terme, cavalli, tappeti e preistoria
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terme, cavalli, tappeti e preistoria
Itinerario 5 Da Bonorva al Goceano TERME, CAVALLI, TAPPETI E PREISTORIA DI EMILIANO FARINA - FOTOGRAFIE DI STEFANO OPPO l bivio per Bonorva, intorno al chilometro 170 della statale Carlo Felice (la lingua d’asfalto a quattro corsie che unisce la Sardegna da un capo all’altro), parte un itinerario da bersi in una giornata, a spasso tra Mejlogu e Goceano, luoghi generosi di archeologia, natura ed emozioni. Il presente si dissolve, la vegetazione diventa più verde, gli scenari più suadenti e l’atmosfera più familiare. Come imprigionato dentro una sfera di cristallo, il tempo rallenta, si ferma e poi torna indietro. Almeno di 3700 anni prima della nascita di Cristo. L’immensa pianura di Santa Lucia, un mare d’erba e sacralità abbracciato da montagne senza pretese che si stiracchiano d’improv- A 83 ITINERARIO 5 Antonio Saba viso verso il cielo, elargisce con parsimonia le sue perle più belle: antiche chiese campestri, villaggi abbandonati, domus de janas e paesi dal fascino insospettabile. E proprio Bonorva, prima tappa del viaggio, è tra questi. Adagiata a 500 metri sul livello del mare, poco più di 4000 abitanti, depositari di tradizioni che spaziano dalla gastronomia all’artigianato, vivono tra i vicoli tipici e stretti del centro storico, dove si nascondono interessanti chiese del XVII secolo come quelle di Santa Vittoria e Sant’Antonio, situata nell’omonima piazza. Caratterizzata da tratti gotico-catalani, quest’ultima è affiancata da un antico convento che oggi ospita la biblioteca comunale e il museo archeologico. La collezione dei reperti, distribuita in quattro sale, comprende macine, betili e cippi sepolcrali ritrovati nel territorio circostante. Le altre stanze illustrano gli elementi principali dell’architettura funeraria isolana. È possibile anche accedere a un archivio storico. La chiesa romanica di San Lorenzo si erge solitaria su un’altura nei pressi di Rebeccu. Fondata nel XII secolo, fu in parte distrutta nell’Ottocento e restaurata nel 1982 utilizzando conci simili agli originali. 84 Proseguendo per la via principale si esce dal paese su un percorso che sprofonda dolcemente verso l’ampia vallata. A 3,5 chilometri, seminascosto dietro un picco calcareo, spunta il villaggio fantasma di Rebeccu, borgo di origini medievali accucciato a 400 metri d’altezza e oggi meta di un turismo sussurrato, non ancora decollato ma in fase di rullaggio. Oltre alla chiesetta di Santa Giulia e allo splendido paesaggio che dal belvedere si spalanca sulla vallata, merita più di uno sguardo la fonte sacra nuragica di Su Lumarzu dove, secondo alcuni studiosi, i devoti si radunavano in attesa delle cerimonie Stefano Oppo Il villaggio fantasma sacre. Da quasi trent’anni la piccola piazzetta del borgo ospita anche un ristorante. La discesa dal minuscolo altopiano che sorregge Rebeccu invita a guardare sulla sinistra dove si erge solitaria, in mezzo alla campagna, la chiesetta romanica di San Lorenzo (XII secolo), appartenente alla famiglia degli Athen regnanti nel Giudicato di Torres. Il tragitto prosegue sulla provinciale 43 verso la necropoli di Sant’Andrea Priu: venti domus de janas risalenti al 3700 a.C. Splendidi esempi di architettura funeraria di età prenuragica, si tratta di piccole grotte scavate nella roccia a imitazione delle case dei vivi, come se tra la vita e la morte non ci fosse alcuna differenza. Quelle tombe rappresentano la certezza di un futuro ultraterreno, un’esistenza apparentemente impossibile che, secondo le concezioni religiose del tempo, proseguiva placida all’interno di stanzette collegate da stretti corridoi. E la tomba del capo, la più grande – destinata appunto alla sepoltura dei capotribù – di quelle stanze ne ha ben 18 con tanto di soffitto Sopra: la tomba del capo, destinata ad accogliere le spoglie dei capitribù, nella necropoli di Sant’Andrea Priu (3700 a.C.). A sinistra: una coppia di asinelli bianchi dell’Asinara presso il Centro di allevamento del cavallo anglo-arabo-sardo a Foresta Burgos. 85 DA BONORVA AL GOCEANO A sinistra, dall’alto in basso: due tessitrici al lavoro a un telaio verticale a Nule, piccolo centro rinomato per l’arte del tappeto. Nella seconda foto, l’esempio di un tipico tappeto a stuoia a colori vivacissimi, realizzato con la tecnica a tessitura liscia esclusivamente in lana sarda. Un cavallino della Giara, originario dell’omonimo altopiano sardo, allevato a Foresta Burgos. Qui l’Istituto di Incremento Ippico regionale ha creato nel 1971 un centro di ripopolamento per salvare questa razza equina a rischio d’estinzione. La macchia mediterranea che caratterizza il paesaggio circostante il Tirso nel Goceano, si spinge fin sulle rocce di granito sulle rive del fiume. Sopra: il Ponte Ezzu, nei pressi di Illorai. Edificato dai romani, subì vari rimaneggiamenti e distruzioni fino ad assumere la sua forma attuale nel XII secolo per opera dei pisani, allora in guerra per il possesso del Goceano. Le tre arcate sono lunghe complessivamente 35 metri. 86 concavo. La tomba a capanna circolare richiama invece un’abitazione preistorica con il tetto conico. La terza tomba più importante è quella a camera che originariamente aveva un ingresso con scalinata. Il complesso, ricavato sul fianco di un costone roccioso, presenta anche affreschi paleocristiani e dipinti bizantini, testimonianze di quando, nel tardo Medioevo, la necropoli fu utilizzata come chiesa. Sulla sommità campeggia il toro sacro o campanile, un grande masso trachitico a forma di toro, simbolo della forza riproduttrice della natura. La seduzione dell’arte funeraria esaurisce pian piano la sua carica emotiva e il tragitto prosegue verso le montagne, quelle più alte che accarezzano i 1000 metri o poco più. Ma prima vale la pena programmare una breve sosta alle fonti di Santa Lucia, dove, attigue all’omonimo stabilimento che commercializza le sue acque, è possibile dissetarsi con fresche effervescenze gassose. Il cuore verde del Goceano Dopo 13 chilometri di curve si arriva a Foresta Burgos: bosco nel bosco, cuore vivo del Goceano. Ricca di tassi, roverelle e lecci, è una delle oasi verdi ancora 87 ITINERARIO 5 intatte della Sardegna. Nata nel XIX secolo come grande azienda rurale, oggi ospita le strutture dell’Istituto di Incremento Ippico regionale e, in particolare, il Centro di allevamento del cavallo anglo-arabosardo. Oltre alla prestigiosa razza equina, il comprensorio di Foresta Burgos accoglie anche una comunità DA BONORVA AL GOCEANO di cavallini della Giara di Gesturi e gruppi di asinelli bianchi dell’isola dell’Asinara. Dopo aver lasciato i rigogliosi sentieri del tempio del cavallo di Sardegna, un’interminabile serie di strapiombi conduce fino al paese di Burgos e al suo fiabesco castello. Dal centro del borgo, un selciato ri- pidissimo – un edificio sulla sinistra ospita il Museo dei castelli di Sardegna – si arrampica fino ai 650 metri dell’ingresso del maniero affacciato come un falco sulla valle del Tirso. Fu eretto agli inizi del XII secolo per volere del giudice Gonario di Torres e nel 1259, rinchiusa nelle sue segrete, vi morì Adelasia, UN PAESE PER SENTIRSI SOLI “Il paese dov’è bello sentirsi soli”, recita un pensiero (forse parafrasato da Pavese: “Paese vuol dire non essere soli”) lasciato sulla bacheca del ristorante da una romantica turista di passaggio. Ma a Rebeccu, borgo fantasma dall’anima grigia, è impossibile rendersi conto quando la dolce malinconia della solitudine vince la gioia della vista mozzafiato sulla piana di Santa Lucia. Le sue casette scavate nella roccia calcarea si sgretolano al ritmo del terribile sortilegio: “Trenta case e non una di più”, gridava in sardo in un’epoca senza tempo la maga Donoria promettendo desolazione e spopolamento. Alle 30 case se ne sono aggiunte circa il doppio e “pro culpa ’e un irroccu velenosu” (per colpa di un velenoso maleficio), scriveva il poeta locale Nannino Marchetti, Rebeccu si è piegato alla volontà di una leggenda che ancora oggi, tra mistero e incredulità, ha il brutto sapore della realtà. Negli anni Sessanta gli abitanti erano una ventina, nove nel 1976, uno nel 2004: un pensionato scapolo di 66 anni che nel tempo libero discute con i suoi due merli indiani. Oggi il Comune di Bonorva ha in mente grandi progetti per ristrutturare e rilanciare il borgo. Sempre che una maga dalla lingua lunga lo permetta. Su Lumarzu, il ristorante a gestione familiare di piazza Sant’Elena, sfama turisti da 27 anni ed è la seconda forma di vita di un paese di origini medievali in cui fino agli anni Cinquanta dal suo belvedere si notavano orde di giovani che, come formiche, al calar della sera facevano rientro in paese con la zappa sulle spalle. Una breve passeggiata tra le poche viuzze e nell’aria che circonda la chiesetta di Santa Giulia, ricoperta da un abito di cemento che non le si addice, si sente il profumo dei limoni. Poca roba rispetto ai tempi che furono quando la terra era buona, ricca di vigne e frutteti. Rebeccu è sì poesia con tanto di cimitero sconsacrato, ma anche concretezza sotto forma di fontane nuragiche, resti di strade romane, testimonianze di occupazioni puniche e aragonesi. E mentre il sole tramonta sulla valle, il cuoco del ristorante di un paese che non esiste prepara pane a fittas, gnocchetti alla rebecchese e carne di cinghiale per affamati visitatori stregati dal piacere di sentirsi soli. A sinistra: i ruderi del castello del Goceano, detto anche semplicemente castello di Burgos, sono situati su una collina che domina la valle del Tirso. Fu eretto nel 1127 per volere di Gonario, giudice di Torres, e vi fu rinchiusa e morì nel 1259 Adelasia, l’ultima giudicessa di Torres. La rocca, inaccessibile da est e da nord per le sue difese naturali, conserva la triplice cinta di mura, il cortile interno e la grandiosa torre, alta oltre 10 metri e recentemente recuperata grazie a un attento restauro dell’intero complesso. 89 ITINERARIO 5 A destra: la scoperta della zona passa anche attraverso la degustazione delle specialità locali, come i robusti sapori degli antipasti a base di pecorino sardo, salsiccia e pane zichi. ultima “giudicessa” di Torres. Dell’intera struttura, oltre a un panorama indistruttibile, sono arrivati fino a noi la triplice cinta muraria, il cortile interno e la torre maestra che è stata recentemente oggetto di un attento restauro. Una volta scesi dalla rocca, la strada in direzione di Bottidda porta fino al bivio per Illorai sulla statale 128 bis, dove appaiono le tre arcate di Ponte Izzu, il ponte medievale sul fiume Tirso. Costruito intorno al XII secolo, fu probabilmente l’unico collegamento tra le due sponde del corso d’acqua che bagna il territorio e si pensa che qui passasse la strada che univa i quattro Giudicati in cui era divisa la Sardegna: Torres, Gallura, Arborea e Cagliari. Un passato ricco di storia La successiva fermata è a una quindicina di chilometri più avanti, sulla strada a scorrimento veloce Abbasanta-Olbia: le terme di San Saturnino, nell’omonima DA BONORVA AL GOCEANO piana in territorio comunale di Benetutti che i romani chiamavano Aquae Lesitanae . I resti sono custoditi all’interno delle Terme Angioy, uno dei due stabilimenti ricchi di sorgenti di acqua calda sulfurea e ferruginosa. Nel secondo, Terme Aurora, è presente una moderna struttura alberghiera. Tra i due complessi, sorge la chiesetta di San Saturnino di Usolvisi, dedicata al martire sardo: in trachite rossiccia del luogo, è stata edificata intorno agli inizi del XIII secolo, pare, sui resti di un nuraghe prima e di un insediamento romano più tardi. A una manciata di chilometri dall’area di San Saturnino sorge Benetutti, centro di 2300 abitanti che insieme alla vicina Ozieri – la città più importante del Logudoro – custodisce nelle sue chiese i capolavori del cosiddetto Maestro di Ozieri, l’anonimo pittore cinquecentesco autore di alcune tra le opere più significative del Rinascimento sardo e non solo. Tra queste, senza dubbio, sono le tavole del retablo dell’Invenzione della croce che, conservato nella chiesa di Sant’Elena, ritrae l’omonima santa, madre dell’imperatore romano Costantino. CHE COSA COMPRARE A Bonorva è possibile acquistare lo zichi (un tipo di pane circolare senza mollica alto un centimetro) da Su Zichi de Bonorva di Giovanna Maria Porcheddu (tel. 079.866319). Per i dolci come papassini e amaretti ci sono le pasticcerie Tifani (tel. 079.866200) e Specialità dolci sardi di Pietro Testoni (tel. 079.867391). La cittadina del Mejlogu è rinomata anche per i suoi formaggi (Cooperativa lattiero-casearia, tel. 079.867756) e l’interessante produzione di tende e tappeti (cooperativa S’arazzu, tel. 079.866135, e 90 Centro ISOLA Su Telalzu, tel. 079.867368, per acquistare arazzi, strisce da tavolo, copertine, cuscini, tappetini e tende che riproducono i motivi della flora e della fauna sarda e figure stilizzate). La tessitura è attività particolarmente fiorente anche a Nule. Per conoscere i segreti dei suoi tappeti a stuoia, in via Nuoro 25 c’è l’esposizione permanente di Pina Crasta (tel. 079.798390, cell. 349.8417901), oppure basta fare una capatina al Centro pilota per la tessitura ISOLA in via Roma 12. Sant’Elena in trono, una delle tre tavole che compongono il retablo conservato nella chiesa di Benetutti dedicata alla santa. Si tratta dell’opera più importante attribuita al Maestro di Ozieri, pittore cinquecentesco tra i più significativi del Rinascimento sardo. 91 ITINERARIO 5 OSPITALITÀ Bonorva Agriturismo Coronas, loc. Coronas, tel. 079.866842. Tanti antipasti di terra introducono le abbondanti porzioni dei piatti più tradizionali del territorio, tra cui il maiale in agrodolce e la favata, le pizze rustiche, l’agnello con il finocchietto e le olive, la pecora in umido e le coratelle al forno. Menu di stagione 16-22 euro. Ristorante Sa Cozziglia, tel. 079.867200. Tra i piatti migliori gli gnocchetti al sugo di salsiccia e il porchetto arrosto. Da 15 euro. Trattoria Su Lumarzu, loc. Rebeccu, tel. 079.867933. Vicino alla zona archeologica di Sant’Andrea Priu, Rita è fortissima in cucina, soprattutto nel pane a fittas, tagliato a pezzetti e cucinato con i funghi, negli gnocchetti alla rebecchese, nel cinghiale alla cacciatora o nella pecora alla campagnola. Menu tipico 22 euro. Chiedere ai proprietari informazioni sui quattro posti letto esistenti nel borgo. B&B Bennenidos, via Amsicora 4, tel. 079.866575. Tre camere in un’antica casa del Seicento. Doppia con prima colazione 50 euro. B&B Casa Porcu, tel. 079.866575, cell. 347.6758725. Burgos Agriturismo di Giovanni Antonio Marras, loc. Foresta Burgos, tel. 079.793483. Cunzadu Mannu, tel. 079.793328, pernottamento e prima colazione 20 euro circa. B&B Michele Solinas, tel. 079.793020, pernottamento e prima colazione 20 euro circa. Benetutti Chi volesse affidarsi a fanghi e idromassaggi delle Terme di San Saturnino può alloggiare all’albergo-ristorante Terme Aurora (tel. 079.796964; 079.796871, pensione completa per persona 58-65 euro). Osidda A disposizione del turista rurale una lunga lista di agriturismi e alberghi diffusi con prezzi che oscillano tra 15 e 20 euro a notte: Casa Delogu, tel. 0784.415036; Casa Deroma, tel. 0784.34527 e Casa Doneddu, tel. 079.712615; Locuvine, tel. 079.712616; S’Iscobalzu, tel. 079.712606, cell. 347.6404095; Su Palattu, tel. 079.217138; S’Ulumu, tel. 079.712727. In alto: l’agriturismo S’Iscobalzu a Osidda. Al centro: Vittorina Zanza tra i piatti tradizionali del territorio che prepara per gli ospiti dell’agriturismo Coronas e (sotto) una selezione di dolci tipici, come tiliche, amaretti, pesche, sospiri, bianchini e croccantini. Una decina di chilometri di tornanti in salita e ci si può tuffare nell’arte del tappeto di Nule, paesino di circa 2000 abitanti. Quasi unico in Sardegna per le sue particolari raffigurazioni, il tappeto a stuoia del piccolo centro del Goceano è rinomato per le tecniche di tessitura a telaio verticale, i vivaci accostamenti cromatici e le trame dei disegni ereditate da antichissime usanze. Ancora pochi chilometri e il viaggio in questo spicchio di Sardegna si conclude a Osidda: 300 ani- 92 me scarse, una via principale che finisce ancor prima di iniziare, segna il passaggio dalla provincia di Sassari a quella di Nuoro. Da diversi anni il paese ha deciso di investire sul futuro puntando su una ricettività turistica di nicchia, quasi elitaria. Ed ecco che Osidda offre una piccola catena di posti letto che, sotto la formula dell’albergo diffuso, permette di gustare senza fretta il cuore di un’isola troppo spesso sacrificato nel nome degli impagabili colori del mare e degli sfavillanti luccichii della costa.