scenario sanita` nazionale - Ordine dei Medici di Ferrara

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scenario sanita` nazionale - Ordine dei Medici di Ferrara
SCENARIO SANITA' NAZIONALE
Rassegna Stampa del 12 febbraio 2015
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INDICE
SCENARIO SANITA' NAZIONALE
12/02/2015 Corriere della Sera - Nazionale
Bip! Alzati e cammina
5
12/02/2015 Corriere della Sera - Milano
«Il Centro Tao non smobilita» Ma i pazienti «Ci lasciano soli»
7
12/02/2015 La Repubblica - Bari
Le case della salute? Chiuse e abbandonate "Qui manca tutto"
8
12/02/2015 La Repubblica - Genova
Gsl, la sanità ligure contro le fughe dei pazienti
10
12/02/2015 La Repubblica - Milano
Valzer di manager, si rinnova il sistema costruito da Formigoni
11
12/02/2015 La Repubblica - Napoli
Morì dopo 3 operazioni, processo per sei medici
12
12/02/2015 La Repubblica - Torino
Ancora troppe Asl in Piemonte Ridurle si può
13
12/02/2015 La Repubblica - Torino
Il blitz dell'assessore Saitta a sorpresa all'ospedale di Lanzo
14
12/02/2015 La Stampa - Torino
Un farmaco in aiuto di chi ha bisogno
15
12/02/2015 La Stampa - Torino
Buone notizie per Lanzo Nubi nere su Moncalieri
16
12/02/2015 Il Messaggero - Nazionale
Sanità, per gli immigrati è allarme prevenzione tumori
17
12/02/2015 Il Messaggero - Ancona
Rianimazioni al collasso E' la seconda volta nell'arco di un mese
18
12/02/2015 Avvenire - Nazionale
Vite «indesiderate», l'Oms prescrive contraccettivi
19
12/02/2015 Avvenire - Nazionale
Sardegna, malati di Sla ancora pronti allo sciopero
20
12/02/2015 QN - Il Giorno - Milano
Rabbia nell'ospedale labirintoLa Fials: si rischia dentro e fuori
21
12/02/2015 Il Secolo XIX - Genova
«Dimettete i pazienti e liberate letti »
22
12/02/2015 ItaliaOggi
Bocciata la sanità pugliese E Vendola assume 1.752 persone
24
12/02/2015 MF - Nazionale
I cinesi invecchiano. E la sanità diventa un ricco business
25
12/02/2015 Famiglia Cristiana
VACCINI Sì VACCINI NO LA VERITÀ DELLA SCIENZA
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12/02/2015 Famiglia Cristiana
SE IN EUROPA NON È COSI RARO AVERE UNA MALATTIA RARA
27
12/02/2015 Panorama
I figli venuti dal futuro
28
12/02/2015 Panorama
In difficoltà eravamo noi, non lui
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11/02/2015 Vita
Ricostruiamo la buona vita con i malati di tumore
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SCENARIO SANITA' NAZIONALE
23 articoli
12/02/2015
Corriere della Sera
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(diffusione:619980, tiratura:779916)
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Bip! Alzati e cammina
Ecco l'orologio per fare moto ogni 60 minuti I grandi della tecnologia puntano sulla salute
Massimo Gaggi
NEW YORK Una mela al giorno toglie il medico di torno. Chi ha coniato questo proverbio mai avrebbe
immaginato che una mela con la M maiuscola, la Apple, avrebbe cercato di mettere alla porta il medico,
sostituito da iPhone, apps e sensori che effettuano un monitoraggio continuo dello stato di salute, inviano i
dati a strutture sanitarie di controllo, organizzano consulti a distanza (e low cost ) via web coi propri specialisti
attraverso sistemi come HealthKit. Una finestra sulla rivoluzione della medicina che è ormai alle porte l'ha
aperta l'altra sera il capo della Apple, Tim Cook, che, illustrando durante una conferenza sulle nuove
tecnologie le caratteristiche dell'Apple Watch che verrà lanciato ad aprile, ha spiegato che il computer da
polso, oltre a misurare coi suoi sensori i nostri battiti cardiaci e la pressione del sangue, ci dirà anche quando
alzarci e camminare un po' perché stiamo seduti da troppo tempo: «Dieci minuti prima dell'ora vi ricorderà di
muovervi», ha detto affermando come per molti medici la sedentarietà sia il nuovo cancro.
Nell'annuncio di Cook non c'è nulla di rivoluzionario: gli «smart band», i braccialetti per il «fitness» che
misurano l'attività fisica esistono da anni così come le app che fanno suonare il telefonino quando hai fatto i
cinque o diecimila passi previsti dalla tua «dieta motoria» quotidiana. E, con la moltiplicazione dei sensori a
basso costo e delle applicazioni per la sanità, la telemedicina, che per molti anni è stata solo una parolaslogan, comincia a diventare un pezzo importante del nostro modo di curarci. A muoversi per primi sono stati
altri giganti come Amazon, attiva soprattutto sul fronte della genomica, e Google: l'azienda ha le sue
applicazioni mediche come Google Fit, ha messo a punto una lente a contatto per il controllo del diabete
grazie a un sensore che misura la glicemia nel sangue e ora sta aggiungendo al suo motore di ricerca una
funzione che consente di sapere quali sono i sintomi, le cure, ma anche la pericolosità e la diffusione di una
malattia che, stando ai sensori, si teme di avere.
Anche se non è la prima a muoversi, però, Apple potrebbe essere un «game changer» com'è successo con
l'iPad che ha trasformato il «tablet» da deprimente «flop» di Sony, Microsoft e altri, in un successo mondiale
che ha rivoluzionato il modo di leggere. I bracciali per il fitness usati con entusiasmo due anni fa, oggi spesso
restano sul comodino. Con lo «smartwatch» di Cupertino le cose potrebbero andare diversamente perché la
Apple, oltre a creare oggetti dal design accattivante, ha la capacità di creare strumenti relativamente semplici
da usare, che si integrano bene con le nuove app.
E qui si fatica a tenere il passo delle innovazioni sfornate a getto continuo: dalla Theranos, capace di
effettuare un'analisi del sangue completa (a volte con apparecchi a domicilio), con una sola goccia prelevata
da un capillare, a «Scout» un misuratore personale prodotto in Silicon Valley dalla Scanadu che, oltre a
pressione e battiti, misura ossigeno nel sangue, temperatura e traccia un elettrocardiogramma. Passando per
gli accessori dell'iPhone che consentono di esaminare gola, orecchie e retina o Cue, minilaboratorio che
scopre patologie esaminando saliva e mucose nasali.
Diventeremo tutti medici «fai da te»? I produttori di nuovi dispositivi riconoscono che la tecnologia non può
sostituire il medico. E invitano i loro clienti a usare i dati ottenuti per presentarsi meglio a loro. Ma tutto questo
è destinato a cambiare il rapporto paziente-medico. Se non altro perché molti consulti si faranno a distanza in
video. Non in un futuro remoto: le video-visite sono già realtà. Rapide e molto meno costose di quelle
«fisiche» (che restano per i casi più seri). Le tecnologie ormai ci sono. Si tratta di creare un sistema ordinato
e controllare l'affidabilità degli apparecchi di monitoraggio via «smartphone».
Ma la partita è iniziata: l'agenzia Reuters ha chiamato i 23 maggiori ospedali Usa scoprendo che 14 stanno
già sperimentando il servizio HealtKit che Apple ha appena messo a disposizione dei pazienti.
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Corriere della Sera
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© RIPRODUZIONE RISERVATA
ILLUSTRAZIONE DI GUIDO ROSA
I casi
Scanadu Scout è più piccolo di un mouse: basta fare una scansione
sulla fronte
e collegarlo allo smartphone per misurare pressione
del sangue, temperatura, livelli
di ossigeno, ritmo cardiaco e respiratorio SmartBand
è il braccialetto «intelligente» che registra
le attività fisiche di chi
lo indossa iMove
è il sensore
che serve per monitorare
i valori della glicemia
a distanza, soprattutto
per permettere ai genitori
di controllare
i bambini.
Il sensore trasmette
ogni cinque minuti i valori del sangue registrati attraverso
un portale web cui è collegato Theranos ha messo a punto un sistema
di analisi
del sangue completo (a domicilio) con una sola goccia prelevata
da un capillare
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Corriere della Sera - Ed. milano
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Al San Gerardo
«Il Centro Tao non smobilita» Ma i pazienti «Ci lasciano soli»
Rosella Redaelli
MONZA «Non lasceremo per strada nessun paziente». Dopo l'annuncio di chiusura del Centro Tao (Terapie
anticoagulanti orali) del San Gerardo, il direttore della Asl di Monza e Brianza Matteo Stocco chiarisce:
«Stiamo discutendo un accordo con i 530 medici di medicina generale di Monza e Brianza che firmeremo
entro questo mese. I pazienti stabili non saranno più seguiti in ospedale, ma dal proprio medico di famiglia
che, in base agli esami, prescriverà la terapia farmacologica». Fino ad oggi 3.700 pazienti si rivolgevano al
centro all'interno dell'ospedale, dove potevano eseguire i prelievi e ricevere risultati e terapie via mail o fax al
proprio domicilio. «Il nostro obiettivo - spiega Carlo Maria Teruzzi, presidente dell'Ordine dei medici - è quello
di facilitare la vita ai pazienti e faremo in modo che possano trovare lo stesso livello di assistenza dal proprio
medico». Per Giovanni Anchieri, presidente dell'associazione dei malati, i dubbi restano: «Quello che
temevamo si sta verificando: ogni giorno dai 30 ai 40 vengono invitati con una lettera a rivolgersi al proprio
medico curante. È una scelta inaccettabile che non tutela i pazienti e li getta nel panico».
© RIPRODUZIONE RISERVATA E' inoltre un peccato perdere un centro unico di grande livello, soprattutto
perché alcuni medici di medicina generale non sono ancora attrezzati per poter prescrivere la terapia".
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La Repubblica - Ed. bari
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Sanità
Le case della salute? Chiuse e abbandonate "Qui manca tutto"
Sono dodici strutture. Avrebbero dovuto sostituire gli ospedali soppressi. Scatta la denuncia della Cgil "Le
criticità ci sono, ma non sono insormontabili. Entro la fine di febbraio sapremo quante risorse serviranno per
rimetterle in sesto"
ANTONELLO CASSANO
ILSIMBOLO dell'attuale sconfitta della medicina territoriale, quel modello sanitario che si affidaa strutture
ambulatorialie case della salute per decongestionare l'afflusso di pazienti negli ospedali, si trova a
Casamassima. Qui c'è un poliambulatorio nuovo di zecca, ricavato all'interno del vecchio ospedale di paese
per un costo di 2,9 milioni di euro, con all'interno guardia medica, piccolo pronto soccorso, postazione 118,
consultorio, centro prelievi e centro riabilitazione, inaugurato nel 2011. Peccato che a tre anni di distanza
quella che potrebbe rappresentare la prima Casa della salute pugliese è ancora chiusa. Il motivo? Non ci
sono medici di medicina generale disposti a occuparla.
Il poliambulatorio di Casamassima è solo uno dei 12 ex ospedali dell'Asl Bari, chiusi nel 2011 con il piano di
rientro, che avrebbero dovuto trasformarsi in presidi ambulatoriali aperti tutto il giorno (h24) sul territorio. Si
trovano a Bitonto, Santeramo in Colle, Grumo Appula, Rutigliano, Noci, Conversano e Castellana Grotte. A
questi si aggiungono la vecchia sede del distretto numero 7 di via Fani a Bari, l'ex struttura ospedaliera di
Acquaviva delle Fonti e tre Rsa a Sannicando, Poggiorsini e Noicattaro.
Qualcosa, però, è andato storto, visto che, ad oggi, buona parte di queste strutture sono chiuse e
abbandonate per mancanza di personale o per ritardi sui lavori di ristrutturazione. Tutto questo con buona
pace della decongestione degli ospedali, sempre più affollati. Sono questi i dati che emergono da uno
sconfortante report messo a punto dalla Cgil e presentato ieri mattina al Policlinico di Bari nel corso del
convegno "Medicina territoriale: proposte per l'efficientamento nella sanità". A Bitonto e a Rutigliano - è scritto
nel dossier realizzato da Antonio Scanni, responsabile della task force delle politiche sociali nella Cgil Bari - i
lavori sono ancora in corso. Nell'ex ospedale di Ruvo si è messo mano solo al sistema antincendio. Va
peggio a Noci, dove i lavori non sono mai cominciati e la struttura è in stato di abbandono. Stessa situazione
a Gioia del Colle e Grumo Appula. L'unica struttura che non presenta problemi è quella di Conversano, dove
si sta pensando di realizzare la Casa della Salute. È lo stesso report della Cgil a indicare il poliambulatorio di
Casamassima come esempio negativo per eccellenza, mentre sulla Casa della salute di Castellana pende un
grosso punto interrogativo. La conseprio su Casamassima, il direttore generale dell'Asl Bari, Vito Montanaro,
promette novità: «Quella struttura sarà oggetto entro pochissimi giorni di apposito incontro a cui parteciperà
anche l'assessore regionale alla Sanità, Donato Pentassuglia. Confidiamo nella possibilità che 7 medici
possano trasferirsi in quelle stanze. In caso contrario pensiamo di trasferire in nella struttura degli uffici al
momento allocati in altre sedi». Montanaro, però, non nasconde i problemi: «Le criticità ci sono, ma non sono
insormontabili. Entro la fine di febbraio sapremo, grosso modo, quante risorse serviranno per rimettere in
sesto le strutture».
gna era prevista a gennaio di quest'anno, ma ad oggi i lavori sono ancora in corso. La musica non cambia
molto neanchea Noicattaro (aperto solo il Cup), Sannicandro (attivo solo il 118 e in stato di abbandono)e
nella ex sede Asl di via Fani a Bari. Tutte le 12 strutture sono accomunate da una cronica carenza di
personale. «L'Emilia Romagna può contare su 120 case della salute- dice Antonio Scanni della Cgil - la
Puglia, invece, ne conta una sola, quella di Casamassima, ancora chiusa. Mancano i finanziamenti e c'è
bisogno di un impegno maggiore, altrimenti non risolveremo mai il problema della deospedalizzazione». Ma
pro- ACQUAVIVA Più complessa la situazione ad Acquaviva. L'ex ospedale del paese dovrà essere
concesso dal Comune all'Asl GRUMO Nell'ex ospedale di Grumo una palazzina che ospitava uffici dovrà
essere ristrutturata. Ma attualmente mancano i soldi BITONTO In corso i lavori di ristrutturazione dell'ex
ospedale di Bitonto. Il bando di gara risale a giugno 2014. Occorre un potenziamento del poliambulatorio I
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La Repubblica - Ed. bari
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LUOGHI
Foto: PROBLEMI Irrisolti i problemi dei 12 ex ospedali dell'Asl Bari, chiusi nel 2011 con il piano di rientro
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La Repubblica - Ed. genova
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Gsl, la sanità ligure contro le fughe dei pazienti
Il modello sperimentale, un misto di pubblico e privato, è nato ad Albenga nell'ospedale Santa Maria di
Misericordia
BETTINA BUSH
NEL 2011 parte Gsl, Gruppo Sanitario Ligure, un progetto ambizioso per limitare le fughe in altre regioni di
pazienti di ortopedia che preferivano puntare su strutture più competitive, spesso istituti privati accreditati, e
per seguire il loro chirurgo di fiducia, alla fine un costo non indifferente per la Regione Liguria.
Il modello sperimentale, un misto di pubblico e privato, nasce ad Albenga nell'Ospedale Santa Maria di
Misericordia con obiettivi ben precisi: "Il progetto redatto dalla Asl cercava un soggetto privato che
trasformasse un'ala dell'ospedale in un reparto di ortopedia - spiega Alessio Albani, presidente di Gsl - poi
dopo la struttura bisognava pensare alle persone, a reclutare chirurghi di alto livello, per mantenere in Liguria
i pazienti. In Liguria abbiamo avuto due grandi scuole di ortopedia, un'ottima tradizione che non andava persa
".
Far dialogare pubblicoe privato nonè sempre facile. All'inizio le difficoltà maggiori? «Siamo partiti con un
investimento di un milione e 800 mila euro, abbiamo fatto due sale operatorie, per cominciare abbiamo
reclutato oltre una decina di eccellenti ortopedici. Ricordo ancora il primo giorno di interventi, 8 per la
precisione, soprattutto protesi all'anca e al ginocchio, con l'ansia della grande prova generale. Le difficoltà
maggiori sono state di dover avviare velocemente una macchina complessa, siamo partiti con un'ottima
squadra, con 18 posti letti, adesso siamo arrivatia 50,e abbiamo 65 dipendenti a tempo indeterminato».
Traguardi faticosi? «Per la qualità abbiamo ottenuto la certificazione Joint Commission International, e in
Italia è stata assegnata solo a 5 o 6 strutture. Per quello che riguarda i numeri, già nel primo anno di attività
abbiamo raggiunto gli obiettivi del terzo». La sanità, soprattutto in Liguria sta passando momenti difficili,
anche voi ne avete risentito? «Nel 2014 abbiamo passato un paio di mesi in cui crescevamo con ritmi intensi,
eravamo molto esposti, tutto stava andando molto bene, ma i pagamenti ritardavano ad arrivare solo per
questioni burocratiche».
Ci può spiegare esattamente il ruolo di Gruppo Sanitario Ligure? «Noi siamo una società privata che fa
prestazione chirurgiche per il pubblico, ogni aspetto del nostro lavoro viene continuamente controllato da un
funzionario pubblico, e questo rappresenta la massima trasparenza per l'utenza, sicurezza sulla parte
medica, che non sempre il paziente riesce a seguire fino in fondo, essendo molto tecnica».
Il 2014 è stato il terzo anno di Gsl. I vostri numeri? «Nel 2014 abbiamo fatto 2.800 interventi, abbiamo oltre
25 chirurghi eccellenti; nel primo primo anno, il 2012, abbiamo fatturato 7 milioni di euro, nel 2013 ben 10
milioni, e nel 2014 12 milioni e 500 mila, con margini del 3%».
Riuscite a fare utili e a far risparmiare la Regione, come fate a esser competitivi? «Facciamo grandi numeri
grazie all'ottima organizzazione del lavoro. Poi riusciamo a fare buone trattative sul prezzo degli impianti,
visto i grandi quantitativi che acquistiamo».
Tra le caratteristiche di Gsl? «Aver cercato di sviluppare l'accoglienza della struttura delle camere e delle
parti comuni con un apporto artistico, con pareti serigrafate che raccontano la bellezza del nostro territorio per
unire cura del corpo e dell'anima».
I prossimi obiettivi? «Siamo nati per contenere una fuga, adesso vogliamo diventare una struttura in grado di
attirare pazienti da altre regioni e in futuro anche dall'estero grazie alla certificazione internazionale Joint
Commission». © RIPRODUZIONE RISERVATA
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 12/02/2015
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L'INTERVISTA
12/02/2015
La Repubblica - Ed. milano
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(diffusione:556325, tiratura:710716)
Valzer di manager, si rinnova il sistema costruito da Formigoni
In ballo cariche importanti come quella di dirigente dell'Asl di Milano Un terzo dei direttori generali nei
prossimi mesi lasceranno l'incarico
IN BALLO ci sono poltrone importanti. Come quella da direttore dell'Asl di Milano, oggi occupata da Walter
Locatelli, nominato nel dicembre 2010 ma in pensione già da qualche anno. O quelle che oggi sono di
Amedeo Amadeo, dg del Bolognini di Seriate, e di Carla Dotti, alla guida dell'ospedale di Legnano. Sono
almeno un terzoi direttori generali che nei prossimi mesi dovranno lasciare l'incarico. Visto che rientrano tra i
soggetti «collocati in quiescienza», come recita la circolare emanata dal ministero della Pubblica
amministrazione il 4 dicembre. Ovvero, sono in pensione,e per questo non potranno essere rinominati alla
scadenza del contratto.
La circolare prevede che i pensionati non possano avere «incarichi dirigenziali o direttivi», ma solo contratti
di consulenza, gratuiti e massimo per un anno. E se la scadenza dei manager sanitari lombardi è fine 2015,
gli effetti del provvedimento già oggi si fanno sentire. Come all'Istituto nazionale dei tumori, dove nel giro di
poco hanno lasciato sia il direttore scientifico sia quello generale, entrambi pensionati.
Il primo, Marco Pierotti, ha lasciato in autunno, in anticipo di un anno e cogliendo l'occasione di un incarico
nel privato. La sua ex posizione per ora è occupata ad interim, in attesa che il ministero ne individui il
successore definitivo. Il dg dell'Istituto, Gerolamo Corno, ha invece presentato le dimissioni a gennaio. Entro
fine mese la Regione dovrà nominare il sostituto.
Dove invece si è deciso subito è stato il Policlinico di Milano, il cui direttore amministrativo, Osvaldo Basilico,
ha dovuto lasciare a inizio mese, per il raggiungimento della pensione.
Per lui via Sforza aveva chiesto alla Regione di fare un'eccezione, mantenendolo in carica fino a fine anno,
anche se a titolo gratuito. Dopo il no della Regione, il Policlinico ha fatto un contratto di consulenza a Basilico
(che lavorerà gratis fino a fine 2015), e nominato un sostituto, Francesca Laura Fancelli.
Tra coloro che potrebbero essere soggetti alla circolare del ministero, ci sarebbero anche Pasquale
Cannatelli, oggi dg del Sacco e per oltre dieci anni guida del Niguarda. E poi Mauro Lovisari (ospedale di
Lecco) e Paolo Moroni (ospedale di Melegnano), negli ultimi mesi coinvolti nell'inchiesta sugli appalti negli
ospedali. Una matassa tutta da sbrogliare, insomma. Ma che consente alla giunta Maroni di rinnovare quel
parterre di manager ereditato da Formigoni e finora rimasto pressoché invariato. Un problema che potrebbe
risolversi anche con l'approvazione, liti tra i partiti permettendo, della riforma della sanità.
Che, se andrà in porto, dovrebbe ridurre di molto i manager, con risparmi per quasi 80 milioni.
(alessandra corica) © RIPRODUZIONE RISERVATA
Foto: IN BILICO Il direttore attuale è Walter Locatelli, nominato nel dicembre 2010 ma in pensione da qualche
anno
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IL CASO/ LE POLTRONE DELLA SANITÀ
12/02/2015
La Repubblica - Ed. napoli
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(diffusione:556325, tiratura:710716)
Morì dopo 3 operazioni, processo per sei medici
La morte di Elena Trepiccione dopo gli interventi a utero e intestino
(irene de arcangelis)
TRE interventi chirurgici, la diagnosi di un tumore maligno. La paziente muore, e il suo era un tumore
benigno. Errori medici e chirurgici, incompetenza, confusione, la beffa del sistema sanità che diventa una
condanna. Una lunga catena di carenze professionali uccide una donna di sessantanove anni il cui unico
problema era una fibromatosi uterina. Suo figlio, poliziotto napoletano, racconta tutto nella sua denuncia e ieri
il gup del tribunale di Santa Maria Capua Vetere rinvia a giudizio sei medici. Per tutti l'accusa è omicidio
colposo. Alla sbarra il prossimo 28 maggio saranno Francesco Lopez, ginecologo della signora, e i chirurghi
Antonietta Esposito, Antimo Di Monaco, Andrea Tartaglione, Marco Maria Crescenzo Muto e Michele
Scapaticci.
L'inizio dell'incubo risale al marzo 2012, quando Elena Trepiccione, dopo una visita specialistica, viene a
sapere dal suo medico di fiducia Lopez di avere un polipo alla cervice dell'utero che viene asportato quattro
giorni dopo in day hospital nella clinica Santa Maria della Salute di Santa Maria Capua Vetere.
Ma in seguito all'esame istologico risulta che la donna ha un adenocarcinoma all'utero, tumore maligno che
deve essere subito asportato. Secondo intervento, i medici rassicurano i familiari, ma la paziente ha fortissimi
dolori all'addome. La Tac svela che l'intestino della donna è perforato in più punti, c'è la peritonite, inevitabile
il terzo intervento. Alla paziente vengono tolti trentacinque centimetri di intestino. I parenti vengono di nuovo
tranquillizzati dai medici, ma la signora Trepiccione sta sempre peggio. Resta in Rianimazione per trentasei
giorni, la sua agonia dura quarantotto ore prima della morte. Intanto il figlio Giovanni ha già sporto denuncia
contro i medici. Dopo la morte della paziente, le indagini medico legali confermeranno le perforazioni
all'intestino e, soprattutto, la diagnosi sbagliata. Non era necessario operare la paziente d'urgenza (la
seconda volta): il suo era un tumore benigno e non maligno.
Foto: LA CLINICA La clinica Santa Maria della Salute di Santa Maria Capua Vetere
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 12/02/2015
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SANTA MARIA CAPUA VETERE
12/02/2015
La Repubblica - Ed. torino
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(diffusione:556325, tiratura:710716)
Ancora troppe Asl in Piemonte Ridurle si può
STEFANO LEPRI*
UNA delle ragioni della spesa nella sanità piemontese risiede nel numero eccessivo di Asl e Aso.
Pur avendole già ridotte anni fa, sono ancora troppe e operano spesso come principati autonomi. Facile
intuire che ciò moltiplica le strutture, la burocrazia e quindi la spesa inutile, che potrebbe essere convertita
per servizi oppure per nuove assunzioni. Se si vuole fare di più, si discuta sulla possibilità (anche a lungo
termine) di eliminare le Aso, senza diminuire il ruolo di quegli ospedali. Nell'attuale Piano Sanitario essi sono
infatti considerati di alta complessità e di riferimento per una certa area vasta; non viè quindi alcun rischio di
un loro svilimento, se non nominalistico, nel caso si decida che diventino parte di una Asl. Ciò permetterebbe
di evitare la conflittualità latente tra Aso e Asl e l'intreccio costoso che ne deriva. L'obiettivo, pur ovviamente
restando la libertà di scelta, sarebbe di ridurre la mobilità fuori Asl, potendo il cittadino trovare all'interno la
gran parte delle prestazioni, così da abbattere le procedure amministrative. Secondo obiettivo: andare verso
un finanziamento per quota capitaria, pur corretto, superando il criterio di riparto anche basato sulla spesa
storica.
Queste soluzioni consentirebbero anche una riduzione della linea di comando e un governo più snello tra
Assessorato e Aziende, senza tuttavia un accentramento eccessivo. A ciascuna delle nuove Asl potrebbero
restare gli acquisti non centralizzati, un solo magazzino e molte le altre funzioni.
Insegnamento e ricerca possono essere esercitati su più presidi ospedalieri o servizi di territorio, così come
già avviene in altre regionie in parte anche già in Piemonte. In questa prospettiva - ma è necessario l'assenso
delle Università - possono bastare, insieme al superamento delle Aso, due sole Aziende Ospedaliere
Universitarie (Aou) per tutta la regione, a cui far afferire le sole strutture dedicate alla didattica, alla ricerca,
nonché le poche specializzazioni di altissima complessità con rilievo regionale che non possono essere
assicurate in ogni Asl o area vasta. Queste Aou regionali sarebbero direttamente finanziate dalla Regione,
prescindendo dai riparti per popolazione. Resta la questione della città di Torino e della sua provincia.
In alternativa alla fusione tra le due Asl cittadine e se teniamo conto del numero di abitanti, della gerarchia
degli ospedali e dei flussi di mobilità verso quelli di alta complessità, quasi tutti presenti nella città capoluogo,
può discutersi anche una proposta più radicale: suddividere la provincia, e quindi anche la città, in "spicchi" e
relative Asl. Tale soluzione contrasta con l'esigenza di garantire servizi sociosanitari e territoriali omogenei
per tutti i cittadini della metropoli, anche legati alla particolare condizione di deprivazione e solitudine che
caratterizza un'ampia fascia della sua popolazione. Questa esigenza potrebbe tuttavia essere perseguita
prevedendo per legge un coordinamento stabile anche con la presenza riconosciuta del Comune di Torino e,
ad un secondo livello, della Città metropolitana. Ho prefigurato dunque diverse ipotesi, da quelle più soft ad
altre più drastiche. Si tratta di decisioni che il Consiglio regionale può prendere anche prima della nomina dei
nuovi direttori generali; ma che potrebbero anche essere raggiunte entro un triennio, quindi da considerare
come orientamento di lungo periodo del prossimo Piano sanitario e da costruire tuttavia fin da subito, specie
attraverso gli atti aziendali. Sono scelte che trovano non pochi ostacoli e opposizioni, ma che - e ciò è
essenziale - avrebbero il vantaggio di liberare risorse per servizi veri, specialmente sul territorio e a domicilio,
che oggi mancano o rischiano di venire meno. SENATORE PD
Foto: ASL TO 1 L'asl To 1 è stata nei giorni scorsi al centro dell'ennesimo scandalo per un posto di psichiatra
assegnato alla figlia di un dirigente INVITATO Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella era stato
invitato al concerto di questa sera
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 12/02/2015
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L'INTERVENTO/1
12/02/2015
La Repubblica - Ed. torino
Pag. 4
(diffusione:556325, tiratura:710716)
Il blitz dell'assessore Saitta a sorpresa all'ospedale di Lanzo
E conferma: "La struttura non sarà ridimensionata" Moncalieri annuncia ricorso per l'emodinamica Forse non
ci sarà più il nome, perché Roma non lo consente, ma i servizi resteranno identici
MARIACHIARA GIACOSA
VENT' ANNI fa, il ministro della salute, Raffaele Costa, inaugurò la stagione dei blitz negli ospedali. Ieri l'ha
imitato l'assessore regionale Antonio Saitta che, in vista dell'incontro organizzato oggi a Lanzo per la
conferenza dei sindaci sul futuro dell'ospedale e la riorganizzazione della rete, ha preferito presentarsi nella
struttura a sorpresa, con un giorno d'anticipo. Una telefonata dall'auto al direttore generale dell'azienda
sanitaria e dopo pochi minuti è partita "l'ispezione". L'obiettivo? Vedere reparti, medici e infermieri al lavoro in
un giorno qualsiasi e senza il preavviso di una visita ufficiale.
Assessore e staff hanno visitato la nuova ala che a breve aprirà al secondo piano della struttura, con 20 posti
letto di continuità assistenziale, l'hospice (il primo aperto in Piemonte), il day hospital oncologico che ogni
anno prende in carico 600 pazienti e il servizio dedicato ai disturbi alimentari da poco trasferito da Cirièa
Lanzo, con 390 famiglie in carico e 10 nuovi accessi al mese.
Alla fine è arrivato il verdetto, che è la conferma di quanto da settimane l'assessore va ripetendo: «Lanzo
non perderà nessuna delle sue attuali offerte sanitarie - dice Saitta - Oggi ho visto funzionare l'ospedale, una
struttura accogliente e pienamente operativa, ho conosciuto medici e infermieri preparati, ma soprattutto
motivati, in un clima positivo per l'utenza». Il futuro della struttura passa, però, dalla collaborazione con
l'ospedale di Ciriè, seconda tappa del blitz di Saitta. «Sono due strutture complementari e devono esserlo
sempre di più per consentire alla Regione di superare i vincoli stringenti dei parametri nazionali, e soprattutto
perché non si tratta di doppioni, ma di strutture integrate tra loro» ribadisce Saitta che oggi proverà a spiegare
questa soluzione anche ai cittadini del comitato che hanno raccolto oltre6 mila firme e che lo aspettano alle
11 davanti all'ingresso dell'ospedale. «Forse non ci sarà più il nome, perché il tavolo romano non lo consente,
ma i servizi resteranno e Lanzo sarà nei fatti una dependance di Ciriè, in nome di una collaborazione che in
gran parte c'è già» è il messaggio che però non convince, per ora, né i cittadini né l'opposizione. Il consigliere
Gian Luca Vignale di Forza Italia ribadisce la richiesta di modifica della delibera sulla riorganizzazione della
rete ospedaliera «che preveda l'inserimento di Lanzo insieme a Ciriè, in modo che ci sia la garanzia scritta
che quell'ospedale non sarà chiuso. Altrimenti - attacca - sono solo parole».
Ieri Saitta ha anche incontrato i sindaci della zona Sud ella provincai di Torino guidati dal primo cittadino di
Nichelino Angelino Riggio che ha annunciato di voler presentare ricorso contro la decisione di abolire
l'emodinamica a Moncalieri ma ha anche fatto sapere che piuttosto di avere tre ospedali sparsi Moncalieri,
Carmagnola, Chieri, preferirebbe averne uno unico.
SU INTERNET Altre notizie di cronaca sul sito torino.repubblica.it
Foto: LE PROTESTE L'ospedale di Lanzo è al centro delle proteste dei cittadini che temono venga
ridimensionato nell'ambito della ristrutturazione della rete sanitaria piemontese avviata dalla giunta
Chiamparino
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 12/02/2015
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Pianeta sanità
12/02/2015
La Stampa - Ed. torino
Pag. 39
(diffusione:309253, tiratura:418328)
Nadia Ferrigo
Una medicina per chi non se la può permettere. Sabato in più di 200 farmacie nella provincia di Torino si
potranno acquistare e donare farmaci da banco destinati a 51 enti del territorio - tra cui Sermig, Camminare
Insieme, gruppo Abele e Caritas - che come ogni anno provvederanno a distribuirli ai loro sempre più
numerosi assistiti. Anno dopo anno crescono sia le farmacie coinvolte nell'iniziativa che i medicinali raccolti,
ma anche le famiglie che non possono pagarsi le cure mediche. I dati sulla povertà sono in crescita, e tra il
2013 e il 2014 l'aumento di richieste dei farmaci è di oltre il 5 per cento, contro una media nazionale che
sfiora l'1 per cento.
«Nel 2010 le famiglie italiane erano solo una minima parte dei nostri assistiti - commenta Mariapia Bronzino,
responsabile dell'ambulatorio medico del Sermig -, oggi sono quadruplicati. E per le visite odontoiatriche
siamo arrivati alla metà». In occasione del Banco farmaceutico dello scorso anno sono state raccolte più di
25mila confezioni per un valore di oltre 140mila euro solo nella provincia di Torino, mentre in Piemonte si è
arrivati a superare i 50mila medicinali, con 181 enti beneficiari e più di 40mila persone assistite.
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 12/02/2015
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Un farmaco in aiuto di chi ha bisogno
12/02/2015
La Stampa - Ed. torino
Pag. 51
(diffusione:309253, tiratura:418328)
Buone notizie per Lanzo Nubi nere su Moncalieri
gianni giacomino
Sanità: arrivano buone notizie per l'ospedale ex Mauriziano di Lanzo e pessime per il reparto di Emodinamica
del Santa Croce di Moncalieri . Ieri l'assessore regionale alla Sanità Antonio Saitta ha effettuato un blitz negli
ospedali di Ciriè e Lanzo.
«Per rendermi conto direttamente della situazione, senza che la mia presenza fosse annunciata», dice
Saitta. E oggi incontrerà gli amministratori delle Valli di Lanzo. «Spiegherò loro e ai cittadini che mi aspettano
simbolicamente davanti all'ospedale che non hanno nulla da temere perché i servizi dell'ex Mauriziano
resteranno». «La soluzione per confermare i reparti di Lanzo passa dal polo sanitario di Ciriè - continua Saitta
- nel senso che le due strutture sono complementari e il mio sopralluogo me lo ha confermato nei fatti. Lo
dovranno essere sempre di più e questo consentirà anche alla Regione di superare i vincoli stringenti dei
parametri nazionali, perché non si tratta di ospedali doppioni, ma di strutture integrate tra loro».
L'altro giorno invece Saitta è stato ospite della conferenza dei 40 sindaci (erano presenti poco più di 20),
dell'Asl To5. Saitta, a fianco del sindaco di Moncalieri Roberta Meo, ha spiegato i punti fermi della riforma
sanitaria e introdotto la necessità di chiudere entro il 2016 il reparto di Emodinamica del Santa Croce. «Ho
trovato un clima collaborativo - ha ammesso l'assessore - Tutte le scelte sono finalizzate a uscire dal piano di
rientro e, se ciò non dovesse accadere non avremmo più risorse per garantire l'offerta sanitaria pubblica».
Polemico l'intervento del sindaco di Nichelino Angelino Riggio e i commenti post riunione del candidato
sindaco del centro sinistra Paolo Montagna: «Bisogna subito riaprire il tavolo delle decisioni e rivedere questa
scelta. Emodinamica ha i numeri per stare in piedi. Ne vengono mantenute in vita altre (Rivoli) con numeri
inferiori».
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 12/02/2015
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Sanità
12/02/2015
Il Messaggero
Pag. 8
(diffusione:210842, tiratura:295190)
Sanità, per gli immigrati è allarme prevenzione tumori
DAGLI ONCOLOGI OPUSCOLI IN 7 LINGUE NELLE CORSIE E NEGLI STUDI MEDICI PER INSEGNARE
COME INTERVENIRE
Carla Massi
ROMA Fumo, alimentazione, alcol, analisi ed esami fatti in ritardo. Il cancro si "nutre" dell'abuso. Gli italiani
cominciano, pur lentamente, a cambiare gli stili di vita. Mentre la stragrande maggioranza degli immigrati che
ormai vivono qui stabilmente ignorano le regole base per prevenire la malattia. L'effetto: si rivolgono al
medico quando la situazione è già compromessa e le cure, anche ad alto costo, rischiano di non essere
efficaci. IL MEDICO Il 50% degli stranieri non si sottopone a screening e conduce uno stile di vita
(dall'alimentazione al fumo all'eccesso di alcol) collegato all'insorgenza di tumori. Anche in giovane età. La
lingua, la difficoltà a farsi capire, ostacola la richiesta di cure e di esami: il 13,8% degli immigrati oltre i 14 anni
non riesce, infatti, a spiegarsi in italiano e il 14,9% non capisce quello che il medico dice. Una percentuale
importante che, unita ad una diffusa disaffezione alla tutela della salute, porta gli immigrati ad avere la
diagnosi anche un anno dopo rispetto agli italiani. Proprio per iniziare ad affrontare in modo concreto questa
situazione, tenendo anche conto dei continui flussi migratori, l'Associazione italiana di oncologia medica e la
Fondazione "Insieme contro il cancro" hanno presentato, alla Camera, la campagna "La lotta al cancro non
ha colore" (www.lalottaalcancrononhacolore.org): quattro opuscoli sulla prevenzione in sette lingue (italiano,
inglese, francese, spagnolo, filippino, cinese e arabo). Saranno distribuiti attraverso gli ospedali, le
organizzazioni di volontariato, le ambasciate e i medici di famiglia. LA COMUNICAZIONE «Nel nostro Paese
risiedono circa 4 milioni e 900mila stranieri, circa l'8,2% del totale della popolazione - spiega Francesco
Cognetti presidente della Fondazione "Insieme contro il cancro" - E' la fascia particolarmente a rischio per
alcuni tipi di neoplasie come quelle del tratto digestivo superiore, dello stomaco, del polmone, del fegato, el
retto, della vescica e del sistema nervoso centrale fra gli uomini e dello stomaco, del fegato e della cervice
uterina fra le donne. Inoltre, la permanenza in Italia degli stranieri non migliora in maniera importante la
capacità di comunicazione. A distanza di un decennio dall'ingresso il 10,7% dei cittadini stranieri ancora non
è in grado di parlare in modo corretto con il medico». I fumatori sono più frequenti tra i romeni, tunisini e
ucraini. Quasi un terzo degli stranieri è in sovrappeso (in particolare tra i moldavi, marocchini e
albanesi)mentre per quanto riguarda gli obesi i valori di allarme sono tra gli uomini ucraini e romeni e le
donne tunisine e marocchine. VIDEO E SPOT Questa è la prima campagna nazionale per la prevenzione
delle neoplasie indirizzata agli immigrati. Si svilupperà, oltre che con gli opuscoli, anche con video e spot
sostenuti dalla Presidenza della Repubblica e il patrocinio della Camera e del Senato come ha ricordato la
vicepresidente di Montecitorio Marina Sereni. «Abbiamo il dovere di accogliere le persone malate - aggiunge
Aldo Morrone, presidente della Fondazione Istituto Mediterraneo di ematologia - l'articolo 32 della
Costituzione non parla di cittadini ma di individui a cui va garantito il diritto alle cure».
Foto: La brochure rivolta agli stranieri
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 12/02/2015
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LA CAMPAGNA
12/02/2015
Il Messaggero - Ed. ancona
Pag. 42
(diffusione:210842, tiratura:295190)
MANCANO I POSTI: DOPO GLI INTERVENTI PAZIENTI "PARCHEGGIATI" NEL BLOCCO OPERATORIO
IL CASO
Rianimazione di Torrette al collasso. Dopo la denuncia del Nursind, il sindacato infermieri, che minaccia
esposti a Prefettura e Procura, anche la Cisl fa la voce grossa: «La situazione è grave» afferma Raffaele
Miscio, referente della Cisl a Torrette. «I due reparti di Rianimazione, clinica e divisione, stanno andando
avanti grazie allo spirito di sacrificio del personale sanitario, con gli infermieri che nell'ultimo anno hanno
accumulato oltre 100 ore di eccedenza oraria. Serve un tavolo di confronto con l'Azienda ospedaliera e la
Regione per mettere a punto un piano di riorganizzazione che tenga conto delle esigenze dei malati e del
personale». Per Miscio le soluzioni sono due: o si prevede un ampliamento del numero dei posti letto di
Rianimazione, 28 tra divisione e clinica, o si potenziano le altre strutture ospedaliere della provincia. Anche
per Miscio, così come per il Nursind: «È assurdo che i degenti post-intervento vengano parcheggiati nel
blocco operatorio perché in Rianimazione non ci sono letti».
È accaduto qualche settimana fa, quando due pazienti, che dopo un complicato intervento dovevano essere
trasferiti in Rianimazione, sono stati costretti a sostare diverse ore in sala operatoria in attesa che si liberasse
un posto letto. Una terza persona, poi, sempre sottoposta a una delicata operazione, dopo aver aspettato il
ricovero in Rianimazione nell'anticamera di una sala operatoria, nel frattempo occupata da un equipe di
Chirurgia epatobiliare e dei trapianti, è stata trasferita in eliambulanza in un altro ospedale. Ed è accaduto
anche l'altro ieri mattina quando ben 5 pazienti sono rimasti nel blocco operatorio per mancanza di posti liberi
in Rianimazione.
IL TAVOLO
Dopo aver portato la questione all'attenzione della direzione generale, il Nursind, che afferma come i degenti
a volte siano costretti a sostare in sala operatoria per più di un giorno, sembra pronto a sporgere denuncia
alle autorità competenti. Chiede invece un tavolo per risolvere la criticità Miscio che illustra i motivi per cui, a
suo avviso, la clinica e la divisione di Rianimazione di Torrette a volte, ultimamente spesso, vadano in tilt. «Il
problema di fondo - spiega - è il taglio dei posti letto frutto della riforma sanitaria regionale. Se la riduzione
non ha toccato Rianimazione, altri reparti dell'ospedale regionale e dei presidi del circondario ne hanno
risentito. Così, in alcuni casi, si è costretti a ritardare le dimissioni da Rianimazione di quei pazienti che
necessitano di continuità assistenziale perché all'interno di Torrette e nelle strutture limitrofe le corsie sono
piene. Ecco quindi che i nuovi degenti non trovano posto». Nel caso in cui la Rianimazione sia piena, i malati
vengono lasciati in sala operatoria in base a una direttiva aziendale. Ma per il Nursind si tratta di
«un'organizzazione approssimativa che, nonostante la buona volontà del personale infermieristico, non riesce
a garantire materialmente un'adeguata e prudente qualità assistenziale». Disagi anche a Rianimazione del
Salesi, dove i posti letto, da gennaio, sono passati da 9 a 6. Ma gli operatori del Materno-Infantile riescono
comunque a cavarsela, aggiungendo lettini e culle e sistemando i turni così da riuscire a seguire tutti i piccoli
pazienti.
Letizia Larici
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SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 12/02/2015
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Rianimazioni al collasso E' la seconda volta nell'arco di un mese
12/02/2015
Avvenire
Pag. 16
(diffusione:105812, tiratura:151233)
Vite «indesiderate», l'Oms prescrive contraccettivi
Per l'Organizzazione mondiale della sanità sono 87 milioni le gravidanze «non programmate» Che
andrebbero evitate così
Lorenzo Schoepflin
Si intitola «Sottoutilizzo dei moderni metodi di contraccezione: cause e conseguenti gravidanze indesiderate
din 35 Paesi a basso e medio reddito» l'articolo pubblicato sulla rivista Human Reproduction e i cui autori
fanno capo all'Organizzazione mondiale della sanità (Oms). Nel testo vengono riportati i risultati di
un'indagine condotta tra il 2005 e il 2012 a livello mondiale. Albania, Bolivia, Colombia, Ghana, India, Kenya,
Ruanda, Ucraina sono alcune delle nazioni interessate dal lavoro che ha riguardato oltre 100mila donne. Le
gravidanze indesiderate censite sono state quasi 13mila, un dato che proiettato globalmente, sempre con
riferimento ai Paesi selezionati, produce la cifra di oltre 16,5 milioni. Secondo lo studio, ben 15 milioni di esse
potrebbero essere evitate attraverso opportune politiche di diffusione dei moderni metodi di contraccezione.
L'articolo parte anche da un numero dato per acquisito: in tutto il mondo ogni anno sarebbero 87 milioni le
donne che si trovano ad aspettare un figlio non programmato. La soluzione, secondo quanto affermano gli
autori dell'agenzia Onu, è l'ormai collaudato schema di pianificazione familiare: pillola, contraccettivi iniettabili,
spirale, preservativo maschile e femminile, sterilizzazione sarebbero gli ingredienti di una sana politica volta
al miglioramento del benessere materno, di quello infantile, dell'uguaglianza di genere. Una ricetta in linea
con le iniziative promosse a livello internazionale dall'Onu e ricordate nell'articolo, come il programma
«Family Planning 2020». Nel contributo pubblicato su Human Reproduction viene sottolineata anche
l'importanza dell'educazione sessuale nelle scuole. Attraverso i moderni mezzi di comunicazione - dice l'Oms
- dovrebbero esser resi appetibili certi contenuti per i giovani, al fine di sfatare alcuni tabù che
ostacolerebbero il ricorso globale ancor più massiccio dei contraccettivi.
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 12/02/2015
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IL FATTO
12/02/2015
Avvenire
Pag. 16
(diffusione:105812, tiratura:151233)
(F.Loz.)
La Sardegna, la regione più coinvolta dalla lotta alla Sla per l'alto numero di malati presenti - ben 220 -, da
alcuni giorni è in subbuglio. Alcuni malati denunciano ritardi nei pagamenti dei contributi di cura. E se da una
parte il battagliero «Comitato 16 novembre», capeggiato da Salvatore Usala, minaccia nuovamente uno
sciopero della fame, Aisla Sardegna a seguito di un incontro in Assessorato regionale strappa l'impegno a
mantenere inalterate le risorse per il 2015. Ma nello stesso tempo chiede urgentemente che vengano
effettuati i pagamenti degli assegni di cura, in ritardo da sei mesi, le cui risorse vanno attinte dal Fondo per le
non autosufficienze. Sul piano nazionale, nei giorni scorsi i malati di Sla avevano ricevuto un segnale di
apertura dal governo, che aveva inserito nei nuovi Livelli essenziali di assistenza anche i computer grazie ai
quali i pazienti possono comunicare.
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 12/02/2015
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Sardegna, malati di Sla ancora pronti allo sciopero
12/02/2015
QN - Il Giorno - Ed. milano
Pag. 5
(diffusione:69063, tiratura:107480)
Rabbia nell'ospedale labirintoLa Fials: si rischia dentro e fuori
MILANO «PRENDIAMO atto che la sicurezza manca all'interno come all'esterno: il Sacco è sempre più a
rischio», è il commento lapidario della Fials, sindacato da anni in prima linea nel denunciare il problema
nell'ospedale che è di riferimento per Quarto Oggiaro, ma lo sarà presto anche dell'Expo. A memoria di chi ci
lavora da anni c'è un precedente: non c'era ancora la posta pneumatica, un Oss fu rapinato mentre portava i
prelievi in laboratorio con l'auto, da un padiglione all'altro dell'ospedale-labirinto, un impianto degli anni '20.
Ora il violentatore nel parcheggio dove, sottolinea il responsabile della Fials al Sacco, «chiediamo da tempo
di mettere le telecamere». Ma c'è anche «la zona dell'università che non è sicura». I corridoi che collegano il
pronto soccorso ai reparti, «lunghi, desolati, con le porte sempre aperte: di notte entra chiunque». E su tutto il
pronto soccorso, un fronte aperto anche prima dell'estate 2013, quando un ubriaco ferì due infermieri: prima
ancora che il più grave rientrasse in servizio, la guardia giurata ingaggiata dalla direzione se n'era andata. E
da allora non è stata ripristinata, nonostante altri episodi - l'ultimo a Capodanno, secondo round di una rissa
iniziata in città, una parete in cartongesso sfondata a calci -, e le richieste dei sindacati. Lo scorso ottobre
sono andati anche al Pirellone: inutile. È un braccio di ferro annoso: il commissariato Quarto Oggiaro è a
corto d'organico, l'ospedale (che un anno fa aveva dotato gli infermieri di fischietto per chiedere aiuto) dice di
non avere soldi per la guardia anche in Ps. «Almeno si accordino con i vigilantes della portineria per avere
una reperibilità quando il posto di polizia è scoperto - conclude il rappresentante della Fials -. Il direttore
generale è tenuto a garantire la sicurezza, dei lavoratori e dei pazienti».Giulia Bonezzi
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 12/02/2015
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BRACCIO DI FERRO IL SINDACATO CHIEDE TELECAMERE E GUARDIA GIURATA
12/02/2015
Il Secolo XIX - Ed. genova
Pag. 17
(diffusione:103223, tiratura:127026)
«Dimettete i pazienti e liberate letti »
L'appello del direttore sanitario del San Martino di fronte al collasso dei pronto soccorso L'Ordine dei medici:
«Al primo posto c'è sempre il malato, quindi non cedere alle pressioni»
GUIDO FILIPPI
«MANDATE a casa prima i pazienti, cos ì si liberano i letti». Non c'è scritto proprio cos ì , anche perchè
vorrebbe dire chiedere di violare il codice deontologico dei medici, ma la mail che il direttore sanitario del San
Martino Ist, Alessandra Morando, ha inviato a una ventina di primari e cattedratici dell'ospedale, ha tutte le
caratteristiche di un appello, accorato e con stile, ad accelerare le dimissioni dei pazienti dai reparti per
mettere i letti a disposizione del pronto soccorso. Che è al completo e in difficoltà tutti i giorni da almeno tre
mesi: malati in corridoio, posteggiati sulle barelle, anche per un giorno, in attesa del trasferimento in un
reparto. È il risultato di una politica sanitaria che è stata portata avanti per non scontentare nessuno e per
non perdere voti. Meglio i tagli a macchia di leopardo - che al massimo provocano qualche mugugno - che
chiudere ospedali ormai solo di campanile ma costosi e poco funzionali. Cos ì nei grandi ospedali la coperta è
sempre più corta: per dare un letto a un malato, bisogna mandarne a casa un altro. L'ospedale, per affrontare
l'emergenza ha aggiunto una cinquantina di posti, ma il problema non è stato risolto ed è stato uno dei temi
caldi del vertice straordinario che si è tenuto luned ì scorso nell'ufficio dell'assessore alla Salute Claudio
Montaldo che ha chiamato a rapporto i direttori sanitari e i responsabili dei pronto soccorso di tutti gli ospedali
genovesi. Non è un caso che la mail sia partita marted ì mattina. «In considerazione delle criticità contingenti
cui sono sottoposti i pronto soccorso dell'area metropolitana.... si chiede di voler monitorare attentamente le
dimissioni all'interno dei reparti». Ha poche certezze, ma tantissimi sospetti il presidente della
Confederazione ligure per la tutela dei diritti del malato, Adelia Campostano, che ora è in pensione - fa visite
in un' associazione di volontariato - ma ha lavorato come medico per una vita al San Martino. «A forza di tagli
imposti dalla Regione non c'è più un numero sufficiente di letti, ma non possono essere i pazienti a pagarne
le conseguenze. Sono l'anello debole di una catena che non funziona e devono essere dimessi solo quando
sono nelle condizioni di poter lasciare l'ospedale, non certo per liberare un letto e perché in pronto soccorso
ci sono altri malati che aspettano. Certo è strano che la richiesta del direttore sanitario sia arrivata subito
dopo l'incontro con l'assessore Montaldo». Difende i malati, ma si rivolge anche ai medici che «devono
essere liberi di decidere e non possono essere sollecitati a dimettere in anticipo i pazienti. I problemi non si
possono risolvere sulla pelle dei malati, semmai l'ospedale cambi l'organizzazione interna e utilizzi un altro
sistema per i ricoveri». Ricorda che, negli ultimi mesi, sono arrivate al suo centro (intitolato a Maria Chighine)
una ventina di segnalazioni e proteste: anziani che non erano nelle condizioni di tornare a casa oppure che
sono stati dimessi e poi riportati dopo qualche giorno per fare una risonanza magnetica o un altro esame.
«Ovvio che è stato fatto per liberare i letti, ma non è cos ì che si fa. Tra l'altro bisogna tenere conto che,
dall'anno scorso, i trasporti in ambulanza sono a pagamento». Una breve pausa e un lungo sospiro di
rassegnazione anticipano il messaggio finale: «Chi si rende conto che vengono accelerate le dimissioni di un
ricoverato, ci chieda aiuto». Gilberto Forno è il responsabile della Riabilitazione oncologica del San Martino
Ist ed è il segretario aziendale dell' Anaao, il sindacato più rappresentativo dei medici di famiglia. Assiste ogni
giorno alla battaglia per i letti: «Questo è il risultato di una politica, nazionale e regionale, fatta di tagli. A forza
di ridurre il numero dei posti, gli ospedali non sanno più dove ricoverare i malati. Mi auguro che la lettera
voglia essere solo un invito a tenere sotto controllo i ricoveri e non un appello a mandare a casa i malati. Se
si arriva a tanto, deve intervenire l'Ordine dei medici». E il presidente Enrico Bartolini avverte i medici che
lavorano al San Martino: «Non devono lasciarsi condizionare da eventuali pressioni: al primo posto c'è
sempre il malato». [email protected] © RIPRODUZIONE RISERVATA
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 12/02/2015
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LA MAIL AI RESPONSABILI DEI REPARTI È PARTITA DOPO UN VERTICE CONVOCATO
DALL'ASSESSORE ALLA SALUTE
12/02/2015
Il Secolo XIX - Ed. genova
Pag. 17
(diffusione:103223, tiratura:127026)
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Foto: Pazienti " parcheggiati " nei corridoi del pronto soccorso di San Martino
Foto: BALOSTRO
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 12/02/2015
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12/02/2015
ItaliaOggi
Pag. 1
(diffusione:88538, tiratura:156000)
Bocciata la sanità pugliese E Vendola assume 1.752 persone
GIOVANNI BUCCHI
Bucchi a pag. 10 Bocciata la sanità pugliese E Vendola assume 1.752 persone Una batosta che rischia di
rovinare gli ultimi mesi dell'amministrazione di Nichi Vendola alla guida della Puglia. Se il leader di Sel
pensava infatti di chiudere in bellezza la sua esperienza da governatore, si dovrà ricredere. La Corte dei conti
regionale ha sonoramente bocciato i bilanci 2012 delle Azienda sanitarie locali pugliesi con un giudizio
negativo talmente netto da chiamare in causa, seppure indirettamente, gli stessi vertici della Regione, la cui
parte principale del bilancio è dedicata proprio alle politiche sanitarie. Quanto emerge dal provvedimento dei
magistrati contabili è un sistema sostanzialmente ingovernabile, chiamato a fare i conti con un probabile
taglio da parte del governo di 190-200 milioni di euro dal fondo sanitario nazionale, a fronte dei 260 milioni
inseriti nel bilancio previsionale 2015. Ci sono situazioni, spiegano i giudici della sezione pugliese di controllo
come riportato dalla Gazzetta del Mezzogiorno, dove i conti dell'Azienda sanitaria in questione risultano
addirittura «non realistici»; è il caso dell'Asl di Taranto, il cui risultato di esercizio potrebbe non essere
veritiero in quanto non si sarebbe tenuto conto di ammortamenti e rettifi che. È stata la stessa Azienda ad
aver ammesso di non conoscere il valore di ammortamenti, rimanenze, ratei e risconti a causa delle «criticità
derivanti dall'implementazione del nuovo software». Non è andata molto meglio alle Asl di Bari, Foggia e
Lecce che, secondo la Corte dei conti, hanno fatto «illegittimo ricorso a proroghe contrattuali ed affidamenti
diretti per gli acquisti di beni e servizi». Dunque, dubbi sulla selezione del personale e appalti non eseguiti per
selezionare con bandi pubblici le aziende chiamate a lavorare all'interno delle strutture sanitarie pugliesi. La
sola Asl di Foggia, invece, ha sforato il limite di spesa per le consulenze esterne e quello per le missioni del
personale. C'è poi l'Asl di Bat (Barletta, Andria, Trani) che non ha contabilizzato 765mila euro di interessi di
mora avendo «dimenticato» di comunicare l'elenco degli incarichi di consulenza e avendo superato il tetto di
esborsi previsto per i contratti precari. Dulcis in fundo, l'Azienda sanitaria di Lecce presenta il grave problema
della mobilità passiva extraregionale; in altre parole, i pazienti salentini preferiscono rivolgersi altrove, fuori
Puglia, per farsi curare. Meglio spendere di più e macinare centinaia di chilometri che affi darsi a strutture
sulle quali non c'è motivo di riporre troppa fi ducia; d'altronde, sulla salute mica si scherza. A fronte di questa
situazione, l'assessore regionale alla Sanità, il pd Donato Pentassuglia, sta incontrando i vertici di tutte le
Aziende per capire come porre rimedio alle gravi carenze segnalate. Contro il Pd però si scaglia il
capogruppo Ncd, Domi Lanzillotta, che parla di «ruolo chiave del partito nella gestione complessiva della
sanità pugliese» tirando così in ballo anche Michele Emiliano, candidato governatore del centrosinistra
nonché segretario regionale del Pd. Le politiche sanitarie, ragiona l'opposizione, sono sempre state affidate
da Vendola a uomini dem, quindi i responsabili di questo fallimento certificato dalla Corte dei conti vanno
cercati anche tra loro. «Se fossi del Pd comincerei a non farmi vedere troppo in giro per l'imbarazzo» tuona il
consigliere regionale di Fi Nino Marmo, cui fa eco il capogruppo fi ttiano Ignazio Zullo che riassume «con due
immagini» i dieci anni di sanità in Regione a guida Vendola: «La prima, quella del disinfettante pagato 1.600
euro che, in realtà, ne costa 50; e l'altra dei ticket e delle tasse che, nonostante ciò, sono stati imposti a tutti i
cittadini». E Vendola? Lui nell'agosto 2014 si è preoccupato, in pieno periodo di vacanze, di approvare una
delibera che dava il via libera all'assunzione di 1.752 persone nella sanità pugliese tra il 2014 e 2015, per una
spesa totale di circa 122 milioni di euro. © Riproduzione riservata
Foto: Nichi Vendola
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 12/02/2015
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CORTE DEI CONTI
12/02/2015
MF
Pag. 17
(diffusione:104189, tiratura:173386)
Mariangela Pira
Le aziende italiane della sanità dovrebbero guardare con attenzione a quanto accade in Cina, dove il settore
dell'healthcare vive un vero boom, e il valore delle operazioni di M&A nel comparto ha superato quello del
settore internet, mentre il Paese si prepara ad assistere centinaia di milioni di pazienti anziani. Dopo anni di
crescita stabile, le fusionie acquisizioni nel comparto sono più che raddoppiate nel 2014, a 18,5 miliardi di
dollari, secondo Thomson Reuters. Nel solo gennaio gli accordi hanno totalizzato 6,9 miliardi di dollari, con
un'accelerazione che prelude a un record anche nel 2015. Le prospettive per chi investe nella sanità sono
allettanti: 223 milioni di persone dai 65 anni in su vivranno in Cina entro il 2030 e rischi importanti quali la
debole infrastruttura ospedalierae la carenza di medici diventano grandi opportunità. Le società straniere
stanno approfittando dei legami con i partner locali per assumere personale medicoe accelerare su licenzee
permessi in modo da avviare presto il lavoro sui progetti previsti. Pechino prevede che la spesa nella sanità
triplicheràa 8 mila miliardi di yuan, (1.300 miliardi di dollari) nei prossimi 5 anni, complice l'invecchiamento
della popolazione legato alla politica del figlio unicoe alla bassa natalità. Le possibilità per le aziende italiane
sono tante, tra medicinali e attrezzature mediche, progetti congiunti di ricerca e sviluppo, progettazione,
costruzione e gestione di ospedali e cliniche private, informatica e telemedicina, software per ospedali e
packaging. Non mancano i successi ma come spesso accade sono iniziative singole. Per esempio alcune
pmi dell'Emilia Romagna hanno effettuato missioni specifiche per mettere a disposizione del Paese alcuni
tecnici ortopedici. (riproduzione riservata)
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 12/02/2015
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I cinesi invecchiano. E la sanità diventa un ricco business
12/02/2015
Famiglia Cristiana - Ed. n.7 - 15 febbraio 2015
Pag. 12
(diffusione:587400, tiratura:685739)
VACCINI Sì VACCINI NO LA VERITÀ DELLA SCIENZA
IL PRESIDENTE OBAMA E HILLARY CLINTON SONO D'ACCORDO: «NON CI SONO RAGIONI PER NON
VACCINARSI». ED È ALLARME ANCHE DA NOI
Franca Zambonini
Ediventato uno scontro politico il caso di un gruppo di bambini che, in gita al parco dei divertimenti di
Disneyland, California, sono stati contagiati dal morbillo. Di chi è la colpa se la malattia, che sembrava
sconfitta già da quindici anni, torna a colpire? Per il presidente Obama, la responsabilità è dei genitori che
rifiutano di vaccinare i figli, in nome di una presunta pericolosità del vaccino detto Mmr, quello che protegge
da morbillo, parotite e rosolia. Per i suoi awersari del Partito repubblicano, occorre invece difendere la libertà
di scelta dei cittadini. Così hanno affermato Chris Christie e Rand Paul, probabili candidati alle presidenziali
del 2016. Christie, governatore del New Jersey che ha quattro figli e li ha tutti vaccinati, ne fa una questione
di principio: la decisione spetta solo alle famiglie. Sicuro delle sue convinzioni è Paul, laureato in Medicina: «I
vaccini possono provocare disturbi mentali». FLAGELLI DEBELLATI. Intervengono nello scontro eminenti
scienziati, con un deciso "vaccini sì", e oppositori politici che sostengono la facoltà di scelta dei genitori.
Obama lancia un appello: «Ci sono tutte le ragioni per vaccinarsi e nessuna per non farlo. Un grande
successo della nostra civiltà è la possibilità di prevenire malattie che in passato hanno devastato la
popolazione». Il riferimento era a flagelli oggi debellati e basti citare il solo esempio della poliomielite. Il fronte
del no ai vaccini è forte anche da noi. Lo denuncia Beatrice Lorenzin, ministro della Salute: «II calo delle
vaccinazioni obbligatorie per i bambini, dall'antitetanica all'antipolio, è un serio problema». La conferma arriva
dall'Istituto superiore di Sanità: «Preoccupa il calo delle coperture medie nazionali per quasi tutte le
vaccinazioni, soprattutto per le quattro obbligatorie contro polio, tetano, difterite, epatite B». Da citare infine il
tweet di Hillary Clinton: «La scienza è chiara, la terra è rotonda, il cielo è blu e i vaccini funzionano». •
CORBIS PERICOLI PER LA SALUTE Le polemiche sulle vaccinazioni sono esplose negli Stati Uniti dopo
che alcuni bambini sono stati contagiati dal morbillo a Disneyland. Intanto, in Italia il ministro della Salute
Beatrice Lorenzin denuncia il calo delle vaccinazioni obbligatorie per i bambini, e anche l'Istituto superiore di
Sanità lancia l'allarme.
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 12/02/2015
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AL FEMMINILE PREVENZIONE SANITARIA
12/02/2015
Famiglia Cristiana - Ed. n.7 - 15 febbraio 2015
Pag. 84
(diffusione:587400, tiratura:685739)
SE IN EUROPA NON È COSI RARO AVERE UNA MALATTIA RARA
Le persone affette sono circa 30 milioni, come la somma delle popolazioni di Belgio, Portogallo e Ungheria.
Queste patologie sono in gran parte di origine genetica
Filippo Tradati Medico e docente universitario
0siste un gruppo di malattie definite "rare" per la loro scarsa frequenza che però hanno, nel loro complesso,
un importante impatto sociale ed economico. A livello europeo si considerano tali le malattie con una
prevalenza inferiore a 1 caso ogni 2 mila persone. Sono oltre 6 mila le malattie che possono definirsi "rare" e
molte di queste hanno una prevalenza anche inferiore al singolo caso ogni ìoo mila abitanti, interessando,
quindi, poche migliaia di individui in Europa. Sulle base dei dati disponibili possiamo calcolare che,
nonostante i pochi pazienti affetti da ciascuna di queste malattie, le persone colpite da una malattia rara
siano, nell'Unione europea, circa 30 milioni. Una cifra uguale alla somma delle popolazioni di Belgio,
Portogallo e Ungheria. Un numero elevato di malati che evidenzia il paradosso di come non sia poi così raro
soffrire di una malattia "rara". Queste patologie sono in gran parte di origine genetica (80 per cento dei casi)
ma possono esserci anche cause infettive, allergiche, tumorali 0 legate a fattori ambientali (chimici 0
radiazioni). In circa la metà dei casi, l'esordio dei sintomi è alla nascita o nella prima infanzia, ma nell'altra
metà dei casi l'insorgenza è in età adulta, come nella malattia di Creutzfeldt-Jakob (malattia della "mucca
pazza") o nella Sclerosi laterale amiotrofica (Sia), diventata famosa negli ultimi anni per aver colpito alcuni ex
calciatori. MOLTE SONO INVALIDANTI. La gravita delle malattie rare è molto variabile, ma in genere
l'aspettativa di vita in questi pazienti è significativamente inferiore alla media. Molte sono malattìe complesse,
debilitanti, invalidanti e che colpiscono l'individuo nelle capacità fisiche e mentali, creando serie disabilità. Si
può tranquillamente dire che la malattia rara affligge un malato, ma colpisce anche l'intero gruppo familiare,
che è quasi sempre coinvolto in maniera pesantissima dalla malattia con conseguenze sociali, economiche,
affettive e professionali. A questi problemi si aggiungono le difficoltà legate alle cure. Arrivare alla diagnosi di
una malattia rara è spesso un processo lungo e complesso. E una volta giunti alla diagnosi si scopre che la
ricerca in questi campi è ancora agli albori. È stato coniato il termine 'Tarmaci orfani" proprio per indicare i
medicinali destinati alla cura delle malattie rare e che sono orfani di attenzione da parte della ricerca.
Essendo pochi i casi da trattare, risulta scarsamente proficuo per le industrie farmaceutiche sviluppare
costose linee di studio e produzione destinate al trattamento di un piccolo numero di pazienti. Per fortuna, ci
sono incentivi fiscali, procedurali ed economici che l'Unione europea ha introdotto per promuovere studio e
produzione dei 'Tarmaci orfani", e che hanno portato a importanti passi in avanti nella diagnosi e nella cura.
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 12/02/2015
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VITA IN CASA / LA DIFFICOLTÀ NELLE CURE / IL MEDICO DI FAMIGLIA
12/02/2015
Panorama - Ed. n.7 - 18 febbraio 2015
Pag. 32
(diffusione:446553, tiratura:561533)
I figli venuti dal futuro
Donazione di mitocondri, trapianto di utero, ovociti e spermatozoi derivati da staminali. La scienza offre modi
inediti per nascere.
(Chiara Palmerini)
Non ci sono donatrici di ovociti per la fecondazione eterologa? Ecco che le cliniche italiane li cercano
all'estero, stringendo accordi con banche di gameti di Spagna o Danimarca. Mentre, approfittando del nuovo
mercato, alcune cliniche spagnole «sbarcano» in Italia: visite ed esami si fanno qui, la fecondazione in
provetta avviene in Spagna, e la donna può andare e tornare in giornata per il trasferimento degli embrioni
nell'utero. Con le possibilità offerte dalla scienza, le strade per arrivare a un figlio diventano le più strane, in
un intreccio cui è difficile stare dietro tra ciò che è tecnicamente possibile, ciò che lo è o lo diventa da un
punto di vista legale e ciò che, secondo i diversi punti di vista, dovrebbe esserlo o no dal lato etico. La Gran
Bretagna ha appena dato il via libero alla manipolazione del Dna mitocondriale. Si è parlato di bambini che
nasceranno con tre genitori. In questione c'è una tecnica ancora sperimentale di manipolazione dell'ovocita:
si sostituiscono alcune parti di Dna difettoso, quello contenuto nelle «centrali energetiche della cellula», i
mitocondri, con materiale genetico proveniente da una donna sana, che sarebbe il «terzo genitore»; in realtà
il Dna della donatrice è una frazione minima rispetto a quello dei due genitori (circa 16mila basi di Dna contro
alcuni miliardi). Lo scopo della manipolazione è dare la possibilità alle donne affette da mutazioni del Dna
mitocondriale, all'origine di malattie anche gravi, di avere figli sani. «Se ne parla da 15 anni» osserva
Eleonora Porcu, responsabile del Centro di infertilità e procreazione medicalmente assistita dell'Università di
Bologna. «La Gran Bretagna, che ha la tradizione di approvare nella pratica ciò che è potenzialmente fattibile,
ha dato il via da un punto di vista legislativo. Da quello scientifico rimangono le riserve su quello che potrebbe
accadere ai figli nati in questo modo: come per tutte le tecniche che comportano un elevato livello di
manipolazione, c'è un margine di imprevedibilità». A ottobre scorso è nato in Svezia il primo bambino da una
donna che ha subito un trapianto di utero, una tappa che a lungo è stata inseguita. «È una cosa possibile, ma
per ora difficilmente applicabile» commenta Porcu. Mantenere vitale l'organo, se proviene da cadavere (non è
il caso della donna svedese, che l'ha avuto dalla madre), trapiantarlo e farci crescere dentro un bambino non
è un'impresa da poco. C'è poi il problema dei farmaci antirigetto, che la donna deve continuare ad assumere
anche durante la gravidanza, e dell'espianto dell'organo, un ulteriore intervento una volta che il bambino è
nato. Ma è un traguardo che ha fatto gioire le donne nate prive di utero per malformazioni congenite o quelle
che hanno dovuto subirne per varie ragioni l'asportazione chirurgica. Più fantascientifica, per ora, è un'altra
opzione, di cui si è parlato recentemente. Scienziati dell'Università di Cambridge hanno creato in laboratorio i
precursori dei gameti, ovociti e spermatozoi, a partire da cellule staminali della pelle. Era stato già fatto nei
topi, ora il trucco di riportare indietro l'orologio è riuscito con cellule umane. Sui possibili utilizzi futuri di questa
tecnica si può dare libero sfogo alla fantasia: si aprirebbe la possibilità di avere figli da soli, con cellule del
proprio corpo e senza bisogno di un partner. Più realistico è il tentativo portato avanti in pochi laboratori al
mondo di riattivare le cellule staminali ovariche per ottenere ovociti freschi e funzionanti per le donne affette
da menopausa precoce che non riescono ad avere un bambino. Proprio per le donne in menopausa precoce
e per quelle sottoposte a terapie che comprometterebbero la fertilità, Porcu ha sviluppato (per prima al
mondo) la tecnica del congelamento degli ovociti, ormai di routine in tutto il mondo. Oggi però si comincia a
valutarla in un'altra prospettiva, che ha acquisito notorietà soprattutto quando, mesi fa, è uscita la notizia che
Facebook e Apple la offrirebbero alle giovani dipendenti, in modo da permettere loro di dedicarsi alla carriera
rimandando un'eventuale maternità. È il social egg freezing. Non è un'opzione a costo zero: per prelevare gli
ovociti c'è bisogno di una forte stimolazione ormonale, di un intervento chirurgico, e di un'anestesia generale.
E pone soprattutto interrogativi non da poco: si potrà davvero diventare mamme a qualunque età?
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 12/02/2015
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scenari frontiere
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Panorama - Ed. n.7 - 18 febbraio 2015
Pag. 32
(diffusione:446553, tiratura:561533)
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 12/02/2015
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Bambini con tre genitori La tecnica è la donazione mitocondriale: la manipolazione dell'ovocita per
bypassare il difetto genetico all'origine di alcune malattie (il mitocondrio è la «centrale energetica» della
cellula, con un suo Dna). In pratica, il nucleo dell'ovocita dell'aspirante madre affetta da anomalie del Dna
mitocondriale viene trasferito nell'ovocita di una donatrice con mitocondrio sano; l'ovocita viene poi fecondato
in vitro con il seme paterno. Il nascituro, oltre al materiale genetico dei genitori, eredita una piccolissima quota
di Dna mitocondriale dalla donatrice, il «terzo genitore».
Trapianto di utero A ottobre è nato il primo bambino partorito da una donna che ha ricevuto l' utero di una
donatrice. In teoria è una possibilità per donne che sono nate prive di utero, o che ne hanno dovuto subire
per vari motivi l'asportazione chirurgica.È una tecnica rischiosa e non priva di interrogativi etici.
Social egg freezing Il congelamento degli ovociti (per un'eventuale gravidanza futura) è una pratica già
utilizzata per le donne a rischio di menopausa precoce, per esempio quelle che si devono sottoporre a cure
(chemioterapia) che distruggono la fertilità. Ora se ne parla però anche come di una possibilità per tutte le
donne che devono o vogliono rimandare il desiderio di maternità.
Gameti da staminali Di recente, cellule precursori di ovociti e spermatozoi sono state ricavate da cellule
staminali embrionali e da cellule adulte della pelle. È solo un primo passo. In teoria, ciascuno potrebbe
ricavare dal proprio corpo i gameti per creare un figlio senza bisogno di un partner.
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Panorama - Ed. n.7 - 18 febbraio 2015
Pag. 70
(diffusione:446553, tiratura:561533)
In difficoltà eravamo noi, non lui
Mario ha quattro anni e un problema al cervello. Che i suoi genitori hanno imparato a curare con un
trattamento particolare: una terapia della gioia che ora raccontano anche in un libro.
Maddalena Bonaccorso foto di Roberto Caccuri per Panorama
Se la loro vita fosse uno specchio rifletterebbe solo gioia. La felicità di due genitori, strappata con le unghie al
destino avverso del figlio Mario, quattro anni e un ictus che l'ha colpito quando era ancora nel grembo della
mamma o nei giorni immediatamente successivi alla sua nascita. Sulla storia di questa piccola vita e delle
battaglie quotidiane da affrontare, la mamma di Mario, Francesca Fedeli, 43 anni e un passato nel marketing
e nella comunicazione, ha scritto un libro che è doloroso come una coltellata e ottimista come il sorriso del
suo bimbo, che trionfa in copertina con uno sguardo da monello. Lotta e sorridi, edito da Sperling & Kupfer,
uscirà il 17 febbraio e racconta un'avventura che è un po' la versione contemporanea dell' Olio di Lorenzo;
quella di una mamma e di un papà che pur di aiutare il proprio figlio s'inventano medici, fisioterapisti,
ricercatori, crowdfunder, e quella di un bambino che forse non potrà mai correre e saltare come gli altri ma
che a soli quattro anni impazzisce dalla voglia di imparare a leggere e ha viaggiato così tanto che imita
ridendo i movimenti delle hostess quando indicano ai passeggeri cosa fare se l'aereo va giù. Francesca, cosa
è successo alla nascita di Mario? Mario è nato all'ottavo mese di gravidanza, con un cesareo programmato. È
rimasto qualche giorno in terapia intensiva per un problema respiratorio, ma è stato solo dopo dieci giorni
dalla nascita, al momento delle dimissioni, che i medici, grazie a un'ecografia di routine, si sono accorti di ciò
che era successo. Mario aveva avuto un ictus perinatale molto grave, tanto che il 40 per cento dei neuroni del
suo emisfero destro si era bruciato. Come avete reagito, lei e suo marito Roberto? In un primo momento, con
disperazione. Ci sentivamo come se l'unico vero prodotto della nostra vita fosse stato un fallimento. Io
soprattutto ho cominciato a pensare che fosse colpa mia; che magari durante la gravidanza avessi fatto
qualcosa di sbagliato. In verità non si saprà mai il motivo di questi ictus perinatali, ma sappiamo che ogni
mille nati ci sono almeno due o tre casi come quelli di Mario. Ma dopo il primo momento di scoraggiamento,
voi avete deciso di prendere in mano la situazione... Abbiamo iniziato a cercare su internet qualunque notizia
potesse tornarci utile, qualsiasi informazione medica fosse stata pubblicata in qualunque parte del mondo. Il
neonatologo ci aveva detto che l'area del cervello colpita era quella che sovrintende alle capacità motorie, e
che Mario avrebbe sviluppato un'emiplegia su tutta la parte sinistra del corpo. Abbiamo quindi deciso di
andare a Pisa, al centro Stella Maris, considerato all'avanguardia nella cura di questi problemi. Sapevamo
che un neurologo che lavorava lì era appena tornato dall'Australia dove aveva seguito un progetto pilota con
bambini colpiti da ictus perinatale; ci disse che voleva portarlo in Italia e che avremmo potuto far includere
Mario. Di cosa si trattava? Di un progetto sui neuroni specchio, speciali cellule nervose che hanno la capacità
di attivarsi mentre il soggetto compie un'azione, ma anche solo guardando agire altre persone. Avremmo
dunque iniziato una forma di terapia che consisteva nel far vedere a Mario, più volte al giorno per cinque
minuti, per esempio, come si afferra una matita; e poi la nostra mano che ruota tenendo questa matita tra il
pollice e tutte le altre dita, a turno. Dovevamo filmare il bambino e annotare le reazioni. Garanzie di
miglioramento: praticamente nessuna, era tutto sperimentale. Poi però è successa una cosa straordinaria...
Ci siamo accorti che Mario non guardava né la matita né le nostre mani, ma noi. Guardava i nostri occhi, le
nostre espressioni. E noi eravamo tristi, stanchi, scoraggiati. Non ridevamo più, non lo guardavamo come il
magnifico dono che è un figlio, ma come un problema. Noi che avevamo girato il mondo, ci eravamo chiusi in
noi stessi, nel nostro dolore. Abbiano cominciato a chiederci se stessimo trasmettendo a nostro figlio una
realtà cupa e priva di speranza, e se questo stesse influenzando in negativo la sua vita, la sua capacità di
recupero. In pratica, eravate arrivati a un punto in cui vedevate solo i punti deboli del vostro bambino? Proprio
così, ci stavamo concentrando ossessivamente sulle mancanze. Su quello che Mario non poteva fare. A quel
punto abbiamo deciso di invertire la rotta, di ripartire da quelli che erano i nostri punti di forza, per trasmetterli
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Buoni esempi
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Panorama - Ed. n.7 - 18 febbraio 2015
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SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 12/02/2015
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a lui, affinché diventassero i suoi. Abbiamo ripreso a viaggiare, prendendo come scusa un viaggio che
Roberto doveva fare per lavoro negli Stati Uniti. E così siete partiti tutti... Era l'agosto del 2012, Mario aveva
18 mesi, non solo non camminava, non stava in piedi e non aveva mai nemmeno gattonato. La fisioterapia
che facevamo a Milano, anche quella classica, sembrava non funzionare. Ma decidemmo di buttarci tutto alle
spalle, e di goderci la vacanza. Un giorno, mentre eravamo a Menlo Park, in California, per un incontro di
lavoro, stavolta mio, è successo l'imprevedibile. Mario era seduto a terra e all'improvviso si è attaccato ai
pantaloni di suo padre con la mano destra e si è tirato su. È riuscito a trascinare la parte spenta del suo corpo
facendo leva su tutto quanto aveva di forte. Per noi è stato come se fosse sbarcato sulla luna. Il vostro amore
per il viaggio, le passioni, il piacere della scoperta. Avevate imparato a riflettere come specchi tutto il bello
della vita? Probabilmente sì. Era come se Mario si fosse sbloccato, proprio nel momento in cui noi avevamo
messo da parte tutta l'angoscia dei primi mesi della sua vita, come se Mario avesse messo in pratica tutto ciò
che aveva visto fare e che voleva imparare. Qualche mese dopo ha mosso i suoi primi passi. Ora ha quattro
anni, salta e corre. Certo, ha ancora, e probabilmente avrà sempre, molte difficoltà, ma ha fatto passi da
gigante. E mentre Mario faceva passi da gigante, lei, Francesca, scriveva questo libro, che racconta i primi
quattro anni di vita del suo bambino. È stata una terapia anche per lei? In parte, sì. Raccontare vuol dire
metabolizzare. Ma più che per me, o per noi, l'ho scritto per aiutare i bambini che vivranno questo problema
dopo Mario, e anche per i loro genitori, affinché non si scoraggino mai. Oltre al libro, io e mio marito abbiano
fondato anche un'associazione, si chiama Fight the stroke, e il suo scopo è aiutare i giovani sopravvissuti a
un ictus. Io nel frattempo ho lasciato il lavoro e mi dedico soltanto a questo progetto, tenendo sempre
presente la grande lezione di Mario: prendi i tuoi punti di forza, non perdere mai la fiducia, e lotta. I risultati
arriveranno. Contrasto
Terapia della felicità Mario, quattro anni, mentre gioca con i suoi genitori. La storia positiva della sua lotta
contro la malattia è raccontata nel libro Lotta e sorridi (Sperling & Kupfer, 192 pagine, 16 euro, a sinistra la
copertina), in uscita il 17 febbraio e scritto dalla mamma Francesca Fedeli.
Foto: Mario, quattro anni, tra il papà Roberto D'Angelo (44 anni) e la mamma Francesca Fedeli (43).
Foto: Può la gioia trasformarsi in una cura? Di' la tua sulla pagina Facebook di panorama.
11/02/2015
Vita - Ed. n.2 - febbraio 2015
Pag. 80
(diffusione:45000)
Ricostruiamo la buona vita con i malati di tumore
L'assistenza domiciliare modello Eubiosia
VITA - febbraio 2015 Sono medici, infermieri, fisioterapisti, professionisti esperti in oncologia e cure palliative
che ogni giorno in Italia assistono, gratuitamente, a domicilio 4.250 malati di tumore. Senza indossare il
camicie bianco. «Sarebbe una barriera fra noi e il paziente, fra noi e la famiglia del malato. In Fondazione Ant
gli operatori accompagnano il malato e la sua famiglia a vivere la malattia», chiarisce subito Maria Bruno uno
dei medici dell'organizzazione. Fondata 35 anni fa dal medico oncologo Franco Pannuti per diondere le cure
palliative per malati di tumore, Ant ha in carico in tutta Italia circa 10mila persone grazie a 21 équipe di
operatori che lavo rano in nome dell'Eubiosia (la buona vi- testi: Carmen Morrone foto: Stefano Pedrelli ta, in
greco antico), intesa come insieme di elementi per una vita dignitosa dal primo all'ultimo respiro. In particolare
si tratta di 400 professionisti - sanitari e non - a cui si aancano 1.800 volontari iscritti nell'albo
dell'associazione. Tutti protagonisti 365 giorni l'anno, 24 ore su 24, in 9 delle venti regioni italiane. A partire
da Bologna e dall'Emilia Romagna, dove è nato il progetto. Nel capoluogo emiliano l'attività di assistenza
domiciliare prende avvio dalla palazzina di via Jacopo di Paolo, dove medici e infermieri iniziano la loro
giornata con il prelievo dei farmaci da portare a casa dei 1.400 malati visitati ogni giorno. Prima di tutto, il
medico oncologo Maria Bruno, tarantina, ma bolognese d'adozione che lavora con Fondazione Ant da 12
anni, spiega come avviene l'incontro con i pazienti. «In certi casi è il malato che telefona al nostro call center,
altre volte è il medico ospedaliero o il medico di base che invita il paziente a rivolgersi a noi». Fatto sta che
«riceviamo ogni anno circa 7mila richieste. Tutte soddisfatte». Il prelievo dei farmaci al mattino è preceduto
dall'invio delle richieste, come spiega la dottoressa Bruno che ci accompagnerà lungo tutta la giornata. «Ogni
sera invio, tramite cellulare, l'elenco dei farmaci per il giorno dopo. La mattina li trovo nel nostro deposito
farmaceutico già insacchettati e li ritiro. Quando invece occorrono altre attrezzatura, ad esempio bombole di
ossigeno e altri apparecchi "pesanti", li trovo già al domicilio del paziente perché recapitati dal nostro Servizio
Famiglia, che si occupa del trasporto a domicilio degli ausili. I farmaci naturalmente sono quelli prescritti dal
medico che ha diagnosticato la malattia e che sta seguendo il paziente. Lavoriamo, infatti, in collaborazione
con i medici ospedalieri e di base, e ci confrontiamo per aggiornare le terapie in base ai bisogni del singolo
malato. Mi piace definire la nostra assistenza fatta su misura, come un abito». «Si tratta di un servizio unico
in Italia», interviene la presidente Raaella Pannuti, figlia del fondatore . «La presa in carico di un paziente da
parte di Ant comporta un costo di 2mila euro (esclusi i farmaci che spettano al Servizio sanitario nazionale e il
cui costo è assimilabile a quello della presa in carico) per una media di 132 giorni di assistenza l'anno a
paziente. Tenendo conto che il costo giornaliero di degenza in una struttura per cure palliative è di circa 240
euro e in un ospedale è di 780 euro, il risparmio è evidente». Il primo paziente della giornata è la signora
Teresa , 78 anni. «Dopo aver ascoltato la diagnosi non mi sembrava vero», racconta, «pensavo di avere
capito male. Sono arrivata sino a questa età senza gravi malattie. Eppure i referti medici erano chiari: così
sono entrata nel mondo dei malati di tumore». «Il mio primo pensiero», continua «è stato per Carlo, mio
marito da ben 56 anni, chi avrebbe pensato a lui? Avevo sentito parlare di Fondazione Ant e mi sono rivolta a
loro». Teresa è seguita da quasi un anno. «Sono molto soddisfatta per tanti motivi», dice, «il primo è perché
mi sto curando a casa mia che non può essere sostituita con nessuna camera di ospedale, nemmeno la più
bella. Ant è a disposizione tutti i giorni, Natale, Santo Stefano, Pasqua. Tutto agosto. Chiami e loro ti
rispondono. Ant è quello che cercavo, sopratutto per Carlo. Ora si è tranquillizzato perché sotto l'aspetto
medico e infermieristico sono assistita, così che lui può pensare a tutte le altre faccende domestiche. Mio
marito alla sua età, ha 80 anni, ha imparato pure a cucinare: un mezzo miracolo». «Che dici? È ancora lei il
cuoco», interviene Carlo guardano Teresa con gli occhi lucidi, «mi ha insegnato a fare anche il ragù alla
bolognese». A Bologna e in Emilia Romagna - così come nelle altre regioni dove la Fondazione Ant è
presente - è attivo anche un servizio di assistenza per i familiari che ogni anno si prende in carico centinaia di
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 12/02/2015
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La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
FONDAZIONE ANT
11/02/2015
Vita - Ed. n.2 - febbraio 2015
Pag. 80
(diffusione:45000)
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parenti fornendo aiuti di vario tipo, a partire dalla compilazione e dall'inoltro delle pratiche per l'assegno di
cura, per la domanda di invalidità e per quella di esenzione dal ticket fino agli incontri di informazione sulla
malattia e a un vero e proprio supporto psicologico per i ca82 regiver. Solo nei primi sei mesi del 2014 sono
state oltre 1.700 le persone che hanno usufruito del servizio psicologico gratuito. La fondazione fornisce
anche un servizio di cambio biancheria e il trasporto gratuito del malato dal domicilio all'ospedale in
occasione di ricoveri e trattamenti in day hospital. Un lavoro che Ant riesce a svolgere in rete con i servizi
socio-sanitari del territorio. A casa di Teresa, suona il campanello : sono due volontari. Portano una
carrozzina. «Teresa in questi giorni ha un forte mal di schiena e fa molta fatica a camminare. La sedia a
rotelle le permetterà di spostarsi in casa e di poter fare qualche giretto nel quartiere», spiega Roberto Cesari,
a capo del Servizio Famiglia. Sono le 15 e a casa di Teresa arriva Monica Zanoni. Venticinque anni, Monica è
infermiera professionale e lavora per Fondazione Ant da sei mesi. «Ho sempre desiderato lavorare per
questa realtà che è molto conosciuta nel bolognese», dice. Per poi aggiungere: «Vengo da San Giovanni in
Persiceto e tutti i giorni raggiungo Bologna da quando ho iniziato la professione di infermiere domiciliare.
Faccio volentieri la pendolare perché il lavoro mi piace. L'infermiera di Fondazione Ant, infatti, non svolge
solo le sue mansioni tecniche, ma come tutti gli altri operatori è responsabile del benessere del paziente: qui i
principi dell'Eubiosia si toccano con mano». «Oggi Teresa ha bisogno di un'iniezione», continua, «poi, come
ogni giorno, verifico se ha assunto le pastiglie in programma. Infine preparo la terapia per la sera». Il tutto si
svolge in una calda cordialità e Monica e Teresa si scambiano i commenti su trasmissioni tv. «La signora
Teresa ha una vita familiare serena, in altre famiglie è molto diverso il clima che si respira», interviene Maria
Bruno. «Ci capita di visitare pazienti che vivono in case piccole e malsane. Persone sole, soprattutto anziani
soli che a causa del tumore non possono più svolgere attività semplici come fare la spesa. Per questo ci sono
i volontari della Fondazione che fanno le compere quotidiane, che vanno in posta a pagare le bollette della
luce e del gas. A volte, queste persone sole, anche se la malattia non è ancora invalidante, non si prendono
più cura di loro stessi: smettono di fare i tradizionali gesti quotidiani, come radersi la barba, lavarsi, pettinarsi.
Abbiamo verificato che la nostra presenza quotidiana li spinge a tornare a una vita dignitosa». Le reazioni alla
malattia sono diverse. «La famiglia può diventare ansiosa e iniziare una ricerca aannosa di chissà che cosa»,
continua Bruno, «oppure impietrirsi, diventando incapace di essere attiva anche nelle cose più semplici: come
se il familiare fosse entrato in una dimensione estranea alla loro. Qualche mese fa abbiamo seguito una
famiglia con sette figli, di cui uno malato terminale. È stato un intervento molto dicile per via delle condizioni
economiche precarie e per la scarsa informazione e formazione dei genitori». Gli operatori di Fondazione Ant
vivono situazioni emotive molto impegnative per questo c'è l'Unità di psico-oncologia (una trentina di operatori
in tutta Italia) che lavora per evitare fenomeni di burn out. La coordina Silvia Varani. «Non è sempre facile
instaurare una relazione con i malati di tumore:», spiega, «gli operatori sono preparati per gestire le situazioni
di stress e hanno il nostro costante supporto. Al di là degli aspetti strettamente terapeutici, con i malati di
tumore non si può essere superficiali, né drammatici, né si possono usare luoghi comuni, né essere fatalisti.
È un rapporto che richiede un grande sforzo comunicativo». L'altra parte dell'attività dell'Unità di psicooncologia è rivolta ai malati e alle famiglie sia durante l'assistenza sia nell'elaborazione del lutto. Una presa in
carico molto ampia svolta grazie soprattutto alle liberalità di privati cittadini e alle manifestazioni di raccolta
fondi (56%), al contributo del 5permille (11%) a lasciti e donazioni (7%), e a un contributo pubblico pari
all'18%. Nel 2013 sono stati raccolti 22 milioni di euro, il 76% dei quali è andato alle attività di assistenza.
Salutiamo Teresa appena in tempo perché suona il telefono di casa accanto alla poltrona e lei risponde
pronta. «Sono quelli di Fondazione Ant, devo rispondere e vi devo salutare», dice con un dolce sorriso. Che
sarà impossibile dimenticare. febbraio 2015 - VITA - DOVE Ant è presente in 9 regioni: Emilia Romagna,
Lombardia, Veneto, Toscana, Lazio, Marche, Basilicata, Campania e Puglia. Ci sono progetti pilota anche a
Mestre, Mantova, Cosenza, Monfalcone e in Albania - COME L'attività di assistenza è svolta grazie a una rete
di 400 professionisti, sanitari e non, cui si aancano 1.800 volontari che si occupano di servizi alle famiglie e di
raccolta fondi - CHI Fondazione Ant nasce a Bologna nel 1978 per iniziativa del medico Franco Pannuti e
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fornisce assistenza socio sanitaria gratuita a domicilio ai soerenti di tumore
Foto: Ogni giorno. La signora Teresa insieme all'infermiera Monica Zanoni, in un momento dell'assistenza
domiciliare svolta da Fondazione Ant
Foto: ORE 10.00 ORE 8.00 La giornata comincia nella farmacia, dove gli operatori prelevano i sacchetti di
farmaci confezionati dai farmacisti di Fondazione Ant che ricevono le richieste la sera prima Maria Bruno,
medico oncologo, arriva a casa del primo paziente della giornata, la signora Teresa. Maria Bruno è uno dei
37 medici di Fondazione Ant, che lavorano a Bologna Raffaella Pannuti Presidente di Fondazione Ant Maria
Bruno Medico oncologo
Foto: 1. Il deposito farmaceutico di Fondazione Ant . Qui i famacisti insacchettano i farmaci che ogni giorno
gli operatori sanitari prelevano per portare al domicilio dei pazienti 2. La dottoressa Maria Bruno per spostarsi
dalla sede di via Jacopo di Paolo alle case dei pazienti utilizza un veicolo della Fondazione 3.4. Maria e
Monica al lavoro a casa della signora Teresa. In Italia Fondazione Ant conta 122 medici, 87 infermieri, 29
psicologi, 2 nutrizionisti. A Bologna, i medici sono 37, gli infermieri 22 e 8 gli psicologi ORE 15.00 ORE 13.00
È il momento del pranzo cucinato dal marito di Teresa. L'assistenza domiciliare permette di continuare a
vivere la normalità, come pranzare e cenare insieme ai propri cari Teresa riceve la visita dell'infermiera,
Monica Zanoni. A Bologna ci sono una settantina di operatori. Monica ogni giorno visita una decina di pazienti
Foto: ORE 17,30 ORE 20.00 Nella biblioteca della fondazione si preparano i libri e i dvd da portare ai pazienti
il giorno dopo. È attivo infatti un servizio di prestito di volumi e film Al call center della fondazione, alcuni
volontari ricevono le chiamate dai pazienti e dai familiari. Il servizio è attivo 365 giorni l'anno 24 ore su 24 5.
Roberto Cesari, capo del Servizio Famiglia insieme a un collaboratore .Il Servizio Famiglia ogni giorno porta
al domicilio ausili come bombole d'ossigenzo, carrozzine 6. Carlo, 80 anni è il marito di Teresa . Da quando la
moglie si è ammalata è lui che sbriga le faccende domestiche 7. Teresa, 78 anni . In questo momento, la
malattia la costringe a stare molte ore in casa. Le telefonate rendono meno noiosa la giornata

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