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Il ruolo del distretto nel rapporto fra piccole
imprese e canali evoluti
COSETTA PEPE∗
Abstract
I distretti italiani e le piccole imprese che caratterizzano il loro tessuto industriale sono
fortemente dipendenti dall’export e devono quindi saper intrattenere buone relazioni verso il
mercato, in particolare nei confronti dei grandi gruppi della distribuzione moderna, la cui
presenza caratterizza ormai molti canali di distribuzione - soprattutto a livello internazionale
e per molti dei settori che sono tipici delle realtà distrettuali. Tali soggetti sono spesso in
grado di gestire e controllare l’intera filiera e possono rappresentare un problema ma anche
una opportunità per l’internazionalizzazione delle piccole imprese e dei distretti di
appartenenza. L’analisi è incentrata sul rapporto fra fornitori minori e grandi clienti e sul
ruolo del distretto nel facilitarli, nonché i rischi che proprio in virtù di tale legame si possono
presentare per la tenuta del distretto in questo delicato momento di transizione.
Keywords: distretti industriali, piccole imprese, grandi distributori, canali internazionali di
esportazione, piccolo fornitore, grande cliente
Italian industrial districts, characterized by a high number of small firms, are heavily
dependent upon export. As a result, they need to establish good market relations, in particular
with big retailers present in many retail channels at an international level as well as in many
typical sectors of the industrial districts. Big retailers, who are able to manage and control
the entire cycle of production and distribution, may represent not only a problem but also an
opportunity for the internationalization of small firms and of the industrial districts to which
these latter belong. The paper focuses on the advantages and pitfalls of supplying big
retailers, especially if small firms are involved in the process, and analyses the role of the
district dimension in facilitating this kind of relations. All present transformations in the
district system relations, both commercial and productive, are to be checked, in order to
foresee and, eventually, to control future changes and to manage the inherent risks for the
district stability.
Keywords: industrial districts, small firms, big retailers, export international channels, small
supplier, big client
∗
Ordinario di Economia e Tecnica dell’internazionalizzazione delle Imprese – Università
degli Studi di Roma “Tor Vergata”
e-mail: [email protected]
sinergie n. 69/06
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IL DISTRETTO NEL RAPPORTO FRA PICCOLE IMPRESE E CANALI EVOLUTI
1. L’internazionalizzazione dei distretti: i vari aspetti dell’analisi
Affrontare il tema dell’internazionalizzazione dei distretti comporta una doppia
chiave di analisi che riguarda i soggetti studiati e i fenomeni che a questi fanno
riferimento. Relativamente ai soggetti dobbiamo considerare sia le singole imprese e
i loro comportamenti nei confronti di fornitori, partner e clienti nazionali ed esteri,
sia l’aggregato distrettuale nel suo complesso. I fenomeni da osservare sono invece
collocabili su due fronti: quello relativo ai processi di produzione nelle imprese e nel
distretto - con relative dinamiche legate all’innovazione, al decentramento
produttivo, all’acquisizione e trasferimento di conoscenze - e quello relativo alle
vendite e alla distribuzione dei prodotti, con l’individuazione dei mercati di sbocco,
la ricerca di contatti e di visibilità a livello internazionale, e le varie attività di
marketing delle imprese e per le imprese (Brown, Bell, 2001; ICE, 2003;
Rullani, 1999 e 2002; Schiattarella, 1999).
L’urgenza di approfondire e collegare questi vari fronti dell’analisi è giustificata
dalle trasformazioni che si stanno verificando nelle modalità dello sviluppo interno
ai distretti, così come nelle relazioni esterne, con reciproca e decisiva influenza. Il
cambiamento interessa un po’ tutte le aree, anche se - al di là degli aspetti che le
accomunano - ci sono delle specificità. Contano le caratteristiche dei processi
produttivi e degli ambienti di riferimento; conta la struttura dell’offerta e della
domanda (e cioè il numero di potenziali fornitori e acquirenti che si confrontano in
un dato momento e le relative più o meno ampie possibilità di scelta
dell’interlocutore da parte di chi compra e chi vende); conta il grado di
internazionalizzazione degli acquisti e delle vendite e la differenziazione dei
mercati, con il conseguente grado di adattamento richiesto ai prodotti o ai mix di
prodotti e servizi richiesti.
Le considerazioni che seguono sono prevalentemente dedicate ai rapporti delle
imprese e dei distretti con il mercato intermedio e con i mercati finali. Generalmente
tali rapporti vengono vissuti come relazioni “esterne” al sistema distrettuale, a fronte
dei legami “interni” considerati il più importante se non il solo presupposto delle
economie distrettuali. Da questo tipo di lettura deriva, spesso, una sottovalutazione
di altri aspetti, come quelli riferiti al ruolo di attori che pur non appartenendo al
distretto possono, tuttavia, avere un’importanza rilevante in virtù del loro forte
potere contrattuale e di una capacità di governo della filiera che si dimostra in grado
di condizionare le imprese fornitrici e i loro distretti di appartenenza, sia nella
definizione di processi e prodotti, che nelle modalità di espansione sui mercati
internazionali. Questi soggetti sono soprattutto rappresentati da grandi gruppi della
distribuzione moderna o grandi centrali di acquisto che associano catene più o meno
ampie di punti vendita indipendenti. Si tratta, prevalentemente, di operatori
commerciali collocati nella fase del dettaglio - anche se non mancano quelli di
livello intermedio come importatori e grossisti - e cioè di operatori a diretto contatto
con i consumatori finali, in grado di interpretare i loro bisogni e capaci di
condizionarli con strategie di largo respiro, anche internazionale, e appropriati
strumenti di retail marketing.
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Nello studio dei processi di internazionalizzazione delle imprese, la presenza di
grandi clienti merita di essere analizzata - facendo attenzione alle ripercussioni che
ne derivano a livello distrettuale - parallelamente allo studio dei processi di
internazionalizzazione che si verificano a monte, con la delocalizzazione della
produzione e il trasferimento di know how tecnologico e gestionale verso nuove aree
distrettuali. E’ noto che l’internazionalizzazione a monte dei distretti crea situazioni
che hanno valenze e potenzialità differenti, a seconda che le attività decentrate si
configurino come appendici esterne - che aprono le maglie del tessuto distrettuale
verso economie di un sistema più ampio - o siano, invece, presupposto per la
costituzione di un nuovo aggregato autonomo e, a volte, anche in grado di fare
concorrenza a quello preesistente.
I due momenti dell’internazionalizzazione, a monte e a valle, si rivelano
fortemente collegati. Nella maggioranza dei casi, a fronte di una delocalizzazione
della produzione e del conseguente svuotamento del distretto originario di fasi e
processi di lavorazione, si reagisce cercando di rafforzare l’identità del distretto
proprio sul fronte mercato, eventualmente riposizionando la produzione distrettuale
su prodotti di fascia superiore e maggiore specializzazione; il cambiamento rende
necessario potenziare la funzione di marketing (nelle singole imprese e
nell’aggregato distrettuale), sviluppando nuovi prodotti e nuovi processi,
ricomponendo assortimenti, attivando strumenti per supportare le imprese nelle loro
azioni sui mercati esteri.
A livello di distretto, più che da parte delle singole imprese, si possono affrontare
indagini di mercato, attività promozionali, creazioni di marchi, procedure di
certificazione di prodotti, servizi alle operazioni con l’estero.
Di qui l’importanza di saldare i due momenti: da un lato il distretto, con le sue
economie interne ed esterne a livello produttivo, dall’altro le relazioni con i mercati
di sbocco, con politiche di maggiore o minore integrazione a valle, ma anche
attivando rapporti con canali evoluti, caratterizzati dalla presenza dei gruppi della
distribuzione commerciale. La presenza di grandi clienti è ormai preponderante nel
settore alimentare e dei beni di largo consumo, ma è forte anche in molti altri settori,
peraltro molto importanti nel panorama delle specializzazioni dei distretti italiani, e
in particolare per i settori dell’abbigliamento, calzature, mobili, gioielleria, articoli
sportivi, oggetti da arredo e da regalo (Micelli, Chiarvesio, Di Maria, 2003).
I grandi distributori sono clienti del mercato intermedio, ma sono anche preziosi
partner per accedere ai mercati finali che sono, innanzitutto, mercati avanzati,
caratterizzati dalle forme della distribuzione moderna, ma ormai anche mercati in
via di sviluppo (vedi per esempio l’Est europeo, alcuni paesi dell’America Latina e
in prospettiva la stessa Cina), dove gruppi di dimensioni internazionali stanno
sviluppando le loro reti di vendita.
L’internazionalizzazione delle imprese e dei distretti deve quindi confrontarsi
con i processi di internazionalizzazione della grande distribuzione organizzata, attivi
sui due fronti: quello degli acquisti, con le centrali che comprano a livello
internazionale, e quello delle vendite, con l’espansione internazionale delle reti di
distribuzione.
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IL DISTRETTO NEL RAPPORTO FRA PICCOLE IMPRESE E CANALI EVOLUTI
Si crea così una doppia occasione per le imprese:
soddisfare la domanda a livello internazionale espressa dalla grandi centrali di
acquisto che comprano all’estero per la propria rete nazionale e internazionale;
- provvedere alla fornitura di prodotti locali, là dove si sviluppa la rete
internazionale dei punti vendita e si attua una politica di acquisti parzialmente
decentrati, per soddisfare particolari esigenze di consumo e ottimizzare i costi
logistici.
Accanto a un’esperienza direttamente internazionale, com’è la vendita a una
centrale di acquisto straniera, le imprese si trovano così ad avere l’opportunità di
rifornire localmente la rete di vendita di un gruppo internazionale che si impianta nel
loro territorio. Questo doppio fronte è destinato a creare domanda anche per le
imprese minori, soprattutto per soddisfare il sempre maggiore bisogno di
differenziare l’offerta dei vari format distributivi con prodotti specializzati riferiti a
nicchie transnazionali o per adattare gli assortimenti ai gusti e alle consuetudini
locali.
Il fenomeno delle piccole e medie imprese che trovano spazio nelle forniture alla
grande distribuzione estera sta assumendo sempre maggiore rilevanza; altrettanto
significativa sembra essere quella di imprese minori che vendono a una grande rete
commerciale internazionale, ramificata sul loro territorio. Possiamo considerarle
entrambe delle esperienze internazionali, dal momento che quello che maggiormente
conta, nelle performance dell’impresa, è la capacità di servire un cliente
internazionale, anche se si tratta di forniture per il mercato locale. In entrambi i casi,
si apre la possibilità di accesso a un ampio circuito, dove è il rapporto con il cliente ancor prima dello specifico prodotto - ad avere un’importanza decisiva.
Si evidenzia così quella criticità dell’aspetto relazionale che già da tempo
rappresenta uno dei temi privilegiati degli studi di marketing, relativamente ai
rapporti di canale, e non riguarda solo quelli caratterizzati dalla presenza di “grandi
compratori”, ma si estende a una concezione che interessa tutti gli anelli della filiera
(Kumar, 1996; Lepers, 2000; Musso, 2000). Questo contributo ha appunto lo scopo
di inserire nel dibattito sull’internazionalizzazione dei distretti il problema delle
relazioni fornitore-cliente, focalizzandosi in particolare sul rapporto fra piccolo
fornitore e grande cliente. Il tessuto di piccole imprese che caratterizza i distretti e la
sempre maggiore presenza delle moderne forme della distribuzione nei settori delle
produzioni distrettuali giustificano l’interesse crescente per questo tipo di relazioni.
-
2. Le sfide della distribuzione: il profilo degli interlocutori e la qualità
delle relazioni
La capacità delle forme della distribuzione moderna di condizionare le imprese
nelle relazioni con i clienti finali rappresenta una delle sfide che vengono dai
mercati internazionali. Si evolve il profilo degli interlocutori e di conseguenza
cambia la qualità delle relazioni e quel che ne costituisce l’oggetto, in termini di
prodotti e soprattutto di servizi scambiati.
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I fenomeni di immediata evidenza che segnano l’evoluzione del settore
commerciale - determinando una sempre maggiore complessità nei rapporti di
canale - sono l’aumento delle dimensioni delle imprese al dettaglio (generaliste o
specializzate) e quello dei punti vendita controllati, sia per numero che per
superficie unitaria. Ne risulta una struttura dualista, caratterizzata da un comparto di
soggetti sempre più forti e internazionalizzati, a fronte di un tessuto di piccole
imprese tradizionali, soggette a un severo processo di selezione, in rapida
evoluzione verso una maggiore specializzazione e sempre più inclini ad associarsi in
reti di affiliati o a moltiplicarsi in catene succursaliste.
Muta la struttura dei canali, che tende ad accorciarsi soprattutto in concomitanza
delle aumentate dimensioni dei soggetti che la compongono; la grande impresa
industriale cerca di avere canali più diretti, a volte fino al punto vendita finale,
mentre la grande impresa commerciale rafforza il suo controllo sui fornitori,
eventualmente integrandosi a monte o eliminando passaggi intermedi. Il fenomeno è
frutto di un’evoluzione iniziata da decenni, ma è innegabile l’accelerazione che ha
registrato in anni recenti, come causa ed effetto dei cambiamenti nelle strategie di
produttori e distributori.
L’aumento di “massa critica” si accompagna a una maggiore capacità di impatto
sul mercato e verso i fornitori, cui fa gioco una minore articolazione e una più
intensa cooperazione fra i soggetti del canale (Musso, Pepe, 2003). Le filiere
dominate da un grande distributore si presentano come “reti centrate”, in grado di
dare una gestione strategica a tutta la catena del valore. Aumentano gli strumenti
delle grandi insegne per mettere a punto efficaci azioni di retailing marketing; si
arricchiscono i mix di prodotti e di servizi che caratterizzano i punti vendita della
distribuzione moderna; evolve la politica dei prodotti a marchio commerciale,
sempre più congeniali a dare forte identità alle formule adottate. Cambiano, di
conseguenza, le politiche di acquisto e i criteri di selezione dei fornitori, che devono
competere confrontandosi con i concorrenti non solo sui prodotti offerti, ma anche
sulla capacità relazionale e sui servizi richiesti dai “grandi clienti”, soprattutto per i
prodotti a marchio commerciale, i cui volumi di vendita sono in crescita in tutti i
paesi europei. La maggiore diffusione si registra in Gran Bretagna con un 40%,
segue la Germania con 31%, la Francia con 24%, mentre in Italia si è arrivati al
13%. Le forniture di questi prodotti richiedono un rapporto particolare,
caratterizzato da una forte personalizzazione della commessa sulle specifiche
richieste del cliente. Più in generale, le relazioni delle imprese produttrici con questi
interlocutori sono più complesse e per certi versi contraddittorie: a fronte
dell’aspetto mercantile, basato sulla trattativa del prezzo, e quindi tendenzialmente
conflittuale, si possono instaurare importanti aree di collaborazione fra cliente e
fornitore, per dare efficienza ed efficacia a tutta la filiera.
La natura composita della relazione fra piccola impresa e un grande cliente si
arricchisce ulteriormente per il fatto che è spesso inserita in un contesto complesso:
l’impresa fornitrice può essere legata ad altre imprese produttrici (in consorzi,
distretti, reti internazionalizzate) - che contribuiscono a definire quantitativamente e
qualitativamente la sua offerta - e servire allo stesso tempo un canale fortemente
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IL DISTRETTO NEL RAPPORTO FRA PICCOLE IMPRESE E CANALI EVOLUTI
integrato e governato da un grande cliente. L’impresa distrettuale ha così una doppia
appartenenza, trovandosi inserita in due circuiti che possono essere complementari
ma anche conflittuali.
Al pari di un sistema di produzione che collega più imprese, il canale distributivo
è caratterizzato dalla divisione dei ruoli fra i vari soggetti, e da cooperazione e
gerarchia nelle relazioni; al suo interno si possono condividere e trasferire
conoscenze, innescando processi di apprendimento, favorendo forme di leadership e
sinergie che permettono comuni azioni sul mercato finale e sistemi logistici
integrati.
La presenza, o l’assenza, di profilo strategico nelle singole imprese e le loro
capacità di riuscita non sono più solo il frutto di un comportamento verso il “libero
mercato”, ma sono legate a quelle dei soggetti che insieme curano l’efficacia
competitiva di tutta la filiera, e cioè di quel “sistema di relazioni” che innesta le sue
radici nel tessuto industriale locale per poi diramarsi fino ai mercati di destinazione.
La necessità di dare respiro strategico a tutta la filiera conduce a una reciproca
forte selezione tra fornitori e clienti e aumenta i processi di “fidelizzazione”
(Johanson, Vahlne, 2003; Frazier, 1999). Il fenomeno diffonde nuova conoscenza e
nuova cultura in tutto l’ambiente di riferimento, anche perché non è esclusivo
appannaggio dei circuiti dominati da imprese di grandi dimensioni, ma vale anche
per filiere dove operano dettaglianti minori, che recuperano economia di scala
associandosi in una centrale di acquisto ed eventualmente rafforzano la loro capacità
di impatto sul mercato grazie alla diffusione di una comune formula commerciale.
3. Il peso dei grandi distributori e delle centrali associate in Europa e
nel mondo: alcuni dati1
L’importanza del fenomeno che stiamo analizzando è confortata dai dati
riguardanti il peso della grande distribuzione in molti paesi, non solo avanzati ma
anche in via di sviluppo, dove si sta rapidamente imponendo la presenza delle grandi
insegne. Al peso dei grandi gruppi della distribuzione generalista (prodotti
alimentari e di largo consumo) si aggiunge quello delle centrali di acquisto di catene
di negozi specializzati, affiliati in franchising o associati.
I dati riportati non sono riferiti ad una unica fonte e quindi non sono direttamente
confrontabili, la loro significatività è però indubbia: i pesi evidenziati dalle varie
rilevazioni sono tali da dare una chiara definizione del fenomeno, che registra un
peso nettamente prevalente e crescente delle forme della grande distribuzione in
molti settori, con sofferenze sempre più accentuate per il dettaglio tradizionale, i cui
punti vendita diminuiscono un po’ ovunque.
In Francia la grande distribuzione, nata alla fine degli anni ’50, ha acquisito un
peso notevole, dapprima nel mercato dei prodotti alimentari e di largo consumo 1
I dati riportati nel paragrafo sono tratti da rapporti ICE che analizzano la grande
distribuzione in vari paesi.
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con i gruppi Carrefour, Casino, Auchan, Leclerc, ecc. - e successivamente in un
numero crescente di settori (abbigliamento, articoli sportivi, bricolage, arredamento,
giocattoli, prodotti di igiene e bellezza, cultura e tempo libero).
Complessivamente le forme della distribuzione moderna (alimentare e non)
rappresentano il 60% circa del fatturato totale dell’intero commercio al dettaglio.
Nel 2004, le grandi superfici di vendita generaliste (supermercati, ipermercati,
discount) coprono quasi il 68,3% della domanda di prodotti alimentari e il 18,7% di
quella di prodotti non alimentari di largo consumo.
Anche la Gran Bretagna ha solide tradizioni nel settore della grande
distribuzione e mostra una struttura caratterizzata da una forte prevalenza di grandi
imprese, sia per quanto riguarda il settore alimentare che per quello non alimentare.
Attualmente, per contrastare la concorrenza e i vincoli legislativi alla costruzione di
nuove grandi superfici di vendita, si stanno sviluppando i canali del commercio
elettronico e quello dei convenience store (di superficie ridotta, con assortimenti
ampi e poco profondi e buoni servizi alla clientela, in particolare l’orario di
apertura). La gran parte degli acquisti viene comunque fatta dalle strutture
centralizzate che fanno capo ai maggiori gruppi (Sainsbury, Tesco, ASDA acquistata
dal colosso statunitense Wal-Mart, Morrison, ecc., per la distribuzione a base
alimentare; Marks & Spencer, Boots, F.W. Woolworth, Currys e altri, per vari
settori non alimentari). Il marchio commerciale è molto diffuso e viene usato per
differenziare l’offerta anche su più livelli qualitativi di prodotto. Complessivamente
si stima che più di tre quarti del commercio al dettaglio britannico passi attraverso la
grande distribuzione organizzata.
In Germania il peso della GDO è elevato e raggiunge nel 2001 il 51% di tutto il
commercio al dettaglio, con un processo di concentrazione che porta le vendite food
delle prime 5 aziende (Edeka/AVA, Rewe, Colonia/Dortmund, Aldi e Metro) a
coprire il 53% del mercato controllato dalla grande distribuzione, mentre quattro
gruppi (Metro, Rewe, Karstad e Tengelman) totalizzano il 62% del non food.
Guardando al settore del tessile-abbigliamento vediamo che il 57% del fatturato
totale è stato realizzato da 78 delle 47.000 imprese esistenti. Parallelamente, nel
settore delle calzature si assiste a una notevole riduzione dei punti vendita
tradizionali: nel 2002, le 32 maggiori imprese del settore hanno inciso per il 45,7%
sul fatturato settoriale; complessivamente, si stima che il 60% del commercio
calzaturiero al dettaglio sia organizzato in una delle 5 centrali di acquisto presenti in
Germania. Nel “fai-da-te” - un settore che tira malgrado la crisi - le 30 maggiori
catene di “Baumarkte” (grandi superfici specializzate) contano nel 2002 ben 3.367
filiali, cui si aggiungono 39 punti vendita di tre grandi cooperative di acquisto. Non
dissimile la situazione in Austria dove importanti processi di concentrazione hanno
portato le quote delle grandi catene d’acquisto a coprire nel 2003, per il settore
alimentare, la quasi totalità del mercato: il 98% delle vendite vanno, in ordine di
importanza, a REWE Austria, SPAR AG, gruppo ZEV Markant, Adeg e al
discounter Zielpunkt.
Nei piccoli paesi europei il peso della grande distribuzione e della distribuzione
organizzata è ugualmente rilevante. In Olanda le prime 7 catene controllano il 73,2%
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IL DISTRETTO NEL RAPPORTO FRA PICCOLE IMPRESE E CANALI EVOLUTI
della distribuzione di prodotti alimentari. Forte anche la tendenza all’associazione in
gruppi di acquisto e in franchising (i punti vendita associati e affiliati costituiscono il
44% del totale del settore food e non food). Anche in Belgio è forte la
concentrazione nel settore della distribuzione alimentare: i gruppi della grande
distribuzione rappresentano, con solo il 5% dei punti vendita, il 53% delle vendite,
mentre i piccoli negozi indipendenti scendono sotto la soglia dell’8% delle vendite
totali.
Non differentemente, e forse in modo anche più accentuato, i paesi del Nord
Europa affidano la distribuzione dei loro prodotti a catene anche molto diversificate,
che aprono i loro interessi a vaste gamme di prodotti e servizi. La principale azienda
della grande distribuzione operante in Finlandia, Kesko Oyj, per esempio, è
organizzata in sei divisioni (alimentare, ferramenta, macchine e prodotti per
l’agricoltura, sistema moda e sistema casa, autoveicoli e ricambi, elettronica);
centralmente, la holding di Kesko cura attività immobiliari, logistiche, informatiche,
finanziarie e di gestione amministrativa. Complessivamente, la distribuzione
finlandese è in mano a pochi gruppi e nel settore dei prodotti agro-alimentari si
calcola che solo il 6% dei punti vendita si rifornisca al di fuori delle grandi centrali
di acquisto. In Danimarca, le grandi catene coprono una quota determinante del
mercato dei beni alimentari e di largo consumo: le 5 maggiori organizzazioni di
vendita detengono infatti una quota dell’85,6% del mercato e la sola COOP
Danmark ne controlla il 43% con un assortimento di prodotti che per il 30% sono a
marchio commerciale. Si registra inoltre un continuo sviluppo dei discount, in
particolare tramite il gruppo tedesco Aldi che fa ugualmente largo uso delle marche
private.
Anche paesi che, come l’Italia, hanno innovato le loro strutture distributive con
ritardo rispetto al resto d’Europa stanno rapidamente recuperando il divario. La
Spagna, per esempio, vede progressivamente ridursi il numero dei punti vendita
tradizionali, anche nei settori non alimentari dove formule come le catene di negozi
specializzati (crescita del 16% dal 2000 al 2002 e una copertura di circa il 20% del
mercato dell’abbigliamento) o i grandi magazzini hanno guadagnato un maggior
peso negli ultimi anni. Nel settore della grande distribuzione con base alimentare vi
è stato un forte sviluppo negli anni ’90 che continua a ritmi più contenuti a partire
dal 2000. Forte la presenza straniera, soprattutto negli ipermercati (francese) e nei
discount (tedesca). Anche qui viene registrata la tendenza a una sempre maggiore
ampiezza dell’assortimento non food, che necessariamente è riferita a prodotti di
fascia medio-bassa.
Per effetto dell’espansione internazionale dei gruppi europei anche nell’Europa
dell’Est le strutture della distribuzione commerciale stanno rapidamente cambiando.
In Polonia, per esempio, i gruppi esteri generalisti (quali Tesco, Carrefour, Metro,
Ahold, e altri), ma anche specializzati come Ikea e Castorama, hanno impiantato
nuovi punti vendita o comprato catene locali. Spesso la loro presenza è all’interno di
un centro commerciale - una formula che è presente un po’ su tutto il territorio
polacco; sono inoltre in forte sviluppo le catene di punti vendita in franchising,
anche per iniziativa di operatori locali.
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Il peso del fenomeno della grande distribuzione nel quadro europeo, riflette la
situazione anche di altri paesi sviluppati quali gli Stati Uniti, il Canada, il Giappone
che sono tradizionalmente destinatari delle nostre esportazioni e sempre molto
interessanti, perché caratterizzati da strutture commerciali ancora più evolute e un
panorama articolato e variato, per le formule adottate e per la ricchezza e la
profondità degli assortimenti disponibili nei punti vendita.
La stessa Cina si sta evolvendo in questo senso. Forte di una tradizione
millenaria che l’ha vista protagonista dei commerci in tutta l’area dell’estremo
oriente, sembra oggi avviarsi rapidamente a innovare e sviluppare il proprio
apparato commerciale, anche con la partecipazione di imprese estere, che lavorando
direttamente o in cooperazione con soggetti cinesi trasferiscono il loro know-how e
alcune linee di loro prodotti. I grandi gruppi internazionali come Carrefour, Metro e
Auchan sono entrati in Cina verso la metà degli anni novanta formando delle joint
venture con partner locali. Tra i più importanti gruppi a capitale interamente cinese
abbiamo, invece, il gruppo Hua Lian, fondato nel 1918 come azienda pubblica della
municipalità di Shanghai e privatizzato nel 1992. Il suo più diretto concorrente è
rappresentato da Shanghai Lianhua Supermarket Company, presente con 1225 punti
vendita, e anche con una joint venture costituita con Carrefour. Le forme più diffuse
di grande distribuzione sono i supermercati, i convenience store e gli ipermercati; a
questi si aggiunge lo sviluppo di una forma di “centri distributivi permanenti”,
specializzati in alcuni settori specifici che operano con prodotti locali ma anche con
marchi esteri di media notorietà, soprattutto nel settore dell’abbigliamento e
accessori, elettronica di largo consumo, vini e alcolici, ecc.: realtà privatistiche
locali di grande dettaglio (e a volte anche ingrosso) che vanno assumendo
importanza per la distribuzione dei prodotti importanti.
4. Le relazioni fra piccoli fornitori e grandi clienti
La presenza sempre più significativa della grande distribuzione nelle aree più
avanzate e dinamiche del mondo determina reazioni diverse a seconda del profilo
delle imprese che si trovano a dover affrontare il problema.
Quelle che si caratterizzano per forti elementi distintivi e marchio riconosciuto
tendono a integrarsi a valle, con punti vendita di proprietà o reti in affiliazione,
anche se le loro dimensioni sono contenute (Bigarelli 2002, Messeghen 2003); in tal
modo riescono ad allargare e consolidare la loro presenza sul mercato e, non di rado,
a garantirne lo sviluppo internazionale. Questo avviene soprattutto nei settori dei
beni di consumo durevole, caratterizzati da un certo livello qualitativo e da un
consistente investimento in immagine. In alcuni casi, quando la formula ha successo,
si raggiungono dimensioni notevoli nella rete di vendita e nella dimensione di
impresa. I settori maggiormente interessati sono quelli dell’abbigliamento, mobili,
oggetti da regalo, prodotti per il corpo, articoli sportivi, elettrodomestici, ecc..
Tuttavia, anche nel settore dei beni durevoli, soprattutto per quelli di fascia media e
medio-bassa, abbiamo già da tempo formule sperimentate di grandi distributori che
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IL DISTRETTO NEL RAPPORTO FRA PICCOLE IMPRESE E CANALI EVOLUTI
vendono attraverso superfici specializzate (i cosiddetti category killer), con
assortimenti vasti e profondi, caratterizzati da una forte presenza di prodotti a
marchio proprio e arricchiti da prodotti a marchio industriale di maggiore o minore
rilevanza. Parallelamente, le grandi superfici generaliste, visto il limitato sviluppo
dei consumi alimentari, stanno potenziando i loro settori non food, con un costante
ampliamento degli assortimenti e delle superfici di vendita dedicate.
Per i prodotti alimentari e per i prodotti di largo consumo il riferimento alla
grande distribuzione generalista è invece prevalente.
Data la diffusa presenza delle forme della grande distribuzione generalista e
specializzata, non tutte le imprese che puntano a costruirsi un’identità sul mercato
finale possono avere percorsi autonomi ed evitare i rapporti con la grande
distribuzione. In realtà la situazione è piuttosto articolata e le imprese di piccole e
medie dimensioni, che hanno a che fare con le grandi insegne, possono essere di tipo
diverso.
Molte entrano in contatto con le grandi centrali di acquisto dei gruppi
commerciali giocando soprattutto sulla competitività di prezzo con prodotti di fascia
bassa (primi prezzi sugli scaffali con marchi anonimi, prodotti per i discount, ecc.).
Altre diventano fornitrici di prodotti destinati ai marchi commerciali; per queste
forniture, tuttavia, i grandi quantitativi dell’ordine possono essere di ostacolo alle
piccole dimensioni di impresa e sono soprattutto le medie imprese ad essere favorite.
Alle imprese minori è invece più congeniale la vendita di prodotti specializzati, di
qualità media e medio-alta, e cioè prodotti di nicchia che soddisfano le esigenze di
maggiore differenziazione nell’assortimento del distributore, o la presenza di
prodotti tipici, o di prodotti locali, destinati a essere presenti solo in alcuni punti
vendita della rete.
Le piccole imprese che riforniscono la grande distribuzione sono, comunque, un
numero significativo e probabilmente crescente, soprattutto nei settori dove la
domanda dei grandi compratori è in aumento. Le relazioni fra fornitori minori e
grandi clienti sono, però, ancora poco indagate. D’altra parte il profilo di queste
imprese non è univoco, così come il tipo di relazione che li lega al grande
distributore: relazione che può essere più o meno continuativa, più o meno rischiosa,
più o meno impegnativa.
In particolare, i fornitori che propongono un’offerta essenzialmente di basso
prezzo hanno una posizione debole e precaria; mentre quelli che forniscono prodotti
in terzismo, anche se con un ruolo subalterno, possono conquistare una relazione più
solida e duratura, soprattutto se i prodotti sono di buona qualità o hanno un certo
grado di specializzazione. Migliore anche la posizione dei fornitori di prodotti locali,
anche se non necessariamente più stabile.
Un’impresa che si differenzia solo in termini di prezzi si trova esposta alla
concorrenza: e più lo scambio è caratterizzato da un prodotto senza marchio o con
marchio anonimo e più la fedeltà del cliente viene compromessa. Nel caso, invece,
della fornitura di un prodotto di qualità più elevata, soprattutto se destinato al
marchio commerciale - oggi considerato dal grande distributore come leva strategica
dal punto di vista dell’immagine e del posizionamento della formula - si può avere
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tutt’altra configurazione: individuato il fornitore che garantisce qualità e capacità di
adattamento alle specifiche richieste, in termini di prodotto e di servizi, la relazione
si fidelizza, con beneficio per entrambi i partner. Nella ricerca di una gestione
complessiva che tende alla personalizzazione della fornitura e all’uso ottimale delle
risorse, la continuità dei rapporti con clienti e fornitori diventa cruciale, per sfruttare
al meglio gli investimenti fatti nella relazione e valorizzare le economie di
esperienza che da questa scaturiscono. La capacità complessiva di entrare in una
relazione evoluta diventa quindi la qualità critica richiesta al fornitore della grande
distribuzione.
In questa fase, anche se si ritiene che siano ancora preponderanti i rapporti
caratterizzati da potere e, a volte, spregiudicatezza da parte del grande cliente, con
molte difficoltà e forti dosi di rischio per le piccole imprese, è tuttavia indubbio che
il peso assunto dalla grande distribuzione organizzata in molti settori e la necessità
di dare ai grandi clienti prodotti personalizzati, accompagnati dal massimo di
efficienza nella filiera, rappresenta un problema molto attuale che coinvolge anche
molti fornitori minori.
L’asimmetria dimensionale, per esempio, gioca a favore del rapporto piccolo
fornitore e grande cliente, perché riduce la tensione fra i partner, garantendo la
leadership e facilitando il controllo e l’integrazione della filiera da parte del soggetto
forte. A questo vantaggio si contrappone la mancata economia di scala, soprattutto
nel caso di prodotti di larga fascia e quindi sostanzialmente standardizzati: quando i
fornitori sono piccole imprese, gli ordinativi di dimensione elevata devono essere
affrontati con commesse frammentate, più o meno disperse a livello territoriale e a
costi maggiori. Questa diseconomia viene, però, bilanciata dal risparmio di costi
logistici che si ottiene da una produzione decentrata e più vicina ai punti vendita,
soprattutto nel caso di reti ampie e internazionalizzate. Inoltre, i grandi distributori
devono evitare i rischi di esaurimento delle scorte o di altri eventi che possono
compromettere qualitativamente e quantitativamente la fornitura, e quindi cercano di
non concentrare eccessivamente gli acquisti, in particolare per i prodotti a marchio
proprio, per i quali è più alto il rischio di immagine, essendo questi i prodotti che
maggiormente identificano il distributore presso la clientela.
Anche le politiche di assortimento sempre più ricche e raffinate - sia per quanto
riguarda l’articolazione dei prodotti a marchio, sia per l’esigenza di avere linee di
prodotto più profonde o di adattare localmente gli assortimenti - sono fattori che
favoriscono la relazione con i fornitori minori. L’attenzione e il sostegno alle piccole
imprese locali rappresentano obbiettivi dichiarati da molti gruppi commerciali, che
tramite questo atteggiamento rivendicano anche una loro funzione sociale verso i
clienti, il loro territorio e l’ambiente culturale. La ricerca di legittimazione e
immagine presso la clientela e l’esigenza di incontrare la sensibilità di specifiche
fasce di consumatori spingono a dare maggiore varietà all’assortimento con prodotti
che giocano su valenze non legate alle loro finalità d’uso o di consumo. Ci riferiamo
a una varietà di prodotti spesso forniti da imprese di dimensioni ridotte, nazionali e
internazionali, per i quali contano elementi che riguardano le caratteristiche della
filiera di produzione e distribuzione. Una tipologia di prodotti di varia natura:
126
IL DISTRETTO NEL RAPPORTO FRA PICCOLE IMPRESE E CANALI EVOLUTI
prodotti etici, relativi alle condizioni di lavoro nelle varie fasi della filiera; prodotti
ecologici, nel rispetto dell’ambiente con cui sono venuti a contatto durante i processi
di produzione e distribuzione; prodotti la cui qualità deriva dall’uso (o il non uso) di
determinati componenti (come per i prodotti biologici, OGN free, ecc.); prodotti
equo-solidali, che garantiscono una distribuzione più equilibrata del valore nella
filiera e proteggono i soggetti più deboli e i paesi più svantaggiati dalle ragioni degli
scambi internazionali. I settori interessati sono soprattutto quello alimentare
(prodotti freschi e conservati), ma il fenomeno riguarda anche l’abbigliamento,
l’artigianato, gli articoli da regalo, i complementi di arredo, i prodotti per la cura
della persona, ecc. Per alcuni è implicita la provenienza estera, come per i prodotti
solidali, per altri quella nazionale e locale (Pepe, 2005).
5. L’internazionalizzazione dei piccoli fornitori veicolata dai grandi
clienti
Il coinvolgimento delle piccole imprese da parte dei grandi gruppi della
distribuzione mondiale - ma anche delle catene minori che hanno, al pari delle
grandi, politiche finalizzate alla valorizzazione della formula commerciale in reti di
vendita nazionali e internazionali - rappresenta un’occasione da sfruttare, malgrado
le difficoltà (Heide, 1994; Paché 1996). Per il piccolo fornitore il rapporto con un
grande distributore può comunque presentare aspetti vantaggiosi e favorire un suo
sviluppo a livello internazionale. L’elevata dimensione dell’interlocutore, la sua
capacità di rifornirsi e selezionare i fornitori direttamente sui mercati esteri, la
molteplicità dei contatti con i mercati finali attraverso articolate reti di vendita,
rappresentano per la piccola impresa un modo per eludere il problema di rapportarsi
ai mercati contando sulle proprie forze o su quelle di istituzioni presenti
nell’ambiente di riferimento, che spesso soffrono della stessa inadeguatezza,
soprattutto quando si tratta di operare a livello internazionale; tanto più che oggi, il
prodotto esportato ha bisogno di un corredo di servizi e controlli che sono ormai
indispensabili per completare e rinforzare l’offerta.
Il grande distributore gode di ampie conoscenze relativamente ai mercati e
realizza il potenziamento del prodotto garantendogli visibilità nei punti vendita,
organizzando procedure di verifica della qualità, curando la comunicazione con il
consumatore. Per suo tramite il produttore viene a contatto con il mercato finale, ne
percepisce i cambiamenti, riceve suggerimenti per adattare il prodotto, il packaging
o gli eventuali servizi accessori. I vantaggi della relazione con il grande distributore
possono essere rilevanti proprio perché si tratta di un interlocutore collocato nella
fase del dettaglio, ultimo anello della catena a stretto contatto con il cliente finale.
Parallelamente, il fatto che la grande distribuzione organizzata sia attiva nella ricerca
dei propri fornitori bilancia la debolezza della piccola impresa anche relativamente
al mercato intermedio, dove si incontrano i primi clienti: il grande compratore
provvede, ai vari aspetti dello scambio, crea il contatto tramite i suoi buyer o i suoi
uffici acquisti, organizza la logistica e non di rado provvede a finanziare la
COSETTA PEPE
127
commessa. Si assume, di fatto, tutte le funzioni che nei canali tradizionali vengono
demandate ai distributori di livello intermedio (esportatori, importatori, grossisti). Al
piccolo fornitore è comunque richiesta una collaborazione attiva e “intelligente”,
una adeguata solidità finanziaria e gestionale, e una certa propensione
all’innovazione. Le competenze relative ai prodotti e ai processi tipiche delle piccole
imprese possono bilanciare la cultura prevalentemente orientata al mercato del
distributore e suggerire aspetti innovativi da combinare con le conoscenze del
cliente, in modo da anticipare la concorrenza. A parità di altre condizioni, il
distributore sceglierà i fornitori che sanno far proprie le dinamiche dell’innovazione
tecnologica non solo in campo produttivo, ma anche logistico e della
comunicazione, per informatizzare la filiera e razionalizzare il circuito, rendendolo
efficiente e tempestivo.
I piccoli fornitori possono quindi beneficiare della relazione con i grandi
distributori nei loro rapporti con i mercati esteri. I contatti avvengono con la sede
nazionale del gruppo, il quale poi commercializza il prodotto nella propria rete
internazionalizzata. La documentazione relativa ai distributori inglesi e francesi
testimonia come molti fornitori locali, prima utilizzati per adattare gli assortimenti
dei punti vendita alle consuetudini del territorio circostante, abbiano poi visto
valorizzati più diffusamente la tipicità dei loro prodotti nella rete nazionale e in
quella internazionale. Ma avviene anche che il supporto all’internazionalizzazione
delle piccole imprese nazionali vada al di là della distribuzione nella propria rete di
vendita, per diventare una vera e propria azione di promozione sui mercati esteri.
Carrefour - secondo gruppo della distribuzione al mondo - organizza missioni
all’estero per le PMI francesi e attraverso un proprio organismo, la SAFCA
(Structure d’Appui aux Fournisseurs Carrefour), ottiene per loro il sostegno
pubblico all’esportazione. Sempre in Francia, il gruppo Auchan promuove
l’espansione all’estero delle piccole e medie imprese grazie alla sua presenza in 12
paesi e ai servizi offerti da una società (Internazional Retail and Trade ServicesIRTS) detenuta al 50% con il gruppo Casino; scopo della società è quello di
sostenere la ricerca di sbocchi sui mercati esteri per le imprese che ne abbiano le
potenzialità, e di assistere allo stesso modo anche i piccoli fornitori esteri (Pepe,
2003).
6. Esigenze di controllo e di “tracciabilità”
Il maggiore coinvolgimento verso i clienti e verso l’ambiente, quello di origine
dei prodotti e quello di destinazione (interpretati a partire da bisogni anche non di
natura economica), apre nuovi spazi, ma contribuisce ad aumentare la complessità
delle relazioni con i fornitori e a rendere ancora più attuale la richiesta di controllo e
trasparenza lungo tutto il canale.
La duplice esigenza di rifornirsi da piccoli produttori e di controllare la filiera,
soprattutto nel caso di prodotti legati a determinati valori (biologici, etici, solidali,
etnici), pone non pochi problemi ai grandi gruppi della distribuzione mondiale,
128
IL DISTRETTO NEL RAPPORTO FRA PICCOLE IMPRESE E CANALI EVOLUTI
soprattutto in una fase che vede crescere la sensibilità dei consumatori e il potere
delle loro associazioni, aggravando il rischio di una perdita di immagine nel caso si
verificasse qualche incidente di percorso. Allo scopo, i grandi distributori si stanno
associando, anche a livello europeo, per fare indagini e scambiarsi informazioni sui
fornitori esteri - soprattutto se localizzati in paesi in via di sviluppo e in zone remote
- mettendo a punto procedure che garantiscono la rispondenza dei prodotti alle
specifiche richieste.
D’altra parte, per i piccoli fornitori, la richiesta di adattamenti di processo e
prodotto può essere anche molto impegnativa; così come l’adeguamento a sistemi di
controllo e procedure di certificazione che spesso si traducono nell’applicazione di
un “sistema qualità”, con l’individuazione di specifici standard e precise
responsabilità per tutti gli attori della filiera. Si parla, a questo proposito, di
“tracciabilità” del sistema, che consiste appunto nel mettere in atto procedure che
garantiscono la totale trasparenza del circuito di produzione e distribuzione.
Soprattutto in certi settori, infatti, è importante che le imprese facciano percepire al
consumatore i benefici che si possono ottenere da un sistema di produzione e
distribuzione ben orientato e coordinato, in grado di garantire i valori dichiarati e
capace di applicare correttivi o adattamenti.
La tracciabilità del sistema comporta un corretto monitoraggio della filiera in
tutte le sue fasi, in modo da poter di intervenire, se necessario, sulle cause di non
conformità, nonché sulla razionalizzazione dei flussi e dei costi di gestione. Le
norme ISO 9000 la definiscono come: “la capacità di poter ricostruire la storia e il
percorso di ciò che si sta considerando mediante identificazioni documentate” e
prescrive che “l’organizzazione, ove appropriato, deve identificare con mezzi
adeguati i prodotti lungo tutte le fasi della realizzazione”. Informazione,
organizzazione e standardizzazione sono quindi i presupposti di un sistema di
qualità tracciabile.
Esistono però molti vincoli alla sua realizzazione, riconducibili principalmente
alla difficoltà di gestire in maniera coordinata i flussi di materiali, garantendo una
gestione integrata tra gli operatori economici attraverso strategie di sviluppo
comuni. Operativamente, è necessario definire le informazioni che devono circolare
all’interno della filiera e predisporre gli strumenti tecnici e informatici utili alla loro
condivisione; si devono, inoltre, strutturare le relazioni fra tutte le imprese
appartenenti alla filiera tramite accordi formalizzati, concordando le modalità di
identificazione del prodotto e quelle di registrazione dei flussi materiali.
La necessità di un’ampia condivisione di standard e di procedure può, tuttavia,
comportare notevoli problemi per le imprese poco evolute, che non applicano
protocolli consolidati relativamente ai tempi e alle quantità/qualità prodotte e quindi
hanno difficoltà a raggiungere una soddisfacente livello di programmazione e di
costanza nelle performance. Inoltre, la realizzazione del coordinamento richiesto da
questi sistemi implica spesso innovazioni nei circuiti logistici e commerciali non
sempre alla portata dei fornitori minori, anche se la tendenziale diminuzione dei
costi delle tecnologie informatiche, che sono quelle che pesano maggiormente,
potrebbe essere di aiuto in tal senso.
COSETTA PEPE
129
Alle varie difficoltà enunciate si aggiunge, infine, il rischio del proliferare di
sistemi di rintracciabilità fra loro incompatibili, fattore che unito agli elevati costi di
implementazione della tracciabilità, comporterebbe per le imprese più deboli un
legame esclusivo con uno o pochi tracciati, e quindi con pochi clienti, aumentando
così i rischi impliciti in una forte dipendenza.
7. Grande distribuzione e internazionalizzazione
compatibilità e conflittualità
dei
distretti:
Lo sviluppo di canali evoluti e il coinvolgimento delle piccole imprese nei
rapporti con la grande distribuzione hanno indubbie implicazioni per i distretti di
appartenenza e per i loro processi di internazionalizzazione.
Non pochi distretti sono caratterizzati da produzioni destinate ad essere veicolate
dalla grande distribuzione organizzata: commesse frazionate per forniture di prodotti
di primo prezzo di prodotti di nicchia a marchio industriale o a marchio
commerciale, di prodotti locali o legati a particolari valori (equi, etici, biologici,
ecc.). Come abbiamo visto, il fenomeno è in costante evoluzione, soprattutto in
relazione alla varietà degli assortimenti delle grandi insegne e alle loro politiche di
prodotti a marchio proprio, con possibilità di coinvolgimento di piccole imprese
fornitrici.
Allo stato attuale delle cose, i rapporti fra distretto e grandi clienti sembrano
materia ancora poco analizzata e di natura potenzialmente contraddittoria: la
presenza congiunta di relazioni distrettuali e rapporti con grandi distributori può
generare complementarità - forse ancora poco sfruttate - ma anche ruoli sovrapposti,
a volte incompatibili o solo ridondanti, che possono però condizionare i meccanismi
delle economie distrettuali. Un confronto fra funzionalità della dimensione
distrettuale e ruolo del grande cliente (nel dare efficienza ed efficacia alla
produzione e distribuzione dei prodotti) rende possibile individuare aspetti virtuosi o
aspetti conflittuali.
Il sistema distrettuale, attraverso la divisione interna del lavoro raggiunge livelli
di economia di scala e di scopo che sono negati alle piccole imprese; la dimensione
distrettuale rende infatti maggiormente visibile l’offerta articolata del suo territorio,
centralizza servizi di varia natura, facilita il reperimento di risorse anche
immateriali, come l’acquisizione di know-how, consulenze, formazione. Le logiche
di funzionamento di un distretto coniugano in vario modo le grandi e le piccole
dimensioni: sono prevalentemente piccole le dimensioni delle imprese che formano
il tessuto distrettuale, ma ci possono essere imprese medio-grandi di riferimento per
quelle minori, loro subfornitrici. Il tessuto distrettuale è caratterizzato da network
interni che collegano più imprese, con reti più o meno formali, di differente
ampiezza e diversa durata.
Il fenomeno è dinamico, perché è lo stesso distretto a creare le condizioni per
nuove relazioni e per nuove forme di aggregazione. Quel che è valido in un periodo
può esaurirsi e decadere, superato dall’emergere di nuovi fattori che rompono le
130
IL DISTRETTO NEL RAPPORTO FRA PICCOLE IMPRESE E CANALI EVOLUTI
logiche degli equilibri preesistenti, sciolgono legami e partnership e introducono
elementi di instabilità, creando asimmetrie nelle dinamiche dei vari soggetti, ma
anche nuove occasioni di sviluppo per imprese e reti interne.
I processi di internazionalizzazione giocano in questo senso un ruolo importante.
La domanda dei mercati esteri ha mostrato l’esigenza di un recupero dimensionale
delle singole imprese, ma ha reso anche necessarie “forme di aggregazione”
all’interno del distretto che hanno dato corpo a una vera e propria integrazione come nel caso della costituzione di gruppi di imprese - oppure si sono tradotti in
esperienze di aggregazione formale, come i consorzi, o anche solo informali, come
le reti guidate da un’impresa capofila. Anche la delocalizzazione produttiva - come
abbiamo già osservato - è entrata in questi meccanismi come nuova opportunità o
minaccia, a seconda del tipo di distretto e di imprese coinvolte.
La coerenza del tessuto distrettuale e le economie in esso realizzabili sono
utilizzabili in varie direzioni: contatti con i clienti, servizi logistici, finanziamenti
alle imprese, innovazioni di prodotto e processo, procedure di verifica della qualità,
servizi ai prodotti, politiche di marchio, comunicazione al mercato finale, assistenza
nei contratti internazionali.
Date queste premesse, gli elementi di potenziale conflitto che sono impliciti nel
rapporto fra distretto e grandi clienti nascono dal fatto che la presenza del grande
distributore può diventare sostitutiva di quella del distretto, infatti il distributore può:
-
finanziare la commessa,
sollevare la piccola impresa fornitrice dalla ricerca clienti (dal momento che
sono i suoi uffici acquisti che cercano e selezionano i fornitori),
dare visibilità ai suoi elementi distintivi e facendole raggiungere quella nicchia di
mercato, anche transnazionale cui è destinata,
suggerire idee prodotto e modifiche a quelli esistenti, anche nei processi,
legare il fornitore a pratiche di controllo della qualità e di certificazione già
predisposte e sperimentate,
favorire e guidare i processi di sviluppo a livello internazionale.
Complessivamente, il grande cliente può rispondere alle esigenze di
collegamento e posizionamento sul mercato finale delle piccole imprese, di fatto
emancipandole dal contesto distrettuale.
Ma fra distretto e grande distribuzione ci possono essere anche delle
complementarietà, legate alle fragilità che sono tipiche del rapporto con i grandi
clienti:
-
dimensione dell’ordine,
esigenza di costanza nella qualità e quantità della fornitura,
rispetto dei tempi di consegna e tempestività,
pianificazione ed effettivo rientro dei prezzi pattuiti,
capacità di sostenere la forte concorrenza di altre piccole imprese, magari
appartenenti allo stesso distretto.
COSETTA PEPE
131
La struttura distrettuale può essere di aiuto, oltre che per le imprese, anche per il
grande cliente che sarà agevolato nella ricerca dei propri fornitori dalla presenza di
molte imprese in un territorio circoscritto. Nel caso di produzioni specializzate e
complementari, infatti, si sfrutta la sinergia fra le imprese distrettuali a tutto
vantaggio del grande distributore, che investendo in una stessa direzione e con
limitati costi relazionali potrà ricomporre un certa varietà di assortimento; ancor più
agevolmente se è presente un’impresa capofila, e cioè un organismo creato allo
scopo, che può diventare il fornitore di una unica commessa articolata.
L’omogeneità culturale che caratterizza l’ambito distrettuale sarà, inoltre, garanzia
di maggiore coordinamento ed efficienza nelle relazioni. Il distretto potrà
provvedere con proprie strutture di servizio a garantire gli opportuni strumenti di
controllo per soddisfare le esigenze di quantità, qualità, tempestività, omogeneità
delle forniture.
Il fatto che il distretto, e non una singola impresa, diventi soggetto attivo per
l’azione di vendita ed eventualmente di marketing per la produzione locale è già, in
alcuni casi, una realtà, soprattutto per quanto riguarda la conquista di particolari
mercati.
Alcuni distretti investono in strutture dedicate a una presenza più diretta sui
mercati esteri e nella realizzazione di marchi per rafforzare la propria visibilità. Ma
non c’è evidenza di un’azione del distretto nei confronti dei grandi clienti. In questo
senso la cultura del distretto sconta le carenze che sono diffuse nel suo territorio,
nelle imprese così come nelle istituzioni.
A questo proposito può suggerire spunti di riflessione una ricerca fatta in Francia
su piccole e medie imprese di successo - il 92% dichiara infatti una forte crescita del
proprio fatturato - in relazione alle politiche e strategie di marketing realizzate, sia in
generale che nei rapporti con la grande distribuzione. Si nota, innanzitutto,
un’incongruenza molto significativa: l’82% delle imprese intervistate dichiarano che
avere un marchio forte è un elemento determinante della politica di marketing,
tuttavia più del 60% non conosce poi il tasso di notorietà del proprio marchio.
Inoltre, la definizione di marketing cui si fa riferimento raccoglie una certa varietà di
concezioni, da quelle fortemente operative a quelle più strategiche, in relazione
diretta alla dimensione e al livello di strutturazione della funzione che solo nel 38%
dei casi vede l’esistenza di un responsabile marketing.
Gli obbiettivi delle strategie aziendali vengono espressi soprattutto in termini di
cifra di affari e di margini e sono invece assenti piani di marketing, con obiettivi di
quote di mercato, segmentazione, posizionamento.
Per queste imprese la grande distribuzione rappresenta mediamente più del 47%
della cifra di affari e non è detto che questo non incida sugli aspetti contraddittori
del loro comportamento. I risultati della ricerca mettono, comunque, in luce uno
scarto evidente tra le ambizioni delle piccole e medie imprese oggetto di indagine e i
mezzi investiti per raggiungere gli obbiettivi dichiarati: innovare, differenziare,
difendere il marchio, internazionalizzarsi.
Tale contraddizione sembra essere determinata oltre che da limiti nelle risorse
materiali, anche molto da carenze di natura culturale.
132
IL DISTRETTO NEL RAPPORTO FRA PICCOLE IMPRESE E CANALI EVOLUTI
Ci sembra di poter affermare che questi limiti valgono a maggior ragione per le
pmi italiane, la cui dimensione media tende ad essere decisamente inferiore a quella
delle pmi europee.
L’appartenenza a un distretto potrebbe tuttavia garantire un certa crescita, sia in
senso quantitativo che qualitativo, soprattutto nelle relazioni con i clienti. A questo
proposito è bene segnalare che la ricerca francese - realizzata nel 2000 - conclude
con una nota di ottimismo, affermando che proprio il doversi misurare con un
ambiente nazionale reso particolarmente evoluto dalla presenza della grande
distribuzione avrebbe dato alle pmi francesi un vantaggio competitivo rispetto alle
concorrenti di altri paesi, nel contesto europeo e non solo (Sécretariat d’Etat à
l’Industrie, 2000).
Il rischio è appunto quello che, da parte del distretto, oltre alle tradizionali
carenze sul fronte del marketing, ci sia anche una sottovalutazione o una eccessiva
diffidenza nei confronti dei grandi distributori, a causa degli elementi di
subordinazione che sono impliciti in tali relazioni - tali da penalizzare troppo
l’identità distrettuale - e anche per l’incapacità di cogliere le specificità di questi
clienti, il grado di cooperazione da loro richiesto e le potenzialità che potrebbero
essere sfruttate proprio a partire dalla dimensione distrettuale.
Il tema comporta quindi una nuova cultura delle relazioni e una riflessione che
va tarata sul singolo profilo del cliente: la ricerca di formule originali e
posizionamenti competitivi da parte delle grandi insegne rende infatti il rapporto con
questo tipo di interlocutore meritevole di uno studio mirato.
E’ indubbio, comunque, che quando un grande cliente richiede un mix di
prodotti e servizi complementari, con commesse di grosso calibro trova immediata
sintonia con la dimensione distrettuale.
Resta, invece, più ambiguo il ruolo del distretto nelle forniture di prodotti
omogenei, di primo prezzo o realizzati per il marchio commerciale secondo le
specifiche richieste del grande distributore con grandi commesse che vanno
frazionate su più fornitori minori. In questi casi il ruolo di un “mediatore”
distrettuale - sia esso un’impresa capofila o un organismo creato appositamente potrebbe risultare difficile, dal momento che in questo tipo di forniture il rapporto
fra impresa e cliente tende a essere particolarmente stretto e con un controllo diretto
da parte del committente.
Non è quindi escluso che il legame che si crea fra piccola impresa fornitrice e
grande cliente possa preludere a uno sganciamento dell’impresa stessa dalle
dinamiche interne al distretto.
Se la fornitura e i termini della relazione sono congeniali ad entrambi i
contraenti, si può innescare un processo di crescita dimensionale e qualitativa
dell’impresa fornitrice che tenderà a rendersi autonoma, sfruttando le capacità
acquisite anche verso altri clienti: le grandi catene non richiedono, infatti, l’esclusiva
nei rapporti, anzi dichiarano di auspicare di non essere i soli compratori, perché
questo assicura maggiore flessibilità e solidità ai fornitori minori e rappresenta una
garanzia per entrambi gli interlocutori (Pepe, 2005).
COSETTA PEPE
133
8. Osservazioni conclusive
Il rapporto con la grande distribuzione può diventare per la piccola impresa
l’occasione di una crescita che la sottrae gradualmente alla “cultura” distrettuale.
Nel rapporto con il grande cliente si possono condividere linguaggi, conoscenze,
procedure, innovazioni di processo e di prodotto, che aumentano l’autostima e la
voglia di crescere; gli investimenti in tecnologie di rete facilitano il coordinamento
nella filiera, favorendo la continuità della relazione e rendendo più agevoli anche i
processi di internazionalizzazione. Diminuiscono i rischi e gli investimenti necessari
alla penetrazione dei mercati internazionali, dal momento che vengono tarati su una
relazione specifica, nella quale anche il cliente investe, dando chiare indicazioni
sulle proprie esigenze e su quelle del mercato finale.
Un rapporto forte nel canale che colleghi l’impresa distrettuale ai mercati di
sbocco, coinvolgendola nelle strategie dettate dagli obbiettivi del grande cliente, può
indebolire il tessuto distrettuale allo stesso modo di quello di un’impresa che si
emancipa dal distretto spezzando le economie produttive interne per delocalizzarsi o
per rifornirsi fuori area.
Così come è rischioso compromettere il sistema delle economie produttive, allo
stesso modo deve preoccupare il consolidamento di rapporti con grandi clienti che
potrebbero incidere sugli equilibri esistenti e condizionare le politiche di mercato
che il distretto ha intenzione di realizzare. A meno che proprio il distretto non voglia
ricavarsi un ruolo nei confronti della grande distribuzione e rendere le economie
distrettuali un elemento di offerta congeniale alle sue esigenze.
Ma il problema delle contraddizioni interne al doppio sistema di relazioni creato dalla presenza congiunta di economie distrettuali e canali dominati dai grandi
clienti - esiste solo se il distretto si muove accentuando gli elementi di potenziale
contrasto piuttosto che gli aspetti di cooperazione.
Soprattutto in certi settori, la massiccia presenza di grande distribuzione
sconsiglia di fare scelte che prescindano dalle logiche di questi interlocutori e
indirizza verso politiche che solo nella dimensione distrettuale possono essere
realizzate a misura di grande cliente.
Si tratta, soprattutto, di preparare le imprese alla relazione con i clienti evoluti,
evitando una competizione interna sui prezzi e spingendo, invece, verso la
differenziazione dei prodotti, anche ispirandosi alle richieste in tal senso della
distribuzione, dando visibilità al distretto e alle imprese, educando ai sistemi qualità
e a quelli di tracciabilità, favorendo le innovazioni che sono richieste dalle relazioni
di canale e dai sistemi di controllo che queste comportano.
Alle iniziative dei grandi distributori, che si dicono sempre più interessati al
rapporto con il territorio e con le imprese locali, deve corrispondere un’attenzione
particolare verso questi interlocutori.
Il ruolo del distretto deve essere attivo ma discreto, e impegnato ad erogare
servizi mirati. La costituzione di organismi di diretta intermediazione da parte del
distretto può essere indicata per produzioni omogenee, molto identificate con il
territorio e con forti politiche di marchio a supporto; meno convincente per
134
IL DISTRETTO NEL RAPPORTO FRA PICCOLE IMPRESE E CANALI EVOLUTI
situazioni più complesse, dove la produzione del distretto si offre in modo più
flessibile e dinamico alle richieste del mercato; oppure in certe realtà relativamente
meno avanzate, dove sembra arduo trovare a livello di istituzioni centrali non tanto i
mezzi, quanto la giusta sensibilità che li renda validi interlocutori di soggetti evoluti
ed esigenti, e a volte perfino arroganti in virtù del loro forte potere contrattuale. Il
soggetto impresa perciò rimane fondamentale e centrale, anche di fronte alla
mediazione di un altro organismo o di un’altra impresa distrettuale.
Nei processi di internazionalizzazione, il “corredo” distrettuale può essere molto
utile, ma rimane l’onere per la singola impresa di crescere qualitativamente nella
gestione delle sue attività e delle relazioni.
La crescita dimensionale, nel caso delle imprese distrettuali italiane, è una
necessità ormai generalmente riconosciuta, a maggior ragione in presenza di una
varietà di interlocutori e ambienti di riferimento, che difficilmente possono essere
gestiti da una regia unica a livello distrettuale.
Il dosaggio di decisioni strategiche, politiche di marketing e investimenti
relazionali deve essere quindi equilibrato, intervenendo senza forzature sia a livello
di singola impresa che di aggregato distrettuale; nei rapporti con la grande
distribuzione è particolarmente importante una buona combinazione fra questi
elementi.
L’analisi dei processi di internazionalizzazione a monte e a valle della filiera - e
sul doppio fronte impresa-distretto - deve contribuire a indagare in tal senso e ad
aumentare la sensibilità dei vari attori verso tutti gli aspetti del fenomeno, cercando
risposte che vanno di volta in volta tarate sulle singole realtà.
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