Jacopo Cima - Centro Documentazione Comuni Italiani
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Jacopo Cima - Centro Documentazione Comuni Italiani
1876 Jacopo Cima a cura di Oscar Gaspari 1876 Jacopo Cima a cura di Oscar Gaspari Presentazione Piero Fassino Introduzione Lucio D’Ubaldo Centro Documentazione e Studi Comuni Italiani ANCI-IFEL Direzione: Lucio D’Ubaldo A cura di Oscar Gaspari Coordinamento editoriale di Camilla Caliento e Alessio Ditta Progetto, grafica e illustrazioni Pasquale Cimaroli, Claudia Pacelli www.backup.it Indice Presentazione di Piero Fassino /5 Introduzione di Lucio D’Ubaldo /9 PRIMA PARTE Perché “Il Nuovo Sindaco” /35 1. Le speranze di riforma della legislazione locale nel 1876 /35 2. Il fermento culturale nell’amministrazione locale di fine ‘800 /43 3. Le qualità del sindaco alla fine del XIX secolo (e all’inizio del XXI) /49 4. Amministrare il Comune da sindaco del re /66 4.1. Il Comune e il sindaco /66 4.2. Il personale dei Comuni /79 4.3. Il ruolo e i beni della Chiesa e la questione anticlericale /81 4.4. La lunga attesa delle riforme /83 Bibliografia /89 Indice dei nomi /93 PARTE SECONDA Del Carattere e delle Qualità del Nuovo Sindaco /I Presentazione di Piero Fassino L’attualità della storia stupisce sempre, anche quando riguarda figure istituzionali, come i sindaci. È la storia di questo Paese che ha reso e continua a rendere i primi cittadini interpreti essenziali della realtà locale, dei suoi bisogni in rapporto agli obblighi derivanti da norme, consuetudini e dall’attività di Governo, amministrazioni nazionali e internazionali. È sempre al sindaco che guarda la comunità nel suo insieme e da lui aspetta soluzioni; che per altro, nello stesso momento, i numerosi portatori di interessi presenti nel territorio sollecitano. Asili, scuole, assistenza, strade, attività economiche continuano ad essere al centro dei programmi di governo di qualsiasi Comune, di qualsiasi colore. In questo lavoro del 1876 il nostro Jacopo Cima chiede molto al sindaco, a partire dall’essere Nuovo, e per questo esige che da parte sua venga un esame di coscienza per riconoscere, in primo luogo a sé stesso, di essere o meno all’altezza del compito. Da solo, rispet5 to alla responsabilità sulle decisioni da prendere, ma non nel proprio ruolo, lo accompagnano idealmente tutti i sindaci che con lui condividono il peso e l’onore della carica. Pagina dopo pagina, Cima richiama l’attenzione soprattutto sulla presenza costante dell’orizzonte europeo: sono frequenti i richiami comparativi alla legislazione francese, sulla base della quale si è costruita la normativa comunale italiana, ma vi sono anche numerose citazioni in ordine alla realtà comunale di altri Paesi europei. L’Europa non è quindi un elemento specifico dei nostri anni più recenti, l’Italia ha sempre avuto una fortissima connotazione internazionale, che con il Risorgimento è diventata la cifra identificativa della Nazione. Nel 1876 questo è chiarissimo: il Regno d’Italia è appena quindicenne, ancora fortissimi sono i ricordi delle battaglie per l’Unità cui tanti stranieri avevano partecipato, contribuendo alla sua realizzazione e insieme alla costruzione di una più vasta identità europea, basata sulle idee di libertà e di democrazia. Ecco, la stessa libertà e la stessa democrazia cui doveva essere ispirata la figura del Nuovo Sindaco eletto dal consiglio comunale e non più designato dal re. Era il 1876 e si attendeva dal Governo dell’epoca la riforma comunale, a partire da quella della scelta del sindaco. Insieme ad essa se ne attendevano altre che nel complesso avrebbero dovuto permettere lo sviluppo del Comune. Non quelle stesse, ma altre riforme i sindaci continuano ad aspettare oggi: di qui l’attualità del Nuovo Sindaco. Con ciò, senza dubbio, un qualche senso di pena per la continuità di temi e considerazio6 ni. Le riforme come una sorta di supplizio di Tantalo per i sindaci, condannati a vederle sempre molto vicine, ma sempre altrettanto irraggiungibili. Desidero, infine, attrarre l’attenzione dei lettori su una citazione dall’opera di Luigi Ferraris, uomo politico liberale, parlamentare in diverse legislature, prima alla Camera e poi al Senato e, soprattutto, sindaco di Torino tra il 1878 e il 1882. Proprio come sindaco Ferraris aveva promosso nel 1879 la prima assemblea di Comuni della storia nazionale. Il 7 e 8 aprile 1879, nell’ex capitale del Regno di Sardegna, e città monarchica per eccellenza, un sindaco nominato dal re decideva di promuovere e organizzare una riunione di colleghi per chiedere al Governo più risorse perché: “È fatale, dice egli, che i Municipi non possano rimanere stazionari, debbono progredire”. Fu quello il primo atto di un movimento che, sviluppato dai Nuovi Sindaci eletti dopo il 1889 direttamente dai consigli comunali, avrebbe dato luogo alla nascita a Parma, nel 1901, dell’Associazione Nazionale dei Comuni Italiani. La stessa idea dei Comuni, delle città come motori dello sviluppo, economico, sociale e politico, guida ancora oggi i sindaci dell’Anci che, proprio come ieri, chiedono al Governo di essere messi in grado di svolgere il proprio ruolo in favore delle comunità locali e, con esse, di tutta la Nazione. 7 Introduzione di Lucio D’Ubaldo Il titolo di questo Dizionario di giurisprudenza amministrativa, pubblicato nel lontano 1876, è ambizioso. Evoca in effetti la volontà di innervare il corpo politico della Nuova Italia, da qualche lustro giunta alla sua unificazione territoriale (con l’eccezione ancora del Trentino e la Venezia Giulia) e da appena sei anni all’adozione per via militare di Roma quale capitale della nazione, con la forza e la sensibilità di una coscienza amministrativa posta al servizio del buongoverno delle comunità locali. L’autore, segretario comunale, non nasconde l’impronta, anche ideologica, che connota la sua attività di funzionario della Pubblica amministrazione locale. Lo stile e la qualità della scrittura, ben evidenti nella premessa riproposta in questo piccolo volume, permettono di cogliere il concreto desiderio di unire all’ampia e dettagliata rassegna del manuale tecnico-normativo un chiaro appello alla responsabilità etica e politica del primo cittadino. L’opera di Jacopo Cima si rivolge ai 9 sindaci, a quell’epoca espressione ancora non elettiva della classe dirigente liberale, chiamati a trasfondere nel quotidiano impegno municipale gli ideali che avevano nutrito l’eroica impresa risorgimentale. I consigli si alternano alle prescrizioni, perché lo sforzo dell’autore consiste nel definire con cura l’approccio migliore alla buona esperienza amministrativa. Tuttavia è il nesso tra etica e ideologia il motore della riflessione che abbraccia l’elencazione e la spiegazione delle norme tecniche. Il liberalismo si veste di luce pedagogica, diventa ascesi e missione civile. Cima vuole essere dalla parte del progresso. La citazione di Edgar Quinet(1) posta in esergo del libro (“Affidiamo la vita nuova a spiriti nuovi”(2)) attesta la sua naturale collocazione tra i riformatori di stampo radical-illuminista. È una scuola di pensiero che mira ad emancipare la storia dagli ingombri della religione - percepita, in fin dei conti, come superstizione e asservimento clericale - affinché in alternativa, secondo un canone di laicità intransigente, possano affermarsi le condizioni indispensabili all’avvio del progresso civile ed economico della nazione. 1 Di Quinet è tornata in libreria di recente una delle sue opere più importanti, Le rivoluzioni d’Italia, a cura di Maria Grazia Meriggi, Nino Aragno Editore, Torino 2012. Il testo è quello della edizione parigina del 1851. Il pensatore francese aveva individuato il nodo principale della “questione italiana” nel ruolo predominante ed oppressivo della Chiesa cattolica. Solo sciogliendo questo nodo, a suo giudizio, poteva sorgere una nuova nazione più libera e più forte. 2 P. I, infra. L’indicazione si riferisce al testo di Jacopo Cima pubblicato nella seconda parte di questo volume. 10 I fantasmi del Novecento, rappresentati anzitutto da grandi guerre distruttive e tragiche esperienze totalitarie, bloccano qualsiasi ricorso all’insegnamento della storia. Non guardiamo all’indietro, non ci interessa la tradizione: siamo diventati refrattari alla lettura del passato. Fatichiamo a stabilire le cause più o meno remote di trasformazioni che pure hanno inciso, attraverso il tempo, sulla mentalità di noi contemporanei. Nondimeno, le celebrazioni dei 150 anni dell’Unità d’Italia hanno riattivato concetti e vibrazioni ideali appartenenti alla sfera dell’amor di patria. È così che abbiamo riscoperto una radice più antica nei difetti, come nei pregi, che accompagnano la nascita e lo sviluppo dello Stato nazionale. L’Italia del XXI secolo è figlia, sotto vari profili, dei rivolgimenti rivoluzionari e controrivoluzionari del secolo XIX. Nell’Ottocento, in effetti, cambia a più riprese la scena del mondo e con essa la sensibilità che gli uomini acquisiscono nel fragore e nelle turbolenze che investono la civiltà europea, scuotendone le fondamenta. Basti pensare al sorgere del gusto estetico e della percezione filosofico-morale con il Romanticismo, con quella nota d’inquietudine e dolore a far da sfondo all’esistenza e al dinamismo della società(3), certamente in antitesi con la settecentesca concezione razionalistica, persino algida, delIa vita umana e della natura. Il Risorgimento italiano, con le alterne fortune del processo costituente prima e con le numerose asperità 3 Cfr. Isaiah Berlin, Le radici del Romanticismo, Adelphi, Torino 2001. 11 della fase post-unitaria poi, reca appunto il sigillo di una “mentalità rivoluzionaria” che mescola sentimenti, speranze e inclinazioni politiche di un tempo votato alla rottura, anche psicologica, con il presente. Posto che il suo nome campeggia nel frontespizio, costituendo un preciso riferimento per Cima, vale la pena capire chi fosse e cosa rappresentasse Quinet. Secondo Léon Gambetta era un originale scrittore e filosofo, poeta e uomo politico, senz’altro meritevole di apparire tra i teorici di una concezione o visione della democrazia più aderente ai problemi squadernati dalla rivoluzione del 1789. Liberale e antigiacobino, egli avvertiva l’esigenza di dare una risposta all’ansia di riscatto delle masse popolari, unitamente all’imporsi di un desiderio di novità che ambiziosi ceti emergenti andavano rivendicando sul terreno della politica e del costume civile. Aveva un alto concetto della libertà, del progresso dei popoli, dell’indipendenza delle nazioni: tante convinzioni solide, frutto anche di sofferte esperienze personali, che lo avrebbero portato a formulare la netta condanna della spedizione militare francese contro la Repubblica Romana. In effetti Quinet amava l’Italia, ne conosceva la gloria secolare e ne ammirava l’attitudine a farsi, volta a volta, interprete di passioni e valori in grado di mutare e arricchire le basi della civiltà. Proprio per questo, nella sua opera “Le rivoluzioni d’Italia”, tutta protesa a discoprire il genio ambivalente della tradizione italica e le ragioni di una intrinseca debolezza delle classi dirigenti, imbevute a suo dire d’indebita sudditanza verso il passato, invitava i patrioti che agitavano la bandiera 12 del Risorgimento a non resuscitare una nazione, ma a crearne una tutta nuova. Nei secoli gli italiani, anche attraverso lacerazioni e sofferenze, avevano più volte incrociato il dilemma della scelta tra patria e mondo. Alla fine, ad ogni decisivo tornante della storia, essi avevano preferito il cosmopolitismo (religioso, letterario, artistico, mercantile) allo spirito di appartenenza nazionale. Non era questo il lievito del futuro, non poteva essere l’evocazione del Sacro Romano Impero l’arma del riscatto italiano. Al contrario, abbandonata l’aura cosmopolita, l’eroismo patriottico doveva piegarsi all’invenzione di un’Italia protesa più che mai a scoprire le sue inespresse potenzialità. Numerosi gli interlocutori italiani del Quinet: tra questi Berchet, Mazzini e Garibaldi, successivamente anche Carducci. È da presumere pertanto che Cima avvertisse il fascino di una “voce esterna”, ma decisamente partecipe, che sapeva ben interpretare le ragioni della nuova rinascita italiana. Un anno prima di morire, lo scrittore francese aveva raccolto ne “L’esprit nouveau” (1874) le sue idee attorno all’evoluzione del pensiero liberale europeo nel secolo XIX. Un affresco, questo, che includeva l’impresa risorgimentale come evento epocale nel disegno di crescita e affermazione degli ideali di libertà, costituendo un esempio di audacia e concretezza politica nel grande moto di progresso del Vecchio Continente. Il messaggio doveva penetrare nella coscienza degli italiani. Giunta a compimento l’unità della nazione, 13 ora lo spirito del tempo richiedeva di alimentare la potenza dello “spirito nuovo” con la solerzia e l’impegno concreto di “uomini nuovi” - gli stessi invocati nella citazione posta in apertura del Dizionario di Cima. Di fronte c’era un compito davvero grande. Bisognava “fare gli italiani”, a dirla con le parole di D’Azeglio. La stanchezza, figlia della delusione rispetto alle speranze che avevano accompagnato la nascita del nuovo Stato unitario, non doveva minare l’edificio morale della nazione. Sebbene fosse tangibile il logoramento della classe dirigente post-unitaria, non era tuttavia accettabile un che di impotenza e rassegnazione destinato a pervadere le coscienze più mature e sensibili del Paese. Alcuni obiettivi importanti erano stati raggiunti, non ultimo il fatidico pareggio di bilancio a cui la Destra storica di Quintino Sella e Marco Minghetti aveva assegnato il valore non solo simbolico della credibilità e, dunque, della piena indipendenza dell’Italia appena risorta. Il messaggio di Cima equivale a un programma politico. Laddove la lettera non è esplicita, sovviene la comprensione induttiva di ciò che si nasconde tra le righe del testo. L’energia morale, da conservare o ritrovare, appartiene alla dimensione delle comunità territoriali. In mancanza di “Nuovi Sindaci”, all’altezza delle sfide del cambiamento, lo Stato avrebbe incontrato difficoltà aggiuntive anche a fronte della centralizzazione legislativa e amministrativa. Dare respiro ai comuni e alle province sembrava anche un modo per superare il carattere antipopolare della politica di risanamento delle finanze pubbliche. Al tempo stesso, la trasformazione del qua14 dro politico era un auspicio e una necessità dal momento che un’alternativa di governo, pur nella sostanziale continuità di azione come quella assicurata da Cavour in avanti, pareva inevitabile. La svolta maturò appena due anni prima l’uscita dell’opera di Cima. “Nell’ambito delle competizioni elettorali postunitarie, le elezioni del 1874, con la dura sconfitta della destra nel Mezzogiorno, possono considerarsi spia di un sistema di governo ormai logoro, senza prospettive di rinnovamento e significativo preludio del passaggio del potere alla sinistra, che lo condividerà con altri gruppi politici nell’operazione trasformistica”(4). In quella circostanza caddero molte personalità della Destra storica, tra cui Bonghi, Spaventa e Pisanelli, tanto da far dire a Francesco De Sanctis che le elezioni avevano sancito la “ecatombe dei generali”. Troppe divisioni avevano indebolito il partito dei Moderati, mettendo in risalto le divergenti impostazioni della Permanente (animata dai piemontesi) e della Consorteria (animata dai toscani). In sostanza, lo sgretolamento della Destra era il risultato di un progressivo espandersi delle istanze localistiche, con gruppi di potere interessati alla difesa di specifiche esigenze di centri piccoli e grandi, senza più il collante di una visione generale sul futuro del Paese(5). 4 Ornella Confessore, Le elezioni politiche del 1874, in AA.VV., 18741976. Le elezioni politiche che hanno cambiato il Paese, “Studium”, Rivista bimestrale, marzo-aprile 2013 - Anno 109, p. 169. 5 “La caduta della Destra sarà, in una certa misura, un’esplosione di regionalismo contro la stretta unitaria. Non a caso Giolitti ha potuto 15 Era una questione tutta interna al mondo liberale. Nelle prime competizioni elettorali l’incidenza del voto cattolico non poteva essere alta, anche quando non fosse scattato, come per altro avvenne nel 1874, il “non expedit” della Santa Sede. La quota così esigua di cittadini, solo di sesso maschile, ammessi al voto in base al censo escludeva che la parte dell’elettorato più legata alla gerarchia ecclesiastica potesse risultare determinante: lo sarebbe stata invece con l’aumento del numero degli aventi diritto, specie quando si arrivò nel 1914 al suffragio universale, ma pur sempre limitatamente alla componente maschile. In realtà, l’adozione su vasta scala del motto di don Margotti (“Né eletti, né elettori”), formulato per protesta a seguito dei soprusi subiti nelle elezioni del 1857 nel Regno di Sardegna, impediva che la Destra potesse giocare la carta dell’unità del blocco moderato e conservatore associando i “clericali” nella politica di scrivere che ‘la Destra cadde parte per ragione delle sue stesse virtù’. (...) Rimproverare alla Destra di non aver avvertito l’esigenza immediata di un allargamento delle basi dello Stato, significa trascurare che in quegli anni le masse erano in gran parte contro lo Stato” (in Fernando Manzotti, Partiti e gruppi politici dal Risorgimento al fascismo, Le Monnier, Firenze 1973, p. 7). Per un ragguaglio ampio e dettagliato, si potrebbe dire “in presa diretta”, cfr. anche Ruggero Bonghi, Come cadde la Destra, Treves 1929. “Gli scritti del Bonghi, allora ministro della pubblica istruzione, sull’argomento, studiano e illuminano le ragioni della crisi, osservano e rappresentano al vivo le caratteristiche dei diversi partiti, scovrono la logica delle cose e dei fatti, confermano le riserve della Destra sull’azione che gli avversari avrebbero svolto, e, non raramente, pongono in rilievo, crudamente, i difetti e i torti degli amici, come degli avversari politici” (dalla Introduzione di Francesco Piccolo, p. XIX). 16 contrasto verso la minaccia del sovversivismo rosso, anarchico e socialista, esploso clamorosamente con la Comune di Parigi nel 1871. In ogni caso, a ben vedere, l’astensionismo cattolico ebbe l’effetto di limitare le manifestazioni d’intransigenza anticlericale tanto care alle schiere del partito radical-liberale e progressista. Le lance più acuminate di questa intransigenza finirono per scagliarsi contro un nemico del tutto esterno ed estraneo, spesso dipinto a tinte fosche e con malcelato fastidio, ma non contro un’attività di opposizione precisa e stringente da parte di cattolici eletti in Parlamento. Le istituzioni furono così circondate dal muro protettivo dell’ideologia liberale, tanto da prefigurare una dialettica esclusiva tra chi apriva alla “libertà della Chiesa” e chi invece la intendeva limitare, semmai teorizzando, a beneficio dell’autorità dello Stato, la “libertà dalla Chiesa”. Allora tanto la Destra quanto la Sinistra avrebbero legittimato se stesse in funzione di tale dialettica, essendo più aperta la prima e più chiusa la seconda alle rivendicazioni di sovranità della Chiesa. Tuttavia, dopo la Breccia di Porta Pia, questa differenziazione sarebbe andata sfumando fino a trasformarsi, a cavallo tra Ottocento e Novecento, nella diversa valutazione circa le modalità di coinvolgimento delle masse cattoliche nella difesa dello Stato liberale. Ciò che avvenne nel 1876 con la “rivoluzione parlamentare”, vale a dire con la caduta di Minghetti e l’avvento di Depretis, era già impresso in qualche modo nella trama degli equilibri parlamentari usciti dalle elezioni del 1870 subito dopo la presa di Roma. In quella cir17 costanza, infatti, furono eletti oltre 170 nuovi deputati che alla Camera presero posto nei banchi del Centro, sottolineando così la perdita d’importanza di Destra e Sinistra. Negli anni successivi tornarono d’attualità i tentativi di dar vita a un connubio: fu creato in seno alla Sinistra un gruppo, detto “sinistra giovane”, aperto verso il centro allo scopo, disse De Sanctis, di formare “maggioranze stabili e sicure, al di fuori dei vecchi partiti ormai superati”(6). La conquista di Roma allentava le tensioni che si erano palesate all’indomani della sconfitta militare subita nel conflitto del 1866, la cosiddetta Terza guerra d’Indipendenza. Dunque, la battuta d’arresto sulla via dell’annessione delle terre irredente (Trento e Trieste) sarebbe stata compensata, nel giro di pochi anni, dalla elevazione di Roma a capitale del Regno. Con ciò la missione della Destra appariva pressoché conclusa, solo dovendosi perfezionare, di lì a breve, con l’annuncio del pareggio di bilancio. In tutta evidenza, gli eredi di Cavour avevano portato a termine la prima fondamentale opera di consolidamento dello Stato, dando attuazione e sviluppo al principio di autorità che ne sostanzia la forma giuridica. In questo ambito di sacrale esaltazione dello Stato si esplica un esempio di “giacobinismo normativo”, nel senso che la produzione e l’esercizio della norma s’iscrivono per gli uomini della Destra in un disegno ambizioso e organico di direzione sulla società, pun6 Giampiero Carocci, Destra e sinistra nella storia d’Italia, Laterza, Roma-Bari 2002, p. 15. 18 tando con lo strumento del potere legislativo e amministrativo a regolarne gli interessi. Qui risiede, in simbiosi, tanto la forza quanto la debolezza della classe dirigente post-unitaria: in questo sforzo di dominio delle dinamiche spontanee della società brilla infatti la sua nobiltà politica, ma, nel medesimo tempo, avanza a tappe forzate la consunzione di un’impresa, a forte impianto egemonico, che aveva inteso perseguire. In conclusione, la caduta della Destra può essere spiegata con l’icastica formula usata a suo tempo da Adolfo Omodeo: la sconfitta subita era figlia di un “eccesso di coscienza direttiva”(7). L’avvento al potere di Depretis segna, con il cambio di classe dirigente alla guida del Paese, la ripresa di una linea cavourriana di ampio coinvolgimento delle forze più omogenee all’espansione di un progetto di governo, senza preclusioni a Destra o a Sinistra; in realtà, però, questo processo non si aggancia a un chiaro obiettivo strategico, salvo intendere di per sé l’allargamento delle basi democratiche dello Stato come fine a se stesso del nuovo aggregato di potere. Con quali conseguenze? In luogo della formazione di due partiti alternativi, uno democratico e l’altro conservatore, si procede alla “trasformazione” delle preesistenti forze politiche al fine di riaggregare, fuori dallo schema di competizione politica tra Destra e Sinistra, un vasto blocco democratico di governo. Sta di fatto che l’origine del trasformismo si debba rinvenire in una dichia- 7 Carocci, cit., p. 12. 19 rata vocazione innovativa e progressiva, nonostante il suo rapido contaminarsi con pratiche di clientelismo e corruttela in concomitanza con lo sfaldamento della struttura appena abbozzata dei primi partiti politici. In effetti la convergenza attorno a un paradigma di libertà più incline ad assorbire le molteplici istanze sociali, canalizzando perciò le spinte popolari in direzione dello sviluppo democratico del Paese, si depotenzia lungo la linea di una inarrestabile confusione di programmi e di gestione, a tutto detrimento della credibilità delle istituzioni e della essenza stessa della lotta politica. Alla fine di un lungo ciclo, il trasformismo si presenterà alla stregua di una deviazione dal percorso di modernizzazione della vita democratica; e sarà, a partire da un certo momento, oggetto di catalogazione quale simbolo per antonomasia dei mali del Paese. Tirate le somme dei trent’anni di governi della Sinistra, a parte il tentativo di svolta reazionaria di Pelloux e di Rudinì nel 1898, Francesco Saverio Nitti descriverà così nel 1907 la condizione politica del Paese: “Manca (...) in Italia ogni divisione sincera, anzi in apparenza ogni causa di divisione. Non è visibile né meno quale differenza vi sia fra le varie parti politiche che si contendono il governo: gli stessi uomini si uniscono, si disuniscono secondo fuggevoli contingenze”(8). Agli occhi dell’intellettuale e politico lucano, la confusione parlamentare indicherà la dolente e pericolosa perdita di funzione 8 Francesco S. Nitti, Il Partito radicale e la nuova democrazia industriale - Prime linee di un programma del Partito radicale, Società tipografico-editrice nazionale (già Roux e Viarengo), Torino-Roma 1907, p. 3. 20 della politica. Con il lungo ciclo della Sinistra al potere, l’Italia avrebbe sperimentato e introiettato il modello di una democrazia depoliticizzata e fatalmente intrisa di personalismi e camarille, ingerenze di potentati economici, degrado burocratico e corruzione. Qualcosa eccede le buone intenzioni. Sotto Depretis il governo diventa proteiforme, diventa il luogo e la forma della unificazione di quanti sono effettivamente disposti a collaborare alla direzione della struttura statuale. Nel biennio 1874-76 prende insomma consistenza un modello di conquista e conservazione del potere non più fondato sulla limpida identificazione di un programma di governo, ma sull’adesione a una maggioranza di carattere pragmatico per la quale il consenso elettorale e politico si traduce in ordinaria capacità di gestione(9). Con l’abbandono delle vecchie contrapposizioni politiche si arriva perciò a definire il primato della dimensione amministrativa: lo Stato guadagna autorevolezza ed efficienza - questa la tesi o meglio l’auspicio - essenzialmente in virtù di una “trasformazione” decisiva e profonda della figura dei partiti, ovvero della loro funzione nazionale: passo dopo passo si modellano alle particolarità del territorio assumendo, attorno al 9 “La radice del trasformismo è tutta qui: nella dissoluzione delle antitesi ideali che avevano dato un senso alle battaglie della Destra e della Sinistra storica e nella necessità di comporre una ‘maggioranza costituzionale’ articolata ed eclettica che permettesse di portare a termine il programma di riforme amministrative e di risanamento finanziario del governo” (in Manzotti, cit., p. 12). 21 notabilato locale, le vesti e le caratteristiche di organizzazioni sostanzialmente adibite alla mera raccolta del consenso elettorale. Senonché, una volta distinta la sfera della politica da quella dell’amministrazione, quest’ultima sarà più debole nei rapporti con gli interessi organizzati. All’eccesso di coscienza direttiva subentrerà, proprio negli anni del trasformismo, un eccesso di compenetrazione tra Stato ed economia. In breve, l’austero impianto della Destra sarà sostituito da una sorta d’ibridismo politico-gestionale, che la Sinistra adotterà con disinvoltura, sebbene in funzione di una maggiore apertura sociale(10). Tuttavia, il processo di allargamento delle basi democratiche dello Stato, specie con l’espansione del diritto di voto, non farà argine alla diffusione di prassi collusive e poco trasparenti tanto nel quadro parlamentare, quanto nelle relazioni tra apparati pubblici e industria. Se ne avvantaggerà il Nord, dove il protezionismo alla lunga agevolerà il riconoscimento dei fondamentali bisogni della classe operaia, nel mentre il Sud pagherà il prezzo di un’economia bloccata sugli interessi e lo strapotere dei latifondisti. Quando l’Italia avrebbe avuto necessità di un opera generosa e potente d’inte- 10 Con la rivolta del macinato, nel 1869, venne in risalto la grave scollatura tra popolo e istituzioni. Per la prima volta l’assetto politico post-risorgimentale fu scosso da un moto sociale diffuso e spontaneo. La reazione dei contadini si ammantò, in molti casi, di rimpianto per le condizioni del passato. Il segnale non doveva lasciare indifferenti gli uomini di governo. 22 grazione nazionale, accadeva che il progressismo della borghesia liberale poco o nulla opponeva, viceversa, alla crescente divaricazione tra il dinamismo delle regioni settentrionali e l’arretratezza di un Meridione senza slancio economico e con troppi vincoli clientelari e burocratici. Non fu coraggiosa l’azione del governo, se per coraggio s’intende la caparbietà di piegare l’andamento naturale delle cose a un disegno di respiro strategico, più attento al futuro che non al presente. Cercò infatti di aggredire il nodo dello sviluppo industriale senza tuttavia favorire, nell’orizzonte della necessaria solidarietà che la giovane esperienza statuale richiedeva, le condizioni di una fruttuosa e incisiva cooperazione tra il Nord e il Sud del Paese. Il governo della Sinistra, avrebbe scritto più tardi Luigi Sturzo, “tentò di attenuare la pressione fiscale sui consumi popolari e agevolare lo sviluppo dei commerci. Però ad esso si deve l’enorme errore di aver sviluppato il protezionismo delle industrie parassite, (...) inizio di una politica dannosa al sano sviluppo economico del paese; e agevolò la formazione di una classe di trafficanti attorno allo stato, che purtroppo con gli anni è divenuta sempre più potente e esigente”(11). Sebbene in quegli anni, vale a dire nell’ultimo quarto di secolo, crebbero le preoccupazioni attorno all’accentramento dello Stato, in realtà le riforme in direzione di una maggiore democratizzazione degli enti 11 Luigi Sturzo, Italia e fascismo, Zanichelli, Bologna 1926, p. 21. L’edizione qui utilizzata è quella del 1965. 23 locali avanzeranno con troppa lentezza e scarsa determinazione. La lotta per il decentramento, solo qua e là intonata ad alcune suggestioni federaliste di matrice democratico-repubblicana, presto andrà caricandosi di livore polemico verso il predominio degli interessi economici delle regioni settentrionali. Autonomismo e meridionalismo andranno allora di conserva, anzitutto avvalendosi delle elaborazioni libero-scambiste del gruppo de “Il Giornale degli economisti” - con scrittori del calibro di Maffeo Pantaleoni, Antonio De Viti De Marco e Ugo Mazzola - fortemente critico rispetto al compromesso che alimentava la concrescita d’intervento pubblico e monopoli privati. In definitiva, a cavallo del Novecento, il supporto scientifico più forte alle rivendicazioni autonomiste e democratiche lo fornisce la scuola dei marginalisti italiani alcuni dei quali, come De Viti De Marco, si concentreranno con l’andar del tempo sulle problematiche di stampo prettamente liberista. Invece il socialismo municipale manterrà un suo profilo più autonomo e contraddittorio, anche scontando, secondo la critica sturziana, l’eccessiva dipendenza dal modello burocratico e statalista del riformismo di tipo giolittiano. È una stagione assai diversa dell’autonomismo: quasi niente sopravvive del progetto, alla prova dei fatti velleitario, degli emuli più esigenti e radicali di Cattaneo. L’ultimo sussulto di un federalismo dispiegato in funzione alternativa al modello piemontese prenderà forma fugace e s’incanalerà, senza successo, nelle tormentate giornate romane susseguenti all’ingresso delle truppe di Cadorna il XX settembre a Porta Pia. Con il 24 vagheggiamento di una improbabile reviviscenza della Repubblica Romana, sembra in effetti annunciarsi, a ridosso delle elezioni per il Campidoglio, la ripresa di un mazzinianesimo ancora e sempre fedele allo spirito di una rivoluzione afferente a un concetto religioso di nazione e di popolo, ma ora conciliato con l’istanza della crescita e del progresso delle diverse comunità locali. Certo, però, non poteva essere questa la prospettiva dei liberali moderati, in particolare dopo la legge del 20 marzo 1865 per l’unificazione amministrativa del Regno. Nella capitale andavano frenate le spinte che apparivano più pericolose: “Il governo italiano, dal canto suo, era portato a guardare con particolare cura alla situazione che si sarebbe determinata nella nascita del primo organo di governo a Roma, non solo per l’ovvia importanza preminente di quanto sarebbe accaduto nella città, ma anche perché timoroso, in base a informazioni ricevute, che si volesse, da parte del Cernuschi e di altri membri della Costituente del 1849, proclamare dal Campidoglio la rinascita della repubblica romana: che era idea patrocinata anche da Alberto Mario”(12). In pochi anni cambia il volto della politica nazionale. Quando esce il libro di Jacopo Cima si consolida la svolta: a gennaio il governo Minghetti propone la nazionalizzazione delle ferrovie; a marzo si accerta il raggiungimento dell’obiettivo del pareggio di bilancio, anzi si ottiene un avanzo di 18 milioni; ma sempre a marzo, dopo la crisi ministeriale e le dimissioni di Minghetti, a 12 Claudio Pavone, Gli inizi di Roma Capitale, Bollati Boringhieri, Torino 2011, p. 10. 25 sorpresa si forma il primo governo Depretis(13); ad agosto è definita per legge la preminenza del Presidente del Consiglio rispetto agli altri membri dell’Esecutivo; ad ottobre, bloccato sulla via delle riforme, cade il governo e si va alle elezioni anticipate; con il discorso di Stradella, nello stesso mese, Depretis lancia il suo programma di unità nazionale, mentre a Bologna, per ragioni di ordine pubblico, il prefetto scioglie il III congresso cattolico; a novembre si svolgono le elezioni e vince lo schieramento raccolto attorno al Presidente del Consiglio uscente. Il cambiamento è irreversibile: 13 “Il 18 marzo 1876, una componente (la destra toscana) della maggioranza che aveva sin allora guidato il paese votò contro il governo, che fu così battuto alla Camera, su una questione (il rinvio della discussione di una mozione sulle modalità di riscossione della tassa sul macinato). In realtà la vera posta in gioco era un’altra: il progetto, annunciato dal presidente del Consiglio Minghetti e del suo ministro dei Lavori pubblici Spaventa, di esercizio statale delle ferrovie, progetto cui i moderati toscani si opponevano anche in ragione di loro concreti interessi (molti di loro erano legati alle compagnie private che gestivano le ferrovie o ne erano addirittura azionisti). Ne sortì quella che impropriamente fu detta ‘rivoluzione parlamentare’ e che in realtà fu qualcosa di molto simile a ciò che oggi si definirebbe un ‘ribaltone’” (Giovanni Sabatucci, Il trasformismo come sistema, Laterza, RomaBari 2003, p. 43). Ad un’analisi affrettata potrebbe risultare strana l’adesione del Sovrano al cambio di maggioranza e di governo. In realtà, i legami di Vittorio Emanuele II con gli ambienti della Sinistra erano solidi. Avvenne perciò che l’avvento di Depretis corrispose a una maggiore libertà di manovra della Corte. “Quando nel 1876 Depretis e la Sinistra giunsero al potere, lasciarono al re le briglie più sciolte, in parte forse perché aveva o minore esperienza di governo, ma anche perché il re era sempre stato più vicino a Rattazzi ed ai suoi amici che alla maggior parte dei membri della Destra” (in Denis Mack Smith, Vittorio Emanuele II, Laterza, Roma-Bari 1972, p. 343). 26 su 508 deputati, 400 appartengono alla Sinistra e 108 alla Destra. Si inaugura, dunque, l’inedito modello di un “governo della trasformazione” proprio in nome del duplice principio formulato a Stradella: “L’unità del corpo politico, la concordia degli animi”(14). In questo passaggio eccezionale, con la dislocazione di ampi strati di borghesia agraria e commerciale nell’area di un cauto progressismo, permaneva evi- 14 Questo discorso, così noto e importante, suscita ancora interesse per alcune analogie con la situazione politica attuale. Depretis, con alle spalle l’impresa della Destra in materia di riordino istituzionale e finanziario, sottolinea l’esigenza di una nuova politica di investimenti. Il debito però è troppo alto, come pure gli oneri che ne derivano. Il leader della Sinistra si premura di non spaventare i mercati finanziari, l’Italia intende onorare i suoi impegni di fronte ai creditori europei. Al primo punto ci sono le riforme, perché senza un radicale cambiamento, soprattutto nel campo della politica tributaria e della giustizia, le prospettive di sviluppo resterebbero lettera morta. Depretis rovescia il principio cavourriano secondo cui “il governo è un partito” indicando, quale opzione alternativa, la convergenza di forze fino a quel momento contrapposte: dunque “il governo non è un partito” o meglio ancora “un partito non è il governo”. Ma l’annuncio orgoglioso di tante novità, come pure la stessa proclamazione di fedeltà alla causa del progresso, scivolano sulla lastra di ghiaccio di un certo pragmatismo e di una certa spregiudicatezza politica. “Alla fine il discorso [di Stradella] avrebbe potuto essere sottoscritto, in buona parte, anche da un uomo della destra, e non per nulla è apostrofato sui quotidiani del giorno successivo come ‘il discorso dell’attaccapanni’, al quale cioè tutti potevano appendere il proprio cappello, definizione che resterà negli anni, ripresa anche da Giosuè Carducci...” (I discorsi che hanno cambiato il mondo, a cura di Antonello Capurso, Mondadori, Milano 2008, p. 39). C’è dunque alle origini del trasformismo, frammisto ad ambizioni e buona volontà, anche un peccato di falsa retorica. Da notare, infine, che il passaggio della Destra all’opposizione comporterà la sua dissoluzione. Non è una costante della storia politica italiana? 27 dentemente nelle nuove aspirazioni di libertà il retaggio di una disciplina per la quale l’interesse personale doveva comunque rispondere a motivi più alti di consapevolezza attorno ai doveri che ognuno era tenuto ad osservare per il bene della società e dello Stato. Il compito del funzionario pubblico era quello di conservare tale spirito di disciplina nella sfera delle competenze proprie e nella cornice, in generale, delle specifiche attività amministrative. Questo concetto di un profilo alto, sia morale che professionale, va tenuto a mente: il dovere del sindaco, o per maggiore precisione del “Nuovo Sindaco” immaginato da Cima, è intriso della responsabilità che attiene a un pubblico ufficiale - servitore dello Stato - impegnato al servizio della propria comunità. Così l’autore, nelle ultime righe della prefazione, vuole sintetizzare il suo pensiero: “Noi vorremmo (...) che ognuno sapesse comprendere che a questo così difficile e delicato ufficio non dovrebbesi accedere che quando si sente di avere l’animo rinvigorito da una forte e sicura coscienza del dovere”(15). Amore della libertà, fiducia nel progresso, senso delle istituzioni: ecco la visione d’insieme che Cima propone ai suoi lettori del tempo. La rappresentazione, ai nostri occhi, conserva la sua nobiltà di colori e di immagini. Se non fosse per un repertorio di anticlericalismo decisamente datato(16), 15 Pp. XVI, XVII, infra. 16 Cima a riguardo, sempre nella prefazione, propone un lessico davvero sferzante e aggressivo: “Vigilerà [il sindaco] che l’istruzione si mantenga nel suo comune emancipata dagli agenti del clericalismo, 28 a risplendere sarebbe ancora tutta intera questa appassionata ricerca di finalità nel procedere faticoso sul cammino della rinascita nazionale. In fondo, tra le righe del Dizionario, traspare adornata di sapienza tecnica la missione della Nuova Italia, quella cioè di creare buoni amministratori in grado di formare con il loro esempio la coscienza di buoni cittadini. Queste pagine possono ancora costituire un tributo all’idea che le virtù pubbliche crescano insieme alle virtù individuali. Traspare una convinzione che faceva da puntello al costituzionalismo post-giacobino circa l’intimo legame tra i comportamenti adottati, nell’una sfera e nell’altra, dall’individuo-cittadino educato, secondo un canone liberale e illuministico, ai valori della nuova società. Nel periodo della conquista napoleonica, proprio sul finire del secolo diciottesimo, i testi costituzionali delle repubbliche sorte nella Penisola (Repubblica Cisalpina, Repubblica Romana, ecc.) riportavano tal quale l’articolo che per la prima volta era stato inserito nella Costituzione francese del 1795 (art. 4): “Nessuno è buon cittadino, se non è buon figliuolo, buon padre, buon fratello, buon amico, buon marito”. Era un principio e al contempo un monito, che dava in effetti particolare luce al capitolo dei doveri del cittadino. nemico delle libertà civili, e che le lettere e la storia particolarmente non vengano per niun modo apprese da uomini ecclesiastici”, p. XIII, infra. Si coglie in questa sorta di “dichiarazione programmatica” l’intima condivisione dell’ancora vivo radicalismo anticlericale della Sinistra post-garibaldina. 29 Cima non parla di un governo territoriale che assuma una funzione dialettica rispetto al potere centrale, né vede il sindaco, quantunque nuovo, rivestire i panni di un piccolo sovrano nei confini di una determinata comunità locale. Il suo cruccio è quello di armonizzare una cultura delle istituzioni e di stabilire un “continuum” nell’esercizio delle responsabilità pubbliche a fronte di criteri finalistici omogenei. In tutta Europa soffiava, nell’età della borghesia vittoriosa, il vento di una modernizzazione a tutto campo prodotta e assicurata dal modello dell’accentramento politicoburocratico. Lucidamente, a tale proposito, osservava Roberto Ruffilli: “Era la lettura propria in genere delle classi dirigenti liberali del continente, allorché si sono trovate ad operare in paesi in ritardo nell’attuazione delle prospettive liberal-individualiste e dell’egemonia borghese: lettura che portava ad imporre una rapida realizzazione ‘dall’alto’ delle une e delle altre, con il richiamo appunto alla ‘ragione’, in quanto radice della giustificazione del titolo e dell’esercizio del potere statuale, in quanto sostegno e cardine dell’ordinamento liberale dello Stato e della società”(17). Si avverte perciò, nella severa raccomandazione che Cima porge ai suoi interlocutori, quasi un fastidio per l’improvvisazione con la quale si presume di poter accedere alla carica di primo cittadino. “La sciarpa di Sin- 17 Cfr. Problemi dell’organizzazione amministrativa nell’Italia liberale, in Istituzioni Società Stato. Scritti di politica e di storia di Roberto Ruffilli, a cura di Giuliana Nobili Schiera, III voll., Il Mulino, Bologna 1989, vol. I, p. 378. 30 daco, è uopo asserirlo, viene desiderata da ognuno, perfino da coloro i quali si mostrano in apparenza più ripugnanti a recingerla e più incapaci”(18). Ma i tempi per la verità impediscono di coltivare ambizioni, esplicite o nascoste, che non siano allineate al duro compito di una progettualità diretta a sviluppare il profilo dell’Italia come grande nazione moderna nel contesto europeo. Gli uomini della Sinistra, fra questi appunto Cima, si preoccupano evidentemente di preservare il connotato più autentico della loro formazione ideale, immettendo nel circuito della battaglia politica l’energia ancora viva dell’eroismo risorgimentale di tipo garibaldiniano. Uno sguardo eroico sulla nazione richiedeva l’assunzione di un disegno coraggioso per amalgamare, nella coscienza collettiva, l’autorità dello Stato e i bisogni emergenti della società. L’educazione popolare doveva essere il collante di questa possibile amalgama. Pertanto il riscatto delle classi più deboli e più povere andava collocato nell’ottica di una politica di rafforzamento delle istituzioni liberali. Nell’attività della scuola, a partire da quella elementare in mano ai comuni, entrava di diritto la volontà di una borghesia consapevole degli obblighi sociali che ad essa erano imposti da un progresso attraversato da macroscopiche divisioni e contrapposizioni sociali. È questa la preoccupazione della nuova classe dirigente; questa, del pari, la sollecitazione che permea 18 P. XVI, infra. 31 le pagine che il nostro segretario comunale mette a cappello del suo Dizionario giuridico-amministrativo. Lo Stato, a tutti i livelli e nelle varie articolazioni, è chiamato a riempire vuoti, sanare fratture, promuovere sviluppo: tale iniziale interventismo è anch’esso un riflesso di ciò che la “visione eroica” della Sinistra post-risorgimentale vagheggia come suo titolo d’onore e vincolo di responsabilità nel momento in cui eredita una funzione direttrice al governo del Paese. Lo stile di Cima, con il sovraccarico di sostantivi e aggettivi vetero-ottocenteschi, non aiuta a penetrare fino in fondo la potenza di un messaggio pedagogico e politico. Il testo non scorre agevolmente: si fatica a leggerlo oggi, forse anche all’epoca rimaneva ostico ai più. Ciò non toglie, però, che dietro una qualche eccessiva leziosità della prosa si possa intravedere la ricchezza e il rigore di un pensiero fortemente proteso a disciplinare la vorace tensione delle forze emergenti dell’Italia post-unitaria. Il punto focale della questione, a discernere la logica interna de “Il Nuovo Sindaco”, è proprio la dinamica di questa Italia che prova a declinare in chiave più pragmatica i miti del Risorgimento e ad incamminarsi sulla via dello sviluppo industriale e commerciale, così rompendo senza dichiararlo, anzi nascondendolo a se stessa, i ponti con il suo passato di faticose conquiste e pesanti sacrifici. 32 PRIMA PARTE Perché “Il Nuovo Sindaco” di Oscar Gaspari 1. Le speranze di riforma della legislazione locale nel 1876 La scelta di pubblicare l’introduzione di Jacopo Cima al suo Il Nuovo Sindaco. Dizionario di giurisprudenza amministrativa(1) nasce da una peculiare attualità del testo. La modernità Del Carattere e delle Qualità del Nuovo Sindaco è palese nonostante - o forse per - la particolare impostazione ideologica del volume. Quelle pagine sono infatti tutte incentrate sulle caratteristiche morali e politiche del primo cittadino non solo perché di nuove norme da commentare, nel 1876, ancora non ce n’erano, ma soprattutto perché 1 Jacopo Cima, Il Nuovo Sindaco. Dizionario di giurisprudenza amministrativa, Tipografia nazionale, Cesena 1876; l’indicazione in nota di pagine senza alcun altro riferimento bibliografico si intende attribuita sempre a questo stesso volume. 35 quelle qualità erano ritenute fondamentali dalla Sinistra storica, anticlericale e con simpatie garibaldine e mazziniane, particolarmente pronunciate nel volume, qualità che oggi possono essere in gran parte condivise, una volta depurate dalla carica polemica che indubbiamente contengono. Nelle pagine che aprono Il Nuovo Sindaco l’autore delinea carattere e qualità dell’uomo che avrebbe dovuto guidare il Comune scaturito dalla riforma della legge comunale promessa dalla Sinistra giunta al governo, il 18 marzo 1876, dopo un quindicennio di ininterrotto potere della Destra. Il volume, pubblicato nell’ottobre dello stesso anno, puntava ad uscire contemporaneamente alla prevista riforma e conquistare così - grazie alla tempestività - una fetta del fiorente mercato dei manuali a disposizione di impiegati, tecnici, dirigenti, consiglieri, amministratori comunali e, non ultimi, di quei segretari comunali di cui Cima era parte. Il volume è intitolato Il Nuovo Sindaco perché la novità fondamentale della futura riforma doveva essere il passaggio dal sindaco nominato dal re al sindaco “eletto dal proprio Consiglio municipale, o dagli elettori”(2). La formula o dagli elettori faceva capire che la scelta del sindaco da parte del consiglio non rappresentava il traguardo ma una tappa, evidentemente perché l’obiettivo finale, l’elezione diretta da parte dei cittadini, non doveva sembrare così irraggiungibile allora, ed era il 1876. Per uomini come Cima, evidentemente, la 2 P. I, infra. 36 concessione di una vera autonomia ai Comuni non doveva sembrare in alcun modo un azzardo, come invece era sembrato chiaro appena qualche anno prima ai prefetti che, interrogati nel 1869 dal Ministro dell’Interno Girolamo Cantelli(3) sull’opGirolamo Cantelli portunità di dar seguito alla volontà di riforma che animava il governo liberale nazionale, risposero negativamente, per timore che gli amministratori e la classe dirigente locale potessero utilizzare l’eventuale autonomia a proprio esclusivo vantaggio se non, addirittura, contro l’ancor giovanissimo Stato liberale unitario(4). La presentazione di un progetto di riforma della legge comunale e provinciale da parte del Ministro dell’Interno Giovanni Nicotera, nel dicembre 1876, sembrava dar ragione alle speranze di Cima. Il progetto prevedeva l’elezione, da parte dei rispettivi consigli, del sindaco e del presidente della deputazione provinciale - com’era chiamata allora la giunta provinciale - un limitato amplia3 Giuseppe Talamo, Cantelli Girolamo, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 18, 1975; http://www.treccani.it/enciclopedia/girolamocantelli_%28Dizionario-Biografico%29/. 4 Raffaele Romanelli, Il comando impossibile. Stato e società nell’Italia liberale, Il Mulino, Bologna 1988, pp. 79-83. 37 mento dell’elettorato attivo e la previsione del voto femminile, nella prospettiva implicita di bilanciare in senso moderato l’allargamento del suffragio. Ma la crisi del governo, scoppiata l’anno seguente con le dimissioni proprio del Ministro dell’Interno, fece Giovanni Nicotera fallire l’impresa(5). L’agognata riforma la fece tredici anni dopo, nel 1889, il Governo di Francesco Crispi(6), mentre per l’elezione del sindaco da parte dei cittadini di anni ne sarebbero dovuti passare centodiciassette, tanti ne sono trascorsi tra il 1876 e il 1993. L’attesa nel 1876 era grande: “Confions la vie nouvelle à des esprits nouveaux (Affidiamo la nuova vita a degli spiriti nuovi)”, così il motto nel frontespizio sintetizzava lo scopo del libro: contribuire a forgiare gli spiriti dei Nuovi Sindaci. 5 Marco De Nicolò, Nicotera Giovanni, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 78, 2013; http://www.treccani.it/enciclopedia/giovanninicotera_(Dizionario-Biografico)/; dello stesso autore si veda anche: Trasformismo, autoritarismo, meridionalismo. Il ministro dell’interno Giovanni Nicotera, Il Mulino, Bologna 2001. 6 La riforma entrò in vigore nel 1889 per i Comuni capoluoghi di provincia o superiori a 10.000 abitanti e nel 1896 per tutti gli altri. Fausto Fonzi, Crispi Francesco, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 30, 1984; http://www.treccani.it/enciclopedia/francescocrispi_%28Dizionario-Biografico%29/. 38 Francesco Crispi A chi obiettava che sarebbe stato meglio mantenere la nomina regia del sindaco, per via dell’autorevolezza che sembrava essere così garantita al primo cittadino, Cima ribatte: Noi opiniamo invece che venendo il sindaco nominato dal Consiglio comunale non perderebbe affatto della sua indipendenza e libertà d’azione, ma che queste all’incontro si rafforzerebbero vie maggiormente nelle qualità di funzionario governativo(7). Questo perché la vera forza del sindaco non proveniva dal re ma dal popolo, o meglio da quell’opinione pubblica che premeva per il cambiamento di norme ormai obsolete: 7 Pp. 626-7. 39 L’opinione pubblica in Italia intorno alla convenienza che il Sindaco sia dagli interessati nominato, si è per modo pronunciata, che non potrà tardare molto ad aver luogo tale provvedimento(8). La nomina del sindaco da parte del re prevista dalla legge comunale piemontese del 1859, poi estesa a tutta l’Italia nel 1865, aveva l’obiettivo di garantire autorità e prestigio alla carica bilanciando le istanze locali rappresentate dal consiglio comunale e, contemporaneamente, evidenziare la duplice natura del sindaco che era sia capo del municipio, sia ufficiale di governo. La nomina regia, inoltre, era sembrata indispensabile all’indomani dell’Unità per rappresentare il legame tra i cittadini e la monarchia sabauda e, inoltre, per garantire la lealtà istituzionale del primo cittadino, prima e fondamentale preoccupazione della scelta che spettava di fatto al Ministero dell’Interno. Erano i prefetti, infatti, a raccogliere le informazioni sui possibili candidati attraverso l’autorità giudiziaria e i carabinieri. La nomina dall’alto, in ogni caso, non era sufficiente a garantire la stabilità delle amministrazioni che soffrivano per il continuo avvicendamento di assessori e consiglieri comunali e per l’esiguità del corpo elettorale, che rendeva fragili gli equilibri politici. La legge comunale, infatti, prevedeva un mandato di tre anni per il sindaco, il rinnovo annuale per metà della giunta 8 P. 628. 40 e, sempre ogni anno, di un quinto del consiglio comunale che nel suo complesso rimaneva in carica cinque anni. La legge prevedeva poi il solo elettorato maschile, molto limitato dal censo, cosicché il diritto di voto era attribuito ad appena il 2% circa della popolazione(9). Nel 1876 le speranze di cambiare questa situazione sembravano fondate. Non era stata forse la Destra ad imporre in Parlamento accentramento e controlli su Comuni e Province? E non era stata sempre la Sinistra a chiedere invece decentramento, autonomia ed estensione del suffragio che, per alcuni tra di loro, sarebbe dovuto essere universale? Secondo Cima non vi potevano essere dubbi, con il nuovo governo di Agostino Depretis(10): Un’era di vita affatto nuova sta per aprirsi ai comuni e noi presentiamo che dinanzi al soffio d’un regime costituzionale ogn’ora più libero gli avanzi di una logora legislazione non tarderanno a sparire(11). 9 Sull’argomento: Elisabetta Colombo (a cura di), I sindaci del re (1859-1889), Il Mulino, Bologna 2011. 10 Raffaele Romanelli, Depretis Agostino, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 39, 1991; http://www.treccani.it/enciclopedia/ agostino-depretis_%28Dizionario-Biografico%29/. 11 P. 772. 41 Primo governo Depretis 42 2. Il fermento culturale nell’amministrazione locale di fine ‘800 Ma la riforma non si fece tanto presto, il Dizionario di Cima non ebbe il successo vagheggiato e quel volume andò ad infoltire il mercato delle guide per le amministrazioni comunali dove si era da tempo affermato il famoso Manuale Astengo, pubblicato dal 1862(12) addirittura fino al 1975, grazie a nuove edizioni che sfruttavano la celebrità del più antico e conosciuto testo per la Pubblica amministrazione. Apparso subito dopo l’Unità l’Astengo fu il primo supporto tecnico alle attività delle amministrazioni di comuni e province, “capillarmente distribuito specie tra il personale delle prefetture e delle amministrazioni locali”. A questa si affiancavano altre pubblicazioni periodiche che costituivano uno “straordinario canale di comunicazione interna al mondo degli uffici negli anni a Manuale Astengo cavallo tra i due secoli”. 12 Il titolo preciso era: Manuale degli amministratori comunali e provinciali e delle opere pie. Raccolta periodica delle leggi, dei regolamenti e dei pareri del Consiglio di Stato, delle Istruzioni, delle Circolari e delle decisioni di massima delle amministrazioni centrali. 43 Numerose, in particolare, quelle dedicate ai segretari comunali e provinciali, ma vi erano anche quelle per impiegati e tecnici comunali, “riviste legate alle culture tecniche dell’amministrazione” e, ancora, “riviste più genericamente politiche e culturali [come] (‘Il Giornale degli Economisti’, ‘Nuova Antologia’)” che avevano pagine dedicate alle amministrazioni locali. Il Giornale degli Economisti Nuova Antologia Scrive sempre Melis a questo proposito: “Una leva di operosi funzionari dello Stato e delle amministrazioni locali occupò con i suoi scritti le pagine di questi periodici, affrontandovi per lo più, alla luce dell’insegnamento dei ‘maestri’, le questioni pratiche legate alla loro attività d’ufficio, segnalando e tentando di classificare nelle categorie del diritto le nuove espe44 rienze in corso (ad esempio quelle legate al nuovo campo delle municipalizzazioni, o a quello delle bonifiche, o dell’elettricità, o delle ferrovie)”. “Fu - scrive ancora Melis - un’intensa opera di volgarizzazione, dalla quale però emerse chiaramente la collocazione subalterna di questi intellettuali dell’amministrazione all’interno dell’organizzazione del sapere giuridico negli anni anteriori alla guerra mondiale”. A questi “intellettuali dell’amministrazione” fu riservato un compito difficile: “trasmissione, divulgazione, il riordino della giurisprudenza, la diligente registrazione e sistemazione di ciò che già appariva noto; ma anche, specie nei nuovi campi del diritto […] i primi (rischiosi) lavori di scavo e […] compilazioni di fonti”(13). Tutte queste pubblicazioni della seconda metà dell’800 erano, allora, “in bilico tra l’ufficialità e l’organo di opinione, tra la pubblica amministrazione e la società civile […, una] franca commistione di diritto e di ‘politica’” in un periodo nel quale il diritto amministrativo non aveva ancora una “precisa identità giuridica” e nel quale era “l’amministrazione a stabilire un rapporto diretto, non mediato dalla politica, con la società civile” e godeva, quindi, dell’appoggio della Pubblica amministrazione, dei ministeri come degli uffici periferici. Vent’anni dopo alcuni degli autorevoli personaggi che scrivevano su queste riviste, come Cesare 13 Guido Melis, Storia dell’amministrazione italiana (1861-1993), Il Mulino, Bologna 1996, pp. 214-7. 45 Correnti(14) e Pasquale Stanislao Mancini(15), avrebbero poi contribuito allo sviluppo di una moderna amministrazione e a testi prestigiosi, quali il Digesto italiano e l’Enciclopedia giuridica italiana. Cesare Correnti Pasquale Stanislao Mancini Era così che “noti accademici [prestavano] […] il loro contributo, o [facevano] le prime prove, insieme a funzionari, a magistrati, ad avvocati, o semplici pubblicisti”. Opere nelle quali erano comuni o coinci- 14 Luigi Ambrosoli, Correnti Cesare, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 29, 1983; http://www.treccani.it/enciclopedia/cesarecorrenti_%28Dizionario-Biografico%29/. 15 Mancini, Pasquale Stanislao, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 68, 2007; http://www.treccani.it/enciclopedia/pasquale-stanislao-mancini_%28Dizionario-Biografico%29/. 46 devano finalità commerciali ed educative, nei confronti di amministratori e funzionari. La grande fortuna del Manuale e la brillante carriera del suo inventore, Carlo Astengo, diventato senatore, sembrano confermare, secondo Romanelli, l’importanza di queste opere(16). Opere che sostenevano migliaia di burocrati nello sforzo quotidiano di amministrare e che contribuirono a definirne la cultura nell’Italia appena unificata. Augusto Monti scrisse nel 1922 che: “l’Italia non aveva quando nacque quella che si chiama l’attrezzatura dello Stato moderno: la burocrazia gliel’ha data, la burocrazia è l’attrezzatura moderna dell’Italia, potenza europea. L’Italia non aveva, e neanche ha, una classe dirigente: la burocrazia ha dovuto, purtroppo, fare lei da classe dirigente ed il Prefetto ed il Segretario comunale hanno di fatto Augusto Monti governato l’Italia” sottoli- 16 Raffaele Romanelli, Sulle carte interminate, Il Mulino, Bologna 1989, pp. 36-41; 45; una breve biografia di Carlo Astengo è in questo stesso volume pp. 63-4. Si veda anche la sua nota biografica di senatore del Regno, http://notes9.senato.it/web/senregno.nsf/2b16bb 7ad173f710c125700c00529606/6e15c2003224f75e4125646f00587 83b?OpenDocument. 47 neando che “Scorrendo la grama e breve storia della nostra burocrazia, non credo si possa trovare un periodo in cui ci fu davvero tra burocrazia e paese quella tale adesione, anzi in cui si ebbe addirittura la sommissione, anche volontaria, degli interessi particolari dei funzionari agli interessi generali del paese”(17). La grande produzione letteraria di quegli anni rimase purtroppo separata dallo sviluppo del diritto pubblico italiano avvenuto a cavallo tra XIX e XX secolo. Vi fu allora quello che Vittorio Emanuele Orlando(18) descrisse come il “malefico divorzio fra la scienza pura e la pratica illuminata”, nel quale il maestro del diritto pubblico italiano individuò “una delle cause della crisi dell’una e Vittorio Emanuele Orlando dell’altra”(19). 17 Augusto Monti, Attivo e passivo sulla burocrazia, in “La Rivoluzione liberale”, n. 13, 14 mag. 1922. 18 Giulio Cianferotti, Orlando Vittorio Emanuele, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 79, 2013; http://www.treccani.it/enciclopedia/vittorio-emanuele-orlando_%28Dizionario-Biografico%29/ 19 Melis, Storia dell’amministrazione italiana, cit., pp. 216-7. 48 A partire dal primo ‘900, nel frattempo, sarebbe cambiato tutto. L’alba del XX secolo fu definita dal socialista riformista Giovanni Montemartini(20) “primavera nella vita municipale”(21), le città divennero protagoniste dello sviluppo politico, economico-sociale dell’età giolittiana, ma rimasero a margini dello sviluppo del diritto proprio mentre invece “in Europa e negli Stati Uniti si sviluppò una discussione sui differenti aspetti che l’amministrazione delle città inevitabilmente portava con sé”(22). 3. Le qualità del sindaco alla fine del XIX secolo (e all’inizio del XXI) Sono così diverse le qualità del sindaco della fine del XIX secolo descritte da Cima da quelle di uno dell’inizio del XXI? No, non lo sono, com’è evidente dal citato accenno all’idea di un sindaco scelto dagli elettori, che l’avrebbe fatto sentire “tanto forte di sé da sobbarcarsi impavido alla grave missione”(23). L’impostazione laica e anticlericale militante del volume, 20 Marco De Nicolò, Montemartini Giovanni, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 76, 2012; http://www.treccani.it/enciclopedia/ giovanni-montemartini_%28Dizionario-Biografico%29/. 21 Giovanni Montemartini, La municipalizzazione dei publici servigi, Società editrice libraria, Milano 1902, pp. 372-3. 22 Federico Lucarini, Scienze comunali e pratiche di governo in Italia 1890-1915, Giuffrè, Milano 2003, pp. 4-5. 23 P. II, infra. 49 di cui si è scritto, è evidenziata dalla scelta della citazione presente nel frontespizio e dal luogo di stampa: Cesena, in Romagna. La citazione rende omaggio a Edgar Quinet, morto nel 1875, l’anno precedente alla pubblicazione del volume(24). Quinet, democratico e repubblicano, cristiano nell’animo e profondamente anticlericale, sostenne l’incompatibilità del “principio cattolico […] con la liber- Edgar Quinet 24 Edgar Quinet (Bourg-en-Bresse 1803 - Parigi 1875) storico e politico francese, auspicava una riforma del cattolicesimo sulla falsariga di quella protestante e fu nemico giurato di gesuiti e seguaci del Papa. Partecipò alla rivoluzione del 1848, si oppose alla spedizione di truppe francesi contro la Repubblica Romana del 1848-49, democratico e repubblicano convinto, nel 1851 venne esiliato dall’imperatore Napoleone III come altri scrittori democratici - primo fra tutti Victor Hugo - e decise di tornare a Parigi, nonostante l’amnistia del 1859, solo dopo la sua caduta nel 1870. Ebbe contatti con molti patrioti europei e, tra gli italiani, con Giovanni Berchet, Giuseppe Mazzini e Giuseppe Garibaldi. Scrisse di politica, letteratura, storia, tra le sue opere: La Croisade autrichienne, française, napolitaine, espagnole, contre la République romaine, Parigi 1849 e L’Esprit nouveau, Parigi 1875, dalla quale è quasi certamente tratta la citazione del frontespizio; http://www.treccani.it/enciclopedia/edgar-quinet/; sul personaggio Giuseppe Santonastaso, Edgar Quinet e la religione della libertà, Dedalo, Bari 1968. 50 tà moderna”(25). Era l’autore di un’opera Les révolutions d’Italie (Parigi 1848-51) che ebbe eccezionale successo in Francia e in Italia, dove venne tradotta per la prima volta nel 1863 da Niccolò Montenegro, mazziniano e tra i Mille di Garibaldi(26). Notissima negli anni del Risorgimento, l’opera, che colpì anche Benedetto Croce, ha avuto diverse edizioni in italiano ancora in anni recenti, come nel 1970, con la prefazione del noto storico inglese Denis Mack Smith e, ultimamente, nel 2012(27). La casa editrice de Il Nuovo Sindaco era “La Tipografia Nazionale” di Giuseppe Vignuzzi(28) con sede a Cesena, nella Romagna patria per eccellenza dei sovversivi dell’epoca quali erano i repubblicani 25 Edgar Quinet, Le rivoluzioni d’Italia, prefazione di Denis Mack Smith, Laterza, Bari 1970, p. IX. 26 Giuseppe Monsagrati, Montenegro Niccolò, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 76, 2012; http://www.treccani.it/enciclopedia/ niccolo-montenegro_(Dizionario-Biografico)/. 27 Edgar Quinet, Le rivoluzioni d’Italia, a cura di Maria Grazia Meriggi, Nino Aragno Editore, Torino 2012. 28 Alla fine dell’’800 la tipografia aveva solo sei lavoranti e un torchio a mano, ma negli anni ‘70 dell’’800 sapeva “preparare dei libri che nulla avevano da invidiare a quelli dei grandi stabilimenti tipografici italiani, mostrando ancora una volta l’alto livello qualitativo dei volumi usciti dalle stamperie artigiane di provincia”. Pur lontane dalle potenzialità dei grandi editori nazionali che stavano crescendo in quegli stessi anni, era proprio nei manuali per i Comuni, oltre che negli stampati commerciali e nei libri scolastici, che le tipografie della Romagna, come quella di Vignuzzi, erano riuscite a ritagliarsi il proprio spazio; Giorgio Montecchi, Itinerari bibliografici. Storie di libri, di tipografi e di editori, Franco Angeli, Milano 2001, p. 153. 51 mazziniani, i garibaldini, gli anarchici, i socialisti, tutti profondamente anticlericali. Ma in quella stessa Cesena dove nel 1871 si pubblicava il giornale “Satana” e nel 1881 “L’Avanti!”, trasferito poi dal socialista Andrea Costa(29) a Roma, un paio di decenni dopo, nel 1899, si sarebbe stampato anche il settimanale Il Savio “giornale democratico cristiano [ch]e si contrapponeva con vivacità a liberali e repubblicani” ispirato da Romolo Murri(30), cui faceva il verso, ironicamente, di tanto in tanto, il foglio “Il Matto”(31). Alla fine dell’’800, quindi, la Romagna avrebbe avuto spazio anche per i demo- Giornale “L’Avanti” Romolo Murri 29 Andreina De Clementi, Costa Andrea, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 30, 1984. 30 Sull’argomento cfr. Lorenzo Bedeschi, Il modernismo e Romolo Murri in Emilia e Romagna, Guanda, Parma 1966. 31 Montecchi, Itinerari bibliografici, cit., pp. 146-152 e p. 151. 52 cratico-cristiani, anch’essi sovversivi, in questo caso rispetto a liberali e repubblicani ma anche, e non certo per ultimo, rispetto al moderatismo clericale che si stava progressivamente affermando nell’Italia giolittiana. Le pagine dedicate a Il carattere e le qualità del Nuovo Sindaco, iniziano con un’esortazione all’umiltà. Il Nuovo Sindaco, innanzitutto, doveva conoscere sé stesso come uomo per intraprendere la missione di sindaco eletto dal consiglio, come accadeva ai suoi omologhi in altri Paesi. L’orizzonte europeo dell’autore è richiamato sin dalle prime righe ed è sottolineato dal grande spazio dato frequentemente a citazioni anche molto lunghe, in nota, in lingua francese. Il rispetto delle leggi doveva essere assoluto, l’unico cui il sindaco sarebbe stato soggetto quando, in un non lontano futuro, sarebbe finita la subordinazione al centralismo. Cosciente della doppia natura della carica, quella di ufficiale di governo e di rappresentante della propria comunità, non avrebbe mai dovuto abusare dei propri poteri. I principi di democrazia avrebbero dovuto guidarlo seguendo la tradizione della Repubblica di Roma, quella antica studiata da Georg Barthold Niebuhr, lo storico tedesco che Georg Barthold Niebuhr all’inizio dell’’800 mar53 cò l’inizio di una nuova era negli studi romani e, soprattutto, negli studi storici(32). Subito dopo veniva l’accenno ai principi democratici sostenuti da Giuseppe Garibaldi, nel quale un lettore attento non avrebbe mancato di ricordare il difensore della Repubblica Romana del 1848-49, pur non espressamente nominata. Giuseppe Garibaldi Viene poi il richiamo al progresso, allo sviluppo socio-economico, all’educazione nazionale, e Cima ricordava qui in nota, ancora, come ulteriore omaggio, il nome di Quinet. L’autonomia tanto cara però non era un idolo a cui sacrificare tutto, ma uno strumento per il progresso, per questo dopo un richiamo alla necessità di un rapporto diretto e paritario con la provincia - allora guidata dal prefetto, fino al 1889 - ne rammenta il potere di sostituirsi alla “forza insufficiente e manchevole del Comune giuridico”(33). E ancora, all’interno del volume, alla voce Amministratori l’autore, conscio della limitatezza della cultura e delle capacità di molte amministrazioni 32 «His permanent contribution to scholarship was his method»; Barthold Georg Niebuhr; http://www.britannica.com/EBchecked/ topic/414548/Barthold-Georg-Niebuhr. 33 P. IV, infra. 54 manifestava non solo il suo consenso ma sollecitava lo svolgimento di ispezioni delle prefetture nei Comuni: Le frequenti e non superficiali ispezioni per parte del Capo della provincia ai comuni di sua giurisdizione apparecchieranno questi a sapersi reggere da sé medesimi(34). A questo punto Cima citava un’opera di Pacifico Valussi, politico e giornalista friulano, anticlericale sì, ma deputato della Destra dal 1866 al 1874(35) - quasi a bilanciare le citazioni del repubblicano francese Quinet - opera dedicata alla definizione dei caratteri della nuova Italia appena unificata(36), a sottolineare la natura didattica del suo volume diretto a definire i caratteri del Nuovo Sindaco. Il segretario comunale ricordava, quindi, l’importanza di un esercizio “con la possibile mitezza” degli ordini delle autorità superiori, con implicito riferimento a quelli relativi all’ordine pubblico. Rimarcava poi la necessità di diffondere il “principio dell’Autorità e della Contribuzione […, che] deve sopportarsi da ognuno per comune sicurezza e garanzia in propor34 P. 50. 35 Alberto Buvoli (a cura di), Il Friuli. Storia e società. 1866-1914: il processo di integrazione nello Stato unitario, Istituto friulano per la storia del movimento di liberazione, Udine 2004, ad nomen. 36 Pacifico Valussi, I caratteri della civiltà novella in Italia, P. Gambierasi, Udine 1868. 55 zione alle loro forze”. Non a caso metteva sullo stesso piano il corretto esercizio dell’autorità e il principio dell’equità fiscale: dovevano essere esercitati in modo equo, ma proporzionale, e quindi esigendo di più ai più potenti, che erano anche i più ricchi. Chiedeva anche al Nuovo Sindaco di non agire in nome della propria parte ma per “il benessere della Nazione”, unica forma di esercitare “il Ministero militante” (37). Cima, ancora, chiedeva al sindaco “che le abitudini della sua vita privata sieno regolari, decorose, morali”, di essere “campione di pace […] in nome di quella fratellanza universale che è la dottrina del Cristo e aspirazione e voto della civiltà progrediente”(38). Esigeva fermezza di carattere, moralità, la promozione della pace, mutuando il richiamo della religione cristiana non in nome della vita ultraterrena ma in quello di un laico progresso, implicitamente contrapposto, quindi, al tradizionalismo di cui erano portatori liberali conservatori e clericali di quegli anni. Ma il sindaco doveva anche essere coraggioso: “Quando sovrasterà al suo comune un qualche pericolo o troverassi colto da calamità, il NUOVO SINDACO sarà primo ad affrontarla”(39). Quasi con lo stesso coraggio avrebbe dovuto poi promuovere il progresso 37 P. V, infra. 38 P. VII, infra. 39 P. VII, infra. 56 in tutte le sue dimensioni sociali ed economiche e qui Cima cita testualmente alcune righe di un’opera, non meglio identificata, di Luigi Ferraris, deputato della Destra liberale nel Parlamento Subalpino nel 1848 e, ancora, nel Regno d’Italia dal 1863 al 1871 quando venne nominato senatore e, soprattutto, futuro sindaco di Torino dal 1878 al 1882(40). Luigi Ferraris Italia, 1885 ca 40 Sandra Pileri, Ferraris Luigi, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 46, 1996; http://www.treccani.it/enciclopedia/luigiferraris_%28Dizionario-Biografico%29/. 57 “Mite, subordinato e nondimeno indipendente e fermo” rispetto alle autorità superiori, il Nuovo Sindaco doveva essere “nelle funzioni di Ufficiale di polizia giudiziaria [...] avveduto, prudente, risolutamente energico e coraggioso […, perché] chi viola la legge è un nemico della società […, e] non si lascierà piegare a’ sensi di compassione verso una rea sventura né da riguardi d’amicizia o di affinità ”(41). Iniziano a questo punto pagine tra le più pungenti del volume, quelle più profondamente anticlericali, che iniziano con un’affermazione di principio oggi condivisa ma che allora, a qualche anno dalla presa di Roma, e dalla fine del potere temporale della Chiesa, feriva ancora la sensibilità di molti cattolici: “Il NUOVO SINDACO terrà ben distinto il principio politico dal religioso”. “Il Potere ecclesiastico - ammoniva l’autore - è per se stesso espansivo e tende ad uscire facilmente dai confini naturali per entrare nel campo delle temporalità e della politica”. In particolare il Nuovo Sindaco avrebbe dovuto contrapporre la “tolleranza in materia di opinioni religiose” e l’avversione al “fanatismo comunque s’ammanti” al “gesuitismo, il quale particolarmente nelle campagne, tende ad infiltrarsi nelle vene del popolo”(42). 41 Pp. VIII, IX, infra. 42 P. XI, infra. 58 Cima condivideva la polemica verso il “gesuitismo” avviata da Quinet in Francia(43), diffusa in tutta l’Europa della prima metà dell’’800, e fatta propria in Italia anche da uno dei maggiori interpreti del pensiero risorgimentale di ispirazione cattolica, Vincenzo Gioberti, che nutriva una “radicale e irrimediabile Vincenzo Gioberti ostilità [verso lo] spirito gesuitico, in quanto pervaso da misticismo, lassismo morale e autoritarismo, [che contrapponeva] a un cattolicesimo civile, ispiratore del movimento nazionale”(44). Il volume ricorda quindi il motto cavouriano, messo in risalto dall’uso di lettere maiuscole “LIBERA CHIESA IN LIBERO STATO”, raccomanda al sindaco “la maggiore riservatezza nell’esplicare in pubblico giudizi in materia di religione e di culto” perché doveva 43 Jules Michelet, Edgar Quinet, Des Jésuites, par Mm. Michelet et Quinet, Comptoir des imprimeurs-unis, Hachette, Paulin, Paris 1844; per una moderna traduzione italiana: I Gesuiti, di Michelet e Quinet, introduzione di Domenico Novacco, Avanzini e Torraca, Roma 1968. 44 Francesco Traniello, Gioberti Vincenzo, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 55, 2001; http://www.treccani.it/enciclopedia/ vincenzo-gioberti_%28Dizionario-Biografico%29/. 59 ricordarsi di essere sempre il principale bersaglio delle critiche di quell’opinione pubblica cui doveva l’incarico e che sarebbe stata pronta in ogni momento ad abbandonarlo, se ne avesse dato motivo sufficiente: dovrà ognora rammentarsi che la sua vita privata non può correre disgiunta dalla pubblica, ma che in questa confondesi formando un sol tutto, laonde i di lui pensamenti, la di lui fede, le di lui simpatie e convinzioni istesse non debbono farsi palesi, appunto perché siccome il Sindaco è il principale obbiettivo delle comuni osservazioni(45). La perorazione anticlericale del Nuovo Sindaco termina con la raccomandazione di adottare sempre un comportamento energico e fermo verso i probabili atteggiamenti antinazionali dei sacerdoti. Erano ancora ben lontane dal comparire sulla scena politica le figure di Romolo Murri e Luigi Sturzo, prosindaco di Caltagirone dal 1905 al 1920 e vicepresidente dell’Anci dal 1915 al 1923, oltre che fondatore del Partito popolare nel 1919. La Chiesa era ancora stordita dalla proclamazione di un Regno d’Italia che ap- 45 Pp. XIII, XIV. 60 Luigi Sturzo pena negli anni ‘50 dell’’800 sembrava utopia e che nel 1860 con l’impresa dei Mille divenne realtà. La Chiesa cattolica italiana non aveva ancora trovato gli interpreti che avrebbero compaginato la fede religiosa e quella nello Stato nazionale. Ma la distanza tra le ragioni di quelle due fedi, che sembrava incolmabile ai tempi di Cima, sarebbe stata tutta percorsa appena all’inizio del XX secolo. Alle raccomandazioni per un atteggiamento di ferma opposizione a qualsiasi ingerenza religiosa e all’esortazione a comportamenti pubblici e privati consoni all’importanza della carica seguiva, sullo stesso identico tono, il richiamo a un atteggiamento di neutralità nelle campagne elettorali che, è necessario ricordare, erano allora molto frequenti, per via del rinnovo annuale di parte del consiglio comunale. Una neutralità che però non doveva riguardare le eventuali ingerenze del “partito oscurantista”, che era quello, allora ancora molto pericoloso per il neonato Regno d’Italia, che predicava il ritorno ai regimi preunitari, questo perché: “Il ritorno al passato è morte - noi dobbiamo allearci con le cose viventi; esse infondono la speranza, dell’avvenire, la forza del presente e rendono alla patria la giovinezza immortale”(46). È quindi la volta delle pagine dedicate alla “pubblica istruzione” perché allora il Comune era re- 46 P. XVI. 61 sponsabile dell’educazione elementare, dalla cura dell’edificio scolastico al pagamento degli insegnanti. All’indomani dell’Unità, infatti, venne esteso a tutto il Regno d’Italia l’obbligo di bambine e bambini a frequentare i primi due anni della scuola elementare stabilito dalla legge Casati, la legge piemontese del Gabrio Casati 1859 che aveva preso il nome dal Ministro proponente, Gabrio Casati(47), anche se il pagamento delle spese, esclusivamente a carico dei municipi, ne limitava fortemente l’applicazione. Secondo Cima l’istruzione era alla base dello sviluppo “delle industrie e del commercio” e doveva quindi essere favorita, facendo però sempre molta attenzione alla possibile influenza della Chiesa perché “il clericalismo è multiforme”(48). 47 Luigi Ambrosoli, Casati Gabrio, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 21, 1978; http://www.treccani.it/enciclopedia/gabriocasati_%28Dizionario-Biografico%29/. 48 P. XIII, infra. 62 Tra le principali raccomandazioni che seguono vi è quella di “tenere in buona considerazione i propri impiegati” e trattarli in modo tale che nessuno potesse pensare che fossero al servizio del Sindaco “finché non vengano credute persone addette ai di lui privati servigi”. Cima, a questo punto, faceva una concessione alla propria categoria e raccomandava che “tra gli impiegati il NUOVO SINDACO cercherà di poter avere una particolare deferenza per il suo segretario in cui riporrà ogni riposto pensiero”(49). La “particolare deferenza” professionale che il Nuovo Sindaco avrebbe dovuto concedere al segretario era dovuta a consonanza politica: il segretario, infatti, condivideva con lui l’appartenenza alla Sinistra parlamentare, al “partito liberale-progressista”. Cima, infatti, immaginava il sindaco a cui si rivolgeva già eletto dal consiglio e, quindi, naturalmente bendisposto verso il governo che aveva fatto la tanto attesa riforma. Così Cima scriveva in nota alla voce “Segretario comunale”: la classe dei segretari comunali, anche per l’avvenimento del 18 marzo 1876 (1. Alludesi alla chiamata al potere del ministero Depretis - rappresentante il partito liberale-progressista) presenta in Italia un apprezzabile contingente al partito LIBERALE PROGRESSISTA, vuoi perché questi funzionari s’affidano, auspice l’evo- 49 P. XIV, infra. 63 luzione politica, ad un migliore avvenire, o vivendo in perenne contatto con la classe popolare si assimilano ad essa di preferenza per uniformità di bisogni e di aspirazioni(50). Come ricorda Romanelli, “Il decentramento era uno dei principali obiettivi di riforma indicati da Depretis nel programma di Stradella [..., che] appartengono alla primissima fase del governo della Sinistra” e la categoria dei segretari comunali nutrì fortissime speranze che la Sinistra al governo, insieme a quella grande riforma, varasse norme per il miglioramento della loro difficile condizione economico-professionale(51), che era tale specie nei Comuni medio-piccoli, la quasi totalità dei Comuni italiani dell’epoca. I segretari, però, dovettero aspettare il nuovo secolo per vedere il miglioramento della loro situazione(52). Per quanto riguarda la giunta Cima chiedeva che le decisioni “per il buon andamento amministrativo [...] vengano adottate per convincimento di ognuno e come defluite dallo studio e dalla meditazione comune”(53) e, nel consiglio comunale, chiedeva il rispetto delle regole e moderazione nel linguaggio. 50 Pp. 593-4. 51 Romanelli, Sulle carte interminate, cit., pp. 200 e 164. 52 Sulla storia della categoria: Oscar Gaspari, Stefano Sepe (a cura di), I segretari comunali. Una storia dell’Italia contemporanea, Donzelli, Roma 2007. 53 P. XV, infra. 64 Al termine di tante raccomandazioni l’autore si chiedeva per quale ragione un uomo avrebbe avuto il desiderio di sobbarcarsi di pesi simili e la risposta era la stessa che vale ancor’oggi: ambizione personale e desiderio di potere, molto più che aspirazione al bene comune “una tale abnegazione è soventi volte più che del patriottismo figlia dell’amor proprio e dell’irresistibile piacere della supremazia”. È per questo che, proprio come accade nei nostri Comuni, oggi: La sciarpa di Sindaco, è uopo asserirlo, viene desiderata da ognuno, perfino da coloro i quali si mostrano in apparenza più ripugnanti a recingerla e più incapaci. Allora, in tempi nei quali le persone che potevano aspirare alla carica di sindaco erano quasi solo i proprietari terrieri che formavano la grandissima parte degli uomini agiati, i soli che potevano votare ed essere eletti, interessi personali e ambizione non erano caratteristiche tanto universalmente diffuse se Cima doveva riconoscere che non era facile convincere “un felice proprietario ad abbandonare la sua calma e le sue private delizie per gettarsi in questo cammino di lotte, di dispute e di perigli”(54). Solo la convinzione di poter agire ispirati dal bene della Patria, avrebbe dovuto poter convincere una persona a divenire il Nuovo Sindaco. Ma questo Cima lo scriveva con un tono d’augurio, sot- 54 P. XVI, infra. 65 tolineato dall’uso del condizionale “noi vorremmo”, e non con quello dell’esortazione patriottica: il desiderio di perseguire il bene pubblico anche al di sopra anche dei propri interessi doveva essere raro anche allora. 4. Amministrare il Comune da sindaco del re 4.1. Il Comune e il sindaco Alle pagine dedicate al Nuovo Sindaco seguono quelle del Dizionario di giurisprudenza amministrativa e si passa così dall’attualità degli insegnamenti morali a quella... della difficoltà dell’amministrare il Comune italiano. Un esempio è già nelle prime pagine dove tra le più importanti e complesse voci del dizionario spicca quella relativa agli Ammalati. Nell’Italia appena unificata il pagamento delle spese relative al ricovero e alla cura degli ammalati era di competenza comunale, come d’altra parte lo è stato sostanzialmente fino alla riforma sanitaria del 1980(55). Spicca, in particolare, la difficoltà di gestire una materia per la quale era necessario conoscere non tanto la più recente legislazione 55 Ancor oggi, però, mentre in caso di prestazioni sanitarie il relativo pagamento è a carico del Servizio sanitario nazionale, nell’eventualità di prestazioni socio-assistenziali quali sono, ad esempio, quelle in favore di malati di mente, è il Comune di residenza all’epoca del ricovero che se ne deve far carico in ultima istanza. 66 nazionale in vigore, che era minima, ma soprattutto quella preunitaria, quindi i trattati internazionali per i cittadini stranieri in Italia e per quelli italiani all’estero. Un estero che nel caso del Veneto, per esempio, non era tale rispetto alle regioni dell’Impero Austro-ungarico di cui la regione aveva fatto parte fino al 1866, appena dieci anni prima dell’uscita del Dizionario. La questione fondamentale era la definizione delle modalità attraverso le quali individuare la residenza di un cittadino, perché se i municipi d’origine, quasi sempre poveri e di montagna, tendevano a dichiarare con facilità l’abbandono del Comune, ai grandi Comuni della pianura non bastava che una persona abitasse nel proprio territorio da un certo tempo per stabilire che quella fosse residente a tutti gli effetti. La decisione rispetto a quale Comune dovesse esse- Ospedale di Torino 67 re assegnata la residenza di un ammalato comportava la competenza del pagamento delle spese ospedaliere che, nel caso di trattamenti particolari, ad anziani e malati cronici, per esempio, potevano essere anche molto alte. Questa è la ragione dell’ampiezza della voce. Così, alle poche norme del Regno d’Italia succedono i pareri del Consiglio di Stato, le sentenze della Corte di Cassazione, le norme dei diversi stati preunitari cui facevano riferimento i Comuni delle diverse regioni. Il commento conclusivo di Cima sulle difficoltà economiche provocate da una legislazione confusa potrebbe essere sottoscritto ancor oggi da molti amministratori locali: Dallo stato attuale della legislazione e della giurisprudenza con cui vengono regolate le competenze passive per cure ospitalizie, le Amministrazioni risentono gravi pregiudizi nel loro andamento economico. Alla denuncia delle difficoltà provocate dalla burocrazia segue quella della pericolosità di qualsiasi ostacolo posto alla libertà di commercio e di industria. La Sinistra dei tempi di Cima era, ancora nella seconda metà dell’’800, impregnata dei principi del classico liberalismo inglese che considerava profondamente deleterio qualsiasi intervento pubblico in ambito economico, al contrario di quanto avrebbero argomentato di lì a qualche anno sia i socialisti sia, a partire dalla fine dell’’800, i cattolici di Murri e Sturzo. Cima, quindi, alla voce Annona si esprimeva decisamente contro la 68 possibilità concessa ai Comuni di imporre prezzi calmierati e più avanti, alla voce Farmacia, descriveva la sua contrarietà alle limitazioni previste dalla legge riguardo all’apertura di farmacie in quanto “contraddice ai principi della libertà professionale”(56). È vista alla luce dei principi liberali anche la questione del dazio consumo, bollato come “ingerenza del Governo” in una imposta comunale e, soprattutto, come ostacolo alla circolazione delle merci sia dal punto di vista economico, per la somma che si doveva pagare per il passaggio nel territorio comunale, sia dal punto di vista fisico, perché prevedeva l’esazione al passaggio in entrata o in uscita dai centri abitati, rallentandone i movimenti. Era per questo che il dazio non esisteva da tempo nel paese più industrializzato dell’epoca, l’Inghilterra, ed era stato da poco abolito in Belgio e Olanda(57). Scrive Cima: Il dazio consumo produce due mali: il primo, l’ingerenza del Governo che percepisce utili da un’imposta di natura eminentemente comunale; il secondo, molto più grave, consta dei profondi danni che ne risentono le popolazioni per il progressivo aumento di questa imposta(58). 56 Pp. 53 e 320. 57 P. 230. 58 P. 238. 69 Il problema poi era anche che, come ancor oggi per imposte e tasse a vantaggio sia dei Comuni, sia dello Stato, quella del dazio era una risorsa fondamentale per i bilanci municipali come per quello nazionale. Questo significa che la sua cancellazione avrebbe favorito i bilanci dei privati e lo sviluppo economico generale, ma poteva essere funesto per i bilanci pubblici e, quindi - e deve essere ben sottolineato - anche per quei servizi pubblici alla cittadinanza che costituiscono, a loro volta, un elemento alla base dello sviluppo socio-economico generale. La scelta di ridurre o di eliminare una tassa o un’imposta che costituisce una risorsa di rilievo per gli enti locali deve essere compiuta dal Governo tenendo conto delle conseguenze sui servizi locali e, quindi, sul territorio. La progressiva limitazione al principio di neutralità assoluta dello Stato in economia propria dell’ideologia liberale era comunque vicina, come avrebbe dimostrato, di lì a poco, la scelta compiuta dal Governo di un progressivo impegno diretto nel finanziamento della costruzione e poi nella gestione delle ferrovie. Nel frattempo, un segnale di questo cambiamento veniva da una lunga nota finale alla voce Boschi dove è sottolineata l’urgenza dell’intervento pubblico per proteggere ed accrescere le foreste in montagna per salvaguardare così il territorio da frane e alluvioni(59). 59 P. 131. 70 La rete ferroviaria Nella sua lunga introduzione alla voce Comune, dove ricostruiva la gloriosa storia dell’ormai lontano passato dei Comuni italiani e la successiva stagione di sottomissione allo Stato, Cima concludeva lasciandosi andare alla previsione di un futuro radioso, garantito dalla vicina riforma: I Governi più liberi consentono ora al Comune tutta quella autonomia che non può danneggiare l’unità dello Stato, né arrecare indebolimento ai poteri del governo centrale [...] Quali saranno le fasi avvenire del Comune italiano e la sua sorte nella forma costitutiva del reggimento politico, se esso sta per divenire il naturale rappresentante dei portati civili ed il principal Fattore della prosperità nazionale? Chi può conoscere le nuove fasi del Comune in Italia, se il prodigioso svolgersi degli avveni71 menti politici e sociali eruisce diuturno senza soste e difficoltà”(60). Che però il futuro del Comune non fosse poi così semplicemente indirizzato verso un futuro di progresso è facilmente intuibile dall’inizio della voce Consiglieri Comunali che richiama il pericolo del familismo, tuttora esistente, nella vita politica comunale: “La legge comunale non avendo determinato il numero dei fratelli che possano contemporaneamente far parte del Consiglio comunale [...] Sta agli elettori il provvedere”(61). Allora, come oggi, è ai cittadini, con il voto, che spetta la responsabilità fondamentale della scelta dei propri amministratori. Tra le competenze che aiutano a comprendere quale fosse il ruolo del Comune nell’Italia appena unificata ve ne sono diverse che oggi sono di competenza di altre istituzioni ed enti pubblici. In sostanza è possibile affermare che ben prima della nascita di quello che oggi conosciamo come il welfare, statale per eccellenza, il welfare era solo comunale, a partire dalla ricordata istruzione obbligatoria elementare(62). “Ogni comune - riporta il Dizionario - deve avere una scuola elementare maschile e femminile, o almeno una 60 P. 158. 61 P. 183. 62 Si ricorda che nel 1877 la Sinistra riformò il settore con la legge Coppino che elevò l’obbligo scolastico da due a cinque anni, lasciandone la competenza ai Comuni. 72 Scuola elementare rurale scuola mista, e lo stipendio per il maestro o la maestra deve stanziarsi nel bilancio [...] sono esenti i soli comuni di popolazione inferiore ai 500 abitanti”(63). Grado e modalità di applicazione della legge furono, evidentemente, molto diverse da Comune a Comune, con conseguenze generalmente deleterie per lo sviluppo dell’educazione. Altra competenza squisitamente comunale era quella sanitaria, in particolare il pagamento del medico condotto. È evidente dalla lettura delle due voci, Medici e chirurghi e Maestro che la gestione di queste figure professionali era fonte di difficili questioni, relative in particolare, anche se non solo, ai rapporti economici. 63 P. 634. 73 Una voce di particolare interesse che aiuta a comprendere la complessità dei problemi finanziari che doveva gestire un sindaco dell’epoca di Cima è Sovrimposta nella quale viene descritta la possibilità di Comune - e Provincia - di sovrimporre una propria percentuale alle imposte dello Stato, in modo tale da garantire risorse sufficienti all’amministrazione. Il segretario, per rispondere alle accuse che l’opinione pubblica faceva ai Comuni di imporre pesi troppo alti sui propri cittadini, ricordava che nel periodo preunitario le sovrimposte comunali erano più basse perché i Comuni avevano compiti piuttosto limitati: spendevano poco e, quindi, avevano bilanci piuttosto magri. L’aumento delle sovrimposte, che tanto preoccupava la popolazione, era dovuto al fatto che il nuovo Regno d’Italia aveva caricato sui Comuni sia nuove competenze, sia spese relative a servizi di natura statale. Ciò che più premeva a Cima, però, era un problema che pare ripreso dalle pagine dei quotidiani dei nostri giorni, salvo per la mancanza di un protagonista, la regione. Da evidenziare l’illusione che l’aumento delle imposte fosse di natura temporanea dovuta solo alla necessità di costruire, praticamente da zero, tutti i servizi propri di uno Stato moderno: Ciò che importa egli è di uscire da uno stato di cose, vera immagine del caos, dove comuni, provincie e Stato s’invadono, s’accavallano, si sovrammettono senza tempo e senza ordine. Trascorso che sia questo periodo di transizione e sopravvenuto uno stabile as- 74 setto, molte economie potranno aver luogo(64). Problemi di complessità di applicazione e di esosità, però, ve n’erano anche quando i mezzi finanziari del Comuni provenivano da tasse proprie, com’era il caso, all’interno della voce Tasse comunali della prima risorsa a disposizione del Comune che era la “tassa fuocatico o di famiglia”, tanto che Cima commentava: Nella molteplicità delle imposizioni e sovraimposizioni la tassa famiglia assume (particolarmente nei piccoli comuni) un carattere vessatorio e contraddice ai tempi e alle tendenze del miglioramento sociale(65). La voce Sindaco è una delle più importanti del Dizionario e a sottolinearlo ci sono due pagine interamente in francese tratte da “Roret - Des Maires” ossia da uno dei Manuali Roret, editi a Parigi, dedicato agli amministratori locali(66). La citazione in francese ci fa capire non solo che la legislazione comunale italiana era ispirata a quella transalpina ma anche che la lingua francese doveva essere in qualche modo di uso comune tra sindaci - che erano allora soprattutto proprietari terrieri e professionisti - e segretari comunali, i due principali referenti del volume di Cima. Nelle due pagine erano riassunte principali caratteristiche e fun64 P. 680. 65 P. 685. 66 Charles Vasserot, Nouveau manuel complet des maires adjoints et conseillers municipaux ... , 6 edizione, Librairie encyclopédique de Roret, Paris 1866. 75 zioni del sindaco a partire dalle due nature, quella di capo dell’amministrazione comunale e di ufficiale di governo: le maire comme le chef de l’association communale. Cette qualité est la première, mais elle est accompagnée d’une autre intimement liée a celle-là par la législation: la qualité d’agent et délégué du gouvernement auprés de la commune(67). Il sindaco doveva essere ispiratore dello sviluppo economico locale; promotore della diffusione della più importante novità nell’assistenza sanitaria dell’epoca, i vaccini, della manutenzione e dello sviluppo delle strade, di un corpo comunale dei vigili del fuoco e, infine, doveva ricoprire il ruolo di paladino del rispetto delle leggi e dell’ordine pubblico “pour assùrer la soumission aux lois et le respect dû à l’autorité”(68). Rispetto alle modalità di elezione, dopo aver illustrato quelle vigenti in diversi paesi europei, Cima dichiarava la propria preferenza per la scelta da parte del consiglio: Come si vede l’Europa è divisa su questa questione, ma noi preferiamo che come in Prussia e in Austria la nomina dei sindaci venga abbandonata ai consigli comunali salvo la conferma del Re […] Noi opiniamo 67 P. 602. 68 P. 603. 76 invece che venendo il sindaco nominato dal Consiglio comunale non perderebbe affatto della sua indipendenza e libertà d’azione, ma che queste all’incontro si rafforzerebbero vie maggiormente nelle qualità di funzionario governativo(69). L’importanza del ruolo del sindaco viene sottolineata anche in altre occasioni, come per esempio all’interno della voce Leva. Al termine dell’illustrazione del ruolo del Comune nella gestione delle liste dei giovani destinati allo svolgimento del servizio militare obbligatorio - che non esisteva nei regni preunitari - si sottolineava la funzione pedagogica del municipio in favore del rispetto di quell’obbligo considerato un fondamentale strumento di educazione nazionale: Il soldato fa il cittadino. Con tali organizzazioni l’istruzione militare completa quella civile. Il diffondere cotesto spirito tra i cittadini che vengono chiamati alla leva, è uno dei più sacri e più sublimi compiti assegnati alla missione morale del Nuovo Sindaco(70). Allievo caposcelto della Scuola Militare Nunziatella di Napoli, 1880 ca 69 Pp. 626-7. 70 P. 393. 77 Il sindaco di Milano Giulio Belinzaghi, “Spirito folletto”, 3 giugno 1880 Per avere un’idea della varietà dei pesi che aveva sulle spalle un sindaco dell’epoca è interessante leggere le voci relative al funzionamento dell’amministrazione comunale. Per esempio la voce Giunta municipale, con in nota diverse citazioni di opere dedicate alla legislazione francese e inglese, si conclude con un commento dell’autore che denunciava la conflittualità tra Sindaco e Giunta favorita dalla legge in vigore: Il nostro ordinamento della Giunta è metodo tutto belga, e come nel Belgio, così com’è regolato, non risponde ai principi razionali di amministrazione pubblica. Tra il Sindaco e questo Collegio esecutivo sono inevitabili le conseguenze del dualismo(71). 71 P. 348. 78 4.2. Il personale dei Comuni Alla voce Impiegati comunali Cima dedicava particolare riguardo, in questo caso la sua attenzione di studioso e quella di appartenente alla categoria si confondevano. Nella sua visione il miglioramento della situazione economica e professionale degli impiegati, e particolarmente di quelli di alto livello, doveva corrispondere all’affermazione dell’importanza del Comune nei suoi rapporti con lo Stato, come sarebbe avvenuto nella prevista riforma. In particolare gli impiegati dovevano essere sottratti ai capricci di amministrazioni e consigli comunali, mutevoli e spesso in crisi. Era anche vero, d’altra parte, che la situazione dei dipendenti comunali corrispondeva a quella della Pubblica amministrazione in generale e dell’intero Paese che, particolarmente nei Comuni minori, era molto arretrata rispetto a quella dei principali paesi europei allora presi a modello. Scriveva Cima: Se il Comune è il primo elemento dello Stato, è naturale che le sue funzioni d’ordine generale debbano procedere in armonia con quelle dello Stato. L’impiegato comunale, adunque, superiore, rivestito di carattere giuridico dovrebbe andare annoverato tra i funzionari d’ordine generale, trattato con le leggi di quelli e sottratto per conseguenza alla insindacabilità delle risoluzioni del Consiglio comunale(72). 72 P. 366. 79 Uno svolgimento molto simile aveva la voce Segretario comunale alla cui classe Cima apparteneva. Alla chiusura delle pagine dedicate a questa figura, in una nota in parte già citata in precedenza, l’autore spiega i motivi dell’adesione dei segretari alla Sinistra e dell’importanza vitale della loro funzione nell’Italia appena unificata. Nel primo caso sia perché la Destra li aveva abbandonati, sia per la loro oggettiva vicinanza ai cittadini, nel secondo perché riteneva i segretari sentinelle e custodi della legalità e delle istituzioni: Difatti noi osiamo affermare che la classe dei segretari comunali [...] presenta in Italia un apprezzabile contingente al partito LIBERALE PROGRESSISTA, vuoi perché questi funzionari s’affidano, auspice l’evoluzione politica, ad un migliore avvenire, o vivendo in perenne contatto con la classe popolare si assimilano ad essa di preferenza per uniformità di bisogni e di aspirazioni, vuoi perché la loro situazione sì trascurata e vilipesa non può, al certo, avere guari inspirato attaccamento verso un partito che li ha sino ad ora trattati con la minaccia e l’umiliazione. Ci pensino i governanti a questi apostoli che vivono là dove si radicano le idee politiche e s’afforzano i poteri - essi formano un sodalizio capace di dare un giusto e potente indirizzo al novello ordine di cose - sentinelle avanzate saprebbero dare la prima sveglia all’appressarsi d’un nemico che pensasse perturbare nei campi fecondi dell’intelligenza o in quelli dei principj prevalenti(73). 73 Pp. 593-4. 80 4.3. Il ruolo e i beni della Chiesa e la questione anticlericale Le radici della Chiesa nel tessuto economicosociale del Regno d’Italia, nei primi decenni all’indomani dell’Unità, erano così profonde e pervasive da fornire una giustificazione all’acceso anticlericalismo dei liberali dell’epoca, qual era Cima, tesi alla costruzione di un’Italia moderna. La prima voce del Dizionario nella quale è possibile avvertire questi elementi è Asse ecclesiastico, nella quale sono descritti gli obblighi dei Comuni in materia di spese per il culto, sostentamento dei parroci e restauro di edifici religiosi “in base a leggi speciali sulla materia e a secolari abitudini”(74). Poi c’è la voce Decime, analoga ad Asse ecclesiastico per complessità di interpretazione e applicazione in ciascuno dei territori dei diversi Stati preunitari, che riguardava “prestazioni stabilite sotto qualsiasi denominazione e in qualunque modo corrisposte per l’amministrazione dei sacramenti o per altri servizî spirituali ai vescovi, ai ministri del culto, alle chiese, alle fabbricerie, o altri corpi morali che hanno per iscopo un servizio religioso”. Fortunatamente, per le amministrazioni comunali, undici anni dopo la pubblicazione del Dizionario, nel 1887, sarebbe stata emanata una legge di sostanziale soppressione dell’istituto(75). 74 P. 74. 75 A. Cald., A. C. J., Decima, in Enciclopedia Italiana (1931); http:// www.treccani.it/enciclopedia/decima_(Enciclopedia_Italiana)/. 81 La voce Feste, funzioni religiose e civili - a sottolineare il sentimento anticlericale dell’autore - inizia con la citazione di una sentenza del Consiglio di Stato di condanna di amministratori che avevano contribuito con alimenti e somme allo svolgimento di solennità religiose. Più avanti, le molte pagine dedicate a Opere pie si concludono con una lunga nota nella quale l’autore sollecita la riforma dell’assistenza, “Una riforma radicale di detta legge è urgente”(76), sulla base della considerazione che uno Stato moderno non poteva delegare le proprie competenze in una materia tanto importante a un coacervo di istituti diversi per natura, funzioni e competenze che derivavano le proprie risorse da altrettanto diverse fonti economiche e finanziarie. E la riforma sarebbe stata fatta dal Governo della Sinistra ma, come nel caso della legge comunale e provinciale, molti anni dopo l’ascesa al potere, nel 1890, e sempre dal Governo Crispi. Un’altra voce dedicata ad un antico istituto legato a pratiche religiose è Patroni, voce nella quale vengono descritte le obbligazioni, in genere la celebrazione di messe per i defunti, connesse al reddito di una determinata proprietà. La complessità della materia era dovuta al fatto che tali obbligazioni continuavano ad avere un qualche effetto anche dopo l’espropriazione, imposta dalle leggi del neonato Regno d’Italia, delle grandi proprietà immobiliari ecclesiastiche, definite: manomorta. Il termine, tanto suggestivo quanto 76 P. 472. 82 erano negative le conseguenze sulle possibilità di sviluppo economico di molte aree, era tradizionalmente attribuito a “beni che, per il fatto di appartenere a enti perpetui [come la Chiesa], erano inalienabili, sfuggivano alla tassa di trasferimento per causa di morte e si consideravano stretti nella mano di un morto senza la possibilità di uscirne”(77). 4.4. La lunga attesa delle riforme L’ultima voce del Dizionario è Votazione che si conclude con un commento sulla questione se nei consigli comunali fosse preferibile lo scrutinio a voto palese oppure segreto, che era all’epoca il più diffuso in Italia. L’autore si esprime, invece, sostanzialmente in favore del voto palese ma, in conclusione, sostiene l’opportunità che dovesse essere il consiglio stesso a scegliere il metodo migliore da utilizzare in relazione ad ogni specifico problema discusso e, quindi, in perfetta autonomia: meglio per ora risponda il principio di lasciare che il genere di votazione sia prescelto dall’intero consiglio comunale medesimo e adottato a maggioranza assoluta di volta in volta(78). 77 Romualdo Trifone, Manomorta, in Enciclopedia Italiana, 1934; http://www.treccani.it/enciclopedia/manomorta_(EnciclopediaItaliana)/. 78 P. 774. 83 Il fatto più importante, però, era che i politici locali dovevano decidersi ad abbandonare vecchie abitudini frutto di una legislazione ormai superata, come sarebbe senz’altro avvenuto in un prossimo futuro grazie alla vicina riforma delle legge comunale: Un’era di vita affatto nuova sta per aprirsi ai comuni e noi presentiamo che dinanzi al soffio d’un regime costituzionale ogn’ora più libero gli avanzi di una logora legislazione non tarderanno a sparire(79). L’agognata riforma, però, come sottolineato, sarebbe arrivata solo nel 1889. La seconda e ultima edizione de Il Nuovo Sindaco, pubblicata nel 1880, si apre con un’introduzione che rivela la perdurante speranza di un rinnovamento legislativo, un rinnovamento che avrebbe avuto bisogno, evidentemente, di una nuova pubblicazione che, sottolineava Cima, avrebbe dovuto avere un orizzonte europeo, magari forse anche, verrebbe da pensare, per distinguersi dal ricordato Manuale Astengo: Il pensiero poi delle imminenti riforme, che, malgrado il tramestìo parlamentare odierno, dovranno rifondere, quandochessia, il nostro organismo politico e amministrativo, ci ha suggerito l’opportunità di continuare la Raccolta della giurisprudenza succeditura, e, perché 79 P. 772. 84 dessa meglio risponda alla situazione gravissima in cui s’attroveranno i Comuni per il repentino disaccentramento delle competenze autonome pensiamo pubblicarla in fascicoli mensili con ricco corredo di note illustrative e di studi di legislazione e di economia sociale, traendo importanti raffronti dalle evoluzioni del gius amministrativo dei vari Stati d’Europa. Collaboreranno all’impresa persone dottissime. Le speranze di riforma - che si sarebbe dovuta realizzare nonostante la confusione che regnava nel Parlamento (“il tramestìo parlamentare odierno”) - servivano anche a nutrire quelle di una nuova pubblicazione con la quale Cima avrebbe potuto provare ancora una volta ad arrotondare il proprio stipendio di segretario comunale. Quella pubblicazione, però, non avrebbe potuto vedere la luce se non si fosse raggiunto un numero sufficiente di abbonamenti, anticipati, abbonamenti che, quindi, il nostro segretario comunale sollecitava con espressioni altisonanti: - Si persuadano i Municipi italiani che la loro vita non può, non deve durare solitaria e sterile e che il loro fine dee essere come sangue che scorre per la scienza e l’avviva; e che per il bene della Patria comune debbono rifarsi agili, acuti, riflessivi. (...) La nostra vita municipale sinora fu vita di assurdi, strepito di fantasia e d’impossibilitá che condannano sé stessa all’amarezza del languore e al dissolvimento economico. 85 - Alla tavola rotonda delle nostre elucubrazioni, come a fraterno simposio, noi vorremmo stringere concorde lo spirito e l’intelligenza loro e nella solidarietà dei comuni intenti e del comune lavoro promuovere quell’effettuale miglioramento (altrimenti insperato) che solo dal nostro individualismo dobbiamo attenderci ed in tal modo ci sarebbe dato compiere almeno il dovere di lavorare con tutte le nostre forze all’opera iniziata, legando alle generazioni future il compito di sviluppare i germi preparati. Parma, Giugno 1880 Jacopo Cima(80) Certo le esortazioni di Cima a sindaci, dirigenti, segretari, funzionari e tecnici comunali, affinché si riunissero e lavorassero insieme per il benessere e il miglioramento della situazione delle rispettive amministrazioni, avevano come obiettivo finale quello di ottenere la collaborazione al suo progetto, ma l’idea che i municipi non potessero più condurre una vita “solitaria” non doveva essere poi molto distante da quella sulla quale in molti allora riflettevano. L’idea di “stringere concorde lo spirito e l’intelligenza [...] e nella solidarietà dei comuni intenti e del comune lavoro pro80 Jacopo Cima, Il Nuovo Sindaco. Dizionario di giurisprudenza amministrativa degli anni 1876-1877-1878-1879, Tip. G. Donati e Fratelli, Parma 1880, pp. I-II. 86 muovere quell’effettuale miglioramento”, l’idea quindi di concordia di intelligenze e di solidarietà di intenti, sarebbe stata progressivamente condivisa anche da molti sindaci di tutta Italia, come quelli che si riunirono a Torino nel 1879 e nel 1884, guidati dal sindaco della città, per reclamare contro la carenza di risorse finanziarie e chiedere, inutilmente, la riduzione delle imposte statali e la possibilità di aumentare quelle municipali. Fu però solo con i nuovi sindaci, dal 1889 finalmente eletti dai rispettivi consigli, che il movimento comunale raggiunse una continuità tale da permettere, nel nuovo secolo, la nascita dell’Associazione dei Comuni italiani, avvenuta nel 1901 proprio nella stessa città nella quale Cima aveva pubblicato la seconda edizione del suo Nuovo sindaco: Parma(81). Giuseppe Mussi, Sindaco di Milano, primo Presidente ANCI nel 1901 81 Oscar Gaspari, L’Italia dei municipi. Il movimento comunale in età liberale, 1879-1906, Donzelli, Roma 1998. 87 Bibliografia Lorenzo Bedeschi, Il modernismo e Romolo Murri in Emilia e Romagna, Guanda, Parma 1966. Isaiah Berlin, Le radici del Romanticismo, Adelphi, Torino 2001. Ruggero Bonghi, Come cadde la Destra, Treves 1929. Alberto Buvoli (a cura di), Il Friuli. Storia e società. 1866-1914: il processo di integrazione nello Stato unitario, Istituto friulano per la storia del movimento di liberazione, Udine 2004. Antonello Capurso (a cura di), I discorsi che hanno cambiato il mondo, Mondadori, Milano 2008. Giampiero Carocci, Destra e sinistra nella storia d’Italia, Laterza, Roma-Bari 2002. 89 Elisabetta Colombo (a cura di), I sindaci del re (18591889), Il Mulino, Bologna 2011. Ornella Confessore, Le elezioni politiche del 1874, in AA.VV., 1874-1976. Marco De Nicolò, Trasformismo, autoritarismo, meridionalismo. Il ministro dell’interno Giovanni Nicotera, Il Mulino, Bologna 2001. Oscar Gaspari, L’Italia dei municipi. 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Andreina De Clementi, 52. Marco De Nicolò, 38, 49. Agostino Depretis, 17, 19, 21, 26-7, 41-2, 63-4. Francesco De Sanctis, 15, 18. Antonio De Viti De Marco, 24. Luigi Ferraris, 7, 57. Fausto Fonzi, 38. Léon Gambetta, 12. Giuseppe Garibaldi, 13, 50-1, 54. Oscar Gaspari, 35, 64, 87. Vincenzo Gioberti, 59. Antonio Giolitti, 15. Victor Hugo, 50. Federico Lucarini, 49. Denis Mack Smith, 26, 51. Pasquale Stanislao Mancini, 46. Fernando Manzotti, 16, 21. Giacomo Margotti, 16. Alberto Mario, 25. Giuseppe Mazzini, 13, 50. Ugo Mazzola, 24. Guido Melis, 44-5, 48. Maria Grazia Meriggi, 10, 51. Jules Michelet, 59. 94 Marco Minghetti, 14, 17, 25-6. Giorgio Montecchi, 51-2. Giovanni Montemartini, 49. Niccolò Montenegro, 51. Augusto Monti, 47-8. Giuseppe Monsagrati, 51. Romolo Murri, 52, 60, 68. Giuseppe Mussi, 87. Napoleone III, 50. Francesco Saverio Nitti, 20. Giovanni Nicotera, 37-8. Georg Barthold Niebuhr, 53-4. Giuliana Nobili Schiera, 30. Adolfo Omodeo, 19. Vittorio Emanuele Orlando, 48. Maffeo Pantaleoni, 24. Claudio Pavone, 25. Luigi Gerolamo Pelloux, 20. Francesco Piccolo, 16. Sandra Pileri, 57. Giuseppe Pisanelli, 15. Edgar Quinet, 10, 12-3, 48, 50-1, 54-5, 59. Urbano Rattazzi, 26. Raffaele Romanelli, 37, 41, 47, 64. Roberto Ruffilli, 30. Giovanni Sabatucci, 26. Giuseppe Santonastaso, 50. Stefano Sepe, 64. Quintino Sella, 14. Luigi Sturzo, 23, 60, 68. Silvio Spaventa, 15, 26. 95 Antonio Starabba, marchese di Rudinì, 20. Giuseppe Talamo, 37. Francesco Traniello, 59. Romualdo Trifone, 83. Pacifico Valussi, 55. Charles Vasserot, 75. Giuseppe Vignuzzi, 51. Vittorio Emanuele II, 26. 96 SECONDA PARTE DEL CARATTERE E DELLE QUALITÀ DEL NUOVO SINDACO Confions la vie nouvelle à des esprits nouveaux (E. Quinet) Chi è chiamato a sostenere l’ufficio di Sindaco deve anzi tutto esaminare sé stesso nelle sue virtù e ne’ suoi vizi, nella portata delle sue cognizioni e delle sue attitudini, nella indipendenza o servilità del suo carattere, nello stato della pubblica opinione a suo riguardo, ne’ suoi rapporti sociali e ne’ suoi privati interessi, e quando da tutte queste intrinseche considerazioni, poste a riscontro degli attributi difficili e delicati che la legge gli assegna, si sentirà tanto forte di sé da sobbarcarsi impavido alla grave missione, allora preferirà avere una conseguente responsabilità personale de’ suoi atti ed essere eletto dal proprio Consiglio municipale, o dagli elettori, a quella guisa che vengono eletti il Maire e gli Aldermen in Inghilterra, i Stadt-Verordneten in Prussia, il Borgomastro in Austria, i Maires in Svizzera, i Starchina e i Starosta in Russia, presso le quali nazioni le riforme amministrative sono già avanti nell’applicazione del decentramento e nel principio di rendere ai comuni la loro indipendenza e autonomia. I - Cercherà di mettere in chiaro più d’ogni altra la sua qualità di Amministratore capo; non impugnerà con spavalderia il brando dell’autorità politica, e quando in causa di questo speciale mandato si trovasse costretto adempiere i doveri di Ufficiale del Governo, avrà cura che ogni suo atto sia sempre subordinato al potere giudiziario avanti il quale dovrà un giorno sparire ogni irresponsabilità ed istituirsi il redde rationem del cittadino e dello Stato a misura che i miglioramenti toglieranno dalle amministrazioni comunali quell’accentramento che domina presentemente. Così quando gli avvenga di dover porgere informazioni di persone alle Autorità, dalle quali fosse interpellato, andrà sempre cauto di non confondere i rapporti della politica con quelli morali e sociali, e sdegnerà mai sempre di formare tema di censura la particolare opinione politica degli individui quando questa non tenda al sovvertimento degli ordini civili o alla sicurezza dello Stato. - Il Nuovo Sindaco essendo la personificazione della massa degli abitanti dovrà motivarsi democratico nelle forme e nei principj, poiché i tempi hanno oggimai segnato il bando ai privilegi del blasone e del denaro e vogliono tolta, nei riguardi della Civiltà, della Morale e della Politica quella odiosa demarcazione fra le classi sociali che tiene sparte le forze della nazione e impedisce tra gli abitanti d’una medesima terra la immediata comunicazione delle proprie idee, dei propri desideri e bisogni. Dacché venne proclamata l’eguaglianza del cittadino in faccia alla legge, il moderno Diritto Pubblico sollevossi in Europa a car- dine delle nuove evoluzioni politiche e sociali, inspirandosi alle fonti della Democrazia. La Democrazia adunque è oggimai un principio sanzionato dalla legge. Lo contraddice il pregiudizio, le passioni e le caste, ma ancora per poco, avvegnaché il Popolo italiano proceda alacremente in sostituirsi alla varie classi aristocratiche, che scompajono, e a sviluppare gli elementi d’una Vita Nuova. Le leggi della fatalità cominciano a rivelarsi come nell’antica così nella storia politica contemporanea. Alla prisca aristocrazia romana si sostituirono i plebei. Aspre guerre essi fecero coi patrizi per ottenere l’uguaglianza civile, e l’ottennero e salirono reggitori dello Stato. L’Antico patriziato di Berna in cui Niebuhr credette di scorgervi l’analogia del patriziato romano si atrofizza e da luogo alla Democrazia svizzera de’ giorni nostri. Non è guari vedemmo l’aristocrazia inglese, plaudire a tale principio, quando salutò in Garibaldi la grandezza del popolo italiano e dappertutto la vita nazionale si va raccogliendo più o meno palesemente, nel concetto della nuova Democrazia. Tutto si trasforma quaggiù, siccome negli ordini fisici così negli ordini politici e sociali. Le forme adunque e i privilegi della Civiltà che declina non lasceranno a’ vegnenti più che un sentimento di contemplazione retrospettiva. Già la Civiltà progressiva mira a ripudiare tra gli uomini ogni fittizia disuguaglianza e allor quando l’Istruzione - come le fecondatrici onde del Nilo pei campi egizi - manderà in fra le masse i benefici frutti e le avrà rinnovellate nella vita dell’intelligenza, allora noi vedremo sciolto felicemente il problema sociale che agita oggigiorno la mente del filosofo e turba i governi. Rammenterà ad ognuno essere duopo gli uomini si convincano che il più grande bene che possa la fortuna loro elargire si è quello di esercitare la libertà del pensiero; - che la ricchezza non deve essere che un instrumento dello spirito; - che non vi è bene al mondo senza la felicità dell’animo la quale risiede nel possedimento dei lumi - che infine non devesi soltanto accumulare per godere, ma eziandio accumulare per servire alla scienza, alle arti, alla verità, al culto del bello, al progresso(1). Amerà avere corrispondenza diretta con l’autorità provinciale cui farà capo senza appoggiarsi ad Uffici intermedi, e ciò perché la vita del comune autonomo e quella della provincia autonoma possano nella mutua operosità del concetto amministrativo svolgersi a vicenda senza remore e in relazione al proprio rinnovamento, alla loro prosperità economica, al progresso della civiltà e alla educazione nazionale. E tale massima gli tornerà famigliare meditando quanto più naturale e più efficace d’ogni altra sarebbe la forza iniziatrice e correttiva del Governo della provincia quando fosse chiamato a sostituirsi alla forza insufficiente e manchevole del Comune giuridico(2). 1 E. Quinet. 2 P. Valussi, Caratteri della civiltà novella. In tali condizioni di esistenza che lo rendono emancipato da ogni servilismo governativo e quando la di lui elezione, o deposizione, procedesse dal Corpo elettivo del suo comune, non intenderà a vane onorificenze esterne o a privati vantaggi, ma sibbene agli interessi del suo comune e a conseguire l’amore dei suoi concittadini, la loro aperta e confidenziale riverenza. - Porrà in esecuzione gli ordini del Potere centrale e quelli emanati da altre autorità superiori con la possibile mitezza; - diffonderà il principio dell’Autorità e della Contribuzione come i più importanti dogmi per un libero reggimento nazionale facendo considerare che il peso del pubblico contributo deve sopportarsi da ognuno per comune sicurezza e garanzia in proporzione delle proprie forze. - Si asterrà da ogni indizio che possa far supporre il partito, o la scuola, a cui le sue convinzioni si ascrivono e si studierà far credere per il bene dello Stato che il Ministero militante, quand’è militante, non può avere per obiettivo che il benessere della Nazione. - Sorveglierà l’andamento generale delle amministrazioni che gli sono dipendenti con ogni riguardo e deferenza accompagnando gli atti di sua autorità con modi dignitosi e civili. All’uso dei mezzi coercitivi e alle solennità del comando non farà appello che nei casi estremi e propriamente quando ogni possa morale vedesse esaurita e venuta meno quella spontanea e docile ubbidienza ch’Egli avrà saputo instillare negli animi con la confidenza e simpatia di sé stesso, che è il più attraente prestigio che il Capo d’un comune possa rivestire. - Il Nuovo Sindaco non si occuperà soltanto della parte ordinativa del suo mandato, né si serberà sconfinato nel campo della brulla legalità, ma il suo pensiero diffonderassi in tutte le parti morali, civili ed economiche che possano dare per risultante il benessere pubblico e privato, e si proverà cattivarsi con titoli validi e diretti la pubblica considerazione. Per riuscirvi farà in modo che la sua condotta non sia mai sospetta - che le abitudini della sua vita privata sieno regolari, decorose, morali e non perderà mai di vista la contraddizione in cui potrebbe cadere, con disdoro della sua persona, quand’Egli, chiamato dal suo Ministro ad esercitare i poteri, fosse costretto a riprendere, o punire, in altrui atti o vizi di cui egli stesso potesse essere tacciato. - Sarà ne’ i suoi discorsi riservato e prudente senza imporsi restrizioni alla libertà del pensare, e rivolgerà ogni cura all’intento di aprire l’animo suo in maniera che rimanga escluso ogni sospetto di partigianeria; sospetto che suole comunemente trascinare i più a qualificare per tale le schiette e leali manifestazioni dei propri pensamenti. Non farà pompa di filosofiche disquisizioni - schiverà qualsiasi declamazione, e si adopererà in quella vece a proteggere e far rispettare tutte le opinioni, vivendo in uno stato perfettamente neutrale per non creare a sé stesso inimicizie - difficoltà e imbarazzi all’amministrazione del suo comune. Se gare, dissidi e contestazioni insorgessero ad affliggere il suo paese, Egli si presterà a ristabilire la concordia facendosi campione di pace; ricorderà a tutti la storia patria e le civili scissure che tennero per tanti secoli prostrata l’Italia; userà d’ogni suo potere per riconciliare le parti e lo farà in nome di quella fratellanza universale che è la dottrina del Cristo e aspirazione e voto della civiltà progrediente. Al postutto non vorrà mai essere partigiano e molto meno tollerare che un partito amico si serri a lui intorno. - Quando sovrasterà al suo comune un qualche pericolo o troverassi colto da calamità, il Nuovo Sindaco sarà primo ad affrontarla. La pusillanimità non si farà mai superiore alla ferma coscienza del suo dovere. Prima d’ogni altra dovrà concorrervi l’opera del suo braccio e quella della sua mente onde con la prima ingagliardire in altri l’emulazione e con la seconda applicare prontamente quelle provvidenze che stimerà utili e convenienti. - Il Nuovo Sindaco non si preoccuperà dei soli interessi del suo comune, o questi trascurando, vorrà reputarsi funzionario meramente governativo, né si farà pedissequo della burocrazia; non s’accontenterà di attendere al materiale eseguimento di quanto le leggi prescrivono, ma si studierà eziandio di richiamare l’attenzione dei Poteri centrali sulle condizioni generali del suo comune in corrispondenza ai desideri, ai bisogni dell’agricoltura, delle arti, delle industrie e del commercio locale. «Di resecare i rampolli malefici delle liti interminabili; allettare le intelligenze ai campi paterni; attirare i capitali alle industrie del suo paese; promuovere i risparmi con cui si forma il capitale, liberare i suoi concittadini dalla schiavitù dell’usura e le intelligenze elette dal servilismo della penna d’amanuense».(3) 3 Ferraris. - Avanti le magistrature che gli sono superiori conserverà carattere mite, subordinato e nondimeno indipendente e fermo; - sarà arrendevole e condiscendente ma tetragono nelle massime del Diritto e del Dovere. E qui avvertirà di ben distinguere la Magistratura dalla Burocrazia, la quale ultima consiste in un agglomerato di uomini pratici, accentrati in un corpo e destinati a maneggiare e rimaneggiare la materia non sempre a seconda dei principj giuridici e politici; la cui azione è quasi sempre in contrasto con gli sforzi e le tendenze della libertà individuale. Dinnanzi a questa compatta falange di empirici Egli non dovrà mai subordinare la propria azione e tanto meno i privilegi della sua potestà autonoma, altrimenti la vita politica ed economica del suo comune s’arresterebbe alle iniziative del suo incremento e della sua prosperità. - Nelle funzioni di Ufficiale di Polizia giudiziaria il Nuovo Sindaco sarà avveduto, prudente, risolutamente energico e coraggioso. Non perdonerà a fatiche e a sacrifici per combattere i violatori della legge. Perseguiterà il delitto senza posa e quando gli fosse dato scoprire o sorprendere l’Autore in flagrante se ne impadronirà in qualunque modo onde assicurare alla Giustizia le traccie della verità. Chi viola la legge è un nemico della società che tenta di scomporre i suoi ordinamenti ed in cotesto assioma Egli farà consistere la sintesi di tutte le sue risoluzioni. I pravi disegni dei malevoli, le minacce alla di lui persona, i danni recati alla proprietà per isfogo di vendetta o per intimidazione, non varranno ad arrestarlo nell’adempimento dei suoi doveri - dovrà stimarsi soldato alla difesa delle leggi e della società, non si sgomenterà quindi dell’oltraggio e nella applicazione dei mezzi che crederà opportuni si farà coscienziosamente audace per scombujare i rii progetti e le clandestine perpetrazioni contro l’ordine pubblico. Nell’operare non si mostrerà perplesso, non farà questioni di competenza, non si lascierà piegare a’ sensi di compassione verso una rea sventura né da riguardi d’amicizia o di affinità; sarà energico, reciso, non pigro e pauroso. Quando fosse tale non indugierà a deporre il carico, di cui lo volle rivestito la pubblica fiducia, per non essere spettatore della propria esautorazione morale. - Il Nuovo Sindaco terrà ben distinto il principio politico dal religioso, cortese di rapporti col Clero, senza punto restringere la sua libertà di coscienza e il principio della tolleranza, ne intrinsicarsi troppo visibilmente colle cerimonie del culto esterno. Tra sé e i ministri del culto vorrà bene definiti i termini di corrispondenza per evitare ogni collisione tra le due potestà. Il Potere ecclesiastico è per sé stesso espansivo e tende ad uscire facilmente dai confini naturali per entrare nel campo delle temporalità e della politica. Su questo suolo è sempre fomite di conflitti o di agitazioni e tende a prendere una corriva ingerenza nella cosa pubblica. Allora il comune riproduce in sé la storia delle lotte fra il sacerdozio e l’impero nei tempi di mezzo; si confondono gli interessi civili con i religiosi e il Culto è fatto istrumento della politica, dell’ambizione e del privato interesse. La concordia tra cittadini sparisce; Spada e Pastorale combattono a vicenda; sono divise le città, divisi i villaggi, divise le famiglie stesse; l’elemento della società si dissolve e vengono gettati i germi di quelle lotte religiose che sono le più terribili e nocive di quanto la storia rammenti. Si farà propugnatore della tolleranza in materia di opinioni religiose e avverserà il fanatismo comunque s’ammanti. Osserverà attentamente che nelle questioni religiose non s’inoculi il gesuitismo, il quale particolarmente nelle campagne, tende ad infiltrarsi nelle vene del popolo, a produrre uno snervamento generale a paralizzare ogni fibra, ed atrofizzarne ogni generosa volontà. Avrà presenti gli sforzi fatti ai nostri tempi per difendere la civilizzazione contro questo flagello: in Svizzera l’espulsione dei gesuiti e delle Congregazioni affini; in Prussia il diritto di espellerli unitamente a tutte le affigliazioni attaccate al loro ordine; in Austria l’abolizione del Concordato; in Olanda la separazione della Chiesa e dell’insegnamento; in Irlanda la separazione della Chiesa e dello Stato; in Ispagna la soppressione di tutti gli ordini religiosi; in Italia la secolarizzazione dei beni del Clero e l’abolizione del potere temporale del Papa; negli Stati Uniti, infine, la separazione della Chiesa e dello Stato e la soppressione del bilancio dei culti. Il principio cavouriano «LIBERA CHIESA IN LIBERO STATO» sia la divisa del Nuovo Sindaco, ma intesa però nel senso che la Chiesa non sia già uno Stato nello Stato, sibbene un corpo unicamente morale, con intenti spirituali e soggetto alle leggi comuni. Si conserverà sempre fermo nel proposito di voler evitare nel suo comune scissure religiose e lo farà con mezzi e resistenze morali, avvegnaché l’influenza dei ministri della Religione sia indefinitamente estesa e indiscutibile e potrebbe di leggieri turbare non solo gli interessi spirituali e laicali, ma ancora l’ordine pubblico e sociale del suo comune. Salva sempre ed inattaccabile la libertà individuale nelle opinioni religiose; rispettato il culto esterno nelle sue forme e nelle sue tradizioni; astensioni da interventi officiali in cerimonie chiesastiche, libertà politica, civile, amministrativa, di pensiero e di coscienza, ecco le principali curve che devono restringere e circoscrivere i due poteri. In quanto alla sua personalità, il Nuovo Sindaco userà la maggiore riservatezza nell’esplicare in pubblico giudizi in materia di religione e di culto; farà uso assai prudente della sua parola in cosiffatto argomento, imperocché dovrà ognora rammentarsi che la sua vita privata non può correre disgiunta dalla pubblica, ma che in questa confondesi formando un sol tutto, laonde i di lui pensamenti, la di lui fede, le di lui simpatie e convinzioni istesse non debbono farsi palesi, appunto perché siccome il Sindaco è il principale obbiettivo delle comuni osservazioni, Egli non potrà sortire illeso dai morsi della critica e della censura. Col Clero non si mostrerà ostile, ma quando per ristabilire l’ordine perturbato da’ sacerdotali trasmodamenti, come per esempio dall’uso incontinente nelle sacre concioni, fosse costretto servirsi dei mezzi che la legge ha riposto in sua mano, si guarderà bene di non agire con troppa moderazione e perseguirà con prontezza ed energia qualunque offesa o attentato, anche perché una visibile debolezza nell’operare non venga intesa da parte dei suoi concittadini come un’adesione alle esorbitanze clericali. - Nei comizi elettorali il Nuovo Sindaco sarà seguace del principio d’astensione. Nullameno, dove richiesto, non ricuserà, il suo consiglio ed il suo parere informandoli sempre a’ criteri di un esame spassionato di uomini e cose; ad un giudizio rigoroso sulla filosofia dei tempi e delle idee preponderanti. Si limiterà del resto a sorvegliare l’ordine pubblico, a favorire la massima libertà d’azione legale, a scuotere l’apatia di coloro che si mostrano indifferenti di questo diritto, a stenebrare 1’ignoranza di quelli che tale diritto mercanteggiano, a rimuovere le gelosie e gli odi, a fare in modo. finalmente che le operazioni seguano calme e tranquille. Nemico di quelle agitazioni provocate da partiti, che nelle pieghe del loro vessillo nascondono sempre una nebbia, d’egoismo, d’ambizione e peggio, Egli stimerà dover suo disperderne le fila, tese da compri agitatori. Se officiali o extra officiali istruzioni o sollecitazioni lo esortassero a proteggere nei pronunciamenti dell’urna il partito oscurantista o quello pertinace d’una ribelle minoranza, non seguita dalla pubblica opinione, rifiuterà d’assecondarvi, perocché dovrà reputare sempre empio e antipatriottico tutto quello che cooperasse a rendere immobilizzati il Progresso, la Nazione e i Tempi. Il ritorno al passato è morte - noi dobbiamo allearci con le cose viventi; esse infondono la speranza, dell’ avvenire, la forza del presente e rendono alla patria la giovinezza immortale(4). 4 E. Quinet. - Favorirà lo sviluppo e l’incremento delle industrie e del commercio; caldeggerà sovratutto la pubblica istruzione dappoichè con essa si svolgono più efficacemente i germi della comune prosperità. Non v’ha condizione peggiore per un paese che il trovarsi nella notte dell’intelligenza che è l’ignoranza irrimediabile. - Il Nuovo Sindaco provvederà adunque che le scuole vengano istituite in conformità alle leggi e ai regolamenti che le prescrivono, o non permetterà istituti di privata educazione non riconosciuti, oppure riconosciuti, ma portanti nel loro seno gli elementi della dissoluzione o del cattivo indirizzo. Vigilerà che l’istruzione si mantenga nel suo comune emancipata dagli agenti del clericalismo, nemico delle libertà civili, e che le lettere e la storia particolarmente non vengano per niun modo apprese da uomini ecclesiastici. Il clericalismo è multiforme. Come in Germania anche in Italia evvi il legittimismo clericale, il liberalismo clericale, il militarismo clericale, il repubblicanismo clericale, ed è pur forza confessarlo la scienza stessa ricoperta non infrequente da questo nero indumento - tutte emanazioni d’uno spirito retrivista che tende a collocare il Sacerdote in luogo del Dio, il falso e l’apparente in luogo della verità, la finzione in luogo dell’ uomo, il militarismo in luogo dell’ eroismo. - Coopererà perché la viabilità del suo comune si mantenga sempre in buon assetto; perché sia osservata la politezza delle abitazioni, riedificate e sgombrate quelle rese malsane dalla indecenza e dalla mancanza di arieggiamento. - Si farà iniziatore nel proprio comune delle istituzioni di mutuo soccorso, di risparmio e di previdenza, mezzi possenti che influiscono beneficamente sulla condizione delle classi povere; favorirà la fondazione di biblioteche popolari, permanenti e circolanti e sopravveglierà che il teatro sia scuola continua di miglioramento morale e di educazione. - Nell’interno del suo ufficio il Nuovo Sindaco mostrerà di tenere in buona considerazione i propri impiegati e quando questa considerazione non potesse esistere, ricorrerà a’ radicali provvedimenti, ma con ogni riguardo alle convenienze personali e sociali. Con essi loro avrà le più delicate riserve, finché non vengano credute persone addette ai di lui privati servigi. Dovrà convincersi che Senza la loro morale e materiale coadjuvazione, il valore della sua opera ridurebbesi a ben poca cosa e che il potere rivestito di smodata severità non è mai il mezzo più acconcio per cattivarsi il loro affetto. È un fatto costante che la buona opinione e l’attaccamento degli impiegati sono per il Sindaco un valido sostegno, tanto più che le sue funzioni lo portano quasi sempre ad un perenne contatto con essi e ad essere esposto a far palesi con le proprie virtù anche le proprie debolezze. E tra gli impiegati il Nuovo Sindaco cercherà di poter avere una particolare deferenza per il suo segretario in cui riporrà ogni riposto pensiero. Lo farà compartecipe d’ogni divisamento e lo terrà o come consigliere delle sue determinazioni, o come un appoggio nella attivazione de’ suoi progetti, o come sostenitore delle sue iniziative. È sempre a deplorarsi che un Sindaco si mantenga inaccessibile ad ogni sentimento di convenienza, ingiusto, arbitrario, intollerante, capriccioso. La corrispondenza troppo discordante tra essi crea ineluttabilmente per il Sindaco una situazione incerta, penosa e sempre sfavorevole di fronte a’ suoi concittadini; dappoiché Egli trovisi ben presto nella spiacevole contingenza di dover eccitare le suscettività dei partiti col rassegnare le dimissioni del suo ufficio o coll’adottare misure avversive verso il proprio segretario. - Con la Giunta municipale di cui è preside sarà sempre geloso della competenza degli affari. Qual capo dell’amministrazione comunale non si arro gherà diritti di priorità, fermo il concetto che ogni opinione devesi fondere nel crogiuolo della collettività per produrre un giudizio o una deliberazione impersonale; quindi nessuna preponderanza sopra i membri della Giunta, e nello sorvegliare il disimpegno delle materie ad essi affidate, non darà mai a tale sorveglianza il colore di una superiorità burocratica o di controllo - che se talvolta le di lui vedute sembrassero più conformi all’interesse della pubblica cosa, Egli cercherà sempre, per il buon andamento amministrativo, ch’esse vengano adottate per convincimento di ognuno e come defluite dallo studio e dalla meditazione comune. - Nelle gravi circostanze nelle quali il pubblico interesse morale, civile ed economico si trovasse per avventura compromesso vorrà associare a sé ed alla Giunta i lumi di altri concittadini cui il capriccio elettorale tiene momentaneamente lontani dal far parte della rappresentanze del comune, onde con la loro scienza contribuiscono a rischiarare l’orizzonte degli affari. Ciò varrà anche a porre al riparo dalle censure il di lui operato ed accrescergli la pubblica fiducia. - Nel Consiglio generale terrà la presidenza sempre intenta a far osservare le regole parlamentari, gli usi e i costumi civili e non a prediligere od appoggiare una parte delle discussioni. Attenderà a prevenire il pericolo che la vivacità del dire trascenda ad espressioni di offesa; a proteggere la libertà delle opinioni e a sorvegliare attentamente che non fuorviino dal loro circolo logico dietro la speciosità delle incidenze. - Ponendo fine a questi profili aggiungeremmo che quando si pensa al poco splendore che lasciano coteste funzioni di Sindaco, d’altronde così onorabili; al tempo prezioso ch’esse assorbono; alla dipendenza che richiedono; al pericolo personale cui talvolta sospingono, perfino al sacrificio della vita, si stupisce di trovare un cittadino coraggioso sempre disposto ad accettare gratuitamente questa penosa missione. Se non che una tale abnegazione è soventi volte più che del patriottismo figlia dell’amor proprio e dell’irresistibile piacere della supremazia. La sciarpa di Sindaco, è uopo asserirlo, viene desiderata da ognuno, perfino da coloro i quali si mostrano in apparenza più ripugnanti a recingerla e più incapaci. Ma devesi in pari tempo pure affermare che si rendono talvolta necessari lunghi sforzi a decidere un felice proprietario ad abbandonare la sua calma e le sue private delizie per gettarsi in questo cammino di lotte, di dispute e di perigli. Noi vorremmo all’incontro che ognuno sapesse com- prendere che a questo così difficile e delicato ufficio non dovrebbesi accedere che quando si sente di avere l’animo rinvigorito da una forte e sicura coscienza del dovere; inspirato dal vero ed unico bene della patria e della società; spoglio da quelle passioni che fanno inerte e rovello lo spirito e rendono infeconde le nobili iniziative, le utili imprese. Ottobre 1876. J. CIMA. Centro Documentazione e Studi Comuni Italiani ANCI-IFEL Via di Campo Marzio, 24 00186 Roma centrodocumentazionecomuni.it