tempo e spazio del sonno, del sogno e della visione in properzio

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tempo e spazio del sonno, del sogno e della visione in properzio
ROSALBA DIMUNDO
TEMPO E SPAZIO DEL SONNO, DEL SOGNO
E DELLA VISIONE IN PROPERZIO
LE
COORDINATE SPAZIO-TEMPORALI DEL SONNO DI
CINZIA
a) Come nel mondo reale, anche nel microcosmo elegiaco e in particolare in quello properziano, dove tutto è riformulato attraverso il codice erotico, il sonno – inteso come uno stato di riposo opposto alla
veglia – è dotato di una specifica valenza terapeutica, perché costituisce
un remedium efficace, sebbene non definitivo, ai dispiaceri d’amore. Un
esempio particolarmente significativo di tale funzione del riposo notturno è costituito dalla singolare situazione descritta in 1,3. Il contenuto
del carme è ben noto: nel cuore della notte, di ritorno ubriaco da un
simposio, Properzio fa il suo ingresso nella casa di Cinzia, che trova
addormentata; Bacco e Amore, alleati per l’occasione, lo indurrebbero a
un’audace impresa erotica, ma il poeta, che conosce fin troppo bene le
reazioni dell’amata, non osa turbare il suo riposo e si limita a contemplarla. Destata dai raggi della luna, che penetrano dalle imposte aperte,
Cinzia assale l’amante con rimproveri aspri e patetici, rinfacciandogli di
averla trascurata e di averla costretta a trascorrere una notte piena di
amarezza, prima del sospirato arrivo del sonno.
La ben congegnata strutturazione in due tempi dell’elegia coincide
sostanzialmente con le fasi del riposo e della veglia di Cinzia; proprio
in relazione al motivo del sonno, per di più, è possibile percepire gli
opposti punti di vista dei due protagonisti. Così, nella prima parte del
carme, Properzio fornisce del sonno di Cinzia un’ampia descrizione,
impreziosita in apertura dalla serie di exempla di leggendarie figure femminili addormentate. Nella seconda parte, con una descrizione oggettiva e di impianto quasi ‘cronachistico’, è Cinzia stessa a parlare della sua
difficile conquista del sonno (vv. 1-30):
Qualis Thesea iacuit cedente carina
languida desertis Cnosia litoribus;
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qualis et accubuit primo Cepheia somno
libera iam duris cotibus Andromede;
nec minus assiduis Edonis fessa choreis
qualis in herboso concidit Apidano:
talis visa mihi mollem spirare quietem
Cynthia non certis nixa caput manibus,
ebria cum multo traherem vestigia Baccho,
et quaterent sera nocte facem pueri.
hanc ego, nondum etiam sensus deperditus omnis,
molliter impresso conor adire toro;
et quamvis duplici correptum ardore iuberent
hac Amor hac Liber, durus uterque deus,
subiecto leviter positam temptare lacerto
osculaque admota sumere et arma manu,
non tamen ausus eram dominae turbare quietem,
expertae metuens iurgia saevitiae;
sed sic intentis haerebam fixus ocellis,
Argus ut ignotis cornibus Inachidos.
et modo solvebam nostra de fronte corollas
ponebamque tuis, Cynthia, temporibus;
et modo gaudebam lapsos formare capillos;
nunc furtiva cavis poma dabam manibus:
omnia quae ingrato largibar munera somno,
munera de prono saepe voluta sinu;
et quotiens raro duxti suspiria motu,
obstupui vano credulus auspicio,
ne qua tibi insolitos portarent visa timores,
neve quis invitam cogeret esse suam.
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La coordinata spaziale muta radicalmente nel passaggio dalla sfera
paradigmatica a quella reale: se, infatti, l’ambientazione dei tre exempla
leggendari è esterna (cf. v. 2 languida desertis Cnosia litoribus; v. 4 libera
iam duris cotibus, Andromede; v. 6 qualis in herboso concidit Apidano),
quella del sonno di Cinzia è costituita da un’unica scena d’interno, che
significativamente coincide con il letto della fanciulla amata e, nonostante i maldestri tentativi di ‘invasione’ da parte di Properzio dello
spazio di Cinzia (cf. v. 12 molliter impresso conor adire toro), rimane l’invariato contesto del sonno e del risveglio di Cinzia (cf. v. 34 sic ait in
molli fixa toro cubitum).
Il tempo del mito, poi, è comprensibilmente fisso e immutabile e al
lettore è dato solo di intuire una stretta connessione tra un avvenimento
dal forte impatto emotivo (la partenza di Teseo, con il conseguente abbandono di Arianna; la riconquistata libertà di Andromeda, grazie al
provvido e tempestivo intervento di Perseo; la frenetica danza orgiastica
TEMPO E SPAZIO DEL SONNO , DEL SOGNO E DELLA VISIONE IN PROPERZIO
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per la Baccante) e il riposo delle eroine, ma non c’è relazione tra lo
spazio ben delineato e il tempo del sonno, che invece rimane imprecisato. Per quanto riguarda, invece, il sonno di Cinzia, esso è ambientato
nello spazio più ovvio (il letto) e ha luogo nel tempo più ovvio (la
notte: cf. v. 10 et quaterent sera nocte facem pueri).
La seconda parte del carme è aperta dalla delicata descrizione del
risveglio di Cinzia, che è seguita dalle sue rimostranze nei confronti di
Properzio (vv. 31-46):
donec diversas praecurrens luna fenestras,
luna moraturis sedula luminibus,
compositos levibus radiis patefecit ocellos.
sic ait in molli fixa toro cubitum:
‘tandem te nostro referens iniuria lecto
alterius clausis expulit e foribus?
namque ubi longa meae consumpsti tempora noctis,
languidus exactis, ei mihi, sideribus?
o utinam talis producas, improbe, noctes,
me miseram qualis semper habere iubes!
nam modo purpureo fallebam stamine somnum,
rursus et Orpheae carmine, fessa, lyrae;
interdum leviter mecum deserta querebar
externo longas saepe in amore moras:
dum me iucundis lapsam Sopor impulit alis.
illa fuit lacrimis ultima cura meis’.
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I raggi della luna, che attraverso le imposte aperte (v. 31 diversas ... fenestras) dischiudono gli occhi della fanciulla (v. 33 compositos
levibus radiis patefecit ocellos), segnalano poeticamente il trascorrere del
tempo; come già nell’epigramma di Filodemo, che ha costituito il modello di questi versi 1, la raffinata umanizzazione dell’astro notturno è
dovuta al fugace momento del suo rapimento estatico: v. 32 luna moraturis sedula luminibus; il participio futuro, l’allitterazione, l’assonanza e
l’epanalessi di luna 2 mettono poeticamente in luce il desiderio della luna
di soffermarsi più a lungo su quella straordinaria visione di Cinzia addormentata.
1
Cf. AP 5,123,5-6 ojlbivzeiò kaiv thvnde hJmevaò, oi\da, Selhvnh: / kaiV gaVr shVn yuchVn e[flegen
E
j ndumivwn.
2
Tale risorsa stilistica, che compariva già nei vv. 25-26, è frequente nei poeti alessandrini, in Virgilio e negli elegiaci e, oltre ad accrescere l’h\qoò, dà particolare rilievo al
concetto più importante del distico: cf. Norden 19162, 183 e Platnauer 1951, 33-35.
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Ai rimproveri rivolti all’amante per la sua lunga assenza e all’augurio di notti altrettanto angosciose, tiene dietro senza soluzione di continuità la descrizione degli strenui, quanto infruttuosi tentativi di combattere il sonno. Nel ‘tempo del racconto’, il ritmo serrato e incalzante
delle argomentazioni di Cinzia è in netta contrapposizione con i suoi
precedenti tentativi di ‘dilatare’ l’ormai trascorso ‘tempo della veglia’,
nell’ingannevole speranza di un imminente ritorno dell’amato. Dalle sue
parole si capisce che il sonno è un nemico da ‘eludere’ con scaltrezza,
con la tessitura della porpora – un’attività, questa, tipica della matrona
romana – o col canto accompagnato dalla lira, come solo la docta puella
amata da Properzio sa fare: vv. 41-42 nam modo purpureo fallebam stamine
somnum / rursus et Orpheae carmine, fessa, lyrae. In realtà la valenza allusiva di tali ‘clichés’ femminili è ben più complessa 3: sono proprio i paragoni della donna amata con eroine mitiche, sviluppati nei vv. 1-6, a
farci scorgere nell’immagine di Cinzia al telaio il rinvio puntuale alle
eroine omeriche, quali Elena (Il. 3,125-126), Circe (Od. 10,221 sgg.), le
Ninfe (Od. 13,107-108) e soprattutto Penelope; grazie a tali alti referenti
paradigmatici Cinzia compie un’operazione non dissimile da quella effettuata da Properzio all’inizio del carme, con il riferimento alle mitiche
figure femminili: « Cinzia, intenta alla tessitura come Penelope, attende
pazientemente e fedelmente in casa il suo uomo. Questo particolare
contribuisce a conferire nobiltà all’immagine di Cinzia e a giustificare
l’intonazione elevata con cui rivolge a Properzio la serie di rimproveri » 4.
Sia nel testo omerico, sia nella redazione elegiaca, infine, tempo e spazio coincidono: in entrambi i casi, infatti, se il tempo è quello di un’ostinata ed estenuante attesa dell’amato lontano, lo spazio s’identifica con
gli angusti confini di un ambiente domestico. Il ribaltamento dell’exemplum epico, tuttavia, risulta evidente: se da un lato la donna elegiaca
viene nobilitata dal corrispettivo omerico di Penelope, il protagonista
maschile subisce un altrettanto perspicuo “declassamento”: mentre l’assenza di Ulisse è motivata da epici “frenamenti” e gli ostacoli che si
frappongono al ritorno dell’eroe ne aumentano la celebrità e il valore,
quella di Properzio dipende da ben più prosaici bagordi notturni: è
questa, d’altronde, la sorte del protagonista elegiaco, che vive all’ombra
dei modelli epici, ma è condannato a riproporli in una realtà degradata.
b) Cinzia è costretta a combattere con il sonno anche in 2,29a, 1516 quae cum Sidoniae nocturna ligamina mitrae / solverit atque oculos moverit
3
4
Cf. Fedeli 1980, 134.
Ibid.
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illa gravis; nel duro rimprovero mosso a Properzio dagli Amorini la
fanciulla è rappresentata in abbigliamento notturno, ma non ancora
addormentata: non a caso i suoi occhi sono graves, proprio perché appesantiti dal sonno. È proprio la diversità spazio-temporale delle situazioni vissute dai due principali attanti a determinare il tono di acceso
biasimo di quei singolari fugitivarii 5: mentre, infatti, Properzio si aggira
di notte ubriaco per le vie della città, Cinzia, sola e afflitta, è costretta a
trascorrere insonne il tempo della lontananza dal suo amato.
Ancora: in 2,29b, 23-24 mane erat, et volui, si sola quiesceret illa, /
visere: at in lecto Cynthia sola fuit, nella descrizione del sonno di Cinzia,
dalla precisa ambientazione spazio-temporale, i termini che definiscono
il ‘cronotopo’ hanno una significativa collocazione nell’ambito del distico. Il rapido passaggio di Cinzia dal sonno alla veglia, poi, dura solo il
tempo dell’estatica ammirazione di Properzio: vv. 29-30 talis visa mihi
somno dimissa recenti. / heu quantum per se candida forma valet!. Anche
questa volta, alla donna spetta il ruolo di casta Penelope, in vana e
paziente attesa del suo uomo; ma i quattro versi finali di 2,29b aggiungono idealmente la conclusione che mancava in 1,3; Cinzia rifiuta sdegnosamente i tentativi di approccio amoroso del suo amante, che in 1,3
erano fatti “in modo malandrino” durante il sonno della fanciulla, e
dopo esser balzata giù dal letto, si allontana in fretta. La sconsolata e
lapidaria affermazione conclusiva (v. 42 ex illo felix nox mihi nulla fuit),
comunica l’irriducibile ostilità della puella, mentre a Properzio è riservata, manco a dirlo, la ben nota situazione dell’exclusus.
c) Un ulteriore riferimento alla condizione di Cinzia addormentata
compare in 2,7,11-12 a mea tum qualis caneret tibi tibia somnos, / tibia, funesta tristior illa tuba, in cui, attraverso una raffinata commistione di musica e di simbologia, Properzio immagina che l’amata abbia ‘sonni’ turbolenti e angosciati, alla notizia di un suo eventuale e legittimo matrimonio: il flauto a cui il poeta fa qui riferimento, infatti, è la tibia nuptialis,
strumento destinato ad accompagnare la deductio, che alle orecchie di
Cinzia avrebbe lo stesso, lugubre effetto della tuba funebre. Analogamente alla situazione descritta, le coordinate spazio-temporali sono assolutamente virtuali, perché Properzio immagina soltanto un suo ipotetico
5
In 2,29a il poeta ubriaco è solo e nella condizione di uno schiavo fugitivus, considerato il suo servitium amoris che lo lega a Cinzia. Il suo tentativo di fuga è miseramente
fallito, perché Cinzia sguinzaglia sulle sue tracce i fugitivarii ovvero gli amorini (questo
spiega la loro nudità e il loro essere forniti di vincla: lo ha ben chiarito Cairns 1971,
455-460).
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legame, che rattristerebbe Cinzia, ma che è stato scongiurato appunto
dalla lex sublata 6.
IL
SONNO DELL’AMANTE ELEGIACO: TEMPI E SPAZI
a) Un caso atipico di sonno, perché l’assenza di espliciti riferimenti
non permette di attribuire con certezza il ruolo del personaggio femminile del carme a Cinzia, è quello di 1,16,22 turpis et in tepido limine
somnus erit: le coordinate spazio / temporali sono quelle della notte e
della porta chiusa, tipiche del paraklausithyron. Il sonno, qui determinato
dalla condizione di exclusus, che invano attende dietro la porta dell’amata inesorabilmente sbarrata, è definito turpis perché l’amante è esposto
agli sguardi dei passanti 7, addormentato com’è sulla soglia; considerate
le tre occorrenze (v. 7 turpes corollae; v. 12 turpior et saecli vivere luxuria;
v. 22 turpis ... somnus), inoltre, sembra proprio che l’aggettivo turpis costituisca una parola tematica del carme, destinata a rendere espliciti il
punto di vista della ianua (v. 7; v. 12) e – in un sussulto di dignità – del
povero amante (v. 22). Oltre a rappresentare la concreta testimonianza
della sfortunata devozione e dell’inevitabile sfinimento dell’exclusus, il
sonno qui diviene anche un motivo di ignominia, proprio alla luce dell’ambientazione spazio / temporale dell’evento.
b) I riferimenti più significativi al sonno di Properzio sono costituiti
da 1,10,7-10 e 2,15,7-8; nel primo contesto (quamvis labentis premeret
mihi somnus ocellos / et mediis caelo Luna ruberet equis, / non tamen a vestro
potui secedere lusu; / tantum in alternis vocibus ardor erat) l’ambientazione
dell’evento ha una precisa definizione solo in rapporto al tempo, perché
manca del tutto la sua localizzazione. Se la scena d’amore della coppia
di amici è imprecisata (si tratterà, probabilmente di un convito), il poeta, testimone profondamente compartecipe dell’evento (vv. 1-2 primo cum
testis amori / affueram vestris conscius in lacrimis), proietta se stesso in uno
spazio affine, ma altrettanto indefinito. Al tempo della storia, invece, è
6
Da un punto di vista stilistico, oltre all’anadiplosi di tibia, è notevole il cacemphaton
(v. 11 tibi tibia) che, con ogni probabilità serve a riprodurre il suono acuto del flauto. Il
contesto properziano verrà ripreso da Ov. Her. 12,137-140 ut subito nostras Hymen cantatus
ad aures / venit et accenso lampades igne micant, / tibiaque effundit socialia carmina nobis, / at
mihi f u n e r e a f l e b i l i o r a t u b a, in cui Medea tradita da Giasone ha la stessa funzione
di Cinzia abbandonata da Properzio: cf. Fedeli 2005, 231.
7
Cf. Fedeli 1980, 386.
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riservata una duplice prospettiva: la prima riguarda genericamente la
felice vicenda d’amore dei due amici (v. 1 primo ... amori), la seconda
coinvolge più specificamente il fortunato narratore dell’evento: il sonno,
infatti, grava sugli occhi di Properzio a causa della tarda ora (v. 8 et
mediis ... equis), ma il sentimento di viva partecipazione all’altrui gioia ha
la meglio sulla stanchezza.
Nonostante l’analogia della dimensione narrativa del ricordo, il caso
di 2,15 si differenzia profondamente da quello di 1,10, perché non solo
Properzio è protagonista in prima persona dell’avvenimento narrato, ma
anche la minuziosa cura accordata all’ambientazione dell’evento, soprattutto in riferimento allo spazio, segna decisamente lo scarto con la situazione in precedenza descritta. In 2,15,7 illa meos somno lapsos patefecit ocellos / ore suo il riferimento al sonno è inserito nel ricordo di una
straordinaria notte d’amore trascorsa tra le braccia dell’amata e l’incipitario illa rimarca il ruolo protagonistico di Cinzia, enfatizzato anche dalla
collocazione in ‘enjambement’ di ore suo. Si capisce, allora, che l’eccezionalità dell’evento deriva non solo dal momento di incontenibile felicità
– che, rara in ogni vicenda d’amore elegiaca che si rispetti, Properzio
ricorda con accenti ancora estatici – ma anche dal ruolo ‘attivo’ della
donna; infatti, con una sorprendente infrazione del ‘codice etico’ elegiaco, che prescrive il programmatico diniego all’innamorato, Cinzia prende qui l’iniziativa e con i suoi baci dischiude gli occhi di Properzio, che
hanno ormai ceduto al sonno. Nei due contesti la diversità temporale
ha un inequivocabile corrispettivo nei tempi verbali: in 2,15,7 il part.
perf. lapsus in riferimento agli ocelli designa il sonno come già avvenuto,
al contrario di labentes (oculos) in 1,10,7, in cui il part. pres. indica una
condizione “prevedibile”, ma non compiuta.
In entrambi i casi, poi, i versi incipitari sono caratterizzati da analoghe formule retoriche, a sottolineare l’atteggiamento di estatica felicità,
che in 1,10 vede Properzio nelle vesti di testimone compartecipe, in
2,15 di protagonista, che ricorda con accenti di estatico compiacimento
il fortunato incontro d’amore: cf. 1,10,1 o iucunda quies; v. 3 o noctem
meminisse mihi iucunda voluptas; v. 4 o quotiens votis illa vocanda meis; ~
2,15,1-2 o me felicem, o nox mihi candida! et o tu / lectule deliciis facte beate
meis!
Tuttavia, come non di rado accade in Properzio, a fronte di un’evidente analogia ‘situazionale’, è presente una marcata differenziazione 8;
8
La diversità tra i due contesti è stata puntualmente messa in luce da Fedeli 2005,
442-444.
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se in 1,10,1-4 “si assiste a una ordinata successione di vocativi, qui (2,15)
nell’apostrofe iniziale, l’interiezione è seguita dall’accusativo: è forse questo un modo con cui Properzio sottolinea l’eccezionalità del makarismós
di se stesso e lo distingue dalle più normali beatificazioni della notte e
del letto”. Nella 2,15, infine, il “cronotopo” è fortemente connotato dal
punto di vista erotico e la nox e il lectulus assumono un rilievo del tutto
particolare, coinvolti come sono nel makarismós.
CINZIA
E
AMORE
PADRONI DEL SONNO DELL’INNAMORATO: AMBIENTAZIONE DEL
RACCONTO
a) Alle rare situazioni di felicità propria o altrui, si contrappongono i numerosi momenti in cui la profonda tristezza, il dubbio angoscioso o la certezza del tradimento della donna amata impediscono allo
sfortunato amante di prendere sonno: è il caso di 1,5,11-12 non tibi iam
somnos, non illa relinquet ocellos; / illa feros animis alligat una viros: la situazione è aspaziale e atemporale, così come è richiesto dalla retorica gnomica, che caratterizza formalmente un’elegia, la cui tematica di fondo è
costituita dalla descrizione del fatale destino dell’innamorato, costretto
al servitium amoris; in linea con tale impianto precettistico, nell’espressione non illa relinquet ocellos si rintraccia il topos di origine alessandrina 9,
secondo cui l’amata si impadronisce degli occhi dell’innamorato, impedendogli di vedere altro all’infuori di lei.
In due casi esemplari è proprio la coordinata spaziale (la lontananza dell’amata) a determinare le notti insonni: in 1,11,5 nostri cura subit
memores a! ducere noctes – in cui nostri specifica la cura, non le noctes
memores – il motivo di origine ellenistica, che compare in un epigramma di Meleagro (Anth. Pal. 5,166), è quello dell’innamorato che trascorre insonne e piangente le notti al pensiero dell’infedeltà dell’amata, ma al tempo stesso continua a sperare in un provvido ravvedimento della fanciulla. Alle notti insonni e all’angosciata solitudine di Properzio, si contrappongono le spensierate vacanze di Cinzia a Baia, rinomata e raffinata località balneare dell’epoca e famosa come luogo di
perdizione.
Analogamente in 1,12,13 nunc primum longas solus cognoscere noctes
la lontananza di Cinzia provoca lunghe notti d’insonnia e il riferimento
9
Cf. Apoll. Rhod. 3,1018-1019 th`ò d aj mj arugavò / ojfqalmw`n h{rpazen; nella poesia elegiaca cf. anche Prop. 1,9,27-28 quippe ubi non liceat vacuos seducere ocellos, / nec vigilare alio
nomine cedat Amor e Ov. Am. 2,19,19 Tu quoque, quae nostros rapuisti nuper ocellos.
TEMPO E SPAZIO DEL SONNO , DEL SOGNO E DELLA VISIONE IN PROPERZIO
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all’esperienza personale viene nobilitato dall’ascendenza ellenistica del
motivo della nuVx makrav per l’innamorato respinto 10. L’ambientazione dell’evento è inserita in due diversi piani prospettici, da un lato quello
dell’insopportabile solitudine di Properzio a Roma (v. 14 cogor et ipse
meis auribus esse gravis), dall’altro quello del soggiorno di Cinzia nella
lontana Baia. La relazione di causa / effetto tra la lontananza di Cinzia e
la perdita del sonno di Properzio è sottolineata anche dall’impiego dello
stesso attributo: se, infatti, nel v. 13 longae sono le noctes che Properzio è
costretto a vivere lontano dalla sua amata, nel v. 11 (non sum ego qui
fueram: mutat via longa puellas) longa è la via che separa, e non solo
fisicamente, la donna amata dal suo Properzio; la ‘iunctura’ allude con
ogni probabilità alla troppo lunga lontananza di Cinzia a Baia, di cui si
era già lamentato il poeta nella precedente elegia 11.
b) Spesso la volubile puella, Amore o la stessa Venere adottano le
medesime forme di ritorsione ai danni del poeta innamorato, costringendolo a veglie penose. L’insonnia, del resto, è un motivo tipico delle
rappresentazioni dell’amore sin da Platone 12 e nelle tematiche elegiache
ha una stabile sede, come si intuisce dalla sua presenza nel carme programmatico che apre la Monibiblos; in 1,1,33 in me nostra Venus noctes
exercet amaras, in linea con l’andamento precettistico del carme, è fatto
esplicito riferimento all’insonnia, sintomo inequivocabile di un amore
infelice perché non corrisposto. Dal pentametro successivo, poi, si capisce che, se Venere angustia il poeta con notti insonni, Amore, dal canto
suo, non rimane inattivo: v. 34 et nullo vacuus tempore defit Amor, in cui
l’espressione nullo tempore fa ben intendere che l’ostilità del dio nei confronti del misero amante non ha confini temporali e, analogamente a
quella di Venere, può manifestarsi anche di notte.
Altrove, però, origine dell’insonnia sono la gelosia e la lontananza: in
questo caso essa è determinata proprio dalla ‘diversità’ dello spazio occupato dai due amanti, come risulta ben chiaro dal patetico sfogo di Cinzia,
che in 1,3,39-40 o utinam talis producas, improbe, noctes / me miseram qualis
semper habere iubes! – in cui producere noctem equivale a extendere noctem 13 –
10
Cf. esempi in Fedeli 1980, 295.
L’espressione via longa non va intesa, come pensava Luck 1964, 29 nel senso di
« lange Reisen », o con Butler 1912, 33 in quello di « a distant journey », ma ha insieme
valore ‘locale’ e ‘temporale’.
12
Il motivo è attestato in Phaedr. 251e; cf., poi, Theocr. 10,10; 30,5 sg. e, oltre al
già citato AP 5, 166 (Meleagr.), 7,195-196, ugualmente di Meleagro.
13
Cf. Fedeli 1980, 133.
11
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augura a Properzio, colpevole di averla trascurata, notti tormentate e
insonni come quella che è stata costretta a trascorrere.
Poiché il letto è la sede dell’amore, basta l’assenza nel letto della
persona amata per rendere amarae le notti del poeta innamorato: è questa la situazione descritta in 2,17,3-4 horum ego sum vates, quotiens desertus amaras / explevi noctes, fractus utroque toro; qui amarus, messo in rilievo dall’ ‘enjambement’, è epiteto che definisce la notte come “piena di
amarezza”, analogamente a 4,3,29 cum noctes induxit vesper amaras, nella patetica lettera di Aretusa al suo lontano marito Licota, o a Tib.
2,4,11 nunc et amara dies et noctis amarior umbra est e a Ov. Her. 12,109
noctes vigilantur amarae 14.
Il tema dell’insonnia causata dalla gelosia ricorre anche in 2,22b,47-48
quanta illum toto versant suspiria lecto, / cum recepi quem non noverit ille,
putat, in cui l’innamorato, tra lamenti e sospiri, continua a rigirarsi nel suo
letto, al pensiero che nello stesso momento quello di Cinzia sia occupato
da un altro: l’iperbato (toto ... lecto) intensifica l’idea dell’estenuante movimento, mentre i suspiria indicano il sonno agitato degli amanti infelici 15.
Se, dunque, l’insonnia costituisce un sintomo tipico del mal d’amore
e della gelosia, non sorprende che ad essa Properzio faccia riferimento
nei monita – privi di una collocazione spazio-temporale definita – che,
nelle vesti abituali di praeceptor, fornisce ai suoi discenti. Così in 2,25,4748 cum satis una tuis insomnia portet ocellis, / una sat est cuivis femina
multa mala, il praeceptum / sententia conclude solennemente le argomentazioni precedentemente sviluppate nei consigli forniti dal poeta innamorato; i beneficiari della salutare precettistica sono quanti versano nella
sua stessa condizione, ma non sanno ancora difendersi dalle insidie tese
congiuntamente da Amore e dalla donna amata; nel distico, appunto,
14
In un caso particolare le azioni della donna sono in rapporto diretto con quelle
del dio Amore: in 1,9,27-28 quippe ubi non liceat vacuos seducere ocellos, / nec vigilare alio
nomine cedat Amor il dio, come già Cinzia negli esempi precedentemente analizzati, non
permetterà più che Pontico dedichi le sue notti alla stesura di poemi epici, perché la
donna amata, che già si è impadronita a tal punto del suo cuore da impedirgli di
volgere altrove gli occhi e la mente, diventerà l’unica artefice anche del suo tempo
notturno: il termine vigilare, che come verbo tecnico designa qui l’incessante attività
poetica, induce altresì a pensare alle lunghe veglie causate dalle angustie d’amore; la
donna amata e Amore, allora, svolgono in tale contesto la funzione di invincibili alleati
nel saldo possesso del sonno e degli occhi.
15
L’immagine ricorre anche in 1,3,27 et quotiens raro duxti suspiria motu, in 3,8,27 odi
ego quos numquam pungunt suspiria somnos e in Ov. Am. 2,19,55 nil metuam? Per nulla
traham suspiria somnos?; cf. anche Pichon 1902, 272.
TEMPO E SPAZIO DEL SONNO , DEL SOGNO E DELLA VISIONE IN PROPERZIO
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Properzio adotta la disposizione chiastica satis una ... una sat, a ribadire il
concetto dell’inutilità di darsi a più amori, perché l’unica donna a cui si
rimane fedeli è da sola un’inesauribile fonte di guai; l’anafora di una
sottolinea il contrasto concettuale che si crea con i multi amores del v. 39,
mentre il plurale insomnia esaspera la condizione dell’innamorato infelice,
col riferimento a numerose veglie notturne 16.
c) Quando poi siamo in presenza di un’azione congiunta dell’amore
e di una divinità diversa da quelle dell’amore, la vittima non ha scampo:
è quanto succede a Tarpea, doppiamente colpevole, perché per amore
viene meno ai suoi obblighi di vestale e tradisce la patria. Il tempo del
sonno interviene alla fine di un lacerante travaglio interiore, quale emerge dal lungo monologo della vestale (vv. 31-66). Catturata dall’amore per
il nemico Tazio (v. 19 vidit harenosis Tatium proludere campis), pur di conquistare l’adorato nemico, Tarpea, non si limita a tradire la patria e la
sua funzione sacerdotale, ma non esita a concedersi a Tazio anche come
prigioniera di guerra (v. 34 dum captiva mei conspicer esse Tati). Nonostante la scelta ‘estrema’, la vestale non ha dubbi sul comportamento da adottare: al termine del lungo monologo, che possiamo immaginare notturno,
il sorgere del sole, scandito dallo squillo della tromba (v. 63 et iam quarta
canit venturam bucina lucem), è poeticamente descritto anche dal delicato
‘tuffarsi’ delle stelle nell’Oceano (v. 64 ipsaque in Oceanum sidera lapsa cadunt): Tarpea, allora, invoca il sonno, perché, almeno nella dimensione
onirica, possa felicemente incontrarsi con l’amato (4,4,65-72):
‘experiar somnum, de te mihi somnia quaeram:
fac venias oculis umbra benigna meis!’
dixit et incerto permisit bracchia somno,
nescia se furiis accubuisse novis.
nam Vesta, Iliacae felix tutela favillae,
culpam alit et plures condit in ossa faces.
Illa ruit, qualis celerem prope Thermodonta
Strymonis abscisso pectus aperta sinu.
16
65
70
Il termine insomnium è una probabile creazione recente, perché è attestato per la
prima volta in Verg. Aen. 4,9 e 6,896; diversamente da Virgilio, in cui ha il significato di
“visione notturna”, affine al greco ejnuvpnion (cf. la voce somnium / insomnia curata da
Perutelli 1988, 937-940) in Properzio, che lega insomnium a insomnis (= senza sonno), il
termine rinvia al noto topos della ajup> niva. Del plurale insomnia, usato con questa accezione, si ricorderà Val. Flacc. 1,329-330 quos iam mente dies, quam saeva insomnia curis / prospicio; 2,140 ante torum et longo mulcent insomnia penso e 7,6 vertere tunc varios per longa
insomnia questus.
170
ROSALBA DIMUNDO
Se la sciagurata protagonista scorge nel suo riposo l’auspicato rimedio ai propri affanni, il lettore capisce bene che si tratta di una scelta
sbagliata: lo fa intuire l’aggettivo incertus riferito a somnus, in patetica
contrapposizione con l’atteggiamento di inopinata fiducia della vestale
(v. 67 permisit), che tradisce l’inesperienza assoluta dell’amore e della sua
dura lex 17, come è chiarito subito dopo dall’espressione nescia se furiis
accubuisse novis 18.
La risposta di Vesta, che, a quanto pare, ‘batte sul tempo’ Venere e
Amore 19, non tarda ad arrivare e nel v. 69 l’incipitario nam introduce la
spiegazione del pentametro precedente, dallo stile quasi ‘oracolare’. Con
un singolare scambio di pertinenze, Vesta prende qui il posto di Cupido, perché subdolamente alimenta la colpa dell’ignara vestale attraverso
la fiamma d’amore (v. 70 plures condit in ossa faces): assistiamo, così, ad
un’inconsueta e letale commistione di fuochi, quello puro e propizio di
Vesta 20 (v. 69 Iliaca favilla) e quello impuro e infausto dell’amore. La
tragica ‘défaillance’ di Tarpea è ben espressa da illa ruit, in ‘incipit’ del
v. 71, che traduce concretamente il rovinoso precipitare verso l’impudicizia e l’incontenibile frenesia passionale. Lungi dal costituire il remedium
agli affanni d’amore, dunque, il sonno di Tarpea è il momento cruciale
della sua follia d’amore, che la porterà alla morte.
QUANDO
E DOVE
PROPERZIO
SOGNA?
a) È ben noto che presso gli antichi il mondo dei sogni ha la
stessa importanza di quello reale, al punto che la realtà oggettiva e
17
A giudizio di Hutchinson 2006, 131, l’aggettivo nescius, affine al greco nhvpioò,
potrebbe avere l’analoga sfumatura ironica che si rintraccia in alcuni contesti epici: cf.
e.g. Hom. Il. 2,38; 22,445 e Apoll. Rhod. 2,137.
18
Per Hutchinson 2006, 131 « accubuisse evokes the sexual suggestions of Allecto
with Amata at Virg. Aen. 7,341-405 ».
19
Nel v. 69 seguo il testo di Fedeli 1984, che accetta il tràdito Vesta, contro la
congettura Venus di Kraffert 1881-1883, 147, accolta anche da Goold 1990, 390 e
Hutchinson 2006, 38, che si giustifica nell’ambito del diffuso topos dell’ostilità di Venere
nei confronti degli amanti sfortunati; tuttavia l’emendamento di Kraffert non tiene in
debita considerazione il motivo della ‘tutela’ di Vesta nei confronti di Troia o del suo
illustre superstite (su cui cf. Verg. Aen. 2,296-297 e, in seguito, Ov. Fast. 3,417 sgg.);
l’azione punitiva di Vesta, divinità ‘oltraggiata’ dal tradimento di Tarpea, infine, risulta
perfettamente in linea con la sfortunata vicenda della protagonista dell’elegia.
20
Col significato di propitius e detto ‘de dis, numinibus’ (ThlL VI 1,439,16) felix è
creazione virgiliana (Buc. 5,65; Aen. 1,330); ricompare poi nel Carmen saeculare di Orazio
(v. 669), in riferimento a Febo, e poi qui in Properzio.
TEMPO E SPAZIO DEL SONNO , DEL SOGNO E DELLA VISIONE IN PROPERZIO
171
l’esperienza onirica costituiscono due dimensioni equipollenti dell’esistenza. Se, poi, la sfera apparentemente irrazionale, che nelle civiltà moderne viene denominata genericamente ‘sogno’, non ha un corrispettivo
univoco in quella antica e in particolare in ambito greco, analogamente
complessa e diversificata è la tipologia del sogno in Properzio; è possibile, però, individuare una sorta di denominatore comune dei sogni
properziani, rappresentato dalla loro più o meno esplicita funzionalità:
il resoconto properziano dei diversi sogni, infatti, è finalizzato a fornire
sempre al lettore / ascoltatore un messaggio inequivocabile.
Il sogno del naufragio di Cinzia in 2,26 risulta particolarmente interessante ai fini della nostra indagine; sin dal distico incipitario il poeta
fornisce le coordinate spazio-temporali del somnium e, grazie al ricorso
ad un lessico specifico, ci fa capire l’importanza della testimonianza diretta: vv. 1-2 v i d i t e i n s o m n i s fracta, mea vita, carina / Ionio lassas
ducere rore manus; nonostante la dimensione onirica, l’evento ha un’ambientazione ben precisa, perché lo spazio è quello dello Ionio tempestoso, mentre il tempo passato, chiuso com’è alle imponderabili variazioni
del presente, garantisce maggiore persuasività all’avvenimento. Nel sogno Properzio vede Cinzia che, in seguito ad un naufragio nel mare
Ionio (fracta carina), tenta con tutte le sue forze di mantenersi a galla.
La situazione di estremo pericolo, induce la fanciulla a confessare le
colpe commesse nei confronti dell’amante elegiaco. Subito dopo, il parallelo con Elle impreziosisce e nobilita il racconto dell’esperienza personale e fornisce a Properzio l’occasione per motivare la sua intercessione presso gli dèi perché salvino l’amata. Con ogni probabilità 21, il sogno della 2,26 ha una forte valenza simbolica, perché il mare tempestoso e il naufragio sembrerebbero l’ipostasi dei motivi di separazione tra i
due amanti e della paventata fine dell’amore. In tale prospettiva esegetica, un significato analogo può essere rintracciato nella scena finale del
delfino, che un tempo salvò Arione con la sua lira; infatti « grazie a
questa immagine Properzio vuole far capire che, se è in pericolo il suo
amore per Cinzia, lo è anche la sua poesia, che in tale amore trova la
sua fonte d’ispirazione: Cinzia salvata dal delfino di Arione, sopravvive
in quanto materia di canto nella poesia di Properzio, che è immortale » 22. La forte compattezza dell’evento raccontato è garantita anche dalla ripetizione di vidi nel v. 1 e nel v. 17, in apertura e chiusura del
21
Il peculiare significato del sogno in 2,26 è stato ben colto da Holleman 1970,
177-180 e da Fedeli 2005, 735.
22
Cf. Fedeli 2005, 735-736.
172
ROSALBA DIMUNDO
segmento narrativo e con la medesima funzione 23. Proprio quando il
poeta sta per lanciarsi temerariamente in aiuto di Cinzia dalla sommità
di una rupe, il sogno viene bruscamente interrotto dalla paura, che fa
svanire la sensazione di angoscia: vv. 19-20 iamque ego conabar summo me
mittere saxo, / cum mihi discussit talia visa metus 24.
b) Esistono casi in cui, poi, il sogno ha una funzione letteraria,
perché costituisce il momento ‘par excellence’ dell’ispirazione poetica.
Così in 3,3 il sogno / visione dopo la recusatio di una poesia “alta”, ispira
e legittima la scelta poetica. Diversamente da come intendeva Paley, il
quale riteneva che 3,3 fosse un’allegoria e non un sogno, sono proprio
le prime due parole dell’elegia (v. 1 v i s u s e r a m molli recubans Heliconis in umbra), in virtù del loro carattere formulare, a far immediatamente capire al lettore che Properzio si accingeva a descrivere un sogno;
non a caso, già in Ann. 6 V.2 (= 3 Skutsch) visus Homerus adesse poeta,
l’espressione introduceva la legittimazione del pater Ennius a scrivere
poesia epica 25. Il verso d’apertura di 3,3, poi, ha un alto tasso di ‘memorabilità incipitaria’ e ‘programmatica’, come ben si intuisce dall’espressione molli ... in umbra e da recubans, di chiaro influsso virgiliano 26. Sin
dall’incipit del carme, poi, la minuziosa caratterizzazione dello scenario
del sonno non è affatto ‘neutrale’ o puramente esornativa, perché il
paesaggio montano dalle dolci ombre ribadisce una precisa scelta di
23
Che l’esperienza qui narrata sia relativa a un sogno, lo si capisce chiaramente
dall’espressione successiva in somnis: come sottolinea Fedeli ad loc., « il plurale serve convenzionalmente a indicare una scena che appare in sogno [...] e a distinguerla dalle
visioni notturne, per cui Properzio adopera invece videor (2,31,5; 3,3,1; 4,7,3) ». Per analoghi usi di videre cf. anche 1,13,14.15; 2,16,49; 4,2,53; 4,5,61.67.
24
Di visa e di timori Properzio aveva parlato anche in 1,3,29, dove, alla vista di
Cinzia addormentata, il poeta paventava ne qua ... visa determinassero nell’amata insolitos
timores: in entrambi i casi, dunque, i visa sono sogni angosciosi, non visioni: cf. Fedeli
2005, 745.
25
Cf., inoltre, Var. 45 V.2 nam videbar somniare med ego esse mortuum con il commento
di Cicerone Acad. 2, 88 dormientium et vinulentorum et furiosorum visa imbecilliora esse dicebas
quam vigilantium siccorum sanorum. Quo modo? Quia cum experrectus esset Ennius non diceret
se vidisse Homerum, sed visum esse e numerosi altri passi citati da Fedeli 1985, 115. La
stessa formula ricorre nello stile dei prodigi, come si capisce dal rinvio a Iul. Obseq. 14
tuba in caelo cantare visa, 17 arma in caelo volare visa di Norden 19162, 205, nel commento
a Verg. Aen. 6,256-257 mugire solum et iuga coepta moveri / silvarum visaeque canes ululare
per umbram.
26
Sul peculiare significato letterario di mollis, oltre che sulla densa allusività virgiliana e specificamente bucolica dell’espressione recubans in umbra, cf. le puntuali osservazioni di Fedeli ad loc.
TEMPO E SPAZIO DEL SONNO , DEL SOGNO E DELLA VISIONE IN PROPERZIO
173
poetica: la menzione sin dal primo verso dell’Elicona e la presenza dell’aggettivo mollis, infatti, permettevano al lettore di capire benissimo che
anche in questa elegia sarebbe stato ripreso e sviluppato il discorso di
poetica callimachea, che nel v. 18 avrebbe trovato un’ulteriore conferma,
addirittura all’inizio del discorso di Febo 27. Del resto, in 3,3 l’esplicita
dichiarazione di ascendenza poetico-letteraria, inserita nella cornice narrativa del sogno, deriva direttamente dalla presenza del motivo in Esiodo, Callimaco, Ennio e Cornelio Gallo; a Callimaco, per di più, alludono termini di poetica come mollis e parvus 28.
4,7:
SOGNO O VISIONE?
Più complesso è il caso costituito di 4,7, per l’oggettiva difficoltà di
stabilire con precisione la tipologia dell’evento descritto (vv. 1-12):
Sunt aliquid Manes: letum non omnia finit,
luridaque evictos effugit umbra rogos.
Cynthia namque meo visa est incumbere fulcro,
murmur ad extremae nuper humata viae,
cum mihi somnus ab exsequiis penderet amoris,
et quererer lecti frigida regna mei.
eosdem habuit secum quibus est elata capillos,
eosdem oculos: lateri vestis adusta fuit,
et solitum digito beryllon adederat ignis,
summaque Lethaeus triverat ora liquor.
spirantisque animos et vocem misit: at illi
pollicibus fragiles increpuere manus.
5
10
L’elegia presenta la struttura tipica dei carmi che narrano una vicenda o presentano un personaggio; i primi 12 versi, infatti, che definiscono ‘topograficamente’ la situazione descritta, sono introdotti ex
abrupto – come a proseguire un discorso precedentemente argomentato
– da un’affermazione incontrovertibile e resa ancor più incisiva dalla
perfetta bipartizione degli enunciati: l’esistenza di una vita al di là della morte e la certezza che la morte non è la fine di tutto. Nel v. 2, poi,
l’immagine della lurida umbra che ha la meglio sul rogo funebre, conferisce macabra concretezza alle argomentazioni incipitarie. Seguono quin-
27
28
Cf. Fedeli, ad loc.
Cf. v. 5 parvaque tam magnis admoram fontibus ora.
174
ROSALBA DIMUNDO
di l’ambientazione dell’evento e la descrizione dell’umbra di Cinzia, che
nonostante le evidenti tracce del rogo funebre, mantiene intatti gli occhi e i capelli.
Il problema di fondo della 4,7 è quello di stabilire se si tratti di un
sogno o di una visione: in un primo momento, infatti, si può parlare di
nitida visione (o{rama per i Greci), ma via via che si procede nella lettura
dei versi, si ha l’impressione che, in realtà, le due forme del sogno e
della visione siano fortemente connesse. Un dato, però, risulta indiscutibile: la tragica esperienza della morte di Cinzia è all’origine dell’evento
narrato da Properzio e il passato che dà luogo alla sua ‘epifania’ afferisce a due distinte fasi temporali; la prima è quella dell’intera esperienza
d’amore, che continua ad assumere un valore fondamentale non solo
per l’ombra di Cinzia, ma anche per il poeta; la seconda è quella dei
recenti funerali, sommariamente ricordati dal poeta al v. 4 murmur ad
extremae nuper humata viae 29.
Un’analoga bipartizione degli eventi trascorsi caratterizza la prima
parte del discorso dell’amata, significativamente aperto dall’accusa di violazione del patto d’amore (v. 13 perfide); la grave colpa di Properzio, per
di più, diventa destino ineluttabile per ogni donna che a lui si unisca
(v. 13 nec cuiquam melior sperande puellae). Subito dopo aver ricordato, con
punte di patetica nostalgia, i momenti felici della reciproca passione
d’amore (vv. 13-22), Cinzia rievoca con accenti di duro biasimo i recenti
29
Nel v. 4, al posto del tràdito murmur (marmor di V2 era lezione accolta da Lipsius,
Fruter, Guyet e Heinsius), Housman 1888, 14-16 = 1972, 39) preferiva leggere Tibure ad
extremam nuper humata viam, sulla base dell’emendamento Tiburis extrema nuper humata via
di Carutti 1869; Housman 1895, 354-355 = 1972, 376 propose successivamente murmur
ad extremae nuper humata tubae, con il riferimento al tipico strumento musicale che accompagnava il corteo funebre; tale interpretazione, condivisa anche da Goold, mi sembra però da escludere, se si considera l’esecuzione sommaria dei funerali di Cinzia, che
rende poco credibile la presenza dell’accompagnamento musicale delle tubae. A favore
della correzione di Carutti, inoltre, Hutchinson (Tiburis extrema nuper humata via) sottolinea che Tivoli, presumibilmente non distante dal luogo della sepoltura di Cinzia (cf.
vv. 85-86), dalla prospettiva del narratore e del lettore che si trovavano a Roma, era
località situata a l l a f i n e (extrema via, appunto) della via Tiburtina. A mio giudizio,
tuttavia, l’interpretazione del pentametro non può prescindere dal confronto con un
altro contesto properziano: si tratta di 3,16,25-26 di faciant, mea ne terra locet ossa frequenti, / qua facit assiduo tramite vulgus iter!: Properzio non si augura, per la sua sepoltura, un
luogo rumoroso; Cinzia, dunque, è stata sepolta con troppa fretta in un luogo che presenta anche l’inconveniente dei murmura della gente che percorre la strada. Extrema via,
che a giudizio di Hutchinson sarebbe incomprensibile senza Tiburis, indica, con ogni
probabilità, proprio il margine di una strada rumorosa, che non concede la dovuta
quiete alla salma nuper humata.
TEMPO E SPAZIO DEL SONNO , DEL SOGNO E DELLA VISIONE IN PROPERZIO
175
funerali. Il sogno / visione di Properzio, tuttavia, è proiettato in una prospettiva futura dai mandata 30 di Cinzia (vv. 71-86):
sed tibi nunc mandata damus, si forte moveris,
si te non totum Chloridos herba tenet:
nutrix in tremulis ne quid desideret annis
Parthenie: potuit, nec tibi avara fuit.
deliciaeque meae Latris, cui nomen ab usu est,
ne speculum dominae porrigat illa novae.
30
75
Tra i compiti che Cinzia imperiosamente affida a Properzio, alcuni riguardano
specificamente la sepoltura: nel v. 79 il consensus codicum tramanda pelle, accettato, tra
molti altri editori, anche da Hutchinson, sulla base di motivazioni che sostanzialmente
ricalcano quelle già esposte da Richardson 1976, 461; a loro giudizio, se nel verso precedente Cinzia impone a Properzio di distruggere i versi a lei dedicati, sarebbe inammissibile che possa aver chiesto al poeta di piantare sulla tomba proprio l’edera, che oltre
ad essere sacra a Bacco e ai poeti (cf. e.g. 2,30,39; 4,6,3), è particolarmente cara a
Properzio (cf. 1,2,10; 4,4,3). Pelle, tuttavia, implica un intervento sulla tomba in contrasto
con le antiche consuetudini, validamente attestate, perché l’usanza di piantare edera
sulle tombe trova frequenti testimonianze nella tradizione epigrammatica greca: cf. e.g.
AP 7,21 (Simia Tebano); 7,23.30 (Antipatro di Sidone); 36 (Ericio). In particolare il
distico properziano sembra riecheggiare AP 7,22,1-2 (Simia) hjrem uj pJ eVr tuvmboio Sofoklevoò,
hjrevma, kissev, / eJrpuvzoiò, cloerouVò ejkprocevwn plokavmouò. Va rilevata, tuttavia, una differenza notevole nella versione elegiaca: se nel modello epigrammatico l’edera cresceva s u l l a
tomba, nei versi properziani la pianta affonda le radici n e l l a tomba (tumulo), quasi a
sottolineare un legame più profondo e inscindibile tra l’edera, o ciò che essa simboleggia, e il corpo lì sepolto: il vincolo strettissimo, inoltre, è ben rappresentato dall’immagine del pentametro, in cui viene raffigurato un singolare intreccio di ossa e ramificazioni
dell’edera. A favore della correzione pone, proposta da Sandbach 1962, 273-274, tuttavia,
va detto che Cinzia, se desidera la distruzione dei versi a lei dedicati, vuole al tempo
stesso che Properzio lasci un segno duraturo della fama a lei accordata dalla poesia. Il
riferimento all’edera piantata sulla tomba potrebbe rappresentare un’implicita allusione
alla doctrina di Cinzia, una dote più volte esaltata dai versi di Properzio. A tal proposito
Stroh 1971, 183 osserva che « als docta puella sollte Cy. der Gedächtnis der Nachwelt
übergehen werden, der docta puella würde auch die Zier des Efeus gelten »; egli rinvia a
2,30,39-40 tum capiti sacros patiar pendere corymbos: / nam sine te nostrum non valet ingenium,
in cui l’edera è in relazione con Cinzia, considerata la musa ispiratrice del poeta. Nello
stesso verso, poi il tràdito pugnante è corretto da Cornelissen 1879, 108 in praegnante,
accettato, tra gli altri editori, anche da Goold e Hutchinson. La lezione esatta è a mio
avviso in stretto rapporto con la scelta di pone o pelle nell’ambito dello stesso verso. Se,
infatti, si accetta la correzione pone che, come si è sottolineato, si rifà all’antica consuetudine di piantare l’edera sulla tomba, risulta inspiegabile il motivo per cui i corimbi
dovrebbero pugnare con l’edera. L’immagine dei corimbi rigonfi (praegnante) di linfa vitale, crea, al contrario, un contrasto efficace con l’idea della morte evocata nel pentametro
successivo attraverso il riferimento alle ossa. L’edera che si ramifica con i suoi pregni
corimbi, pertanto, diventa simbolo della memoria di Cinzia che continua a sopravvivere
ai suoi ossa.
176
ROSALBA DIMUNDO
et quoscumque meo fecisti nomine versus,
ure mihi: laudes desine habere meas.
pone hederam tumulo, mihi quae praegnante corymbo
mollia contortis alliget ossa comis.
ramosis Anio qua pomifer incubat arvis,
et numquam Herculeo numine pallet ebur,
hic carmen media dignum me scribe columna,
sed breve, quod currens vector ab urbe legat:
hic Tiburtina iacet aurea Cynthia terra:
accessit ripae laus, Aniene, tuae.
80
85
La singolare esperienza raccontata nella 4,7 ha, dunque, un’ambientazione precisa, come del resto quella della maggior parte dei sogni
omerici, che sono collocati in uno spazio fisico reale 31 ed hanno come
unico protagonista colui che appare, mentre chi sogna è confinato in un
ruolo di completa passività 32: non a caso, Properzio, nonostante i rimproveri a lui mossi da Cinzia rimane completamente succube dell’evento
e, al termine del suo toccante resoconto, si limita silenziosamente, ma
invano, ad abbracciare l’umbra.
A colui che sogna, inoltre, la coscienza di giacere addormentato deriva dalla stessa figura che gli appare e gli rinfaccia l’ ‘oblioso’ sonno. È
proprio tale coscienza, tuttavia, a risultare poco perspicua nella 4,7, considerati gli sfuggenti confini ‘situazionali’ dell’esperienza raccontata e le
divergenti reazioni dei protagonisti: se Cinzia, infatti, rimprovera Properzio di essersi addormentato, il poeta sostiene in maniera esplicita
che l’ombra dell’amata v i s a e s t incumbere fulcro (v. 3) e con tale affermazione egli non si discosta dallo schema tradizionale, perché, come
sottolinea Dodds, « i Greci non parlavano mai di avere o fare un sogno
ma sempre di v e d e r l o : o[nar ijdei`n, ejnuvpnion ijdei`n » 33.
Properzio modella la sua esperienza su un preciso schema letterario,
quello del sogno di Achille descritto nel libro XXIII dell’Iliade: in esso
l’ombra di Patroclo, che appare ad Achille, sth` uJpeVr kefalh`ò (v. 68),
analogamente a quella di Cinzia sul capezzale di Properzio (v. 3 incumbere fulcro). In Omero, però, non esistono dubbi sul fatto che Achille stia
31
Come sottolinea Guidorizzi 1988, XIII,
una sembianza umana, sta sopra il capezzale
messaggio [...]; infine l’immagine si allontana.
stato definito Aussertraum o dream-visitation »; cf.
32
Lo sottolinea Dodds 1959, 123.
33
Dodds 1959, 124.
« il sogno penetra nella stanza, assume
dell’addormentato, gli comunica il suo
Questo tipo di esperienza onirica [...] è
anche Hundt 1935.
TEMPO E SPAZIO DEL SONNO , DEL SOGNO E DELLA VISIONE IN PROPERZIO
177
dormendo: dopo l’uccisione dell’amico, mentre gli altri sodali si recano
a dormire nelle loro tende, Achille vaga solo sulla spiaggia e si lascia
andare ad un pianto dirotto, finché non cade vinto dal sonno. L’eroe
omerico, per il quale il sonno è condizione indotta sia dalla stanchezza
per il combattimento con Ettore sia dal profondo stato di prostrazione
per la morte di Patroclo, non cerca un comodo giaciglio: il sonno, che
in questo caso svolge una funzione quasi catartica, lo coglie sulla spiaggia lambita dalle onde e il letto naturale costituisce una cornice perfetta
alla sua stanchezza 34. Nella rielaborazione elegiaca, invece, Properzio sottolinea il particolare stato psicologico, che costituisce per lui un motivo
di turbamento: le esequie della sua donna, infatti, sono troppo recenti
per consentirgli di prender sonno (vv. 5-6 cum mihi somnus ab exequiis
penderet amoris / et quererer lecti frigida regna mei). È proprio da tali versi
che scaturisce la difficoltà di interpretare con precisione il carattere peculiare (sogno o visione) dell’avventura descritta.
È evidente, allora, che un duplice punto di vista regola l’impianto
dell’intera elegia: per Properzio si tratta sicuramente di una visione,
perché il poeta stesso afferma di non riuscire a prendere sonno ed è il
suo particolare stato psicologico a determinare l’apparizione dell’umbra;
per Cinzia, al contrario, ai fini del suo discorso risulta più funzionale
che si tratti di un sogno, perché ciò è richiesto sia dal modello omerico,
che sta alla base dell’elegia properziana (Cinzia s a che Patroclo è comparso i n s o g n o ad Achille), sia dal discorso aggressivo che la puella si
accinge a fare a Properzio. Per Cinzia, dunque, il poeta non può che
essere addormentato, perché questo è il presupposto indispensabile del
suo intervento (vv. 13-14 perfide nec cuiquam melior sperande puellae / in te
iam vires s o m n u s habere potest?). Il sonno è strutturalmente funzionale
all’apparizione di Cinzia, anche perché ad essa e ai suoi mandata conferisce una garanzia di veridicità: è quanto la fanciulla proclama, con l’autorità che le deriva dal suo status di umbra, nei vv. 87-88 nec tu sperne
piis venientia somnia portis / cum pia venerunt somnia, pondus habent 35.
34
Il motivo del “mare mugghiante” (Il. 23,59) si accorda perfettamente con i singhiozzi dell’eroe; in Properzio, invece, assistiamo a un cambiamento di scenario: e non
potrebbe essere altrimenti perché nel codice elegiaco, sin da Cornelio Gallo, la natura
solitaria e silenziosa è lo sfondo privilegiato dei lamenti dell’innamorato.
35
Si tratta di una concezione di origine omerica, che serve a rafforzare la specifica
valenza allusiva dell’elegia properziana: il motivo ricorre, infatti, in Od. 19,562-63 e
viene ripresa da Virgilio Aen. 6,893-896; cf., poi, Hor. Carm. 3,27,39-42; per l’immagine
dei sonni che dicono cose vere cf. anche Prop. 3,6,31-32 si non vana canunt mea somnia,
Lygdame, testor, / poena erit ante meos sera sed ampla pedes, in cui Cinzia fa riferimento a
178
ROSALBA DIMUNDO
Lo spazio dell’evento (lectus), inoltre, è in perfetta armonia con il
tipo di avvenimento (sogno / visione) narrato o ricordato; del resto, nel
mondo intimistico della poesia elegiaca e in linea con il contenuto erotico / passionale delle parole di Cinzia, lo scenario del sogno / visione non
può essere che quello della stanza da letto, o meglio, del letto del poeta. L’autore sottolinea con calcolata insistenza l’ambito spaziale della propria esperienza: cf. v. 3 Cynthia ... m e o visa est incombere f u c r o (è interessante notare, a tal proposito, che lo spazio occupato dal protagonista
s’identifica sostanzialmente con quello della figura che appare); per di
più l’ambientazione influisce sullo stato d’animo del protagonista e costituisce la causa dei suoi lamenti: vv. 5-6 cum mihi somnus ab exsequiis
penderet amoris / et quererer lecti frigida regna mei. Indeterminate, invece,
restano le coordinate temporali, per l’assenza di particolari sia di ordine
generale (ad esempio la stagione) sia di carattere più specifico (ora,
giorno o notte): il tempo del racconto potrebbe essere desunto solo da
un’indicazione molto generica, qual è quella contenuta nel v. 4 murmur
ad extremae n u p e r humata viae: il sogno / visione, dunque, avviene a
breve distanza dall’inumazione della puella. Sembra proprio, allora, che
l’indicazione di massima serva unicamente a sottolineare l’immediata successione temporale dei due avvenimenti (morte di Cinzia-sogno / visione),
collocati dall’autore in un rapporto di causa ed effetto 36.
Nell’articolo Dreams and Visions in the Greco-Roman World and Early
Christianity, apparso in “ANRW” II 23,2 (1980), 1395-1427, J. S. Hanson,
enuclea una serie di elementi strutturali che, a causa della loro ripetitività, possono a buon diritto essere considerati quali ‘costanti’, relativamente all’ambientazione dell’avvenimento narrato. Tali costanti vanno
individuate (a) nell’identificazione di colui che è soggetto del sogno /
visione; (b) nel tempo; (c) nel luogo; (d) nella condizione mentale del
soggetto che sogna (o che ha la visione). Nonostante le evidenti diversità dovute sia al genere letterario (si tratta, infatti, di biografie), sia alle
sogni veraci e tali, perché, com’è noto, il sogno è una forma di profezia; in questo caso
i sogni non vana canunt, perché hanno rivelato a Cinzia il tradimento di Properzio: cf.
Fedeli 1985, 221-222.
36
A guardar bene, la dimensione spazio-temporale è rintracciabile sin dal distico
incipitario, perché nel v. 1, con l’espressione letum non omnia finit [“la morte (il tempo
della morte) non annulla tutto”] viene fatto un esplicito riferimento al tempo, sia pure
di carattere generico, trattandosi di un’espressione sentenziosa; nel v. 2 lurida... evictos
effugit umbra rogos, poi, il rinvio alla coordinata spaziale è implicito nell’immagine dell’umbra, che riesce a superare lo spazio angusto dei rogi.
TEMPO E SPAZIO DEL SONNO , DEL SOGNO E DELLA VISIONE IN PROPERZIO
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motivazioni di fondo dei testi-campione esaminati da Hanson 37, è possibile tuttavia rintracciare tali costanti strutturali anche nel carme properziano, considerato soprattutto il carattere generico degli elementi che lo
studioso indica come ricorrenti.
Contrariamente alla topica del sogno / visione individuata da Hanson,
che prescrive lo svegliarsi gradualmente o improvvisamente, con un immancabile senso di timore da parte del dormiente, seguito subito dopo
dal canonico invito a “non temere” fatto da colui / colei che appare, nel
carme properziano non c’è nulla di tutto questo e lo scarto è ascrivibile
essenzialmente allo spostamento del focus narrativo. Al termine dell’elegia, infatti, è nuovamente Properzio a prendere la parola e se egli non
ha mai affermato di dormire, anzi all’inizio dell’elegia ha sottolineato
che non riusciva a prendere sonno (vv. 5-6), ben si comprende che nella
conclusione non possa far riferimento a un suo risveglio. Anche il convenzionale timore di chi ha l’apparizione è assente nella 4,7: in Properzio, anzi, accade il contrario, perché il carattere stesso del discorso di
Cinzia sembra finalizzato a spaventarlo; per di più è proprio Cinzia ad
incutergli sentimenti di paura, quando gli predice la morte imminente.
Diversamente dalle reazioni generalmente attestate, però, lungi dal mostrarsi intimorito, il poeta si affretta a stringere in vani abbracci l’ombra
che invece svanisce (vv. 95-96 haec postquam querula mecum sub lite peregit, /
inter complexus excidit umbra meos): la risposta verbale prevista dalla topica
del sogno / visione, così, è sostituita nella 4,7 dal gesto istintivo. Se, come
sottolinea Hanson, la risposta è semplicemente l’azione diretta (i complexus) di colui che sogna ed è in stretta relazione con il significato
stesso del sogno / visione, nel caso della 4,7 il messaggio di Cinzia è
stato chiaro: altrettanto inequivocabile è la risposta di Properzio e gli
abbracci ripetuti sottolineano la sincerità del suo sentimento per Cinzia
al di là della morte.
37
Philostr. Vita Apollonii 4,34; Plut. Lucull. 12,1-2 e Eumen. 6,4-7.
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