatto che è stata oggetto di riflessioni, di discussioni e di approfondimenti, ma anche di applicazioni, perché poi alla fine gli interventi li abbiamo anche realizzati. Ho ascoltato con interesse le relazioni di questo convegno, perché ovviamente sono coinvolte le emozioni ma anche la mia funzione di assessore regionale alla programmazione e sviluppo territoriale. Questo significa ricondurre il pensiero e la trasformazione del pensiero dentro ad un contesto di trasformazione della materia, in una società che cambia, in una società difficile. Potremmo parlare della crisi che rende difficile far passare oggi un principio di qualità, perché sta invece prevalendo l’essenzialità: non ci sono i soldi quindi facciamo solo questo, mentre invece dobbiamo fare uno sforzo aggiuntivo perché nei mo menti di difficoltà bisogna “tenere più alta l’asticella” e rigiocare la partita. Perché altrimenti si fa tutto brutto non solo perché non c’è denaro: si fa tutto più brutto perché quando agiamo per depressione il risultato non può essere quello della bellezza. E quindi abbiamo bisogno di ragionare in modo più profondo, e ringrazio l’istituto dei Beni Culturali, Claudia Collina, perché io credo che riportare a verifica anche le cose che sono state fatte sia un passo importante, una testimonianza importante, a prescindere dal fatto che poi “quel 2%”, come viene chiamato, sia stato applicato a fasi alterne, che ci siano stati momenti con le persone giuste che fanno la differenza, e dopo passato quel periodo si bloccava tutto, per cui la legge c’era, ma ogni tanto veniva applicata, ogni tanto no e quando c’era un determinato assessore si ripartiva, poi ci si rifermava. Noi oggi dobbiamo articolare una visione un po’ più completa per cercare di capire come inserire il 2% in una società che cambia: noi siamo in una fase non facile. Ho assistito anche in passato a discussioni tra gli artisti e gli architetti e noto che gli architetti sono artisti e gli artisti allora “si incavolano”. Ho passato nottate intere in discussioni che non portavano a nessun risultato perché alla fine anche lì quando le persone più intelligenti si mettevano insieme facevano grandissime cose: invece quando non si mettevano insieme si scontravano, se ne dicevano di tutti i colori e non si riusciva mai ad arrivare in porto. Perché poi alla fine quella fontana fatta dall’architetto era comunque sempre brutta, e così via… Quindi, è quando si fa sintesi anche tra questi mondi che aumenta la bellezza. E io credo che di bellezza noi ne abbiamo bisogno, così come abbiamo bisogno anche della legge regionale che modificherà la legge urbanistica. Dobbiamo inserire alcune riflessioni sui temi della qualità urbana perché abbiamo bisogno di assumere una responsabilità politica che è quella di ragionare nuovamente sulla città, e sulla sua qualità. Una città in cui inserire una comunità che cambia dentro una città che deve cambiare: luoghi vivibili, credibili, ai quali bisogna dare un senso. Quando noi parliamo di una società multiculturale parliamo di una città che esiste, non che non esiste, e che ha bisogno di spazi diversi, di dimensioni diverse, che ha bisogno di appartamenti più piccoli per l’anziano, per la giovane coppia e per chi arriva che ha bisogno di piazze che oggi non ci sono più, che ha bisogno di allungare le città rispetto al restringerle, che ha bisogno di ricreare gli spazi per cui, uno quando esce, non deve stare solo in mezzo alle macchine, ma ogni tanto deve ritrovare emozioni. Bisogna che riproviamo a ridare emozioni alle nostre città in difficoltà, e come si fa a dare emozione se non le ridisegniamo bene, se non le rifacciamo da un punto di vista architettonico, se non le costruiamo con le migliori caratteristiche antisismiche, di di certificazione energetica, ma anche di bellezza? A me personalmente non interessa se faccio un pi ano in più o un piano in meno: io ho bisogno di capire quella casa come è fatta e quella piazza e quel luogo che cosa trasmettono quando uno ci abita: depressione o prospettiva. Al mio paese, a Fanano, ci sono 150 sculture che magari nemmeno noto: però ogni tanto vi ripenso e quando vedo lo scarabocchio fatto alle 2 di notte da Ghermandi che ha provato a disegnare la mia faccia. Lui dice che ci è riuscito, quindi probabilmente è vero! Quell’opera è diventata per me una testimonianza, la tengo come una reliquia perché non rappresenta il Ghermandi ma rappresenta l’amico che la notte discuteva con me di mille cose e che trasmetteva a determinate persone un modo culturale di vedere le cose, e quindi aiutava a operare in modo diverso anche l’amministratore. Perché quello che è servito, quello che serve, non è solo la discussione architetti-artisti. Ricordo i “cenacoli” che si facevano negli anni 80 o ancor prima…a proposito di testimonianze di passi che ognuno ha compiuto, io nel 1993 parlai in un convegno a Modena intitolato “Oltre il 2%. L’arte negli edifici pubblici, ipotesi e prospettive”. Già allora discutevamo di questa cosa, e se io ripenso a quello che ho detto nel 1993, una parte di queste cose non sono ancora state realizzate. Ci abbiamo girato attorno, abbiamo migliorato, se volete con orgoglio dico che in Emilia Romagna abbiamo fatto qualcosa in più degli altri: tutto giusto e vero, ma non sufficiente. Non era sufficiente, per cui quando abbiamo discusso di queste cose avevo aperto un cenacolo autonomo invitando un centinaio di artisti modenesi dicendo loro: giorno se avete voglia di parlare, una volta ogni 2 mesi ci troviamo il tal nella sala del consiglio provinciale. Non venivano tutti, ma discutevamo. Io ascoltavo gli sfoghi anche duri, ma io il giorno dopo amministravo meglio, perché avevo assorbito una parte di cultura, quella che loro riuscivano a trasmettere quando trasformavano una pietra in un’opera d’arte; bisogna tramutare questo anche in provvedimenti legislativi. Per esempio noi abbiamo fatto la Legge 16/2002 e abbiamo cercato di recuperare una parte di edifici storico-artistici e abbiamo promosso la qualità architettonica del paesaggio. Abbiamo fatto questo, abbiamo fatto la legge 19/1998, insieme abbiamo iniziato a ragionare di opere incongrue, abbiamo iniziato anche a finanziare qualche demolizione di opere incongrue, insomma anche una politica dei piccoli passi serve, perché, come sapete, dopo 50 anni le opere incongrue diventano congrue e vincolate. Io ho vissuto, essendo originario della provincia di Modena, l’esperienza della Palazzina Puccini dietro l’Accademia, che è stata contestata da Sgarbi e dal mondo intero per tanto tempo e poi dopo son passati 50 anni e adesso è un’opera intoccabile; e, quindi, essendo intoccabile adesso è diventata bella, per cui quello che fino a 49 anni era una cosa brutta e contestata dopo il cinquantunesimo anno adesso è diventata un’opera integrata nella città ecc..quindi la cosa è anche complicata. Io credo che noi dobbiamo andare oltre il 2%, perché è l’impianto urbanistico - culturale che deve cambiare – lo si deve prevedere in modo autonomo. Quando parliamo della qualità urbana, è dentro quel contesto che dobbiamo collocare una intensa sensibilità artistica: ci sono le condizioni per ragionare e cercare di aumentare quella cultura della bellezza che è un antidoto anche alle azioni dei nuovi barbari. Abbiamo bisogno di ragionare con puntualità e superare gli slogan, guardando a una società che sembra sempre più orientata a privilegiare gli elementi individuali rispetto a quelli collettivi. I fenomeni sono anche evidenti: noi abbiamo risposto introducendo il tema della città contemporanea che deve provare a mettersi in gioco. Quindi la sfida che noi vogliamo provare è, anche con questa occasione, rimettere in gioco le città, per provare a cambiarle e ricreare spazi e contenitori collettivi. Questa è l’azione che porteremo avanti con la modifica della legge 20/2000. Concludendo, noi facciamo un’operazione che è culturale; nella modifica alla legge 20/2000 inseriremo una percentuale del 20% di edilizia sociale per qualsiasi intervento non residenziale - dalla demolizione alla ricostruzione alla riqualificazione di pezzi di città e inseriremo il 20% sociale. Perché noi faremo un'operazione di grande valore: so che molti non sono d’accordo, ma io credo che se vogliamo costruire una comunità nuova e unita dobbiamo prima costruire una città nuova ed unita, e quindi bisogna che noi tutti i cittadini li teniamo dentro alla città. Per cui l’edilizia residenziale e sociale dovrà essere “un pezzo della città dentro la città”, non fuori dalla città. Detta così, sembra facile, invece sarà difficilissimo: sarà una battaglia culturale. Già nella modifica della 20 inseriremo qualche approccio e riflessione sia sulla 16 che sulla 19, perché riteniamo che ci siano le condizioni per elevare il livello della qualità e della vivibilità delle nostre comunità. Sono convinto che la sfida dal fare bene al fare meglio sia importante e da assumere fino in fondo. Ieri sera mi ero preparato una breve relazione per oggi, ma come avete capito l’ho cambiata e ho parlato a braccio! E’ sul versante emozionale di ciò che siamo, della nostra identità, della nostra cultura e del nostro essere che dobbiamo lavorare per creare una città più pubblica, più avanzata. Su questo terreno dobbiamo fare uno sforzo per un miglior disegno urbano e una migliore qualità architettonica, compresa naturalmente la sicurezza degli edifici. I luoghi in cui viviamo devono diventare più emozionanti, attraenti, umani. Dentro a questa umanità c’è anche l’arte: anche stasera, per quella che è la mia competenza, assumo l’impegno di rafforzare questo asse tra arte e umanità: sono cardini del nostro essere cittadini ma soprattutto della stessa nostra esistenza. DIBATTITO PUBBLICO CONCLUSIVO Michele d’Aniello Scultore Come sappiamo, l’arte contemporanea ha un pubblico diverso dai cittadini. Chi lavora nel settore sa che chi compra l’arte contemporanea sono i collezionisti e non è la gente. Sono i grandi artisti che hanno grandi committenze e quindi entrano nelle strutture pubbliche quindi entrano nei grandi santuari dei musei di arte contemporanea e tra l’altro la gente non capisce. In realtà questa legge del 2% che da potere, in qualche modo all’arte di entrare nei luoghi pubblici, in realtà è estranea al pubblico. Io sono un artista, non voglio difendere gli artisti, ma voglio fare questa autocritica: un concettuale non rientra nello schema della gente, non lo capisce. Certo gli artisti da molto tempo non hanno la percezione del pubblico ma, come abbiamo detto, di un discorso individualista, ideologico come vogliamo dire, per cui da un lato le amministrazioni si sforzano di creare questo senso sociale, questo senso di vivere all’interno della società, d’altro lato opere che non c’entrano niente, cioè opere che non sono vissute come valori. Abbiamo visto la scultura di Serra che è stata rimossa e il mio professore Augusto Lenzi di Napoli fece un monumento che fu rimosso perché la gente non capiva questo monumento . Con questo non voglio dire che l’arte non debba fare il suo corso ma voglio dire che, evidentemente bisogna che i linguaggi artistici siano anche umani, come diceva prima l’assessore, bisogna essere umani, portatori di valori umani . Il fatto che tutti quanti noi ci facciamo belli, perché poi gli artisti alla fine…Io mi ricordo sempre la Genesi: “Dio disse e cosa fu”. In realtà dobbiamo essere non dei Padreterni, ma essere persone che costruiscono per il bene anche del loro prossimo , dell’altrui realtà. E, quindi, mi rendo conto che come scultore che in realtà valorizza l’idea astratta che la gente non capisce neanche . Ecco, allora io vorrei chiedere questo: come fanno gli amministratori a scegliere in tutta questa confusione di ideologie? Concettuale, Minimalismo, come fanno a scegliere questi valori che i poveri cittadini dovrebbero vivere, dovrebbero apprezzare? Con quale metro potrebbero ? Certo, ci sono delle commissioni di esperti, tutto quello che vogliamo, ma ci saranno i critici che avranno nelle commissioni una loro tendenza ideologica, ci saranno degli amministratori che ameranno più i figurativi che concettuali, quindi alla fine questa scelta di valori sociali chi la deve fare? Come la si fa? E’ questa la mia domanda, forse un po’ grave per le amministrazioni, ma come scultore mi sento di dire che bisogna fare questa autocritica da entrambe le parti, sia delle strutture amministrative che nel rapporto con la natura dell’arte. Grazie Gian Carlo Muzzarelli Assessore alla Programmazione e sviluppo territoriale, cooperazione con il sistema delle autonomie e organizzazione della Regione Emilia-Romagna Su una questione come questa ognuno di noi può esprimere opinioni completamente diverse. Certamente fattori come le priorità sociali, la crisi economica, un certo egoismo possono prevalere. A quel punto magari non è prioritario il fatto che un Comune sposti una scultura, sbagliando o riposizionandola male non so, credo di solito sbagliando. Però la cosa che mi preoccupa è: vogliamo la perfezione o vogliamo provarci? Bisogna trovare le condizioni per una certa “libertà di azione”. Da 1 a 100 ci vogliamo provare ad arrivare a 60 o arrivare a 70 o continuiamo tutta la vita a dire che bisogna andare oltre il 2% ma poi non riusciamo a fare un passo in avanti? Noi come Regione abbiamo tentato, con l’ipotesi che è stata presentata, di aprire una riflessione per provare a fare ancora un passo in avanti: questo mi sembra un elemento di innovazione. Quindi bisogna fare uno sforzo: ad esempio, dentro ad un’operazione di riqualificazione urbanistica detta “Contratti di quartiere 2” che vanno a toccare le aree peggiori della nostra regione perché sono quelle più degradate, abbiamo provato a fare un’operazione di investimento. Per esempio, a Modena una galleria che è stata soprannominata a Modena “Palazzo Eroina”, tanto per capirci di cosa stiamo discutendo: bene, c’era la una necessità di ristrutturare questa galleria per mettere al suo interno i Vigili Urbani, un centro commerciale, servizi comunali. E’ stato fatto un piccolo bando, un’operazione di riqualificazione, ed è stato scelto un gruppo di giovani artisti che hanno ridisegnato questa galleria piena di colori. Ora la stanno realizzando e quel pezzo di palazzo è cambiato totalmente, forse anche perché chi la abita ora ha più rispetto, per i nuovi colori, per il nuovo aspetto (ovviamente conta anche l’impatto dei Vigili Urbani, dei servizi… non voglio mica sottovalutare nessuno di questi aspetti). Certo, oggi quella galleria è un’altra cosa. Abbiamo fatto il massimo? Non lo so, credo però che abbiamo anche dato una risposta di integrazione e di partecipazione, e quei giovani artisti hanno comunque contribuito a rendere più bello quel pezzettino di città. So che è una piccola risposta, però...è una risposta. Dopo di che, se riusciamo ad avviare investimenti nuovi, anche con il 2% di cui parliamo ora, bene. Quando facevo il Sindaco, contattavamo gli artisti che arrivavano dall’Accademia del mondo, senza chiedere che cosa facevano: potete bene immaginare in un piccolo comune di montagna cosa è successo, con il coinvolgimento di tanti mondi, le difficoltà in corso d’opera per rispettare la volontà di quelle persone che hanno trasformato le pietre in opere d’arte…un lavoro complicatissimo. C’è ancora gente che non mi saluta perché era legata a determinate idee! Però, un pezzo alla volta, si costruisce tutto e nel rispetto delle regole, perché ogni società ha bisogno di qualche regola, cosa che non significa pretendere la perfezione ma introdurre elementi di democrazia. Quindi, facciamo un passo in avanti, ci proviamo, poi riproviamo ed assumiamo, in questa fase di crisi, la responsabilità di fare un’operazione seria, perché crediamo che non può funzionare una nuova società se dentro non ci stanno tutti e se dentro non ci sono emozioni, umanità e forza. Io credo che questo sia il senso, e noi per fare umanità, forza e ricreare socialità bisogna che ridisegniamo un senso di appartenenza, e il senso di appartenenza sta anche nel segno che poi è emozione che poi è forza che poi è vita. Rappresentante non identificata Amministrazione comunale di Lugo di Romagna Io sono nuova ai discorsi di leggi , però probabilmente il discorso urbanistico è tutt’altra cosa o è collegato anche a questa parte legale. Io sono di Lugo e lì queste cose interessano. L’arte è un’espressione umana quindi è un discorso storico è un discorso culturale, di quello che uno vuole rappresentare, di quello che vuole esprimere. Penso che almeno per le città siano più importanti i discorsi funzionali, un discorso di vivibilità vera, come strade e fognature. Io adoro l’arte, ma la vivibilità degli ambienti secondo me non è anche la valorizzazione delle cose antiche che ci sono, e delle cose storiche, come diceva anche l’assessore . Io sono più per la riqualificazione urbana dal punto di vista funzionale, questo volevo dire, oltre che culturale-storico. Architetto non identificato Io quello che ho riportato è l’esperienza di 16 anni di attività da architetto e il vuoto assoluto informativo e applicativo di questa norma. Già è abbastanza triste che l’arte debba essere imposta e che per le amministrazioni arrivi quasi come una tassa. Faccio un esempio: in studio con me lavorano 14 persone e solo io conoscevo questa norma, perché nessuno di noi l’ha mai vista applicata, o attuata. In nessun bando pubblico esse viene richiamata, nei quadri economici non è mai richiamata la voce, nei collaudi tecnici amministrativi nemmeno. Viene quindi da chiedersi: questo 2% dove va? E quando mancano i soldi? Perché c’è il grandissimo problema dei quadri economici con cui vengono fatte le opere pubbliche e se si deve tagliare si sa benissimo che questo 2% viene eliminato o demandato. Quindi, la mia domanda è: quando e come si applica nel pubblico e nel privato e chi verifica l’applicazione di questa norma? Gian Carlo Muzzarelli Assessore alla Programmazione e sviluppo territoriale, cooperazione con il sistema delle autonomie e organizzazione della Regione Emilia-Romagna Rispondo alla signora che è intervenuta. Noi vogliamo rilanciare la qualità urbana tenendo insieme ogni trasformazione, senza trascurare ne la strada ne l’opera di cui noi abbiamo bisogno, perché quando parliamo di riqualificazione delle città parliamo di ridisegnare compiutamente le città e quindi garantire una qualità diversa e ovviamente tenere insieme strade ed opera, perché è una sfida vera che rafforza la qualità. Occasioni come queste sono importanti, potrebbe anche servire un altro seminario per discutere della riorganizzazione degli organi statali, dalle Soprintendenze in giù. Le Soprintendenze, infatti, non hanno il personale per garantire neanche i pareri preventivi sui progetti. Le nostre città, i nostri contenitori debbono diventare nuovi luoghi quindi dobbiamo assumere tutti questa sfida: una sfida ecologica, una sfida culturale, una sfida per lo sviluppo. Quello che vorrei nell’Emilia Romagna è contribuire a una visione unitaria, perché se finiamo – in tempi di carenza di risorse – a fare le priorità delle priorità delle priorità, il rischio è poi di non assegnare risorse nemmeno per sistemare le buche. Il rischio è che qui non riusciamo più a pensare, non riusciamo più a guardare oltre la quotidianità, e quindi il risultato finale è che alla fine riusciamo a organizzare il normale, l’ordinaria amministrazione. Bisogna programmare il futuro; credo quindi che “il 2%” ci aiuti a pensare che oltre il 2% c’è una visione di società in cui, insieme, l’arte, gli architetti, la società, gli amministratori, i cittadini si devono sentire tutti uniti. Oggi i cittadini vivono meno la città, perché sono più isolati: noi dobbiamo superare quell’isolamento per guardare a una prospettiva. Dobbiamo trovare le soluzioni, programmando città più belle e vivibili. Anna Maria Tatò Architetto, esperto del Consigli o Superiore dei Lavori Pubblici Infatti da architetto io sono cresciuta e capisco il fatto che solo lei, del suo studio, aveva questo riferimento mi dice ancora una volta di più che c’è un clima di ignoranza rispetto a questo, perché chi progetta deve conoscere le norme che regolano la progettazione, così come quando progetta lei deve sapere l’indice di costruzione, i volumi che può fare e sapere che c’è anche questa norma. E devo dire che in questo caso corrisponde di fatto a un disinteresse degli architetti nei confronti dell’arte, che sia scultura, o pittura, o altro. Io devo dire che frequento le mostre, le biennali, frequento le mostre di tutti i tipi per mia personale passione e siccome sono architetto e ho tantissime conoscenze di colleghi dico che non li vedo mai a una mostra, non c’è mai interrelazione, bisogna trovare, dobbiamo ritrovarci con l’arte e gli artisti, perché per tanti versi l’arte degli artisti, scultori, pittori etc. è più avanti, ha meno condizionamenti, l’artista-architetto, perché così penso così anch’io che l’architetto sia un artista nel suo lavoro, ha però un grosso condizionamento, ossia che quello che costruisce deve essere funzionale. Alla fine puoi fare tutti i giri che vuoi, ma l’opera che fa il progettista deve avere una funzione al contrario la libertà dell’artista scultore, pittore è quella che è libero, cioè la sua opera non ha questa camicia della funzionalità, e allora è intrigante mettere insieme queste due cose. Trovo veramente che sarebbe una bella esperienza se architetto e artista dovessero collaborare. Altro problema che mi pare importante è quello che diceva Gazzarri, quello del controllo dell’Osservatorio. Fino a poco c’e’ stato tempo fa un altro organo che controllava ed era la Corte dei Conti. Per esempio, tutte le Caserme dei Carabinieri che son state fatte in Emilia Romagna, ma era un programma nazionale che prevedeva carceri e caserma in tutta Italia. I Carabinieri all’inizio non avevano voluto quel 2%, perché dicevano con quello facciamo una caserma in più, ma la Corte dei Conti non l’ha passato! Un altro ente che potrebbe verificare è la Soprintendenza. La Soprintendenza ha come suo compito la verifica del 2% quindi si dovrebbero mettere tutti un pochino in moto, anche se, secondo me, il primo da mettere in moto è il progettista incaricato di fare il progetto, è il primo che se lo deve porre pensando anche che se lavora con un artista può anche risparmiare sull’edificio, perché un architetto può pensare a un scultura piazzata da una parte o un video che si proietta, ma potrebbe anche essere una vetrata antisfondamento che sta all’ingresso dipinta, dipinta a fuoco, oppure potrebbe essere una pavimentazione, o una recinzione fatta da uno scultore; non è detto che deve essere una cosa così staccata dalla struttura dell’edificio per dire, può anche venire incontro a quello che è il costo proprio dell’intervento. Volevo dire un’ultima cosa sulla presenza nelle commissioni di un rappresentante dell’ente dell’edificio che verrà costruito: è stata per me una cosa tragica, perché i carabinieri, i vigili del fuoco vogliono solo il loro stemma, il portabandiera, insomma c’è proprio difficoltà di colloquio. FINE