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Dedico questo libro
a Marilù
Il contenuto di questo racconto è solo ed esclusivamente frutto
della fantasia del proprio autore.
Ogni riferimento a nomi, fatti e persone è puramente casuale.
La scelta di Trani, quale cittadina ove si sviluppa l’intero racconto,
è legata all’amore che l’autore nutre verso quei luoghi ove,
nelle fredde notti d’inverno,
quando il cielo scuro resta squarciato dalla luce di una luna tonda e misteriosamente affascinante, che va dolcemente a segnare le antiche pietre di quei
signorili palazzi che, imponenti, s’affacciano su strade buie e desolate,
si riescono ancora a percepire i segni della sua incantevole
e impareggiabile storia.
DOMENICO VALENTE
LA FOLLIA OMICIDA
DI UNA
DONNA FANTASMA
MATARRESE EDITORE
ISBN 978-88-89534-16-8
Prima edizione: Novembre 2007
Copyright © 2007
Riproduzione, anche parziale, vietata
Tutti i diritti riservati
Disegno copertina
Grafica copertina
Impaginazione
Stampa
Domenico Valente
Saverio Matarrese
Matarrese Editore
Graphic Artist sas
Si ringraziano
Prof. Francesco Vangi per la traduzione in latino dell’epigrafe.
Barbara De Marzo e Alberto Apollini per il continuo sostegno.
Prefazione
Trani è un’antica cittadina che si erge nel Sud dell’Italia.
Antica di una storia millenaria. Bagnata dal sangue dei primi
cristiani che, per sfuggire ai loro spietati persecutori, si rifugiavano in apogei o, coraggiosamente, si toglievano la vita
pur di non soccombere sotto le fredde lame dei loro carnefici. Antica del passaggio dei primi crociati che dal suo porto
s’imbarcarono per la lontana Gerusalemme: fu colpita da
pestilenze, passata a fil di lame dai Longobardi, fu assediata
dai Turchi, governata dagli Svevi Federiciani, messa in ginocchio dall’esercito francese. Fiumi di sangue sono stati sparsi
nelle sue strette vie. Molte giovani vite sono state spezzate
dalla crudeltà di cavalieri sprezzanti dell’umana dignità.
Molte donne si sono sacrificate per difendere la propria prole.
Coraggiosi gli uomini che l’hanno difesa.
Ancora oggi, attraversando di notte il borgo antico,
sembra di ascoltare le loro grida. Alcuni raccontano che,
nelle notti di luna piena, quando la luce del misterioso astro
illumina le fredde pietre di cui sono fatti gli antichi palazzi, rivoli di sangue sgorgano dalle fessure, ombre s’impadroniscono delle stradine, il canto di una donna fa da sfondo ad urla, imprecazioni, rumori di spade e di zoccoli di
cavalli al galoppo.
In queste notti si ripete, ormai da centinaia d’anni, l’errare, nell’antico Castello di Trani, di Armida, una dama
dalla lunga chioma corvina e dagli splendidi occhi azzurri
come il cielo che, agi inizi del sedicesimo secolo, innamoratasi di un cavaliere, ebbe un triste destino. In una notte di
luna piena, mentre i due erano teneramente abbracciati,
furono sorpresi dal geloso marito che, accecato dall’ira,
uccise l’audace cavaliere con una pugnalata e rinchiuse la
moglie in una fredda cella ove ella si lasciò morire soffocata dal dolore.
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Intorno al borgo antico, risalente al nono secolo dopo
Cristo, sorgono palazzi signorili costruiti tra il 1500 e il
1800, spesso innalzati laddove si estendevano sconosciute
sepolture.
Sovente si è fatto scempio dei resti di scheletri o di corpi
mummificati liberandosene come rifiuti o, spesso, ricoprendoli di frattaglie come qualcosa di sudicio da allontanare e dimenticare.
Prima o poi, però, come il rimorso che sale dalla
coscienza e s’impadronisce di ciascuno di noi, le anime dei
defunti, prima vittime della violenza dei loro carnefici e poi
dell’indifferenza dei posteri, torneranno, assetate di vendetta e d’odio verso coloro che hanno osato calpestare la loro
dignità. Sarà difficile sfuggirgli, sarà impossibile rimandarle nella loro dimensione.
Solo il rispetto verso i luoghi di sepoltura e per quelle
anime, che spesso vagano alla disperata ricerca del conforto divino, potrà, forse, allontanare questa sconcertante
verità.
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Capitolo primo
L’avidità dei potenti
Nello stesso momento in cui l’ingegner Alberto
Costantini ricevette la telefonata del dottor Carlo Franchi,
sindaco della città di Trani, con la quale gli fu comunicato
che il suo progetto era stato approvato all’unanimità dalla
commissione edilizia, fu per lui come vincere alla lotteria.
Sollevò i suoi centotrenta chili dalla comoda poltrona
del proprio ufficio con la stessa agilità dei tempi migliori e,
giratosi a guardare dall’ampia finestra il meraviglioso
panorama della stupenda cittadina, con la sua caratteristica
voce grave chiamò Valeria, la fidata segretaria, dimenticando di utilizzare l’interfono fresco d’installazione.
Valeria era la tipica segretaria di mezz’età, non sposata
e dalla limitata vita sociale, che soffocava nel lavoro solitudine e disagio. Minuta, dalle piccole spalle coperte da
lunghi e vaporosi capelli rossi, sembrava ancor più piccola
di quanto in realtà fosse. Il trucco molto accentuato, la
disordinata camminata su tacchi spaventosamente alti,
tanto da farle guadagnare almeno dieci centimetri d’altezza, le conferivano un aspetto tanto buffo quanto insignificante. Insomma, una segretaria dal look molto lontano dall’immaginario del maschio medio. In realtà, quella minuta
donna dal buffo aspetto era scaltra ed intelligente ma,
soprattutto, sorprendentemente abile nel proprio lavoro. Il
forte temperamento e la sua insolita professionalità le permettevano di tenere tranquillamente a bada chiunque,
anche i loschi individui di cui spesso si attorniava il suo
intraprendente datore di lavoro.
“Dimmi!”, disse Valeria aprendo la porta.
“Franchi”, vaneggiò il corpulento ingegnere, mostrando
le spalle alla sua segretaria poiché ancora intento ad ammi7
rare il meraviglioso panorama che l’ampia finestra generosamente gli mostrava, “il dottor Franchi ha fatto davvero un
buon lavoro! Questa volta, devo ammetterlo, mi ha davvero sorpreso!”, poi, voltandosi verso la fidata segretaria con
un sorriso radioso, aggiunse: “Questa volta si è davvero
meritato quanto gli ho promesso!”.
A Valeria non parve vero, “Costantini il truce”, come
spesso l’apostrofava, stava sorridendo; era da tempo immemorabile che non lo vedeva sorridere, forse non lo aveva
mai visto sorridere prima di quel momento. Il suo volto,
coperto da una folta barba nera, sembrava meno tetro del
solito. I suoi occhi, in quell’espressione soddisfatta e compiaciuta, sembravano ancora più piccoli di quanto lo fossero in realtà.
“Non avevo dubbi!”, rispose la fidata segretaria, “Una
posta del genere avrebbe indotto chiunque a farsi in quattro
pur di assicurarsela. Centomila Euro, non sono cosa da
niente. Per quella somma il dottor Franchi avrebbe tranquillamente venduto sua moglie, sempre che, quello squallido elemento, non lo abbia già fatto per aggiudicarsi la poltrona di primo cittadino!”. Poi, poggiandosi con i gomiti
sulla scrivania del suo capo e sorreggendo il mento col
palmo delle mani, domandò impertinente: “Cosa vuoi che
io faccia per te?”.
“Devi solo fissarmi un appuntamento con Franchi!”,
rispose il burbero ingegnere ritornato immediatamente ad
assumere la solita sinistra espressione.
“Ah! Perfetto!”, rispose sommessamente Valeria, non
riuscendo a nascondere la propria delusione. “Dove vuoi
che sia fissato quest’importante appuntamento? A che ora
e in quale giorno?”, gli domandò, invitando, così, il suo
poco loquace interlocutore ad esprimersi con maggiore
chiarezza.
“Puoi riferirgli che voglio vederlo tra un’ora esatta, al
solito posto!”, poi, con tono minaccioso e con il dito pun8
tato verso la sua interlocutrice, aggiunse: “Digli che voglio
porti con sè ogni documento, autorizzazioni provvisorie
comprese. Nulla, dico nulla, dovrà mancare all’appello!
Sono stato chiaro?!”.
“Detto. Fatto!”, rispose la diligente segretaria che, raccogliendo i mozziconi lasciati sulla scrivania, fuori dal
posacenere, aggiunse provocatoriamente: “Se non le serve
altro, signore, torno subito al mio lavoro.”
“Puoi andare, non c’è altro per ora!”, rispose compiaciuto l’ingegnere.
Nel frattempo, dall’altra parte della città, nell’ufficio del
primo cittadino, era in corso un’accesa discussione tra il
dottor Franchi e il suo inseparabile amico Federico Ponti,
presidente della commissione edilizia e responsabile
dell’Ufficio Tecnico del palazzo comunale, nonché segretario del partito politico cui entrambi appartenevano.
“Tieni bene a mente che se io, Federico Ponti, dovessi
finire nella merda è nella merda che trascinerò tutti quanti
voi. Costantini compreso!”, urlò l’importante funzionario.
Lo fece così violentemente che gli occhi sembravano dovessero schizzargli fuori delle orbite, sotto l’azione di quelle
vene che, dal collo alle tempie, s’erano gonfiate in maniera
abnorme mentre il viso gli era diventato spaventosamente
paonazzo.
“Stupido!”, incalzò l’altro digrignando i denti,
“Coglione che non sei altro. Urla ancora e, in pochi secondi, ci troveremo mezzo stabile dietro la porta!”.
Il rimprovero di Franchi sortì fortunatamente l’effetto
desiderato. Ponti ingoiò immediatamente tutto quello che,
mosso dall’ira, stava vomitando a squarciagola, assumendo
un atteggiamento piuttosto dimesso.
“Non ci sono rischi in quest’operazione, vuoi capirlo!”,
continuò con tono sereno Franchi che, abbandonata la
comoda poltrona dietro la propria scrivania, si diresse verso
il suo interlocutore e, ponendogli una mano sulla spalla,
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aggiunse: “Sappi che, ogni giorno, ovunque, in qualunque
comune di questa sporca penisola si deliberano atti e si
prendono spesso decisioni volte a dare una mano a qualche
amico. Volteresti tu le spalle ad un tuo amico? Volteresti le
spalle a me?”, gli domandò.
Ponti restò ad ascoltarlo senza rivolgergli una parola,
con lo sguardo rivolto verso il basso.
“Vedi”, continuò Franchi, “ogni compromesso ha il suo
prezzo e se, come in questo caso, vanno aiutati gli amici e
gli amici degli amici, così magnanimi da elargirci alte
somme di denaro, ben vengano! Noi, caro Federico, non
possiamo cambiare l’ordine delle cose o meglio, tu non
puoi assolutamente pensare di cambiare l’ordine delle cose.
Questa è la consuetudine!”.
“Consuetudine un corno!”, inveì Ponti, abbandonando il
suo atteggiamento sommesso, “Io non ci sto!”, continuò, “La
cosa sta diventando troppo grande per me. Dammi la mia
parte di denaro e chiudiamo adesso questa losca faccenda!”.
Franchi, di fronte all’inquietudine del suo interlocutore, decise, non senza sforzi, di soffocare in sè tutta la rabbia del momento e, a denti stretti, lo invitò a calmarsi.
“Aspetta! Non correre!”, disse, ponendosi una sigaretta
tra le labbra, accendendosela e, con una soffocante boccata, cercò di alienare il recondito desiderio di prendere
a calci nel culo Ponti. “Ogni cosa sarà fatta a tempo debito. Adesso lascia da buon amico quest’ufficio e torna a
svolgere il tuo lavoro in assoluta tranquillità. Ti prometto che ne parleremo comodamente a casa tua domani
sera”. Poi, dopo aver accennato un forzato sorriso,
aggiunse: “Naturalmente davanti ad un buon bicchiere di
vino!”.
“Così sia!”, rispose il dottor Ponti che, con aria mortificata, consapevole di esserci dentro fino al collo e di non
poterne più uscire, abbandonò l’ufficio del suo amico nonchè socio in affari.
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Erano da poco trascorse le dieci del mattino quando
squillò il cellulare dell’avido Franchi. Quella telefonata era
sicuramente quella che stava aspettando con ansia. “Ci
siamo!”, disse osservando il numero dell’ufficio di
Costantini sul display e, con far frenetico, rispose con un
energico: “Albertoooo!”.
“No! Non sono Alberto Costantini! Sono solo la sua
segretaria.”, rispose Valeria.
“Mi perdoni Valeria! Sono stato, forse, un po’ troppo
avventato nel rispondere?!”.
“Si figuri!”, ribatté la diligente segretaria, “L’ingegnere
vuole incontrarla tra non più di un’ora, al solito posto!”.
“Ah! Mi dispiace, ma devo proprio dire di no! Tra poco
sarò impegnato in un importante incontro con i segretari di
partito della mia coalizione”.
“Dottor Franchi?”, intervenne Valeria, “mi scusi se la
interrompo. Le va bene se rinviamo l’appuntamento a
domani mattina alle otto e trenta?”.
“Ottimo! Giusto per l’ora del caffè!”, rispose il dottor
Franchi.
“Confermerò l’appuntamento all’ingegnere. Mi raccomando, non si dimentichi di portare con sè l’intero carteggio. L’ingegner Costantini freme tanto per il desiderio
d’averlo tra le mani.”
“Non si preoccupi, Valeria. L’interesse è soprattutto
mio!”, fu la sarcastica risposta del dottor Franchi.
Una telefonata tanto breve quanto importante per l’avido Franchi: ogni parola, ogni singola sillaba pronunciata
dall’altro capo del telefono a lui appariva come la magica
visione di migliaia di quattrini che, di li a poco, sarebbero
entrati nelle sue incolmabili tasche.
La notte passò veloce, così come velocemente arrivò per
Franchi l’ora del tanto atteso appuntamento del mattino
seguente. Alle otto e trenta in punto, in una poco affollata e
lussuosa caffetteria del centro, seduto al tavolino più lontano
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dall’ingresso, al riparo da occhi indiscreti, l’insaziabile primo
cittadino stava aspettando l’arrivo del suo amato denaro.
Dopo quindici minuti d’ansiosa attesa, il corpulento ingegner
Costantini si presentò finalmente all’entrata della caffetteria.
Indossava un ampio soprabito scuro che lo rendeva ancora
più grasso di quanto in realtà fosse. Aveva con sè una ventiquattrore di pelle nera, di un nero ormai consumato dal
tempo, divenuta l’inseparabile amica di tanti affari nonché
gelosa custode di segreti e misfatti del suo proprietario. In
quella gonfia borsa, intanto, doveva essere sicuramente custodita l’amata ricompensa tanto desiderata dal dottor Franchi.
“Ben arrivato dottò!”, disse il giovane barman rivolgendosi al grasso ingegnere, “Il dottor Franchi l’aspetta a
quel tavolo lì in fondo!”.
“Lo vedo. Grazie!”.
“Posso portarvi il solito caffè al tavolo, dottò?”.
“Posso? Devi! Soprattutto non dimenticarti il giornale!”, intimò l’ingegnere dirigendosi, con passo pesante,
verso il tavolino del suo ospite.
“Carissimo Alberto, è sempre un piacere vederti!”, esordì Franchi.
“Davvero? Stento a crederci!”, rispose Costantini,
segnato da un’espressione così truce e profonda da incutere al suo interlocutore un misto di emozioni tra l’imbarazzo e il timore.
“Avrei preferito una tua telefonata piuttosto che uno sterile telegramma. Che ne pensi?”, gli domandò Costantini,
riferendosi alla comunicazione da lui ricevuta il giorno precedente.
“Fammi fare il mio lavoro come solo io so fare!”, rispose compiaciuto Franchi che, appena lanciato nell’esaltare il
suo operato, fu bruscamente interrotto dall’insofferente Costantini. “Porgimi quella documentazione. Muoviti! Non
farmi perdere altro tempo!”, intimò seccato il risoluto
imprenditore.
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“Subito, Alberto.”, rispose balbettando, “Tra l’altro, io,
non saprei cosa farne. Credi?”. Desideroso di sapere se
Costantini avesse portato con sè il denaro promessogli, con
un’espressione a dir poco fanciullesca e con voce flebile,
domandò: “Sono in quella ventiquattrore, vero?”.
“E’ probabile!”, rispose Costantini seccamente, infastidito dall’infantile atteggiamento del primo cittadino,
“Gustiamoci prima di tutto questo buon caffè! Poi, dopo
aver dato uno sguardo a queste scartoffie ti consegnerò giusto il trenta percento di quanto pattuito”.
“Solo il trenta percento?”, esclamò esterrefatto Franchi
che, alzatosi in piedi cercando di sovrastare la sagoma del
grasso ingegnere seduto li davanti a lui, con fare minaccioso, disse: “A quest’appuntamento m’aspettavo non meno
del cinquanta percento dell’intera somma. I patti vanno
rispettati! Non giocarmi brutti scherzi o mando tutto a farsi
fottere! Chiaro?!”.
“Stai attento! Non accetto minacce da nessuno, tantomeno da uno stronzo come te!”, intimò Costantini che,
alzandosi in piedi, aggiunse: “Stiamo parliamo di centomila Euro! Non pretenderai di avere una percentuale più alta
di quella che ho qui con me, prima che io abbia iniziato i
lavori?”. Poi, afferrando con forza il polso destro di
Franchi, lo indusse a risedersi e, con tono severo e minaccioso, disse: “Fino a quando tu, Franchi, sarai nel mio libro
paga farai solo ed esclusivamente quello che dico io, altrimenti…..”.
Non fu necessario che Costantini terminasse la frase
che, Franchi, intimorito e mortificato, pronunciò un convincente: “D’accordo, facciamo come vuoi tu!”. Poi, massaggiando il polso dolorante, si guardò attorno con fare circospetto, temendo che qualcuno avesse notato quell’umiliante scena.
Franchi non poteva che essere accondiscendente nei confronti del Costantini. Lo conosceva bene, come bene cono13
sceva il peso delle sue minacce. Il dover sottostare in maniera reverenziale nei confronti del grasso imprenditore lo infastidiva; quello, però, era il giusto prezzo da pagare per soddisfare la sua incolmabile sete di potere. In quel bar, più che
in una qualsiasi altra situazione, avrebbe voluto mandarlo a
farsi fottere ma, pensando a tutti i successi in politica e i vantaggi economici ottenuti grazie a quell’astuto personaggio,
allontanò quel desiderio dalla mente con la stessa velocità
con cui vi era entrato.
“E’ tutto a posto!”, affermò soddisfatto l’ingegnere
dopo aver dato un’attenta occhiata a quella documentazione, “Entro trenta giorni inizieremo con le opere di demolizione e, finalmente, entro breve tempo, daremo un’altra
faccia a questa fottuta città!”.
“Ah, tutto quello che è stato fatto è stato fatto solo per
dare un’altra faccia a questa minuta cittadina?”, domandò
provocatoriamente il succube primo cittadino.
“Pensarlo mi conviene. Anzi, conviene più a te. Ed è
esattamente quello che ogni singolo tranese dovrà credere. Devono credere in te, in un sindaco che è loro servitore e che per loro sta cercando di dare un volto nuovo a
quest’assonnata cittadina. Non dimenticarlo mai!”, disse
Costantini tirando fuori dalla sua ventiquattrore una gonfia busta per lettere che consegnò nelle mani del primo
cittadino.
“Grazie!”, riuscì a malapena a pronunciare Franchi, con
lo sguardo catturato da quella ricca busta.
“Oggi, il caffè lo puoi pagare tu!”, disse Costantini
allontanandosi da quel luogo.
Così, mentre il corpulento ingegnere si lasciava alle
spalle la lussuosa caffetteria, Franchi, ancora seduto al
tavolino, con far circospetto, girava e rigirava tra le sue
mani quella busta contenente il tanto sofferto denaro.
Mezz’ora dopo quel redditizio incontro, Franchi era
comodamente seduto alla poltrona del suo ufficio, con le
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gambe distese sul piano della scrivania e un puzzolente
sigaro stretto tra i denti, mentre tutt’intorno a sé aleggiava
un’intensa cappa di fumo, quando, all’improvviso la porta
dell’ufficio si spalancò bruscamente. Il dottor Ponti, senza
nemmeno chiedere il permesso, entrò furiosamente chiudendo la porta con vigore.
“Carlo!”, riuscì a malapena a pronunciare che, respirata
quell’aria satura di fumo puzzolente, cominciò a tossire
incessantemente. Tra un colpo di tosse e l’altro riuscì appena a pronunciare, con voce sottile e sofferta, un determinato: “Ma vaffanculo! Puoi anche aprire quella cazzo di finestra!”.
Franchi, sogghignando come un bambino dispettoso, si
sporse verso il balcone e, aprendone un’anta, domandò:
“Che diavolo ti prende? A cosa si deve questo tuo arrivo a
dir poco irruente?”.
“Solo qualche istante fa mi ha telefonato Maurizio
Corso, un giornalista del Corriere Apulia, chiedendomi di
fissargli un incontro per un’intervista”.
“Tutto questo nervosismo per un’intervista?”, replicò
Franchi con somma superficialità.
“Si! Esattamente così. Solo per una fottuta intervista!”. Asciugandosi la fronte dal freddo e incessante sudore, disse: “Quel che è grave è che mi ha riferito che sta
scrivendo un dossier sulle cause del crollo di buona parte
del settecentesco Palazzo Borghi, avvenuto sei mesi orsono, e su quelle che sono state le motivazioni che hanno
indotto un’intera équipe d’esperti a stabilire l’irrecuperabilità dei due antichi palazzi ad esso adiacenti e, quindi,
addivenire all’insindacabile decisione del loro abbattimento per ragioni di pubblica incolumità”. Battendo ripetutamente il pugno della mano destra sul palmo della sinistra, disse: “Io non ci sto! Avevo ragione quando affermavo di voler uscire da questa storia. La cosa comincia davvero a puzzare!”.
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“Federicooo! Federico, perché mai reagisci sempre così
stupidamente?!”, infierì Franchi che, porgendogli la cornetta del telefono, disse: “Fissa pure sto cazzo d’appuntamento con questo stramaledetto giornalista ficcanaso e stattene,
cortesemente, tranquillo. Presenzierò io stesso all’intervista. Tu, ripeto, stattene tranquillo! Cerca di non rovinare
tutto con le tue insicurezze. Lo vuoi capire o no che, in questa lurida storia, sono in ballo un bel po’ di quattrini e io
non ho alcun’intenzione di restare con un pugno di mosche
in mano!”. Il lungo sproloquio culminò in un timido e
imbarazzante silenzio improvvisamente interrotto da
Franchi: “Ah!”, esclamò, sorprendendo il suo amico,
“Stavo quasi per dimenticarmene. Qui ho giusto qualcosa
che ti farà ritornare il buonumore!”. Così dicendo allungò
la mano all’interno della sua giacca e, tirate fuori delle banconote arrotolate in un elastico, gliele porse dicendogli:
“Questa è la tua parte. Fanne buon uso!”.
Ponti strinse forte il fascio di banconote nella mano,
senza nemmeno preoccuparsi di controllarlo. Il volto gli
divenne immediatamente paonazzo, la rabbia gli stava crescendo in maniera esagerata. Furibondo, lanciò contro
Franchi il fascio di banconote. “Mi fai schifo!”, urlò furioso, “Mi fate tutti maledettamente schifo. Al diavolo tu e i
soldi, i maledetti sol...”, non riuscì a continuare la frase perché, colto da una crisi di nervi, si buttò per terra piangendo
come un bambino.
Agli occhi del dottor Franchi si presentò una scena che,
se da un lato gli recava un profondo dispiacere, dall’altro,
invece, lo stizziva poiché aveva ormai la certezza di avere
davanti a sé una persona insicura e instabile, sulla quale
non poter fare più affidamento. L’unica cosa che, in quel
momento, Franchi sentiva di poter fare era il cercare di
ricondurre alla calma il suo pessimo socio in affari fugando, in qualche maniera, il rischio di finire tutti dietro le
sbarre di una sudicia prigione. L’ultima parte della mattina16
ta, quindi, la trascorse nel tentativo di ricondurre Ponti sui
propri passi. Sfortunatamente per tutti, fu un totale insuccesso.
Quello stesso pomeriggio, il dottor Franchi, seriamente
preoccupato per come potesse irrimediabilmente capitolare
la fitta trama d’intrallazzi che aveva abilmente creato,
pensò di telefonare all’ingegner Costantini affinché, una
volta informato degli ultimi avvenimenti, questi potesse
consigliargli la giusta soluzione a quel gravoso e inaspettato problema. Costantini, nel corso della telefonata, si era
comportato da buon interlocutore almeno fino a quando,
determinato nella decisione di salvaguardare i propri interessi, ad ogni costo, rivelò a Franchi l’unica e drastica soluzione al loro frustrante assillo.
“Sei impazzito!”, esclamò Franchi che, divenuto cereo
in volto, si lasciò cadere sulla poltrona del salotto mentre il
bicchiere di cognac, che non aveva neppure sorseggiato, gli
scivolò di mano frantumandosi sul pavimento. Poi, con
voce fioca, aggiunse: “Non puoi farlo! Perché mai spingersi così oltre?”.
Dall’altro capo dell’apparecchio Costantini, redarguendolo, disse: “Non aggiungiamo altro a quanto già detto!”,
seccato, chiuse bruscamente la comunicazione.
Franchi, perfettamente a conoscenza della disinvolta
determinazione di Costantini, ricompose velocemente il
numero telefonico nel disperato tentativo di farlo desistere
da ogni suo malvagio intento. Fu, però, un tentativo vano.
Il cellulare dell’ingegnere risultava, ormai, spento.
“Tutto inutile!”, disse con voce roca e, dopo essersi soffermato a guardare i resti del bicchiere frantumatosi sul
pavimento, s’inginocchiò e, raccoltone uno, quasi per farsene una ragione, disse: “Te la sei cercata Ponti. Te la sei
proprio cercata; ormai, non posso fare nient’altro per te!”.
Costantini mosse immediatamente le sue trame. Nulla
doveva far sfumare i suoi importanti progetti. Nulla doveva
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essere lasciato incompiuto. Pertanto, da una cabina telefonica del centro cittadino telefonò all’unica persona che avrebbe potuto risolvere brillantemente quella complicata questione, invitandolo a raggiungerlo nel proprio ufficio.
Un’ora più tardi, alla porta dell’ufficio di Costantini
bussò quella persona così frettolosamente cercata.
“Oh! Ragioniere. E’ davvero un piacere averti qui nel
mio ufficio.”, esclamò Costantini, accogliendo con ogni
rispetto il suo graditissimo ospite.
Quello che lo scaltro imprenditore chiamava con lo
pseudonimo di Ragioniere non era altro che un abile e fidato sicario. Era così chiamato perché, nella vita d’ogni giorno, svolgeva l’umile lavoro di contabile presso una nota
industria tessile del luogo, creando, così, un’ottima copertura a quell’attività che svolgeva con innata abilità. Il suo
aspetto non era certo quello che ci si può aspettare da uno
che uccide a pagamento. Era un uomo di circa quarant’anni, assolutamente non di bell’aspetto, dalla calvizie incipiente e dalla massa adiposa tipica della persona sedentaria.
“Il piacere è tutto mio!”, rispose il Ragioniere. Ma,
accortosi della presenza di Valeria, la fidata segretaria dell’ingegner Costantini, con modi per nulla gentili la esortò a
lasciare quella stanza.
“Ci sono troppe orecchie in questa stanza!”, disse. “Non
capisco il motivo del tuo disappunto!”, rispose Costantini.
“Vedi questa mosca?!”, esclamò il ragioniere, indicando
l’insetto che stava volteggiando giusto davanti al suo naso.
“Questa mosca è già di troppo!”, disse e, con un repentino
movimento della mano, la catturò per spiaccicarla, poi,
sulla scrivania di Costantini.
Vista l’imbarazzante situazione, l’ingegner Costantini
rivolgendosi a Valeria, disse: “Per oggi hai finito! Hai il
resto della giornata libera!”.
“Sono solo le cinque!”, esclamò seccata la segretaria.
La curiosità di conoscere il nuovo losco affare del suo capo
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era troppo forte e, con disappunto, domandò: “Ne sei proprio sicuro?”.
Costantini annuì con un cenno della testa.
“Allora, visto che la mia presenza può disturbare quanto il batter d’ali di una mosca, preferisco andare via!”, sbottò Valeria.
“Addio!”, intervenne il Ragioniere che, uscita la donna
da quella stanza, con un calcio ben assestato, ne chiuse la
porta. Poi, rivolgendosi all’ingegnere, disse: “Giovedì 10 ottobre 2002, giornata da ricordare questa! Esattamente tre anni dall’ultima volta che ci siamo visti. Bel lavoro quello, eh!”
Dopo averlo invitato ad accomodarsi, e solo dopo
aver bevuto insieme un drink, l’ingegnere iniziò a parlare del suo “piccolo problema” (come lo definì) e dell’assoluta necessità di eliminare dalla scena il dottor Ponti.
“In questa busta troverai tutto quello che potrebbe servirti!”, disse l’ingegnere porgendola al Ragioniere, “Oltre
alla sua foto”, aggiunse, “troverai quella in cui è ritratto con
la sua dolce famigliola”.
“Ottimo! Ma, comunque, mi occorrerebbero altri dettagli!”.
“Come ad d esempio la foto della sua casa in campagna
e, perché no, della sua autovettura”, rispose Costantini porgendogli altre due foto.
“Bene! Bene!”, osservò compiaciuto il Ragioniere, “Mi
servono, però, altri dettagli! L’esatto indirizzo con una
mappa dei luoghi; gli orari di lavoro; le sue abitudini e
quelle dei propri familiari”.
“Troverai tutto quello che ti serve in quest’altra busta!”,
esordì con aria soddisfatta Costantini, “Come vedi non affido mai nulla al caso!”, aggiunse.
“Alberto, non ho mai dubitato delle tue capacità. Non
vorrei, però, che tu pensassi di rubarmi il mestiere?!”.
“Puoi startene tranquillo! Le cose più sporche le lascerò fare sempre e comunque a te!”.
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“Ti ringrazio! Se non altro potrò assicurami una buona
vecchiaia.”, rispose il Ragioniere.
Dopo aver dato un attento sguardo a tutto quello che
Costantini s’era preoccupato di fornirgli affinché s’assicurasse una buona riuscita del suo malvagio disegno, il
Ragioniere, con una smorfia di disappunto, disse: “Vedo,
però, che hai dimenticato la cosa più importante!”.
“Non mi sottovalutare! Non commettere mai più quest’errore! Potrei rimanerci male.”, rispose l’ingegnere dirigendosi verso la propria scrivania. Da uno dei due cassetti
tirò fuori una busta gialla. La lanciò al Ragioniere che,
dopo averla afferrata al volo e, dopo averne strappato il
lembo superiore, ne controllò attentamente il contenuto.
“Sei davvero un buon committente! Dovremmo lavorare più spesso insieme!”, affermò soddisfatto il Ragioniere.
“Quando comincerai?”, domandò impaziente
Costantini.
“Comincerò subito! Questo è un lavoro che mi piace!”.
Dopo aver raccolto ogni cosa e dopo aver scambiato una
vigorosa stretta di mano con il grasso imprenditore, il
Ragioniere disse: “Lo farò sembrare un banalissimo incidente! Nessun indizio potrà ricondurre a noi la morte di
Ponti, nessun ficcanaso potrà arrivare a capo della verità!”.
“Ne sono certo!”, rispose Costantini.
Così dicendo i due uomini si congedarono.
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