Intervento dei coniugi Alberto e Anna Cristina MERINI

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Intervento dei coniugi Alberto e Anna Cristina MERINI
ALBERTO E ANNA CRISTINA MERINI
27 FEBBRAIO 2013
Una storia personale e familiare opera della misericordia di Dio
Ringraziamo il preside dell’istituto Prof. Livio Melina per l’invito.
Sinceramente siamo rimasti molto meravigliati della sua richiesta perchè non siamo e non ci
sentiamo una coppia o una famiglia “speciale” in grado di dire qualcosa in questo incontro, anzi
tutt’altro….Inoltre per carattere siamo piuttosto riservati e quando alcune volte ci è accaduto di
parlare della nostra vita lo abbiamo fatto con difficoltà.
Tuttavia abbiamo accettato; in primo luogo perché siamo consapevoli che tutto ciò che è accaduto
nella nostra vita personale, matrimoniale e familiare è stato un’opera della misericordia di Dio
(molto spesso siamo stati di impedimento alla sua grazia) e quindi ciò che diremo è per rendere
gloria a Lui; in secondo luogo perché siamo molto grati a questo Istituto, dove ci siamo sentiti
accolti dal Signore in una dimora familiare e dove abbiamo ricevuto una ulteriore illuminazione
sulla missione della nostra famiglia.
LE NOSTRE ORIGINI
Alberto
Sono il primo di tre fratelli, nato in una famiglia di radici profondamente cattoliche: è nitido il
ricordo del rosario serale nella casa dei nonni materni. Tre zii di mia madre erano presbiteri, uno
canonico della cattedrale di Spoleto, mia città natale, altri parenti prossimi sono stati fondatori del
Partito popolare, intellettuali cristiani e uomini di fede viva che hanno lasciato significative
testimonianze. Fin da piccolo quindi sono stato impegnato nell’Azione cattolica e, a cavallo del
fatidico 1968, condividevo, con un gruppo di amici, l’impegno in parrocchia, al seguito
dell’esperienza di Don Milani con i doposcuola di recupero e le raccolte di carta per le missioni.
Vennero poi le letture critiche, i cineforum, l’impegno sociale e politico che si concretizzarono
nella fondazione di un Circolo culturale giovanile, appoggiato dal vescovo mons. Agresti, in cui
con conferenze pubbliche, tentavamo di approfondire, di studiare, insomma di districarci in quel
contesto post-moderno già segnato da uno strisciante relativismo etico.
Ma la mia vita personale era segnata da un avvenimento drammatico: quando io avevo 8 anni mio
fratello più piccolo, in seguito a un incidente, era rimasto gravemente disabile, e i miei genitori,
soprattutto mia madre, trascorrevano lunghi periodi di tempo in ospedale a Roma per assisterlo. Io
e mia sorella più piccola avevamo dovuto lasciare la nostra casa, eravamo stati divisi e affidati ai
nonni. Questo fatto era stato per me una grande sofferenza e aveva provocato una domanda alla
quale l’impegno nello studio universitario, l’esperienza parrocchiale non davano risposta. Se Dio
esiste perché permette il male e la sofferenza degli innocenti? La mia fede era immatura, il mio
cristianesimo si riduceva in definitiva a pratiche esteriori che non potevano colmare la mia sete di
pienezza della vita.
Anna Cristina
Sono figlia unica di una coppia della piccola-media borghesia spoletina, che agli occhi della
società cittadina era considerata cattolica, ma che di fatto era di estrazione socialista e non
praticante. Quando avevo 14 anni i miei genitori si sono separati in casa e poi dopo 4 anni mio
padre ha lasciato la famiglia per convivere con un’altra donna, iniziando le pratiche per la
dichiarazione di nullità del matrimonio che poi, dopo un processo durato 5 anni, è stato
confermato valido. Vivevo con molta sofferenza la frattura interiore che la perdita di tutti i
riferimenti affettivi e valoriali mi aveva provocato, non riuscivo a costruire una mia identità
personale, ero depressa, sola, senza speranza, incapace di relazionarmi con gli altri, avevo
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frequenti attacchi di panico quando dovevo affrontare qualsiasi situazione; ho sofferto di anoressia
per 10 anni, il pensiero del suicidio era ricorrente. Le mie giornate erano scandite dallo studio e
dalle letture in cui mi immergevo totalmente per evadere dalla realtà. Ero molto esigente con me
stessa e confidavo nella mia intelligenza, volontà, cultura come mezzo per pianificare e dominare
la realtà. Estranea a qualsiasi forma religiosa, pur avendo ricevuto i sacramenti dell’iniziazione
cristiana ero totalmente ignorante, nel senso etimologico del termine, riguardo ai contenuti di fede
del cristianesimo e poiché mi ero avvicinata ai gruppi di sinistra post sessantotto tipo “Lotta
continua” avevo maturato la convinzione che la religione, in particolare il cattolicesimo, fosse un
ideale irraggiungibile e del tutto inutile per la vita concreta delle persone, una sorta di narcotico
per i deboli che addolciva la durezza del presente. Ero animata da un forte senso di giustizia
sociale, ribelle e femminista, anche se poi mi allontanai dalla militanza attiva in politica,
tormentata da interrogativi profondi ai quali queste esperienze non avevano dato risposta. Chi è
l’uomo? Che senso ha la sua vita, la morte, la sofferenza? E’ solo un caso ? Ciò che mi interrogava
era anche la testimonianza di una vita cristiana vissuta senza ostentazione, nella verità e nella
semplicità, di due miei professori sacerdoti in cui intravvedevo una serenità, una pienezza e un
amore verso gli altri che mi toccavano e che non sapevo spiegare. Quando iniziò il processo per la
dichiarazione di nullità del matrimonio dei miei genitori e fui interrogata dalla commissione del
Tribunale della Sacra Rota, maturò in me una crescente avversione per la Chiesa che consideravo
solo come una istituzione gerarchica e per questo mi dichiarai favorevole al divorzio in occasione
del referendum del 1974.
L’INCONTRO E L’INIZIO DEL “CAMMINARE INSIEME”
Ci siamo incontrati in questa situazione a 17 e 19 anni e abbiamo iniziato il nostro lungo
fidanzamento (8 anni). Pur continuando a frequentare il gruppo di impegno culturale di cui era
entrata a far parte anche Anna Cristina, eravamo molto chiusi in noi stessi, persi dietro un amore
narcisista che comunque per entrambi in quel periodo è stato un’ancora di salvezza.
Abbiamo intuito fin da subito il desiderio di una vita insieme, una crescita interiore comune, un
“canale intimo” da condividere, che costituiva la nostra speranza e che ci superava. Quando dopo
diversi anni ci è stata regalato La bottega dell’orefice ci siamo commossi nel leggere le pagine che
si riferiscono all’incontro tra Andrea e Teresa “davanti a noi c’era una strada, strada senza fine”,
perché ci è sembrato di rivivere, anche nel ricordo nitido del luogo, la nostra stessa esperienza. Ma
all’inizio del nostro lungo fidanzamento era solo un’intuizione vaga, un impegno di volontà
reciproche, fondato esclusivamente sulle nostre capacità di costruire qualcosa di diverso rispetto al
doloroso passato che volevamo totalmente dimenticare.
Tuttavia il Signore ci aspettava e, con molta pazienza, come il Padre misericordioso della parabola
del figliol prodigo, non ha tenuto conto dei nostri peccati, delle ribellioni, delle infedeltà, degli
egoismi, si è fatto carico del nostro “camminare insieme”; ci ha donato suo Figlio, verità e
salvezza per la nostra vita, perché potessimo in Lui diventare suoi figli adottivi, nella Chiesa che
come madre ci ha accolto.
Ci siamo sposati nel 1980, al termine del nostro percorso di studi (ingegneria e lettere), confidando
nella Provvidenza che è stata sempre presente nella nostra famiglia anche quando la precarietà
economica è stata superata. Il poco che abbiamo dato ci è stato sempre restituito con il centuplo
(viaggi inaspettati, vacanze, la possibilità di far fronte ai pellegrinaggi in occasione della varie
GMG e degli incontri mondiali con le famiglie, perfino viaggi nella Repubblica popolare cinese
nel 1985 e 1987).
Pochi giorni prima del nostro matrimonio eravamo andati a pregare in un piccolo eremo vicino ad
Assisi e la parola del vangelo che il Signore ci donò al caso nostro fu il passo di Matteo: “Non
affannatevi dicendo: che cosa mangeremo? che cosa berremo? che cosa indosseremo?…il Padre
vostro sa che ne avete bisogno. Cercate Dio e la sua giustizia e tutto il resto vi sarà dato in
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aggiunta”. Non avevamo nulla di tutto ciò che oggi sembra indispensabile per una vita
matrimoniale: una casa nostra, un lavoro redditizio, una macchina. Alberto si era appena laureato e
stava finendo il servizio militare, la nostra unica entrata era il mio stipendio di maestra elementare
che bastava appena per pagare l’affitto e per arrivare a fine mese. I mobili per la nostra casa
provenivano dalla cantina e dal magazzino della casa di campagna della famiglia di Alberto.
Il rinfresco del nostro matrimonio fu fatto in casa con l’aiuto delle rispettive famiglie (le zie
cucinarono delle buone cose …).
Ma il Signore si stava impegnando con due tipi come noi, dimostrando di essere l’artefice geniale
e fantasioso di quel ‘noi’ che iniziavamo con Lui a costruire faticosamente basandoci più sulla
nostra intelligenza e volontà che sulla grazia dello Spirito.
IL DONO DI UN CAMMINO DI FEDE E DI CONVERSIONE
Il Cammino neocatecumenale iniziato nel 1975 è stato l’alveo dove il fiume della nostra vita ha
potuto scorrere, alimentato dal Kerigma, custodito dagli argini della Parola, dell’Eucaristia della
comunione fraterna che ne hanno permesso una direzione e uno scopo.
Nel grembo della Chiesa, in questo itinerario di riscoperta del battesimo, il Signore ci ha condotto
ad una esperienza profonda di conversione; mettendo olio sulle nostre ferite antiche, ha ri-creato il
nostro cuore perché potessimo iniziare a riportare all’unità i frammenti della nostra identità
personale, riconoscendo in lui l’Amore che ci aveva generato. Alla luce della Parola e dei
sacramenti, (eucaristia e riconciliazione) abbiamo lentamente scoperto chi eravamo veramente, al
di là del nostro apparire “bravi ragazzi”, capaci di vincere con un orgoglio prometeico là dove ci
sembrava che le nostre famiglie avessero fallito.
Il Signore ci ha donato di imparare ad accettare i nostri limiti, difetti, peccati, perché Lui ci amava
così come eravamo, non per i nostri meriti o per ciò che sapevamo fare; di riconciliarci con la
nostra storia, mettendo nel cuore la gratitudine di avercela donata, anche se allora ai nostri occhi,
ci appariva più una sterpaglia piena di rovi che un giardino da coltivare e custodire. Ma se non
fosse stato così mai avremmo desiderato di incontrarLo e mai avremmo potuto aprire i nostri occhi
“alla speranza di una vita vissuta secondo la Sua volontà” come ci ha detto nostro figlio David.
Abbiamo avuto tanti angeli che ci hanno accompagnato: i miei genitori, il presbitero che ci ha
sposati e che ci ha seguito sempre con amore di Padre fin dal nostro fidanzamento, i nostri
catechisti, sposi veramente santi che nell’annuncio costante del Kerigma hanno dato la loro vita
per noi; i fratelli di comunità alla nostra famiglia, con tutti i quali, nella diversità, tuttora
condividiamo il valore più profondo della nostra vita, l’esperienza di Cristo che, distruggendo
nella sua carne il muro di separazione, ci dona la capacità di vivere una comunione originata dallo
Spirito Santo in cui siamo veramente un “cuore solo e un’anima sola”.
IL MATRIMONIO, MEMORIALE DELLA PRESENZA DEL SIGNORE
Il nostro matrimonio è stato un memoriale molto forte, anche se non avevamo la coscienza piena
della nostra vocazione di sposi. La parola che avevamo scelta e che proclamammo fu l’Inno alla
carità di S. Paolo, e il vangelo di Giovanni: “Questo è il mio comandamento che vi amiate come io
vi ho amati. Voi siete i miei amici […] Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi perché andiate
e portiate frutto e il vostro frutto rimanga perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome
ve lo conceda”.
E’ stata una profezia per la nostra vita; molto si è realizzato, ma non per le nostre capacità o per la
nostra volontà. Il nostro amore umano è stato veramente trasfigurato dallo Spirito Santo che,
nonostante il nostro essere vasi di creta e il nostro egoismo, ci ha dato la certezza che il Signore
era presente e non ci avrebbe abbandonato, ci ha sorretto in tanti momenti di prova, di sconforto,
di sofferenza; ci ha dato la forza e il coraggio di ricominciare da capo e ci ha regalato tanti
momenti di gioia vissuti sia nella nostra famiglia sia nella comunità.
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Nei primi anni del nostro matrimonio eravamo una coppia fragile; oltre ai catechisti e ai fratelli
della nostra comunità abbiamo avuto bisogno anche dell’aiuto di “angeli supplementari” per uscire
da una forma di amore ideale centrato su noi stessi e sull’appagamento dei nostri rispettivi
desideri.
Avevamo, sì, compreso la bellezza del nostro costruire insieme nella ‘unicità’ e nel ‘per sempre’,
avevamo intuito e anche sperimentato la presenza di Dio in tutto questo ma, lo vivevamo solo a
livello intellettuale e affettivo: desideravamo solo il nostro personale ‘stare bene’, e non sapevamo
come fare a vivere per il bene dell’altro. In definitiva, la nostra relazione di coppia si basava su un
ideale ingannevole di fusione di idee e di prospettive; la nostra differenza era vissuta più come una
difficoltà che come una risorsa indispensabile per il dono di sé e ci faceva soffrire l’incapacità di
relazionarci profondamente con la realtà dell’altro e degli altri. Soprattutto Anna Cristina non
riusciva ancora ad avere una sua personale identità, tendeva ad una omologazione con Alberto, che
peraltro non faceva altro che aumentare questa tendenza per paura dei conflitti necessari per una
vera e autentica crescita. L’intervento di Dio non si fece attendere.
Fin dai tempi del nostro fidanzamento avevamo conosciuto la spiritualità dei piccoli fratelli di
Charles de Foucault a Spello, guidata allora da Carlo Carretto Ci chiesero di aiutarli
nell’accoglienza dei gruppi parrocchiali e dei giovani in un semplice servizio di gestione della
casa, durante l’estate, condividendo anche i loro momenti di preghiera. In questa esperienza
vissuta per 6 anni, il Signore ci ha donato sia la grazia della preghiera comune, che non abbiamo
più lasciato pienamente poi vissuta nella comunità con la consegna del salterio, sia la condivisione
della nostra vocazione di coppia con quella della verginità consacrata, in cui l’una illuminava
l’altra,
Lentamente ci siamo resi conto che “per essere capaci di amare era necessario essere convinti di
non essere capaci a farlo” se non c’era Gesù Cristo in mezzo a noi. Dovevamo lasciarci plasmare
dal suo amore se volevamo vivere non solo uno insieme all’altra, ma diventare nel dono di noi
stessi una unità non solo fisica ma affettiva, intellettiva, spirituale.
Dopo che il Signore ci aveva donato la grazia di riscoprirci come figli, dovevamo imparare a
diventare veramente sposi, crescere in una comunione dinamica di amore per una relazione
feconda aperta gli altri. Imparare ad amarci, a dare la vita per l’altro, ad accoglierlo e accettarlo
per ciò che è e non per ciò che vorremmo che fosse, è stato un lungo e difficile percorso, maturato
nel tempo attraverso i nostri conflitti, delusioni, fallimenti, vissuti cercando la volontà di Dio, che
ci sono serviti per ritornare alla Sorgente da cui attingere la verità del nostro amore coniugale,
perché fosse continuamente rigenerato dallo Spirito Santo.
IL DONO DEI FIGLI AL DI LÀ DI OGNI SPERANZA
Per un certo periodo, visto che ancora non avevamo figli, abbiamo pensato che la nostra missione
di coppia fosse di aprire la nostra casa all’accoglienza delle persone che il Signore poneva
continuamente sulla nostra strada. Questa esperienza ha aperto il nostro cuore all’adozione.
Per 8 anni abbiamo sofferto l’impossibilità di avere figli .Un Centro specializzato di Bruxelles cui
ci eravamo rivolti, ci diagnosticò che la nostra sterilità era scientificamente inspiegabile,
concludendo che non saremmo mai potuti diventare genitori se non con un ‘colpo di fortuna’.
(conserviamo ancora il referto medico). Ci proposero anche la fecondazione artificiale, ma
parlandone con il nostro catechista, egli ci disse “Guardate ad Abramo”.
Così inoltrammo la domanda al Tribunale dei minori e in un tempo brevissimo, al di là di ogni
aspettativa, arrivò nella nostra casa Samuele, bimbo di 5 anni, segnato dalla sofferenza
dell’abbandono, dono immeritato della Madonna di Loreto dove ci eravamo recati in
pellegrinaggio con la nostra comunità in occasione di una tappa del cammino. Troppo lungo
sarebbe elencare i miracoli che hanno accompagnato questo evento: ricordiamo solo l’incontro con
Giovanni Paolo II che ricevendoci nella Sala Clementina in occasione di questo pellegrinaggio ci
esortò ad avere fede e ci diede la sua benedizione.
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A seguire, la nascita degli altri 4: il primo, piccolo angelo volato in cielo ad appena cinque mesi di
gravidanza; Francesco Maria, dono di S. Francesco da Paola nel 1990; David, nel 1991 e infine,
quando avevo già 46 anni, Maria Grazia, nata nel 2000, per l’intercessione della Madonna delle
Grazie di Perugia e per le preghiere incessanti di Francesco Maria che, come la vedova importuna,
nonostante l’incredulità di tutti, si era rivolto al Signore perché gli donasse una sorellina. “Nulla è
impossibile a Dio” autore della vita; nessuno di loro sarebbe nato senza l’intervento della Vergine
Maria, le gravidanze, concluse prematuramente (Maria Grazia è nata a 7 mesi e mezzo) sono state
estremamente difficili, a causa della salute di Anna Cristina che l’ha costretta a subire parti
cesarei in cui ha rischiato la vita.
Il miracolo di queste nascite non è stato solo fisico; l’amore gratuito, immenso di Dio Padre, la sua
fedeltà, il potere della preghiera hanno convertito il nostro cuore; il dono dei figli è il memoriale
più forte della sua esistenza nella storia come creatore della vita e della grazia che ci ha fatto di
partecipare a questa creazione.
Con l’arrivo dei figli siamo diventati una famiglia a tutti gli effetti, ma dovevamo imparare ad
essere genitori, impresa ardua, soprattutto per me che riconoscevo la mia debolezza nell’essere
madre: ero troppo esigente, molto spesso incapace di un affetto e di una accoglienza
misericordiosa nei riguardi dei figli.
Molto ci hanno aiutato le altre famiglie della nostra comunità che avevano più esperienza e più
sapienza di noi, abbiamo visto l’opera dello Spirito Santo nella comunione con loro, nell’ascolto
della Parola che ci illuminava la strada quotidiana e soprattutto nell’eucaristia. Quante volte siamo
andati alla celebrazione tristi, oppressi dai nostri peccati e Cristo ci ha salvato di nuovo e ci ha
ridonato la gioia, come ha detto nostro figlio Francesco Maria al 25° del nostro matrimonio:
“Quando andavamo alla messa in macchina, discutevamo tutti, quando tornavamo c’era una
grande pace”.
Tuttavia non era affatto facile per noi ritrovare il senso del dono reciproco all’interno dei rispettivi
ruoli di padre e di madre e di iniziare a vivere un nuovo tipo di relazione tra noi e tra noi con i figli
e tra i figli stessi. E’ iniziata una crisi seria, durata qualche anno, dovuta all’egoismo di entrambi:
di quello di Alberto che non riusciva ad accettare la precarietà della mia salute e di farsene carico,
del mio che avanzavo continue pretese su di lui e che gli anteponevo i figli . Ma il Signore ancora
una volta non ci ha lasciato soli.
UNA GENITORIALITÀ IN CRISI “DIVENTA FAMIGLIA” IN DIALOGO CON GIOVANNI PAOLO II
Nella tiepida serata dell’8 ottobre 1994, in Piazza S. Pietro gremita di famiglie confluite per il
primo incontro mondiale, Giovanni Paolo II pose una domanda sulla famiglia a noi famiglie
stesse: “Famiglia, che cosa dici di te stessa?” e, specificando ulteriormente, “Famiglia cristiana,
chi sei tu?”. Questa domanda ci interpellò profondamente come se il Papa, in quella folla
immensa, dialogasse solo con noi e indicasse proprio a noi, così disillusi per i nostri conflitti, la
direzione del nostro essere famiglia.
Il Papa concluse il suo discorso con una duplice affermazione, una singolarmente concreta che
sigillò la nostra intuizione: “ogni famiglia è una luce che deve illuminare la strada della chiesa e
del mondo futuro” e una profetica di cui allora non comprendemmo il senso, svelato poi nel corso
degli anni: “dal seno di famiglie dedite alla preghiera, all’apostolato, alla vita ecclesiale,
matureranno genuine vocazioni non solo per la formazione di altre famiglie, ma anche per la vita
di speciale consacrazione”.
Questo incontro con Giovanni Paolo II fu determinante per ricominciare ancora da capo, su un
altro fondamento, quello della ricerca costante di una identità di comunione, non senza difficoltà e
sofferenze. Da allora abbiamo sempre seguito il Papa: nel suo magistero, nelle GMG, negli
incontri mondiali con le famiglie, in ogni occasione, e lui è stata la guida che Dio ha messo sulla
strada della nostra famiglia.
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A quel tempo eravamo già catechisti di alcune comunità neocatecumenali in due diocesi, Perugia e
Gubbio; l’evangelizzazione era una risposta al dono che la chiesa ci aveva fatto generandoci alla
fede (gratuitamente avevamo ricevuto e gratuitamente diamo), ma sentimmo che avevamo una
grande responsabilità nell’educare figli non solo ai valori umani, all’onestà, all’impegno, allo
studio, ma soprattutto alla fede, la cosa più importante che avevamo ricevuto.
LA TRASMISSIONE DELLA FEDE AI FIGLI
Abbiamo così semplicemente trasmesso ai figli un modo di vivere che la chiesa attraverso il
Cammino neocatecumenale ci ha insegnato: quello di leggere gli avvenimenti con “l’occhio di
Dio”, cioè far vedere la sua azione salvifica nella vita di ogni giorno, a partire dall’esperienza
vissuta personale e familiare; li abbiamo coinvolti fin da piccoli nella nostra vita di fede, con la
partecipazione all’eucaristia in cui c’è uno spazio per loro (preghiera e risonanza), alla veglia
pasquale, in cui i genitori rispondono con la loro esperienza alla domanda del Dt 6: “Quando tuo
figlio ti domanderà che cosa significano queste istruzioni, queste leggi, tu risponderai eravamo
schiavi del faraone ecc…”; con la preghiera comune al mattino, alla sera, prima dei pasti facendoli
partecipi e al servizio di evangelizzazione.
Quando erano piccoli e dovevamo lasciarli per catechesi, convivenze, incontri e anche quando
siamo diventati responsabili della pastorale diocesana, gli dicevamo sempre che tutta la nostra
famiglia era in missione e gli chiedevamo di pregare per noi e per tutti coloro che lavoravano
insieme a noi.
Ma il momento privilegiato è stato e rimane anche oggi che i figli sono cresciuti, la preghiera delle
lodi la domenica mattina, in cui, alla luce della Parola di Dio, le nostre relazioni si vivono, in un
clima di verità e di amore reciproco, in quanto si “genera un dialogo tra noi genitori e i figli, in cui
si parla dei problemi della vita di ciascuno e di quelli della famiglia”.
Gesù risorto è stato al centro della nostra preghiera familiare, per questo nonostante le difficoltà
specialmente negli anni dell’adolescenza dei figli, abbiamo ritrovato il dialogo tra noi e con Dio,
l’unità, e sperimentato il perdono reciproco. Dice Samuele “ spesso ho rifiutato le lodi perché avrei
preferito dormire o giocare a calcio…, ma credo nel profondo del cuore che avete fatto la cosa
migliore per me!
Importante era di trasmettere non dei riti o delle pie devozioni, ma un orizzonte di vita piena, di
vita eterna; di accompagnarli ad accogliere il dono più grande: l’amore di Dio per la loro vita; di
far loro scoprire la bellezza di rispondere a questo amore con l’amore. Abbiamo chiesto allo
Spirito Santo che supplisse alle nostre lacune di genitori mettendo Lui nel cuore dei figli,
trasmettendo il desiderio di cercare la volontà di Dio e di perseguirla.
Il Signore ci ha donato la perseveranza nella preghiera comune. Anche oggi che i figli sono lontani
e la domenica siamo soli con Maria Grazia sentiamo una comunione concreta con loro.
L’ESPERIENZA FAMILIARE AL SERVIZIO DELLA PASTORALE DIOCESANA PER LA FAMIGLIA
Quando nel 1998 il vescovo Mons. Chiaretti ci ha chiamato per il servizio alla pastorale della
famiglia, ci siamo sentiti sgomenti: era qualcosa che ci superava che cosa potevamo fare noi?
Come rispondere a questo?
Dopo 14 anni, al termine di questo servizio, pensiamo che, al di là di tutti gli incontri nella diocesi
con i parroci, i corsi di formazione promossi per i catechisti, le conferenze, i convegni, le iniziative
promosse in occasione del referendum della legge 40 sulla procreazione assistita, la partecipazione
al Family day del 2007, le feste come quella per la famiglia del 2008, le manifestazioni come la
rappresentazione dei Magi, il Sinodo che il nostro vescovo ha promosso (è stato lui, infatti, il
responsabile della pastorale familiare, noi abbiamo semplicemente prestato il nostro corpo!)
l’unica cosa che abbiamo saputo fare è stata quella di trasferire l’esperienza vissuta nella nostra
famiglia e nella comunità, che per noi è stata ed è una famiglia, nella chiesa diocesana, facendo sì
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che ogni iniziativa fosse una occasione per evangelizzare, guardando più all’“essere” che al “fare”,
prendendoci cura delle famiglie, “camminando insieme” ai movimenti, alle nuove comunità, alle
associazioni che in diocesi si occupano della famiglia, ricercando insieme la comunione.
Non è stato sempre semplice: spesso ci siamo trovati di fronte alle incomprensioni, alle
persecuzioni, ai pregiudizi, alle prove, ma il Signore ci ha sempre accompagnati e ci ha regalato
momenti di gioia piena
CON L’ISTITUTO GIOVANNI PAOLO II: LA RICOMPOSIZIONE AD UNUM DELLE
NOSTRE STORIE, NELLA COMUNIONE E NELLA PROSPETTIVA DELLA MISSIONE
L’INCONTRO
Poi in questi stessi anni, a ragione del servizio diocesano, l’incontro, certamente non casuale, con
questo Istituto.
Da subito abbiamo intuito che qui c’era la Fonte, la Verità che si donava ancora una volta a noi
sorprendendoci in modo del tutto inaspettato attraverso il pensiero di Giovanni Paolo II, che tante
volte avevamo letto, meditato, anche vissuto. Qui diventava concreto attraverso uno studio che ci
appassionava, ma che non era semplicemente studio: era la rivelazione del fondamento della
nostra vita di coppia e di famiglia. In realtà non avevamo nessuna intenzione di fare studi
sistematici, ci bastava seguire i seminari, qualche incontro… alla nostra età poi…!
Quando ci fu chiesto di iscriverci, ancora una volta ci trovammo di fronte a qualcosa che ci
superava, un impegno troppo grande, ci sembrava impossibile! con l’evangelizzazione, con il
servizio ai nostri genitori anziani e ammalati, con una figlia ancora piccola, ma soprattutto per
Anna Cristina che aveva avuto un ictus nel 2001.
Oggi possiamo dire che non è stata un’opera umana. Tante volte ci siamo scoraggiati e abbiamo
pensato di lasciare tutto, ma il Signore e la Madonna di Fatima sono stati fedeli.
Qui il Signore, paziente orefice, ci ha dato di vedere ricomposta la filigrana della nostra vita che ha
tessuto: tutto ha trovato unità e il suo posto: la nostra identità personale, la bellezza della nostra
differenza, le relazioni familiari, la missione della nostra famiglia, la ricchezza di avere una
comunità e un cammino di fede.
PRECEDUTI DAI FIGLI NELLA MISSIONE
I figli, che hanno intrapreso anche loro il Cammino neocatecumenale, ci hanno preceduto nella
missione.
Nel 2009, dopo un pellegrinaggio in Israele, in occasione della visita del papa, Francesco Maria
ha risposto alla chiamata del Signore all’itineranza nelle Antille inglesi e in Giamaica: Dice
riferendosi a questo: “Quando tutto era come volevo io, la scelta dell’università, lo studio che mi
piaceva….il Signore mi ha rubato il cuore ed è bellissimo testimoniare la fede anche se è ogni
giorno un combattimento”.
Il 13 maggio 2010 David, a Fatima, sempre in occasione di un incontro con il papa, ha detto sì alla
chiamata al sacerdozio e ora è al seminario Redemptoris Mater di Leon in Spagna. Tutto, fuorché
questo, ci saremmo aspettati da lui: un figlio un po’ bizzarro, molto vivace, attaccatissimo alla sua
casa e alle sue abitudini, sempre immerso nella lettura, nello studio.
Quando si è diretto verso il palco nella piazza della basilica di Fatima a tutti noi, interdetti, ha
detto “Ciao, ...è stato bello ma vado”. E poi: “E’ bellissimo seguire il Signore in quanto porta
avanti tutto Lui e d’altronde chi sarebbe in grado di amare, di sacrificare le proprie idee, se stesso?
La prima cosa è seguirlo il resto verrà”. E ancora “Stando in seminario a volte provo una nostalgia
profonda del’ambiente di casa e degli affetti familiari, però mi sono reso conto che li porto nel mio
cuore, non solo come ricordo di un passato lontano, ma anche come un memoriale al quale far
partecipare anche gli altri”.
Nel 2012 Samuele già laureato e con un lavoro, dopo una lunga crisi esistenziale, ha rimesso la sua
vita nelle mani della Chiesa, ha lasciato il lavoro e, invitato dal parroco e dai suoi catechisti, è
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partito per un anno di discernimento: 5 mesi a Tolone in Francia presso il seminario Redemptoris
Mater e ora, da luglio, in Israele alla Domus Galilaeae.
Dice Samuele “Forse per la prima volta mi sono voluto fidare di Dio, sapete come sono fatto e
quello che mi piace: la comodità, la mia famiglia, gli amici, i soldi, il lavoro… ma la felicità tutte
queste cose non me l’hanno data. Ora mi sento in pace. Dio mi sta facendo vivere in questo
deserto per darmi la terra promessa …, ma non è facile: come il popolo mormorava e si
dimenticava della Promessa, così sono io con tutti i miei peccati”.
Maria Grazia ha solo 13 anni, frequenta la 2° media e il primo anno di Conservatorio studia
pianoforte.
Infine il Signore ha chiamato anche noi all’itineranza. Compatibilmente con il lavoro di Alberto,
con la cura dei nostri genitori anziani (non è semplice per i miei che sono separati e vivono in due
città diverse) e del fratello di Alberto, partiremo per dove non sappiamo . Questo anno a Tolone
poi si vedrà.
LA TESTIMONIANZA DEI NOSTRI FIGLI, VOCI D’AMORE E DI LODE A DIO
Samuele:
Vorrei che diciate da parte mia che sono molto orgoglioso della mia famiglia. Ringrazio Dio di
avermela donata, così com’è, perché a me piace. Prego Dio e la Vergine Maria che la protegga e la
custodisca, la benedica in ogni attimo, ogni giorno; che mio padre e mia madre possano continuare
ad avere questa “luce”, la fede, perché illumini sempre la vita della nostra famiglia. Soprattutto nei
momenti di difficoltà, sia sempre un memoriale di comunione e di unità Ringrazio Dio anche dei
fratelli che mi ha donato e della sorellina, proteggili e non far mancare mai loro la Tua presenza.
Questa potrebbe essere la mia preghiera che avrei fatto una domenica a casa.
Francesco:
L’unica cosa che posso dire è che la nostra famiglia è stata salvata dalle lodi, dai sacramenti ecc
ma soprattutto dall’evangelizzazione. Un segno concreto per me è stato vedere voi genitori che
‘nella creta’ avete dato la vita per annunciare Cristo, ponendo il vangelo sopra i vostri figli,
nonostante la sterilità e tutto il resto. Per me questo è fondamentale perché non si trasmettono
teorie o prassi o catechesi, ma un amore a Cristo che risponde alla vocazione più intima dell’uomo
e lo realizza pienamente, circoncidendo la mente e il cuore di fronte alle sofferenze dei figli che
per me sono state sante e necessarie.
David:
La testimonianza della mia famiglia mi ha aiutato a riflettere su molti momenti felici che abbiamo
trascorso insieme e sulla bellezza di questo vivere insieme in una famiglia cristiana. Ciò a cui mi
chiama il Signore, oltre a rendergli grazie per questo, è a non nascondere ciò che ho ricevuto ma
ad annunciarlo. Può sembrare paradossale: come fa un seminarista ad annunciare la bellezza della
famiglia? Non è in contraddizione con la sua vocazione? In realtà una profonda comunione unisce
la mia vocazione: quella dei miei genitori e quella delle famiglie della mia comunità
neocatecumenali. Tutti abbiamo affidato la nostra vita a Cristo ed Egli con la sua fantasia porta
avanti un progetto particolare con ognuno.
Maria Grazia:
Mi piace la mia famiglia perché, a differenza di quelle dei miei compagni di scuola, mi ha
insegnato a pregare e a chiedere aiuto a Dio quando sono in difficoltà, perché senza di Lui non si
va avanti. Non vorrei cambiare mai la mia famiglia, anche se non è una famiglia modello perché a
volte ci sono liti tra me e i miei genitori; ma poi ci riconciliamo e ci sono delle belle e significative
relazioni soprattutto tra me e la mamma ,dato siamo le uniche due donne in casa. Voglio tanto
bene anche ai miei fratelli, anche se ora mi mancano tanto.
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«PORTIAMO IL TESORO DI QUEST’AMORE IN VASI DI CRETA…»
Portiamo il tesoro di questo Amore che ci ha preceduto, ci accompagna e che è la nostra meta “in
vasi di creta perché sia manifesto che la sublimità di questo amore viene da Dio e non da noi”.
Siamo sempre messi alla prova dal demonio che ci tenta negli affetti (non è facile vivere senza i
figli più grandi con la loro esuberanza giovanile, proprio nel momento in cui la comunione era più
forte tra noi, ma ci sono stati affidati, non sono nostri.), nella precarietà della salute fisica, nella
incredulità (dove andiamo alla nostra età?).
Abbiamo costantemente bisogno di rinnovare e consolidare la nostra comunione coniugale
attraverso un’alleanza per il bene reciproco, alleanza che si è come intensificata dopo l’assenza dei
figli più grandi; sempre di più sentiamo la necessità della preghiera insieme e dei sacramenti,
perché la comunione è “sottile delicata, facilmente vulnerabile”; ogni giorno sperimentiamo
quanto sia semplice interrompere la relazione, quanto sia difficile perdonare, mancare alla
testimonianza della verità, e per questo abbiamo bisogno della Chiesa come luogo dove ricevere
continuamente l’amore di Dio nel perdono dei peccati.
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