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Il ruolo del distretto nel rapporto fra piccole imprese e canali evoluti COSETTA PEPE∗ Abstract I distretti italiani e le piccole imprese che caratterizzano il loro tessuto industriale sono fortemente dipendenti dall’export e devono quindi saper intrattenere buone relazioni verso il mercato, in particolare nei confronti dei grandi gruppi della distribuzione moderna, la cui presenza caratterizza ormai molti canali di distribuzione - soprattutto a livello internazionale e per molti dei settori che sono tipici delle realtà distrettuali. Tali soggetti sono spesso in grado di gestire e controllare l’intera filiera e possono rappresentare un problema ma anche una opportunità per l’internazionalizzazione delle piccole imprese e dei distretti di appartenenza. L’analisi è incentrata sul rapporto fra fornitori minori e grandi clienti e sul ruolo del distretto nel facilitarli, nonché i rischi che proprio in virtù di tale legame si possono presentare per la tenuta del distretto in questo delicato momento di transizione. Keywords: distretti industriali, piccole imprese, grandi distributori, canali internazionali di esportazione, piccolo fornitore, grande cliente Italian industrial districts, characterized by a high number of small firms, are heavily dependent upon export. As a result, they need to establish good market relations, in particular with big retailers present in many retail channels at an international level as well as in many typical sectors of the industrial districts. Big retailers, who are able to manage and control the entire cycle of production and distribution, may represent not only a problem but also an opportunity for the internationalization of small firms and of the industrial districts to which these latter belong. The paper focuses on the advantages and pitfalls of supplying big retailers, especially if small firms are involved in the process, and analyses the role of the district dimension in facilitating this kind of relations. All present transformations in the district system relations, both commercial and productive, are to be checked, in order to foresee and, eventually, to control future changes and to manage the inherent risks for the district stability. Keywords: industrial districts, small firms, big retailers, export international channels, small supplier, big client ∗ Ordinario di Economia e Tecnica dell’internazionalizzazione delle Imprese – Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” e-mail: [email protected] sinergie n. 69/06 116 IL DISTRETTO NEL RAPPORTO FRA PICCOLE IMPRESE E CANALI EVOLUTI 1. L’internazionalizzazione dei distretti: i vari aspetti dell’analisi Affrontare il tema dell’internazionalizzazione dei distretti comporta una doppia chiave di analisi che riguarda i soggetti studiati e i fenomeni che a questi fanno riferimento. Relativamente ai soggetti dobbiamo considerare sia le singole imprese e i loro comportamenti nei confronti di fornitori, partner e clienti nazionali ed esteri, sia l’aggregato distrettuale nel suo complesso. I fenomeni da osservare sono invece collocabili su due fronti: quello relativo ai processi di produzione nelle imprese e nel distretto - con relative dinamiche legate all’innovazione, al decentramento produttivo, all’acquisizione e trasferimento di conoscenze - e quello relativo alle vendite e alla distribuzione dei prodotti, con l’individuazione dei mercati di sbocco, la ricerca di contatti e di visibilità a livello internazionale, e le varie attività di marketing delle imprese e per le imprese (Brown, Bell, 2001; ICE, 2003; Rullani, 1999 e 2002; Schiattarella, 1999). L’urgenza di approfondire e collegare questi vari fronti dell’analisi è giustificata dalle trasformazioni che si stanno verificando nelle modalità dello sviluppo interno ai distretti, così come nelle relazioni esterne, con reciproca e decisiva influenza. Il cambiamento interessa un po’ tutte le aree, anche se - al di là degli aspetti che le accomunano - ci sono delle specificità. Contano le caratteristiche dei processi produttivi e degli ambienti di riferimento; conta la struttura dell’offerta e della domanda (e cioè il numero di potenziali fornitori e acquirenti che si confrontano in un dato momento e le relative più o meno ampie possibilità di scelta dell’interlocutore da parte di chi compra e chi vende); conta il grado di internazionalizzazione degli acquisti e delle vendite e la differenziazione dei mercati, con il conseguente grado di adattamento richiesto ai prodotti o ai mix di prodotti e servizi richiesti. Le considerazioni che seguono sono prevalentemente dedicate ai rapporti delle imprese e dei distretti con il mercato intermedio e con i mercati finali. Generalmente tali rapporti vengono vissuti come relazioni “esterne” al sistema distrettuale, a fronte dei legami “interni” considerati il più importante se non il solo presupposto delle economie distrettuali. Da questo tipo di lettura deriva, spesso, una sottovalutazione di altri aspetti, come quelli riferiti al ruolo di attori che pur non appartenendo al distretto possono, tuttavia, avere un’importanza rilevante in virtù del loro forte potere contrattuale e di una capacità di governo della filiera che si dimostra in grado di condizionare le imprese fornitrici e i loro distretti di appartenenza, sia nella definizione di processi e prodotti, che nelle modalità di espansione sui mercati internazionali. Questi soggetti sono soprattutto rappresentati da grandi gruppi della distribuzione moderna o grandi centrali di acquisto che associano catene più o meno ampie di punti vendita indipendenti. Si tratta, prevalentemente, di operatori commerciali collocati nella fase del dettaglio - anche se non mancano quelli di livello intermedio come importatori e grossisti - e cioè di operatori a diretto contatto con i consumatori finali, in grado di interpretare i loro bisogni e capaci di condizionarli con strategie di largo respiro, anche internazionale, e appropriati strumenti di retail marketing. COSETTA PEPE 117 Nello studio dei processi di internazionalizzazione delle imprese, la presenza di grandi clienti merita di essere analizzata - facendo attenzione alle ripercussioni che ne derivano a livello distrettuale - parallelamente allo studio dei processi di internazionalizzazione che si verificano a monte, con la delocalizzazione della produzione e il trasferimento di know how tecnologico e gestionale verso nuove aree distrettuali. E’ noto che l’internazionalizzazione a monte dei distretti crea situazioni che hanno valenze e potenzialità differenti, a seconda che le attività decentrate si configurino come appendici esterne - che aprono le maglie del tessuto distrettuale verso economie di un sistema più ampio - o siano, invece, presupposto per la costituzione di un nuovo aggregato autonomo e, a volte, anche in grado di fare concorrenza a quello preesistente. I due momenti dell’internazionalizzazione, a monte e a valle, si rivelano fortemente collegati. Nella maggioranza dei casi, a fronte di una delocalizzazione della produzione e del conseguente svuotamento del distretto originario di fasi e processi di lavorazione, si reagisce cercando di rafforzare l’identità del distretto proprio sul fronte mercato, eventualmente riposizionando la produzione distrettuale su prodotti di fascia superiore e maggiore specializzazione; il cambiamento rende necessario potenziare la funzione di marketing (nelle singole imprese e nell’aggregato distrettuale), sviluppando nuovi prodotti e nuovi processi, ricomponendo assortimenti, attivando strumenti per supportare le imprese nelle loro azioni sui mercati esteri. A livello di distretto, più che da parte delle singole imprese, si possono affrontare indagini di mercato, attività promozionali, creazioni di marchi, procedure di certificazione di prodotti, servizi alle operazioni con l’estero. Di qui l’importanza di saldare i due momenti: da un lato il distretto, con le sue economie interne ed esterne a livello produttivo, dall’altro le relazioni con i mercati di sbocco, con politiche di maggiore o minore integrazione a valle, ma anche attivando rapporti con canali evoluti, caratterizzati dalla presenza dei gruppi della distribuzione commerciale. La presenza di grandi clienti è ormai preponderante nel settore alimentare e dei beni di largo consumo, ma è forte anche in molti altri settori, peraltro molto importanti nel panorama delle specializzazioni dei distretti italiani, e in particolare per i settori dell’abbigliamento, calzature, mobili, gioielleria, articoli sportivi, oggetti da arredo e da regalo (Micelli, Chiarvesio, Di Maria, 2003). I grandi distributori sono clienti del mercato intermedio, ma sono anche preziosi partner per accedere ai mercati finali che sono, innanzitutto, mercati avanzati, caratterizzati dalle forme della distribuzione moderna, ma ormai anche mercati in via di sviluppo (vedi per esempio l’Est europeo, alcuni paesi dell’America Latina e in prospettiva la stessa Cina), dove gruppi di dimensioni internazionali stanno sviluppando le loro reti di vendita. L’internazionalizzazione delle imprese e dei distretti deve quindi confrontarsi con i processi di internazionalizzazione della grande distribuzione organizzata, attivi sui due fronti: quello degli acquisti, con le centrali che comprano a livello internazionale, e quello delle vendite, con l’espansione internazionale delle reti di distribuzione. 118 IL DISTRETTO NEL RAPPORTO FRA PICCOLE IMPRESE E CANALI EVOLUTI Si crea così una doppia occasione per le imprese: soddisfare la domanda a livello internazionale espressa dalla grandi centrali di acquisto che comprano all’estero per la propria rete nazionale e internazionale; - provvedere alla fornitura di prodotti locali, là dove si sviluppa la rete internazionale dei punti vendita e si attua una politica di acquisti parzialmente decentrati, per soddisfare particolari esigenze di consumo e ottimizzare i costi logistici. Accanto a un’esperienza direttamente internazionale, com’è la vendita a una centrale di acquisto straniera, le imprese si trovano così ad avere l’opportunità di rifornire localmente la rete di vendita di un gruppo internazionale che si impianta nel loro territorio. Questo doppio fronte è destinato a creare domanda anche per le imprese minori, soprattutto per soddisfare il sempre maggiore bisogno di differenziare l’offerta dei vari format distributivi con prodotti specializzati riferiti a nicchie transnazionali o per adattare gli assortimenti ai gusti e alle consuetudini locali. Il fenomeno delle piccole e medie imprese che trovano spazio nelle forniture alla grande distribuzione estera sta assumendo sempre maggiore rilevanza; altrettanto significativa sembra essere quella di imprese minori che vendono a una grande rete commerciale internazionale, ramificata sul loro territorio. Possiamo considerarle entrambe delle esperienze internazionali, dal momento che quello che maggiormente conta, nelle performance dell’impresa, è la capacità di servire un cliente internazionale, anche se si tratta di forniture per il mercato locale. In entrambi i casi, si apre la possibilità di accesso a un ampio circuito, dove è il rapporto con il cliente ancor prima dello specifico prodotto - ad avere un’importanza decisiva. Si evidenzia così quella criticità dell’aspetto relazionale che già da tempo rappresenta uno dei temi privilegiati degli studi di marketing, relativamente ai rapporti di canale, e non riguarda solo quelli caratterizzati dalla presenza di “grandi compratori”, ma si estende a una concezione che interessa tutti gli anelli della filiera (Kumar, 1996; Lepers, 2000; Musso, 2000). Questo contributo ha appunto lo scopo di inserire nel dibattito sull’internazionalizzazione dei distretti il problema delle relazioni fornitore-cliente, focalizzandosi in particolare sul rapporto fra piccolo fornitore e grande cliente. Il tessuto di piccole imprese che caratterizza i distretti e la sempre maggiore presenza delle moderne forme della distribuzione nei settori delle produzioni distrettuali giustificano l’interesse crescente per questo tipo di relazioni. - 2. Le sfide della distribuzione: il profilo degli interlocutori e la qualità delle relazioni La capacità delle forme della distribuzione moderna di condizionare le imprese nelle relazioni con i clienti finali rappresenta una delle sfide che vengono dai mercati internazionali. Si evolve il profilo degli interlocutori e di conseguenza cambia la qualità delle relazioni e quel che ne costituisce l’oggetto, in termini di prodotti e soprattutto di servizi scambiati. COSETTA PEPE 119 I fenomeni di immediata evidenza che segnano l’evoluzione del settore commerciale - determinando una sempre maggiore complessità nei rapporti di canale - sono l’aumento delle dimensioni delle imprese al dettaglio (generaliste o specializzate) e quello dei punti vendita controllati, sia per numero che per superficie unitaria. Ne risulta una struttura dualista, caratterizzata da un comparto di soggetti sempre più forti e internazionalizzati, a fronte di un tessuto di piccole imprese tradizionali, soggette a un severo processo di selezione, in rapida evoluzione verso una maggiore specializzazione e sempre più inclini ad associarsi in reti di affiliati o a moltiplicarsi in catene succursaliste. Muta la struttura dei canali, che tende ad accorciarsi soprattutto in concomitanza delle aumentate dimensioni dei soggetti che la compongono; la grande impresa industriale cerca di avere canali più diretti, a volte fino al punto vendita finale, mentre la grande impresa commerciale rafforza il suo controllo sui fornitori, eventualmente integrandosi a monte o eliminando passaggi intermedi. Il fenomeno è frutto di un’evoluzione iniziata da decenni, ma è innegabile l’accelerazione che ha registrato in anni recenti, come causa ed effetto dei cambiamenti nelle strategie di produttori e distributori. L’aumento di “massa critica” si accompagna a una maggiore capacità di impatto sul mercato e verso i fornitori, cui fa gioco una minore articolazione e una più intensa cooperazione fra i soggetti del canale (Musso, Pepe, 2003). Le filiere dominate da un grande distributore si presentano come “reti centrate”, in grado di dare una gestione strategica a tutta la catena del valore. Aumentano gli strumenti delle grandi insegne per mettere a punto efficaci azioni di retailing marketing; si arricchiscono i mix di prodotti e di servizi che caratterizzano i punti vendita della distribuzione moderna; evolve la politica dei prodotti a marchio commerciale, sempre più congeniali a dare forte identità alle formule adottate. Cambiano, di conseguenza, le politiche di acquisto e i criteri di selezione dei fornitori, che devono competere confrontandosi con i concorrenti non solo sui prodotti offerti, ma anche sulla capacità relazionale e sui servizi richiesti dai “grandi clienti”, soprattutto per i prodotti a marchio commerciale, i cui volumi di vendita sono in crescita in tutti i paesi europei. La maggiore diffusione si registra in Gran Bretagna con un 40%, segue la Germania con 31%, la Francia con 24%, mentre in Italia si è arrivati al 13%. Le forniture di questi prodotti richiedono un rapporto particolare, caratterizzato da una forte personalizzazione della commessa sulle specifiche richieste del cliente. Più in generale, le relazioni delle imprese produttrici con questi interlocutori sono più complesse e per certi versi contraddittorie: a fronte dell’aspetto mercantile, basato sulla trattativa del prezzo, e quindi tendenzialmente conflittuale, si possono instaurare importanti aree di collaborazione fra cliente e fornitore, per dare efficienza ed efficacia a tutta la filiera. La natura composita della relazione fra piccola impresa e un grande cliente si arricchisce ulteriormente per il fatto che è spesso inserita in un contesto complesso: l’impresa fornitrice può essere legata ad altre imprese produttrici (in consorzi, distretti, reti internazionalizzate) - che contribuiscono a definire quantitativamente e qualitativamente la sua offerta - e servire allo stesso tempo un canale fortemente 120 IL DISTRETTO NEL RAPPORTO FRA PICCOLE IMPRESE E CANALI EVOLUTI integrato e governato da un grande cliente. L’impresa distrettuale ha così una doppia appartenenza, trovandosi inserita in due circuiti che possono essere complementari ma anche conflittuali. Al pari di un sistema di produzione che collega più imprese, il canale distributivo è caratterizzato dalla divisione dei ruoli fra i vari soggetti, e da cooperazione e gerarchia nelle relazioni; al suo interno si possono condividere e trasferire conoscenze, innescando processi di apprendimento, favorendo forme di leadership e sinergie che permettono comuni azioni sul mercato finale e sistemi logistici integrati. La presenza, o l’assenza, di profilo strategico nelle singole imprese e le loro capacità di riuscita non sono più solo il frutto di un comportamento verso il “libero mercato”, ma sono legate a quelle dei soggetti che insieme curano l’efficacia competitiva di tutta la filiera, e cioè di quel “sistema di relazioni” che innesta le sue radici nel tessuto industriale locale per poi diramarsi fino ai mercati di destinazione. La necessità di dare respiro strategico a tutta la filiera conduce a una reciproca forte selezione tra fornitori e clienti e aumenta i processi di “fidelizzazione” (Johanson, Vahlne, 2003; Frazier, 1999). Il fenomeno diffonde nuova conoscenza e nuova cultura in tutto l’ambiente di riferimento, anche perché non è esclusivo appannaggio dei circuiti dominati da imprese di grandi dimensioni, ma vale anche per filiere dove operano dettaglianti minori, che recuperano economia di scala associandosi in una centrale di acquisto ed eventualmente rafforzano la loro capacità di impatto sul mercato grazie alla diffusione di una comune formula commerciale. 3. Il peso dei grandi distributori e delle centrali associate in Europa e nel mondo: alcuni dati1 L’importanza del fenomeno che stiamo analizzando è confortata dai dati riguardanti il peso della grande distribuzione in molti paesi, non solo avanzati ma anche in via di sviluppo, dove si sta rapidamente imponendo la presenza delle grandi insegne. Al peso dei grandi gruppi della distribuzione generalista (prodotti alimentari e di largo consumo) si aggiunge quello delle centrali di acquisto di catene di negozi specializzati, affiliati in franchising o associati. I dati riportati non sono riferiti ad una unica fonte e quindi non sono direttamente confrontabili, la loro significatività è però indubbia: i pesi evidenziati dalle varie rilevazioni sono tali da dare una chiara definizione del fenomeno, che registra un peso nettamente prevalente e crescente delle forme della grande distribuzione in molti settori, con sofferenze sempre più accentuate per il dettaglio tradizionale, i cui punti vendita diminuiscono un po’ ovunque. In Francia la grande distribuzione, nata alla fine degli anni ’50, ha acquisito un peso notevole, dapprima nel mercato dei prodotti alimentari e di largo consumo 1 I dati riportati nel paragrafo sono tratti da rapporti ICE che analizzano la grande distribuzione in vari paesi. COSETTA PEPE 121 con i gruppi Carrefour, Casino, Auchan, Leclerc, ecc. - e successivamente in un numero crescente di settori (abbigliamento, articoli sportivi, bricolage, arredamento, giocattoli, prodotti di igiene e bellezza, cultura e tempo libero). Complessivamente le forme della distribuzione moderna (alimentare e non) rappresentano il 60% circa del fatturato totale dell’intero commercio al dettaglio. Nel 2004, le grandi superfici di vendita generaliste (supermercati, ipermercati, discount) coprono quasi il 68,3% della domanda di prodotti alimentari e il 18,7% di quella di prodotti non alimentari di largo consumo. Anche la Gran Bretagna ha solide tradizioni nel settore della grande distribuzione e mostra una struttura caratterizzata da una forte prevalenza di grandi imprese, sia per quanto riguarda il settore alimentare che per quello non alimentare. Attualmente, per contrastare la concorrenza e i vincoli legislativi alla costruzione di nuove grandi superfici di vendita, si stanno sviluppando i canali del commercio elettronico e quello dei convenience store (di superficie ridotta, con assortimenti ampi e poco profondi e buoni servizi alla clientela, in particolare l’orario di apertura). La gran parte degli acquisti viene comunque fatta dalle strutture centralizzate che fanno capo ai maggiori gruppi (Sainsbury, Tesco, ASDA acquistata dal colosso statunitense Wal-Mart, Morrison, ecc., per la distribuzione a base alimentare; Marks & Spencer, Boots, F.W. Woolworth, Currys e altri, per vari settori non alimentari). Il marchio commerciale è molto diffuso e viene usato per differenziare l’offerta anche su più livelli qualitativi di prodotto. Complessivamente si stima che più di tre quarti del commercio al dettaglio britannico passi attraverso la grande distribuzione organizzata. In Germania il peso della GDO è elevato e raggiunge nel 2001 il 51% di tutto il commercio al dettaglio, con un processo di concentrazione che porta le vendite food delle prime 5 aziende (Edeka/AVA, Rewe, Colonia/Dortmund, Aldi e Metro) a coprire il 53% del mercato controllato dalla grande distribuzione, mentre quattro gruppi (Metro, Rewe, Karstad e Tengelman) totalizzano il 62% del non food. Guardando al settore del tessile-abbigliamento vediamo che il 57% del fatturato totale è stato realizzato da 78 delle 47.000 imprese esistenti. Parallelamente, nel settore delle calzature si assiste a una notevole riduzione dei punti vendita tradizionali: nel 2002, le 32 maggiori imprese del settore hanno inciso per il 45,7% sul fatturato settoriale; complessivamente, si stima che il 60% del commercio calzaturiero al dettaglio sia organizzato in una delle 5 centrali di acquisto presenti in Germania. Nel “fai-da-te” - un settore che tira malgrado la crisi - le 30 maggiori catene di “Baumarkte” (grandi superfici specializzate) contano nel 2002 ben 3.367 filiali, cui si aggiungono 39 punti vendita di tre grandi cooperative di acquisto. Non dissimile la situazione in Austria dove importanti processi di concentrazione hanno portato le quote delle grandi catene d’acquisto a coprire nel 2003, per il settore alimentare, la quasi totalità del mercato: il 98% delle vendite vanno, in ordine di importanza, a REWE Austria, SPAR AG, gruppo ZEV Markant, Adeg e al discounter Zielpunkt. Nei piccoli paesi europei il peso della grande distribuzione e della distribuzione organizzata è ugualmente rilevante. In Olanda le prime 7 catene controllano il 73,2% 122 IL DISTRETTO NEL RAPPORTO FRA PICCOLE IMPRESE E CANALI EVOLUTI della distribuzione di prodotti alimentari. Forte anche la tendenza all’associazione in gruppi di acquisto e in franchising (i punti vendita associati e affiliati costituiscono il 44% del totale del settore food e non food). Anche in Belgio è forte la concentrazione nel settore della distribuzione alimentare: i gruppi della grande distribuzione rappresentano, con solo il 5% dei punti vendita, il 53% delle vendite, mentre i piccoli negozi indipendenti scendono sotto la soglia dell’8% delle vendite totali. Non differentemente, e forse in modo anche più accentuato, i paesi del Nord Europa affidano la distribuzione dei loro prodotti a catene anche molto diversificate, che aprono i loro interessi a vaste gamme di prodotti e servizi. La principale azienda della grande distribuzione operante in Finlandia, Kesko Oyj, per esempio, è organizzata in sei divisioni (alimentare, ferramenta, macchine e prodotti per l’agricoltura, sistema moda e sistema casa, autoveicoli e ricambi, elettronica); centralmente, la holding di Kesko cura attività immobiliari, logistiche, informatiche, finanziarie e di gestione amministrativa. Complessivamente, la distribuzione finlandese è in mano a pochi gruppi e nel settore dei prodotti agro-alimentari si calcola che solo il 6% dei punti vendita si rifornisca al di fuori delle grandi centrali di acquisto. In Danimarca, le grandi catene coprono una quota determinante del mercato dei beni alimentari e di largo consumo: le 5 maggiori organizzazioni di vendita detengono infatti una quota dell’85,6% del mercato e la sola COOP Danmark ne controlla il 43% con un assortimento di prodotti che per il 30% sono a marchio commerciale. Si registra inoltre un continuo sviluppo dei discount, in particolare tramite il gruppo tedesco Aldi che fa ugualmente largo uso delle marche private. Anche paesi che, come l’Italia, hanno innovato le loro strutture distributive con ritardo rispetto al resto d’Europa stanno rapidamente recuperando il divario. La Spagna, per esempio, vede progressivamente ridursi il numero dei punti vendita tradizionali, anche nei settori non alimentari dove formule come le catene di negozi specializzati (crescita del 16% dal 2000 al 2002 e una copertura di circa il 20% del mercato dell’abbigliamento) o i grandi magazzini hanno guadagnato un maggior peso negli ultimi anni. Nel settore della grande distribuzione con base alimentare vi è stato un forte sviluppo negli anni ’90 che continua a ritmi più contenuti a partire dal 2000. Forte la presenza straniera, soprattutto negli ipermercati (francese) e nei discount (tedesca). Anche qui viene registrata la tendenza a una sempre maggiore ampiezza dell’assortimento non food, che necessariamente è riferita a prodotti di fascia medio-bassa. Per effetto dell’espansione internazionale dei gruppi europei anche nell’Europa dell’Est le strutture della distribuzione commerciale stanno rapidamente cambiando. In Polonia, per esempio, i gruppi esteri generalisti (quali Tesco, Carrefour, Metro, Ahold, e altri), ma anche specializzati come Ikea e Castorama, hanno impiantato nuovi punti vendita o comprato catene locali. Spesso la loro presenza è all’interno di un centro commerciale - una formula che è presente un po’ su tutto il territorio polacco; sono inoltre in forte sviluppo le catene di punti vendita in franchising, anche per iniziativa di operatori locali. COSETTA PEPE 123 Il peso del fenomeno della grande distribuzione nel quadro europeo, riflette la situazione anche di altri paesi sviluppati quali gli Stati Uniti, il Canada, il Giappone che sono tradizionalmente destinatari delle nostre esportazioni e sempre molto interessanti, perché caratterizzati da strutture commerciali ancora più evolute e un panorama articolato e variato, per le formule adottate e per la ricchezza e la profondità degli assortimenti disponibili nei punti vendita. La stessa Cina si sta evolvendo in questo senso. Forte di una tradizione millenaria che l’ha vista protagonista dei commerci in tutta l’area dell’estremo oriente, sembra oggi avviarsi rapidamente a innovare e sviluppare il proprio apparato commerciale, anche con la partecipazione di imprese estere, che lavorando direttamente o in cooperazione con soggetti cinesi trasferiscono il loro know-how e alcune linee di loro prodotti. I grandi gruppi internazionali come Carrefour, Metro e Auchan sono entrati in Cina verso la metà degli anni novanta formando delle joint venture con partner locali. Tra i più importanti gruppi a capitale interamente cinese abbiamo, invece, il gruppo Hua Lian, fondato nel 1918 come azienda pubblica della municipalità di Shanghai e privatizzato nel 1992. Il suo più diretto concorrente è rappresentato da Shanghai Lianhua Supermarket Company, presente con 1225 punti vendita, e anche con una joint venture costituita con Carrefour. Le forme più diffuse di grande distribuzione sono i supermercati, i convenience store e gli ipermercati; a questi si aggiunge lo sviluppo di una forma di “centri distributivi permanenti”, specializzati in alcuni settori specifici che operano con prodotti locali ma anche con marchi esteri di media notorietà, soprattutto nel settore dell’abbigliamento e accessori, elettronica di largo consumo, vini e alcolici, ecc.: realtà privatistiche locali di grande dettaglio (e a volte anche ingrosso) che vanno assumendo importanza per la distribuzione dei prodotti importanti. 4. Le relazioni fra piccoli fornitori e grandi clienti La presenza sempre più significativa della grande distribuzione nelle aree più avanzate e dinamiche del mondo determina reazioni diverse a seconda del profilo delle imprese che si trovano a dover affrontare il problema. Quelle che si caratterizzano per forti elementi distintivi e marchio riconosciuto tendono a integrarsi a valle, con punti vendita di proprietà o reti in affiliazione, anche se le loro dimensioni sono contenute (Bigarelli 2002, Messeghen 2003); in tal modo riescono ad allargare e consolidare la loro presenza sul mercato e, non di rado, a garantirne lo sviluppo internazionale. Questo avviene soprattutto nei settori dei beni di consumo durevole, caratterizzati da un certo livello qualitativo e da un consistente investimento in immagine. In alcuni casi, quando la formula ha successo, si raggiungono dimensioni notevoli nella rete di vendita e nella dimensione di impresa. I settori maggiormente interessati sono quelli dell’abbigliamento, mobili, oggetti da regalo, prodotti per il corpo, articoli sportivi, elettrodomestici, ecc.. Tuttavia, anche nel settore dei beni durevoli, soprattutto per quelli di fascia media e medio-bassa, abbiamo già da tempo formule sperimentate di grandi distributori che 124 IL DISTRETTO NEL RAPPORTO FRA PICCOLE IMPRESE E CANALI EVOLUTI vendono attraverso superfici specializzate (i cosiddetti category killer), con assortimenti vasti e profondi, caratterizzati da una forte presenza di prodotti a marchio proprio e arricchiti da prodotti a marchio industriale di maggiore o minore rilevanza. Parallelamente, le grandi superfici generaliste, visto il limitato sviluppo dei consumi alimentari, stanno potenziando i loro settori non food, con un costante ampliamento degli assortimenti e delle superfici di vendita dedicate. Per i prodotti alimentari e per i prodotti di largo consumo il riferimento alla grande distribuzione generalista è invece prevalente. Data la diffusa presenza delle forme della grande distribuzione generalista e specializzata, non tutte le imprese che puntano a costruirsi un’identità sul mercato finale possono avere percorsi autonomi ed evitare i rapporti con la grande distribuzione. In realtà la situazione è piuttosto articolata e le imprese di piccole e medie dimensioni, che hanno a che fare con le grandi insegne, possono essere di tipo diverso. Molte entrano in contatto con le grandi centrali di acquisto dei gruppi commerciali giocando soprattutto sulla competitività di prezzo con prodotti di fascia bassa (primi prezzi sugli scaffali con marchi anonimi, prodotti per i discount, ecc.). Altre diventano fornitrici di prodotti destinati ai marchi commerciali; per queste forniture, tuttavia, i grandi quantitativi dell’ordine possono essere di ostacolo alle piccole dimensioni di impresa e sono soprattutto le medie imprese ad essere favorite. Alle imprese minori è invece più congeniale la vendita di prodotti specializzati, di qualità media e medio-alta, e cioè prodotti di nicchia che soddisfano le esigenze di maggiore differenziazione nell’assortimento del distributore, o la presenza di prodotti tipici, o di prodotti locali, destinati a essere presenti solo in alcuni punti vendita della rete. Le piccole imprese che riforniscono la grande distribuzione sono, comunque, un numero significativo e probabilmente crescente, soprattutto nei settori dove la domanda dei grandi compratori è in aumento. Le relazioni fra fornitori minori e grandi clienti sono, però, ancora poco indagate. D’altra parte il profilo di queste imprese non è univoco, così come il tipo di relazione che li lega al grande distributore: relazione che può essere più o meno continuativa, più o meno rischiosa, più o meno impegnativa. In particolare, i fornitori che propongono un’offerta essenzialmente di basso prezzo hanno una posizione debole e precaria; mentre quelli che forniscono prodotti in terzismo, anche se con un ruolo subalterno, possono conquistare una relazione più solida e duratura, soprattutto se i prodotti sono di buona qualità o hanno un certo grado di specializzazione. Migliore anche la posizione dei fornitori di prodotti locali, anche se non necessariamente più stabile. Un’impresa che si differenzia solo in termini di prezzi si trova esposta alla concorrenza: e più lo scambio è caratterizzato da un prodotto senza marchio o con marchio anonimo e più la fedeltà del cliente viene compromessa. Nel caso, invece, della fornitura di un prodotto di qualità più elevata, soprattutto se destinato al marchio commerciale - oggi considerato dal grande distributore come leva strategica dal punto di vista dell’immagine e del posizionamento della formula - si può avere COSETTA PEPE 125 tutt’altra configurazione: individuato il fornitore che garantisce qualità e capacità di adattamento alle specifiche richieste, in termini di prodotto e di servizi, la relazione si fidelizza, con beneficio per entrambi i partner. Nella ricerca di una gestione complessiva che tende alla personalizzazione della fornitura e all’uso ottimale delle risorse, la continuità dei rapporti con clienti e fornitori diventa cruciale, per sfruttare al meglio gli investimenti fatti nella relazione e valorizzare le economie di esperienza che da questa scaturiscono. La capacità complessiva di entrare in una relazione evoluta diventa quindi la qualità critica richiesta al fornitore della grande distribuzione. In questa fase, anche se si ritiene che siano ancora preponderanti i rapporti caratterizzati da potere e, a volte, spregiudicatezza da parte del grande cliente, con molte difficoltà e forti dosi di rischio per le piccole imprese, è tuttavia indubbio che il peso assunto dalla grande distribuzione organizzata in molti settori e la necessità di dare ai grandi clienti prodotti personalizzati, accompagnati dal massimo di efficienza nella filiera, rappresenta un problema molto attuale che coinvolge anche molti fornitori minori. L’asimmetria dimensionale, per esempio, gioca a favore del rapporto piccolo fornitore e grande cliente, perché riduce la tensione fra i partner, garantendo la leadership e facilitando il controllo e l’integrazione della filiera da parte del soggetto forte. A questo vantaggio si contrappone la mancata economia di scala, soprattutto nel caso di prodotti di larga fascia e quindi sostanzialmente standardizzati: quando i fornitori sono piccole imprese, gli ordinativi di dimensione elevata devono essere affrontati con commesse frammentate, più o meno disperse a livello territoriale e a costi maggiori. Questa diseconomia viene, però, bilanciata dal risparmio di costi logistici che si ottiene da una produzione decentrata e più vicina ai punti vendita, soprattutto nel caso di reti ampie e internazionalizzate. Inoltre, i grandi distributori devono evitare i rischi di esaurimento delle scorte o di altri eventi che possono compromettere qualitativamente e quantitativamente la fornitura, e quindi cercano di non concentrare eccessivamente gli acquisti, in particolare per i prodotti a marchio proprio, per i quali è più alto il rischio di immagine, essendo questi i prodotti che maggiormente identificano il distributore presso la clientela. Anche le politiche di assortimento sempre più ricche e raffinate - sia per quanto riguarda l’articolazione dei prodotti a marchio, sia per l’esigenza di avere linee di prodotto più profonde o di adattare localmente gli assortimenti - sono fattori che favoriscono la relazione con i fornitori minori. L’attenzione e il sostegno alle piccole imprese locali rappresentano obbiettivi dichiarati da molti gruppi commerciali, che tramite questo atteggiamento rivendicano anche una loro funzione sociale verso i clienti, il loro territorio e l’ambiente culturale. La ricerca di legittimazione e immagine presso la clientela e l’esigenza di incontrare la sensibilità di specifiche fasce di consumatori spingono a dare maggiore varietà all’assortimento con prodotti che giocano su valenze non legate alle loro finalità d’uso o di consumo. Ci riferiamo a una varietà di prodotti spesso forniti da imprese di dimensioni ridotte, nazionali e internazionali, per i quali contano elementi che riguardano le caratteristiche della filiera di produzione e distribuzione. Una tipologia di prodotti di varia natura: 126 IL DISTRETTO NEL RAPPORTO FRA PICCOLE IMPRESE E CANALI EVOLUTI prodotti etici, relativi alle condizioni di lavoro nelle varie fasi della filiera; prodotti ecologici, nel rispetto dell’ambiente con cui sono venuti a contatto durante i processi di produzione e distribuzione; prodotti la cui qualità deriva dall’uso (o il non uso) di determinati componenti (come per i prodotti biologici, OGN free, ecc.); prodotti equo-solidali, che garantiscono una distribuzione più equilibrata del valore nella filiera e proteggono i soggetti più deboli e i paesi più svantaggiati dalle ragioni degli scambi internazionali. I settori interessati sono soprattutto quello alimentare (prodotti freschi e conservati), ma il fenomeno riguarda anche l’abbigliamento, l’artigianato, gli articoli da regalo, i complementi di arredo, i prodotti per la cura della persona, ecc. Per alcuni è implicita la provenienza estera, come per i prodotti solidali, per altri quella nazionale e locale (Pepe, 2005). 5. L’internazionalizzazione dei piccoli fornitori veicolata dai grandi clienti Il coinvolgimento delle piccole imprese da parte dei grandi gruppi della distribuzione mondiale - ma anche delle catene minori che hanno, al pari delle grandi, politiche finalizzate alla valorizzazione della formula commerciale in reti di vendita nazionali e internazionali - rappresenta un’occasione da sfruttare, malgrado le difficoltà (Heide, 1994; Paché 1996). Per il piccolo fornitore il rapporto con un grande distributore può comunque presentare aspetti vantaggiosi e favorire un suo sviluppo a livello internazionale. L’elevata dimensione dell’interlocutore, la sua capacità di rifornirsi e selezionare i fornitori direttamente sui mercati esteri, la molteplicità dei contatti con i mercati finali attraverso articolate reti di vendita, rappresentano per la piccola impresa un modo per eludere il problema di rapportarsi ai mercati contando sulle proprie forze o su quelle di istituzioni presenti nell’ambiente di riferimento, che spesso soffrono della stessa inadeguatezza, soprattutto quando si tratta di operare a livello internazionale; tanto più che oggi, il prodotto esportato ha bisogno di un corredo di servizi e controlli che sono ormai indispensabili per completare e rinforzare l’offerta. Il grande distributore gode di ampie conoscenze relativamente ai mercati e realizza il potenziamento del prodotto garantendogli visibilità nei punti vendita, organizzando procedure di verifica della qualità, curando la comunicazione con il consumatore. Per suo tramite il produttore viene a contatto con il mercato finale, ne percepisce i cambiamenti, riceve suggerimenti per adattare il prodotto, il packaging o gli eventuali servizi accessori. I vantaggi della relazione con il grande distributore possono essere rilevanti proprio perché si tratta di un interlocutore collocato nella fase del dettaglio, ultimo anello della catena a stretto contatto con il cliente finale. Parallelamente, il fatto che la grande distribuzione organizzata sia attiva nella ricerca dei propri fornitori bilancia la debolezza della piccola impresa anche relativamente al mercato intermedio, dove si incontrano i primi clienti: il grande compratore provvede, ai vari aspetti dello scambio, crea il contatto tramite i suoi buyer o i suoi uffici acquisti, organizza la logistica e non di rado provvede a finanziare la COSETTA PEPE 127 commessa. Si assume, di fatto, tutte le funzioni che nei canali tradizionali vengono demandate ai distributori di livello intermedio (esportatori, importatori, grossisti). Al piccolo fornitore è comunque richiesta una collaborazione attiva e “intelligente”, una adeguata solidità finanziaria e gestionale, e una certa propensione all’innovazione. Le competenze relative ai prodotti e ai processi tipiche delle piccole imprese possono bilanciare la cultura prevalentemente orientata al mercato del distributore e suggerire aspetti innovativi da combinare con le conoscenze del cliente, in modo da anticipare la concorrenza. A parità di altre condizioni, il distributore sceglierà i fornitori che sanno far proprie le dinamiche dell’innovazione tecnologica non solo in campo produttivo, ma anche logistico e della comunicazione, per informatizzare la filiera e razionalizzare il circuito, rendendolo efficiente e tempestivo. I piccoli fornitori possono quindi beneficiare della relazione con i grandi distributori nei loro rapporti con i mercati esteri. I contatti avvengono con la sede nazionale del gruppo, il quale poi commercializza il prodotto nella propria rete internazionalizzata. La documentazione relativa ai distributori inglesi e francesi testimonia come molti fornitori locali, prima utilizzati per adattare gli assortimenti dei punti vendita alle consuetudini del territorio circostante, abbiano poi visto valorizzati più diffusamente la tipicità dei loro prodotti nella rete nazionale e in quella internazionale. Ma avviene anche che il supporto all’internazionalizzazione delle piccole imprese nazionali vada al di là della distribuzione nella propria rete di vendita, per diventare una vera e propria azione di promozione sui mercati esteri. Carrefour - secondo gruppo della distribuzione al mondo - organizza missioni all’estero per le PMI francesi e attraverso un proprio organismo, la SAFCA (Structure d’Appui aux Fournisseurs Carrefour), ottiene per loro il sostegno pubblico all’esportazione. Sempre in Francia, il gruppo Auchan promuove l’espansione all’estero delle piccole e medie imprese grazie alla sua presenza in 12 paesi e ai servizi offerti da una società (Internazional Retail and Trade ServicesIRTS) detenuta al 50% con il gruppo Casino; scopo della società è quello di sostenere la ricerca di sbocchi sui mercati esteri per le imprese che ne abbiano le potenzialità, e di assistere allo stesso modo anche i piccoli fornitori esteri (Pepe, 2003). 6. Esigenze di controllo e di “tracciabilità” Il maggiore coinvolgimento verso i clienti e verso l’ambiente, quello di origine dei prodotti e quello di destinazione (interpretati a partire da bisogni anche non di natura economica), apre nuovi spazi, ma contribuisce ad aumentare la complessità delle relazioni con i fornitori e a rendere ancora più attuale la richiesta di controllo e trasparenza lungo tutto il canale. La duplice esigenza di rifornirsi da piccoli produttori e di controllare la filiera, soprattutto nel caso di prodotti legati a determinati valori (biologici, etici, solidali, etnici), pone non pochi problemi ai grandi gruppi della distribuzione mondiale, 128 IL DISTRETTO NEL RAPPORTO FRA PICCOLE IMPRESE E CANALI EVOLUTI soprattutto in una fase che vede crescere la sensibilità dei consumatori e il potere delle loro associazioni, aggravando il rischio di una perdita di immagine nel caso si verificasse qualche incidente di percorso. Allo scopo, i grandi distributori si stanno associando, anche a livello europeo, per fare indagini e scambiarsi informazioni sui fornitori esteri - soprattutto se localizzati in paesi in via di sviluppo e in zone remote - mettendo a punto procedure che garantiscono la rispondenza dei prodotti alle specifiche richieste. D’altra parte, per i piccoli fornitori, la richiesta di adattamenti di processo e prodotto può essere anche molto impegnativa; così come l’adeguamento a sistemi di controllo e procedure di certificazione che spesso si traducono nell’applicazione di un “sistema qualità”, con l’individuazione di specifici standard e precise responsabilità per tutti gli attori della filiera. Si parla, a questo proposito, di “tracciabilità” del sistema, che consiste appunto nel mettere in atto procedure che garantiscono la totale trasparenza del circuito di produzione e distribuzione. Soprattutto in certi settori, infatti, è importante che le imprese facciano percepire al consumatore i benefici che si possono ottenere da un sistema di produzione e distribuzione ben orientato e coordinato, in grado di garantire i valori dichiarati e capace di applicare correttivi o adattamenti. La tracciabilità del sistema comporta un corretto monitoraggio della filiera in tutte le sue fasi, in modo da poter di intervenire, se necessario, sulle cause di non conformità, nonché sulla razionalizzazione dei flussi e dei costi di gestione. Le norme ISO 9000 la definiscono come: “la capacità di poter ricostruire la storia e il percorso di ciò che si sta considerando mediante identificazioni documentate” e prescrive che “l’organizzazione, ove appropriato, deve identificare con mezzi adeguati i prodotti lungo tutte le fasi della realizzazione”. Informazione, organizzazione e standardizzazione sono quindi i presupposti di un sistema di qualità tracciabile. Esistono però molti vincoli alla sua realizzazione, riconducibili principalmente alla difficoltà di gestire in maniera coordinata i flussi di materiali, garantendo una gestione integrata tra gli operatori economici attraverso strategie di sviluppo comuni. Operativamente, è necessario definire le informazioni che devono circolare all’interno della filiera e predisporre gli strumenti tecnici e informatici utili alla loro condivisione; si devono, inoltre, strutturare le relazioni fra tutte le imprese appartenenti alla filiera tramite accordi formalizzati, concordando le modalità di identificazione del prodotto e quelle di registrazione dei flussi materiali. La necessità di un’ampia condivisione di standard e di procedure può, tuttavia, comportare notevoli problemi per le imprese poco evolute, che non applicano protocolli consolidati relativamente ai tempi e alle quantità/qualità prodotte e quindi hanno difficoltà a raggiungere una soddisfacente livello di programmazione e di costanza nelle performance. Inoltre, la realizzazione del coordinamento richiesto da questi sistemi implica spesso innovazioni nei circuiti logistici e commerciali non sempre alla portata dei fornitori minori, anche se la tendenziale diminuzione dei costi delle tecnologie informatiche, che sono quelle che pesano maggiormente, potrebbe essere di aiuto in tal senso. COSETTA PEPE 129 Alle varie difficoltà enunciate si aggiunge, infine, il rischio del proliferare di sistemi di rintracciabilità fra loro incompatibili, fattore che unito agli elevati costi di implementazione della tracciabilità, comporterebbe per le imprese più deboli un legame esclusivo con uno o pochi tracciati, e quindi con pochi clienti, aumentando così i rischi impliciti in una forte dipendenza. 7. Grande distribuzione e internazionalizzazione compatibilità e conflittualità dei distretti: Lo sviluppo di canali evoluti e il coinvolgimento delle piccole imprese nei rapporti con la grande distribuzione hanno indubbie implicazioni per i distretti di appartenenza e per i loro processi di internazionalizzazione. Non pochi distretti sono caratterizzati da produzioni destinate ad essere veicolate dalla grande distribuzione organizzata: commesse frazionate per forniture di prodotti di primo prezzo di prodotti di nicchia a marchio industriale o a marchio commerciale, di prodotti locali o legati a particolari valori (equi, etici, biologici, ecc.). Come abbiamo visto, il fenomeno è in costante evoluzione, soprattutto in relazione alla varietà degli assortimenti delle grandi insegne e alle loro politiche di prodotti a marchio proprio, con possibilità di coinvolgimento di piccole imprese fornitrici. Allo stato attuale delle cose, i rapporti fra distretto e grandi clienti sembrano materia ancora poco analizzata e di natura potenzialmente contraddittoria: la presenza congiunta di relazioni distrettuali e rapporti con grandi distributori può generare complementarità - forse ancora poco sfruttate - ma anche ruoli sovrapposti, a volte incompatibili o solo ridondanti, che possono però condizionare i meccanismi delle economie distrettuali. Un confronto fra funzionalità della dimensione distrettuale e ruolo del grande cliente (nel dare efficienza ed efficacia alla produzione e distribuzione dei prodotti) rende possibile individuare aspetti virtuosi o aspetti conflittuali. Il sistema distrettuale, attraverso la divisione interna del lavoro raggiunge livelli di economia di scala e di scopo che sono negati alle piccole imprese; la dimensione distrettuale rende infatti maggiormente visibile l’offerta articolata del suo territorio, centralizza servizi di varia natura, facilita il reperimento di risorse anche immateriali, come l’acquisizione di know-how, consulenze, formazione. Le logiche di funzionamento di un distretto coniugano in vario modo le grandi e le piccole dimensioni: sono prevalentemente piccole le dimensioni delle imprese che formano il tessuto distrettuale, ma ci possono essere imprese medio-grandi di riferimento per quelle minori, loro subfornitrici. Il tessuto distrettuale è caratterizzato da network interni che collegano più imprese, con reti più o meno formali, di differente ampiezza e diversa durata. Il fenomeno è dinamico, perché è lo stesso distretto a creare le condizioni per nuove relazioni e per nuove forme di aggregazione. Quel che è valido in un periodo può esaurirsi e decadere, superato dall’emergere di nuovi fattori che rompono le 130 IL DISTRETTO NEL RAPPORTO FRA PICCOLE IMPRESE E CANALI EVOLUTI logiche degli equilibri preesistenti, sciolgono legami e partnership e introducono elementi di instabilità, creando asimmetrie nelle dinamiche dei vari soggetti, ma anche nuove occasioni di sviluppo per imprese e reti interne. I processi di internazionalizzazione giocano in questo senso un ruolo importante. La domanda dei mercati esteri ha mostrato l’esigenza di un recupero dimensionale delle singole imprese, ma ha reso anche necessarie “forme di aggregazione” all’interno del distretto che hanno dato corpo a una vera e propria integrazione come nel caso della costituzione di gruppi di imprese - oppure si sono tradotti in esperienze di aggregazione formale, come i consorzi, o anche solo informali, come le reti guidate da un’impresa capofila. Anche la delocalizzazione produttiva - come abbiamo già osservato - è entrata in questi meccanismi come nuova opportunità o minaccia, a seconda del tipo di distretto e di imprese coinvolte. La coerenza del tessuto distrettuale e le economie in esso realizzabili sono utilizzabili in varie direzioni: contatti con i clienti, servizi logistici, finanziamenti alle imprese, innovazioni di prodotto e processo, procedure di verifica della qualità, servizi ai prodotti, politiche di marchio, comunicazione al mercato finale, assistenza nei contratti internazionali. Date queste premesse, gli elementi di potenziale conflitto che sono impliciti nel rapporto fra distretto e grandi clienti nascono dal fatto che la presenza del grande distributore può diventare sostitutiva di quella del distretto, infatti il distributore può: - finanziare la commessa, sollevare la piccola impresa fornitrice dalla ricerca clienti (dal momento che sono i suoi uffici acquisti che cercano e selezionano i fornitori), dare visibilità ai suoi elementi distintivi e facendole raggiungere quella nicchia di mercato, anche transnazionale cui è destinata, suggerire idee prodotto e modifiche a quelli esistenti, anche nei processi, legare il fornitore a pratiche di controllo della qualità e di certificazione già predisposte e sperimentate, favorire e guidare i processi di sviluppo a livello internazionale. Complessivamente, il grande cliente può rispondere alle esigenze di collegamento e posizionamento sul mercato finale delle piccole imprese, di fatto emancipandole dal contesto distrettuale. Ma fra distretto e grande distribuzione ci possono essere anche delle complementarietà, legate alle fragilità che sono tipiche del rapporto con i grandi clienti: - dimensione dell’ordine, esigenza di costanza nella qualità e quantità della fornitura, rispetto dei tempi di consegna e tempestività, pianificazione ed effettivo rientro dei prezzi pattuiti, capacità di sostenere la forte concorrenza di altre piccole imprese, magari appartenenti allo stesso distretto. COSETTA PEPE 131 La struttura distrettuale può essere di aiuto, oltre che per le imprese, anche per il grande cliente che sarà agevolato nella ricerca dei propri fornitori dalla presenza di molte imprese in un territorio circoscritto. Nel caso di produzioni specializzate e complementari, infatti, si sfrutta la sinergia fra le imprese distrettuali a tutto vantaggio del grande distributore, che investendo in una stessa direzione e con limitati costi relazionali potrà ricomporre un certa varietà di assortimento; ancor più agevolmente se è presente un’impresa capofila, e cioè un organismo creato allo scopo, che può diventare il fornitore di una unica commessa articolata. L’omogeneità culturale che caratterizza l’ambito distrettuale sarà, inoltre, garanzia di maggiore coordinamento ed efficienza nelle relazioni. Il distretto potrà provvedere con proprie strutture di servizio a garantire gli opportuni strumenti di controllo per soddisfare le esigenze di quantità, qualità, tempestività, omogeneità delle forniture. Il fatto che il distretto, e non una singola impresa, diventi soggetto attivo per l’azione di vendita ed eventualmente di marketing per la produzione locale è già, in alcuni casi, una realtà, soprattutto per quanto riguarda la conquista di particolari mercati. Alcuni distretti investono in strutture dedicate a una presenza più diretta sui mercati esteri e nella realizzazione di marchi per rafforzare la propria visibilità. Ma non c’è evidenza di un’azione del distretto nei confronti dei grandi clienti. In questo senso la cultura del distretto sconta le carenze che sono diffuse nel suo territorio, nelle imprese così come nelle istituzioni. A questo proposito può suggerire spunti di riflessione una ricerca fatta in Francia su piccole e medie imprese di successo - il 92% dichiara infatti una forte crescita del proprio fatturato - in relazione alle politiche e strategie di marketing realizzate, sia in generale che nei rapporti con la grande distribuzione. Si nota, innanzitutto, un’incongruenza molto significativa: l’82% delle imprese intervistate dichiarano che avere un marchio forte è un elemento determinante della politica di marketing, tuttavia più del 60% non conosce poi il tasso di notorietà del proprio marchio. Inoltre, la definizione di marketing cui si fa riferimento raccoglie una certa varietà di concezioni, da quelle fortemente operative a quelle più strategiche, in relazione diretta alla dimensione e al livello di strutturazione della funzione che solo nel 38% dei casi vede l’esistenza di un responsabile marketing. Gli obbiettivi delle strategie aziendali vengono espressi soprattutto in termini di cifra di affari e di margini e sono invece assenti piani di marketing, con obiettivi di quote di mercato, segmentazione, posizionamento. Per queste imprese la grande distribuzione rappresenta mediamente più del 47% della cifra di affari e non è detto che questo non incida sugli aspetti contraddittori del loro comportamento. I risultati della ricerca mettono, comunque, in luce uno scarto evidente tra le ambizioni delle piccole e medie imprese oggetto di indagine e i mezzi investiti per raggiungere gli obbiettivi dichiarati: innovare, differenziare, difendere il marchio, internazionalizzarsi. Tale contraddizione sembra essere determinata oltre che da limiti nelle risorse materiali, anche molto da carenze di natura culturale. 132 IL DISTRETTO NEL RAPPORTO FRA PICCOLE IMPRESE E CANALI EVOLUTI Ci sembra di poter affermare che questi limiti valgono a maggior ragione per le pmi italiane, la cui dimensione media tende ad essere decisamente inferiore a quella delle pmi europee. L’appartenenza a un distretto potrebbe tuttavia garantire un certa crescita, sia in senso quantitativo che qualitativo, soprattutto nelle relazioni con i clienti. A questo proposito è bene segnalare che la ricerca francese - realizzata nel 2000 - conclude con una nota di ottimismo, affermando che proprio il doversi misurare con un ambiente nazionale reso particolarmente evoluto dalla presenza della grande distribuzione avrebbe dato alle pmi francesi un vantaggio competitivo rispetto alle concorrenti di altri paesi, nel contesto europeo e non solo (Sécretariat d’Etat à l’Industrie, 2000). Il rischio è appunto quello che, da parte del distretto, oltre alle tradizionali carenze sul fronte del marketing, ci sia anche una sottovalutazione o una eccessiva diffidenza nei confronti dei grandi distributori, a causa degli elementi di subordinazione che sono impliciti in tali relazioni - tali da penalizzare troppo l’identità distrettuale - e anche per l’incapacità di cogliere le specificità di questi clienti, il grado di cooperazione da loro richiesto e le potenzialità che potrebbero essere sfruttate proprio a partire dalla dimensione distrettuale. Il tema comporta quindi una nuova cultura delle relazioni e una riflessione che va tarata sul singolo profilo del cliente: la ricerca di formule originali e posizionamenti competitivi da parte delle grandi insegne rende infatti il rapporto con questo tipo di interlocutore meritevole di uno studio mirato. E’ indubbio, comunque, che quando un grande cliente richiede un mix di prodotti e servizi complementari, con commesse di grosso calibro trova immediata sintonia con la dimensione distrettuale. Resta, invece, più ambiguo il ruolo del distretto nelle forniture di prodotti omogenei, di primo prezzo o realizzati per il marchio commerciale secondo le specifiche richieste del grande distributore con grandi commesse che vanno frazionate su più fornitori minori. In questi casi il ruolo di un “mediatore” distrettuale - sia esso un’impresa capofila o un organismo creato appositamente potrebbe risultare difficile, dal momento che in questo tipo di forniture il rapporto fra impresa e cliente tende a essere particolarmente stretto e con un controllo diretto da parte del committente. Non è quindi escluso che il legame che si crea fra piccola impresa fornitrice e grande cliente possa preludere a uno sganciamento dell’impresa stessa dalle dinamiche interne al distretto. Se la fornitura e i termini della relazione sono congeniali ad entrambi i contraenti, si può innescare un processo di crescita dimensionale e qualitativa dell’impresa fornitrice che tenderà a rendersi autonoma, sfruttando le capacità acquisite anche verso altri clienti: le grandi catene non richiedono, infatti, l’esclusiva nei rapporti, anzi dichiarano di auspicare di non essere i soli compratori, perché questo assicura maggiore flessibilità e solidità ai fornitori minori e rappresenta una garanzia per entrambi gli interlocutori (Pepe, 2005). COSETTA PEPE 133 8. Osservazioni conclusive Il rapporto con la grande distribuzione può diventare per la piccola impresa l’occasione di una crescita che la sottrae gradualmente alla “cultura” distrettuale. Nel rapporto con il grande cliente si possono condividere linguaggi, conoscenze, procedure, innovazioni di processo e di prodotto, che aumentano l’autostima e la voglia di crescere; gli investimenti in tecnologie di rete facilitano il coordinamento nella filiera, favorendo la continuità della relazione e rendendo più agevoli anche i processi di internazionalizzazione. Diminuiscono i rischi e gli investimenti necessari alla penetrazione dei mercati internazionali, dal momento che vengono tarati su una relazione specifica, nella quale anche il cliente investe, dando chiare indicazioni sulle proprie esigenze e su quelle del mercato finale. Un rapporto forte nel canale che colleghi l’impresa distrettuale ai mercati di sbocco, coinvolgendola nelle strategie dettate dagli obbiettivi del grande cliente, può indebolire il tessuto distrettuale allo stesso modo di quello di un’impresa che si emancipa dal distretto spezzando le economie produttive interne per delocalizzarsi o per rifornirsi fuori area. Così come è rischioso compromettere il sistema delle economie produttive, allo stesso modo deve preoccupare il consolidamento di rapporti con grandi clienti che potrebbero incidere sugli equilibri esistenti e condizionare le politiche di mercato che il distretto ha intenzione di realizzare. A meno che proprio il distretto non voglia ricavarsi un ruolo nei confronti della grande distribuzione e rendere le economie distrettuali un elemento di offerta congeniale alle sue esigenze. Ma il problema delle contraddizioni interne al doppio sistema di relazioni creato dalla presenza congiunta di economie distrettuali e canali dominati dai grandi clienti - esiste solo se il distretto si muove accentuando gli elementi di potenziale contrasto piuttosto che gli aspetti di cooperazione. Soprattutto in certi settori, la massiccia presenza di grande distribuzione sconsiglia di fare scelte che prescindano dalle logiche di questi interlocutori e indirizza verso politiche che solo nella dimensione distrettuale possono essere realizzate a misura di grande cliente. Si tratta, soprattutto, di preparare le imprese alla relazione con i clienti evoluti, evitando una competizione interna sui prezzi e spingendo, invece, verso la differenziazione dei prodotti, anche ispirandosi alle richieste in tal senso della distribuzione, dando visibilità al distretto e alle imprese, educando ai sistemi qualità e a quelli di tracciabilità, favorendo le innovazioni che sono richieste dalle relazioni di canale e dai sistemi di controllo che queste comportano. Alle iniziative dei grandi distributori, che si dicono sempre più interessati al rapporto con il territorio e con le imprese locali, deve corrispondere un’attenzione particolare verso questi interlocutori. Il ruolo del distretto deve essere attivo ma discreto, e impegnato ad erogare servizi mirati. La costituzione di organismi di diretta intermediazione da parte del distretto può essere indicata per produzioni omogenee, molto identificate con il territorio e con forti politiche di marchio a supporto; meno convincente per 134 IL DISTRETTO NEL RAPPORTO FRA PICCOLE IMPRESE E CANALI EVOLUTI situazioni più complesse, dove la produzione del distretto si offre in modo più flessibile e dinamico alle richieste del mercato; oppure in certe realtà relativamente meno avanzate, dove sembra arduo trovare a livello di istituzioni centrali non tanto i mezzi, quanto la giusta sensibilità che li renda validi interlocutori di soggetti evoluti ed esigenti, e a volte perfino arroganti in virtù del loro forte potere contrattuale. Il soggetto impresa perciò rimane fondamentale e centrale, anche di fronte alla mediazione di un altro organismo o di un’altra impresa distrettuale. Nei processi di internazionalizzazione, il “corredo” distrettuale può essere molto utile, ma rimane l’onere per la singola impresa di crescere qualitativamente nella gestione delle sue attività e delle relazioni. La crescita dimensionale, nel caso delle imprese distrettuali italiane, è una necessità ormai generalmente riconosciuta, a maggior ragione in presenza di una varietà di interlocutori e ambienti di riferimento, che difficilmente possono essere gestiti da una regia unica a livello distrettuale. Il dosaggio di decisioni strategiche, politiche di marketing e investimenti relazionali deve essere quindi equilibrato, intervenendo senza forzature sia a livello di singola impresa che di aggregato distrettuale; nei rapporti con la grande distribuzione è particolarmente importante una buona combinazione fra questi elementi. L’analisi dei processi di internazionalizzazione a monte e a valle della filiera - e sul doppio fronte impresa-distretto - deve contribuire a indagare in tal senso e ad aumentare la sensibilità dei vari attori verso tutti gli aspetti del fenomeno, cercando risposte che vanno di volta in volta tarate sulle singole realtà. Bibliografia ASSOLOMBARDA, I processi di internazionalizzazione delle imprese associate nel 2004, rapporto a cura dell’Ufficio Studi, 2005. AXA INVESTMENT MANAGERS, Vers des relations grande distribution - fournisseurs plus equitables?, Axa Investment Managers, Paris, 2004. BIGARELLI D., L’industria dell’abbigliamento in Emilia Romagna. Modelli produttivi e cambiamenti strutturali, Franco Angeli, Milano, 2002. BROWN P., BELL J., “Industrial Clusters and Small Firm Internationalization”, in Taggart J.H., Berry M.& McDermott M., (ed.) Multinationals in a New Era, Basingstoke, Palgrave, 2001. 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