来安 - Giancarlo Niccolai
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来安 - Giancarlo Niccolai
来安 Rai’an Pace futura Giancarlo Niccolai © 2014 di Giancarlo Niccolai. Tutti i diritti riservati. ISBN: 978-1-326-00061-5 È autorizzata la riproduzione di brevi estratti, lunghi al massimo tre pagine del testo originale. Sito web dell’autore: http://www.niccolai.cc Quarta ristampa Ringraziamenti Un sentito ringraziamento al Prof. Corrado Molteni che mi ha insegnato le basi della lingua Giapponese e l’amore per la cultura orientale. Uno speciale ringraziamento anche al Prof. Fabio Rambelli, che ha esaurientemente risposto ai miei dubbi sullo sviluppo delle religioni in Giappone nell’epoca Hei’an, mi ha indirizzato verso le fonti più aggiornate e mi ha indicato le ricerche più avanzate nel campo. E lo ringrazio anche per il lavoro profuso nelle ricerche di frontiera che ha compiuto, e che hanno permesso ad altri di penetrare questa area di studio affascinante quanto ancora inesplorata. Ringrazio Kurt Bell, escursionista che vive in Giappone, che avventu randosi in luoghi difficilmente raggiungibili, come santuari abbandonati, villaggi isolati, dense foreste e montagne impervie, ha ispirato vari scenari che compaiono in questo libro. Ringrazio il mio amico Kiyoshi Kohara, che con i suoi racconti di vita quotidiana dal Giappone, non edulcorati dai filtri naturalmente sovrim pressi ai prodotti della cultura di massa, mi ha consentito di comprendere la realtà concreta della mentalità Giapponese. Un ringraziamento speciale va ad Enrico Bo e Giovanni “Juhan” Pon zio, che mi hanno aiutato a revisionare la versione definitiva del testo. Un lavoro certosino e impagabile, grazie al quale il libro che avete fra le mani è molto migliore di come sarebbe stato senza il loro contributo. Note I nomi giapponesi sono resi con il sistema di traslitterazione Hepburn tradizionale. In pratica, vanno letti come trascritti, con le seguenti ecce zioni: • La g è sempre dura; quindi, i gruppi gi e ge si leggono come ghi e ghe. La g dolce è resa con la lettera j (quindi ja si legge già e je si legge ge). • Il suono italiano della c dolce è reso col gruppo ch (quindi chi si legge ci, che si legge ce, e cha si legge cià). • Il dittongo ou si legge come una o lunga. Ad esempio, Toudai si legge Toodai. I nomi scritti con una doppia o, come Oomono, si leggono pronunciando due o ben scandite. Le lettere fra parentesi accanto ai titoli dei paragrafi sono l’iniziale del personaggio narrante. Parte prima Wakakusa Caduto dal cielo (R) Sono morto. Almeno credo. Buio. Freddo. Se esiste il nulla, deve essere questo. Qualcosa è andato storto. Cosa? – non lo so. E non importa. Eppure, penso. Non sento nulla, ma penso. Si può essere morti così? E se fosse questa l’eternità? Un’onda di terrore. Sempre così. Io nel vuoto. È atroce. D’improvviso una linea di luce squarcia l’oscurità. Un orizzonte, un lampo sottile. Il lampo si allarga. Era bianco, ma ora diventa azzurro. Azzurro. Cosa può mai essere? Ricordo una cosa grande, azzurra. L’ho vista, qualche volta. È … un cielo? Ah, se sono morto, questo dev’essere il paradiso. Almeno credo. Freddo e azzurro. E che paradiso sarebbe? – tanto valeva fosse freddo e nero. Un’ombra di pensiero estende il mio io. C’è qualcosa attaccato a questo pensiero. Un sordo, flebile pulsare che ha una forma. Uno e cinque; mi protendo. Mi rendo conto che ho un corpo; sottile, forse uno spettro, ma è meglio che essere solo un pensiero. Assieme con questo pulsare, arriva qualcosa. Che cos’è? – è qualcosa che si allarga come un onda. Suono. Io sento. È un fruscio. Il vento. Qual che volta l’ho sentito, qualche volta soltanto, quando avevo visto il cielo… è il suono degli alberi. Giunge cupo, e aumenta col pulsare del mio corpo. Dolore. Ecco che cos’è questo pulsare. Allora sono vivo. Almeno credo. 1 È il corpo che mi fa male. Sono sdraiato, e sto guardando il cielo. La mia coscienza si desta dal torpore, odo, vedo, sento; l’aria entra pesante nei miei polmoni. Cerco di muovermi. Mi accorgo che qualcosa cambia nella sensazione che rappresenta in me i miei arti; forse li sto muovendo, ma è chiaro che il mio corpo ancora non mi appartiene. Lotto ancora; ma giunge un nuovo suono. Ritmico. Legno che batte sulla terra. Il ritmo è familiare. Sono passi. Prima svelti, poi, mentre si avvicinano, rallentano… poi si fermano. Appare una figura sul cielo che vedo. Cerco di muovere gli occhi verso di lei; qualcosa cambia, devo esserci riuscito. Il volto è chiaro. Indossa una veste grande, bianca e rossa. I capelli; lun ghi, neri, sottili, una nube scura agitata dal vento. Muove elegante una mano a scostarli. È una giovane donna. Gli occhi sono diversi, sottili. Anche il naso. Perché questo dovrebbe essere importante? – perché dovrebbe avere un significato speciale per me? – cerco di ricordare… dove sono? – dove dovrei essere? Leggo la sorpresa sul suo volto. Sorpresa, timore e compassione. Deve aver compreso che sto male. La vita che credevo essere perduta, e che ho appena ritrovato, mi grida che l’unica speranza è chiamarla. Con tutta la vita che ho, provo a parlare. Quanto è difficile! È come se non lo avessi mai fatto. La mia bocca si apre, ed esce fiato; uscendo, emette un suono, ma non è una parola. È un verso che non conosco. Sono terrorizzato. La mia vita dipende da quella donna. Devo chiamarla, ma continua ad uscire un verso, e non una parola. Sollevo un braccio. Quanto è pesante. Tendo la mano verso di lei. Ci provo con tutto me stesso. Se non ci riuscissi, cadrei in quell’abisso da cui solo lei può salvarmi. La chiamo ancora. “Aaaaahhh”. La donna si gira, e inizia a correre. No! – No!!! – non lasciarmi qui. “Aaaaaaagggghh”. Ma assieme al suono dei suoi passi sento una voce. –Kannushi! Kannushisama!– Mentre la mia mente riprende a funzionare, e comprendo che quello è un grido di aiuto. Non so cosa vuol dire, ma so che la donna sta cercando aiuto. La sua voce continua a chiamare. Il mio braccio cade pesantemente. Ho ancora paura, ma ora rimango sull’abisso aggrappato ad un filo di speranza. Molti legni che battono per terra. Molti passi che corrono. Stanno venendo da me. Il filo diventa una fune. Se potessi, sorriderei. 2 Nel cielo si stagliano figure d’uomini con un alto copricapo e di donne dai lunghi capelli fluenti. Sono orientali. Perché questa cosa è così impor tante per me? Dicono parole che non comprendo. Si chinano su di me. Scambiano qualche secca parola e mi sollevano; ma il mio corpo non sopporta il dolore, un lampo rosso mi copre la vista e il mondo si fa oscuro. Lo straniero dai capelli d’oro (K) Dorme ancora. Sospiro. Avvicino la mano per toccargli la fronte, ma mi fermo prima di sfiorarlo. Mi sarà permesso? Ripenso ai suoi occhi, alla sua mano tesa verso di me, alla paura sul suo volto. Se è un Kamii, mi perdonerà. Se è un uomo, non c’è nessun peccato. Se è un Oni… preoccuparsi non serve. Gli scosto i capelli. La fronte non è calda; anzi, mi pare un po’ troppo fredda. Prendo un’altra coperta. Chi sei, straniero? Non ho mai visto un uomo dai capelli d’oro; ne ho solo sentito parlare nei racconti delle terre a occidente, al di là della Cina e dell’India. E i tuoi occhi… è un colore assurdo. Azzurri e trasparenti come il cielo. Il tuo volto è duro come la pietra dove ti abbiamo trovato. Le linee del tuo viso sono forti, improvvise; non certo dolci. Perché mi sembri così bello? – E anche le tue vesti sono così strane… Chi sei? –Kaori?– mi chiama il kannushi; mi giro di scatto per la sorpresa. –Rokuganesama?– –Si è svegliato?– –Non ancora…– –Bene. Per precauzione, ho teso una corda sacra attorno a questa stanza.– Già da un po’ sentivo le voci dei sacerdoti e delle altre miko intonare i norito della protezione. –Non percepisco alcuna aura malvagia attorno a lui, Kannushisama.– –Nemmeno io. Ma abbiamo visto tutti l’impronta del suo corpo nella roccia. Non è certo un uomo comune.– Già. Sospiro. Quando l’ho visto, i suoi occhi del color del cielo erano velati di dolore; il suo corpo era poggiato sul terreno, fra le pietre. La terra su cui era sdraiato aveva impressa la sagoma del suo corpo, così come le rocce che gli facevano da cuscino. Quasi come se fosse caduto dall’alto e, colpendo forte la terra, vi avesse impresso un’orma. I suoi capelli, i suoi occhi, sono la cosa meno strana di questo straniero. 3 –Quando si sveglia, chiamami.– –Sì, Rokuganesama.– Il kannushi si allontana. Sospiro, guardo il suo volto, e attendo. Il sole (R) Apro gli occhi. Ho una coperta addosso. Sopra di me non il cielo, ma un soffitto di pan nelli di legno. Ricordo le voci, i passi, i cappelli… e nient’altro. Cosa ci faccio qui? – è importante, lo so, ma non me lo ricordo. Capisco di essere sdraiato sul pavimento. Un fruscio di stoffe a trame sottili, al mio fianco, attira il mio sguardo. È la donna che mi ha trovato e che ha chiamato aiuto; e inginocchiata accanto a me. Ha l’aria stanca – che mi abbia vegliato? – ma il suo volto si illumina d’un sorriso profondo appena i suoi occhi incrociano i miei; le sue gote si rilassano, come chi abbia appena appoggiato a terra un peso inso stenibile. Mi dice qualcosa. Non capisco; e non capisco nemmeno perché, ma mi rendo conto che, invece, dovrei. Ripete le stesse parole, scandendole piano. Scuoto la testa, cerco di farle capire che non capisco. Provo ad alzarmi, ma le sue mani si posano deli cate, ma ferme sulle mie spalle, tenendomi giù. Del resto, il movimento mi fa girare la testa; meglio restare sdraiati. Chiudo gli occhi. D’improvviso, un triangolo rosso si proietta sulle mie palpebre; anzi no, so di vederlo pur non attraverso gli occhi. Una voce mi parla nella testa: –Riavvio modulo di emergenza.– Spalanco gli occhi. Il mio cervello è percorso da luci e ricordi, si sveglia contro la mia volontà, e con lui, la mente riassume unità. La missione; ancora non ricordo bene, ma è importante. I miei impianti; i miei apparati artificiali… appena li ricordo, il programma di emergenza è completo, ed ho un minimo controllo su di me. Vedo un indicatore con dei livelli; chiudo gli occhi, l’indicatore resta. Si apre un altro pannello: rapporto danni. I livelli sono quelli di energia. Tutti a zero, rimane solo l’energia di emergenza generata direttamente attraverso il mio metabolismo corporeo. Le macchine stanno mangiando il mio corpo. Sudore freddo. Sono molto più vicino alla morte di quanto immaginassi. Il solo pensiero apre un pannello con una stima del tempo che mi rimane: cinque ore e… il resto non lo leggo. 4 Guardo la donna. Deve aver visto la paura nei miei occhi, perché la sua voce prima dolce si fa allarmata. Devo trovare il modo di parlarle. Sì so che c’è un modo; fa parte della mia missione, quindi deve esserci un modo… al pensiero, i miei impianti rispondono: –Modulo linguistico, atti vazione.– Sgrano gli occhi. Lampi di luce, suoni, pensieri, il mio cervello cambia molto, molto velocemente. Mentre accade questo, ricordo che è già suc cesso, già conoscevo la lingua, ma lo shock che ho subito deve aver can cellato quella conoscenza. Il programma è breve; forse ha fatto solo qual che riparazione. Guardo la donna, ora è quasi terrorizzata. –Il sole…– Quelle parole improvvise hanno l’effetto di sorprenderla e calmarla insieme. –Eh!?– –Ti prego… devo vedere il sole.– –Ma…– Mi alzo seduto sulla stuoia troppo in fretta per permetterle di fermarmi e le afferro un avambraccio. Il mio sguardo è fermo e grave, abbastanza per convincerla. Il Kamii che mangia il sole (K) Lo straniero mi stringe il polso. Mi fa male, ma la paura nei suoi occhi rimane. Deve essere molto importante, e non ho motivo per rifiutare. Lo aiuto ad alzarsi; deve avere ancora dolore, perché si appoggia a me. È pesante. E alto. Più alto di qualsiasi uomo abbia mai visto; eppure si appoggia a me. Il contatto mi turba, ma è un attimo; la paura sul suo volto si insinua in me, non ho tempo per essere turbata. Cerco di cingergli la schiena, ma è tanto larga che non ci riesco. Ci rinuncio, lo aiuto a bilanciarsi prendendolo per le vesti. Che strana stoffa, non ho mai sentito niente di simile. Non è lino, non è lana, e non è certo seta. È sottile e robusta, morbida e rigida. Ad ogni suo passo sento i suoi muscoli tendersi sotto la mia mano. Ho conosciuto il corpo di molti uomini, ma la sua carne è dura come mai avevo sentito. Alcuni passi e siamo alla porta. Faccio scorrere il pannello. Il sole, dritto davanti a noi, ci abbaglia; facciamo ancora un passo sul corridoio del tem pio; la corda sacra di cui parlava il kannushi è tesa fra le colonne attorno alla stanza. Lo stridio del pannello fa trasalire Nami e Rika, due miko intente a purificare gli spiriti e rinforzare la corda sacra. 5 Ma lo straniero sembra ignorare sia loro, che la corda, che la barriera. Non so perché, ma me l’aspettavo. –Allontanati.– mi dice, secco, ma in tono gentile. –… Sì.– rispondo, e indietreggio di un passo. –Ancora un po’, per favore.– Indietreggio ancora di qualche passo. D’improvviso, ho paura che voglia invocare qualche spirito, o usare qualche magia oscura, ma non c’è malvagità nel suo sorriso; non posso credere che il suo sguardo gentile menta. Poi si gira a guardare il sole, e allarga le braccia. Attorno al suo corpo, si forma un filo di luce iridescente. Improvvisa mente, sento freddo. Muovo un passo indietro, spaventata; il freddo mi raggiunge ancora; e la luce del sole si fa fioca, come se stesse passando una nuvola, ma il cielo è sgombro. Adesso ho davvero paura. E anche le due giovani miko; corrono via spaventate, verso la sala centrale. Il volto dello straniero è sereno, ma la luce del sole si fa sempre più tenue, ed il mio fiato inizia a essere bianco come in inverno. Sono paraliz zata dal terrore… eppure, ancora non percepisco alcuna malvagità. Lo stra niero si gira verso di me e mi sorride. –Scusa se ti ho spaventata; ho bisogno di un po’ di sole per guarire.– Non so perché, ma nel mio cuore scende una pace innaturale. Sono ancora paralizzata, ma non è più terrore quello che provo. Gli occhi di cielo dello straniero mi inchiodano; vorrei arrossire, ma non riesco a girare il volto. Istintivamente, mi porto le mani alla bocca e soffio per scaldare le dita gelide; lo straniero si gira di nuovo verso il sole, ma io non riesco a distogliere lo sguardo, che resta fisso sul suo sorriso. L’urlo di Rokuganesama mi fa trasalire. –Che sta succedendo?– –Non c’è nessuna malvagità in questo!– grido verso di lui. Anche lui, certamente, sarà spaventato, ma anche lui, altrettanto certamente, vede quello che vedo io. E la corda è intatta; uno spirito malvagio non potrebbe attraversarla; non senza distruggerla. Quella strana magia, che ignora i sigilli del santuario e le barriere che abbiamo eretto, per quanto spaven tosa, non può essere malvagia. Lo straniero apre gli occhi e parla. –Chiedo perdono. La mia vita era in pericolo, non potevo attendere oltre. Vi valga il mio giuramento che quello che sto facendo non vi arre cherà alcun danno.– 6 –Ah…– Il kannushi rabbrividisce, ma è solo per il freddo. Le parole dello straniero sono ferme, il suo cuore è puro. Nel frattempo, sono accorse tutte le miko e tutti i sacerdoti. Guardando la piccola folla, lo straniero sospira. Senza rendermene conto, sussurro: –Chi… cosa sei, straniero?– Ryan (R) Come inizio non c’è male. Sono appena arrivato ed ho già fatto un danno. Beh, è già tanto che sia arrivato; e se fossi rimasto incosciente ancora un po’, se il sole fosse tramontato, ora sarebbe tutto finito. Mi è andata bene; se avessi ragionato più freddamente, magari sarei riuscito a trovare una soluzione meno… appariscente, ma ero stordito dal riavvio forzato dei sistemi di emergenza. E spaventato. Non posso farmene una colpa; spero solo di non aver combinato un guaio troppo grosso. Sono “atterrato” in un santuario dedicato al culto dei kami. Anche que sta è stata una discreta fortuna, fossi finito in un’area disabitata, le cose sarebbero potute andare molto male; ed in una città, anche peggio. Il pen siero magico di questi sacerdoti, la loro fede nel sovrannaturale, è una vera benedizione… Come bioantropologo so che, per loro, la mia apparizione rientra in uno schema che non scardina, ma anzi conferma, una struttura cognitiva preesistente. Altri, a quest’ora, mi avrebbero già bruciato o sepolto vivo. Davanti a me, in ginocchio su un sottile cuscino, c’è il sacerdote a capo di questo santuario; al suo fianco, a destra la giovane donna che mi ha … salvato, potrei dire, e a sinistra una ragazza che ho intravisto prima. Il silenzio è denso, mentre i tre sacerdoti mi osservano mangiare una ciotola di riso; sul vassoio davanti a me verdure, alghe, e qualcosa di fritto, credo pollo. Anche qualche fettina di pesce crudo. Non posso ignorare il fatto che il cibo disposto su ogni piattino disegna un motivo geometrico. Mentre recuperavo un po’ di energia, ho avuto il tempo di fare un po’ mente locale su quello che mi è successo. Mi sono ricordato degli impianti bionici, dei supporti corticali… dei generatori a soglia zero che ho nel corpo... buona parte di me non esiste più. Ricordarmelo tutto d’un tratto, dopo essermelo scordato, mi ha fatto come l’effetto di quando ci si risve glia dopo un brutto incubo… ma al contrario. I miei ospiti attendono pazientemente che io abbia finito di mangiare. Posate le bacchette, rompo il silenzio: –Vi ringrazio per il cibo… e per quello che avete fatto per me.– 7 Il kannushi si inchina ponendo le mani di fronte alle proprie ginocchia, la punta del lungo cappello giù fino a toccare terra. –Ho il permesso di rivolgerti la parola, kamiistraniero?– Kamii, è la pronuncia antica di kami, divinità. Non voglio farmi passare per un dio… ma per il momento, meglio assecondare il sacerdote. –Hai il mio permesso.– –Il mio nome è Rokugane, kannushi del santuario di Koumon. La donna alla mia destra – la nomina senza muovere un muscolo – è la miko più anziana; il suo nome è Kaori. Alla mia sinistra, Midori, fra le nostre miko è quella col potere spirituale più forte.– Ricordo che l’uso dei nomi di famiglia non è ancora diffuso, se non per distinguere i casati nobiliari. Osservo attentamente i tre che ho di fronte. Rokugane è un uomo di mezza età, giovane per essere un kannushi in quest’epoca; il volto magro, quasi scavato, e dai polsi posso dire che anche il resto del corpo è esile. Indossa l’alto cappello nero che si lega sotto al mento, e un abito di seta a motivi geometrici e floreali di varie tonalità verde e oro, con la tipica parte anteriore piatta, che sembra un unico scudo appoggiato sul petto. Midori è una ragazza sui vent’anni, credo; è difficile giudicare, non avendo nessun termine di paragone. Indossa lo shiroi, la larga camicia kimono bianca, e l’hakama, l’ampia gonnapantalone rossa; l’abbiglia mento tipico delle miko. Ha labbra e occhi sottili, un volto ovale e un nasino piccolo, i lunghi capelli sono raccolti in una coda tenuta ferma da un fiocco di carta di riso dorata, tranne che per due ciocche lasciate libere a scendere dalle tempie; un’acconciatura detta subeshigami. Gli angoli della bocca disegnano una specie di sorriso… forse… e sotto le guance, due fos sette appena accennate le ingraziosiscono il viso. Il mio sguardo si sofferma un attimo di più su Kaori; il suo volto cambia posizione non appena lo faccio, ma non abbastanza in fretta. E’ una donna probabilmente attorno ai trent’anni. Indossa anche lei lo shiroi e l’hakama. Ha due grandi occhi neri, vividi, la figura sottile ma non esile, e porta i capelli raccolti in una lunga coda come Midori, ma al posto delle ciocche, lascia scendere sulla fronte una frangetta arrotondata, che le sbatte sulla pelle mentre china il capo. Le labbra sporgono un po’ in avanti, le noto perché, mentre abbassa lo sguardo, vibrano impercettibilmente. I miei ospiti non danno segni di nervosismo mentre attendono che parli, ma ad ogni istante la tensione si fa più palpabile. –Il mio nome è… – valuto per qualche istante cosa dire. Vorrei dire un nome che non suoni alieno ai miei ospiti… ma ormai, mi rendo conto, che importanza può avere? 8 –… Ryan.– Kaori, quasi sovrappensiero, ripete le sillabe, ma adattandole alla sua percezione dei suoni: –Rai… an… sama e accorgendosi di aver parlato senza permesso, sgrana gli occhi e si porta una mano alla bocca, come a voler riprendere indietro il fiato, e poi si inchina fino al pavimento sussur rando a mezza voce: –Chiedo perdono!– –Non devi scusarti…– Rai’an… sentendolo dire così da Kaori, comprendo che in Giapponese suona inequivocabilmente come “Pace che viene dal futuro”. Alle volte, il destino gioca strani scherzi. Il kannushi inizia a parlare in tono formale, scandendo ogni sillaba con lo stesso ritmo, cantilenando, quasi il suo discorso fosse un canto antico. –O kamii che riceve la benedizione della Divina Amaterasu…– Già, la Dea del Sole… –…la nostra Via è quella di servire i kamii, e proteggere la terra dalle influenze maligne. Ora parla, Rai’ansama, se ci è concesso saperlo, come possiamo ingraziarci il tuo favore e ricevere la tua benedizione?– Rokugane è serissimo, ma gli angoli della bocca di Midori si piegano ancora di più e le fossette si fanno più nitide. Quando si accorge che la guardo, le sue labbra disegnano in silenzio la parola “kashikari”, dare e avere. Faccio finta di non averla vista, ma è ovvio che la miko sa che ho capito. Sforzandomi di imitare il tono del Kannushi, rispondo, e cerco una via d’uscita dalla situazione in cui mi sono cacciato. –Ogni santuario è dedicato alla venerazione di molti kamii. Cercando la mia benedizione, non recate loro offesa?– –Tougasama … è un kamii molto benevolo con noi…– Gli occhi di Rokugane roteano alla ricerca di una risposta che non offenda né me, né Tougasama, casomai dovesse passare di lì in quel momento. –…Se le nostre continue suppliche cesseranno per un attimo di lordare il suo augusto orecchio, lo riterrà certamente un gesto di profonda devo zione…– Midori si sporge un poco avanti: –Ma allora, le nostre suppliche non lorderanno l’augusto orecchio di Rai’ansama?– La voce della ragazza è musicale ed il suo sorriso è incantevole, ma Rokugane si fa paonazzo, alla ricerca di una reprimenda da sbattere in fac cia all’impertinente miko; tira il fiato due o tre volte, ma si accorge che qualsiasi cosa abbia in mente di dire, sarebbe anche peggio. 9 Rido di cuore, spezzando la tensione, e Rokugane si inchina nuova mente fino a toccare terra con la punta del naso. –Rai’ansama, perdonate l’impudenza di questa stupida miko!– Ancora ridendo, rispondo: –È perdonata, Rokuganesan. Anzi… se potessimo evitare tutti questi inchini te ne sarei grato.– Guardando il kannushi col volto ancora piantato sul pavimento, capisco che questo gioco è andato avanti troppo a lungo. Anche se potrebbe tor narmi utile, non voglio vendere loro una menzogna del genere. –Rokuganesan, Kaorisan, Midorisan… io non sono un kamii. Sono un uomo.– Il sacerdote solleva il viso e mi guarda con occhi spalancati. E adesso che fare? Con la devozione, o il timore, che questi sacerdoti nutrono verso i kami, avrei potuto chiedere loro qualsiasi cosa. Ma no, è un pensiero che allontano all’istante. Mentre penso cosa dire e come dirlo, Rokugane si alza di scatto. –È inaudito! Abbiamo visto tutti i prodigi che hai compiuto; non puoi essere un uomo. Se sei un kamii, perché ci menti? E se non lo sei, allora sei un Re dei Demoni, o forse un Demone dell’inganno!– –Kannushisama!– Kaori grida con voce stridula, e lo afferra per la gonna cercando di tirarlo giù, ma Rokugane sibila qualcosa e cerca di divincolarsi. –E va bene,– grido sopra di loro, –adesso calmatevi. Spiegarvi quello che ho da dire non sarà facile… ma ho bisogno di voi. Ed ho bisogno che mi ascoltiate.– Rokugane si pietrifica. Lentamente, si siede sulle ginocchia, senza pro ferire parola. Midori mi osserva, con aria curiosa e Kaori è ancora tesa per la reazione del sacerdote, ma quando il suo sguardo si posa su di me, si calma all’istante. La mia valutazione è stata precipitosa, ma credo corretta. Nonostante sia la superstizione a guidare lo schema cognitivo di queste persone, forse posso sfruttare la loro propensione a credere nell’assurdo per… far credere loro anche la verità. –Ma prima… dovete giurare che ciò che dirò non uscirà da questa stanza. Non importa quello che direte agli altri sacerdoti, non importa ciò che direte a chiunque dovesse chiedervelo. Qualsiasi cosa, ma non ciò che sto per dirvi.– Kaori risponde con un semplice: –Sì…–. Midori si fa finalmente seria e chinando il capo: –Lo giuro.– 10 Guardo Rokugane, ma lui mi restituisce lo sguardo con una forte dose di antagonismo. –Per quale ragione dovrei giurare a te? Se sei un kamii, ci menti dicendo che non lo sei. Se sei un Re dei Demoni, o un Demone, giurare a te è pec cato…– –Kannushisama, – interviene veemente Kaori, –nessuno di noi ha per cepito la minima ombra di malvagità in Rai’ansama…– Ma Rokugane continua, ignorandola: –…e se sei un uomo… allora per ché giurare?– –Sono un uomo. E giurerai, Rokugane, per conoscere la verità.– però, mi è venuta così, all’improvviso, e appena ho finito di pronunciarla, mi dà una bella sensazione. Suona bene. E sembra avere qualche effetto sul sacerdote, che risponde: –E allora… giuro; ma prima giurerai tu, e se il tuo cuore avrà anche solo un sussulto, ti combatteremo con tutte le nostre forze.– Non posso certo tirarmi indietro ora; –Avanti, parla. Cosa devo giurare?– –Giura che non compirai alcun peccato contro i kamii, né ci costringerai a compierli.– –Lo giuro.– mi è facile, perché sono certo che ciò che sto per dire, e ciò che devo fare, non offenderà la cultura dei miei ospiti. Mi sono preparato a lungo per questo. Rokugane sospira profondamente, mentre i suoi occhi sondano i miei. Emesso l’ultimo fiato, inspira di nuovo, stavolta per parlare. –Il tuo cuore non trema. Sei sincero. E allora, giuro: ciò che ci dici, rimarrà sigillato nel mio cuore finché tu lo vorrai.– Una bolla nel tempo (K) Lo straniero prende fiato. Posso sentire ancora il corpo di Rokugane sama accanto a me vibrare di livore, ma resta in attesa delle parole di Rai’ansama. –Io… vengo da molto lontano.– –Ma davvero?– la voce di Midori mi fa trasalire. La fulmino con lo sguardo ma lei mi ignora. Con quel suo incantevole, viscido sorriso si fa beffe di Rai’ansama, che le restituisce un sorriso per niente imbarazzato. –Eh già, questo era ovvio. Ma il punto è che vengo da molto più lontano di quanto possiate immaginare. E quando si viaggia molto, molto lontano, si viaggia anche nel tempo.– 11 Non capisco… ma finalmente lo sguardo impertinente di Midori si rab buia. Non capisce nemmeno lei. Rokuganesama rimane imperscrutabile. –Io vengo da un luogo e da un tempo molto lontani. Non è facile spie gare, ma cercherò di fare del mio meglio. La mia gente, che verrà dopo di voi, imparerà a navigare distanze immense, e navigare queste distanze significa anche solcare tempi immensi.– Lo straniero ci guarda. Dopo aver valutato il volto inespressivo di Roku ganesama, il suo sguardo si posa su di me. Mi fa una specie di cenno; forse è il permesso di parlare. E allora chiedo: –Se … il tuo tempo deve ancora arrivare… questo significa che non sei ancora nato?– Rai’ansama è sorpreso. –Sì… è corretto.– –Sciocchezze!– sibila Rokuganesama, –se non sei ancora nato, non puoi certo essere qui davanti a me in carne e ossa!– –Ed è corretto anche questo, Rokugane. Perché ciò che dico abbia un senso, devo spiegarti cosa è successo… e come faccio a essere qui.– Rokuganesama borbotta qualcosa. –Dunque… cosa succede verso la fine del mese di Fumizuki?– Risponde svelta Midori: –Cadono tante stelle!– –Giusto. Sapete che alcune stelle cadenti arrivano fino a terra?– L’espressione sul volto di Rokuganesama cambia. La sua mascella si distende, e i suoi occhi si aprono. Come mai? Non lo so, sembra quasi che sappia qualcosa… mentre me lo chiedo, risponde piano: –Ne ho sentito parlare…– –Bene; il fatto è che verso quel periodo, ogni mese di Fumizuki, il Mondo, girando e girando, passa per un luogo pieno di polvere di stelle. Quando la polvere scende dal cielo, prende fuoco, e lascia quelle scie lumi nose.– Già, il Mondo è una sfera; è facile scordarselo, ma è scritto anche all’inizio del Nihongi, che quando venne creato, il mondo era come un uovo, in cui galleggiavano i germogli della Terra, fluttuando come pesci scherzosi… Rokuganesama deve pensare quello che sto pensando io, ma il suo tono è interrogativo: –E questo ha qualcosa a che vedere con te?– –Sì.– 12 Rai’ansama sospira, pare cercare le parole… e le trova: –La mia gente ha imparato a costruire navi che possono arrivare fino al cielo, fino a quel posto dove c’è quella polvere che cade durante il mese di Fumizuki, e oltre. Quella polvere è molto, molto vicina al Mondo, ma abbiamo impa rato ad andare ancora più lontano, fino alle stelle che brillano nella notte.– Lo straniero si ferma. Mi guarda fisso; mi accorgo di avere la bocca aperta e gli occhi spalancati. –Ah…– provo a dire, e questo sembra bastar gli per proseguire. –Vicino alla polvere delle notti di Fumizuki, invece, ci sono rocce grandi come montagne, e anche di più. Non si vedono, come non si vede la polvere, finché non cadono dal cielo. Le più piccole bruciano scendendo, ma altre arrivano fino a terra.– Rai’ansama guarda Rokuganesama, che gli restituisce uno sguardo sorpreso; sembra come aver compreso una risposta che gli sfuggiva da molto tempo. Che conosca misteri che io non conosco? –Quello che è successo, e che mi porta qui, è che la mia gente è in guerra. Durante una battaglia che si è svolta fra quelle rocce vicino alla polvere di Fumizuki, abbiamo affondato una nave nemica che stava ten tando di fuggire.– Altra pausa. Da noi non esce un fiato. –Prima… vi ho detto che abbiamo imparato a viaggiare fino alle stelle del cielo; e attraversare quei grandi spazi significa attraversare il tempo. La nave dei nostri nemici stava cercando di tornare alla sua stella, e per farlo, stava iniziando ad avvolgere lo spazio e il tempo attorno a sé, come se fos sero un manto.– Non capisco. Il tempo? Lo spazio? Come un manto? Lo straniero deve leggere il dubbio sul mio volto, perché la sua espressione si fa turbata. –Va bene, facciamo così. Adesso vi mostrerò alcuni disegni. Potrebbero sembrarvi molto realistici ma… non abbiate nessun timore, quello che state per vedere non può farvi alcun male.– Non guardo più Midori, né il kannushi; non posso distogliere lo sguardo dallo straniero. A quale nuovo prodigio ci farà assistere Rai’ansama? Solleva le mani e le pone di fronte al suo petto, col palmo rivolto verso di noi, quasi come la statua del Budda Amida. Assieme ad un sibilo improvviso, una luce tenue fluisce da fessure nella pelle delle sue dita, fes sure che non avevo mai visto prima. Subito, fra noi e lui, a mezz’aria, cala un telo nero come la pece, alto e largo tanto da nascondere il suo busto alla nostra vista. Appena il tempo di vederlo comparire, e sul telo si posano delle stelle, ma non quelle che si vedono su un dipinto; sono quelle del cielo notturno, tali e quali, vere! 13 Le stelle si muovono tutte in una direzione, come se stessimo girando la testa, e guardassimo altrove, ma la nostra testa è ferma. Ora sono comparsi dei sassi color cenere, sospesi nella notte! –Queste sono le rocce grandi come montagne di cui vi parlavo; appena un po’ più lontane della polvere che cade nelle notti di Fumizuki. Ora sta per arrivare la nave dei nostri nemici.– E qualcosa entra nel telo, ma non è certo una nave! Non ha né vele, né remi, sembra solo una… punta di freccia. Una punta di freccia di ferro ben lucidato, e piena di graffi e rughe, e di luci che brillano; dietro, due grandi luci. D’improvviso, un fulmine, o un lampo, poi due, tre, colpiscono la punta di freccia che si allontana verso le pietre sospese. –Queste sono le nostre navi.– Entrano delle cose simili a barili… anzi, a file di barili di ferro attaccati fra di loro, e tirano quei lampi alla freccia; la freccia è ferita, perde scaglie di metallo. La freccia cerca di nascondersi dietro una di quelle pietre volanti, e d’improvviso, là dove è la freccia, compare una grande luce, e il disegno si piega, come se la carta su cui è disegnato fosse accartocciata; un fulmine blu centra in pieno la luce, un lampo bianco copre tutto il telo, è così forte che quasi ci acceca… e quando svanisce… tornano le pietre grige sospese nella notte. Ma quella più grande, dietro a cui la freccia stava andando a nascondersi, è scomparsa! Il telo svanisce. Non so che espressione ho sul volto. –Proprio un attimo prima di essere distrutta, la nave dei nostri nemici stava piegando lo spazio e il tempo per tentare di fuggire; quando l’abbiamo colpita per l’ultima volta, la bolla di tempo che aveva creato è scoppiata, ed ha urtato contro quella roccia, spingendola verso questo spa zio, e questo tempo. Io sono stato mandato qui per fermarla.– Missione(R) Lo so, è un tentativo disperato. Per quanto i miei ospiti siano inclini ad accettare l’irrazionale con naturalezza, per quanto credano che cose ben più incredibili di queste siano del tutto plausibili, sto chiedendo loro molto, troppo. Dopo un po’ Rokugane cerca di articolare un discorso. –Cosa … succederebbe se questa… roccia grande come una montagna… cadesse sulla terra?– 14 –L’aria brucerebbe ovunque, e ucciderebbe all’istante quasi tutti gli ani mali, uccelli, insetti, pesci, e sicuramente, anche tutti gli uomini. Dopo, il mondo diventerebbe un deserto di ghiaccio, coperto da una perenne nube nera, per centinaia di anni.– Midori resta impassibile. Credo che non mi creda. Invece, Kaori sbianca. Rokugane sembra accettare la consapevolezza di questa possibi lità, ma vedo bene il suo sforzo di mantenere il controllo. –E… la vostra gente… è sicura che accadrà questo?– –A essere sinceri, no. Innanzi tutto, lo scoppio di quella bolla è stato un evento fortuito, e non sappiamo esattamente quanto è stata forte la spinta; abbiamo solo delle previsioni. Potremmo essere fortunati, e la roccia potrebbe finire per cadere sulla Luna, o per passarci solo vicino. Ora che sono qui, potrò ripetere alcuni calcoli da questa parte, e avrò una previ sione più precisa.– –E se dovessi scoprire che la roccia cadrà sul Mondo?– –La mia gente ha già mandato qui una nave che sarebbe in grado di fer marla. Ed è qui che ho bisogno di voi.– Rokugane non parla, ma mi guarda con aria interrogativa. –Far arrivare una nostra nave sul Mondo da così lontano è un po’ come colpire con una freccia il tappo di un fiasco sulla testa di un cavallo che corre su un sentiero di montagna dall’altra parte di una vallata. E… durante un terremoto. Bisogna essere molto precisi. Ora, immaginate di dover dare una spinta ad una barca su un fiume, stando fermi su una riva, in modo che raggiunga un approdo sicuro sull’altra sponda. Ecco, questa è la situazione in cui ci trovavamo…– Midori trova il modo di intervenire: –… solo che l’approdo è grande come un tappo…– –…esatto. Ora, se la barca fosse piena di barili, con le provviste che ser vono per un lungo viaggio, il peso potrebbe essere sbilanciato, e la barca potrebbe sbandare. Se invece spingiamo la barca vuota, poi i barili uno per uno, sarà più facile calcolare quanta forza ci vuole per far arrivare ogni sin gola provvista. Beh… io ero l’ultimo pezzo.– Il volto di Rokugane si apre nell’aver afferrato una parte della mia sto ria: –Allora, hai scavato quell’orma dove ti abbiamo trovato perché la tua gente ha spinto un po’ troppo forte!– Rido: –Sì, deve essere andata proprio così. E’ impossibile, anche per noi, essere precisi oltre un certo limite. Non so esattamente dove sono finite le altre parti che abbiamo mandato qui, né quando sono arrivate, ma so come trovarle; e so che devono essere da qualche parte nei dintorni dello Yamato.– 15 Rokugane accenna un sorriso al pensiero di aver indovinato una dedu zione tanto difficile. Continuo: –Abbiamo scelto questo approdo per diversi motivi. Primo, la terra contiene molti materiali diversi, ed è diffi cile calcolarne il peso, e il peso dell’approdo fa parte dei calcoli che dob biamo compiere. L’acqua, invece, ha un peso sempre uguale, quindi per noi è più facile colpire il bersaglio se la destinazione è un’isola. Ma non deve essere troppo piccola, né troppo grande. Inoltre, volevamo che quest’isola fosse abitata, perché chi avesse compiuto la missione avrebbe sicuramente avuto bisogno di aiuto per trovare cibo e riparo durante la ricerca. Questo ha ridotto le scelte possibili a sette grandi isole. Ma alcune di queste sono disabitate, altre appartengono a grandi imperi; là, il nostro carico avrebbe potuto essere trovato e venduto come merce preziosa, e finire chissà dove. –Di tutte le possibili destinazioni, l’isola maggiore del Giappone era la più adatta.– Rokugane sospira profondamente e guarda in basso. Credo stia cercando di elaborare la situazione e prendere una decisione. Respira ancora. Tre, quattro volte… mi ricordo di un antico proverbio giapponese, che dice che una decisione deve essere presa nell’arco di sette sospiri; e infatti, dopo aver espirato il fiato per la settima volta, Rokugane mi guarda negli occhi e mi chiede: –Di che cosa hai bisogno, Rai’ansama?– Adesso sono io che devo prendere una decisione. Se fossi sincero fino in fondo, scoprirei le mie carte. Mi serve ancora energia per attivare i generatori a soglia zero, e fino a quel momento sono vulnerabile. Cerco di leggere il pensiero di Rokugane guardandolo fisso negli occhi, e non vi scorgo nessuna aggressività. La sua domanda sembra una sincera offerta di aiuto. Ma c’è qualcos’altro… già da un po’ la sua ostilità iniziale si è tra sformata in qualcosa… qualcosa che non riesco a comprendere, ma ho la sensazione che non solo mi creda, ma che … veda in me … non so. Ad ogni modo, non ho molta scelta se non quella di fidarmi; se fossi in peri colo, potrei bluffare e sostenere di possedere delle armi terribili, ma il bluff non reggerebbe a lungo. –Ho bisogno di altri due giorni di sole, dall’alba al tramonto. E di cibo; più cibo di quanto ne mangia una persona normale. Fino ad allora dovrò rimanere qui, e la mia presenza dovrebbe essere tenuta il più possibile segreta.– –Questo te lo posso concedere e garantire.– dice con voce ferma Roku gane. 16 –Bene… poi, ho bisogno di qualcuno che mi accompagni. Qualcuno che possa interagire con la gente che incontreremo, e che mi possa fare da guida. Sarebbe utile anche qualcuno che possa difendermi in caso di neces sità.– In realtà, ho mezzi di difesa più che sufficienti, ma le precauzioni non sono mai abbastanza, e inoltre non sono sicuro di poter difendere adegua tamente i miei compagni di viaggio. I sistemi di difesa di cui sono stato dotato sono stati pensati per proteggere solo il mio corpo. –Se questo è ciò che ti serve, ti accompagneranno Kaori e Midori.– –Eh?– chiedono entrambe a una sol voce. –Il rispetto della gente per una miko è la migliore garanzia che ti posso offrire, e ti permetterà di trovare aiuto in ogni villaggio e città che attraver serai, senza dover dare ulteriori spiegazioni. –I sacerdoti e le sacerdotesse sono legate ai santuari che servono; se ne allontanano solo per motivi molti gravi, mentre le miko svolgono spesso compiti di vario genere. Una miko in viaggio non desta sospetti, mentre un sacerdote in viaggio è già un segnale d’allarme. –Kaori è la miko più anziana, ed esperta, qui a Koumon; ha visitato molti altri santuari, templi e monasteri, e attraversato molte città. Sarà la guida migliore per te. –Midori è la nostra miko più abile negli esorcismi, e ti proteggerà dagli spiriti maligni e dagli ayakashi che potrebbero cercare di fermarti. La Divina Izanami è sempre alla ricerca di un modo per sterminare gli uomini, o per corromperli e precipitarli nella maledizione del peccato, e se questo disastro che incombe su di noi può cancellare l’umanità, farà di tutto per fermarti. Hai bisogno della protezione migliore possibile, e Midori è tanto forte che, credo, potrebbe fermare la Divina Izanami stessa.– Midori arrossisce, stavolta senza il minimo segno di sarcasmo risponde: –Kannushisama, sei troppo buono… non sono così forte… addirittura la Divina Izanami…– Cerco di non sorridere al pensiero che non c’è nulla da cui questa ragazza potrebbe proteggermi, ma mi guardo bene dal rifiutare. Comun que, la parte che riguarda il rispetto della gente per le miko è vera, e può costituire un aiuto sostanziale. Rokugane continua: –Per quanto riguarda i guerrieri, qui non ce ne sono. Ma non molto distante, c’è un villaggio che si chiama Amagane …– Decodifico il senso del nome dal giapponese antico: “campana del cielo”, o forse, “metallo del cielo” (sono omofoni); mentre lo pronuncia, Rokugane mi rivolge uno sguardo intenso, ma non mi dà il tempo di pensarci su. 17 –…vorrai iniziare il tuo viaggio da lì, sono certo. E lì troverai sicura mente un guerriero che ti accompagnerà.– Rokugane mi sorprende, al punto che riesco solo a dire: –Grazie…– Ho la sensazione che sappia qualcosa, che ciò di cui l’ho messo a cono scenza stasera abbia fatto scattare qualcosa in lui … che dei pezzi di infor mazione che aveva siano andati ad incastrarsi. Ma al momento, non voglio indagare oltre. Devo riposare ancora un paio di giorni, e avrò il tempo di capire cosa mi sta nascondendo. Continuo: –Ma… sappiate che non sarà una passeggiata. Il viaggio potrà essere lungo, e… scomodo…– Kaori, che sembrava sconvolta dall’idea di ricevere l’ordine di accom pagnarmi senza nemmeno essere consultata, è evidentemente punta nel vivo, e mi risponde con orgoglio: –Rai’ansama, il fatto che io sia una donna non deve lasciarti pensare che io sia debole. Non sono una cortigiana, né una nobile dama di compa gnia. Sono una miko, e servo i kamii. Quando è necessario, li combatto. E sono io che mi occupo di portare le ambascerie e rappresentare il santuario in tutto il Giappone.– –Va bene, va bene…– le sorrido, – non volevo offenderti. Se le cose stanno così…– uso l’espressione idiomatica giapponese con la quale si ini zia una conoscenza o un lavoro svolto insieme, –…ti chiedo di essere gen tile con me.– Improvvisamente, Kaori sembra fulminata dall’idea di aver preso di punta quello che fino a qualche minuto prima per lei era un kamii… e di aver ricevuto una richiesta del genere da lui. Sorpresa e scossa, risponde con la frase di rito: –reciprocamente, ti chiedo di essere gentile con me…– Guardo Midori. Vedo sul suo volto un’espressione nuova. Sembra rapita dall’idea di iniziare un luogo viaggio. La sveglio dal suo sogno a occhi aperti: –Anche a te, chiedo di essere gentile con me.– –Reciprocamente… sii gentile!– si permette una piccola deviazione dal protocollo e mi sorride grande. Il sogno di un bambino (M) La cosa più bella di tutto questo è il viaggio che sto per iniziare! Da quando ho iniziato il mio lavoro qui a Koumon, ho sempre desiderato che Kaori mi portasse con sé, poter vedere altri santuari, altri templi, altre città, altra gente… non è per questo che ho intrapreso la via della miko, ma 18 quando vedevo partire Kaori, mi sono sempre detta che doveva essere divertente. Lei è sempre così misurata, ma quando partiva per un viaggio aveva sempre un’aria così… beh… meno misurata del solito. Uhm… da quanto tempo lavoro come miko? Ho iniziato proprio il primo giorno dell’anno, due anni fa… quindi fanno già quasi due anni e mezzo! Siamo appena usciti dalla stanza dello straniero… di questo Rai’an; Kaori si è dileguata nella notte senza quasi salutare, ma Rokugane se ne sta lì, appeso ad una colonna, a guardare la luna quasi piena. Ha qualcosa in mano… sembra un sasso. Se lo sta rigirando fra le dita… ha un’aria così… sognante… sono troppo curiosa, devo sapere cosa pensa. –Rokuganesama?– –Dimmi, Midori.– –Credi che quello che ci ha detto lo straniero possa essere vero? Sembra così… assurdo!– Rokugane osserva il sasso che ha in mano. Ora che gli sono accanto, vedo che è un sasso stranissimo, nero, pieno di buchi, ha un’aria molto pesante. Non ho mai visto nessun sasso così. Poi, lo sguardo del Kannushi si sposta su di me. Mi guarda negli occhi. Sento che si sta chiedendo se può parlarmi; e poi sento che sta cercando di trovare il modo di dirmi qual cosa. Non rinunciare, Rokugane, dimmi cosa vuoi dirmi! –Avevo undici, forse dodici anni.– inizia il racconto. Che bello, una sto ria, io vado matta per le storie! –Una sera di fine autunno, stavo raccogliendo la legna per l’inverno. Avevo fatto tardi, e il sole era già calato, già si vedevano le prime stelle. Mentre guardavo il celo per capire quanta luce mi restava, vedo scendere una stella cadente. Mi fermo a osservarla, ma la stella non scompare come al solito. Invece, mi sembra che sia sempre più vicina… non faccio in tempo a pensarlo che mi sento sbattuto a terra, come se un gigante mi avesse colpito.– Il kannushi continua a rigirare quello strano sasso in mano; si ferma e lo guarda fisso. Sto per chiedergli di continuare, quando riprende: –Mi sveglio a notte fonda. La strada davanti a me non c’è più; al suo posto c’è una buca fonda tre braccia. Vorrei scappare, ma invece sento come una forza che mi chiama giù.– Ora trattengo il fiato; mi rendo conto di avere la bocca aperta, vorrei dir gli di andare avanti ma non ci riesco. –Quando arrivai in fondo alla buca, trovai questo.– E mi mostra il sasso. Sgrano gli occhi. –Quella… è una stella caduta dal cielo?– è… fortissimo! 19 –Se il racconto dello straniero è vero, direi proprio di sì. E se un sassetto come questo ha scavato una buca come quella, e mi ha spazzato via… non è difficile credere che una roccia più grande di una montagna, più grande del monte Fuji, potrebbe distruggere il mondo intero.– Vorrei dire un milione di cose, ma tutte insieme, e la mia lingua si annoda, mentre prendo fiato mille volte. Gli voglio chiedere di farmi vedere quella stella, ma il Kannushi la sta già mettendo via. –Era un segno divino, pensai. E lo pensò anche la mia famiglia: da tempo avevamo cessato di occuparci delle cose dei kamii, ma questo evento spinse mio padre a rivolgere una petizione al Ministero Del Culto dei Kamii. –E così, al mio casato fu riconosciuto lo status di hafuribe, e io ricevetti l’incarico di prendermi cura di Tougasama, il kamii di questo lago. Ero certo che, dopo questo segno, e la mia dedizione, Tougasama, un giorno, mi avrebbe mostrato il suo makoto, la sua vera natura. –Ma poi… studiando gli scritti antichi, cercando tracce di stelle cadute dal cielo, ho scoperto che nelle cronache cinesi ce ne sono molte. Rokugane si gira verso la Luna, e la guarda fissa per un po’. Poi conti nua. –In una cronaca, è scritto che gli astronomi cinesi avevano visto un lampo venire dalla Luna, e poi una nube di polvere lucente che era rimasta in cielo per giorni.– –Non… capisco… cosa c’entri…– –Lo straniero ha detto che, se siamo fortunati, quel grande sasso potrebbe cadere sulla Luna. Forse è già successo. Anzi… guarda la faccia della Luna… non è piena di buche?– Sono senza fiato. È vero! È incredibilmente, fantasticamente, stupenda mente vero! Inspiro per parlare ma non so cosa dire, tante volte e tanto velocemente che subito mi gira la testa! Mi arrendo, e appoggiandomi alla colonna non riesco a dire altro che …Già!– Il kannushi fa un profondo respiro e poi si gira verso di me. –Midori, ascolta.– –Sì, kannushisama.– –Non so se quello che ci ha raccontato questo straniero è tutto vero. I suoi prodigi sono strabilianti, ma potrebbe anche essere un inganno… non so se possiamo credergli. Ma se è vero… se è vero, allora dobbiamo fare di tutto per aiutarlo. Dobbiamo proteggerlo a costo della nostra stessa vita.– 20 Sì, sono d’accordo. Se questo Rai’an dice anche solo una briciola di verità, dobbiamo aiutarlo! E poi… io sono brava in queste cose, lo stra niero mi è simpatico. È buono. La sua anima è pura. Non posso credere che sappia ingannarmi così bene… insomma, non me! –Sì, kannushisama, sono pronta.– Rokugane mi afferra per le spalle. È come un bravo papà. Gli voglio bene, è sempre stato buono con me. –Potrebbe essere pericoloso. Davvero, la Divina Izanami stessa potrebbe provare a fermarvi.– I miei occhi diventano diamanti immobili. –Non lo permetterò.– –Brava, bambina mia… ma stai attenta. Stai attenta, figliola, cerca di … cerca di …– –Rokuganesama, so badare a me stessa… e poi, ci accompagnerà anche Kaori, no?– Il Kannushi ride piano. –Eh, già. Cerca di badare un po’ anche a lei.– Gli sorrido. –Andrà tutto bene, Rokuganesama. I kamii ci protegge ranno, lo sento.– Vedendo la certezza nel mio sguardo, Rokugane si calma un po’ e si china a darmi un bacio sulla fronte. –Noi invocheremo i kamii tutti i giorni affinché vi accompagnino e vi proteggano nel viaggio.– –Grazie, kannushisama!– Notte bianca (K) Tougasama, ti scongiuro, concedimi la pace di un sonno tranquillo! Ah, è inutile, come fare a dormire? – mi alzo, mentre mi vorticano in testa i volti di Midori, del kannushi e… di… lui. Apro il pannello della mia stanza. La luce silenziosa della Luna mi avvolge; le stelle brillano tanto da fare quasi male, in questa notte del mese di Yayoi. Proprio ora che volevo starmene un po’ tranquilla con queste cose… non sono più una ragazzina. Sorrido. Non capisco se sono più agitata per la minaccia che incombe dal cielo, per il viaggio che sta per iniziare o per … lui. Oh, che idiozia. Sono una donna, una miko, non una bambina. Rido di me. 21 Forse, immergendomi nella sorgente termale, troverò un po’ di pace. Ho compiuto qualche veloce abluzione prima di mettermi a letto, nella spe ranza di prendere subito sonno. Speranza vana. Sì, quello che ci vuole è una passeggiata, giù fino alla vasca, e l’acqua calda che lava via ogni impurità, ogni pensiero. Sospiro, e nella penombra della luce delle stelle e della Luna, cerco un panno morbido per asciugarmi, ed esco dalla stanza. L’aria della sera è ancora pungente, ma il legno del corridoio all’aperto è caldo, sotto ai miei piedi. Due giorni, ha detto Rai’ansama. Deve riposare ancora due giorni e poi partiremo. Per andare dove? – Ad Amagane, tanto per cominciare. Sono due giorni di cammino; uno, a camminare di buona lena dall’alba al tra monto. Ma Midori non è allenata, e Rai’ansama chissà… certo, non mi aspetto che sia un peso morto, con quel corpo così possente… Ecco! Ci risono! Tougasama, concedimi una visione, o almeno un po’ di quiete! Rokuganesama dice che dobbiamo proteggerlo. Certo, i pericoli non mancheranno. Più che gli ayakashi, mi spaventano i briganti. Kamii, oni e ayakashi, possiamo tenerli a bada, ma i briganti… ho i brividi. Non hanno rispetto per gli abiti di una miko. Sì, ci serve un guerriero, dovremo cer care di raggiungere Amagane in un giorno. Midori dovrà sforzarsi un po’. Almeno avessimo dei cavalli… I gradini di pietra che scendono verso la sorgente sono umidi di rugiada della notte di primavera. Le dita dei miei piedi assaggiano la rugiada come giovani fanciulle in cerca del primo amore. È freddo e piacevole insieme. Giungo alla sorgente; da qui si vede il fianco della montagna digradare verso il lago di Koumon, porta della luce, che dà il nome a questo santua rio. So che l’acqua non brucia, ma i piedi freddi, come vi entrano, mi tra smettono quel dolore che non fa male, quella sensazione di caldo ecces sivo; la mia pelle si scalda subito, e scendo lentamente, molto lentamente; quasi a sentire ogni poro sfiorare il pelo dell’acqua, e dirmi, sì, ecco, final mente! E quando immergo, piano, la nuca, mi esce senza rendermene conto un sospiro di piacere, i brividi mi raggiungono in profondità nell’anima. Ahhh, ecco cosa ci vuole per trovare il coraggio di dormire, e di vivere. Se la vita mi riserva ancora notti di primavera in cui potrò immergere il mio corpo in una calda sorgente cristallina, non importa quali asprezze dovrò affrontare, ne sarà valsa la pena. 22 Già da un po’ mi sto facendo cullare dalla corrente che porta via l’acqua che si rinnova senza posa ed ecco che, sopra al rumore dell’acqua che scorre, sento dei passi pesanti sui gradini. Chi sarà mai? Certo, è un uomo; non ha la minima grazia nel calpestare le pietre. Ma almeno, lo fa a piedi nudi, e non mi tortura le orecchie col rumore di zoccoli. L’idea di coprirmi non mi sfiora. Invece, mi sposto appena, e mi metto in un angolo, in un’ansa che mi permette di osservare i gradini in modo discreto. Chi sarà mai a scendere qui a notte fonda? Sgrano gli occhi. Alla luce della luna non vedo bene, ma non posso sba gliarmi; nessuno dei sacerdoti è così alto. Quello è Rai’ansama! Mi acquatto dietro al bordo dell’ansa. Che ci fa qui a quest’ora? Lascia cadere il panno che lo copre; nella notte, la sua figura è scura e indistinta, e si immerge svelto, quasi si butta nell’acqua. Lo guardo con sospetto. Un kamii che entra in una sorgente? Certo, non è un kamii. Almeno lui sostiene di non esserlo. Lo guardo con ancor più sospetto. Si distende e sussurra forte “ahhhh”. Sorrido; kamii o no, non è immune al piacere dell’onsen. All’improvviso, scatta in piedi e si gira verso di me. Non può avermi vista, dal bordo spunta a malapena il mio naso, e lui aveva il volto girato verso l’alto! Ma guarda dritto verso di me e grida: –Chi è là!– L’acqua gli arriva appena a metà delle cosce, ben piantate sul fondo della vasca come i pilastri di un torii. Nella penombra della Luna, non distinguo i lineamenti del suo corpo, ma vedo bene che è nudo, e che, certo, è un uomo… –Ra… Rai’ansama, è… è solo Kaori!– balbetto un po’, ma ecco che alla fine mi escono le parole. –Oh, scusa… temevo che… non importa.– Rai’ansama si immerge nuovamente lasciando fuori solo la testa. Restiamo in silenzio per un po’. Non vorrei disturbarlo, ma … devo sapere cosa è venuto a fare. Magari, solo un bagno a notte fonda, come me, ma certo, è strano. –Rai’ansama, ho il permesso di rivolgerti la parola?– –Certo Kaori…san?– –Non devi avere questo riguardo per me. Non sono che un’umile miko, Rai’ansama.– Non ricevo risposta. Dopo un po’ chiedo: –Se mi è permessa l’impu denza… è molto tardi per un bagno…– –Effettivamente…– 23 Ancora silenzio. Sto per chiedergli chi lo ha indirizzato qui, insomma, come fa a sapere dell’onsen, ma mi anticipa. –… non riuscivo a prendere sonno, Kaorisan.– Il tono è basso, riesco a malapena a udirlo. Mi avvicino un po’, comunque non può vedermi al buio, sotto l’acqua. –Un kamii che non riesce a prendere sonno… è buffo.– Subito mi accordo dell’impudenza delle mie parole, ma la voce di Rai’ansama mi risponde gentile, –Non sono un kamii.– –La natura di kamii è in ogni persona, Rai’ansama; e i prodigi di cui siamo stati testimoni…– –Non hanno nulla di divino! Sono frutto di macchine che la mia gente ha imparato a costruire…– –Macchine o no, i tuoi prodigi sono reali. La natura di Rai’ansama è più vicina alla natura dei kamii di quanto non lo sia la nostra.– Intravedo che Rai’ansama mi osserva fissa, ma non risponde. Forse la sua gente non conosce più la natura dei kamii, ed ha perso la consapevo lezza della forza della propria essenza. Sarebbe interessante parlare con lui di questo. Anzi, sarà interessante, nel nostro viaggio, sono certa che Rai’ansama avrà molte cose da insegnarmi. E anche io, per quel poco che so della natura dei kamii, potrei avere qualcosa da insegnargli. Mi accorgo che sorrido. Adesso sono a un paio di braccia da lui; dall’acqua spunta solo la mia testa, dal mento in su. Sono abbastanza vicina da distinguere bene i linea menti di Rai’ansama; mi guarda, ma come mi avvicino, gira la testa e si appoggia al bordo della vasca. Ora guarda il cielo. –Osservando le stelle, posso stabilire che questo è l’anno 1006 del mio calendario. È l’anno 3 dell’era Kankou, giusto?– –Sì.– –Quinto giorno del mese di Yayoi, giusto?– –Sì.– Rai’ansama osserva in silenzio le stelle per un po’. –Sai quello che vi ho detto prima a proposito della roccia in viaggio verso questo tempo?– –Sì…– –Ho compiuto quei calcoli di cui vi ho parlato.– Il tono di Rai’ansama è molto grave. Ho già capito. –È diretta qui?– 24 Rai’ansama sospira, la sua voce esce strozzata: –Abbiamo poco meno di dieci anni per fermarla.– Non so cosa dire. Adesso che non esiste nemmeno la speranza di un intervento divino… adesso che tutto dipende da lui, come si sentirà? E quasi mi scordo che il tempo rimastoci è il limite delle nostre vite. Anche della mia. Nel silenzio, s’ode solo lo scorrere dell’acqua. Rai’ansama, immobile, osserva le stelle. Certo, starà pensando alla sua gente, lassù, lontana chissà quanto, nello spazio… e, come lui dice, nel tempo. Il senso di queste parole mi sfugge, ma osservando il volto di Rai’ansama, scorgo un’espressione di solitudine che non avevo mai visto prima. Più l’osservo, più sento qualcosa muoversi in me. Non è la curiosità verso quel volto così strano e fuori dall’ordinario, ruvido, forte, eppure bello. Non è l’attrazione di una donna per uno straniero. No; è qualcosa di più basilare, di più antico. Non so darle un nome… forse, se potessi chiamarla per nome, la chiamerei compassione. O forse, empatia. No, non può essere empatia: conosco la solitudine, ma la solitudine che conosco è una solitudine nor male, ordinaria, umana. La solitudine sul volto di Rai’ansama, posso solo immaginarla, e a malapena. La solitudine di un uomo che guarda la sua casa brillare in cielo, la vedo, ma non posso che sfiorarla. So che non posso capirla. E allora, il nome per la mia sensazione non può che essere… struggimento. Sì, questa immensa, eterna, siderale solitudine mi strugge. Le gocce che cadono dal mio volto non sono più l’acqua che scende dai miei capelli; portandomi le mani alla bocca, mi rendo conto che sono lacrime. –Rai’ansama…– Guardo il cielo, cercando di indovinare quale sia la sua stella. –Rai’ansama… da quale stella vieni?– Lui alza un braccio e indica un punto in cielo, ma non riesco a vedere bene; devo avvicinarmi ancora un po’. Ora le nostre spalle sono separate da meno di un braccio d’acqua cristallina. Tendo il volto a cercare di capire la direzione verso cui punta il suo dito… –Kasei?– –Noi lo chiamiamo Marte. Per i miei antenati, era il nome del dio della guerra. Gli diedero questo nome perché brilla di una luce rossa, come il sangue, e… nulla è più sanguinario, crudele, della guerra…– 25 –Ohhh…– Sono affascinata, e non so se mi rapisce di più l’idea dei kamii stranieri che solcano il cielo, o che lo straniero che ho di fronte abbia vissuto su altre stelle. Per noi quella è solo Kasei, la Stella di Fuoco, ma per … gli antenati… di Rai’ansama… quello era un kamii… che strana idea. Rai’ansama continua: –Io sono nato su… una città volante, che solca il cielo di Kasei. Da lassù il Mondo splende come…– il suo braccio si alza a puntare la stella più splendente, Kinsei, la Stella d’Oro, che fa appena capolino, quasi tramontata nella valle che si incunea ad ovest. –Come Venere… la dea della bellezza… ma invece di essere un gelido diamante bianco, è una meravigliosa gemma azzurra.– Spalanco gli occhi. Il Mondo nel cielo di un altro Mondo… è una gemma azzurra… è un’idea talmente bella che mi spezza il fiato, e ogni pensiero si acquieta. Passano i minuti, scorre l’acqua, scorre il tempo. Ecco, il tempo è acqua che scorre, deve essere così. La gente di Rai’ansama ha imparato a risalire la corrente, a tornare verso la fonte, al paese dei fiori di pesco! E se ora è qui… che sia questa la sorgente? Il pensiero mi colpisce quasi fisicamente, e mi siedo sul fondo della vasca. –Rai’ansama, tu dici che la tua gente verrà dopo di noi, giusto?– –Sì… la gente di questo Mondo imparerà a navigare fra le stelle e…– –… e quindi, – lo interrompo, – voi non siete ancora nati!– –In un certo senso…– –Ma se siete nati… vuol dire che la roccia non ci ha colpito!– Rai’ansama si siede a sua volta, e mi guarda fisso. L’espressione di solitudine è scomparsa e ora sul suo volto leggo … sorpresa? Non sono abituata a ricevere uno sguardo così intenso, arrostisco e mi volto. –Sì, insomma, voglio dire… intendo che… se il tempo è come l’acqua che scorre… e voi, nati a valle, siete tornati alla sorgente… allora, la sor gente non si è seccata… Vuol dire che certamente riusciremo a evitare il disastro.– Rai’ansama continua a fissarmi; anche nella pallida luce di mezza luna, i suoi occhi color cielo sereno mi guardano sorpresi. Sembra… stupito. Chino il volto. Non vedo il mio colore riflesso sull’acqua, e per fortuna non lo vede nemmeno Rai’ansama, ma deve essere rosso come una pesca matura. Dovrei dirgli che ho solo fatto uscire dalla bocca la prima cosa che mi è passata per la testa… ma sono immobilizzata e riesco a malapena a respirare. –Purtroppo, Kaorisan, il tempo non funziona in modo così semplice.– 26 –… ah… certo… io…– –Non fraintendermi, la tua è una deduzione brillante, e ne sono colpito. Solo, esistono molte cose che non si piegano alle nostre deduzioni. Il tempo è una di quelle.– Nonostante i complimenti di Rai’ansama, sono profondamente delusa. E poi, l’idea di essere già riusciti nel nostro compito prima ancora di ini ziare era rassicurante. Rai’ansama si gira di nuovo a guardare le stelle. –Il tempo non è solo e sempre una catena di cause ed effetti. Sotto al peso dell’intero universo, può piegarsi fino al punto in cui è l’effetto che genera la causa. Ciò che segue, ciò che viene dopo, fa accadere ciò che viene prima. La roccia che sta viaggiando verso questo tempo sta attraver sando una di queste pieghe. Se colpirà, tutto il tempo che è trascorso sarà piegato, si avvolgerà fino a svanire.– Non capisco, ma forse, non posso capire. E Rai’ansama lo sa. Si gira a guardarmi. Ha sul volto un’espressione intensa come quella di prima, ma stavolta non è solitudine. È tristezza. –Se fallirò, tutto ciò che è accaduto, per me, o che accadrà, per te, ces serà di esistere. Noi, i vostri discendenti, saremo solo una possibilità non realizzata… una promessa non mantenuta … Saremo solo un sogno dei nostri ricordi, e anch’essi svaniranno nella notte, per sempre.– Scoppio a piangere. Non so perché, forse è quell’immensa tristezza sul volto di Rai’ansama, o forse sono le sue parole. Me ne vergogno. –Scusami, Rai’ansama… scusami… io…– –Scusa tu, Kaorisan. Non volevo… non avrei dovuto dirti queste cose.– Rimaniamo in silenzio a guardare le stelle mentre il mio pianto si acquieta. Dopo non so quanto, Rai’ansama parla, senza voltarsi verso di me. –Cerchiamo di dormire un po’.– Riesco solo a rispondere: –…Sì.– Senza aggiungere altro, si alza, raccoglie il telo che ha lasciato accanto alla vasca e sale sulle scale. Attendo di non sentire più i suoi passi e mi alzo anche io. Mi sdraio nuovamente sul tatami, e tiro su le coperte con un gesto lento. Vedo appena il soffitto nella penombra. Stranamente, scivolo subito nel sonno, serena; ma l’ultima cosa che vedo dietro alle mie palpebre chiuse è il suo volto… così triste… 27 L’alba di un lungo viaggio (R) Come previsto, dopo due giorni di ricarica sono riuscito ad attivare il generatore a soglia zero ausiliario. Bastano circa sedici ore per accumulare abbastanza energia nelle batterie a superconduttori per attivare uno dei quattro generatori principali, ma siccome sto deviando parte dell’energia alla batteria di riserva, prevedo di poterne attivare uno non prima di qua rantotto ore. Ciò nonostante, stamane all’alba ci siamo messi in viaggio. È un rischio, ma credo che la mia presenza al santuario di Koumon non potrà passare inosservata a lungo, e preferisco far perdere le mie tracce il prima possi bile. Rokugane può fare tutto quello che è in suo potere per mantenere il segreto, ma dubito che possa riuscire a controllare i suoi sacerdoti e le sue miko a lungo. Una parola casuale, un commento anche innocente, anche rivolto ai familiari intimi… e sarebbe già troppo tardi per fermare la voce. Rokugane mi ha parlato della sua esperienza col meteorite. Non è stato un caso, come non è un caso che io sia atterrato qui: era stato previsto di farmi arrivare il più vicino possibile alla carlinga della navicella, che ha la strumentazione essenziale per trovare le altre componenti; ed in effetti, l’ho individuata a pochi chilometri di distanza dalla località nota come Amagane. La massa della navicella ha creato una distorsione spaziotempo rale che poteva facilmente attirare dei piccoli meteoriti dietro di se; Roku gane era semplicemente al posto giusto, ed al momento giusto, per vederne cadere uno. Ciò che mi ha colpito è la sua curiosità, potrei quasi dire, il suo spirito scientifico. Certo, scampare per pochi metri alla caduta di un meteorite è un’esperienza che lascerebbe il segno in chiunque, e ancor di più in una persona proveniente da una cultura primitiva, ma il modo, la passione con cui Rokugane ha cercato di capire cosa fosse realmente successo, la sua ricerca fra i pochi, rarissimi testi di astronomia disponibili, per la maggior parte cinesi, mi ha quasi commosso. Credo di poter dire di aver incontrato davvero un uomo eccezionale, molto avanti rispetto alla sua epoca. E ho anche capito che la carlinga della navicella non è passata inosser vata; per questo, Rokugane mi ha parlato di Amagane. Ha dedotto che le leggende che vengono da quel villaggio devono avere qualcosa a che vedere con me. Ad ogni modo, sono in viaggio, ed è una sensazione piacevole. Davanti a me camminano svelte Midori e Kaori. Midori è visibilmente elettrizzata, mentre Kaori guarda nervosamente oltre ogni curva del sentiero di monta gna che scende dal tempio ad Amagane. 28 Oltre al tradizionale abito da miko, portano un lungo arco ed una faretra colma di frecce. Non dubito che le sappiano usare. Io invece sono vestito come un contadino, e porto tutte le provviste e le coperte. Secondo Roku gane, questo starebbe stato il travestimento più efficace; le miko in viaggio si fanno spesso accompagnare da un popolano che porta i loro bagagli. Inoltre, posso portare un peso di diverse centinaia di chili senza provare la minima fatica, grazie agli impianti di cui sono stato dotato. Comunque, per non destare sospetti, Midori e Kaori portano ognuna un fagotto a tracolla, pressoché vuoto. L’unica concessione al mio travestimento è un kasa, un ampio cappello a forma di ombrello che nasconde quasi per intero il mio volto. L’aria dell’alba di primavera è frizzante, il sentiero è docile, e mi abituo presto alla sensazione delle suole di paglia sottili dei miei sandali, unica barriera fra i miei piedi e le poche asperità della strada di terra ben battuta. Non posso ignorare il sorriso che la giovane Midori rivolge a ogni arbu sto, a ogni fiore, a ogni nuovo bocciolo che la primavera dona agli alberi che incastonano la strada che percorriamo. Io stesso sono eccitato: ho pas sato la maggior parte della mia vita su stazioni orbitali o su navi stellari. Marte è stato terraformato da poco, e l’aria non è ancora respirabile. Sulla Terra sono sceso solo una volta; è stata un’esperienza indimenticabile, ma ora che sono qui, in questo Giappone selvaggio e primitivo... Certo, conosco queste piante, so dare loro un nome e ne conosco la struttura biologica, conosco gli insetti che le impollinano e ho studiato la biologia che ne regola l’esistenza ma… vederle vivere, qui, davanti a me… è pura magia, puro incanto. Camminiamo senza parlare; Kaori fa l’andatura, ed è un’andatura soste nuta anche per me, appena più lenta della corsa. Dopo mezz’ora di questo passo, Midori ha il fiatone. –Kaorisan, non possiamo rallentare appena un po’?– chiede. Kaori la ignora. –Kaorisan!– Sprecando appena il fiato per farsi sentire, la miko risponde: –Dob biamo arrivare ad Amagane prima che scenda il sole. Ci riposeremo tre, massimo quattro volte.– Ora, Midori è meno elettrizzata. –Ma uffa!– dice rallentando. –Non sprecare fiato. E non cambiare passo.– Kaori non aggiunge altro. –Uffa.– ripete Midori più piano, ma recupera l’andatura. 29 I visori mi tengono informato della nostra posizione; dopo un’ora abbiamo percorso più di sei chilometri. Amagane è a poco meno di trenta chilometri dal tempio; sono sei ore di marcia. Ci sono circa nove ore di luce, e se facciamo tre soste di mezz’ora l’una, arriveremo con un certo anticipo. Ma è improbabile che le due miko, soprattutto Midori, possano tenere questo passo per tutto il giorno, e se dovessimo fermarci una quarta volta, arriveremmo giusti giusti. E una volta arrivati, dobbiamo trovare una sistemazione per la notte… Devo ammettere che Kaori sa il fatto suo, deve aver fatto tutti questi calcoli istintivamente. La sua esperienza è preziosa. Kaori si ferma e ci intima di fare altrettanto con un secco gesto della mano. Si guarda intorno. Il suo braccio si muove fluente verso la faretra, mentre con la sinistra solleva l’arco fin sopra la testa. Incocca la freccia e tende l’arco portandolo giù, di fronte ai suoi occhi, con l’eleganza di una danzatrice. Non il tempo di contare fino a tre, e la freccia parte silenziosa, svanendo nelle fronde di un cespuglio a pochi metri davanti a noi. Ne esce un rumore che non riconosco, e le foglie si agitano per un istante. Kaori si avvicina al cespuglio e solleva la freccia; vedo che ha infilzato un piccolo roditore… un coniglio, già privo di vita. Non vedo bene, perché sono alle spalle della donna, ma sembra fare un gesto; sussurra alcune parole che non comprendo, e poi ancora un gesto, come a scuotere il piccolo animale. Dev’essere una specie di rito propiziatorio, o forse qualcosa legato al culto animistico, secondo il quale ogni essere vivente, e non, ha un’anima; ma non so nulla di questa usanza particolare. I dati storici su quest’epoca e questo luogo sono frammentari, dal momento che la scrittura era poco dif fusa, e impiegata principalmente per l’amministrazione o per l’intratteni mento attraverso le arti della letteratura e della poesia. Al di fuori del culto Buddista, la maggior parte delle tradizioni religiose erano tramandate oral mente, e soggette a mutazioni molto rapide. Eravamo certi di avere informazioni incomplete su quest’epoca. Tutta via, saperlo e vederlo è diverso. Per la prima volta mi rendo conto di quanto siano approssimative le nostre conoscenze su questo periodo sto rico; molto, moltissimo è andato perduto. E allo stesso tempo, provo una nuova eccitazione; se finisce tutto bene, con quante nuove scoperte potrò tornare indietro! Finito il suo piccolo rito, Kaori si gira, ci mostra l’animale e annuncia con un sorrisetto: –Il pranzo.– Mi irrigidisco. Già. Pur onorandoli con riti e magie, la gente di questo tempo mangia gli animali, e li uccide. Non che non lo sapessi, ma vederlo fare mi fa male. Vederlo fare con questa noncuranza, anzi, con una punta di soddisfazione… mi giro dall’altra parte; qualcosa, Kaori, deve averlo letto sul mio volto, perché riprende la marcia senza aggiungere altro. 30 Il pranzo (K) Il sole è alto e caldo; le fronde degli alti alberi proiettano un’ombra sulla strada nella quale indugiamo volentieri. Siamo quasi arrivati al ruscelletto dove mi fermo sempre per il pranzo, quando percorro questa strada. In genere non vado così di fretta, e ci arrivo un po’ più tardi; mangeremo un po’ prima. Dietro di me il passo di Midori si è fatto pesante. –Ci sarà presto la piena fioritura…– dice con un filo di voce. Mi accorgo ora che siamo passati accanto ad un boschetto di ciliegi. Che belli! Mi giro. È chiaro che Midori è stremata, e stiamo andando troppo piano. Vabbeh, fermiamoci. Ci vorrà un po’ a pulire e cucinare il coniglio, ma avevo previsto di fare una prima pausa più lunga, per affrontare la seconda parte del viaggio con maggiore energia. –Ci riposiamo qui; a pochi passi dalla strada c’è una piccola radura con un torrente che in questo periodo scorre rigoglioso. È il posto ideale.– Sento un sospiro di sollievo arrivare da dietro. Ci lasciamo la strada alle spalle e ci addentriamo nel bosco; qui la pendenza è appena accennata, e raggiungiamo facilmente la radura. Midori si siede pesantemente sull’erba; Rai’ansama posa il suo pesante bagaglio, si toglie il kasa dalla testa e si guarda intorno. Sembra voler penetrare ogni ramo, ogni foglia col suo sguardo attento. O… sembra un bambino fra le bancarelle di un matsuri… non so decidere, ma lo guardo e sorrido. Ma non c’è tempo da perdere. –Midori?– –Sì, Kaorisan?– mi guarda, ma so che vorrebbe dire, “non chiedermi nulla”. –… Mentre pulisco il coniglio, puoi accendere il fuoco?– –Sì, subito.– Si alza e si dirige verso il bagaglio; le esche per il fuoco sono in una tasca avanti avanti. Io tiro fuori un coltello dal mio sacco e vado verso il ruscello. Meno di mezz’ora dopo, il coniglio cuoce allegramente sulle fiamme, e Midori ha sistemato tre pani di riso attorno al fuoco per scaldarli un po’. Rai’ansama guarda altrove. Già da un po’ ho notato che non sembra avere alcun interesse per il pranzo; è strano, so che ha bisogno di mangiare, e, lui sostiene, più di un uomo della sua corporatura. Che già sarebbe tanto. –Rai’ansama…?– –Dimmi?– –C’è qualcosa che non va?– 31 –No…– ma vedo uno sguardo triste che si posa con insistenza sul coni glio. –Forse… non gradisci questo cibo?– –No, non è quello… è che noi… no, scusa, non importa.– –Rai’ansama, se ho fatto qualcosa che non ti aggrada, devo saperlo. Il mio compito è sostenerti in questo viaggio, e se commetto qualche errore…– attendo una risposta. –No, non hai fatto niente di male; sono io che mi devo adattare.– dice con la bocca, ma sento che il suo cuore è inquieto. –Rai’ansama, ti prego. Ho bisogno che tu sia sincero.– Mi guarda negli occhi; il cielo del suo azzurro si spalanca in me. Vorrei distogliere lo sguardo, ma non posso. Per fortuna, lo fa lui, e risponde: – Noi… non uccidiamo più gli animali per nutrirci.– –Eh?– piego il collo da una parte. –Intendo… prendere una vita per sfamarci… no, scusa, davvero, mi rendo conto che voi non potete farne a meno.– –Rai’ansama… ho accompagnato l’anima di questo coniglio nel suo viaggio, e ora è con i suoi antenati. Non c’è alcun peccato…– –Va bene!– mi interrompe, –Lo so, non c’è alcun peccato. Anzi, so che io stesso ho bisogno di questo cibo per sostenermi. Più di quanto non ne abbia bisogno chiunque altro. Lo so… ma mi dispiace lo stesso.– Non aggiungo altro. Non avevo idea che Rai’ansama fosse così… avesse questa… non so come dire. In questo, è come i buddisti, che cre dono che gli animali abbiano un’anima che non potrà reincarnarsi in una forma superiore, se viene uccisa prima del tempo. Ma non è solo la com passione a farli vegetariani: pensano che uccidendo altre creature, il loro karma peggiori, e che questo li allontani dal Nirvana. Forse, anche la gente di Rai’ansama crede qualcosa del genere? Nel frattempo il coniglio è cotto. Lo taglio in silenzio in quattro parti, e le due migliori sono per Rai’ansama. Lo osservo. Mangia, e in fretta, ma i suoi occhi sono velati di lacrime. Finiamo il pranzo senza che nessuno parli. D’ora in poi cercherò di cucinare qualcosa di più elaborato, così che Rai’ansama non debba soffrire troppo per il cibo di cui si nutre. Ci resta ancora un po’ di tempo; voglio sfruttarlo per recuperare tutte le forze. –Midori?– –Sì, Kaorisan?– –Non restare lì seduta. Ripartiamo fra poco, ma ora sdraiati un po’ e riposa bene la schiena.– 32 –Oh… grazie, Kaorisan.– Le sorrido, e mi giro verso Rai’ansama. –Anche Rai’ansama dovrebbe approfittare di questo tempo per riposare il suo corpo…– –Oh…– Senza aggiungere altro, si sdraia anche lui. Guardo il cielo fra le fronde che ci sovrastano. Le nuvole tingono di bianco l’azzurro vivido del cielo di primavera, e corrono veloci sulle ali del vento. Il suono dei rami è allegro, e arrivato da chissà dove, si posa sulla mia guancia un petalo di ciliegio. Lo prendo con la punta delle dita. È così delicato… ed è un segno che è ora di riprendere il cammino. Gli occhi di Rai’ansama sono aperti, fissi verso il cielo. Il volto è quello di colui che ammira, in estasi, un’opera meravigliosa. –Rai’ansama… ?– –… è così bello…– –Il cielo?– Lui annuisce. –Sul tuo mondo… su Kasei… non c’è il cielo?– –È molto diverso.– Un cielo diverso… guardo il cielo che ho sempre visto, e mi chiedo, come può essere diverso? Un pensiero mi colpisce tanto forte da farmi male. Questo cielo, che è sempre lì, per me, tutti i giorni… ci sono dei luoghi dove anche questo, anche la cosa più sicura, anche il sole che sorge tutti i giorni, anche la luna che illumina le notti… persino queste cose, persino queste certezze, non ci sono. Sento come la terra tremare sotto le mie mani, mentre sono appoggiata seduta; quali certezze sono vere? Se il cielo non è lo stesso ovunque… cosa altro può essere sicuro? Chi può dirmi ciò che è certo… Scuoto la testa. Ora non ha nessuna importanza. Ho una missione; è come quando si viaggia di notte. Ho una strada da seguire, e per quanto l’oscurità prema ai bordi della via, e nasconda i demoni più terribili, tutto quello che bisogna fare è mettere un piede davanti all’altro, guardando solo la terra, lì dove dovrà posarsi il prossimo passo. E allora, ecco il mio pros simo passo. Mi alzo, e dico: –È tempo di ripartire.– Rai’ansama si siede e poi si mette in piedi. –Va bene.– dice, e va a rac cogliere il bagaglio. –Midori?– 33 Non risponde. Ha gli occhi chiusi. Sorrido. Si è addormentata. Amagane (R) Il resto del viaggio è quasi tutto in pianura, ed è più facile procedere spediti. Kaori non ci costringe a tenere lo stesso ritmo del mattino, ma comunque stiamo su una rispettabile media di poco più di quattro chilome tri all’ora. Facciamo due brevi soste, bevendo l’acqua fresca dei torrenti e rifocillandoci con degli onigiri, semplici arancini di riso. In tutto, arri viamo ad Amagane poco più di un’ora prima del tramonto. Leggo chiara sul volto di Kaori la soddisfazione per aver centrato esattamente il suo obiettivo. Raggiunte le prime casette, o meglio capanne, Kaori si avvicina e chiama una donna intenta a ritirare i panni stesi. –Oi, zia!– So perfettamente che gli orientali, e soprattutto i Giapponesi, da tempo immemore, si rivolgono agli estranei usando nomi che normalmente indi cano un grado di parentela. Tutti quelli più giovani sono figli o figlie, tutti gli anziani sono nonni o nonne, e le persone un po’ più anziane di chi parla sono zii e zie. Lo so, ma sorrido lo stesso. –Oh, guarda, una miko! Vieni da Morito?– risponde la zia. –No, da Koumon.– –Koumon? È lontano…– –Eh sì. Abbiamo bisogno di un posto per passare la notte, sai mica chi potrebbe darci ospitalità?– –Oh… beh… il capo villaggio… Giusto, ora che ci penso, la moglie del capo si è ammalata…– –Davvero?– –Sì… e a dirla tutta…– –A dirla tutta…?– La zia si avvicina alla staccionata che circonda la capanna. Ci avvici niamo anche noi. Dopo essersi guardata intorno un paio di volte… –Dicono che sia stata maledetta!– quasi sussurra. Midori sgrana gli occhi e tende il collo. –Oh, è terribile! Come è successo?– chiede con aria preoccupata Kaori. –Un giorno, qualche mese fa, si è recata al Tempietto delle Volpi, sai, quello poco fuori il villaggio, lungo la vecchia strada per andare a Naga kawa…– –Ah, la lastra votiva dedicata agli spiriti volpe…– 34 –Sì, sì, quella lì. Ci sei stata?– –Oh, sì, ci sono passata un paio di volte… è un posto oscuro…– –Già, vero? Io quando ci passo cerco sempre di girare a largo. Se ne dicono tante, su quel posto…– –Eh sì, e poi gli spiriti volpe sono più pericolosi di quello che si crede, pensa che…– –Ehm, Kaorisan…?– la stanchezza di Midori vince sulla sua curiosità. –Oh, sì, giusto. E insomma, che è successo alla moglie del capo villag gio?– –Beh, non si sa, ma è tornata dopo il tramonto. Da allora ha iniziato ad ammalarsi ed è andata sempre peggiorando, poverina. Dicono che sia stata aggredita dai demoni lungo la strada del ritorno, o forse ha offeso gli spiriti volpe in qualche modo…– –Oh… sarebbe grave… dobbiamo andare a vedere.– –Tutto il villaggio ve ne sarebbe grato, è una donna tanto buona…– –Sì, andiamo subito lì. Grazie, zia.– –Grazie a te, giovane miko.– Kaori cammina già svelta lungo la strada, ma si volta a salutare la pae sana; –Eh, ahimè, non sono più così giovane, zietta.– –Ma va, sei quasi una bambina.– –Eh, sì, come no…– si gira Kaori, ma i suoi occhi sorridono. Maaya (M) Uffa, sono stremata! Kaori è spietata. E instancabile. Ma come fa? Io mi butterei per terra a dormire. Riesco appena a tenere gli occhi aperti; e pen sare che il sole sta tramontando adesso. Il capo villaggio è un anziano, ma non poi così tanto, e si chiama Nono suke. La testa è così pelata e rotonda che sembra un bonzo, e gli mancano un paio di denti, ma ha una faccia buona e ci ha accolti in casa con sincero piacere. Kaori gli ha subito detto di aver sentito parlare della malattia di sua moglie, e di voler provare a purificarla, e Nonosuke non ha ancora smesso di ringraziarci. Noi due siamo sedute davanti al focolare, e lui sta dall’altra parte; qual cosa già bolle nella pentola sospesa sulle braci. Lo straniero è seduto dietro di noi e cerca di farsi piccolo piccolo; quando ha tolto il kasa, i suoi capelli d’oro hanno attirato lo sguardo del capo villaggio, ma subito Kaori ha ini ziato a chiedere di sua moglie, e Nonosuke si è completamente dimenticato di lui. 35 –E dunque, cosa è successo quella sera, esattamente?– gli chiede Kaori. –Ecco… Maaya era andata a pregare lo spirito volpe.– –Oh, è strano… come mai?– –Beh, da qualche giorno non si sentiva bene… sapete, noi non siamo riusciti ad avere figli, e lei pregava spesso gli spiriti volpe perché da bam bina l’hanno salvata quando era caduta in un burrone…– –Oh, davvero?– –Sì, un bambino che nessuno aveva mai visto prima aveva chiamato alcuni contadini del villaggio che stavano lavorando lì vicino, e così sono riusciti a salvarla. Lei ha sempre pensato che fosse uno spirito volpe che si era trasformato in un bimbo per aiutarla…– –Beh, è una cosa che uno spirito volpe potrebbe fare…– –Già… insomma, era andata a pregare gli spiriti perché in quel periodo si sentiva spesso male di stomaco.– –Oh, poverina…– –Mi ha raccontato che come aveva finito di pregare era svenuta, e quando si era svegliata il sole era basso. È rincasata che già era buio. Sape ste quanta paura…– –Oh, immagino.– –Da quella sera è stata sempre peggio, e ora quasi non riesce più ad alzarsi. Mangia pochissimo, e quando mangia spesso vomita.– –Midori… cosa ne pensi?– –Eh?– quasi mi stavo addormentando, ma mi sveglio subito e cerco di rispondere. –Oh, non so, dovrei vederla…– –Prego, venite, nobili miko, da questa parte…– Nonosuke si alza e apre un pannello, rivelando la stanza dove giace Maaya. È magra e pallida; sembra molto più giovane di suo marito. Nonosuke le si avvicina piano, come per vedere se sta dormendo, ma lei apre gli occhi appannati. –Marito…– –Maaya, guarda, sono venute delle miko…– si china e le prende tenera mente la mano che sbuca dalla coperta. –Ti aiuteranno…– –Oh…– la donna ci guarda, –perdonatemi per avervi accolte con questo aspetto…– –Ma no…– le sorride Kaori. Mi alzo e le vado vicino. Vedo su di lei le ombre dell’oscurità farsi più dense. Il maleficio che la possiede è forte. Guardo Kaori e cerco di farle capire che non possiamo fare molto, ma lei mi risponde con uno sguardo perentorio: qualcosa dobbiamo farlo. Dietro 36 di lei, lo straniero guarda Maaya intensamente. Si alza e, passando oltre Kaori, si avvicina un po’. Nonosuke, accanto a me, si china su Maaya e le bacia teneramente la fronte. –Vedrai, Maaya, adesso starai meglio.– Lei gli sorride senza rispondergli, ma allunga la mano ad accarezzargli una guancia. Mi alzo e vado a prendere il mio oonusa. Sgarbuglio i filamenti e le liste di carta di riso, e verifico che sia ancora puro. –Nonosukesan, allontanati un po’.– gli dico piano. –Sì…– mi risponde, e si ritira oltre la soglia. Lo straniero è ancora accanto al giaciglio. –Ehm…– –Oh… scusa.– e si allontana anche lui. E adesso, demoni, state in guardia, è arrivata Midori! Purificazione (R) Dalla descrizione dei sintomi, posso intuire che si tratti di un’infezione intestinale, o peggio, di un tumore allo stomaco. In ogni caso, senza un trattamento adeguato, questa donna è spacciata. Non credo le rimanga più di un mese. Midori solleva la sua bacchetta magica dalla quale pendono strisce di carta di riso piegata, l’oonusa. Il gesto della sua mano è elegante. Segue la sua cantilena. –Oh spiriti maligni, ascoltate il mio richiamo!– La sua bacchetta magica si abbassa con un fruscio repentino. –Voi che lordate questo corpo, io vi comando!– Fruscio a destra. –Voi che succhiate la vita dei vivi, io vi ordino!– Fruscio a sinistra. –Siate cacciati! Siate dispersi! Siate purificati!– La bacchetta si solleva, e Midori la regge con entrambe le mani. Con gesto rapido la abbassa come fosse l’elsa di una spada, poi un colpo a destra, uno a sinistra e poi il suo braccio si tende, elegante, verso il soffitto. Ora Midori danza, sventolando le fluenti strisce sopra la donna; persino l’arco disegnato dal suo indice nel reggere la bacchetta è espressione di eleganza e femminilità. Midori ruota su sé stessa, tracciando ampi cerchi, e poi ancora agita la bacchetta a destra e a sinistra, e in alto e in basso. –Via!– E ancora un giro, e ancora un fendente immaginario. 37 –Siate dispersi!– E ancora un colpo a destra, e ancora un colpo a sinistra. –Siate purificati!– grida, e insieme agita la bacchetta come fosse un sonaglio. Già da un po’ ho attivato i monitor diagnostici, anche se a questa distanza posso raccogliere solo dei dati generici. Ma sono abbastanza pre cisi da rilevare un aumento della produzione ormonale, in particolare della serotonina, nel corpo di Maaya. Non posso dire che la magia di Midori sia del tutto priva di effetti; non guarirà quella donna, ma la sta facendo sen tire meglio. E infatti il suo volto si distende, le contrazioni involontarie provocate dal dolore si riducono. Il kagura, la danza sacra di Midori, è affascinante; ne sono ipnotizzato. In ogni gesto c’è la sua anima, il suo desiderio di salvare questa donna, la sua gioia di vivere, il suo odio per la morte. La sua fronte si imperla di sudore, le sue tempie si gonfiano, i suoi livelli ormonali schizzano quasi fuori scala, l’estasi che emerge sul suo volto, e che ci trasmette, è reale, sublime, tremenda. –Svanite!– un ultimo grido, e si accascia sul corpo di Maaya. I miei monitor illuminano Midori come una città di notte, la sovrastimolazione sensoriale deve averle dato un brivido intenso, che del resto ben si vede nel tremore delle sue dita e delle sue labbra. Dagli indicatori, leggo che qualcosa di molto simile deve averlo provato anche Maaya. La mano smagrita sguscia da sotto le coperte a cercare quella della giovane miko. –Grazie.– Maaya sorride dolcemente a Midori. –Di niente.– le risponde semplicemente lei, spossata. Nonosuke si alza piano. –È … riuscita?– Midori si gira verso l’anziano e gli sorride appena. –I demoni… sono molto forti…– –Maaya…– piange il vecchio e corre al giaciglio della moglie. –Sto meglio, marito mio, davvero…– –Maaya… moglie mia…– piange l’uomo e le accarezza i capelli. –Com batti. Non lasciarmi…– Lei gli sorride debolmente e gli accarezza una guancia tonda. –Perdo nami, mio amato… sono così stanca…– –Maaya…– 38 Ho fatto un giuramento. Come medico, come bioantropologo, ho un dovere che trascende qualsiasi altro. Io posso salvare questa donna. La missione ha la priorità su tutto… ma fin tanto che non metto in pericolo l’obiettivo finale, non c’è motivo per cui non debba fare qualcosa per sal varla. No, anzi. Sarebbe degna di essere salvata un’umanità che non provi pietà per il dolore altrui? Mi alzo. Kaori mi guarda, pur con gli occhi lucidi mi chiede –Rai’an sama…?– So che non sa cosa posso fare, ma so anche che intuisce che intendo fare qualcosa. E ne ha paura. –Nonosukesan, Maayasan…– I due mi guardano sorpresi. –Permettetemi di curare il suo male.– Midori, Kaori, Nonosuke e Maaya mi guardano fisso, dimenticando di respirare. Mi avvicino sorridendo al giaciglio e poggio una mano sulla spalla dell’anziano capo villaggio. –Come vedi, io vengo da lontano. La mia gente ha trovato da tempo una cura per questo male. Lascia che la aiuti.– Nonosuke si prostra a terra. –Oh ti prego, ti prego, farò qualsiasi cosa, qualsiasi!– –Ti chiedo solo di fare un giuramento.– –Qualunque cosa, qualsiasi cosa tu vorrai!– –Non rivelare a nessuno quello che vedrai.– –Te lo giuro!– Gli sorrido. Maaya mi guarda inespressiva. Mi chino su di lei. –Ti prometto che non sentirai alcun male. Ma dovrò tirare fuori degli strumenti molto strani, strumenti che non avete mai visto. Non abbiate paura, sono macchine fatte per guarire la gente.– Nonosuke mi guarda sgranando gli occhi, ma io allargo il mio sorriso. – Ti prego, fidati di me.– Kaori interviene: –Nonosukesan, Rai’ansama è in viaggio con noi, vergini sacre dedicate a servire i kamii. Se vi fosse in lui la minima malva gità, credi che non lo avremmo sterminato?– Alla parola “sterminato” sollevo un sopracciglio, ma Nonosuke sembra soddisfatto delle parole della miko. –Ora, Maaya, devo scoprire il tuo corpo. Alcuni dei miei strumenti devono posarsi sulla tua pelle.– 39 So che per la civiltà Giapponese del tempo, e in questa classe sociale, la nudità non è un tabù particolarmente forte, ma voglio comunque essere sicuro che non ci siano fraintendimenti. Lei annuisce debolmente. Scosto la coperta e apro il suo kimono scoprendo l’addome. Ora viene la parte difficile; fra gli impianti che mi sono stati istallati, gli strumenti di diagnostica e cura sono in appendici mobili dietro al collo e nella parte anteriore delle braccia. Sono certo che vederli spuntare dal mio corpo sarà un’esperienza piuttosto impressionante per tutti, ma non c’è altro che possa fare per prepararli, e chiedere loro di abbandonare la stanza potrebbe essere anche peggio. Si comincia. Stendo le mani davanti a me ed entro in modalità assistita. Le mie dita e i palmi delle mie mani si aprono rivelando proiettori e sensori. Produco una scansione tridimensionale del corpo di Maaya direttamente sopra di lei. Come sospettavo, c’è un tumore allo stadio terminale allo stomaco, che ha prodotto una serie di metastasi in altre parti del corpo. Le aree colpite dal tumore sono marchiate in rosso. Sono vagamente consapevole del fatto che le persone attorno a me stanno vedendo le stesse figure tridimensionali che vedo io. So che non possono capire di cosa si tratta, ma il fatto che quell’immagine rappresenta il corpo di Maaya deve essere evidente anche a loro. Ad ogni modo, i sistemi linfatici sono ancora sani, e le condizioni degli altri organi sono buone. Rimosso il tumore, le metastasi e le cellule tumo rali libere, Maaya può guarire naturalmente. Da dietro il collo spuntano due laser coassiali con i quali posso bombar dare il tumore anche attraverso il corpo intatto, con una precisione al decimo di micron. Un terzo tentacolo porta un sensore che genera una radiazione risonante ad alta frequenza e individua le cellule staminali, quelle che, impazzendo, hanno dato vita alla massa tumorale. Il sensore radiodoppler effettua una scansione in cerca di cellule col DNA alterato lungo tutto il corpo, emettendo un raggio appena visibile, alla velocità di tre centimetri al secondo. Nel giro di un minuto, ho una mappa completa delle cellule tumorali libere e di quelle che già hanno dato origine a metastasi. –Nonosukesan…– –E… eh?– chiede tremante l’uomo. –Ho scoperto solo l’addome, ma ora vedo che devo curare anche il resto del corpo. Ti dispiace aprire il kimono? Ora non posso muovere le mani…– 40 –Oh… sì…– la sua mano trema visibilmente, mentre si allunga a spo stare il kimono, ma Maaya è tranquilla e mi guarda inespressiva… anzi, quasi incuriosita. Il corpo di Maaya è terribilmente magro, ma so che i suoi organi sono in condizioni migliori di quanto non appaia. Proseguo. Fulmino le staminali fuori controllo delle metastasi secondarie nel giro di un paio di minuti; un lampo di luce che scende dai laser sui tentacoli che spuntano dal mio collo, e la radiazione entra in risonanza esattamente nella cellula impazzita, distruggendola. Le altre cellule del tumore che non sono in grado di replicarsi, sono destinate a morire in poche ore. Il problema è la massa che ha aggredito lo stomaco; quella va rimossa, perché il corpo di Maaya, così debilitato, non potrebbe liberarsene da solo; l’infezione necrotica sarebbe sufficiente a ucciderla. –Il più è fatto. Adesso devo rimuovere il male che hai nella pancia, Maaya.– L’immagine che ho proiettato si amplia sul dettaglio dell’addome, e ruota per darmi le coordinate precise di dove intervenire. –Non sentirai alcun dolore, ma non sarà bello da vedere. Vorrei che tu chiudessi gli occhi. Questo vale anche per voi…– Ma sia le miko che Nonosuke non sembrano avere alcuna intenzione di distogliere lo sguardo, o forse non ci riescono. Sospiro. Se avessi già attivato i quattro generatori a soglia zero principali potrei usare un campo di stasi per tenere Maaya in animazione sospesa il tempo necessario all’operazione, ma ho solo a disposizione il generatore ausilia rio. E non voglio usare un anestetico generale. Dovrò ricorrere ad un inibi tore dell’attività cerebrale per essere sicuro che Maaya non si faccia pren dere dal panico. Dal mio braccio spunta un’appendice che raggiunge rapi damente il collo di lei e inietta una piccola quantità di neuro inibitore. È il momento di operare. Dal mio collo spuntano i laser chirurgici; con le mani genero un campo di stasi limitato alla zona dell’intervento, bloc cando l’afflusso di sangue e la trasmissione di impulsi nervosi. I laser inci dono in profondità il corpo di Maaya, ma grazie al campo di stasi locale non esce una goccia di sangue. Con i risonatori coassiali spezzo una a una le cellule che tengono il tumore legato ai tessuti circostanti; il campo di stasi impedisce ai succhi gastrici di fuoriuscire dallo stomaco. È un’opera zione lunga, e resa più complessa dal movimento dell’addome dovuto alla respirazione, ma i miei computer sono in grado di compensare i calcoli in tempo reale. 41 Dal mio braccio destro faccio uscire una piccola appendice meccanica che estrae la massa tumorale. Su un’altra appendice, che scende dall’avam braccio sinistro, si trova lo stimolatore cellulare che riproduce abbastanza tessuto da chiudere il buco lasciato dal tumore nello stomaco. Variando la frequenza dei laser chirurgici, saldo le pareti dello stomaco, i tessuti muscolari e infine la pelle. Una ultima scansione, per sicurezza, mi con ferma che è tutto a posto. Rimuovo il campo di stasi. Le appendici sulle mie braccia e i tentacoli sul mio collo rientrano, le mani e le dita si richiudono; resta solo il brac cetto che tiene la massa tumorale estratta. –È fatta.– Annuncio. Maaya si mette seduta sui gomiti e si sfiora l’addome. Poi preme con la punta delle dita un paio di volte. –Non c’è… è… andato via!– mi guarda con gli occhi lucidi pieni di tudine. Le sorrido. –Ora sei guarita.– Gratitudine (K) Rai’ansama tiene ancora quella palla di carne purulenta appesa a una delle sue macchine, mentre Nonosuke si getta ad abbracciare Maaya, pian gendo. Rai’ansama si alza e si dirige verso l’ingresso; si rinfila i sandali e apre la porta. Non vedo bene cosa stia facendo, ma sento un sibilo, seguito da un lampo di luce, e quando rientra la palla di carne non c’è più. A che incredibile prodigio abbiamo appena assistito? La danza di Midori era perfetta e sublime, ma non ha potuto nulla, o quasi, contro il male di Maaya. E come avrebbe potuto? Se il male che si stava imposses sando di Maaya era quella mostruosità che Rai’ansama ha tirato fuori dal suo corpo… Mi gira la testa. Come quando ho pensato al cielo diverso, stamane. Scuoto la testa, non riesco a pensarci, e comunque sono troppo confusa. Quando Rai’ansama rientra, Nonosuke si getta a terra. –Oh, grazie, Rai’ansama, grazie! Come posso mostrarti la mia gratitu dine, dimmi come posso ricambiare, ti prego!– –Non fare mai parola con nessuno di quello che hai visto. Ti chiedo solo questo. E…– –E…?– –…Abbi riguardo per Maaya; le servirà tempo per tornare in forze.– –Sì, certo, sicuro! Oh, grazie… grazie!– –Ehm… a dirla tutta…– 42 –Sì…?– –Ti abbiamo già chiesto ospitalità per stanotte?– Nonosuke lo guarda sgranando gli occhi. Rai’ansama gli sorride, quel sorriso dolce che mi ha inchiodata la prima volta che l’ho visto… Il sorriso è una malattia contagiosa, e Nonosuke si asciuga le lacrime e scoppia in una grande risata. Pochi minuti dopo siamo tutti attorno al focolare, anche Maaya, che sembra avere un grande appetito. Non abbiamo ancora finito di mangiare, ma il capo villaggio sta già ver sando il saké, caldo tanto da fumare. Maaya è debole, ma si capisce chiara mente che più di ogni altra cosa vuole restare lì a ridere insieme a tutti noi, per assaggiare quella vita, pur semplice, che si era già rassegnata a dover abbandonare. –È squisito…– commenta Rai’ansama dopo aver sorseggiato il saké. –Hehe, questo arriva da Hei’an. L’ho comprato quando sono andato alla capitale per vedere di vendere del riso che ci era avanzato… era stato un anno abbondante! Questo è il saké che servono a corte!– –Marito! Ti sei fatto prendere in giro, secondo te si vende al mercato il saké dell’Imperatore?– –Oh, beh, non so, ma comunque il prezzo era buono e sono riuscito pure ad abbassarlo! Su, bevi, bevi!– Nonosuke incita Rai’ansama riempiendo gli di nuovo il piattino. Poi si alza e si assicura che abbiamo tutte del saké, e quando torna al suo posto fa partire il brindisi. –Alla gente di Rai’ansama!– E tutte noi dietro: –Kanpai!– e, così come abbiamo detto, i piattini si svuotano. Nonosuke, che sembra avere l’energia di un ragazzino, si rialza e fa di nuovo il giro; ma nel piattino della moglie si assicura di aver versato solo qualche goccia. –Alle miko di Koumon!– E tutti: –Kanpai!– e via, i piattini si asciugano. Altro giro: –A mia moglie Maaya, la donna più meravigliosa che abbia mai incontrato!– –Oh, marito! Non essere sciocco, mi fai arrossire…!– Ma noi tre non glielo permettiamo: –Kanpai!– e via, il saké sparisce! Già al secondo kanpai, sembrava che Rai’ansama non fosse affatto immune agli effetti del saké, ma al terzo, il modo con il quale dice –Uh… proprio squisito, questo saké…–, e il modo con il quale guarda la tazza vuota, mi fanno capire che, in questo, Rai’ansama è assolutamente umano. 43 Qualche Kanpai più tardi, e dopo alcuni buffissimi racconti di Nono suke sulla gente del villaggio… –Ma… Rai’ansama… le nostre storielle devono essere nulla rispetto ai racconti della tua gente.– –No, no, le tue storie sono davvero interessanti, più di quanto tu possa pensare.– –Eh?– –Vedi, a noi piace studiare gli usi degli altri popoli. Ci sono degli sco lari che vivono solo di questo.– –Davvero?– –Sì, davvero! Anzi, io sono uno di quelli. Il mio lavoro è proprio quello di studiare le usanze degli altri popoli, e di raccontarle alla mia gente.– –Ohh… io pensavo… ecco… che tu fossi un … guaritore…– –Ah, beh, sì: in realtà, per noi le due cose sono abbastanza vicine. Il nome del mio mestiere è “bioantropologo”. Nella mia lingua significa, “colui che studia le abitudini e la vita degli uomini”. Quello che faccio è studiare la relazione fra le abitudini degli uomini ed il loro corpo.– Pieghiamo tutti la testa da un lato. –Ad esempio… voi mangiate molto riso. C’è un’altra gente, dall’altra parte del mondo, che mangia molte patate, non proprio come quelle che avete qui in Giappone… ma simili. Col passare delle generazioni, il corpo si abitua a mangiare più riso o più patate… io studio queste differenze. E poi, studio l’effetto di altre abitudini, come ad esempio l’età preferita per sposarsi e fare figli, o i tipi di lavoro che svolge la gente…– –E questo ti aiuta a guarire le persone?– gli chiedo. –Sì. Sapendo come funziona il corpo, posso guarirlo dalle malattie.– Rimango senza fiato. Le sue parole mi rimbombano nella testa, non rie sco a fermarle. È un pensiero tanto semplice, tanto naturale, eppure così fantastico. Cosa so io di come funziona il mio corpo? So che devo mangiare e bere, e quello che mangio e bevo esce impuro; so che ogni mese il mio corpo perde sangue, e che se accetto il seme di un uomo posso far crescere un figlio dentro di me. So che invecchio e con l’età la pelle si farà secca e rugosa, e i capelli bianchi e radi. Ma non so molto altro. È il mio corpo, eppure per me è un mistero. E se conoscere il corpo significa poterlo curare, allora … conoscere la terra significa poterne trarre più frutti, conoscere l’aria significa poter volare, conoscere il mare significa poter pescare qualsiasi cosa… cono scere tutto significa… potere tutto. 44 Mi sdraio lì sul posto, con gli occhi spalancati. Non so se è il saké o quest’idea che mi ha fatto girare la testa. –E quindi…– sento Rai’ansama che prosegue, –raccontatemi come vi siete conosciuti voi due.– Non ascolto più; sonnecchio un po’, stesa lì sul tatami. Quando riapro gli occhi, tre stuoie sono state poste vicino al focolare; su una, dorme serena Midori. È così carina, quando tiene la sua lingua tagliente fra i denti. Le altre due sono vuote. Nonosuke e Maaya staranno dormendo nell’altra stanza. Il pannello che dà sull’esterno è socchiuso; scendo dal tatami infilan domi gli zouri ai piedi e sguscio fuori. Rai’ansama è lì in piedi, immobile a guardare dritto verso Kasei, la Stella di Fuoco, casa sua. –Rai’ansama…– non lo sto chiamando; solo, mi escono naturalmente queste parole. Ma lui si gira sorpreso a guardarmi. –Oh, Kaorisan…– La luna illumina il suo volto triste. Istintivamente sollevo la mano verso di lui, ma per fortuna me ne rendo conto e la fermo a mezz’aria. Lui mi sorride e torna a guardare Kasei. Vorrei dire tante cose, e forse è per questo che non riesco a dirne nean che una. Resto in silenzio ad osservarlo osservare le stelle. Più per dire qualcosa, qualsiasi cosa, che per un vero motivo, gli dico: – Dovresti riposare, domani dovremo camminare ancora.– –Sì, hai ragione.– Sospira e si gira per rientrare. –Rai’ansama!– lo fermo; stavolta la mia mano gli ha già afferrato una manica prima che io possa rendermene conto. –Sì?… dimmi Kaorisan.– mi guarda un po’ sorpreso. –Ecco… io…– balbetto qualcosa, –vorrei che tu… mi spiegassi.– –Spiegarti… cosa?– –Quello che ho visto… quello che sai sui corpi… come guarire la gente… insomma…– –Beh … posso raccontarti qualcosa ma… non saprei da dove comin ciare.– –Oh… certo… capisco… la tua sarà un’arte segreta…– abbasso lo sguardo delusa. –Ma no, niente affatto. Solo che ci sono davvero tante cose da sapere. Oltre duemila anni di studi… ma credo, se sei disposta ad ascoltare, posso almeno aiutarti a capire meglio alcune cose.– 45 Alzo lo sguardo, e incontro il sorriso di Rai’ansama. Oh… avrei fatto meglio a tenere gli occhi bassi, il suo sguardo è come un chiodo piantato dritto dentro al mio cuore. Arrossisco come si conviene, e guardo altrove, ma sento il suo braccio muoversi. Mi rendo conto ora che lo sto ancora tenendo! Scatto indietro. –Oh, scusa Rai’ansama… perdono…– Ride piano, ma di cuore. –Dai, ora andiamo a riposare. Avremo tempo tutto il tempo di chiacchierare domani; fra l’altro il viaggio è più breve, potremo camminare più tranquillamente.– Rai’ansama sposta una stuoia dall’altra parte del focolare, e si infila dentro. –Buona notte, Kaorisan.– Lo guardo un ultimo istante prima di fare altrettanto. –Buona notte, Rai’ansama.– Piccola mocciosetta (M) Ahi… ahia, provo ad alzarmi, ma che male alle gambe! La marcia di ieri mi ha fatta a pezzi. Il sole si è alzato da poco, e ci stiamo preparando a partire. Kaori è fre sca come una rosa e si china fluente a raccogliere le sue cose. Come acci denti fa? Deve essere abitata da un demone. Quasi quasi la purifico, così fa fatica anche lei… –Tutto a posto, Midorisan?– mi chiede lo straniero. –Sì, tutto a … ahi!– muovere anche solo un passo mi uccide. Lo straniero ride. Eh, facile con quelle gambe grosse come alberi, eh? –Dai, siediti qui.– e mi fa cenno di raggiungere la soglia dell’hiroma; il tatami è rialzato giusto giusto quanto le mie gambe dal ginocchio in giù; sedendo sulla soglia, la punta dei miei piedi sfiora il terreno. Rai’an si china e sembra voler fare qualcosa, ma non capisco. Da dietro la nuca sento arrivare lo sguardo pungente di Kaori. –Scopri le gambe.– –…Eh?– –Ho qualcosa che ti farà passare il dolore.– –…Oh… ah, sì… ehm… certo…!– Uff, per un attimo ho pensato che … oh, non lo so neanche io quel che ho pensato. Mi slaccio la fascia dell’hakama, e abbasso la parte anteriore. Il nagajuban copre le mie parti intime, e scostandolo appena le cosce restano fuori. Lo sguardo pungente alle mie spalle si fa tagliente. Quasi quasi le faccio un dispetto… ma no, Kaori se lo meriterebbe, ma lui no. 46 Lo straniero avvicina il braccio sinistro alla mia coscia destra, e lo tiene ad un palmo di distanza. Si ode un sibilo, come il verso di un serpente, ma me lo ricordo da ieri sera, e non mi spavento. Sento un tocco delicato sulla pelle e subito una sensazione di calore che si va espandendo. Rai’an fa la stessa cosa sull’altra gamba. Poi mi guarda e mi sorride. –Ecco fatto. Fra un po’ non sentirai più male.– –Oh… grazie.– –Di niente.– –Ecco, Kaorisan, – inizia lo straniero mentre mi riallaccio la fascia, – riguardo a quello che ci siamo detti ieri notte…– e poi, una sfilza di parole che non sono sicura di capire. Anzi, non le capisco affatto, ma riguardano il dolore che stavo provando, un “latte” qualcosa nelle mie gambe, e la medicina che mi ha messo nel corpo. Mi ha messo una medicina nel corpo?!?! Ma io non ho bevuto nulla!?!? –Ohh, capisco…– risponde Kaori. Io no, e lo so, nemmeno lei, ma… adesso che ci penso, lo straniero, non ha parlato di qualcosa che si sono detti stanotte? Ah, che occasione da non perdere! –Quello che vi siete detti ieri notte…? Kaorisan, che avete fatto mentre dormivo?– –Midori!– Kaori mi incenerisce con lo sguardo. –Oh, scusa, Kaorisan, – le sorrido innocente, –capisco, sono cose pri vate…– Kaori si china su di me e mi sorride melliflua: –Ti maledico a morte!– Mi porto la mano davanti alla bocca e rido, ma lo sguardo di Rai’an è sconcertato. Capisco … è uno straniero… –Oh, Rai’ansama, non preoccuparti, è solo un modo di dire. Kaorisan non intendeva dirlo per davvero, non è così?– le sorrido. –Mah… chissà… piccola mocciosetta impertinente…– –Ehm… anche questo è un modo di dire?– chiede lo straniero. –No, questo è proprio vero.– risponde cinguettando Kaori. Non gliela posso dare vinta. Non sono affatto una mocciosa! Alzo la posta. –Dai, zietta, non devi prendertela così, che non sta bene alla tua età…– Kaori è paonazza. Colpita e affondata! Si alza e finisce di preparare le sue cose, borbottando qualcosa tipo –Ma guarda che sfacciata…– Il mio sorriso si rivolge allo straniero, che mi restituisce uno sguardo un po’ perplesso, e poi si alza per finire i suoi preparativi. 47 Provo ad infilare gli zouri ed alzarmi a mia volta… il dolore è sparito! Saltello un po’, faccio qualche passo e niente. Uh, che strana sensazione, sono così sorpresa che mi sento quasi delusa dalla sparizione improvvisa di tutto quel dolore. Nel frattempo, sono usciti anche Nonosuke e Maaya. Lei ha già ripreso un po’ di colorito, e sembra aver riacquistato un po’ di quella bellezza che doveva avere prima di ammalarsi. Il suo sorriso è solare. –Grazie ancora.– dice, e porge un fagotto a Rai’an. –Oh, grazie, ma non posso accettare.– –Su, su!– lo esorta Nonosuke, –soltanto pensare che mangerete questo cibo ci fa un immenso piacere!– –Oh… allora… vi ringrazio.– accetta infine Rai’an, con un piccolo inchino. Non so, vedere la sua testa dorata chinarsi in quel modo… non capisco perché, ma mi sembra strano. Chissà se si rende conto dell’onore che ha regalato a Nonosuke e Maaya accettando il loro dono. Maaya saluta a sua volta. –Se passerete di nuovo da queste parti, venite da noi. Non potremo mai ripagare quello che avete fatto, ma… se almeno potremo condividere quello che abbiamo con voi, ne saremo onorati.– –Senz’altro. Grazie per l’ospitalità e addio.– –Addio!– ci salutano in coro marito e moglie, mentre ci incamminiamo verso la prossima destinazione. C’è qualcosa in Rai’an che mi piace molto. Credo che sia… il fatto che… ecco, un nobile, o anche solo un guerriero, normalmente non avrebbe accettato il dono di quella coppia. Men che meno avrebbe ringra ziato per l’ospitalità offerta. Questo straniero sembra così gentile… sembra davvero che… gli importi qualcosa degli altri. Ecco, credo sia questo che mi piace. Ho visto quello che può fare, e non c’è nessuno che possa fare altrettanto. Anche l’Imperatore dovrebbe inchinarsi di fronte ad un potere simile. E invece, lui lo ha impiegato per una perfetta sconosciuta… una contadina, per di più. E dopo… sì, sono certa… dopo, era felice. Ascoltare quelle storie buffe che ha raccontato Nonosuke… vedere il sorriso di Maaya… bere tutto quel saké e ridere… sì, sono certa. Più di qualsiasi altra cosa, quella è la moneta che può pagarlo. Sono contenta che Rokugane mi abbia scelta per questo viaggio. Non credo che sarò molto utile, ma sono contenta lo stesso. 48 Sulla strada per Nara (K) Secondo il piano originale, avremmo dovuto chiedere informazioni sul vascello alla gente di Amagane, ma Rai’ansama mi ha detto che non era necessario, e ha preferito non “disturbare oltre i nostri ospiti”. Come se guarire quella donna da un male inguaribile fosse un disturbo. Mah, le sue ragioni, ancora, mi sfuggono. Ma non mi è stato chiesto di comprenderle. Da quanto mi ha raccontato il kannushi, la gente dei villaggi di questa zona protegge il vascello da generazioni. Naturalmente nessuno sa di cosa si tratti; e come potrebbero? Io stessa non riesco ancora a credere del tutto a questa storia. Ma comunque, lo venerano come un mikoshi, un vettore divino, e scelgono i giovani più forti per affidare loro il compito di proteg gerlo. Un tempo, c’era un piccolo esercito. Adesso, ne scelgono solo uno. Rai’ansama ha disegnato nell’aria la mappa del luogo che dobbiamo raggiungere; è a meno di un’ora di cammino. Non conosco bene quella zona, ma credo che il terreno dovrebbe essere abbastanza facile. Certo, che strumenti meravigliosi che possiede Rai’ansama! Poter dise gnare una mappa nell’aria, e ingrandirla tanto da mostrarmi anche le curve dei sentieri… con uno strumento simile, chi potrebbe mai perdersi? Chissà fra quali meraviglie ha vissuto. Una città volante nei cieli di Kasei… istintivamente guardo in su. Ecco; siamo usciti dal sentiero e abbiamo incrociato la strada principale. A questo punto, dobbiamo girare nella foresta. –È di là.– annuncio e punto il bosco con un dito. –Kaorisan…– piagnucola la mocciosetta. La guardo cercare di ripren dere fiato, e poi guardo Rai’ansama. –Manca poco, e il sole è ancora basso… fra l’altro devo prendere ancora un po’ di forze. Riposiamoci un attimo.– Sospiro. –Come desidera Rai’ansama.–, ma mentre ci sediamo gli sus surro, –la stai viziando troppo…– Però, non ricevo risposta. Il vento fresco del mattino accarezza le fronde; da queste parti, la foresta cresce densa e confusa, gli alberi diversi gli uni addosso agli altri, a lottare per quel palmo di terra che dà loro la vita. Eppure, al primo alito di vento, eccoli accarezzarsi le foglie, delicati eppure veementi. Respiro il profumo della primavera, ma col vento arriva il suono degli zoccoli di un cavallo, e lo stridio di ruote male oliate. E da dietro la curva, spunta presto un carretto tirato da un cavallo dall’aria dimessa, e sul carro, un ometto con la faccia buffa. 49 –Oh, tu guarda, delle miko!– ci saluta col braccio. Rai’ansama china bene il kasa sul volto, e Midori si desta dal torpore. –Salve, zio!– Midori risponde al saluto; io accenno giusto un inchino col capo. Arrivato davanti a noi, –Ohhh– tira le redini e si ferma. –Figliola, – mi guarda, –non è che avresti un mamori da vendermi?– –Eh… no, siamo in viaggio…– –Ti pago bene. Se non hai un mamori, allora ti pago anche per un rito di purificazione! C’ho una sfortuna… avervi trovate qui sulla strada dev’essere un segno.– –Un segno?– –Sì, – l’ometto salta giù dal carro, –vengo ora da Nara. I Fujiwara hanno appena alzato il dazio delle stoffe in ingresso alla città, e se provo a ven derle lì, non avrò nessun margine! I mercanti che già erano in città potranno tenere i prezzi bassi ancora per un po’, giusto abbastanza per mandarmi in rovina!– –Ah sì?– rispondo; Nara è appena qualche miglio più a valle lungo la strada, e avere delle notizie fresche può esserci utile. –Sto andando di corsa a Iga per cercare di piazzare il mio carico in paese; se sono fortunato, arriverò prima degli altri. Certo, la gente di Iga è di bocca buona e non è disposta a pagare lo stesso prezzo della gente di Nara… per questo ho bisogno di un po’ di buona sorte. O almeno, che mi abbandoni questa sfortuna!– –Oh… capisco…– Con la coda dell’occhio vedo Midori già intenta a cercare il suo oonusa. Devo spiegare un paio di cose a quella ragazza, prima o poi; cercando di batterla sul tempo, chiedo al mercante: –E… cosa sei disposto a offrirci?– –Oh… vediamo…– si gira e fruga nel carro, –… delle fanciulle graziose come voi potrebbero fare buon uso di questa fine stoffa cinese!– e tira fuori un piccolo rotolo di panno rosso. Non so se è cinese, ma non credo che nessuno in Cina comprerebbe quella roba. O oserebbe provare a ven derla. –No?– Scuoto il capo. –Allora… che ne dite di questo bel nagajuban, le miko me lo chiedono sempre…– Sarà, ma se glielo chiedono, lo vogliono bianco, non ocra. E poi, quello sembra più un haori… –No, eh?– 50 Scuoto ancora il capo. –Certo che sei una cliente difficile da accontentare, sorellina… vediamo…– Scuoto il capo. –Eh?… ma non ho ancora detto nulla…– Lo guardo fisso. –Va bene, ho capito. Tre monete di rame.– Sbuffo e abbasso la testa. Per quanto l’haori fosse orrendo, valeva certo di più di tre monete di rame. –Ho, capito, ho capito, con una figliola sveglia come te non posso spun tarla. Una moneta d’argento. È la mia ultima offerta.– Mah, se ci mettiamo qualche altra informazione che intendo chiedergli dopo, il prezzo potrebbe anche andare. Vabbeh, dai. –Midori… fai del tuo meglio!– –Come Kaorisan desidera!– canta Midori tutta felice. –Che devo fare?– chiede il mercante. –Stai fermo lì, zietto. Faccio tutto io.– gli risponde Midori. E inizia a sollevare, lentamente, il suo Ooonusa frusciante sopra alla buffa testa del nostro cliente. –Kamii del cielo…– e fruscio in alto. Non ci credo. –…Kamii della terra…– e fruscio in basso. Non voglio crederci. –…e tutti gli ottantamila kamii assisi in assemblea…– fruscio tutto intorno. Mi abbraccio le ginocchia e ci affondo la faccia. –Oh, no…– –…attraversando nubi di alte cime e nubi di basse valli, vengo a porvi la mia supplica…– Il corpo di Midori si tende e fruscia come un arco, supplicante. –…e vi dico che il peccato chiamato peccato, qui più non dimora!– Midori gira e fruscia senza più dimora. –Come il vento da occidente che spazza via le nubi pesanti dai cieli…– Midori fruscia da occidente e spazza via le nubi. –…come la rugiada del mattino, e la rugiada della sera, sono soffiate via dai venti del mattino e dai venti e della sera…– L’oonusa di Midori fruscia da mattina a sera. –… così io soffio via il peccato del mondo terreno!– 51 Midori soffia via i peccati frusciando. E io vorrei scavare una buca e seppellirmici. Allungo un braccio in cerca di Rai’ansama e quando lo trovo lo scongiuro: –Dimmi quando finisce.– Dopo un po’ di fruscii e di altre frasi tirate fuori a caso dal Norito della Grande Purificazione, sento toccarmi la spalla: –Ha finito.– –Yokatta!– esclamo a bassa voce. –Ohhh, – dice il mercante, –ma che benedizione meravigliosa! Già mi sento molto più fortunato! Da quale tempio venite, figliole? O venite da un santuario?– –Koumon– rispondo, e mi alzo in piedi per riscuotere la moneta d’argento. –Oh, Koumon… gran bel santuario… quando ci passo, ringrazierò il kannushi per avervi mandate da me!– In silenzio, prego Tougasama che questo mercante sbagli sempre strada. –Beh, è stato un piacere fare affari con voi! La moneta d’argento meglio spesa della mia vita!– dice allegro, e mi allunga una moneta. Peso, colore e dimensione sembrano giusti. Mentre la prendo, riscuoto la seconda parte del pagamento: –Zio, hai detto che a Nara i Fujiwara hanno imposto dazi più alti ai mer canti.– –Già. Una vera iattura, sorellina.– –E chiedono un pedaggio anche ai viandanti?– –No, non sono arrivati a tanto. Non ancora, almeno.– –Ho capito… e sai mica se hanno aperto qualche nuovo tempio in città?– –Tu vuoi sapere se stanno favorendo i monaci, eh sorellina?– –Più che altro, mi interessa sapere se siamo ancora le benvenute.– –Nessun cambiamento. La vita per i monaci è sempre facile, ma ci ten gono a tenerli sul chi vive.– –Bene. Grazie per le informazioni.– –Grazie per la benedizione. Addio figliole!– –Addio zio, fai buon viaggio!– lo saluta Midori, agitando la manina. Aspetto che si allontani un po’ e mi giro verso Midori. –Ma come ti è saltato in testa di usare il Norito della Grande Purifica zione per questo!– –Beh… per una moneta d’argento mi sembrava che meritasse qualcosa di grande… e pensando a qualcosa di grande…– –Quelle parole non sono un gioco!– 52 –Non stavo giocando, Kaorisan!– –E poi, almeno, cerca di metterle in fila bene, hai fatto un pasticcio!– –Ho pensato di usare solo le parti che riguardavano i peccati…– –Quella è una preghiera a tutti i kamii, capisci, a tutti! Cosa penseranno i kamii che hai scomodato per quel… mercante?– –…scusa, Kaorisan…– mi guarda con occhietti innocenti. –Scusa un corno! Non si invoca mai un kamii per aiutarti con una bene dizione data così, per strada… non uno! Figuriamoci tutti!– –Scusa… non lo faccio più…– è quasi sul punto di piangere. –Lo spero bene! Da non credere… su, rimettiamoci in cammino.– Da sotto il suo kasa, non riesco a leggere l’espressione di Rai’ansama, ma ho come l’impressione che si stia divertendo un sacco alle nostre spalle. La foresta di Amagane (M) Che cattiva, Kaori! Insomma, ho fatto un bellissimo kagura… e anche quello zietto ha sentito la fortuna che si posava su di lui. Vabbeh, lo sapevo che una preghiera come quella della Grande Purificazione era dav vero troppo… insomma, è un po’ la nostra arma finale, l’invocazione più potente che conosciamo, ma pensavo che usarne giusto qualche parola… Oh beh. Mi sa che ha ragione lei. Come sempre. La odio quando ha ragione. E siccome ha sempre ragione, la odio sempre. Le faccio la linguaccia da dietro le spalle; ma si è già infilata fra i cespu gli. –Vai avanti, Midorisan, così stai nel mezzo della fila.– lo straniero mi sorprende con la lingua ancora fuori. Arrossisco, gli rispondo: –Oh… sì, certo…– e mi incammino. Il sentiero nel bosco è appena tracciato, e la vegetazione è molto densa; le vesti si impigliano spesso agli arbusti. La pendenza sale ripida, il terreno è polveroso e poco compatto. Insomma, procedere è davvero difficile. Fra rami densi, la luce del sole filtra appena. L’oscurità è opprimente, innaturale. Anche gli uccelli, da un po’, hanno smesso di cantare. Non mi piace. Raggiungo la mia sacca e con la mano frugo in cerca dell’oonusa. L’arco continua ad impigliarsi fra i rami bassi, e sono costretta a tirare fuori la mano per liberarlo. Kaori è già dieci passi avanti, ma dietro di me Rai’an arranca. 53 A un certo punto, un rumore strusciato mi fa trasalire. Mi giro di scatto; giusto in tempo per vedere lo straniero piombare a terra come un polipo bollito. Istintivamente vorrei andare ad aiutarlo, ma anche la mia posizione è assai precaria, e cerco di muovermi verso il basso con cautela. –Tutto bene?– lo chiamo. Kaori, che ormai si intravede appena fra gli arbusti più in alto, si gira a guardarci. Lo straniero dice alcune parole dal suono buffo che non comprendo; probabilmente è qualcosa nella sua lingua. Si solleva in ginocchio e cerca di scuotersi il terriccio dai vestiti. –Sì, grazie, tutto a posto.– ma mi rendo conto che l’enorme fagotto che porta, oltre alla sua corporatura, sono nemici formidabili in questa mac chia. –Va tutto bene, lì sotto?– chiama dall’alto Kaori. –Sì, – le rispondo io. –Forza, siamo quasi sul pianoro.– ci incita lei, ma adesso si è fermata e sta aspettando che la raggiungiamo. Quella zietta deve avere una magia segreta, come fa a passare attraverso al bosco in quel modo? Finalmente sbuchiamo fuori dal sentiero stretto; la boscaglia si dirada e lascia posto ad una foresta di abeti; per di più, la pendenza cessa quasi del tutto. –È questo il pianoro?– chiedo a Kaori. Lei annuisce ma poi guarda Rai’an, come a chiedere conferma. Lui si guarda intorno, ed è chiaro che sta vedendo cose che noi non possiamo vedere, perché fissa il suo sguardo su cose all’apparenza insignificanti. Dopo poco, alza un braccio ed indica il fianco della montagna, che torna a salire oltre il pianoro. –È là dentro.– Kaori lo guarda con aria interrogativa. –Sotto la montagna?– gli chiede, e Rai’an annuisce. Sembra volergli chiedere come possiamo fare a raggiungerla, ma lo stra niero deve aver capito il suo dubbio, perché anticipa la risposta: –Lo scafo è piuttosto ingombrante; difficilmente sarebbe passato inos servato, quindi è l’unica cosa che abbiamo appositamente cercato di nascondere. Quando è stato fatto partire, gli è stata impressa abbastanza forza per infilarsi in profondità nella roccia; ma da qualche parte ci deve essere il foro dal quale è entrato…– Non finisce la frase che scatta ad afferrare il polso di Kaori e si porta un dito alla bocca; poi si gira subito verso di me per assicurarsi che l’abbia visto. Il suo sguardo è allarmato e vigile. Sto per guardarmi intorno in cerca del pericolo, ma lui mi afferra per un braccio, una morsa dolorosa, e scuote piano il capo. Capisco, devo far finta di nulla. 54 Dagli alberi alle nostre spalle sento il sibilo di una spada che struscia contro il fodero, e un grido lo segue. –Fermi! Non muovetevi!– Ah, sì, io non mi muovo. Manco respiro. Sto ferma ferma. –Mi hai tolto le parole di bocca…– è la voce di Kaori. Rai’an, che ancora mi tiene per il braccio, si volta piano, e io seguo il suo sguardo. Un giovane possente stringe una spada con la punta a un braccio dalla nostra schiena. Ma a un braccio da lui c’è la punta della freccia di Kaori, già incoccata nell’arco. Il giovane, enorme, persino più alto dello straniero, si gira lentamente a guardare la freccia puntata dritta verso i suoi occhi. –Getta la spada.– gli intima Kaori. Uwaaa, è fantastica! Come ha fatto a prenderlo così di sorpresa? Il giovane rimane impietrito. –Kamii del cielo, kamii della terra, accogliete l’anima di questo gio…– inizia ad intonare lei, ma il ragazzo capisce che la mia amica fa sul serio, e lascia cadere la spada senza muovere altro muscolo se non quelli delle dita. Ovviamente, sbiancando. –… grazie;– gli sorride la mia zietta, –oggi abbiamo già disturbato i kamii abbastanza, e mi spiaceva seccarli ancora mandando dalle loro parti un’anima puzzolente come la tua.– Uwaaaa… che forza, la mia amica Kaori! Se possibile, il ragazzo sbianca ancora di più. –Salve…– saluta Rai’an, –… tu devi essere il guardiano del mikoshi di Amagane, giusto?– –Sì…– risponde il giovane, ancora immobile, con lo sguardo fisso sulla freccia. –Kaorisan, puoi lasciarlo andare.– –Come Rai’ansama desidera…– ma aggiunge rivolta al ragazzo, –Ti chiedo di perdonarmi in anticipo: se ci riprovi, non farò in tempo ad accompagnare la tua anima con una preghiera…– e così dicendo abbassa lentamente, molto lentamente l’arco. Senza posare la freccia. E senza distogliere lo sguardo. –Oh… sì… ho capito.– Rai’an si avvicina, e saluta chinando appena il kasa che ha sulla testa. –Il mio nome è Ryan. Come ti chiami, giovane guerriero?– –Io… sono Jirou.– Mi scappa una risatina. Che nome banale! 55 –Piacere di conoscerti, Jirousan. Io sono venuto da… molto, molto lon tano…– e mentre lo dice, si slaccia il kasa, –…per vedere il mikoshi.– Dal movimento della testa, capisco che il giovane sgrana gli occhi nel vedere il volto dello straniero. Jirou è almeno un palmo più alto di Rai’an; è veramente enorme. Ha lunghi capelli nerissimi, spettinati e arruffati, un’armatura fatta di pezzi raccolti chissà dove, e mani grosse come pale. Non vedo bene il suo volto perché i cappelli arruffati e spettinati gliene coprono gran parte. I cortis simi capelli d’oro, gli occhi del color del cielo e la figura solenne dello straniero sembrano una copia al contrario, riflessa da uno specchio magico, che torreggia sul giovane nonostante sia più piccola. O… meno enorme. Rai’an continua: –So che i vostri villaggi hanno fatto buona guardia al mikoshi per molto tempo, in attesa che il suo kamii si rivelasse.– Rokugane ci aveva accennato qualcosa di questo la sera prima della par tenza. Jirou annuisce. –Io sono venuto qui perché è giunto questo momento.– La grotta (R) Spero di non aver scosso troppo Jirou; ma non riuscivo a trovare altre parole. Tuttavia, dopo il primo impatto, credo che si sia sentito addirittura… sollevato. Fare la guardia a un pezzo di ferro incastrato in un buco nella roccia per la maggior parte della propria vita non dev’essere una prospettiva particolarmente eccitante. –Ecco, è qui.– ci indica. Come previsto, c’è una profonda fenditura sul fianco della montagna; oltre all’energia cinetica, lo scafo era stato dotato di uno scudo ad alta energia per penetrare nella roccia e incastrarvisi, in modo da rimanere nascosto per secoli. Questa gente l’ha trovato lo stesso, ma grazie al fatto che ne hanno fatto una specie di oggetto di culto segreto, la cosa non dovrebbe causarci alcun problema. Il passaggio è un po’ scomodo, ma si riesce a camminare senza troppa difficoltà. Jirou ci fa strada con una torcia; la luce che filtra non basta a capire bene dove mettere i piedi. Arrivati in fondo alla piccola grotta, lo scafo giace in posizione quasi orizzontale. Lo scudo era programmato per generare un ultima scarica di energia alla fine della discesa, in modo da formare una camera abbastanza ampia da permettere di accedere agevolmente a tutti gli ingressi. 56 La gente di questi villaggi ha agghindato la camera dove giace lo scafo con ogni sorta di decorazione sacra a sua disposizione. La navicella è com pletamente avvolta in tre giri di corde consacrate, alle quali sono appese i pendagli di carta di riso piegata. Alla base sono posati fiori, cibo, bambole e vari doni votivi. La navicella è lunga una decina di metri, larga sei e alta meno di tre; ha una forma affusolata e compatta. Dall’esterno non si può scorgere nessuna apertura se non quella per lo scarico dei motori al plasma. La parte supe riore è arrotondata, e questo può aver confermato l’idea dei nativi che si tratti di una specie di carro celeste. La parte anteriore è appuntita, ed è rivolta verso l’esterno: le armi principali serviranno ad allargare legger mente il passaggio per facilitarne l’uscita. La camera che ha scavato è larga circa trenta metri di diametro e alta sei. La luce della torcia non ne illumina che una piccola parte. L’impulso ad altissima energia che ha disintegrato la roccia, l’ha anche vetrificata e cristallizzata. Non c’è da meravigliarsi se questa gente ha pensato che que sto fosse un luogo magico: ogni anfratto brilla lucido come ossidiana. Jirou si avvicina al vascello con reverenza religiosa. Arrivato a un passo dallo scafo, posa la torcia, batte le mani due volte, si inchina, sempre due volte, e batte le mani una volta sola. Le miko lottano per non fare altret tanto: sanno di cosa si tratta, ma ciò nonostante, questo luogo e questo oggetto alieno devono inspirare in loro lo stesso sentimento che, normal mente, acquietano con questo rito. Mi avvicino allo scafo. La batteria ausiliaria, che serve ad alimentare i computer essenziali della navicella, è carica. Si trova poco sotto la mia ultima costola sinistra, ha forma cilindrica ed è lunga poco meno di dieci centimetri. Più o meno, ha la dimensione di un dito. Lo scompartimento dove va inserita è dove l’ho visto prima che la navicella fosse mandata qui, a circa metà altezza della parete destra. Mi scopro il fianco tirando su il kimono. Attivo la sonda con il laser chi rurgico che esce dal mio collo. Jirou grida, e balzando indietro, incespica e cade; mi sono dimenticato di avvisarlo. –Oh, scusa, non volevo spaventarti… – gli sorrido. Mi giro in modo che le miko e Jirou non vedano il mio fianco, e incido la pelle dietro alla quale si trova la batteria. Questa esce facilmente dalla camera costruita apposta per contenerla. Richiudo l’incisione, sistemo il kimono e ritiro il laser. Basta avvicinare la batteria alla piccola nicchia, che i circuiti circostanti si attivano automaticamente. La batteria viene caricata all’interno e lo sportello della nicchia si chiude, facendola svanire. 57 Un quadrato evidenziato da un filo di luce pulsa di fronte a me. Il com puter mi chiede con una voce femminile dal tono neutro: –Identificazione.– –Ryan Sullivan.– Dalla parte superiore del quadrato scende una lama di luce che scan siona il mio corpo. –Ryan Sullivan, identificazione verificata. Accesso autorizzato.– La voce del computer ha fatto trasalire gli altri, ma ormai non ho più intenzione di avvertirli di volta in volta. Il quadrato sottolineato dal filo di luce scivola via rientrando a destra nella parete, rivelando l’interno, illuminato fiocamente dalle luci di emer genza. Per entrare, devo scostare le tre corde consacrate che passano attorno allo scafo. Per me sono passati pochi giorni, ma per questa nave sono passati secoli; non so neanche quanti. Con un passo, salgo dentro, do un colpetto alla parete e saluto: –Ciao, vecchia mia…– Il carro dei cieli (K) Rai’ansama sale sullo “scafo”. Mi aspettavo qualcosa di simile a una “barca”, ma questa cosa sembra più un “carro”. Ero pronta a qualche stranezza, ma quella voce uscita dall’aria mi ha dato i brividi. Accanto a me, Midori trema come una foglia. Il ragazzotto, invece, trema anche lui come una foglia, ma sdraiato ai miei piedi. Rai’ansama si gira e mi sorride. –Su, salite.– –Eh?– –State tranquilli, non andiamo da nessuna parte, devo solo consultare gli strumenti.– –Credo che… preferirei stare qui…– non so perché mi escono queste parole. –Veramente… ho bisogno del vostro aiuto per consultare le mappe.– Ho come la sensazione che non sia del tutto vero, ma il suo sorriso ha il potere di muovere i miei piedi contro la mia volontà. Sentendomi muovere, si scuote anche Midori. –Jirousan, anche tu.– Ma Jirou è paralizzato. Sto per girarmi, ma Midori si china e lo prende per un braccio dicendogli: –Su su, grande, grosso e fifone!– –Eh… ma…– balbetta il ragazzo, ma punto sul vivo si mette in piedi e si lascia spingere. 58 Ridacchio; per una volta la lingua affilata di Midori ci torna utile. Dentro, sulla sinistra c’è un corridoio che scende subito nell’oscurità e sulla destra si allarga in una stanzetta con sei … troni … sedie come quelle cinesi, con un supporto per appoggiare la schiena, due di fronte, due a destra e due a sinistra; davanti a ogni trono c’è un tavolo inclinato, e su ognuno di essi, migliaia di disegni variopinti e luminosi come quelli che Rai’ansama sa disegnare nell’aria. È un festa di allegri e morbidi colori e luci, che mi accarezza mentre vado verso di lui. Rai’ansama si siede sul trono rivolto verso la punta, a destra, e dice qualcosa che non capisco. La parete di fronte si illumina e compare la mappa dello Yamato! Ma non avevo mai visto una mappa così dettagliata. –Purtroppo…– si gira Rai’ansama facendo cenno di avvicinarmi – … non abbiamo dati precisi. Questa mappa è ricostruita sulle informazioni che siamo riusciti a raccogliere, e su come questa terra diventerà, non su come è ora.– –Ah…– –Per questo ho bisogno della tua esperienza per decidere dove andare, e come andarci. Ad esempio, non sappiamo se in una certa zona c’è una foresta troppo densa, o una palude che è meglio evitare… o se una zona è disabitata.– –… perché quando avete disegnato questa mappa, le cose sono diverse da come sono ora…– concludo. –Esatto. Ad esempio, noi non sapevamo nulla del villaggio di Ama gane.– –Ma era nella mappa che mi hai mostrato stamattina…– –Sono in grado di fare una mappa molto precisa del territorio che mi circonda, ma solo per circa un miglio. E richiede tempo.– –Oh… capisco…– –Ora la nave sta chiamando le parti che abbiamo mandato qui. Ci vorrà ancora un po’ prima che rispondano tutte. Ecco, vedi? Come rispondono, sulla mappa compare un puntino rosso.– –Ohh…– è appena apparso un puntino che sembra essere dalle parti di Nara, e uno proprio là dove la mappa dice che si trova Hei’an. E poi, uno più in basso, sembra Sakurai… Midori e Jirou, accanto a me, guardano immobili la mappa, respirando appena, come se stessero contemplando l’apparizione del Budda Kanon. Credo di avere la stessa espressione. La voce di donna continua a dire cose misteriose ogni volta che com pare un punto rosso; ma fra le cose che dice, riconosco i nomi dei luoghi. 59 –Rai’ansama, chi è che parla?– –È la macchina per contare.– –Eh?– –È una macchina che conta. Una specie di pallottoliere, ma molto, molto veloce.– –E… sa parlare?– –Sì. Vedi, quei puntini rossi, in realtà, sono un numero. O meglio, la macchina conta la distanza fra noi e quel punto, e così lo può disegnare.– –Ah, la macchina sa anche disegnare?– –Sì; perché non solo i puntini rossi; tutto quello che vedi è un numero. Per esempio, lì dove c’è il mare, dove c’è il colore blu, la macchina conta mille. Dove c’è verde conta duemila. Dove c’è un po’ blu e un po’ verde, conta mille e cinquecento. Ogni piccolo puntino è un numero.– –E… le parole?– –La macchina conta anche quelle, come fossero numeri. Ad esempio, Rai è mille, e An è duemila, e così Rai’an diventa dieci milioni e duemila.– –È un numero molto grande… se una piccola parola diventa un numero così grande, un libro…– –Eh sì, diventa un numero davvero molto, molto grande. Ma come ti ho detto, questo pallottoliere è molto, molto veloce, e può contare, sommare e sottrarre numeri immensi molto in fretta. E pensa che, in realtà, la mac china per contare che sta parlando adesso è molto semplice. Assieme allo scafo, abbiamo potuto inviare solo la macchina più semplice che potesse svolgere questo compito. La vera macchina per contare è finita qui.– Rai’ansama indica un puntino che brilla poco a nord di Sakurai. –Questa è la prima cosa che dobbiamo andare a prendere: la macchina per i calcoli principale e la sua memoria.– –Memoria? I pallottolieri hanno dei ricordi?– Rai’ansama ride. –Già, non l’avevo mai pensata così. Ma in effetti, le macchine per il calcolo hanno bisogno di ricordare i calcoli che hanno già finito, per poterli usare nuovamente in altri calcoli.– La mappa si rimpicciolisce, come se si stesse allontanando; nel vedere quel movimento improvviso perdo l’equilibrio. Un nuovo puntino appare così lontano che se la mappa non si fosse rimpicciolita, non si sarebbe visto. –Dov’è quello?– Rai’ansama pronuncia delle parole nella lingua sconosciuta, ed accanto ai luoghi apparsi compare il loro nome. Il nuovo punto è a Ise! –Sarà difficile arrivarci…– commento. 60 –Già. Chissà come è finito lì.– –Che cos’è?– –Uno dei … – credo che Rai’ansama cerchi di trovare le parole –… pozzi di forza…– –Eh?– –Per muovere le cose c’è bisogno di forza. Per muovere un carro, si usa la forza del cavallo. Per tirare un sasso devi usare la forza nel tuo braccio; come per tendere un arco. Noi abbiamo trovato un modo di prendere la forza da… uhm… è un po’ difficile spiegarlo… è come prendere l’acqua dalla terra scavando un pozzo. L’acqua è già lì sotto, ma devi scavare un buco e poi usare un secchio per tirarla su. Allo stesso modo, la forza è tutt’intorno a noi, ma c’è bisogno di… scavare un buco… e tirarla su.– –Ah…– credo di capire, e allo stesso tempo so che non ho capito. Le parole della macchina per contare sono accompagnate da un suono che mai avevo udito prima. Rai’ansama annuncia: –Finito. Abbiamo la posizione di tutte le parti che ci servono. Un paio sono in posti un po’ scomodi da raggiungere, ma poteva andarci peggio. Almeno, nessuna ha lasciato queste isole. Prima di tutto, ci serve la macchina per i calcoli a Sakurai.– Con altri gesti della mano, Rai’ansama inquadra la regione di Nara. La mappa si fa più grande, ma non riconosco più i segni. –Puoi portarci qui?– si gira a chiedermi. –Non capisco bene dove sia…– –È normale; quel posto deve essere molto diverso da come si vede su questa mappa. Ma è un posto che si dovrebbe addirittura vedere se sali su un tetto di una casa qualsiasi a Sakurai, quindi basta che ci porti lì.– –Per quello, non c’è problema. Conosco bene la strada.– –Bene.– Rai’ansama si gira di nuovo verso la mappa; qualcosa sembra attirare la sua attenzione. –Aspetta un attimo… non posso crederci…– La mappa si fa ancora più grande; ora si vede solo un gruppo di cespu gli, vicino a quella che sembra una pozza azzurra, in mezzo a righe che parrebbero i segni di un aratro. Quella forma, quella pozza… mi ricordano qualcosa. Rai’ansama ha detto che è un posto che si può vedere dai tetti delle case di Sakurai… che sia… –È forse quel grande kofun poco fuori Sakurai, la tomba della Divina Yamatototohimomosohime?– chiedo. –Sì, proprio quello.– conferma. 61 Nella regione dello Yamato ci sono tantissime di queste antiche tombe in cui sono stati sepolti gli antenati di nobile stirpe. Quella di Sakurai è immensa, è una piccola montagna, e si tramanda che sia la tomba della Divina Yamatototohimomosohime. È un kamii misterioso, al punto che nessuno sa perché le sia stata dedicata una sepoltura tanto imponente. E la gente del posto la rispetta, e la teme. Jirou (R) Non ho la più pallida idea di come il nucleo della memoria centrale sia finito sotto la tomba della regina Himiko. Certo, il nucleo poteva arrivare da queste parti anche prima dell’anno zero, e la tomba è stata realizzata attorno al 250. Il nucleo ha le sembianze di un diamante grosso come un pugno, e anche se contiene dei sottili filamenti e quelle che possono sem brare fratture, non è impossibile che sia finito nel corredo funebre della regina più importante dell’era preistorica del Giappone. Se si considera poi che è praticamente indistruttibile, sarà sicuramente stato considerato un oggetto dalle proprietà magiche. Un dono degno di una regina sciamana quale fu Himiko, a ben pensarci. Ma questo mi crea due problemi. Il primo è entrare là sotto. Il secondo è evitare di dare troppe spiegazioni a Kaori e Midori; in quest’epoca, l’esistenza del regno Yamatai e di Himiko è stata completamente cancel lata dalla storia. Se ne parla nelle Cronache Cinesi; ma gli hafuribe, sacer doti appuntati dalla corte imperiale, o alle volte anche i monaci buddisti, insegnano alle miko giusto alcune parti del Nihongi; le più fortunate rie scono a leggerne alcuni frammenti. Il testo più antico, il Kojiki, sarà rele gato all’oblio ancora per almeno quattro secoli… Ad ogni modo, adesso ho un problema più pressante: Jirou. In pochi minuti ho cambiato il suo mondo. Era stato scelto come protet tore di un segreto sacro, di una rivelazione attesa per centinaia di anni; e ora quella rivelazione è giunta. Da un lato, dedicare la vita a questo com pito deve aver perso perso ogni significato. Dall’altro, la rivelazione è sicuramente qualcosa di molto diverso da quello che Jirou si aspettava. Il sole è alto nel cielo quando usciamo dalla grotta. Prima di uscire dalla nave, mi sono assicurato di raccogliere l’unico materiale che è stato inviato con essa, perché troppo delicato: il kit medico, un piccolo ospedale porta tile, molto più sofisticato degli strumenti che ho negli impianti bionici. Da fuori sembra un cilindro metallico poco più lungo e largo di un avambrac cio, che sistemo delicatamente in cima al bagaglio. E adesso, concentria moci sul problema di cui sopra. 62 –Jirousan…– chiamo. Lui mi rivolge lo sguardo ma non parla. Ha la stessa espressione stordita del momento in cui è entrato nella navicella. Jirousan… Sono davvero grato e onorato per ciò che avete fatto. Pro teggere il mikoshi ha avuto un’importanza che non potete nemmeno imma ginare.– Kaori e Midori capiscono a cosa alludo, e il loro sguardo si posa su Jirou finalmente in modo diverso. Il ragazzo le guarda a sua volta; i loro occhi pieni di sincera gratitudine hanno più effetto delle mie parole. –Oh… io ho solo… fatto quello che dovevo…– dice imbarazzato. –Jirousan… adesso ho un’ulteriore richiesta da farti, e chiederti tanto dopo tutto quello che la tua gente ha già fatto per me è davvero difficile.– –Rai’an… Rai’ansama… ti abbiamo atteso da prima che io nascessi, – e mentre lo dice si mette in ginocchio, –non c’è onore più grande per me che esaudire la tua richiesta.– Lo guardo sconcertato: –Jirousan, io…– sto per dirgli, non sono un kami, ma Kaori mi prende il braccio che ho sollevato in un gesto di rifiuto, e mi guarda con aria di rimprovero, scuotendo piano il capo. Midori non scuote il capo, ma lo sguardo è lo stesso. Capisco. Rokugane, e le miko, hanno accettato questa cosa… beh, in parte, almeno. Ma Jirou non è pronto. E per oggi, ha già avuto abbastanza sorprese. –… il nostro compito non è ancora terminato. Ci aspetta ancora un lungo viaggio. Forse ci vorrà un anno. Forse anche di più. Abbiamo biso gno di un guerriero che ci protegga lungo il cammino.– Il grande volto del ragazzo si alza, e da sotto i suoi capelli arruffati vedo i grandi occhi neri brillare vividi. –Io … voi … volete che io sia il vostro saburahi?– è il suono antico della parola samurai. –Chi meglio di te, che eri pronto a dedicare la vita a questo santuario?– –Ma io… sono solo un figlio di contadini… non sono … non sono degno di questo onore…– Mi chino in ginocchio fino a che i miei occhi sono alla stessa altezza dei suoi; gli poso una mano sulla spalla e gli chiedo: –La sai usare quella spada?– e indico la spada che giace fra le foglie dove è stata lasciata prima. –Sì.– risponde con lo sguardo fermo. –Sei pronto a scommetterci molto più della tua vita?– –Sì.– dice con voce d’acciaio. Gli sorrido: –E allora, sii il mio saburahi.– 63 Col volto colmo di uno strano miscuglio di modestia e orgoglio, Jirou stende la gamba destra dietro, e si china sulla sinistra piegata in ginocchio, appoggiando le mani a terra ed abbassando lo sguardo. Un solo colpo di voce è il suo perfetto giuramento da samurai: –Ho!– Kusamoto (M) Ma quant’è grosso questo Jirou? Ha delle spalle che non finiscono mai. Per non parlare delle mani. E delle gambe. Oh, beh di tutto. Ora camminiamo così: Jirou e Kaori davanti, io al centro e Rai’an die tro. Jirou voleva assolutamente portare il bagaglio, ma Rai’an ha detto di no. Per tre motivi ha detto… qualsiasi cosa dica, Rai’an conta. Tutto quel discorso che ha fatto prima a Kaori sulle macchine che contano mi ha fatto venire mal di testa; io è già tanto se conto fino a cento. E a dieci già mi annoio. Mah, insomma, i tre motivi: primo, Jirou deve avere le mani libere per usare la spada, se serve. Secondo, fa parte del travestimento, dobbiamo muoverci con discrezione. Terzo, Jirou ha provato a sollevare il pacco e non c’è riuscito… Rai’an può fare cose che noi semplicemente non pos siamo. Però mi sono stancata di camminare in mezzo. Mi sembra di essere io quella che deve essere protetta, mentre dovrei essere io a proteggere Rai’an. Lo straniero. Già da un po’, quando ragiono così a ruota libera, non lo chiamo più così. Eppure è uno straniero. E neanche poco… vabbeh. Ci stiamo dirigendo a Kusamoto, un piccolo villaggio alle pendici del monte Wakakusa, da cui viene il nostro Jirou. Rai’an ha detto che ora che la “nave è attiva”, qualsiasi cosa voglia dire, è meglio che non si avvicini più nessuno finché non avremo finito; dobbiamo farlo sapere alla gente di questi villaggi. La strada è ripida, ma stiamo tenendo un passo abbastanza lento; e la medicina che mi ha dato Rai’an stamattina sembra aiutarmi ancora, sto camminando senza fare nessuna fatica. Jirou dice che saremo a Kusamoto per metà pomeriggio. Bene, perché abbiamo saltato il pranzo e comincio a sentire la pancia che reclama… –Kaorisan…– chiama da dietro Rai’an. Questo suo vizio di chiamare chiunque con san comincia a darmi un po’ sui nervi… quando lo fa con me, mi fa sentire terribilmente vecchia. –Sì, Rai’ansama?– si volta Kaori, senza fermarsi. 64 –Ho pensato che è meglio non fermarci a Kusamoto per la notte. Credo che la notizia che stiamo portando accenderà abbastanza gli animi e la curiosità, e voglio evitare processioni di gente che arriva da altri villaggi. Voglio tenere la mia posizione il più possibile riservata.– –Sì, giusto…– risponde Kaori, –… ma non credo che potremo trovare altro alloggio prima di notte.– –Pensi che sia un problema accamparci?– Sì, sì che è un problema, non voglio dormire in mezzo a un bosco! –No… conosco una radura abbastanza appartata proprio un po’ più in alto sul Wakakusa. Per stanotte possiamo fermarci lì.– Oh no… lo sapevo che prima o poi doveva succedere! Ma era meglio poi! Di fronte a questo dramma non riesco a dire niente di spiritoso, e così me ne sto zitta. Il piccolo villaggio, giusto una dozzina di casette, appare all’improvviso dietro una curva, incuneato in una valle stretta come il filo di una spada. Il sole deve essere ancora alto, ma, nella valle, l’ombra incombe umida. –Jirou!?– una vecchia seduta su una panca e intenta a cucire dei panni lo riconosce. E lo vede seguito da due miko e da un contadino sconosciuto. –Jirou! Ma che succede? Che ci fai qui?– –Ho una notizia per Gosaburou.– –Oh…– la faccia della vecchia racconta che ha già capito che è successo qualcosa di grosso. Gosaburou è un uomo di mezza età, magro magro, col volto bruciato dal sole, che sta rientrando in casa portandosi sulla spalla una pesante zappa. Zoppica vistosamente. –Gosaburou!– –Jirou!? Che stai facendo qui? Chi sono questi?– Senti, zio, “questi” non me l’aveva ancora detto nessuno… –Entriamo un momento, devo dirti una cosa.– –Oh… sì… prego, prego… – il tono secco di Jirou pare convincere lo zio a cambiare registro. È un ragazzo col quale nessuno vorrebbe avere da discutere. Gosaburou spalanca il pannello, molla giù sandali e zappa e sale sul tatami, trascinandosi dietro la gamba zoppa, e chiamando: –Moglie!– La moglie spunta fuori da dietro una tenda, con aria sorpresa. Nel frat tempo, un bimbetto corre in casa e resta in piedi nell’ingresso, a guardarci fisso. –Moglie, c’è gente!– 65 –Oh… prego, salite, nobili miko…– Il focolare al centro del tatami non è ancora acceso, e la stanza è fredda e umida proprio come fuori. –Goro, saluta le miko!– dice la mamma al bimbetto. –Kon’chi wa, mikosan!– –Konnichi wa, Goro!– risponde sorridendo Kaori. Io saluto scuotendo la manina. Appena Jirou salta su mi levo gli zouri e salgo anche io; Kaori mi segue, e anche Rai’an, dopo aver posato il bagaglio all’ingresso. Goro ci zompetta dietro e va a nascondersi dalla mamma. –Allora, Jirou, che succede?– chiede Gosaburou sedendosi vicino al focolare. Incrocia la gamba buona e lascia quella zoppa stesa lunga. Ma Jirou non si siede. –Rai’ansama…– chiama, e si inchina. Rai’an si sfila finalmente il kasa. Mi copro la bocca con una manica per non mostrare il sorriso nel vedere Gosaburou e la moglie schizzare indietro per la sorpresa. –Rai’ansama è venuto a reclamare il mikoshi.– dice Jirou. Bello diretto, il ragazzotto. Gosaburo si lascia uscire un grosso –Eh?!?– –Rai’ansama è il kamii del mikoshi, ed è venuto a prenderlo.– ripete cambiando le parole. Stavolta Gosaburou non fiata; il suo sguardo si muove incredulo lento su Rai’an. Dopo aver preso un gran respiro, Rai’an fa un breve inchino. –Sono venuto a esprimervi la mia gratitudine. La cura che avete avuto nel proteggere la mia nave… il mikoshi, mi ha commosso. Quello che avete fatto è molto importante. La mia gente ve ne sarà per sempre grata.– –Eh…– Gosaburou scambia uno sguardo nervoso con la moglie … ma… tu chi sei?– Mi giro e sghignazzo sotto la manica. Passi tutta la vita ad adorare un kamii e non lo riconosci quando lo vedi! Rai’an sospira. Si siede sul tatami e solleva le mani con i palmi rivolti a Gosaburou; riconosco questa posizione, è la stessa di quando ci ha fatto vedere le pietre sospese al di là delle notti di Fumizuki. –Adesso vi mostrerò cosa è successo questa mattina. Non abbiate timore.– 66 E detto questo, nelle sue mani si aprono quelle fessure da cui escono le stesse lame di luce che ho già visto, e davanti a lui si stende quel manto oscuro, dove si rivede quello che è già successo. Papà e mamma schizzano indietro lasciandosi uscire un grido spaven tato, ma Goro resta fermo con gli occhi spalancati. Rivedo il cammino lungo la grotta, e in fondo la grande stanza lucci cante… solo che non rivedo quello che ho visto io; arrivato davanti al carro, tutto gira e ci siamo noi tre, Kaori, Jirou, in terra che trema, e quella graziosa miko devo essere io! Ma allora, sto vedendo tutto quello che è successo con gli occhi di Rai’an! Mi esce un –Ohhhh– di sorpresa. Rivedo Rai’an tirare fuori dalle sue costole quella specie di candela, e metterla sul fianco del carro, che si illumina; risento le sue parole e la voce che esce da chissà dove, la lama di luce che scende dall’alto e la porta che si apre. Una mano che scosta le corde sacre, è quella di Rai’an, e poi l’interno del carro, con tutte quelle luci, e i sei troni… Rai’an abbassa le mani, e la visione scompare. Papà, mamma e bimbo sono immobili. Rai’an sembra cercare le parole, ma ci mette davvero tanto a trovarle. –Vi sono molto grato per aver protetto la mia nave. Senza di essa… beh, ci sarebbero state conseguenze molto gravi per tutti. Tutti quanti…– e fa un inchino; è appena un cenno, ma è molto lento. –E… adesso…– balbetta qualcosa Gosaburou, –e adesso che facciamo?– –Se posso fare qualcosa per voi…– –Qualcosa? Io, mio padre, mio nonno, e il nonno del mio nonno abbiamo portato doni e preghiere al tuo mikoshi per tutta la vita, e mi chiedi se puoi fare qualcosa!?– –Gosaburou!– grida Jirou, la sua mano già corre alla spada. Il capo vil laggio trema come una foglia e trascina via la sua gamba zoppa, ma Rai’an alza la mano per fermare il suo saburahi. –Gosaburousan, fammi vedere un attimo quella gamba.– Ricompensa (K) Non si comporta come un kamii, non si comporta per niente come un kamii! Devo fare un discorso anche a Rai’ansama. Ho capito che dice di non essere un kamii, ma potrebbe almeno provare a non essere così… così… modesto. Che figura ci facciamo? 67 E Midori continua a tirarsi la manica sulla bocca per far vedere meglio quanto sghignazza. Oh, Tougasama, dammi la forza di stare calma. Rai’ansama punta le luci che gli escono dal collo sul ginocchio di Gosaburou. La prima volta che ho visto quelle “macchine”, come le chiama, uscirgli dal collo e dalle braccia quasi grido, ma ora non mi fanno nessun effetto. Quasi. Beh insomma. Sono un po’ brutte. Ma sapendo che servono per guarire… Fra le sue mani, si vede un disegno della gamba, e dell’osso dentro. Comincio a capire come funziona la cosa; con le sue macchine, Rai’an sama riesce a vedere dentro i corpi senza aprirli. L’osso del ginocchio è gonfio e saldato male, lo capisco persino io. In tutto, a Rai’ansama basta il tempo di un kagura per guarirlo. Le macchine di Rai’ansama rientrano nel suo corpo, e le luci fra le sue mani scompaiono. –Prova a muovere la gamba.– dice a Gosaburou. Lui piega il ginocchio, piano piano, e la gamba docile si alza. Con l’aria di chi crede di stare dormendo e di sognare, si tocca la gamba, e prova a tirarla su ancora un po’. No, non è un sogno. A bocca aperta, guarda Rai’ansama, con gli occhi lucidi. Lui gli resti tuisce quel sorriso… oh… mi costringo a guardare Midori. Finalmente ha smesso di sghignazzare, sorride e basta. –Padre… la tua gamba è guarita!– grida Goro. Gosaburou non sa se ridere o piangere e nell’indecisione fa entrambe le cose. –Gosaburousan, adesso però dovrai fare attenzione: l’osso è guarito, ma la tua gamba ancora non sa camminare bene. Dovrai camminare piano per qualche giorno, perché se fai dei movimenti nuovi, potresti farti male.– –Sì, sì, grazie kamii … del mikoshi…– –Il suo nome è Rai’ansama!– tuona Jirou. –Grazie, Rai’ansama!– –Però, – continua Rai’ansama, –io ho un debito non solo verso di te, ma con tutta la tua gente. Dimmi, quanti sono i villaggi che hanno fatto la guardia alla nave?– –Dodici villaggi e qualche altra famiglia.– –Sai quante persone sono in tutto?– –Oh… vediamo… qui noi siamo …– Gosaburou conta nell’aria, – ses santasette. Mah in totale saremo poco più di mille.– –E… quanti bambini ci sono, sai dirmelo?– –Oh… saranno due o trecento. O forse qualcosa di più.– 68 –Va bene. Ora, non posso aiutarvi tutti, ma per il momento, quello che posso fare è questo.– Rai’ansama si alza e va a prendere dal bagaglio il rotolo di metallo che ha portato via dalla nave. Lo tocca, e questo si riempie di un mosaico di colori splendenti, come quelli che abbiamo visto stamane. Il tubo si apre in due metà, e l’aria si riempie di luci e disegni. Rai’ansama tocca i disegni nell’aria, le sue dita danzano come dieci oonusa, e ogni tocco è accompa gnato da un suono melodioso, che mi ipnotizza come fino ad ora solo la danza di Midori aveva saputo fare. Dopo un po’, tira fuori dal cilindro un cilindro più piccolo… come un dito… ho visto una volta una bottiglia di essenza profumata che veniva dalla Cina, vetro, lo chiamano; l’ho osservato su quella bancarella per un’ora; ma non era così trasparente. E il liquido dentro brilla come fosse una candela. –Goro, vieni qui.– chiama Rai’ansama. Il bimbo si avvicina un po’ titubante. –Gosaburousan, guarda bene. Vedi questa parte, dove c’è il tappo di metallo?– –Sì.– –Ecco bisogna avvicinarla al polso, così.– Rai’ansama prende la manina di Goro e la gira delicatamente. Poi tocca appena la pelle del dorso del suo braccio; “sht”, si sente un sibilo rapido, e Goro spalanca la bocca, ma quando Rai’ansama lo lascia andare, sul suo braccio non c’è nessun segno. –Questa è una medicina che aiuterà i bambini a non ammalarsi. Non può curare tutti i mali, ma impedirà che prendano le malattie più pericolose. Portalo in tutti i villaggi e fai la stessa cosa a tutti i bambini; la medicina basterà.– Porge la medicina a Gosaburou. Lui la raccoglie con ambo le mani. –Ora, però, ho bisogno di un altro favore.– –Dimmi…– riesce appena a dire Gosaburou. –Ora che ho … reclamato il mikoshi … è meglio che nessuno si avvi cini. La nave… il mikoshi… può fare del male a chi tenta di avvicinarsi senza permesso. Dovrai dirlo agli altri capi villaggio.– –Oh… sì…– –Noi dobbiamo andare… a trovare delle cose che ci servono; di tanto in tanto, torneremo da queste parti. Cercherò di aiutarvi ogni volta che potrò. Ma nel frattempo, ho bisogno che non facciate avvicinare nessuno al miko shi, e che manteniate il segreto come avete fatto fino ad oggi.– 69 Gosaburou siede incrociando la gamba che gli funzionava anche prima, e tenendo lunga l’altra. Si inchina più che può e dice: –Farò come desideri, Rai’ansama. Gli altri capi mi crederanno, vedendo la mia gamba guarita e la tua medicina, e faremo quello che ci chiedi…– –Quasi dimenticavo; ho anche già conosciuto Nonosukesan, sarete in due a parlare di me.– –Oh, sei stato ad Amagane! Sua moglie…– Rai’ansama sorride. –Ora sta bene.– La mamma parla per la prima volta: –Oh, grazie, che bella notizia! Ero tanto in pena, poverina…– –Moglie!– la sgrida secco Gosaburou per aver parlato senza che le fosse stato chiesto, ma Rai’ansama ride di cuore. Oh, no, è peggio del suo sor riso! Non riesco neanche a distogliere lo sguardo. –Va tutto bene, Gosaburousan, non devi preoccuparti per queste cose.– Rai’ansama prende un respiro dopo aver riso e ricomincia a parlare. –Devo chiedervi di un ultimo favore: Jirou verrà con me.– Gosaburou spalanca gli occhi. –Uno del nostro villaggio ti accompa gnerà? Che onore! Che grande onore che ci fai!– Rai’ansama si alza: –Bene, adesso dobbiamo andare. Fai come ti ho detto; è più importante di quanto tu possa immaginare.– –Sì… lo farò. Quando tornerai?– –Ancora non lo so. Entro la prossima luna, credo; ma potrei fermarmi in un altro villaggio.– –Sarai sempre il benvenuto! Grazie! Grazie…– e va avanti a ringraziare e a inchinarsi finché non scompariamo oltre la curva lungo la strada. Addiaccio (R) Un vaccino. Che idea idiota che ho avuto. Non so darmi pace; cerco di valutare le conseguenze sullo sviluppo genetico di questa gente, gli effetti a lungo termine sulla struttura del loro sistema immunitario, gli effetti sulla resistenza delle malattie alle cure successive… e sulle conseguenze che tutto questo avrà sulla storia come la conosco. Forse nessuna. I sistemi complessi sono isterici: può darsi che l’effetto sarà diluito fino a diventare insignificante. Ma può anche darsi che questo inneschi una reazione fuori controllo e destabilizzi il sistema. Ma non sapevo che altro fare. Quella gente si meritava una grande ricompensa; e ricompensa a parte, avrò ancora bisogno di loro. Non potevo permettere che si diffondesse un senti mento di delusione e rabbia come quello che ha mostrato Gosaburou. 70 Ma sono preoccupato lo stesso; razionalizzare su questo errore non serve. Mi chiedo se sono la persona adatta a per questa missione. Me lo sono chiesto da quando sono stato scelto. Già l’idea di scegliere un bioantropo logo mi lasciava perplesso; certo, da un lato lo studio delle culture antiche e dall’altro la conoscenza delle tecniche mediche di base sembrano perfette per questa missione, e la mia specializzazione di ricerca sulla storia del Giappone ha fatto il resto… ma ora che sono sul campo, vedo confermati i miei dubbi; forse, un militare sarebbe stato più adatto. Ma anche se non credo di essere tagliato per questo lavoro, non l’ho mai creduto, la respon sabilità che ho è troppo grande. Devo arrivare fino in fondo, non importa quanti errori combinerò. Cerchiamo solo di stare un po’ più attenti… Ecco la radura di cui ci ha parlato Kaori. È assai piccola, ma è pianeg giante e c’è un bel tappeto di aghi di pino, è lontana dalla strada ma non troppo, protetta dal vento ma non opprimente. Il sole si sta abbassando; non appena sbuchiamo dagli alberi, i suoi raggi ci accarezzano assieme ad una brezza tiepida e profumata che sale da valle. –Arrivati!– annuncia felice Kaori. Cominciamo a prepararci per la sera. Le provviste che ci ha dato Nono suke sono riso, latte, uova e carne salata; decidiamo di cucinare tutto subito; ci basterà per stasera e domattina. Mentre Kaori organizza il campo, io raccolgo un po’ di sterpi e rami secchi per il fuoco. Un albero caduto poco distante fornisce anche qualche ciocco più grosso per la notte; usando il laser chirurgico rimodulato, tagliarlo è uno scherzo. Midori e Jirou “montano il campo”. Non abbiamo tende, e a questo dovremo prov vedere prima o poi, ma stendono un po’ di stuoie e le fermano con dei grossi sassi, cercando anche di pulire il terreno intorno per evitare che ci assalgano troppi insetti, e che il fuoco vada fuori controllo. Finiti i preparativi, il sole ci regala ancora quasi un’ora di luce. Secondo i miei monitor, mancano trentacinque minuti al tramonto, e siamo esposti a sudovest; avremo anche altri venti minuti di crepuscolo. –Siccome è presto, che ne dite di un bagno?– chiede Kaori con un mezzo sorriso. –Eeeh… non farmici pensare, ne ho una voglia…– risponde Midori. –Guarda che non scherzo mica. A meno di cento passi c’è una sorgente calda che sgorga fra le rocce.– –Oh, Kaorisan, ti adoro!– esclama estasiata la miko più giovane. Il mezzo sorriso di Kaori si tinge di una nota di autosoddisfazione. 71 –Andiamo prima noi!– scatta Midori, e aggiunge: –Fate buona guardia, eh!– –Tranquilla, Midorisan, il tuo oonusa è in buone mani.– scherzo. Jirou osserva il dialogo incredulo. –Rai’ansama… perché permetti loro di rivolgersi a te con siffatto tono?– Per essere un “figlio di contadini”, come si definisce, conosce delle parole molto cortesi. Nel senso che fanno parte di un registro linguistico usato solo a corte. Anche durante il periodo Hei’an, era possibile che qual che bambino scelto dai villaggi fosse inviato in un tempio buddista per ricevere una minima istruzione, Jirou deve essere uno di loro. –Jirousan… siediti. Credo che sia giusto che tu sappia tutto di questa storia. Dall’inizio.– Un bagno insperato (M) Kaori è una donna piena di risorse. Un bagno caldo qui nel mezzo di un bosco! Non ci avrei mai sperato. La osservo mentre si spoglia. È ancora giovane, e sembra anche più gio vane di quanto non sia in realtà; la sua pelle è ancora liscia e i suoi linea menti sono morbidi; ma non è particolarmente bella. Ha gli occhi profondi ma un po’ troppo grandi, la bocca sottile ma un po’ troppo sporgente, il naso un po’ troppo lungo, le gote un po’ troppo tonde per essere davvero bella. E le sue gambe sono un po’ corte e grosse, sarà tutto quel cammi nare… e il sedere è un po’ troppo piatto. Però, ha due seni piccoli e ben tondi, e i suoi fianchi sono morbidi e sinuosi come quelli di un’amante per fetta. Insomma, ha qualcosa bello e qualcosa no. –…Che hai da guardare?– –Eh… oh, no, nulla…– mi affretto a spogliarmi. L’acqua sgorga da una cascatella alta poco più delle nostre teste, e forma una piccola polla che arriva appena sopra alle ginocchia. È appena tiepida, ma con l’aria non troppo fredda degli ultimi raggi del tramonto di primavera, è molto piacevole. Mi tuffo per prima sotto l’acqua; mi colpisce la testa con forza, ma non fa male. Provo a gustare questa sensazione lasciando che mi cada sulle spalle – un dolce ma energico massaggio che mi fa stare subito bene – e poi mi sposto e lascio che mi cada sui seni – mi sale un’ombra di sorriso sulle labbra – e poi mi sporgo all’indietro per lasciare che l’acqua mi massaggi la pancia e scivoli giù, accarezzandomi le gambe. 72 Kaori prova ad avvicinarsi, ma non glielo permetterò! Raccolgo l’acqua dalla polla con ambo le mani e la schizzo tutta! –Ma dai, smettila!– grida mentre il nuovo turgore della sua pelle mi mostra il brivido che le passa dentro, ma rido troppo per fermarmi. –Ah è così, eh?– mi guarda con quel suo sorriso di sbieco che mi fa capire che ho già perso; con lo scatto di una gatta raccoglie l’acqua alla fine della polla, dove è più fredda, e me la fa arrivare dritta dritta sulla schiena. Mi esce un grido soffocato, mentre assaggio lo stesso turgore e lo stesso brivido. –Tregua, tregua!– scongiuro. Lei mi guarda sospettosa. –Dici davvero?– mi chiede. –Sì, sì!– faccio con la testa e con le labbra. Ma il mio braccio si abbassa… dai, vieni un po’ più vicina… e … schaf! Eccoti servita! … oh no, aveva capito tutto, non l’ho presa neanche con una goc ciaaaaaaaaaahhhh! Lei invece mi gela! –Mi arrendo, hai vintoooooo!– –Ehehe, io facevo gare di schizzi che tu ancora non eri nata!– –Ah, ecco perché sei così brava, ziett…aaaaaaaaahhhhrgh, no, scusa, non volevo, non volevooooo!– Per farmi perdonare, mi lascio lavare i capelli e la schiena. Con le sue dita sapienti scioglie i nodi senza che quasi me ne accorga; poi mi acca rezza con un panno appena bagnato la pelle. Quando passa dietro al collo mi massaggia delicatamente le ossa, e sento la pelle del mio viso, fino agli occhi, fino alle tempie, rilassarsi e rigenerarsi. –Kaorisan, hai un tocco magico.– Si avvicina al mio orecchio e mi dice piano: –Impara in fretta, perché dopo tocca a me.– –Farò del mio meglio…– Ci scambiamo di posto. Le altre miko dicono che i miei capelli sono sot tili e lucenti come fili di seta nera, ma i capelli di Kaori sono così morbidi! Non sono brava come lei a sciogliere i nodi, ma cerco di fare piano. È un piacere accarezzare quella nuvola morbida… –Dai, può bastare…– mi sorride. –No… ancora un po’…– Cerco qualche altro nodo da sciogliere, ma con grande disappunto non ne trovo più. Però… –Oh, tu guarda!– esclamo. 73 –Che c’è?– –Un capello bianco!– –Midori, cara…– –Sì, Kaorisan?– –Stai zitta.– Taccio. Approfittiamo dell’occasione per lavare un po’ anche i nostri abiti, e torniamo all’accampamento con addosso un nagajuban asciutto, che copre tutto il necessario. Il sole sta tramontando in quel momento, alle spalle di Rai’an, in piedi, e in fronte a Jirou, seduto a gambe incrociate, con la testa bassa. I due non parlano. Se ha fatto vedere a Jirou quello che ha fatto vedere a noi, quei lampi di luce fra le stelle… insomma, noi siamo miko, ce la vediamo tutti i giorni con oni e kamii, ma Jirou… è normale che sia sconvolto. –Forza, voi due, sbrigatevi; il sole sta tramontando.– li esorta Kaori. Jirou si alza e cammina meccanicamente a testa bassa. Kaori ferma Rai’an e gli dice: –È dritto da quella parte, non potete sbagliare.– –Grazie.– risponde lui, e raggiunge Jirou. Li guardiamo sparire nel bosco. –Che ne pensi?– le chiedo. –Di cosa?– –Beh… di tutta questa storia…– –Non penso. Faccio quello che devo.– Che razza di risposta. Non so esserne affascinata o sconcertata. Ma Kaori non mi dà il tempo di rifletterci. –Dai, dammi una mano ad accendere il fuoco, avranno freddo, quando tornano.– E ci mettono poco, a tornare. Evidentemente non hanno giocato con gli schizzi. Rai’an è davanti, con un panno avvolto attorno alla vita, e gli abiti da contadino lavati, sotto al braccio. Non ho mai visto un corpo del genere; sembra come avere un’armatura di carne, ogni curva è dura e squadrata. Ma quel gigante dietro chi è? Jirou coi capelli in ordine!?! Sembra una statua di Yamato Takeru che cammina. Ma che dico? Takeru è un pro cione, in confronto. Sente il mio sguardo su di lui e si gira verso di me. Perché mi guarda così? Ahh… capisco dev’essere perché ho la bocca aperta…. oh no! Arrossisco e mi copro con la manica. –Cosa c’è?– mi chiede brusco. –Nulla…– rispondo, ma non riesco a distogliere lo sguardo. Lui grugnisce qualcosa e si siede a gambe incrociate accanto al fuoco. 74 San e sama (K) È una bella sensazione essere riuscita a sfamare tutti avendo a disposi zione solo un fuoco da campo. Soprattutto, quei due bestioni che sono Rai’ansama e Jirou. Midori mangia come un passerotto… un altro giorno di marcia e mangerà come una faina, ne sono certa. Venendomi in mente questo pensiero poco rispettoso per Rai’ansama, mi ricordo del discorso che volevo fargli questo pomeriggio. Mi sembra il momento giusto, anche perché il silenzio è pesante. –Rai’ansama… c’è una cosa di cui volevo parlarti.– –Dimmi, Kaorisan…– –Ecco… questa cosa del san…– –Eh?– –Dovresti smettere di chiamare tutti aggiungendo san. È imbarazzante.– –Non capisco… non è un modo per mostrare rispetto?– –Non so come si usi fra la tua gente… ma il fatto è che se ci chiami col san, ci alzi troppo. Tu sei un sama: se chiami con san una miko, o un con tadino, gli dai troppa importanza.– Rai’ansama sembra un po’ contrariato dalle mie parole. Risponde un po’ seccato. –Beh, non so come usate qui, ma dalle mie parti le persone sono tutte importanti.– –Oh, questo è molto bello… ma non è quello che intendevo. Forse la parola importanza non è esattamente la cosa che credi tu… ecco, se tu, che sei un sama, chiami una persona con san, gli dai un peso, una fatica da sopportare. Ora quella persona deve cercare di salire… deve cercare di venire incontro alle tue aspettative. Deve cercare di essere almeno un po’ come te, e questa è una fatica, è un impegno; oppure deve cercare di abbas sarsi, per rimettere a posto quella distanza che è necessaria. Vero, Jirou?– –Eh…?– il ragazzo sembra svegliarsi in quel momento. –Oh… ecco… io…– –Dimmi, Jirou, – lo esorto io, –cosa penseresti se ti chiamassi Jirou san?– –Nobile miko… ecco… io dovrei cercare di … trovare il modo … tro vare le parole … per restituirti la tua nobiltà…– –Ecco, vedi? Se io lo chiamo Jirou, lui può chiamarmi Kaorisan, e que sto basta. Ma se io lo chiamo Jirousan, lui come può chiamarmi? Lo metto in difficoltà, vero Jirou?– –In effetti… non osavo dirlo a Rai’ansama, ma… se ora mi è concesso…– 75 –Rai’ansama, pensa a come si è sentito Gosaburou. Cosa avrebbe dovuto fare per mostrarti il dovuto rispetto, dopo che l’hai chiamato san? Bucare il tatami e infilare la testa sotto la terra?– Lo sguardo che mi rivolge Rai’ansama è ostile. Non ha forse detto che è uno studioso delle abitudini delle genti? Allora dovrebbe capire una cosa semplice come questa. Ma ancora c’è molto dubbio nei suoi occhi. –Beh, tutto questo si potrebbe sistemare se la smetteste di chiamarmi col sama.– Sto per rispondere, ma Midori mi anticipa: –Ma tu sei un kamii, non possiamo non chiamarti col sama.– –Midorisan, io non sono un kamii!– risponde gelandola. Sospiro e cerco di spiegargli. –Rai’ansama… tu sei un uomo… un umano, lo abbiamo capito bene. Ma questo non significa che tu non sia un kamii. L’essere kamii non c’entra niente con l’essere spirito, o con l’essere divino. Il Budda Amida è divino. La divina Amaterasu è divina. Essi sono anche kamii…– Rai’ansama fa fatica, ma sembra seguirmi. Continuo: –L’Imperatore è un uomo, eppure è divino, ed è anche un kamii. La tua nave, il mikoshi, è una cosa, e non è divina, ma anch’essa è un kamii. Questa montagna, essa è un kamii.– Ora non mi segue più. Cerchiamo di farla più facile. –Kamii è lo spirito del fare e del divenire. È l’essere in movimento. È quella parte dell’essere che può agire così da creare dei cambiamenti.– Rai’ansama si piega indietro, sorpreso. Uhm… proviamo con un esem pio. –Vi è un kamii in un albero, poiché esso cresce sulla terra e la scava con le sue radici, la copre con le sue foglie, e le fa ombra coi suoi rami. È il suo kamii che permette questo, ed è questo che costituisce il suo kamii…– Rai’ansama annuisce. E mi sembra che sia un ottimo ripasso anche per Midori. Proseguo. –Vi è un kamii in una roccia, perché quella roccia non è sempre stata così e non sarà sempre così. Può essere scesa lungo un fiume con la piena, può essere stata sputata fuori dalla bocca di un vulcano, può essere rotolata giù da una frana, può essere stata spaccata dal freddo e dal caldo. –Vi è un kamii in una montagna, perché da essa scenderanno rocce e frane, su essa cresceranno alberi e fiori; non è una divinità, poiché essa non partecipa alla vita come gli dei, ma è un kamii potente, madre di innumere voli altri kamii.– 76 –… è… affascinante…– dice piano Rai’ansama. Dentro, sorrido soddi sfatta, ma il mio volto mantiene la solennità che hanno le mie parole. –Vi è un kamii, e molto potente, negli uomini, poiché con le loro mani posso erigere palazzi e templi, possono coltivare la terra e da essa trarre il loro nutrimento; e possono uccidere, e distruggere altri kamii. E vi è un kamii ancora più grande nelle donne, che oltre a poter fare tutto ciò, pos sono portare nel grembo una nuova vita, e con essa un nuovo kamii. –Noi veneriamo il kamii; noi veneriamo lo spirito che è esso stesso ciò che muta e ciò che conduce alla mutazione, ciò che c’è di impermanente e ciò che questa impermanenza permette, o causa. –Ma alle volte, il kamii è così grande che non si può più dire che in que sta o quella cosa vi sia un kamii. È così grande che tutta quella cosa ne è piena, ne trabocca. E allora dobbiamo dire che quella cosa è più kamii che altro. Dobbiamo dire che essa stessa è un kamii. Per questo gli esseri divini sono kamii. Per questo, alcuni uomini sono kamii. Mi capisci?– Rai’ansama annuisce. –Ciò che tu puoi fare è così grande che non possiamo semplicemente dire che tu hai un kamii; tu non puoi che essere un kamii. Se per la tua gente ciò che tu puoi fare è normale, se fra la tua gente sono cose che pos sono fare tutti, allora tutti voi siete kamii. E… se tu non ci permetti di chia marti kamii, se tu non ci permetti di riverire, di venerare ciò che in te è kamii, allora, noi che possiamo molto meno di te, noi che abbiamo un kamii così piccolo, una candela tremolante, sempre sul punto di spegnersi, in una fredda, immensa oscurità… noi cosa saremmo?– Rai’ansama mi guarda immobile. –Permettici di avere rispetto per quella candela, permettici di dare importanza alla nostra vita, alla nostra esistenza, al solco che l’aratro del nostro kamii incide nel tempo. –Se ti chiamiamo kamii, se aggiungiamo sama al tuo nome, è perché riconoscendo il kamii che è in te, veneriamo anche quello che è in noi.– Divenire (R) Allora, è questo il senso più antico della parola kamii, o “kami”. Non una divinità, ma una proprietà, una forza separata da essa, distinta da qual siasi altra cosa, ma compenetrante ogni cosa. Che il senso originale della parola kami si fosse perso lo si sapeva; già alla fine del 1700, Motoori Norinaga, massimo esponente del movimento di restaurazione scintoista, scriveva: “Io non comprendo ancora a fondo il significato della parola kami”. Mille anni di sincretismo con una religione millenaria e mondiale 77 come il Buddismo, hanno caricato questo termine di nuovi significati, al punto tale da renderlo irriconoscibile. Ma una miko di quest’era, come Kaori, ancora lo conosce nella sua forma originaria, anche se l’ideo gramma cinese usato per trascrivere questa parola significa “divinità”, e anche se questa parola è da sempre usata per indicare le divinità indivi duate da altre religioni. Già in quest’epoca, il verbo kamu vuol dire senza nessuna ambiguità “mordere”, ma in Giapponese antico, anzi, preistorico, kamu aveva certa mente un senso molto diverso. Se ne trova traccia negli epiteti degli impe ratori leggendari descritti nel Kojiki, come nel caso di Kamuyamato iwarehikonomikoto, dove kamu è scritto con l’ideogramma usato oggi per kami. In Giapponese, i verbi si sostantivizzano cambiando la u finale in i. Come odoru, danzare, diventa odori, danza… allora, kamu deve avere qualche attinenza col divenire di cui mi parla Kaori. Kamu… venire … in Norvegese antico si dice koma, e in Inglese come (e si pronuncia kam). È una somiglianza troppo evidente per essere igno rata, e non è l’unico segno di un passaggio di popolazioni nordiche attra verso il Polo, verso l’Asia superiore, poi giù lungo la penisola coreana, o attraverso il mare, passando per isole più settentrionali, fino a giungere in Giappone; basta pensare a “osso”, che si dice “hone” in Giapponese, “bone” in Inglese e “pone” in Ainu. E in Ainu, la parola kamui indica pro prio uno spirito divino, e ci sono tracce in Giapponese antico di usi simili di sostantivizzazioni in “ui” diventate, per eufonia, “ii”, come in kamii. Il kamu antico e il kamu moderno … venire … divenire … maturare … crescere … nutrirsi… mangiare e infine mordere… è una strada lunga, ma ci sono evoluzioni di significato non meno spettacolari di alcune parole fra il Latino e le lingue che lo sostituirono. Del resto, se kamu si intende come mordere, l’epiteto del leggendario primo imperatore, Jinmu, Kamu yamatoiwarehikonomikoto si traduce letteralmente come “Il dioprincipe (hikonomikoto) a cui fu ordinato (iware) di mordere lo Yamato”. Ma se si intende come “divenire”, il nome si traduce come: “il dio a cui fu ordi nato: diventa lo Yamato”. Quindi, se kamu è mutare, tramutare, divenire, allora kamui, e poi kamii, e infine kami, è la cosa che muta, tramuta, diviene; ma in senso attivo. È la cosa che causa il mutare, il tramutare, il divenire. E il fatto che il concetto di avere e essere, nelle lingue orientali, sia molto sfumato, permette alle proprietà di diventare essenza; così, quella proprietà posseduta, la capacità di mutare, di generare un cambiamento, si confonde e poi diviene l’essenza stessa del cambiamento. Kami significa “ciò che causa il divenire”… il kami è “il diventore”. 78 Il sorriso soddisfatto di Kaori mi spiega l’espressione che ho sul volto meglio di come potrebbe fare uno specchio. –Allora, Rai’ansama, facciamo una prova?– –… Eh?– –Prova a chiamarci per nome, senza usare il san.– –Oh… beh… Kaori?– –Sì?– Mi sorride. –Midori?– –Sì, sono qui!– –Jirou?– –Ho!– –Hahaha, allora ci siamo tutti!– Kaori mi guarda sorridente e dice con voce gentile: –Sì, Rai’ansama, adesso ci siamo tutti.– Verso Nara (M) È mattina quando apro gli occhi. Mi svegliano con delicatezza il suono di un fruscio, e un sottile sibilo. Il fruscio è quello di Kaori che sta racco gliendo le stuoie, e il sibilo è quello di Jirou che rotea la spada nell’aria. Capisco, si sta allenando. A giudicare dalla fluidità dei suoi movimenti, deve essere un rito quotidiano. –Buongiorno, Midori.– Mi saluta Rai’an. Oh, finalmente, non ne potevo più di sentire quel san dietro al mio nome. È seduto su un sasso accanto alla mia stuoia, e sembra intento a osservare Jirou. –Buongiorno, Rai’ansama…– inizio a dire, ma mi scappa uno sbadi glio. Lui ride mentre mi stropiccio gli occhi. –Dormito bene?– –Oh, benone…– faccio per dire, ma il solo cercare di mettermi seduta mi fa scoppiare la testa dal male alla schiena. Quando finalmente ci riesco, mi scappa uno starnuto… mi sento tutta intorpidita e appesantita. –Su, su, – mi fa Kaori, –una bella camminata è quello che ci vuole per rimetterti in forma.– Sei una strega. Lo penso forte mentre la guardo muoversi leggiadra come rugiada del mattino. Anche se Rai’an ci ha detto che potevamo dormire tranquilli, perché le sue macchine ci avrebbero avvisato se si fosse avvicinato qualche pericolo, ho fatto lo stesso fatica a prendere sonno. Non credo che scorderò mai la voce del bosco di notte. Jirou si è addormentato come un sasso appena si è 79 sdraiato. Ho sentito Kaori e Rai’an che parlavano piano per qualche minuto, ma non sono riuscita a sentire cosa si dicessero. Ho fatto finta di dormire per cercare di cogliere qualche particolare con cui punzecchiare Kaori, ma non ho capito niente. Ho sentito che parlavano di Kasei, e delle stelle che brillavano ieri notte in cielo, ma niente di compromettente. Pec cato. Poi Kaori si è addormentata. Rai’an non so; non sono riuscita a sentire quando il suo respiro si è fatto più calmo. So solo che quando tutti hanno taciuto, lo stormire delle fronde agitate dal freddo vento della notte, lo scoppiettare degli ultimi ciocchi nel fuoco, il richiamo dei gufi… e persino un ululato lontano… e le stelle per tetto… e la faccia che si faceva gelata… la punta del naso che pungeva per il freddo… insomma, no, non ho dormito bene. –Jirou, – chiama dopo un po’ Rai’an, –posso vedere un attimo quella spada?– Il ragazzo si avvicina. Eh sì, nelle luci dell’alba sembra proprio Yamato Takeru. Non che abbia mai visto Takeru per davvero… ma doveva essere bello almeno quanto lui… quasi quanto lui. Arrivato davanti a Rai’an, si inginocchia e china il capo, mentre gli porge l’elsa della spada. Rai’an l’osserva attentamente. Sui due fili della spada dritta, si vedono crepe e tacche persino da qui, e qualche segno di ruggine macchia la super ficie del metallo. –Penso… che tu sia degno di una spada migliore. Kaori, credi che potremo comprare una spada a Nara?– –Potrebbe non essere facile.– Risponde Kaori. –Hai idea di quanto possa costare?– –Uhm… una buona spada può arrivare a costare due monete d’oro. Dovremmo vendere mamori per almeno un anno per racimolare una cifra simile.– –Per quello, non c’è problema: a Nara è finita una certa quantità d’oro, insieme ad altre componenti, che abbiamo inviato per queste evenienze. Non so a quante monete corrisponda, ma penso che basterà.– –Beh, allora dobbiamo trovare solo un maestro spadaio disposto a ven dercene una… Allora, ci dirigiamo a Nara?– –Sì; anche se voglio recuperare il prima possibile l’oggetto che è finito nel tumulo di Sakurai.– –Beh, Nara è di strada. È proprio in fondo a questa vallata…– Kaori sembra voler aggiungere qualcosa, ma è titubante. 80 –Dimmi, Kaori, c’è qualcosa che non va?– la esorta Rai’an. –Riguardo alla tomba della Divina Yamatototohimomosohime…– –Sì?– –Girano strane voci…– –Eh?– –Dicono che… ecco… ci sia uno spirito che tutte le notti esce da quella tomba e infesta le terre circostanti. La gente del posto crede che lo spettro della dea si aggiri per le campagne… – Uno spettro che esce da una tomba antica? Ho i brividi! –Uh… davvero?– La risposta di Rai’ansama è un po’ piatta. –Davvero! Non mi credi?– –Certo che ti credo! Insomma... mi stai dicendo che c’è della gente che dice che ha visto uno spettro…– –Io ho parlato con due contadini che l’hanno visto!– –E… tu l’hai visto?– –Io no… ma non mi sono neanche mai avvicinata. E non mi sono avvi cinata perché già da lontano, e di giorno, ho percepito una forza maligna che cercava di nascondersi… senza riuscirci.– –Beh… nella peggiore delle ipotesi, abbiamo qui le due miko più brave di tutto il Giappone, giusto?– –Oh, io non sono così brava con gli esorcismi… quella davvero brava è Midori…– Kaori mi guarda; nei suoi occhi leggo finalmente un certo rispetto. Beh, se posso tornare utile in questo viaggio, e rubare la scena a Kaori, per una volta, allora ben venga pure lo spettro! –Ti ringrazio, Kaorisan… farò del mio meglio.– rispondo con mode stia. Kaori sembra più tranquilla, ora che le ho fatto vedere che il mio cuore non trema. Aggiungo: –Sarò il vostro scudo contro ogni forza mali gna.– Jirou, che fino a quel momento era rimasto in silenzio e in disparte, si volta verso di me. Ecco perché se ne stava zitto zitto, ha proprio lo sguardo di un bimbo spaventato. Gli sorrido: –Di spettri malvagi, ne ho già purificati tre. Più un sacco di altri spiriti maligni e di ayakashi. Tu pensa a proteggere il mio corpo, che alla tua anima ci penso io.– –Oh… ecco…– balbetta Jirou, ma la paura nel suo sguardo è già scom parsa, –farò come dici.– –Bene,– si alza in piedi Kaori, –e allora, prima che il sole sia alto, met tiamoci in cammino.– 81 E siamo in marcia. Quasi quasi chiedo a Rai’an un po’ di quella medi cina di ieri… ma no, l’orgoglio me lo impedisce. Non voglio dare a Kaori questa soddisfazione. Il mattino è giovane e l’aria è lattiginosa sulla strada che percorre il fondo valle. Tutto è avvolto in una foschia dorata dai primi raggi del sole, così abbacinante che, quando Nara compare davanti ai miei occhi, lo fa mostrandosi all’improvviso, quasi volesse farmi una sorpresa. 82 Parte seconda Yamato Nara (R) –Non potete entrare in città armati!– Al grido della guardia, chino il mio kasa stando attento a nascondere bene il volto. La guardia regge una lunga picca e indossa un’armatura fatta con strisce di cuoio e placche di bronzo ossidato. Nel periodo Hei’an, non esisteva una milizia nazionale. Questi soldati sono solo mercenari al soldo del governatore locale. Siamo giunti al cancello ovest di Nara già di buon mattino, ma le guar die non intendono farci passare. Quella con cui sta discutendo Kaori è uscita da una tenda sotto la quale altre due stanno sonnecchiando. Accanto al cancello, fuori dalle mura, c’è un soldato armato anche peggio; e due picche si intravedono stagliarsi contro il cielo oltre la porta. Nara occupa un’ampia pianura; ha basse e strette mura che non hanno scopo difensivo, ma servono principalmente a delimitare l’area della città, ed un fossato che protegge esclusivamente il lato a sud e la porta princi pale, più con la funzione di arredo urbano che non di fortificazione. La città è stata progettata secondo principi ispirati al confucianesimo e alla geomanzia cinese, allo scopo essere la capitale dell’impero dello Yamato. Fu completata nell’anno 710; ma solo settantaquattro anni dopo, nel 784, la capitale fu spostata a Nagaoka, e quindi, nel 794, a Hei’an, che sarebbe poi stata rinominata Kyoto. Forse grazie a questo, ancora adesso, nell’anno 1006, Nara è rimasta una città “ideale”, nel senso che lo sviluppo si è arrestato, ed il progetto iniziale si è rivelato adeguato a servire la città per quasi trecento anni. Nara è strutturata come un quadrato di quattro chilometri, perfettamente orientato lungo gli assi cardinali; si sviluppa attorno ad un larghissimo viale, ampio circa cinquanta metri, che corre esattamente in direzione 85 nordsud e l’attraversa per tutta la sua lunghezza. All’estremità settentrio nale del viale si trova l’antico palazzo imperiale, ora sede del governatore e dei suoi amministratori, una città nella città che occupa un quadrato dal lato di circa un chilometro. Attorno al palazzo, quelle che furono le resi denze dei nobili di corte sono collocate ognuna in un’area delimitata da mura quadrate o rettangolari, la cui dimensione rifletteva il rango degli occupanti. Adesso, quasi tutti i dignitari si sono spostati a Hei’an, e le abi tazioni sono occupate dalla nobiltà locale o da ricchi mercanti. Accanto ai giardini del Palazzo Imperiale, a nordovest, giacciono tre grandi kofun, tumuli simili a piccole colline, circondati da fossati tanto ampi da formare dei veri e propri laghetti artificiali, che ospitano le spoglie dei primi impe ratori della dinastia Yamato. Altri tumuli più modesti si intravedono qua e là, nella campagna a nord della città. Più lontano dal palazzo, a sud, si trovano le abitazioni dei cittadini comuni, allocate in quartieri sempre murati, ma che, diversamente da quelli dell’alta nobiltà, sono ulteriormente suddivisi in appezzamenti più piccoli. Dai modelli tridimensionali che ho studiato, passeggiare lungo le lar ghissime strade di Nara, tutte in terra battuta e ghiaia bianca, significa camminare lungo file interminabili di mura, anch’esse bianche, che delimi tano i quartieri, in ogni direzione, dietro ai quali spuntano i tetti decorati delle abitazioni più imponenti, e svettano le pagode dei templi. E poi, all’interno della città si trovano alcune piccole collinette naturali, ampi parchi, laghi e fiumi i cui argini ospitano giardini che attraversano la città in tutta la sua lunghezza. I cervi, animali sacri ai primi imperatori e alla dea Amaterasu, pascolano liberi nei giardini e si avventurano spesso fino ai cortili dei templi e delle grandi case private, che sorgono un po’ ovun que. Nella parte nordovest, sorge la città dei templi; un rettangolo alto circa due chilometri e largo quasi altrettanto che si protende come un’appendice dal corpo della città quadrata, dove trovano posto la maggior parte dei luo ghi di culto, quasi tutti dedicati alla fede buddista. Il cancello ovest, che guarda verso Iga e la regione montuosa da cui veniamo, si apre su quest’area. La pagoda a cinque piani del Tempio di Koufuku torreggia poco oltre le mura. A circa un chilometro a nord, invece, subito fuori le mura cittadine, si intravede il Tempio di Toudai, che già adesso ospita la statua del Budda più grande del mondo, e che, nelle intenzioni dell’impera trice Genmei, era destinato a esercitare il ruolo di centro della fede buddi sta in tutto l’impero. La risposta di Kaori interrompe il filo dei miei pensieri. –Senti, ti ho già detto che lui è la nostra guardia del corpo…– 86 –In città non c’è bisogno di guardie del corpo. E comunque, non potete andare in giro con quegli archi.– –Ma noi siamo miko! L’arco fa parte dei nostri strumenti rituali!– –Senti, sorellina, a Nara ci sono già abbastanza bonzi, ci sono strumenti rituali fin sopra i capelli…– –Prima di tutto, io non sono tua sorellina. Sono una miko ed esigo il rispetto che mi è dovuto.– Non vedo gli occhi di Kaori, ma immagino perfettamente il suo sguardo infuocato, e lo vedo riflesso nell’espressione sconcertata della guardia. –Oh… sì, scusa, nobile miko.– –Già meglio; mi spiaceva iniziare la giornata con una maledizione.– La guarda sbianca, e Kaori ne approfitta. –E poi i bonzi hanno i loro rosari, e noi abbiamo i nostri archi. E i nostri oonusa. E i nostri mamori. E un sacco di cose che i bonzi non hanno.– –Beh, visto che avete tutte queste cose, potete lasciarci i vostri archi…– –Io non ti lascio un bel niente, brutta faccia da scimmia incrociata con…– –C’è qualche problema?– una voce sconosciuta da dietro le mie spalle mi fa trasalire. Mi giro di scatto, tanto che quasi mi vola via il kasa dalla testa. Un anziano monaco e due giovani bonzi sono in piedi dietro di noi. Come me, indossano un kasa, ma i giovani hanno un corto kimono nero su pantaloni e veste bianchi, mentre l’anziano indossa un ricco kimono dorato a ricami rossi, con sopra una specie di grembiule color prugna con bianche fantasie floreali geometriche, allacciato a tracolla, solo da un lato. Un pesante rosa rio con grani di legno grossi come prugne gira attorno al suo collo, la sua mano poggia su un bastone alla cui estremità si trova un cerchio da cui pendono sei anelli tintinnanti, mentre i due giovani monaci stringono un rosario a grani fini. Come i tre si tolgono il kasa, la guardia cade in ginocchio, quasi gri dando: –Geika!– Geika!? È un titolo onorifico che si usa per i monaci di altissimo rango; ad esempio, per gli abati dei templi maggiori. Le altre guardie escono da sotto la tenda e corrono a inginocchiarsi. Io cerco di prendere un po’ di distanza, e faccio un profondo inchino. –Dicevo, c’è qualche problema, guardia?– La guardia prende fiato e cerca di rispondere senza più inspirare: –Sì; queste miko vogliono entrare in città con le armi.– 87 –Oh…– il sacerdote saluta Kaori con un cenno del capo. Lei si fa avanti e mi supera, e dopo aver eseguito un inchino profondo ma rapido, inizia: –Douzengeika, il mio nome è Kaori, miko anziana del santuario di Koumon. Stiamo solo cercando di entrare in città, ma queste guardie ce lo vogliono impedire.– Evidentemente, Kaori conosce questo abate. –Oh, ma le guardie non vogliono certo impedire a delle miko in cam mino di entrare in città. Solo, un guerriero armato non può girare per le strade di Nara, sarebbe un fastidio per gli abitanti.– Interviene la guardia: –Nessuno ha il permesso di entrare armato in città, Douzengeika. Devo requisire tutte le loro armi.– –Su, andiamo, guardia, non vorrete prendere alle miko il loro arco. Sarebbe come togliermi il mio bastone…– –Geika, il vostro bastone non è un arma…– –Eppure, se te lo spacco in testa, sono certo che non ti alzi più.– La guardia tace, e Douzen continua: –Ora, per la spada di questo figliolo, basta che non entri in città armato, giusto?– –Beh, ecco…– –Allora, se questo giovane protettore ripone la sua spada e le miko ripongono le loro frecce, è tutto a posto, giusto?– –Sì, ma… chi ce lo dice che non le riprenderanno appena entrate?– –Non ti basta il giuramento di una vergine sacra?– chiede il monaco. Kaori ha un’espressione che non riesco a decifrare. Sembra… a disagio. Spaventata, forse. Non capisco, a me pare che questo sacerdote ci stia aiu tando. –Sì, certo che… mi basta…– –Giovane Kaori, se riponete le vostre frecce e la spada del giovanotto, e promettete di non tirarle fuori appena entrate, potete passare.– Kaori si inchina, ma è un movimento teso. –Lo prometto.– dice a mezza voce. Io poso il bagaglio, e Kaori si sfila la faretra; Midori si avvicina e fa altrettanto. Jirou resta immobile finché non gli faccio un cenno con la testa. Mentre apro il grosso pacco e cerco un po’ di spazio per infilare le armi, Douzen si avvicina di un passo. –Certo che quel… bagaglio… ha l’aria molto pesante. Riuscirete a por tarlo se aggiungete il peso di una spada?– Kaori è girata verso di me, e Douzen non la vede. Il suo volto si fa di marmo, e noto che le labbra le tremano. Sembra non voler alzare lo sguardo, nemmeno per cercare di dirmi qualcosa con gli occhi. 88 Rispondo mentre infilo nel bagaglio la spada che mi passa Jirou. –Sono molto forte, Douzengeika.– Douzen si avvicina ancora; chiudo in fretta il bagaglio, e sto per rimet termelo in spalla, ma il sacerdote allunga una mano e prova a sollevarlo. Ovviamente, non riesce a muoverlo nemmeno di un dito. Allora afferra la tracolla con ambo le mani, e fa un altro timido tentativo, che lascia a metà. –Devi essere davvero molto forte. Quale potrà mai essere il volto di un uomo tanto forte?– Kaori sta stringendo l’arco che ha in spalla tanto forte che le sue nocche diventano bianche. A me non resta che slacciare il kasa e sfilarlo. I due novizi si lasciano sfuggire un verso di sorpresa. –Oh… sei uno straniero… sei forse un Alemanno?– Chino la testa mentre rispondo: –Irlandese, geika. Il mio nome è Ryan.– –Irlandese… dov’è l’Irlanda?– –È una bellissima isola verde nel mare a nord dell’Alemagna, a fianco dell’isola chiamata Gran Bretagna. Le sue colline sono dolci come il corpo di una madre, ed il suo cielo è volubile come il carattere di una donna capricciosa.– Anche se nato sulla stazione orbitale Beta di Marte, il mio sangue Irlan dese non fu immune al richiamo della terra madre, quell’unica volta che potei visitarla. Il sacerdote mi sorride: –Vedo bene il tuo amore per il tuo paese natìo. Essere così lontano da casa deve essere doloroso. E dimmi, Ryan dell’Irlanda, cosa ti porta tanto lontano?– Scacco. Al terzo battito di cuore della mia indecisione, Kaori scatta: –Geika, la sua nave è naufragata, e avendo bisogno di un lavoro, vista la sua notevole forza, gli abbiamo offerto di portare il nostro bagaglio in questo viaggio.– –Koumon è piuttosto lontano dalla costa…– Scacco matto. Il sacerdote sorride a Kaori con occhi privi di malizia, ma questo rende la situazione ancora più imbarazzante. Cerco di rispondere io. –Beh, in effetti… ho girovagato un po’ prima di arrivare da quelle parti; poi la gente del posto mi ha indirizzato verso il santuario di Koumon… ed eccomi qui!– 89 Il sacerdote mi sorride come un nonno a un nipote che non vede da tanto tempo. –Ah, davvero? Bene, bene… mi piacerebbe sentire il racconto del tuo girovagare, ma adesso abbiamo affari un po’ urgenti da sbrigare. Ma forse, potete venirmi a trovare al Toudaiji. A proposito, – si rivolge a Kaori, –dove siete diretti?– C’è qualcosa dopo lo scacco matto? Kaori ha la prontezza di rispondere: –A… al santuario di… Yuuga.– –Ohhh, al santuario di Yuuga… chissà come se la passa il vecchio Sen bei. Beh, portategli i miei saluti.– Kaori china profondamente il capo senza rispondere. –Allora, ci tengo; voglio assolutamente sentire le storie che vengono da questa terra morbida come il corpo di una madre…– il tono fino ad ora caldo e paterno si fa perentorio, eppure non minaccioso: –Passate dal Tou daiji mentre siete qui a Nara.– Senza altri saluti, i tre monaci ci superano ed entrano nel cancello. Mi rimetto il kasa e riprendo in spalla il bagaglio; le guardie ci lasciano sfilare all’interno della città senza dire una parola. Kaori resta al mio fianco; poco oltre le mura la vedo stringersi nelle spalle. –Tutto bene?– le chiedo. –Quel bonzo mi dà i brividi.– Midori saltella un paio di passi e ci raggiunge: –Ma va, a me sembrava un nonnetto tanto buono!– Il volto di Kaori si distorce in una smorfia di disgusto: –È una serpe tra vestita da procione.– –Serpe o procione, – concludo, –ci ha aiutati a entrare.– –Quella gente non fa nulla in cambio di nulla. Si aspettano sempre una sorta di ricompensa, in un modo o nell’altro… in questa vita o nella pros sima.– Che si riferisca al karma? Lascio cadere il discorso, ma Kaori va avanti. –Quello che non sopporto è la loro ipocrisia. Loro l’hanno eletta persino a dottrina: “i mezzi abili”. Convincere la gente a qualsiasi costo, anche con l’uso di qualsiasi menzogna, che la loro è la via giusta.– Continuo a lasciare cadere il discorso, e Kaori continua ad andare avanti. –E non solo questo… l’idea stessa che tutto il mondo, tutta l’esistenza sia un’illusione… è un insulto al makoto… al cuore della realtà delle cose.– 90 Mah, non è che andare in giro a caccia di spettri e mostri invisibili agi tando sonagli e strisce di carta sia più in sintonia col cuore della realtà delle cose… ma anche questo, me lo tengo per me. –Menzogne su menzogne che tengono in piedi altre menzogne…– sibila piano fra i denti. –Kaori, dove andiamo ora?– cerco di costringerla a pensare ad altro. –…facciamo una visita al tempio di Yuuga.– –Uh… non dovremmo cercare un alloggio?– –Sì ma… hai sentito il procione. Vuole che portiamo i suoi saluti al kannushi. Se non lo faremo, stai certo che lo verrà a sapere, e questo com prometterebbe il nostro travestimento ancora più di così. Comunque, è pro prio qua dietro.– Così dicendo, si incammina verso una strada laterale. Tre notti in anticipo (K) Il kannushi di nome Senbei ci ha accolte molto cordialmente. È sem brato molto felice di ricevere i saluti di Douzengeika; naturalmente, stando a un tiro di freccia dal Toudaiji, non può non intrattenere rapporti cordiali con l’alta gerarchia buddista. Ad ogni modo, portare Midori al santuario di Yuuga per farle conoscere i kamii locali è una copertura più che credibile per il nostro viaggio, quindi, anche se è stata una trovata dell’ultimo minuto, ci è tornata utile. Abbiamo lasciato Rai’ansama e Jirou al torii del tempio; quando siamo andate a riprenderli era mezzogiorno, e Jirou sonnecchiava seduto con la schiena appoggiata a una colonna, mentre Rai’ansama era immo bile; da sotto il kasa non si vedeva la sua espressione, ma poi mi ha detto di aver… beh, non ho capito bene le parole che ha usato, ma il succo è che ha recuperato un’altra porzione delle forze che gli mancavano. Dobbiamo attraversare quasi tutta la città per raggiungere la zona degli heimin, la gente comune; voglio prendere alloggio in una locanda per vian danti. In genere, le miko chiedono ospitalità nei templi o presso i sacerdoti che accudiscono i santuari, ma Nara è grande, e passare da un quartiere all’altro richiede buona parte della giornata; per una miko, non è raro farsi vedere nei quartieri popolari per racimolare un po’ di offerte, fermandosi in una locanda in quelle zone. In altre parole non dovremmo destare troppi sospetti. Saremo da quelle parti prima che il sole passi la metà del ponente, verso l’Ora della Scimmia. 91 Camminiamo tutti e quattro in fila; alla mia destra c’è Midori, alla mia sinistra Rai’ansama e accanto a lui Jirou. La gente per le strade ci rivolge qualche occhiata curiosa, ma nulla che la naturale curiosità per una miko in viaggio non possa spiegare… anche se la maggior parte di occhiate sono per il bagaglio che porta Rai’ansama, che ora è diventato davvero volumi noso; la disinvoltura con la quale cammina sotto quel peso è qualcosa che attira l’attenzione ben oltre la statura di Jirou. Dovremo provvedere, in qualche modo. –Rai’ansama…– voglio accennargli l’argomento. –Kaori, chiamare con sama il contadino che porta il bagaglio potrebbe essere sospetto.– –Non quanto il bagaglio stesso.– Rai’ansama si guarda attorno, e nota finalmente alcuni sguardi intensi che si posano su di lui. –…capisco…– –Dobbiamo renderlo meno evidente. Forse Jirou ne può portare una parte.– –Molto volentieri.– interviene il ragazzo. –Ma non qui; ci sono cose nel bagaglio che non possiamo metterci a tirare fuori nel mezzo di una strada.– taglia corto Rai’ansama. –Va bene… come desidera Rai’ansama. Quanto ci vorrà ancora prima che recuperi in pieno le tue forze?– cambio discorso. –Circa tre giorni; dipende molto da quanta forza uso nel frattempo.– –Tre giorni?… dovrebbero bastarci.– –Per fare cosa?– –Fare quello che dobbiamo fare a Nara: recuperare il carico, acquistare una spada per Jirou, raccogliere informazioni sullo spettro della hime… e fare visita al Todaiji.– –…Vuoi andare da Douzen?– –Certo che no. Ma dobbiamo. Se non lo facciamo avremo alle calcagna tutti i monaci del Giappone.– Rai’ansama mi guarda intensamente da sotto il kasa. –Non stai esagerando, Kaori?– –No.– Il kasa di Rai’ansama si gira verso la strada. –Beh… non è che avere alle spalle un’orda di bonzi vegetariani armati di rosario sia la mia prima preoccupazione.– –Non avremo addosso bonzi vegetariani armati di rosario, ma i souhei, i guerrieri agli ordini dei monaci.– 92 Rai’ansama si immobilizza all’improvviso. –Ah… già… i souhei…– Evidentemente la parola almeno gli è nota. Chissà se sa che sua maestà l’imperatore Kanmu fu costretto a spostare la capitale a Hei’an proprio a causa della potenza degli eserciti dei monasteri buddisti. Torno sui miei passi verso Rai’ansama e lo sbircio da sotto il kasa. –Comunque, sono vegetariani anche quelli…– scherzo, e Midori rilan cia: –…E credo anche abbiano dei grossi rosari, vero Kaorisan?– –Oh, sì, grossi rosari. E quando ti affettano, ti danno anche un po’ di karma da spendere nella prossima reincarnazione.– –E fanno anche voto di celibato! Magari potremmo convincerli a rinun ciare almeno a quello…– –Midori…– Ma lei si nasconde la bocca sotto una manica. –Ho capito… va bene, ora ho una preoccupazione in più.– Rai’ansama riprende a camminare. Io ho celiato a sazietà, ma Midori a quanto pare ha ancora appetito. –Eh, già Rai’ansama, la vita è tutta una preoccupazione dopo l’altra. Come dicono i bonzi? Questa vita è …una casa infuocata? O era una ruota di dolore? O… un’illusione maligna?– –Tutte e tre.– rispondo. –Tutte e tre?! Oh, sono allegri, questi bonzi!– –Già… e se per caso tua vita non fosse un’illusoria ruota infuocata di dolore…– –… ci pensano loro a rendertela tale.– Da sotto il kasa di Rai’ansama escono alcune parole dette a mezza voce: –Alla faccia del sincretismo…– –Eh?– –No nulla, nulla… solo sono giunte a noi storie sull’armonia di questo regno…– –Eh, già… capisco. L’altra parte del palcoscenico racconta un’altra storia…– recito il proverbio con aria falsamente saggia. Midori mi fa il verso, imitando il mio tono alla perfezione: –E… se prendi a testate un ponte di pietra invece di attraversarlo, farai prima a tirarlo giù che ad andare dall’altra parte…– –E che c’entra?– –Oh, nulla, ma è il mio proverbio preferito.– Jirou sbotta, seccato: –Certo che voi due siete proprio delle gran chiac cherone!– 93 1. Midori gli corre dietro e gli dà una spinta che lo fa incespicare, mentre gli risponde ridendo: –E tu sei un gran musone!– Sotto il kasa, la bocca di Rai’ansama risplende del suo sorriso più sin cero, che, come sempre, ha il potere di scaldarmi il cuore. E così, senza neanche rendercene conto, arriviamo alla locanda dove intendo alloggiare. È una delle poche ricavate da una vecchia casa della piccola nobiltà di Nara, che ormai si trova nel pieno della zona abitata dalla gente comune. Grazie a questo fatto, anche se l’alloggio è abbastanza economico, il posto è grazioso, dotato di un muro di cinta e di un piccolo giardino tutto attorno. È una specie di incrocio fra taverna e ryoukan, albergo per viandanti, discreto e meno pulcioso degli altri; è esattamente quello che fa per noi. Attraversato il vialetto di ghiaia bianca che porta alla sala grande, mi levo gli zouri e salgo sul davanzale; gli altri mi seguono. A quest’ora la sala è spalancata, ed una trentina di avventori sono seduti ad una decina di tavoli, intenti a consumare una zuppa dall’aria appetitosa. Come entro, mi accorgo che io e Midori siamo le uniche donne. Se ne accorgono anche la trentina di avventori. Li ignoro e mi dirigo dritta al bancone. –Oste, siamo in quattro e vogliamo mangiare e dormire per tre giorni e tre notti.– L’oste si gira e mi squadra. Ha la faccia da lottatore di sumo, solo, più unta e grassa. E più arcigna. –Una moneta per mangiare e una per dormire, per ogni persona e per ogni giorno.– –Eh? Stai scherzando?– –Ho la faccia di uno che scherza?– –No, hai la faccia di uno che vuole fregarmi.– –Questo è il prezzo.– Il lottatore di sumo si mette a strofinare il banco con uno straccio lercio. Sporcandolo. Nervosamente. Grave errore. –Senti; prendiamo una sola stanza. Ti do una moneta d’argento. In anti cipo.– Il grasso che chiude le fessure degli occhi dell’oste si sposta un po’, e la sua mano si ferma. Gli sto offrendo un prezzo fin troppo buono, ma mi trovo una moneta d’argento fra le mani, e non credo che l’oste abbia molta voglia di darmi il resto. Ma invece grugnisce, e si rimette a strofinare il banco davanti a me. Tiro fuori la moneta e la sbatto rumorosamente sul tavolo. 94 –Una moneta d’argento… ti pago in anticipo.– Ripeto guardandolo con aria di sfida. Lui si alza su tutta la sua statura e mi squadra dall’alto verso il basso. Sono contenta che le mie frecce siano chiuse al sicuro nel baga glio… ma un po’ mi spiace. –Affare fatto…– Lascio andare la moneta e faccio per sedermi a un tavolo vuoto, ma l’oste mi chiama. –A patto che…– –… a patto che?– La sua faccia sballonzola verso la parte più interna della sala. Vedo che è sollevata su due gradini e libera da tavoli… come un palcoscenico. –Stai scherzando?– ripeto. –Ho la faccia di uno che scherza?– ripete. Mi giro a guardare i miei compagni. Jirou è abituato a dormire dove capita, credo, e per quanto riguarda Rai’ansama, è pronto a tutto… ma non voglio portare Midori in un posto ancora peggiore di questo. Sospiro. –E va bene. Ma un solo kagura. E senza benedizioni, esorcismi o purifi cazioni. Se qualcuno le chiede, ce le facciamo pagare a parte.– –Ci sto,– grugnisce l’oste, e il suo volto si squarcia in una smorfia sub dola, –qualsiasi altro servizio vendiate, l’incasso è vostro.– Mi appunto mentalmente di tornare a sgozzarlo appena possibile, e mi dirigo verso il tavolo che ho adocchiato prima. Midori sembra quasi divertita dall’idea di ballare per questa gente. –Cosa facciamo? La danza delle fanciulle?– mi chiede canticchiando. Sospiro. –Kaori…– mi prende delicatamente per un braccio Rai’ansama, con ancora addosso il kasa, –…non devi sentirti costretta a farlo; appena recu perato il carico, possiamo pagare in altro modo…– –Grazie, Rai’ansama… non preoccuparti, è una cosa normale.– –Davvero?– –Sì… anzi, magari riusciamo a tirarne fuori un po’ di soldi. Rai’an sama…– –Sì?– –Adesso dovresti levarlo…– indico il suo kasa. –Dici?– –Desterai più sospetti cercando di mangiare con quello in testa.– –Magari dovremmo farci portare il pranzo in camera…– –No, questo sarebbe anche peggio.– 95 –Già, – interviene Midori, –ti prenderebbero per un ayakashi al nostro servizio, che divora chissà quali mostruosità… e noi saremmo prese per streghe.– –Forse Midori esagera, – continuo, –ma non molto. Togliendoti il kasa adesso, la gente penserà che non volevi ostentare il tuo essere straniero e la cosa finirà lì; se mangi col kasa, o peggio, se ci nascondiamo, inizierà ad inventare storie…– Rai’ansama non obietta più nulla e si sfila il copricapo. L’idea di ballare per questa gente non mi riempie di entusiasmo; ma almeno la zuppa è davvero buona quanto il profumo e l’aspetto lasciavano sperare. Tre giorni di questa zuppa, un ballo, ben lo valgono. La cassetta del tesoro (R) Gli avventori di questa taverna mi lanciano qualche occhiata curiosa, ma in sostanza temevo peggio. Certo, nell’era Hei’an, non era ancora stata isti tuita la politica dell’isolazionismo, che sarebbe stata adottata solo verso il ’400, in forma blanda, e in modo rigido solo dopo l’istituzione dello sho gunato, attorno alla seconda metà del ’600. Ma non solo questa gente, molto probabilmente, non ha mai visto nessuno con tratti somatici simili ai miei; penso addirittura che non conoscano l’esistenza esseri umani così diversi. Eppure, come diceva Kaori, la gente del posto non sembra particolar mente turbata dalla mia presenza. Sì, sono conscio di essere guardato molto più di chiunque altro, qui dentro, ma questo è tutto. Finito di mangiare, ci facciamo indicare la nostra stanza dall’oste, parti colarmente corpulento. Ricordo che il sumo è già uno sport molto diffuso, e mi chiedo se questo oste non sia un exlottatore. La stanzetta che abbiamo pagato è larga poco più dello spazio necessa rio a stendere quattro stuoie e posare i nostri bagagli. Ma Kaori non se ne lamenta. Chiuso il pannello mi guarda e, come per giustificarsi, mi dice: –Più piccola è, meno freddo fa di notte.– Già. Non sembra esserci nulla che possa scaldare l’aria, a parte un minuscolo braciere, per di più vuoto. Ci sediamo sulle stuoie appena stese, e decidiamo le prossime mosse. –Allora, – inizia Kaori, –per quanto riguarda lo spettro, ormai la sala grande è vuota; se l’oste sa fare il suo mestiere, stasera chiamerà un po’ di gente a vedere la nostra danza. Potremo approfittarne subito dopo. Quando il saké scorre, le bocce si sciolgono…– –…Davvero, non ci sono problemi per voi?– 96 Kaori mi sorride timidamente, ma Midori risponde entusiasta: –Vuoi scherzare, Rai’ansama? Io adoro ballare!– –Beh, quand’è così…– Ma Kaori aggiunge a mezza voce: –… anche se questo non è proprio il tipo di pubblico che ci piace intrattenere nei matsuri…– Jirou, stranamente, prende la parola: –Mi assicurerò che nessuno si fac cia idee sbagliate.– Vedendo il suo sguardo fermo, Kaori sembra tranquillizzarsi. Cam biando discorso, mi chiede: –Possiamo recuperare l’oggetto già questo pomeriggio?– –Dunque… Il carico che si trova a Nara è una cassetta di circa tre palmi di lato.– Pongo le mani di fronte a me, e le apro per esporre i proiettori. Nell’aria compare un’immagine olografica della planimetria della città. –Noi siamo qui…– faccio apparire un punto rosso sulla nostra posi zione. Kaori affila gli occhi cercando di sovrapporre questa immagine alla sua conoscenza spaziale del territorio. –La cassetta si trova qui…– e faccio apparire un punto blu sulle coordi nate che conosco; –È appena al di fuori del raggio di azione delle mie mac chine, quindi non posso sapere esattamente cosa c’è lì; le nostre mappe sono imprecise.– Kaori punta la mappa con un dito. –È il quartiere dei nobili, di fianco al Castello della Pace. Probabilmente si trova in un’abitazione di qualche mercante o nobile.– –Questo può essere un problema. Sai dirmi quanto tempo ci vuole per arrivarci?– –Partendo adesso, dovremo riuscire ad andare e tornare prima del tra monto; ma non so quanto tempo ci vorrà per fare quello che dobbiamo fare… e tornare prima del tramonto è necessario…– –…per via della danza…– concludo; e proseguo: –Direi di fare almeno un sopralluogo. Se vediamo che ci vuole troppo, ci proveremo domani.– –Mi sembra una buona idea…– commenta Kaori. Poi aggiunge: – Rai’ansama, posso chiederti cosa c’è in questa cassetta?– –Suppellettili che possono servirci durante la missione. In particolare, una riserva di… forza… per le mie macchine, da usare in caso di emer genza, alcune armi e dell’oro.– Midori spalanca gli occhi: –Quanto oro?– 97 –Mah… vediamo…– ci sono venti chili d’oro a gravità terrestre in quella cassetta, che corrispondono a circa mille centimetri cubici di volume; prendo dal bagaglio una giara di terra cotta che mi sembra avere una capacità di circa un litro le rispondo: –… abbastanza da riempire que sta.– Kaori, Midori e Jirou mi guardano immobili, a bocca aperta. –È molto?– Risponde Kaori: –È… abbastanza per comprare… tutto il riso prodotto in un anno in un piccolo feudo…– Midori finisce la frase, sempre con gli occhi sbarrati: –… e neanche tanto piccolo.– Non abbiamo mai avuto informazioni certe sul valore dei metalli pre ziosi nell’era Hei’an. Sappiamo che all’inizio dell’era di Edo, i venti chili d’oro che abbiamo fatto arrivare sarebbero stati considerati equivalenti circa alla quantità di riso necessaria a nutrire un uomo per un anno; ma nei seicento anni che ci separano da quel periodo, l’attività estrattiva si diffon derà e moltiplicherà la quantità di metallo circolante di diverse decine di volte. Inoltre, durante il periodo Hei’an, il governo giapponese aveva adot tato un sistema di valore facciale che veniva assegnato alle monete coniate indipendentemente dalla quantità di metallo prezioso realmente contenuta; ma la debolezza dell’economia e l’impossibilità di garantire questo valore facciale con beni reali aveva limitato l’uso delle monete, e reso molto più diffuso il baratto, quindi il reale valore delle monete e dei metalli ad esse legati era estremamente volatile. Per questo, il valore dei metalli preziosi variava molto di anno in anno e da provincia a provincia. –Beh, allora dovrebbe bastarci.– concludo. Kaori mi chiede: –Voi… non date valore all’oro?– –No, è solo un metallo; anche se è utile per costruire alcune macchine.– I tre si scambiano un giro di occhiate, ed alla fine del giro Kaori mi dice, con quel suo mezzo sorriso: –Il tuo deve essere un bel mondo in cui vivere…– La danza delle fanciulle (M) Rai’an dice che il sopralluogo è andato bene. La casa è quella di un ricco mercante di stoffe, e la cassetta è nel magazzino. Kaori e Jirou sem bravano molto nervosi, ma io mi sono divertita: fra la taverna e quella casa c’è un grande giardino con un laghetto, e le paperelle che starnazzavano e 98 facevano scappare la gente che voleva sedersi sulla riva. Da lontano, ho visto persino un cerbiatto giocare a rincorrere le farfalle, sotto lo sguardo vigile di mamma cervo. Lì per lì ci siamo detti che non potevamo fare nulla. Tornati alla locanda, Rai’an ci ha mostrato la mappa dipinta nell’aria; si vedevano tutte le scatole, e il nostro tesoro sembra essere infilato sotto a una pila di vec chie stoffe e cianfrusaglie da buttare. Rai’an è certo che nessuno possa aprire quella scatola; il mercante deve averla acquistata come una curiosità da qualcuno che l’ha trovata per caso, e quando non è riuscito ad aprirla, deve averla buttata in fondo al magazzino. Da quando siamo tornati è lì che pensa e ripensa… probabilmente a come prendere quella scatola. Mah… è un kamii, gli verrà senz’altro in mente qualche trovata… da kamii. Comunque, si è fatto tardi; è quasi il tramonto e dobbiamo prepararci per il ballo. –L’oste ha fatto venire un tamburino e un suonatore di flauto.– mi dice Kaori mentre tira fuori due tiare ben incartate da una scatola di legno. –Oh… già mi chiedevo come avremmo fatto a ballare senza musica…– –Beh, visto che ha fatto le cose in grande, magari dovremo metterci un po’ di trucco…– dice quasi fra se e se Kaori. Ehehe, fa finta di nulla, ma mi sa si sta divertendo anche lei. –Ma sì, dai, giusto la polvere di riso…– –Beh, allora anche un’ombra di beni…– aggiunge, e tira fuori il vasetto con la polvere di riso e una coppia di conchiglie legate per il perno; le apre rivelando la pasta rossa che serve per colorare le labbra. –Ohhh, dove l’hai trovato, Kaorisan?– Mi sorride con quel suo mezzo sorriso che sa di vittoria: –Una miko non dovrebbe mai girare senza.– La polvere di riso sul volto mi fa sentire strana, è come avere una maschera che copre tutto il corpo, ed allo stesso tempo mi fa quasi sentire più nuda di quando mi libero di ogni veste. Kaori mi fa un po’ il solletico quando mi stende il beni sulle labbra. So di non essere brava come lei, ma le metto la polvere di riso e il beni a mia volta. Ecco, ora sembra proprio una dama di corte! La osservo intensamente. –Beh? Che c’è?– –Mi chiedo… come staresti con le sopracciglia rasate, Kaorisan…– –…levatelo dalla testa.– –Va beeeeene….– 99 Kaori mi sistema la tiara fra i capelli. Decine di piccoli pendagli bianchi mi scendono davanti agli occhi; provo a scuotere un po’ la testa perché adoro il suono che fanno. –E stai ferma…– –Scusa, Kaorisan…– lascio che finisca di sistemare la tiara. –Adesso mettila a me…– Ah… che bella Kaori con questa tiara, sembra una principessa… chissà se sta così bene anche a me. Ci posiamo sulle spalle il kouchigi, una mantellina di seta bianca con ricami rossi e dorati. Cerco di capire come sto guardando Kaori. –Pronta?– mi chiede, mentre mi passa il sonaglio ed un ramo di ciliegio che abbiamo raccolto mentre tornavamo alla locanda. Per fortuna, siamo ormai alla piena fioritura, e i fiori di ciliegio sono graziosissimi. –Uhm… vediamo… Jirou, secondo te siamo pronte?– lo sorprendo a guardarci a bocca aperta. –Eh? … oh… p… per… Perché lo chiedi a me?– –Perché un kamii non può dirmi una bugia, quindi, per farmi lodare, non resti che tu!– –Oh… ecco… sei… splendida. No… voglio dire… siete splendide! Tutte e due!– Kaori ride, una risata argentina che non le sento uscire quasi mai. –Dai, andiamo, che il sole è quasi tramontato.– taglia corto ancor prima di aver smesso di ridere. Io la seguo, e Jirou viene dietro di noi. Non so che intenzioni abbia Rai’an, mi sembra troppo assorto nei suoi pensieri; ma invece, dopo un po’ lo sento far scorrere il pannello dietro di noi. In quell’istante, mi giunge la voce di Jirou. –Midorisan!– Mi giro perplessa; i tanti pendagli della mia tiara sbattono tintinnando. –Io… non sono un kamii, ma non mento mai.– La polvere di riso copre il mio rossore, mentre mi volto; ma prima, mi assicuro che possa leggere il sorriso nei miei occhi per un breve, furtivo istante. Kagura (R) La sala grande mi sembra più affollata del mattino. La gente seduta a gambe incrociate sotto i tavoli applaude e incita Midori e Kaori mentre passano. Capisco perché Kaori ha scelto questa locanda: è abbastanza eco 100 nomica per essere discreta, ma abbastanza cara da tenere alla larga la fec cia peggiore. Ci sono solo piccoli mercanti e un pugno di capi villaggio venuti in città per vendere i prodotti della loro terra. Mentre mi appoggio in un angolo in ombra, mi risuona in testa la frase detta da Midori. “I kamii non mentono”. Secondo il culto dei kami, che precede di secoli quello che venne poi chiamato Shintoismo, i kami sono manifestazioni del makoto, della verità del cuore delle cose. Non credo che le ragazze la prenderanno molto bene quando dirò loro che la cosa migliore da fare è andare a prendere quella cassetta senza chiedere il permesso o dare spiegazioni al suo attuale proprietario. O in parole povere, rubarla. Anche perché il furto è un reato grave; la pena di morte è abolita per reati comuni, e di fatto non fu mai applicata durante tutto il periodo Hei’an, per via dell’influenza della religione buddista; ma al suo posto si praticava un uso piuttosto liberale di quello che oggi chiameremmo legittima difesa, o diritto all’uso della forza, da parte delle milizie private. E comunque, la prospettiva della pena alternativa, l’esilio perenne in terre selvagge, non era poi molto meglio. Arrivate sul “palco”, Kaori dice qualcosa ai due musici seduti da un lato. Le due miko si scambiano uno sguardo veloce e fanno un breve inchino al pubblico; poi sollevano il sonaglio in alto e avanti con la mano destra, tenendo il ramo di ciliegio fiorito nella sinistra, come fosse una freccia incoccata in un arco immaginario. Per me è un’occasione unica. Mi assicuro di aver attivato il registratore visivo: questo è materiale preziosissimo dal punto di vista antropologico, casomai riuscissi a tornare indietro. Non abbiamo una descrizione precisa di questo genere di danze; ci sono rimasti documenti sulle danze sacre per le cerimonie ufficiali alla corte imperiale, ma nulla su quelle che miko e altri tipi di sacerdoti intrattenevano per la gente comune. Confrontarle con le prime registrazioni audiovisive, che risalgono al ventesimo secolo, e scoprire quanto e come sono variate nell’arco di mille anni, per un antro pologo, è un sogno che diventa realtà. Parte la musica, e insieme un colpo dei sonagli. Il pubblico si lascia andare subito in esclamazioni di stupore e compiacimento. Già, anche nei primi filmati, si nota che il pubblico giapponese partecipa vivace, anche nelle occasioni che in altre culture sarebbero state considerate solenni. La cosa deve avere radici più antiche di quanto sospettassimo. Ma me l’aspet tavo; per il Giapponese, la comunicazione stessa richiede un’interazione continua. In un dialogo, l’ascoltatore non è tenuto ad attendere in silenzio il suo turno; al contrario, è ritenuto scortese tacere mentre l’altro parla. Ad ogni inciso, ad ogni parte della frase, chi parla si aspetta che chi ascolta confermi la sua partecipazione, con piccole domande retoriche come “oh, 101 davvero?”, “e poi?”, “ah sì?”, oppure con commenti a caldo, come “pove rino!”, “mi spiace”, “che peccato”, “che bello!” eccetera. Se chi ascolta non lo fa, chi parla rimane interdetto, non capendo se l’altro lo segue dav vero. Può arrivare a perdere il filo del discorso. Mi chiedo se Midori e Kaori si bloccherebbero, indecise su come girarsi, se il pubblico non le incitasse in continuazione. Le due miko si voltano l’una verso l’altra, sorridendosi e suonando due colpi di sonaglio in alto e in basso; poi danno le spalle al pubblico, e si sente una voce che chiama “dai giratevi!”, un’altra “che sorridete al muro?” Ed eccole girasi ancora, lentamente, “ecco, brave!”, e sorridere al pub blico, e alzare la punta del ramo di ciliegio, “più su’”, “toccate il soffitto!”, “no, il cielo!”, e poi guardando fisso il ramo, ruotano il braccio allargando un semicerchio verso l’esterno. Un colpo di sonaglio all’unisono e il ramo si alza di scatto, puntando verso la sala, “a me, me!”, “dai sorellina, che ho bisogno di fortuna!”, “guarda qui!”, altro colpo di sonaglio e ora il ramo gira a destra, per Midori, e a sinistra, per Kaori, abbracciando tutta la sala, “ehi, troppo, sorelline!”, “Oi, ma vi basta la purezza per tutti questi disgraziati?” la sala ride. I gesti di Kaori sono lenti e solenni, quelli di Midori sono eleganti e femminili. Un colpo di sonaglio e la punta della bacchetta magica di Midori gira attorno all’oste, che salta indietro per la sorpresa, ma si riprende subito e cerca di afferrare la magia della miko; mi ricorda un ragazzino innamorato che prende al volo il bacio della sua fidanzatina. Con due colpi di sonaglio e un ampio gesto, Kaori sembra voler cacciare via ogni influenza maligna dalla gente nella sala, fendendo l’aria e spar gendo petali di ciliegio in ogni direzione. E’ l’ultimo passo della danza; lo capisco perché Midori si porta al petto il sonaglio e il ramo, come a volersi mettere sull’attenti di fronte alla tecnica impiegata da una sua superiore. O almeno, dovrebbe essere l’ultimo passo; perché proprio quando la musica finisce, col rametto ormai spoglio, Kaori batte due colpi di sonaglio e dise gna un cerchio proprio nella mia direzione. Sono sorpreso, non me l’aspet tavo. Kaori deve aver letto la sorpresa sul mio volto, perché mi saluta con quel suo sorriso sicuro, e china impercettibilmente il capo, facendo scuo tere avanti e indietro i pendagli della tiara. Un brevissimo inchino, così breve che nessuno, oltre a me lo nota; così breve che riesce a mantenere lo sguardo fisso nei miei occhi. So che non si dovrebbe fare, che un inchino non è un inchino se non abbassi lo sguardo. Ma lei mi sorride, quel suo sorriso soddisfatto, e mi guarda dritto negli occhi. 102 Caccia ai fantasmi (K) È stato una bel kagura. È sempre un piacere ballare accanto a Midori, non solo è perfetta nei movimenti, ha una grazia naturale così abbondante che inonda e sostiene anche chi balla con lei. E la gente del posto è stata anche più carina di quanto sperassi. Sorrido a tutti e mi inchino, ringra ziando sinceramente. E adesso, veniamo agli affari. –Ehi, sorella…– mi chiama un uomo più o meno della mia età. –Sì?– mi avvicino sorridendogli. –Domani devo tornare al villaggio, mi dai una benedizione per proteg germi lungo il cammino?– –Due monete di rame.– continuo a sorridergli. –Eddai, che ho avuto una settimana disgraziata! Ho pure dovuto dar via una parte del riso alla metà del suo prezzo!– –È tremendo! Allora ti servirà ancora più fortuna! Tre monete di rame.– Quasi scoppio a ridere nel vedere la sua faccia. –Ma…– –Facciamo quattro?– –No, no, mi basta una benedizione da tre.– e tira fuori tre monete di rame che posa sul tavolo. –Allora… una benedizione da tre, eh?– E inizio a cacciare la sua sfortuna. Certo che ne ha di sfortuna, quest’uomo. Beh, tre, quattro, cinque colpi di sonaglio… –Che la sfortuna ti abbandoni…– Due, tre colpi al centro… –Che la via del ritorno sia veloce e sicura…– Due colpi in basso… –Tougasama, caccia le volpi e i procioni che gli si pareranno lungo la via…– Può bastare, ma un po’, questo tipo mi fa pena… –Kamii della povertà, sii soddisfatto di quanto hai fatto, e trova una nuova vittima!– –Oh… la la cosa del kamii della povertà mi piace… ma era nelle tre monete?– –Offre la casa.– –Grazie!– –Di nulla…– e mentre prendo le tre monete aggiungo: – …senti, noi abbiamo in programma di visitare un santuario a Sakurai; sai mica se c’è qualcuno di quelle parti?– 103 –Oh, sì, il vecchio Mamoru, è proprio di Shiba.– Ah, Shiba; è il villaggio appena fuori Sakurai dove si trova la tomba della hime… l’uomo che ho appena benedetto mi indica un tipo anziano magrissimo, che sta parlando con Midori. –…oh, è uno spettro terribile, non è roba per una bambina delicata come te…– le sta dicendo. –Non preoccuparti, nonno, – risponde lei, –noi abbiamo un’arma segreta…– Panico. Ma che ha nella testa quella mocciosa? Volo fra i tavoli e afferro Midori per un polso, mentre l’anticipo: –Già, siamo in due…– –Oh… due bambine, eh?– fa il nonno. –Ormai non sono più una bambina, nonno.– gli rispondo… ma un po’ sono lusingata. –Ma dove? Certo che sei una bambina, figlia mia. Sei così giovane che dovresti invecchiare cento anni per diventare nonna come me!– –Hahaha!– rido di cuore. E stritolo il polso di Midori, che trattiene a stento le lacrime. Come smetto, chiedo: –Allora, nonno, ci puoi aiutare?– –E che può fare un povero vecchio come me per due giovani figliole come voi?– –Vorremmo sapere qualcosa di più su questo spettro.– –Oh, osoroshii… è proprio uno spettro pauroso, sai?– –Ah, sì?– –Eh… pensa che quando ero bambino, ogni anno si portava via una gio vane fanciulla dal villaggio!– –Davvero!?– –Sì, sì. E non solo. Qualche volta sparivano anche uomini adulti! E i vecchi dicevano che la cosa andava avanti da sempre, ma prima era una volta ogni tanto…– –E… lo fa ancora?– –No; arrivò in paese una sacerdotessa; da allora, ogni anno facciamo un matsuri dedicato alla hime…– –La Divina Yamatototohimomosohime?– –Già, proprio lei. Beh, venne in paese questa Kiyone…– –Era una miko?– Alle volte, la gente comune fa fatica a distinguerci dalle sacerdotesse. Come i sacerdoti, le sacerdotesse comunicano diretta mente con i kamii, e sovrintendono ai grandi Matsuri di purificazione 104 annuale, ma non hanno i poteri di purificazione e esorcismo riservati alle miko… sebbene, essendo donne, siano naturalmente più dotate dei sacer doti maschi. –No, no, era proprio una shinshoku, e nominata hafuribe, per giunta! E disse che poteva parlare con lo spettro della hime, e che se avessimo com piuto questo rito una volta all’anno, la sua sete di sangue si sarebbe pla cata.– –Capisco…– –E da allora, a Shiba abbiamo sempre avuto una sacerdotessa che ha un nome che inizia per Kiyo. Ora c’è Kiyomi.– –E continuate a ripetere questo matsuri?– –Sì, tutti gli anni, proprio verso la metà del mese di yayoi.– –È fra poco.– –La prossima settimana. Venite a trovarci, sono sicuro che Kiyomi sarà felice di avere due miko ad assisterla.– Non è il caso di promettere assistenza in un rito del quale non so nulla. E qui stiamo parlando non di un semplice kamii, ma dello spettro di una dea, ma in genere gli spettri si acquietano o si purificano. Non ho mai sen tito di un rito che va avanti per decine di anni. C’è qualcosa di sospetto in questa storia. –Non so quando passeremo, nonno, quindi non posso farti promesse.– –Oh, ma questa bimba mi ha detto che volete passare subito…– –Ahi!– stavolta stringo finché non la sento frignare. –Beh, sì, vorremmo, ma non so se potremo… non è che ti serve una benedizione?– –Oh, figlia mia, volentieri!– –Cosa puoi offrire?– –Vediamo…– tira fuori un sacchetto di riso, saranno trequattro tazze, potranno valere una, al massimo due monete di rame, a trovare un buon prezzo. Ma il riso è riso… –Va bene. Una benedizione veloce veloce. Hai bisogno di qualcosa in particolare?– Un kamii ladro (M) Uffa! Kaori, sei una strega! Ancora mi fa male il braccio, e ci sono i segni delle sue dita sul mio polso! –Un matsuri, hai detto?– Rai’an riflette sul resoconto di Kaori. 105 Ormai è notte, e siamo rientrati nella nostra stanza. Abbiamo racimolato un pugno di monete, due sacchetti di riso, dodici uova e una quantità che non riesco a ricordare di sorsi di saké. Purtroppo, quelli non ce li potevamo portare via, e quindi mi gira un po’ la testa… Rai’an ci ha sgridate; dice che recuperato il suo tesoro, non avremo bisogno di questa roba, ma Kaori gli ha fatto notare che non possiamo pagare tutto con pezzi d’oro puro. Avremmo addosso le guardie del gover natore, l’esercito imperiale, i souhei e i briganti in meno di un giorno. Sarà anche un kamii, ma alle volte Rai’an è proprio ingenuo. Beh, a dirla tutta… non ci avevo pensato nemmeno io! Ma lui non ha bevuto nemmeno un sorso di saké, hehehe. –Sì; nel quale una sacerdotessa compie un certo rito.– continua Kaori. –E questo ha fatto smettere le sparizioni…– –Questo è ciò che siamo riuscite a scoprire. Per Rai’ansama, ha qual cosa a che vedere con l’oggetto nella tomba della divina Yamatototohi momosohime?– –Credo di no… non riesco a vedere il nesso.– –Comunque, che il nesso ci sia o meno, per noi la cosa è un problema.– –Non vedo perché.– –Beh… se quello spettro ha creato tanti problemi alla gente di Shiba, oltraggiando la sua tomba causeremo la sua ira.– –Non ho alcuna intenzione di oltraggiare la sua tomba…– –Se devi entrarci, la oltraggerai.– –Mah, quello che è certo è che non potremo andare a chiedere pala e piccone in prestito ai contadini di Shiba.– –No, direi proprio di no…– Kaori e Rai’an si allontanano dalla luce della candela per cercare di riflettere. Ma la riflessione è breve, perché Rai’an rompe subito il silenzio. –Beh, un problema alla volta. Ora, la cosa che dobbiamo fare è andare a prendere la cassetta.– –Hai già pensato a come chiederla al padrone?– –Non credo che chiedergliela sia una buona idea.– –Rai’ansama… cosa intendi?– –La gente dei villaggi del Wakakusa ha visto il mikoshi, e avremo biso gno di loro… ma non è che possiamo raccontare a tutti quelli che incon triamo chi siamo e cosa stiamo facendo.– –Stai dicendo di prenderla… e basta?– Kaori sgrana gli occhi. –Hai un’idea migliore?– –Qualsiasi altra idea è un’idea migliore!– sbotta Kaori. 106 –In questo caso… hai un’altra idea qualsiasi?– le sorride Rai’an; ma non è il suo solito sorriso. Stavolta è… teso… –Potremmo… provare a comprarla.– –Eh!?!– –Sì… quello è un mercante, quella è una mercanzia che ha in magaz zino, e non vedrà l’ora di liberarsene. Forse gliela possiamo portare via per qualche moneta d’argento.– Rai’an sembra pensarci su un po’, ma dal suo volto capisco che l’idea non fa molta strada fra i suoi pensieri. Lo capisce anche Kaori, che racco glie la pazienza che le è rimasta, ma non abbastanza da non far trasparire il nervosismo dalla sua voce, e prova a convincerlo: –Rai’ansama, ho giurato di proteggerti sulla mia stessa vita, e non posso lasciare che tu ti metta in pericolo facendo una cosa tanto stupida. Inoltre…– –Inoltre…?– Rai’an è visibilmente risentito. –Non… non posso permetterti di… di lordare il tuo makoto con un’azione tanto riprovevole.– Rai’an prende il fiato, e apre la bocca, ma ci ripensa e sospira. Volta lo sguardo, sembra riflettere, riprende il fiato e, di nuovo, apre la bocca… ma ancora le parole non vengono, e il fiato esce silenzioso. Il suo sguardo è quello di chi ha troppo da dire per dirlo in una sola frase… e non ha voglia di dirlo in due. Finisce col dire a mezza voce qualcosa che, capisco, è assai meno di ciò che ha davvero da dire: –Kaori… il mio makoto ha ben poca importanza in questa faccenda.– –Oh, no, Rai’ansama! Come miko, non posso permettere che il makoto di un kamii della tua grandezza sia…– ma si ferma. Nel lodare Rai’an, sembra provare più imbarazzo che nello sgridarlo. Sorrido; la conosco bene, è tipico di lei. Solo ora noto Jirou. Mano a mano che Kaori usava parole e toni sempre più duri verso Rai’an, il suo volto si era fatto sempre più scuro, tanto da sembrare più nero della penombra agli angoli della stanzetta. E ora, d’improvviso, si rilassa in un accenno di sorriso. –Ad ogni modo, – Kaori riprende il controllo, –quando si tratta di deci dere cosa fare, seguiamo la volontà di Rai’ansama. Quando si tratta di decidere come farlo… io ho promesso di servire Rai’ansama e di proteg gerlo con la mia stessa vita, e non permetterò a nessuno di interferire in questo giuramento; nemmeno a Rai’ansama stesso.– Waaaa, quando Kaori fa così mi fa morire! Tenere testa a un kamii! 107 Rai’an le sorride, stavolta è il suo sorriso benevolo, e le dice: –Io il re, e tu il generale? E sia, in fondo è giusto così.– Kaori ondeggia, sotto il sorriso di Rai’an, e sotto le sue parole. –Ecco… generale… non merito questo…– non si è ancora tolta la pol vere di riso dal volto, ma il suo collo è rosso come un ferro rovente. –Oh, sì, invece. Allora, facciamo come dici tu. Domani ci recheremo da questo mercante, e chiederemo il suo prezzo per quella cassetta miste riosa.– Musui Satomoto (K) –Oh, ma allora è il Budda Amida che vi manda!– No, no, siamo venute per conto nostro. Io lo penso, ma Midori lo dice apertamente, con quel suo sorriso disarmante. Il mercante, tutto vestito con un abito cinese, un cappello cinese, mantellina cinese, seduto su un cuscino di stoffa cinese, con una rada barbetta bianca alla cinese che gli scende dal mento, e due lunghi baffetti bianchi alla cinese che scendono giù dalle guance, rimane interdetto, col sorriso gelato a metà. Abbiamo lasciato fuori Rai’ansama e Jirou. Già far accomodare in casa due miko per parlare di affari è irrituale; farsi accompagnare da una guar dia del corpo e da un facchino sarebbe stato veramente scortese… se non addirittura sospetto. L’assicella di legno accanto al portone del muro esterno legge Satomoto. Non è il nome di una famiglia nobile; è solo un appellativo che il nostro ospite ha adottato come nome di famiglia. Evidentemente, per distinguersi dalla nobiltà di cui non fa parte, questo mercante si è dato anima e corpo alla moda cinese. O forse, commerciando con la Cina, così è più facile fare affari. Mah comunque, il volto niente affatto cinese, che ancora sa di terra e di risaia, affondato in tutta questa cinesaggine, ha un effetto assai buffo. Si è presentato come Musui. Sono in dubbio se chiamarlo Musuisan o Satomotosan… o addirittura se appiccicargli il dono. Beh, i modi di que sto tipo sembrano cordiali e rilassati, andrò per Musuisan. –Ehm, dunque…– attraggo l’attenzione del mercante, ancora gelato da Midori, –Musuisan… c’è forse qualcosa che dovremmo sapere su quell’articolo?– –Oh, sì, eccome!– si china verso di noi. Chissà quanti anni ha; di sicuro ha superato la mezza età, ma ha la pelle ancora ben lucida. Comunque ha una faccia simpatica, per essere un mercante. Ci invita con un cenno del capo ad avvicinarci, e ci allunghiamo sopra al tavolino. 108 –È maledetta!– sussurra con un filo di voce, e si ritrae di scatto come spaventato dall’aver pronunciato questa parola. Prego in silenzio Tougasama che Midori tenga la bocca chiusa. Ma per maggiore sicurezza le stringo una caviglia, assicurandomi che Musuisan non mi veda. –Davvero!?!– faccio con aria spaventata. –Eh già, nobile miko. L’ho comprata da un contadino delle mie parti, che l’aveva trovata nel suo campo. Aveva provato ad aprirla senza riu scirci, e così ha pensato di venderla a me. Siccome è molto pesante, ho pensato che ci potesse essere dentro… magari dell’oro!– –Nooo, davvero?– –Sì! Allora l’ho comprata, e anche per un buon prezzo. Ma per quanto abbia provato, non c’è stato modo di aprirla. E questo non tutto!– –C’è dell’altro?– –Eh sì. Pensate, che due giorni dopo che l’ho comprata, la casa del tizio che me l’ha venduta ha preso fuoco! È morto lui con tutta la sua famiglia!– –Oh, ma è terribile!– –Eh già. Allora ho pensato che fosse una di quelle cose misteriose di cui si sente parlare, che si vendicano quando te ne liberi…– –Oh, può essere…– Midori, se ti scappa una mezza parola ti sacrifico a Susanooo. –Pensate che ho fatto pure venire due monaci dal Toudaiji e li ho pagati per liberarmene, ma loro non hanno voluto nemmeno toccarla. Allora ho chiamato un onmyouji, che, almeno, ha sigillato la sua aura malefica.– Un onmyouji… una specie di astrologo indovino, o mago, o negromante, non l’ho mai capito bene, con tanto di patente del ministero dell’onmyou dou. La sola idea mi dà i brividi. –…Ora l’ho messa in fondo al magazzino; ma ho sempre avuto paura che la mostruosità che contiene potesse liberarsi, un giorno o l’altro… e pensare che ho pure cercato di aprirla!– –Eh, già, bisogna essere prudenti con questi oggetti demoniaci…– –Ci volevano due nobili miko pure e graziose come voi per liberarmi da questa maledizione.– –Oh… sei molto galante, Musuisan.– gli sorrido, e Midori arrossisce pudicamente. Nelle mani di una ragazza come lei, arrossire è un’arma letale. 109 Continuo: –Ora che finalmente siamo riuscite a trovare la sorgente di questa terribile maledizione, che inseguiamo da tempo…– non è una men zogna, sono almeno un paio di giorni che l’inseguiamo… –possiamo final mente purificarne la malignità.– –Oh… e quando?– mi chiede preoccupato Musuisan. –Anche subito! Certo… questi riti sono impegnativi e pericolosi…– –Oh… capisco … e cosa vi serve …– –Beh, Musuisan… tu cosa sei disposto a offrire?– Ombre per le vie (R) Il sole sta calando quando Kaori e Midori escono dalla casa del mer cante. Le ho seguite passo passo con i miei sensori, e quando le ho rilevate dentro al magazzino che si muovevano insieme, ritmicamente, ho capito che Kaori ne aveva pensata una delle sue. Ad un certo punto, dopo più di tre ore che erano dentro, Jirou ha iniziato a preoccuparsi e si è portato la mano alla spada che ha nascosto dentro al fagotto che tiene a tracolla, ma l’ho subito tranquillizzato. Ciò nonostante, è rimasto nervoso finché la porta non si è aperta. Kaori mi sorride radiosa, e si avvicina, seguita da Midori e da due inser vienti del mercante che portano la cassetta: anche se non è più larga di trenta centimetri di lato, deve pesare almeno quaranta chili, e lo sforzo è ben evidente sul collo dei facchini. Come mi passa di fianco, chiedo a Kaori: –Allora, quanto l’avete pagata?– ma lei risponde con un misterioso –Saa…– e un sorriso enigma tico, e si incammina verso la locanda senza fermarsi. Midori si avvicina e mi fa cenno di chinarmi, e quando lo faccio mi sussurra all’orecchio: –Ci ha dato quattro monete d’argento…–, poi ridacchia e corre dietro a Kaori. Diavolo di una miko, penso, mentre i due inservienti mi passano la cas setta, e appena la prendo fra le mani, scappano via chiudendo rumorosa mente il portone dietro di loro. È un parallelepipedo di metallo grigioargento, perfettamente satinato, e dall’esterno non si vede alcuna apertura. Su ogni bordo c’è appiccicata una striscia di carta con sopra scritto, con inchiostro rosso sangue, “sigillo” in caratteri cinesi antichi. Evidentemente, qualcuno lo ha preso per un oggetto maledetto. Ci avviamo lungo la strada, le ombre del tramonto si proiettano lunghe sul ghiaino ben pettinato e scalano i muri di cinta bianchi. Stiamo percor rendo una via un po’ più interna rispetto a quella che abbiamo preso le 110 altre volte, e passa poca gente. Ad un certo punto, il sole scende dietro all’orizzonte, e con esso scompaiono le ombre che ci tenevano compagnia. Kaori rallenta il passo e si mette al mio fianco, sorridendomi. –Rai’ansama…– –Sì?– –È da un po’ che siamo seguiti.– dice, continuando a sorridermi. –Eh!?– faccio. Lei scuote leggermente il capo, allargando il sorriso. Capisco… provo a sorridere anche io. Jirou, che cammina subito dietro di me, accelera il passo e si affianca a Kaori e sussurra: –Credo, da quando siamo usciti dalla casa di Satomoto.– Attivo il monitor di prossimità, e alla mia vista si sovrappone la proie zione tridimensionale di tutto ciò che si trova nel raggio di cinquanta metri. Ci sono quattro uomini corpulenti che camminano in fila, a circa trenta metri da noi. –Sono quei quattro lì dietro?– chiedo senza girarmi. Jirou e Kaori annuiscono all’unisono. –Li terrò d’occhio. Kaori, avvisa Midori…– Lei annuisce e si lascia raggiungere da Midori. –Jirou…– lo chiamo, e lui si avvicina; –forse è una coincidenza, ma …– –Non credo, Rai’ansama.– mi risponde con voce baritonale, –siamo stati a lungo davanti alla casa di un mercante, e ce ne andiamo dopo ore con una scatola dall’aria pesante sotto il braccio…– –Capisco…– avrei dovuto essere più prudente; ma a meno di diventare invisibili, era impossibile passare inosservati. –Cosa pensi che dovremmo fare?– gli chiedo. –Chiamare le guardie è fuori discussione; portarli alla locanda pure. Dovremmo far capire loro che li abbiamo visti… e vedere come reagi scono.– L’oscurità si fa strada in fretta, e in questa zona della città non ci sono torce. I quattro dietro di noi accelerano il passo. Secondo i miei sensori, siamo proprio un isolato di fianco al grande parco pubblico che abbiamo attraversato ieri; è un posto ideale per un agguato. –Si avvicinano.– annuncio. Jirou si toglie il fagotto dalla tracolla e, non visto da dietro, tira fuori un pungo di frecce che porge a Kaori e Midori, che nel frattempo si sono portate al nostro fianco; poi si rimette il fagotto a posto, facendo finta di averlo semplicemente aggiustato. Kaori stringe tre o quattro frecce con la sinistra e l’arco con la destra, mentre Midori tiene le frecce con ambo le mani, tremante. 111 –Quindici passi.– sussurro. Sentiamo il rumore del ghiaino smosso die tro di noi. Jirou si porta una mano alla nuca, facendo finta di grattarsi il collo. Attivo i generatori di campo gravitazionale; non posso aprire gli emetti tori che ho nelle mani, la luce sarebbe visibile come un faro, ma mi pre paro a farlo, se si rendesse necessario. –Dieci passi.– Kaori si infila le frecce nel fiocco dell’hakama, tranne una che tiene già pronta per l’incocco, e un’altra che stringe col mignolo. –Cinque.– –Adesso.– dice piano Kaori. Ci giriamo di scatto. Jirou sfila la spada da dentro il fagotto, Kaori incocca la freccia e punta l’arco, e io sollevo la mano, col palmo aperto, pur senza esporre gli emettitori. Si gira anche Midori ma l’arco gli trema vuoto fra le mani. Davanti a noi, quattro corte lame brillano davanti a quattro uomini pesanti. I nostri assalitori sono sorpresi e indietreggiano, ma il vantaggio dura poco. Un urlo secco del capo, e i due ladri sulla destra e sulla sinistra scat tano avanti, allargandosi per circondarci, ma Kaori fa partire la freccia e prende quello a destra in una coscia; il furfante rotola per terra con un urlo strozzato. A sinistra ci siamo io e Jirou, che si butta sul tipo che ci sta girando dietro; questo cerca di allargarsi, ma il muro di cinta lo blocca. Jirou rotea su sé stesso, e la sua spada va a cercare la mano armata dell’avversario, che scatta all’indietro allargando le braccia, ma così facendo si scopre. Jirou mette la lama di punta e scarica un affondo con ambo le mani, ma il ladro si gira di lato, facendo finire il colpo fuori misura. Il coltello saetta nel buio verso la gola di Jirou, ma nemmeno lui è impreparato: piegando con violenza il corpo, la sua testa e la sua spalla si abbattono sul petto del ladro, che non riesce a chiudere la traiettoria del coltello e cade rovinosamente a terra, tre metri più indietro, in un’esplo sione di ghiaia che schizza via da sotto la sua schiena. Kaori incocca la freccia che teneva col mignolo, e la tende proprio in faccia al terzo ladro. La lama è sollevata su di lei, ma la freccia arriverà prima. Devo fermarla. Apro le fessure sulla mia mano e scarico l’energia dell’anello supercon duttore locale negli emettitori gravitazionali. L’aria si piega davanti a me, ondeggiando come un foglio di plastica trasparente, e il ladro si solleva da 112 terra, acquistando progressivamente velocità e andando a sbattere violente mente contro il muro di cinta dall’altra parte della strada, e poi contro il terreno, stordito, ma ancora vivo. La pallida luce azzurrina degli emettitori che esce dalle ampie aperture, ora visibili sulla mia mano, illumina il volto di Kaori, paralizzata per la sorpresa, con la freccia nell’arco già pronto a scoccare. Ma il grido di Midori mi fa girare di scatto. Il suo arco rimbalza per terra, assieme alle frecce. Accanto al suo volto distorto dal terrore, il ghi gno del capo, e sotto il suo mento, la lama. –Non un passo, o questa bella sorellina fa una brutta fine.– dice girando la lama sotto alla gola di Midori. Il ladro buttato a terra da Jirou si rialza a fatica, e quello che ho sbattuto sul muro cerca di rimettersi in piedi. Lo sguardo del capo cade sulla mia mano, con gli emettitori ancora esposti. –Che razza di mostro sei…? Togliti il kasa.– mi intima. Lo sfilo, ma senza abbassare la mano. Nel frattempo, i suoi compagni vanno verso il ladro ferito da Kaori. –Certo che sei brutto forte…– mi fa. –Cosa vuoi?– –Oh, solo tutto quello che avete…– –Capo, guarda cosa mi ha fatto quella puttana!– grida il ladro a terra; il sangue gocciola copioso dalla freccia. –Piantala di piagnucolare.– Poi tira la coda di Midori, facendole voltare la faccia verso l’alto. –Però, forse, se ce la spassiamo un po’ noi due, potrei anche lasciare andare i tuoi amichetti…– Devo agire. Ci separano circa due metri. A questa distanza, se gli gene rassi attorno un campo gravitazionale, quasi sicuramente coinvolgerei anche Midori, senza contare che il ladro potrebbe ferirla mentre viene spazzato via. I laser coassiali. Nella penombra sarebbero quasi invisibili… Le sonde si sfilano da dietro la mia nuca e si posizionano proprio sotto il mio mento. Sono alla distanza limite dei sensori di precisione, ma riesco a fissare il bersaglio sul tendine del polso del capo. Un fascio a bassa inten sità è invisibile nella notte, ma la mano del ladro si apre in uno spasmo, e il suono del coltello che cade a terra è coperto dal suo urlo strozzato. Per la sorpresa, il capo salta indietro, lasciando cadere Midori a terra. Grave errore. L’anello superconduttore nella mano è già carico: lo spazio attorno al ladro si piega, scagliandolo via e facendolo ricadere dieci metri più indie tro. 113 Non faccio in tempo a girarmi che la spada di Jirou e la freccia di Kaori sono già puntati sui tre ladri in mezzo alla strada. Mentre Midori si rialza, le chiedo: –Tutto a posto?– –Sì… credo… credo di sì…– dice, tremante, mentre si toglie di dosso il sottile ghiaino. –Non… non uccideteci… pietà!– piagnucola il ladro meno malconcio dei tre. Mi avvicino a quello ferito, con l’emettitore ancora aperto. –No… non… va via!– trema, e gli altri due cadono a terra, trascinandosi all’indietro con le mani. –Fammi vedere… è una brutta ferita.– dico, mentre mi chino su di lui. Sotto la sua gamba, si è già formata una piccola pozzanghera di sangue. Apro anche gli emettitori della mano destra, ed entro in modalità assi stita. Applico un campo di stasi locale, e le sonde dei laser coassiali si avvicinano alla ferita. Usando i laser, taglio la punta della freccia che sbuca dalla gamba, e, con il braccetto meccanico che si prolunga dal mio avambraccio, sfilo il resto dall’alto. La sonda del rigeneratore cellulare chiude le pareti delle vene recise, e poi, dopo averla disinfetta con una radiazione risonante, chiude anche la ferita. Il ladro seduto per terra di fronte a me mi guarda con terrore, ma quando vede che la ferita non c’è più, si mette in ginocchio e premendo la fronte contro la ghiaia, fra le lacrime e la voce rotta: –Grazie… pietà… grazie, grazie! Pietà!– Mentre chiudo gli emettitori e ritraggo le sonde, mi scappa una risata. Un po’ è anche per la paura che ho avuto, ma… quel tipo è davvero buffo. –Allora, vuoi dirmi grazie o chiedermi pietà?– Il ladro resta inginocchiato a terra, tremante, singhiozzante e in silenzio. –Bah… sparite.– dicco secco. I tre non se lo fanno ripetere, e recuperata la posizione eretta, cominciano a correre. –Ehi!– li chiamo. Si immobilizzano sul posto, uno resta pure con un piede sollevato. –E quello?– chiedo indicando il loro capo, che sta rinvenendo proprio in quel momento. –Non ve lo riprendete? Noi non non sappiamo che farcene…– I tre invertono il senso di marcia e vanno a prendere il ladro ancora a terra, sollevandolo e trascinandolo, per poi dileguarsi nella notte. 114 Mi accorgo ora degli sguardi increduli di Jirou, e soprattutto di Kaori, fissi su di me. So che vorrebbe chiedermi perché li ho lasciati andare, ma sembra troppo scossa per parlare. Allargo le braccia, come a dirle, e che altro potevamo fare? Lei scuote la testa, poi sospira e scrolla le spalle. Chiarito questo punto, andiamo tutti e tre verso Midori, che sta in piedi, immobile, a guardare fissa l’arco e le frecce cadute a terra, stringendosi il gomito con la destra. –Midori…– la chiama piano Kaori, mentre Jirou raccoglie le frecce e rinfila la spada nel fagotto sulla schiena. –Midori…– ripete ancora più piano, e ancora senza risposta. Si avvicina e la prende fra le braccia, sussurrandole piano. –Su, su… è finito…– –Kaori…san…– –Su…– Midori trema fra le braccia di Kaori, che le carezza i capelli, sussurran dole parole rassicuranti. All’improvviso, la giovane miko scoppia in un pianto incontrollato, e nasconde le sue lacrime sulla spalla dell’amica più anziana. Kaori c erca di calmarla, sussurrandole –Yoshi… yoshi...– Sempre insieme (M) Quel lurido… maledetto… bastardo… maiale… serpe… procione! Perché Rai’an l’ha fatto scappare via? Non glielo perdonerò mai. MAI! Ho ancora nelle narici il puzzo della sua bocca marcia. Che schifo. Che schifo! Che schifo!!!! –Midori…– mi chiama Rai’an. –Eh?– –Tutto a posto?– … uffa, hai una voce così sincera che mi tocca anche perdonarti! –S… sì…– Che schifo. Siamo appena rientrati; Jirou sta sistemando la sua spada, e Kaori guarda fuori dal pannello per assicurarsi che non passi nessuno. Poi lo chiude piano e si siede vicina a me. Le appoggio la testa su una spalla, e sento la sua mano che mi accarezza una guancia. Jirou si siede davanti a noi due, e Rai’an di fianco. In mezzo, la cassetta. 115 Rai’an ci appoggia la mano, e l’aria si colora dei quadri magici che la sua gente sa disegnare. Oh, è così rilassante… ecco, una parola magica e il coperchio si solleva. Oooooh! La luce delle candele batte su tanti piccoli lingotti d’oro! Non ho mai visto niente di così lucido e brillante in tutta la mia vita; il bagliore si riflette sulle pareti, e sembra che qualcuno abbia acceso una candela in più! Ma Rai’an non ha il minimo interesse per tutta quella ricchezza, e sposta il vassoio che contiene i lingotti sul pavimento. Sotto c’è un altro vassoio, con degli oggetti che non ho mai visto. Anzi no, ora che ricordo… assomi gliano a quella cosa che ha tirato fuori da una sua costola per aprire il carro: sono sei piccoli tubi, lunghi poco più di un dito. Rai’an li mette via in una tasca del suo kimono. Poi sposta anche quel vassoio. E queste robe che sono? Hanno una sagoma strana… una specie di tubo bianco, tutto bitorzoluto, con una spe cie di uovo da una parte. Rai’an ne prende una in mano, e ora vedo che il tubo è un’impugnatura, e quel grosso uovo che esce da una parte sta pro prio sopra il pollice. Come l’impugna così, l’uovo si illumina e si colora di blu, giallo, rosso e verde. –Queste…– Rai’an ci guarda con aria grave …sono armi molto potenti. Possono uccidere decine di uomini a decine di braccia di distanza.– Jirou sgrana gli occhi, e Rai’an si gira verso di lui. –Vorrei che imparaste ad usarle, in caso di pericolo. Ma non è una cosa facile, ed essendo armi così pericolose, non posso darvele finché non avrete imparato bene.– Si gira di nuovo verso di noi. –Ve la sentite?– Kaori lo guarda un per un po’, immobile, quasi ipnotizzata da quelle luci che brillano sull’uovo. Poi annuisce piano, ma non sono sicura che sia davvero qui con la testa. Rai’an posa la uovoarma, e tira fuori quella che sembra una collana… ma come la solleva vedo che più che una collana assomiglia ad una piccola rete di maglie metalliche. –Questo invece… è uno scudo, ma può anche essere usato per scagliare via qualsiasi cosa ci stia davanti…– Jirou gli chiede: –Come hai fatto tu stasera?– –Esatto. Si indossa così…– e fa cenno a Jirou di porgergli la mano. Lui lo fa, un po’ titubante, a dire il vero, ma lo fa. Rai’an gli poggia sul palmo la collanina, e questa prende vita! 116 Jirou quasi salta. La rete si stende e si allarga da sola, e le sue maglie abbracciano tutta la mano ed il polso fino a metà dell’avambraccio, lasciando una specie di piccolo specchio sul palmo. Jirou solleva il braccio e lo gira piano, per guardare la rete da ogni lato. –Ecco, questa macchina può deviare colpi in arrivo, o spingere via cose anche molto pesanti; ma usarla è ancora più difficile, e dovrete allenarvi molto.– Forte… non vedo l’ora di provare. Così se risuccede qualcosa come sta sera… quel procione… lo faccio volare via. Rai’an fa un cenno a Jirou. –Eh?– –La mano…– –Oh…– e porge di nuovo la mano a Rai’an; con un suo tocco, le maglie si sciolgono, e la collanina cade sul pavimento. Rai’an la riprende e la posa nella scatola magica. –Questo, invece…– Rai’an tira fuori un … beh… uno strano gioiello; fatto di fili d’oro attorcigliati, sembra una specie di amo, un grosso gancio con fili d’oro che si allungano come rami, a destra e sinistra, –… vorrei che lo usassimo subito.– Come dice così, solleva il gancio e lo appoggia dietro l’orecchio; ah, ecco! La forma è proprio quella di come l’orecchio si attacca alla testa! Come lo appoggia, si sente appena appena un sibilo; Rai’an gira la testa e ci mostra che il gancio ha aderito perfettamente dietro il suo orecchio. –Questo può farci parlare anche quando siamo lontani.– –Eh?– faccio io, sollevando la testa dalla spalla di Kaori. –Si fa prima a provare che a spiegare.– Rai’an prende tre di quei ganci, e gira dietro di noi; si inginocchia e mi sposta i capelli. Non credo di avere molta scelta… lo lascio fare. Mi appoggia delicatamente il gioiello dietro l’orecchio, e sento quel sibilo, e un po’ di solletico. Mi scappa una risatina. Fa la stessa cosa a Kaori, poi va dall’altra parte e lo mette anche a Jirou. –Ecco… aspettate un momento…– Scosta il pannello, esce, e si allontana di qualche passo. –Mi sentite?– Ci giriamo tutti di scatto; Rai’an non c’è, eppure lo udiamo come fosse accanto a noi! –Fate così. Appoggiate un dito dietro l’orecchio e provate a parlare.– Kaori e Jirou hanno uno sguardo sperduto. Mi sembrano addirittura spa ventati. 117 –Ma di che avete paura? Sono macchine di Rai’ansama!– sorrido loro, e faccio come mi ha detto. –Rai’ansama, mi senti?– –Come se mi sussurrassi nell’orecchio, Midori!– Rido. –Che forza! La tua gente si deve divertire un sacco con questi gio cattoli!– Sentiamo tutti e tre la risata calda di Rai’an. Kaori avvicina piano un dito al lobo… esita, ma le sorrido e le faccio cenno di provare. –Rai’an…sama?– sento anche la voce di Kaori, che appena sussurra, arrivare forte e chiara. –Sì, Kaori?– Anche Jirou ci prova: –Rai’ansama?– –Jirou? Bene… questo comunicatore ci permette di parlare anche se siamo distanti, e questo può essere molto importante. Inoltre, nel caso dovessimo perderci, posso ritrovarvi ovunque voi siate.– Kaori appena sussurra: –Rai’ansama, io…– ma ha tolto dito dall’orec chio! Le faccio cenno di toccare il gioiello, e lei arrossisce e si confonde… è quasi tenera! Si tocca piano dietro l’orecchio e ricomincia: –Rai’ansama… io… non so come ringraziarti… questo tuo dono per noi è… troppo…– La voce di Rai’an ci arriva piano, come una calda carezza: –Kaori, il debito che ho con voi è infinito. Questo è nulla al confronto. Il solo fatto che accettiate di usare queste macchine… il solo fatto che abbiate tanta fiducia in me… è impagabile. Grazie.– Kaori si porta entrambe mani davanti alla bocca e trattiene il fiato; la conosco, quella mossa: la fa sempre quando è emozionata fino alle lacrime. Dubbio (K) Midori dorme accanto a me. Quanta paura ho avuto quando quel bri gante l’ha presa… mi si è gelato il sangue. Non posso dormire. Mi alzo attenta a non fare il minimo rumore, e mi inginocchio accanto a lui. Più oltre, Jirou dorme profondo, ma Rai’an sama… non riesco a capire. Mi chino su di lui. Sembra quasi non respiri. –Rai’ansama…– sussurro piano, e lui apre gli occhi. –Kaori?– anche il suo è un sussurro. 118 –Devo parlare con Rai’ansama…– cerco di essere formale, ma chinata sul suo cuscino, in una stanzetta di una locanda in cui dormiamo in quat tro… mi viene da ridere di me. Lui scosta le coperte; mi alzo e apro piano, molto piano, il pannello. Facciamo qualche passo sul davanzale, e siccome non riesco a parlare, è lui che mi chiede: –Kaori… cosa c’è?– –Rai’ansama… quando ho accettato questo incarico ho giurato di pro teggerti. Ma…– come posso esprimere i miei pensieri? Come posso dire quello che voglio dirgli senza recargli offesa? Mi sento presa per le spalle. Le sue mani mi costringono delicatamente a girarmi verso di lui. Alzo lo sguardo; accanto al suo volto, la luna mi acceca. O forse, non è la luna a oscurare la mia vista. –Kaori… dimmi… cosa c’è che non va?– –Io … non so quali siano i tuoi reali poteri, ma sono certa che le mie frecce sono ben misera cosa al confronto. Mi chiedo… come potremmo esserti mai di aiuto…– –Kaori…– mi sorride… distolgo lo sguardo, ma lui non lascia le mie spalle. Mi accorgo che non voglio che le lasci. –Io… non so se sono all’altezza di questo compito.– –Eh!? Vuoi scherzare! Senza di te starei ancora girando per trovare Amagane!– Mi costringo a guardare di nuovo il suo volto. Anche contro la luna vedo che mi sorride; se non avessi le sue mani a tenermi per le spalle, credo che le mie gambe non potrebbero sostenermi. Ed è così vicino… –Kaori, senti, sai come mi hanno scelto per questa missione?– Non rispondo. E chi altri avrebbero potuto scegliere? Chi potrebbe essere meglio di te? –Sono venuti da me e mi hanno detto: “un antropobiologo è quello che ha maggiori probabilità di successo”, e fra gli antropobiologi, io ero quello che ne sapeva di più sul Giappone antico. Ma io non sono tagliato per que ste cose! –Ho detto loro che ci voleva, che so, un militare, un guerriero, insomma, qualcuno che se la sapesse cavare da solo! –Ma niente, mi hanno risposto che a ricoprire questo incarico doveva essere un medico esperto anche nella cultura e nella storia del luogo. Sape vano che da solo non avrei potuto farcela, così mi hanno ordinato di tro vare qualcuno che mi aiutasse. 119 –Non sei tu quella che non è all’altezza, Kaori, sono io! Tu sei perfetta!– Sono senza parole. La prima cosa che mi viene da pensare è che grande deve essere la saggezza di coloro che ci hanno mandato Rai’ansama… ma subito mi rendo conto di quello che mi sta dicendo. –Io!?! Perfetta!?!– –Kaori, senza la tua guida, senza la tua esperienza, non saprei nemmeno da dove cominciare. Non avrei avuto un posto dove dormire, nulla da man giare e… pensa anche alla storia del mercante!– –Rai’ansama…– non so che altro dire. –E adesso basta coi pensieri cupi. Vedrai, andrà tutto bene.– –Sì… grazie.– Rai’ansama mi sorride e lascia le mie spalle. Poi si gira a guardare la luna. –Quant’è bella…– sussurra. –Non c’è la luna… su Kasei?– –No… ci sono due piccole lune; una è appena più piccola di un petalo di ciliegio, l’altra è appena più grande di una stella qualsiasi.– Due lune? Ma è impossibile! Mi viene da chiedergli: –E… dove stanno queste lune?– Lui si gira a guardarmi. Sembra cercare qualcosa sul mio volto, o nei miei occhi; sto quasi per distogliere lo sguardo quando mi fa: –E va bene, penso tu sia pronta.– Solleva le mani verso Kasei e allargando il pollice e l’indice forma una specie di rettangolo. Le sue dita si aprono, mostrando il bagliore che alberga sotto la sua pelle, e l’aria fra di esse si riempie di luce. Il puntino rosso di Kasei si fa più grande, e presto diventa una pallina rossa, e poi ancora più grande, fino ad occupare tutto lo spazio fra le sue dita. Un po’ ricorda la Luna, ma è una grossa palla color ruggine, con larghe macchie brune e sbuffi bianchi, e in cima ha un cappello bianco latte. –Questo è un ingrandimento di ciò che vedi. Se guardassimo attraverso un vetro levigato in un certo modo, vedremmo la stessa cosa.– È vero! Ricordo che quando ho visto la bottiglia di vetro sulla banca rella di un mercante cinese, e ci ho guardato attraverso, le cose mi sono apparse più grandi. –Vuoi dire che… questo è Kasei?– –Esatto. Lo stiamo vedendo proprio come è ora; se i nostri occhi fossero molto più potenti, lo vedremmo così. Guarda, sta passando la sua luna più grande!– 120 E quella cos’è… una specie di patata giallastra che entra da un bordo e si muove svelta sopra la palla rossa. –Pensa che questa gira intorno a Kasei in meno di mezza giornata.– –Mi sembra… che si muova… dico, la palla rossa…– –Già. Ruota completamente su sé stessa in circa un giorno. Proprio come questo Mondo.– –Eh? Il Mondo… gira?– –Esatto. Il Sole sta fermo e il mondo gira.– –Ma …– mi scappa da ridere –… ma Rai’ansama, si vede benissimo che il sole si alza nel cielo e poi scende…– Rai’ansama abbassa le mani e si gira verso di me: –Prova a fare un giro su te stessa.– –Eh?– –Sì; guardami e fai un giro.– Mi sembra sciocco, ma se me lo chiede Rai’ansama, ci provo. –Ecco, hai visto? Sono sorto a destra e tramontato a sinistra.– –Ma Rai’ansama, la terra sta ferma!– –Niente affatto; gira come una trottola, ma noi ci muoviamo con lei, e non ce ne accorgiamo. È come quando sei su un carro che va veloce: sic come tu e il carro vi muovete insieme, ti sembra di stare ferma e che tutto si muova attorno a te.– Non ci credo. Rai’ansama si guarda intorno; probabilmente si sta assi curando che non passi nessuno. Dopo aver controllato, apre le mani e fa calare il telo dove disegna le cose già viste. –Ecco, guarda; questa è una mappa di quelle che voi chiamate stelle erranti. Sai perché si chiamano così?– –Sì… perché cambiano posto in cielo senza una direzione precisa.– –Esatto. Ora guarda: qui al centro c’è il sole; la stella errante che gli gira più vicino è Suisei, poi Kinsei, poi c’è questo Mondo… lì sul quarto anello gira Kasei… e poi, vedi, molto più lontano Mokusei e ancora più in là Dosei… ora, siccome giriamo anche noi attorno al sole, le altre stelle erranti che girano con noi cambiano posto in un modo che, guardandole da qui, è difficile prevedere. Sembra che si muovano a caso. Invece, percor rono questi cerchi, ognuno ad una velocità diversa. Ecco, adesso vedi il percorso che questo Mondo compie in un anno.– Le palline sul disegno di Rai’ansama iniziano a muoversi, e girano attorno alla fiamma che brucia al centro. Su ognuna c’è il suo nome, come su una mappa. Ognuna si muove in modo diverso. Kinsei è tutta bianca, e 121 Kasei è rossa; il Mondo, fra i due, è blu e striato di bianco… sono le nubi? … E quando ha finito un giro completo, Kasei ancora deve farne mezzo, e Kinsei ne ha fatti quasi due. –Vedi? Un anno è un giro attorno al sole.– Siamo su una immensa giostra insieme ad altre stelle… Le costellazioni, il sole tutto sorge e tramonta perché il mondo gira su sé stesso, e girando girando, rotola attorno al sole… Rai’ansama interrompe i miei pensieri: –Le maree, i vulcani e i terremoti, i venti, gli uragani, sono tutte cose che succedono, in parte, anche a causa della rotazione del Mondo. Non essendo una trottola perfetta, e con la luna che ci gira attorno, anche un piccolo sbilanciamento produce forze immense che schiacciano, spingono, tirano e scuotono la terra e l’aria su di essa, e naturalmente, tutta l’acqua degli oceani.– –E… anche le stagioni?– –Sì… guarda…– adesso il disegno si sposta e gira; gli anelli si appiatti scono, sto vedendo la mappa di fianco. –Vedi? Il Mondo non gira proprio piatto attorno al sole, ma sale e scende; quando è da questa parte, i raggi del sole colpiscono dritto a nord, e quando invece sta di qua, è la parte a sud che prende più luce.– –Qui è quando il sole è più alto?– chiedo, indicando la parte dove il Mondo sta più in alto. –No, il Giappone è in alto, quindi prende più luce quando il Mondo è sotto al sole.– –Oh… capisco… ma allora, quando qui è estate, a sud è inverno?– –Esatto.– Il disegno sparisce. Guardo la luna. Una palla di roccia nel cielo. Come Kasei. Come il Mondo. Non potrò mai più guardarla allo stesso modo di prima. –Kaori…– E le stagioni… la magia delle stagioni… ora ho visto… il sole non si alza nel cielo d’estate, è il Mondo che è in un posto diverso… –Kaori?– … E le altre stelle? Non quelle erranti, quelle che stanno ferme? Quelle… cosa sono? –Le stelle! Le altre! Cosa sono?– la mia voce esce più forte di quanto vorrei. La sento come non mia. –Eh? Oh… quelle sono altri soli. Molto lontani. Altre palle di fuoco che bruciano nel cielo.– 122 –Altri Soli… con altri mondi che ci girano intorno, come il nostro Sole?– –Sì… non tutte le stelle sono così… ma molte assomigliano al nostro Sole.– Guardo il Fiume d’Argento, la striscia di stelle che taglia il cielo della notte a metà. Quelli sono Soli. Tanti, tanti Soli. Mi sento cadere. Davanti a me c’è solo Rai’ansama. Mi sento piccola. Tanto piccola. Quelli sono Soli. Là ci sono altri Mondi. Così tanti che non potrei contarli in tutta la mia vita. Mi gira la testa, mi aggrappo al Kimono di Rai’ansama. Vorrei dire che non ci credo, ma so che non è vero. È tutto lì, davanti a me. Aspetta. Aspetta un attimo. Non può essere. Qualcosa non va. Allora cos’è il Fiume d’Argento? Cosa se ne stanno a fare tutti quei Soli lì assieme? Chi li ha messi lì? Sorrido. Almeno questo, Rai’ansama non può saperlo. –E allora… il Fiume d’Argento?– gli chiedo con aria di sfida. Mi sem bra di camminare su una fune tesa fra due montagne; il Fiume d’Argento è la sottile corda su cui poggiano i miei piedi, e nemmeno Rai’ansama potrà spezzarla… Ma lui riapre il suo dannato telo nero… e c’è di nuovo la mappa delle stelle erranti. –Adesso, ci allontaniamo un po’.– I cerchi si fanno più piccoli, il Sole diventa un puntino bianco, e nel telo iniziano ad apparire altri puntini. Altri Soli. Mano a mano che ci allontaniamo, i Soli si stringono, e diventano tanto piccoli da sembrare sabbia, poi polvere, una splendente polvere luminosa. Adesso c’è un gorgo, un vortice di polvere luminosa che occupa tutto il telo. –Le stelle non se ne stanno nel cielo a casaccio. Sono attratte le une alle altre dalla forza del loro stesso peso, e si raggruppano in nubi che noi chia miamo galassie. Questa è la galassia in cui si trova il nostro Sole. Dall’alto sembra un vortice, e di fianco, dove siamo noi…– Il disegno gira e si appiattisce, diventando una larga striscia di sabbia luminosa. –Ci sono anche delle polveri scure, fra le stelle, che fanno ombra alla luce; per questo la striscia che vediamo da qui un po’ disordinata. Ecco, aggiungendo la polvere…– Sì. Ora, il disegno è proprio uguale alla striscia del Fiume d’Argento. 123 –Quante sono… quante sono queste stelle? Sembrano tante come gra nelli di polvere…– –Circa quattrocento miliardi.– Quattrocento miliardi… di Soli… e di mondi… –E … le altre stelle? Quelle lontane dal Fiume… quelle cosa sono?– –Alcune sono stelle vicine. Ma la maggior parte sono altre galassie, simili alla nostra.– Altri Fiumi d’Argento, vortici di polvere di luce… Mi tremano le gambe. –E quelle… quante sono…?– –Non lo sappiamo con precisione… circa cento miliardi.– Cento miliardi di Fiumi d’Argento. Quattrocento miliardi di Soli in ognuno di essi. La corda su cui camminavo si spezza. Mi siedo a terra. –Kaori…– mi chiama piano Rai’ansama. Ho paura di sollevare lo sguardo. –Era… questo…– –Kaori?– Rai’ansama si china su di me. Continuo a guardare il legno del davanzale. –Era… questo… che guardavi… nella notte…– –Cosa intendi…?– –Ora… ora capisco. Il tuo sguardo. Il tuo volto. Tu guardavi il cielo… e sapevi tutto questo.– –Kaori?– –Questa immensità. Tu guardi le stelle e la vedi. Tu la comprendi…– Come fa a essere così grande? Come fa a essere tanto grande da affon dare il suo sguardo in miliardi di soli, in miliardi di Fiumi d’Argento… senza perdersi? –Kaori… ti chiedo scusa, forse non avrei dovuto…– –No! Non chiedermi scusa, Rai’ansama…– la mia mano scatta e afferra una manica del suo kimono, stringendola tanto forte da far male, –quello che mi hai detto è…– ma non riesco a finire la frase. Invece, stringendo la sua veste, trovo il coraggio di alzare lo sguardo al cielo, piano piano. Le stelle sono sempre lì. Sono sempre state lì e saranno sempre lì. Non sono loro che sono cambiate. Sono io. Lo so bene. Non mi serve uno spec chio per sapere che adesso ho lo stesso sguardo di Rai’ansama, quella volta che l’ho visto guardare il cielo alla sorgente termale. –Ora… ho compreso quel tuo sguardo, Rai’ansama.– 124 Anche lui guarda le stelle. –Fa sentire piccoli, eh…?– Annuisco piano. –Ma…– mi escono le parole –… sai una cosa, Rai’ansama?– –Kaori?– –Un po’… giusto un po’… io credo… vedere tutto questo… fa anche sentire grandi.– Lui mi guarda. Ancora stringo la sua manica, e lui mi appoggia delicata mente la mano libera sulla spalla, quasi abbracciandomi. Io contemplo questa immensità. Non la comprendo, ma ora posso con templarla. Una spada curva (R) –Rai’ansama, mi è permesso porti una questione?– Jirou si rivolge direttamente a me molto di rado, e quando lo fa, usa sempre un tono molto formale. –Dimmi tutto!– … e io cerco di buttare la conversazione sull’amichevole. È la mattina del terzo giorno qui a Nara, e ci stiamo recando da un mae stro spadaio di nome Yakamochi. Midori è rimasta alla locanda a occu parsi… del bucato. Ebbene, anche una missione importante come questa ha bisogno di un supporto logistico di base… e siccome Kaori ci serve per negoziare, Jirou per provare la spada ed io sono l’unico che sa esattamente cosa stiamo cercando, tocca necessariamente a lei. Kaori cammina silenziosa al mio fianco; da stanotte, praticamente, non parla. Mi chiedo se ho fatto la cosa giusta. Ma in fondo, chiederselo ha poco senso. –Con le armi che hai recuperato, che bisogno c’è di una nuova spada?– completa la sua domanda Jirou. –Oh, beh, innanzi tutto, ci vorrà molto tempo prima che siate in grado di usarle. Ma comunque, una buona spada maneggiata da un esperto come te rimane un’arma temibile; e soprattutto, ben visibile.– –Appunto… non è preferibile occultare le proprie forze?– –In alcuni casi sì. Ma in altri, preferisco che chi potrebbe volerci aggre dire veda bene che hai un’arma, e che puoi usarla.– –Oh, capisco…– annuisce piano. –E, secondo Rai’ansama, la mia spada non è adeguata?– –Credo che ti renderai conto tu stesso.– 125 Ora l’ho proprio incuriosito. La spada di Jirou deve essere stata com prata dai contadini, o forse recuperata in qualche modo, da qualche guer riero di passaggio. È una normale spada da fanteria, e a giudicare dalla foggia e dalla qualità del bronzo, deve avere circa cento anni. È una spada dritta a doppio filo, come quelle cinesi, ma di qualità mediocre già alla nascita. Non sono nemmeno sicuro che potrebbe resistere ad un combatti mento serio senza spezzarsi. Intorno al 930, in Giappone si è iniziata a sviluppare la tecnica di forgia tura delle spade curve, ottenute con l’impiego di due pani di acciaio a diversa concentrazione di carbonio, che, verso la seconda metà del 1300, porterà alla realizzazione delle migliori lame del mondo. Non abbiamo dati precisi, ma è certo che, in questo momento, le spade curve sono una rarità; le spade dritte, pensate per colpire principalmente di punta, saranno predo minanti ancora per un centinaio di anni. Secondo Kaori, questo Yakamochi potrebbe avere l’arma che cerco. In un epoca in cui le spade di bronzo sono ancora molto diffuse, e quelle di ferro sono rare e, in genere, assai poco efficaci, avere una katana, una lama come quella dei futuri samurai, sarebbe già un vantaggio notevole. Eccoci arrivati; il portone che immette ad un piccolo giardino è aperto. Già da fuori si sente il rumore ritmico di martelli che battono sul metallo. Entriamo nel giardino e fatti pochi passi, ci leviamo le calzature e saliamo nella bottega. Non credo di poter tenere il kasa, quindi lo levo prima di attraversare la soglia. Kaori chiama l’artigiano: –Buongiorno, è permesso?– Il maestro spadaio, seduto, regge in una tenaglia una lama rovente su una pietra che funge da incudine, e due giovani apprendisti stanno facendo calare i magli sul ferro, seguendo un rigido ritmo. Un terzo apprendista è seduto in ginocchio. Il maestro alza gli occhi giusto un istante, e noi attendiamo accanto all’ingresso. Non appena il colore del ferro battuto inizia a svanire, passa le tenaglie all’apprendista seduto e gli dice: –Continua tu.– Come ci viene in contro, ci inchiniamo. Anche lui fa un breve cenno col capo. Sembra non fare caso al mio aspetto. –Il mio nome è Yakamochi. Come posso esserti utile, nobile miko?– –Il mio nome è Kaori, miko anziana del Santuario di Koumon. Cer chiamo una spada particolare, e conoscendo la tua fama, abbiamo pensato di rivolgerci a te.– –Una spada particolare?– 126 Kaori mi fa un cenno. Chino la testa e mi presento: –Il mio nome è Ryan. Sono alla ricerca di una spada curva, con un solo bordo tagliente, realizzata con due pani diversi di tamagane.– Yakamochi mi guarda intensamente. È un uomo di mezza età, ma ha profondi solchi sul volto che sembrano scavati dal calore della fucina. La pelle è bruna, perlata di sudore, e ha lunghi capelli crespi, di diverse tona lità dal grigio scuro al bianco che gli scendono fino alle spalle. –Conosci molto bene questo tipo di spada. Ne hai mai vista una?– –Sì… ne ho viste molte, maestro.– –Allora devi aver servito dalle parti di Ibaraki.– Lo sguardo di Yakamochi mi trafigge. Le spade curve sono state impie gate per la prima volta da Masakado dei Taira, signore di Ibaraki, durante un tentativo di ribellione che fu soppresso nel 940. Con soli mille uomini, aveva sconfitto l’esercito imperiale tre volte più numeroso, ed era stato fer mato solo grazie all’intervento massiccio dei Fujiwara. Pur avendo questa nuova arma, molto superiore alle spade diffuse in quel periodo, Masakado era stato sconfitto, e ucciso; probabilmente, questo è il motivo per cui ci sarebbero volute altre centinaia di anni prima che quel modello di spada si imponesse definitivamente. Questo e, naturalmente, il fatto che forgiare una spada di quel genere può richiedere settimane di lavoro. –Conosco quella regione.– –Sei vestito come un contadino… ma sei uno straniero, conosci bene quest’arma molto rara ed hai vissuto nella provincia di Ibaraki. Sei un uomo molto particolare, Rai’ansan.– Non è un complimento, ma faccio finta di non accorgermene e faccio un piccolo inchino per ringraziare. –Venite con me.– ci dice, ed esce dalla fucina. Lo seguiamo verso quello che sembra essere un magazzino. In realtà, ci sono più materie prime che prodotti finiti; in genere, questi artigiani lavo rano su commissione. Le spade appese alle pareti sono tutte dritte e a doppio filo, ma vedo subito che sono lame di ottima fattura. Ce ne sono di varia lunghezza e spessore, ma decisamente, non sono spade da truppa di fanteria. La cura nei dettagli, la qualità delle impugnature, e la perfezione delle linee dicono che si tratta di lavori destinati a guerrieri di alto lignaggio. Non a nobili, perché già nell’era Hei’an, in genere, i nobili non usavano armi, ritenendo il lavoro di combattere una cosa poco elegante. Anzi, dire ad un nobile che era versato nelle arti marziali era una comune perifrasi usata per offen derlo. 127 Yakamochi sale su un panchetto e raggiunge una mensola, dalla quale prende un lungo rotolo di seta. Si siede sul pavimento e lo srotola, rive lando all’interno un panno di lana bianca, e dentro di esso, due lame curve lunghe circa, l’una, sessanta centimetri e, l’altra, settanta. Riflettono la poca luce che entra dalla porta, tanto che possiamo spec chiarci sulla superficie splendente del metallo. Mancano di alcuni tocchi che saranno sviluppati in seguito, come l’hamon, il disegno irregolare che marca la fusione fra i diversi tipi di acciaio e i diversi gradi di tempera, o come il bouhi, la scanalatura che alleggerisce il corpo della spada, ma è comunque un lavoro notevole. Secondo i miei monitor, il metallo ha ses santaquattro strati di ribattuta; le spade successive raggiungeranno i due centocinquantasei strati. Inoltre, manca la fase di affilatura. Ma a parte questi dettagli, sono armi meravigliose, infinitamente superiori a quelle che si trovano normalmente in quest’epoca. –Mi erano state commissionate da un guerriero venuto da Ibaraki. Pur troppo, è morto prima che potessi finirle.– Parla Kaori: –Noi non possiamo trattenerci a lungo. Di quanto tempo hai bisogno per completarle?– –Beh, l’impugnatura e il fodero li ho già. In realtà manca solo l’affila tura, ma ci vorrà almeno una settimana. –L’affilatura non ci serve.– intervengo. Posso occuparmene io usando i laser coassiali, e ottenendo un filo molto migliore di quello che si potrebbe ottenere con qualsiasi processo manuale. –Oh…– Yakamochi mi guarda intensamente. Da un lato, un maestro spadaio non può essere contento di fare un lavoro a metà. Dall’altro, que ste lame gli sono già costate molto, e visto lo stato del magazzino e della fucina, sembra proprio che il lavoro non gli manchi. Inoltre, all’epoca dei samurai, l’affilatura era spesso demandata ad artigiani specializzati; adesso, qui a Nara, dove questa tecnica non è ancora diffusa, Yakamochi dovrebbe arrangiarsi da solo. –In questo caso, domattina. Ma, ad una condizione.– –Quale?– –Per me non ha senso tenerne una. Ve le vendo solo se le prendete entrambe.– Kaori mi guarda con aria interrogativa. Io le annuisco. Credo sia un’occasione da non perdere. –Qual’è il tuo prezzo?– chiede Kaori perentoria. –Quattro monete d’oro.– –… che sarebbe il loro prezzo dopo essere state affilate. Ti risparmiamo due settimane di lavoro.– 128 –Infatti. Altrimenti, te ne chiederei otto.– Kaori sorride. In realtà non abbiamo neanche una moneta d’oro, quindi contrattare non ha alcun senso, ma lei sembra divertirsi molto. –Una spada come quella…– indica una delle spade appese alla parete …mi costerebbe una moneta d’oro.– –Sì. E una come questa la può spezzare come un fuscello.– Intervengo: –Se ci permetti di provarle un momento, l’affare è fatto.– Kaori si gira e mi fa una smorfia di disappunto; le ho rotto il giocattolo. Jirou non riesce a togliere gli occhi dalle lame che giacciono sul panno. Ha già capito quello che intendevo, ma voglio che provi a brandirne una. Yakamochi si alza e raggiunge una scatola laccata dalla quale prende un manico, ancora incompleto, e una guardia. Infila la lama nella guardia e poi nel manico, e la ferma con due piccoli perni di legno; poi si alza e mi porge la spada con ambo le mani, inchinandosi. Non ho mai impugnato una katana. Le conosco bene, ma non ne ho mai impugnata una. La sollevo e ne osservo la curvatura. La sensazione di stringere un oggetto tanto prezioso, nel quale così tanto lavoro è stato pro fuso, e tanto pericoloso, è inebriante. Ci vogliono tre giorni, e il lavoro di dieci uomini, solo per ottenere la colata di acciaio; e solo una piccola parte dell’acciaio ottenuto viene poi selezionato per diventare tamagane, e usato per il dorso, o per il filo. La sua curvatura non è opera del maglio: durante la tempera, il metallo più morbido lungo il dorso si contrae più rapida mente di quello duro sul filo, è questo che incurva la lama. L’arte del mae stro sta nel dominare gli elementi della natura, scegliendo le pepite di acciaio adeguate a conferire alla spada la giusta flessibilità, durezza e cur vatura. Ognuna è unica, irripetibile; anche se potessimo duplicarle atomo per atomo, e non possiamo, c’è molto, molto di più di ciò che colpisce l’occhio in ognuna di queste opere. Non è solo un prodotto del fare; è un oggetto che nasce dai gesti e dai pensieri di molte persone eccezionali. Jirou guarda la spada intensamente, direi quasi con bramosia. Gli sor rido, e gliela porgo come Yakamochi l’ha posta a me, sollevandola su ambo le mani, con un inchino. Jirou comprende subito che la spada, curva e con un solo filo, è fatta per colpire di taglio. Fende l’aria, rotea il poso, poi rotea su sé stesso. È circa un palmo più corta della spada che è abituato a usare, ma deve pesare meno della metà, e lui riesce già a manovrarla almeno tre volte più veloce mente. Contento di averla provata, Jirou la porge al maestro, sempre allo stesso modo. –Sei abile. Questa spada ti servirà bene.– commenta. 129 Parlo io: –Maestro Yakamochi, oltre alla tua arte, desidero comprare il tuo silenzio. Nessuno deve sapere che abbiamo comprato quest’arma.– –Questo… non è molto regolare.– Tiro fuori un lingotto. Sono cinquanta grammi d’oro. Non so esatta mente a quante monete corrispondano, ma sono certo più di quattro. –Questo è per il tuo silenzio. Domani ne avrai un altro per le spade.– e così dicendo, gli lascio cadere il lingotto fra le mani. Yakamochi sgrana gli occhi, soppesando il lingotto. Essendo esperto di metalli, si rende subito conto che l’oro è puro. Mi tolgo la piccola soddi sfazione di vedere la compostezza del maestro sbriciolarsi. –Come… vuoi…– –Ti chiedo un ultima cosa: il fodero, devi preparare l’allacciatura in modo che la lama resti verso l’alto.– Questo stratagemma, che permette di sguainare la spada e calare un fen dente con un solo movimento, verrà impiegato solo a partire dal ’400. Yakamochi, di fronte al lingotto che ancora osserva, mi risponde sem plicemente: –Farò come chiedi.– Appena siamo fuori, Kaori mi sgrida: –Rai’ansama, con quell’oro ci possiamo comprare la fucina, il magazzino e tutto quello che c’è dentro!– Rido, con l’effetto di farla infuriare ancora di più, e quando ho finito rispondo: –È troppo importante che mantenga il segreto per preoccuparsi di questi dettagli. E poi, dubito che avrebbe potuto darci il resto.– –E addirittura non uno, ma due lingotti!– –Beh… c’erano due spade…– Kaori scuote la testa e borbotta qualcosa, sconsolata. –Rai’ansama…– mi chiama Jirou. –Sì?– –Ho capito cosa intendevi. Non avevo nemmeno idea che potesse esi stere una spada simile. Ti ringrazio.– –E io sono contento che ti piaccia. Vedi, se ben usata, in certi casi, una spada del genere può essere persino più efficace delle armi della mia gente…– Jirou mi sorride. Finalmente; credo sia la prima volta che lo vedo sorri dere. Terme (M) Uffa e riuffa, non li perdonerò mai. MAI. 130 Lasciarmi tutto il giorno da sola alla locanda, e per giunta a lavare i panni! Vabbeh, solo al mattino. E poi … Rai’an si era pure offerto di finire di lavarli al posto mio. Stavo per dirgli: “oh, sì, grazie!”, ma Kaori mi ha fulminata… ma insomma, dove ci sta scritto che un kamii non può lavare i panni!?! Invece Jirou ha fatto pure fatica a salutarmi. Quel… procione! –Kaorisan… ma perché finisce sempre che i panni li lavano le donne?– le ho chiesto mentre eravamo chine sulla tinozza, intente a insaponare il nostro hakama. –Midori, cara… dimmi, hai mai indossato un abito lavato da un uomo?– –Uhm… no, credo di no…– –Ecco, appunto. Riescono a farlo puzzare più di prima.– Kaori riesce sempre a farmi ridere. E poi ha continuato: –… se vuoi fare un lavoro sporco, chiedi a un uomo. Ma per un lavoro ben fatto, c’è biso gno di una donna.– Ah, saggezza di una miko anziana! E, qualsiasi cosa faccia, ovunque si trovi, ha la capacità di trovare sem pre un bagno caldo. Stasera, al calar del sole, con quel suo sorriso furbo, ci ha invitati a fare una passeggiata dietro alla locanda. Non riesco mai a capire cosa abbia in mente quando sorride così, ma è chiaro che trama qualcosa. Il piccolo giardino aveva un portone dal cui architrave pendevano delle tendine con sopra scritto “acqua calda”. Come Rai’an ha capito che era vamo diretti lì, si è irrigidito. –Non vorrai… entrare qui?– –E Rai’ansama non vorrà dormire in quel piccolo stanzino di quattro tatami senza lavarsi per la terza notte di fila…– gli ha risposto senza nem meno girarsi. Ahhh, ci voleva proprio. Kaori ha scelto il momento perfetto: siamo gli unici clienti; ormai è buio, e la grande sala è illuminata a malapena dalla luce del crepuscolo e da un paio di lanterne. C’è una sola vasca, grande venti braccia, o forse più, anche se gli spogliatoi sono separati per sesso. Kaori ed io siamo già dentro da un po’, ma sembra che i nostri ometti abbiano qualche difficoltà a togliersi quei vestiti, o quella ferraglia. –Kaorisan, come fai?– –Uhm?– mi risponde senza aprire gli occhi. È seduta, quasi sdraiata, di fianco a me, e pare se la stia proprio godendo un sacco. 131 –Dico… sai tante cose… questo posto, non ero mai stata in un negozio come questo.– –Sentou.– –Oh, si chiama sentou?– Lei annuisce, sempre senza aprire gli occhi. Ho la sensazione che si stia addormentando. –Ti strofino la schiena?– –Uhm…– annuisce, ma non si gira. Prendo un panno, lo bagno, lo strizzo e inizio a massaggiarmi il collo e il petto. Quando vorrà, si alzerà, penso. –Certo che Jirou e Rai’an ci stanno menttendo un sacco…– rifletto ad alta voce. –Rai’ansama.– Ops, mi sono dimenticata del sama. Ma Kaori lo dice così meccanica mente che mi sembra non abbia neanche notato la mia mancanza. Faccio finta di niente. Proprio in quel momento entra Jirou, dalla porta dello spogliatoio degli uomini, dall’altra parte della sala. –Ohh, eccoli. Kaorisan, ma … hai mai visto un uomo così?– Finalmente si desta, e osserva il corpo di Jirou immergersi lentamente nell’acqua calda, a non meno di dieci passi da noi. –Beh… no…– il suo volto è in parte sorpreso e in parte costernato. Hehe, una breccia nella sua compostezza, non è facile trovarla. Jirou ci saluta con un cenno del capo. Ma Rai’an che fine ha fatto? Forse, si starà ancora lavando fuori dalla vasca… ma come me lo chiedo, eccolo entrare. Non ce la faccio, scoppio a ridere. E pure Kaori, una risatina le esce, anche se tenta di trattenerla. Rai’an ha un panno stretto attorno alla vita, che gli copre giusto l’arnese e il sedere. Come ci sente ridere, diventa così rosso che lo vediamo bene persino nella penombra. Cammina tenendoselo fermo con una mano. Il panno. Vorrebbe correre, ma il pavimento in pietra è scivoloso; si infila nella vasca appena può, non molto distante da Jirou, e si guarda intorno. Sembra tirare un sospiro di sollievo quando si accorge che dentro ci siamo solo noi quattro… … e una ragazza ed un vecchietto, che sono entrati proprio in questo momento, per pulire il pavimento ed iniziare a sistemare per la chiusura… 132 Rai’an si abbassa sotto il pelo dell’acqua, lasciando fuori appena il naso, e facendoci ridere ancora di più. Jirou lo guarda con aria inespressiva. Sembra che gli voglia chiedere: “ma che stai facendo?”, ma non ne abbia il coraggio. A malincuore, stacco lo sguardo dalla scena e lo poso di nuovo su Kaori. Sorride divertita, ma ha gli occhi inchiodati su Rai’an. Ahhh, cara la mia miko anziana, ti leggo come il primo rotolo del Nihongi. –Kaorisan…– –Eh?– mi risponde senza cambiare espressione e senza voltarsi. –Anche se è un po’ strano, non trovi che Rai’ansama sia proprio un bell’uomo?– –Eh sì…– mi fa sovrappensiero, ma poi si rende conto del tranello che le ho teso, scatta in piedi, e quasi grida: –Ma che stai dicendo? Sei impaz zita? Lui è un kamii! Mostra il dovuto rispetto!– Rischio di affogare dalle risate. Attirato da tutto quel trambusto, il vec chiettino si gira verso Kaori, poi si rimette a pulire borbottando qualcosa. Dall’altra parte della vasca, i nostri due uomini smettono di parlare e guar dano sorpresi il corpo di Kaori, ancora gocciolante. Lei sbotta un paio di volte, arrossendo nel frattempo, ma non riesce a trovare nulla da dire; e quindi si siede nella vasca, e mi sibila: –Sei una perfida mocciosetta!– Non riesco più a smettere di ridere. Beh, sì, alla fine ci riesco, e quando ci riesco… –Kaorisan…– –Cosa c’è, piccola perfida?– –Dai, non dirmi che ti sei offesa.– Lei fa la bimba offesa. –Dai, Kaorisan, seriamente…– abbasso la voce fino a sussurrare, e mi avvicino a un palmo da lei, –lui ti piace.– –Ma che ti salta in testa?– dice, ma guarda fisso nella vasca e la voce è inespressiva. –Sai che sono brava in queste cose…– –Parliamo d’altro.– stavolta me lo dice con quel suo tono che non ammette repliche. –Uhmph, vabbeeeene.– Lascio passare un po’ di tempo, giusto un po’, e poi le chiedo: –Quanti uomini hai avuto?– Lei scoppia a ridere: –E questo sarebbe parlare d’altro?– 133 –Beh, volevo parlare di altri uomini…– rispondo. Lei mi guarda storto, ma sorride. Poi si gira verso l’acqua, e mi fa piano: –Mah, chissà, una decina. Forse una ventina. Non li ho mai contati.– Spalanco la bocca. –I miei complimenti…– –Oh, non c’è niente di cui andare orgogliose. Di qualcuno non ricordo neanche il nome. Quando si è per strada, da sole, le notti possono essere molto fredde…– –Oh… capisco. Beh, per quel che mi riguarda, ti posso dire che le notti possono essere molto fredde anche nei santuari…– –Piccola perfida.– –Ehehe, per carità, sono una dilettante in confronto a Kaorisan.– Dallo sguardo vedo che vorrebbe rispondermi qualcosa di acido, ma sembra non riuscire a trovare niente di peggio di “piccola perfida”, e alla fine desiste. Invece, il suo volto si addolcisce, e mi chiede con aria protet tiva, materna: –Sai come evitare il tuo periodo fertile?– –Naturalmente.– –Stai attenta; sarebbe un peccato perdere le tue capacità.– –Tranquilla, Kaorisan, non ho nessuna voglia di finire chiusa in casa a badare a un uomo e un moccioso. Almeno per ora…– –È una tua scelta; stai solo attenta a non essere costretta a compierla contro la tua volontà.– –Farò del mio meglio.– Stiamo lì a galleggiare nell’acqua calda per un po’, lasciando che il tepore ci culli. Non ho ancora finito di farmi cullare, che dall’altra parte della vasca ci arriva la voce di Rai’an. –Kaori, penso sia ora di rientrare…– Che fretta hai, kamii straniero? –Se Rai’ansama lo desidera…– Lui lo desidera, ma non risponde. Dopo un po’ ci dice: –Beh, io inizio ad asciugarmi.– e si alza di scatto, quasi seccato. Così di scatto e seccato che l’acqua gli strappa via quel ridicolo straccio, mostrandoci tutta la rotondità del suo sedere. Si ferma anche la ragazza, intenta a strofinare il pavimento a un paio di braccia da lui. Vorrei vedere la faccia di Kaori, ma non posso distogliere lo sguardo dal fondo della sua schiena: è così tondo e pieno che sembra pietra levigata. E quel buffo pendaglio che gli sbatte davanti… una vista così bella e buffa insieme. 134 Lui rimane gelato. Si gira piano, per cercare lo straccio, ma invece trova noi due che lo guardiamo fisso. Doppio gelo. Quando infine si accorge che il panno è da qualche parte in fondo alla vasca, dice qualche parola secca che non riconosco (sarà un’imprecazione nella sua lingua?) e si allontana, così com’è, verso lo spogliatoio. Non conto dieci respiri, che Jirou decide di seguirlo. Si alza nella vasca e ci fa un lieve inchino col capo. Gli basta allungare una gamba per scaval care il bordo, e la terra sembra tremare sotto il peso del suo corpo. Eppure, lo muove con tanta leggerezza che quasi non fa rumore. La ragazza, che aveva appena ripreso a strofinare il pavimento, si ferma di nuovo. –Beh, cosa c’è?– le chiede secco Jirou. Lei si gira verso il pavimento e si mette a strofinare con forza. Jirou prosegue verso lo spogliatoio, boffon chiando qualcosa, e mentre si allontana, la ragazza lo segue con lo sguardo. Come sparisce dalla nostra vista, dico: –Ahh, Kaorisan, certo che siamo fortunate a essere in viaggio con due uomini così.– –No… no, Midori, non è per niente una fortuna.– Il suo volto s’incupisce. Finalmente, usciamo anche noi. I nostri uomini ci aspettano in piedi accanto al portone, che viene chiuso dietro di noi. L’ombra cupa che era passata sul volto di Kaori è scomparsa, e vedo fluttuare quel suo mezzo sorriso mentre saluta con un cenno Rai’an e Jirou. Vediamo se sta al gioco… –Ah, Kaorisan, ci voleva proprio un bagno ristoratore. E poi, così abbiamo anche trovato un sacrario adatto ad ospitare lo Shintai del nostro Rai’ansama…– dico camminando piano verso la locanda. –Ohhh, ma quale sacrario sarà, mai…?– mi fa lei, seguendomi e allar gando il suo mezzo sorriso vittorioso. –Ma quello di Kanayama!– –Ohhh, dove sono ospitate tutte quelle reliquie di kamii maschi…– –Molto maschi! Chissà se anche Jirou potrebbe avere un posticino…– –Oh, certo, magari scopriamo che è un kamii anche lui!– –Ehhh?– –Certo! Fra tutte quelle reliquie, finirebbe per essere molto venerato!– Da dietro ci arriva la voce di Jirou che dice piano a Rai’an: –Quelle due mi fanno paura…– 135 –Anche a me… tanta paura…– risponde il kamii, mentre Kaori mi regala un sorriso complice. Poesia per un guerriero (R) Non credo di essermi mai sentito tanto imbarazzato in vita mia. Non che l’essere nudo, anche davanti a persone dell’altro sesso, sia qualcosa per cui una persona razionale dovrebbe provare il minimo imbarazzo. È l’idea di trovarsi fra questa gente primitiva… tutt’altro che razionale… che mi pro cura una certa ansia… Ma chi voglio prendere in giro? Razionalizzare è stupido. La verità è che l’atteggiamento assolutamente superiore di Jirou, e quello deliberata mente invadente di Midori, e un po’ anche di Kaori, mi hanno preso alla sprovvista. Bah, non che sia importante. Fatto sta che, ieri sera, mi sono assicurato che tutti i miei compagni avessero il cervello ben immerso nelle onde alfa prima di liberare le endor fine e sprofondare nel sonno a mia volta. Abbiamo lasciato la locanda e ci dirigiamo armi e bagagli, è il caso di dire, al Toudaiji. Kaori insiste: non possiamo lasciare Nara senza fare una visita a Douzen. Ma prima, passiamo a ritirare le spade da Yakamochi; non torneremo in città. Il Maestro Yakamochi ci accoglie con l’aria di uno che ha lavorato tutta la notte. La pelle attorno agli occhi è scura e pesta, le spalle sono curve, la voce è ovattata. Ma si illumina di una luce innaturale non appena ci mostra il risultato del suo lavoro. Le lame sono quelle che abbiamo visto, ma seppur non affilate, sono state lucidate con una pasta di sabbia sottilissima, rivelando la grana natu rale dei metalli fusi a formare l’anima e il filo delle lame. Per entrambe, lo tsuba, il disco tondo che fa da guardia fra manico e lama, è un cesello dorato che rappresenta una scena di combattimento, con la torre di un castello in alto, dalla quale un generale osserva la battaglia fra fanti e cava lieri che si svolge in basso. L’impugnatura del lungo manico è in pelle di squalo, bianca spendente, e attorno c’è intrecciato lo tsukamaki, una sottile fettuccina di trame di seta nera lucida. Nero è il fodero, posato accanto alle lame, laccato con un lucido smalto cinese, e nero è il sageo, il nastro di seta che si allaccia al fodero per fermarlo alla cintura. 136 Eppure, le due spade sono diverse. Ora che le vedo ben lucidate, mi accorgo che quella più lunga ha un riflesso patinato, argenteo, quasi fosse gelosa della luce, quasi a volerla tenere per se; quella più corta, anche se solo di un palmo, ha una superficie a specchio, così chiara che sembra bril lare di luce propria. –Rai’ansama… quale spada scegli?– mi chiede Jirou. Per un po’ ho pensato che Jirou avrebbe potuto usare entrambe le spade, per avere un vantaggio ancora maggiore, ma da un lato non è facile mano vrare due spade di quella lunghezza, e dall’altro vorrei che avesse una mano libera per usare lo scudo gravitazionale. –Scegli tu; sei tu che dovrai usarla, scegli quella con cui ti senti più a tuo agio.– Jirou non ha dubbi; pur se più pesante, prende la spada più lunga. Già così è molto più leggera e un po’ più corta di quella a cui è abituato. Il ragazzo si rivolge al maestro: –Ha un nome?– –È tua. È giusto che sia tu a darglielo.– Jirou solleva la lama davanti ai suoi occhi; poi la gira verso l’alto e la punta verso il soffitto. La spada sembra bere la luce della stanza, e, assetata di sguardi ancor più che di luce, pretende di essere ammirata. Ispirato da questa immagine, Jirou intona una poesia: Tagli la notte silenziosa compagna oborozuki –Eeehhh!– fanno Kaori e Midori in coro, sinceramente ammirate. Oborozuki è una parola intraducibile, che indica la luna piena quando, velata dalla foschia, appare come un pallido miraggio. E inoltre, è un kigo, una parola che allude ad una stagione, in questo caso l’inverno, e che deve comparire nelle poesie ermetiche per renderle perfette. Per non essere da meno, prendo la spada lucente e la sollevo, cercando l’ispirazione nel modo in cui riflette il mio volto. A un certo punto, il suo riflesso specchia il sole che entra dai pannelli, tanto da abbagliarmi. Provo con… Sogno da sveglio il tiepido abbraccio hikarisuji –Eh…hehe…– sorride accondiscendente Midori. Hikarisuji significa letteralmente “raggio di luce”… e non è un kigo. Ma Yakamochi sembra apprezzare comunque: –Oborozuki e Hikarisuji. Ora che hanno un nome, posso lasciarle andare.– 137 Il Toudaiji (K) –Kaori, non essere così nervosa…– mi dice piano Rai’ansama. Lui non capisce… non sa quanto possono essere pericolosi i monaci. Specialmente quelli del Tempio di Toudai; ancora oggi hanno un potere immenso sulla corte imperiale. Se davvero lo volessero, potrebbero prendere il potere direttamente dalle mani dell’Imperatore, e trasformare il Giappone in un secondo Tibet. –Rai’ansama farebbe bene ad esserlo un po’ di più.– Siamo quasi giunti alla porta del complesso del tempio che dà sulla città. Prima di entrare, ho alcune raccomandazioni da fare ai miei compa gni. Mi fermo vicino ad un muro dove non passa nessuno. –Midori, non parlare se non sei interrogata. Per i monaci del Toudaiji, le donne sono esseri inferiori, che non dovrebbero né studiare, né tanto meno officiare un rito. E nemmeno parlare, se non strettamente necessario.– –Eh?– –Ad ogni modo, tieni la bocca chiusa.– –Oh… va bene.– –Jirou, tu hai studiato presso un monastero, giusto?– –Due anni.– –Allora dovresti sapere tutto quello che è necessario. Rai’ansama… credo che sarebbe meglio evitare di parlare della nostra missione. Tutto, ma non quello.– –Posso sapere il perché?– –Perché secondo i monaci, questo mondo è una “casa in fiamme”. Un luogo di dolore dal quale estraniarsi, e infine liberarsi.– –Beh, sì… ma questo cosa ha a che vedere con noi?– –Loro desiderano più di ogni altra cosa interrompere il ciclo infinito delle rinascite; tanto che i loro santi, una volta ottenuto il potere di spez zare la ruota, restano sulla terra per aiutare altri a fare altrettanto.– –Giusto… ma ancora non vedo…– –Se tutti gli esseri viventi morissero nello stesso istante, tutti i cicli di reincarnazione sarebbero spezzati.– Rai’ansama mi guarda con gli occhi spalancati e la bocca ancora aperta nell’atto di formare la parola successiva. 138 –Oh… ma… beh…– cerca di sorridere, ma non riesce a scacciare la ten sione, –se fosse così semplice, se la pensassero davvero così, si sarebbero da fare per abbreviare la vita degli altri esseri viventi, non trovi? E invece la dottrina buddista proibisce di prendere la vita di qualsiasi essere vivente…– Il mio volto si piega in una smorfia di disappunto. Rai’ansama non sa quanta gente ho visto sparire nei monasteri. Per non parlare di quelli tran quillamente passati a fil di spada dai souhei. –Se uccidono, si reincarnano in esseri inferiori, e devono ricominciare tutto da capo.– gli ricordo. –Beh… allora potrebbero semplicemente dire a tutti di smettere di fare figli…– –E così sarebbero costretti a reincarnarsi in esseri inferiori, senza più nemmeno la possibilità di accedere al Nirvana.– Rai’ansama non sembra convinto. Cerca altre argomentazioni, ma non riuscendo a trovarne, ripiega su: –Oh beh… ad ogni modo, hai ragione: meglio non dire nulla.– –Sì, meglio. Comunque, state tutti in guardia, ho una pessima sensa zione su questa storia.– Douzengeika è formalmente il braccio destro dell’abate, che però è un uomo vecchio, malato e completamente assorto nelle sue fantasie mistiche. In realtà il potere è in mano a Douzengeika, che lo esercita da una posi zione ideale: mentre il tempio è rappresentato dal vecchio abate, può agire indisturbato e estendere la rete di relazioni e il controllo a Hei’an. Entriamo dal cancello ovest nell’immenso parco. Il tempio è giù, in basso, a tre, forse quattrocento braccia. Accanto, le due grandi pagode a sette piani, si dice siano le più alte del mondo. Di certo, io non ne ho mai viste di più alte; fanno sembrare la pagoda a cinque piani del tempio di Koufuku un fuscello. Il sentiero scende verso l’ingresso principale, rivolto a sud, ma curva sinuoso e sparisce presto fra gli alberi del parco; lo si vede emergere a costeggiare un laghetto, a metà strada, per poi rituffarsi giù. Lo specchio d’acqua del grande lago che costeggia la strada maestra, che col lega il cancello sud con l’ingresso principale del tempio, brilla in lonta nanza, placido. Un gruppo di giovani monaci ci incrocia. Parlano piano, e camminano ancora più piano. Altri monaci passeggiano nel parco, ma sono lontani. Continuiamo a scendere; dagli alberi spuntano tetti di altre costruzioni, residenze per i monaci importanti (quelle dei novizi sono vicine al cancello principale), immerse in piccoli parchi che a un primo sguardo sembrano 139 cespugli che la natura reclama con violenza per se; e invece, ogni ramo, ogni filo d’erba è posto lì dai monaci per una ragione precisa. Una di que ste abitazioni deve essere quella di Douzengeika. Giungiamo all’ingresso principale del tempio; quattro monaciguerrieri oziano appoggiati chi alle colonne dei cancelli, chi alle lunghe alabarde. Come ci vedono avvicinare, si destano e mi vengono incontro. –Chi sei, donna?– Cominciamo bene. –Sono Kaori, miko anziana del Santuario di Koumon.– –Oh, che sei una miko lo vedo… ma non sei per niente anziana… anzi…– il lurido sguardo del souhei che mi parla si insinua sotto i lembi del mio shiroi. Ora non ho tempo di tagliargli la gola, quindi cerco di chiu dere la conversazione: –Siamo stati convocati da Douzengeika.– Il lurido si ricompone tanto in fretta che quasi gli cade l’alabarda. –Potevi dirlo prima, donna!– –Hai intenzione di sprecare altro fiato, uomo?– Il lurido si gira di scatto e dice fra i denti: –Seguitemi.– Costeggiamo il lato sud e poi quello est del tempio, e ci dirigiamo oltre, verso la biblioteca, le sale di studio e gli uffici amministrativi. Le strade sono meno tortuose dei sentieri sull’altro lato, e i giardini meno elaborati. È il cuore pulsante, la mente del tempio. Ordinato, meccanico, efficiente. Quando il pendio inizia a risalire sulle pendici del Wakakusa, e già si intra vede il muro di cinta est del complesso, la guardia gira dentro ad un giardi netto e sale il gradino del davanzale di una casetta anonima. Si inginocchia fuori dal pannello e chiama: –Geika! Ci sono quattro visitatori che dicono di essere stati convocati da te! Sono due contadini e due donne.– Due miko, lurido. Siamo due miko e due contadini. Dopo una breve pausa, il pannello si apre, rivelando il volto paffuto di Douzengeika. –Oh, benvenuti al Toudaiji. Vi stavo aspettando, temevo aveste dimenti cato di farci visita.– dice, rivolto a Rai’ansama. –Douzengeika, il tuo invito è stato così cortese che non avremmo potuto rifiutarlo.– risponde lui. Finalmente, una risposta quasi degna di me. Douzengeika gli sorride, capendo la sottile allusione alla cortesia dell’invito, e risponde: –Prego, salite.– Ci sfiliamo zouri e calzari, e entriamo nella casetta. 140 Mentre, per ultima, passo accanto a Douzengeika, noto con la coda dell’occhio che fra lui ed il souhei corre un cenno muto, che mi fa venire i brividi. Oltre le onde (R) Vedere il tempio nel suo splendore originale, con il grande complesso centrale a tre piani e le due pagode gemelle alte cento metri, prima che vengano distrutte durante la guerra fra i Taira e i Minamoto nella seconda metà del 1100, è valso da solo la visita. Naturalmente, ho registrato tutto, nell’eventualità di riuscire a tornare a casa. Avrei voluto vedere anche la grande statua del Budda, che in quest’epoca deve ancora avere la sua dora tura intatta. Ma Kaori non è dell’umore adatto per una visita turistica. L’ufficio di Duzen scoppia di scaffali e armadi stracolmi fin sopra la copertura di rotoli di carta di riso, e ci sono persino alcuni rotoli di listelli di legno cuciti alle estremità; devono essere testi cinesi piuttosto antichi, direi precedenti al quinto secolo. Li guardo con una certa bramosia; se li potessi vedere anche solo per un attimo, per studiarli con calma in un secondo momento… Beh, nemmeno io sono qui per una visita turistica. Devo mettere a tacere la mia curiosità scientifica. Douzengeika si siede inginocchiandosi su un cuscino morbido dall’altra parte di un basso tavolino, anche quello colmo di carte sparse ovunque; quella a cui stava lavorando rimane aperta davanti a lui, e accanto ad essa giacciono l’inchiostro ed un sottile pennello. –Allora, Ryansan…– noto che sembra pronunciare correttamente il mio nome, –… devo ammettere che la tua storia mi ha incuriosito molto. Non ho mai conosciuto un uomo proveniente dalla terra d’Irlanda; o nemmeno dall’Europa. Tu… sei un viaggiatore…– –Effettivamente, ho viaggiato molto.– –Oh… e come sei arrivato in una terra così lontana come la nostra?– Comincia l’interrogatorio. Ma no, cerchiamo di non vederla così. La curiosità di un uomo di cultura verso terre lontane è naturale. –Beh, ero imbarcato come marinaio.– –Capisco…; raccontami un po’ della tua terra, com’è che l’hai descritta… dalle colline dolci come il corpo di una madre, dal cielo volu bile come il carattere di una donna capricciosa…– –Hahaha, hai buona memoria, Douzengeika.– 141 –Sai, noi monaci la teniamo ben allenata…– mi sorride ammiccante. Ha un modo di fare aperto, franco, che mi mette a mio agio. Kaori, stavolta, è stata davvero esagerata nel giudicarlo. E allora gli racconto delle verdi colline di Sliabh Ardach e del Kilkenny, così dure eppure generose con chi sa amarle, delle aspre scogliere del Donegal, che sembrano sfidare l’oceano, e che lo vincono, del monte Bren nàinn, che si erge solitario fra le nebbie, punteggiato di erba e antiche pie tre affilate, di Dublino, e del suo mare, e della sua gente orgogliosa, fiera, e a ogni racconto, gli occhi di Douzengeika brillano e si fanno più lontani, mentre cerca di figurarsi le immagini che distendo davanti alla sua coscienza. E quando quasi ho finito di parlare delle cose che ho visto, e che mi hanno riempito il cuore, noto sotto a un mucchio di rotoli un koto, lo stru mento a corde di origine cinese. –E… i canti. I canti che risuonano nella nostra terra, che sorgono dalle rocce e dagli scogli, e dalla risacca del mare.– –Oh… i canti! Potresti cantarci un canto della tua terra?– –Mah… non è che sia tanto bravo a cantare…– –Su, su, un canto della tua terra! Cantaci qualcosa che ci faccia sentire la risacca del mare…– Come bioantropologo, ho studiato molte lingue antiche. Ovviamente, anche il Gaelico, la lingua dei miei antenati; e ho ascoltato i canti dell’Irlanda. –Credo che… c’è un canto che forse… si chiama Trassna na dTonnta… oltre le onde.– Comincio a cantare… Oltre le onde, ad est, ad est… Addio tristezza, addio lontananza Gaio è il sole, e gaio il mio cuor, Gaio è il ritorno in Irlanda! Douzen-geika (K) Rai’ansama intona il canto lento e solenne, eppure allegro e gioioso. Dalla sua gola escono armonie che non ho mai udito. Nei sospiri, soffi, e suoni che fanno parte quelle parole, non c’è durezza, non uno spigolo, non una violenza. È una lingua inventata da una donna per essere amata. 142 E il tono del suo canto… sono note nuove, vanno giù in basso, e su in alto, e attraversano luoghi che non ho mai attraversato, mondi che non ho mai visto. Note che non si trovano sulle corde di un koto, che si dipanano nella melodia e mi portano in quella terra morbida e aspra, verde e grigia, che Rai’ansama ha appena raccontato. E la sua voce… così maschile e forte, eppure ingentilita dal canto, diventa dolce, e ancor più dolce perché ne sento la forza, domata solo dalla passione e dalla tenerezza di un uomo che sa cosa vuol dire amare. Non posso distogliere lo sguardo. Non posso smettere di udire il canto di Rai’ansama. Vorrei che non smettesse mai. Ma il canto finisce. Douzengeika sembra estasiato quasi quanto me. Lascia che si posi il silenzio e poi lo rompe: –È un canto affascinante, come il racconto della tua terra. Ma ora dimmi… cosa ti ha spinto tanto lontano da una terra così meravigliosa?– –La curiosità di vedere altre genti e altre terre meravigliose.– –Ed è soltanto per vedere la nostra terra che ti stai facendo accompa gnare da due miko e un guerriero?– –Ma… Douzengeika… io sono solo il loro facchino…– Douzengeika si alza e si avvicina al bagaglio lasciato a terra da Rai’an sama. Abbiamo distribuito un po’ il peso, ma rimane troppo pesante per essere sollevato da una persona sola, non importa quanto forte. Il monaco fa il gesto di alzarlo, ma rinuncia subito. –Io ho avuto l’impressione che in realtà siano loro ad accompagnare te, e non viceversa.– –Hahah, ma cosa le ha fatto venire in mente un’idea tanto assurda?– –Mah, diversi indizi, a dire il vero. Il modo con il quale queste due miko e questo giovane guerriero ti guardano, innanzi tutto. La deferenza naturale che hanno nei tuoi confronti…– –È solo cortesia verso uno straniero…– –In genere, noi Giapponesi non siamo così cortesi con gli stranieri. E comunque, la cortesia è un conto, la deferenza un altro… la devozione un altro ancora.– Mi sento gelare il sangue nelle vene. Dovrei dire qualcosa, ma ho la sen sazione che sia troppo tardi. –Douzengeika…– cerca le parole Rai’ansama, –…certe cose sono anche negli occhi di chi le vede…– 143 –Beh, allora sono negli occhi di molte persone. Ad esempio, negli occhi di quei villici di Amagane e dintorni… quelli che seguono quel culto strano… sì, di quello strano mikoshi che tengono nascosto in una grotta sul Wakakusa…– Siamo fritti. –Per caso, conoscete una certa Maaya, la moglie del capo villaggio di Amagane?– Rai’ansama tace. Come tutti noi, del resto. –Sapete… pare che sia miracolosamente guarita da una malattia molto grave. E quel Gosaburou di Kusamoto… sapete, quello nato zoppo… sem bra che adesso non zoppichi più.– –Come … fate … a sapere queste cose… – chiede piano Rai’ansama. Credo che inizi a rendersi conto di chi ha di fronte. –Oh, beh, sapere quello che succede a un tiro di freccia dal tempio non è una cosa così eccezionale. Soprattutto se si tratta di contadini che seguono un culto tanto strano. E d’improvviso, arriva uno straniero, e due malati gravi guariscono. Miracolosamente, direi. È il tipo di cosa che può dare il via a strane dicerie, persino a culti blasfemi.– Midori si gira verso di me. Ha un pallore spettrale. Jirou è dietro di noi e non lo vedo, ma sento che il suo respiro si è fatto pesante. –Sai, Ryansan, sembra che il giorno in cui la gamba di Gosaburou è tornata a funzionare, siano passati di lì due miko, un guerriero e uno stra niero dai capelli d’oro. Non la trovi una coincidenza notevole?– Rai’ansama non risponde. –Uno straniero che va in giro a fare miracoli, un culto blasfemo che si rianima, e un contadino che porta in giro un peso di cento pietre come se fosse una piuma…– –La mia gente è forte…– –…sì ma la tua non è una forza umana. Ci vogliono almeno tre persone, e forti, solo per sollevare questo peso. Andarci in giro come fai tu… beh… va oltre le capacità di qualsiasi persona… anche straniera… anche forte. Non trovi?– Cerco il coltello infilato fra lo shiroi e l’hakama. Rai’ansama si alza e torreggia di fronte al monaco, ma ciò nonostante il suo atteggiamento è dimesso. –Credo che sia inutile continuare questa farsa, vero Douzengeika?– –Ohohoho, – ride il monaco, –chiamami pure Douzen.– Ma dopo aver riso, il suo volto si fa duro come quello di una statua di bronzo del Budda. 144 –Non posso certo farmi chiamare geika da un kamii, non credi, Ryan sama?– Rai’ansama sostiene lo sguardo di bronzo di Douzengeika, in silenzio. –Prima di agire, voglio sapere quali sono le tue intenzioni, Ryansama.– –Non capisco… cosa intendi…– –Ci sono degli interessi che dobbiamo proteggere. Molti monasteri fanno capo al Toudaiji, è da qui che decidono come organizzasi per fron teggiare le minacce alla nostra fede. Non possiamo lasciare che un culto blasfemo si propaghi a meno di una lega dal Grande Budda d’Oro. E quello che io vedo è un kamii vivente che va in giro a fare proseliti in gran segreto.– –Beh, non così in segreto, sembra…– No, Rai’ansama, la battuta è davvero fuori luogo. Douzengeika ti sor ride, ma è il sorriso di una serpe. –Allora, adesso che la farsa è finita, dimmi: cosa sei venuto a fare qui?– Non posso lasciare che risponda. Mi alzo e intervengo: –Geika, quello che stiamo facendo non ha niente a che vedere con il nostro culto, o con culti blasfemi.– –Oh… una miko che porta in giro un kamii a fare miracoli non ha niente a che vedere con culti blasfemi, già già…– –Douzen…– mi ferma Rai’ansama con un braccio, –posso darti la mia parola che non sono qui per dare vita a culti o religioni. Anzi, se questo avvenisse, sarebbe un problema più per me che non per te.– –E il culto di Amagane?– –Prima che questa storia sia finita, devo assicurarmi che finisca anche quel culto. E le cose che ho fatto hanno già iniziato a ottenere questo effetto.– –Mi stai dicendo… che non hai compiuto quei miracoli per fondare un nuovo culto?– –Esatto. Si è trattato di un atto di riconoscenza per aver venerato il mikoshi fino ad ora … Rai’ansama marca le parole –… e un prezzo che ho pagato per chiedere loro di non avvicinarsi più, d’ora in poi.– È la verità. Il monaco tenta di cogliere un segno di menzogna sul volto di Rai’ansama, senza riuscirci. –Quello che dici… non ha senso…– –Douzen, ti garantisco che poco di questa storia ha un senso, almeno, un senso facile da comprendere. Fatto sta che fra le cose che devo fare mentre sono qui c’è anche fermare il culto di Amagane. Era un culto che non 145 sarebbe mai dovuto nascere, ed è mio compito riportare le cose al loro ordine naturale. Solo… devo farlo gradualmente. Agire senza cautela potrebbe portare a conseguenze disastrose.– –Può essere…– Douzengeika riflette in silenzio per sette respiri, e poi prosegue con voce ferrea. –Ma fermare un culto di contadini di montagna è una cosa che possiamo fare anche noi. Con le buone o con le cattive. Invece, lasciarti andare in giro per la provincia dello Yamato è troppo pericoloso; tanto più che, anche se fosse vero ciò che mi dici, sarebbe solo parte di ciò che vuoi fare.– –Non può bastarti la mia parola?– –No.– –E… se ti mostrassi il motivo per cui sono venuto qui?– –Intendi… con una specie di visione?– per un attimo, il monaco ten tenna. Ma poi scarica la tensione con una smorfia sardonica, e conclude: – No, anche Mara calò visioni terribili sul Budda, per farlo desistere dai suoi intenti. Qualsiasi visione tu possa far scendere su di me, non posso rischiare di crederti.– Stupido vecchio monaco idiota. Nell’istante in cui lo penso, Douzengeika batte le mani, e il pannello si spalanca vomitando nello stanzino dieci souhei, con le alabarde puntate verso di noi. Accerchiati (M) E adesso che sta succedendo?! Rai’an si gira di scatto, e Jirou cerca di mettersi fra me e l’ingresso. Io mi faccio piccola piccola e mi appiattisco contro al muro, fra due scaffali ricolmi di rotoli. Uno … tre … cinque monaci guerrieri entrano di corsa, quasi buttando giù il pannello, e formano un muro di carne e lame che ci blocca l’uscita; dietro, sul davanzale oltre il pannello, altrettanti guerrieri si schierano abbassando le alabarde. –Fermi, non un passo!– grida la voce di Kaori. Si girano tutti verso di lei; non è più dov’era prima. È alle spalle di Douzen, e gli tiene la testa immobilizzata all’indietro, e un lungo coltello puntato sotto la gola. Mi giro di nuovo verso l’ingresso, attirata da un tonfo sordo; i miei occhi fanno in tempo a cogliere l’immagine di un guerriero che rotola per terra, mentre Jirou stringe l’alabarda che gli ha sfilato di mano e la punta minaccioso verso gli altri. 146 –Allora, Geika, lo vogliamo dare quest’ordine o no?– sibila fredda Kaori. Douzen fa cenno ai souhei di abbassare le armi. –Lentamente.– dice piano Kaori, e sottolinea la parola premendo il col tello sotto la gola del monaco. I guerrieri posano le alabarde a terra. Lentamente. –Non crederete… di uscire dal Toudaiji così…?– dice quasi sussurrando il monaco. –Mah, vediamo; intanto attacca a recitare il nenbutsu, bonzo, che può sempre servirti…– sorride acida Kaori. Ed effettivamente, Douzen sembra cogliere il suggerimento, perché le sue labbra si muovono in silenzio. –Douzengeika…– Rai’an interrompe la sua preghiera, –… mi spiace per questo inconveniente, ma non mi lasci scelta. Se una visione non ti basta, allora questo dovrebbe convincerti.– E così dicendo con due passi si porta davanti al guerriero che ci ha accompagnati qui; sembra essere il capo. –Colpiscimi.– gli ordina. –Eh!?!– fa questo. –Rai’ansama!– quasi grida Kaori. –Non preoccuparti, non può farmi alcun male. Avanti, raccogli l’alabarda e colpiscimi.– Lui si china piano, cercando lo con lo sguardo l’approvazione di Dou zen, che gli risponde con un cenno degli occhi. Raccoglie la lunga asta da terra, e si alza, sempre piano. D’improvviso la solleva sulla testa, cercando di non urtare il soffitto e… –Attento! Se colpisci troppo for…– Rai’an non fa in tempo a finire la frase; il bastone si abbassa con tanta violenza che si flette sotto il peso della lama alla sua estremità. E poi, uno schianto, come se ci fosse piombato addosso un fulmine. Grido per la paura, ma anche per il dolore alle orecchie. Quando apro gli occhi, i guerrieri che stavano davanti all’ingresso sono sdraiati nel giar dino, e quelli nella stanza sono buttati sul pavimento, storditi. Pezzi dell’alabarda sono conficcati nel soffitto. E mi fischiano le orecchie da morire! –Oh, dannazione! Ehi, state tutti bene?– Rai’an scuote i due guerrieri sul pavimento e quando questi si alzano, scende dal davanzale e va a soccor rere il capo, che non sembra in grado di muoversi; apre le macchine che ha nelle mani e inizia a fare le sue cose, sotto lo sguardo sbalordito, o forse terrorizzato, degli altri guerrieri, che nel frattempo si stanno riprendendo. 147 Jirou, Kaori e Douzen sono immobili, e hanno tutti lo stesso sguardo sbarrato. Quando finalmente il capo apre gli occhi, Rai’an mette via le sue macchine e gli dice qualcosa, ma da qui non si sente bene. Poi risale nell’ufficio. –Kaori… penso che tu possa lasciarlo andare, adesso.– –Eh? Oh… sì… penso di sì…– –Jirou…– –Ho!– si inchina marziale il ragazzotto, e lascia a terra l’alabarda. Douzen si sistema la veste, con lo sguardo fisso su Rai’an. –Ora, Douzen… come vedi, le nostre intenzioni non sono ostili. Se lo fossero state, ora non staremmo cercando di convincerti.– Douzen fa una faccia scura… beh, sentire quel botto e vedere la sua truppa di venti uomini ben piazzati sbattuta per terra in quel modo… non vorrei proprio essere nei suoi panni, adesso. –La mia missione consiste…– Kaori, ancora dietro al monaco, lancia un’occhiataccia a Rai’an che è quasi peggio del fulmine di prima. Rai’an sembra prendere in considerazione questo avvertimento e procede con cau tela. Si china su Douzen, in modo che i guerrieri, che nel frattempo si sono radunati tutti di fronte al davanzale, non sentano. –… nel… impedire un… terribile disastro che potrebbe… uccidere mol tissime persone.– –Un… terremoto?– chiede piano il monaco. –Una specie. Così forte, che l’onda dello tsunami spazzerebbe via Nara e Hei’an come fossero castelli di sabbia. Ora, le mie forze da sole non sono sufficienti a fermare questa catastrofe. Per questo, la mia gente ha mandato qui degli strumenti che mi aiuteranno.– –Come… il mikoshi di Amagane?– –Esatto. Ma non volevamo che venisse trovato. Né vogliamo che la gente si metta a pregarci intorno.– Douzen annuisce. –Le uniche persone a sapere questa cosa sono in questa stanza, a parte il kannushi del santuario di Koumon. La gente dei villaggi del Wakakusa non sa nulla, e non deve sapere nulla. Puoi immaginare cosa succederebbe se si diffondesse una notizia simile?– –La gente… si farebbe prendere dal panico…– –Esatto. E noi vogliamo evitarlo a tutti i costi. Vedi? Siamo dalla stessa parte! Tu vuoi proteggere la tua gente, e lo vogliamo anche noi. Tu non vuoi che si diffondano culti pericolosi, e non lo vogliamo nemmeno noi.– 148 –Ryansama… forse quello che mi dici è vero, ma c’è una cosa che non capisco. Perché la tua gente vuole impedire questa tragedia? Che cosa ci guadagnate?– –Douzengeika… non sono io che devo insegnarti il significato del ter mine “mente compassionevole”.– Il monaco spalanca gli occhi. –Vedi, Douzen… semplicemente, non possiamo restare immobili di fronte ad una tragedia simile. Abbiamo il potere di fermarla… o almeno di provare a fermarla. Non farlo sarebbe come prendere tutte queste vite con le nostre mani. E questo sarebbe disastroso per noi quanto lo sarebbe per voi.– Douzen china lo sguardo e incrocia le mani sul ventre. Chiude gli occhi e respira profondamente. Quando li riapre, ogni segno dello stupore che rimaneva sul suo volto è scomparso. –Se le cose stanno come dici, allora ti aiuterò come posso. Ma se il tuo è un inganno, allora rivolgerò tutte le forze in mio possesso contro di te. Forse non potrò fermarti, ma è mio dovere provarci.– –Douzengeika…– Rai’an china piano il capo, in un piccolo inchino di gratitudine, –non ho nulla da temere dal tuo giudizio, ed ho molto da gua dagnare dal tuo aiuto. Quindi…– Rai’an si gira e va ad aprire il suo bagaglio. Fruga un po’ e poi tira fuori una scatoletta di metallo lucido. –… vorrei che tu tenessi questa.– –Che… che cos’è?– –Guarda.– gli risponde. Io mi sposto un po’, piano, piano, cerco di pas sare inosservata, ma voglio vedere anche io. Douzen tiene la scatola nel palmo della mano… Oh, il lato che sta guardando è nero e lucido; ricorda il telo che Rai’an usa per i suoi disegni che si muovono. Mi aspetto che compaia qualche disegno, ed infatti si vede l’ingresso dell’ufficio! Rai’an cammina verso l’uscita, e il disegno si muove; guarda i guerrieri seduti in giardino, e sulla scatoletta si vedono i guerrieri chinare il capo. Poi si gira verso di noi. Oh, ma guarda! Nella scatoletta c’è Jirou, Kaori e Douzen – e quella graziosissima miko sono io! Devo chiedere a Rai’an se ha uno di questi giocattoli anche per me! Douzen quasi salta indietro quando si vede nella scatola. Rai’an torna da noi e dice piano: –Ecco, così posso farti sapere dove sono e che cosa sta succedendo. Cercherò di tenerti informato il più possibile. Se avessi bisogno di aiuto, te lo farò sapere così.– Il monaco fa un profondo inchino e stringe la scatola al petto. 149 Inutile (R) Kaori non parla da quando ho lasciato il comunicatore a Douzen. Finché eravamo nel complesso del Toudaiji, era ovvio mantenere il silenzio. E mentre cammina, raramente parla. Ma è quasi due ore che camminiamo sotto al sole, e siamo a metà strada per Shiba… il suo silenzio è assor dante. Anche perché dovremmo decidere come procedere, dove fermarci a mangiare, quando fermarci per la notte… –Kaori?– mi avvicino. –Sì, Rai’ansama?– –C’è… qualcosa che non va?– –Qualcosa!?!– si gira di scatto lei, col volto rosso di furore. –Mi chiedi se c’è qualcosa che non va!?! Ma ti rendi conto di quello che hai fatto!?!– –… perché non me lo spieghi?– Lei sbuffa e sbatte le braccia platealmente. –Ma proprio non capisci!?! Quello è Douzengeika, l’uomo che tiene praticamente in pugno il governo imperiale con la sua rete di spie e con i guerrieri dei templi che gli fanno capo. E di quelli che gli devono qualche favore. Voleva ucciderci! E tu credi cosa fai? Gli chiedi aiuto!– –Avevi in mente qualcosa di meglio?– –Qualsiasi cosa sarebbe stata meglio!– È una frase che ho già sentito. E comincia a stancarmi. –… qualcosa di più specifico? Avrei dovuto svuotargli la mente? O forse uccidere lui e tutte le guardie? O tutti i guerrieri del Toudaiji…– senza volerlo, la mia voce sale di volume, –… o magari avrei dovuto raderlo al suolo?– –Oh … raderlo al suolo … questo sì che sarebbe stato un bene! Senza quei bonzi attaccabrighe il Giappone sarebbe un posto molto più luminoso!– –Kaori!– –E non solo gli hai chiesto di aiutarti! Gli hai pure dato una macchina che gli permette di sapere dove siamo! Come se non avesse abbastanza spie!– –Beh.. se è per questo…– Apro il palmo della mano, e poi gli emettitori fra le pieghe della pelle. Compare il volto di Douzen, che guarda fisso il comunicatore. Si sentono dei rumori di martelli e seghe, evidentemente stanno riparando i pannelli che abbiamo distrutto. Douzen posa il comunicatore sulla scrivania… 150 –Avanti.– dice. –Geika, mi avete fatto chiamare?– Sentiamo le loro voci, ma il comunicatore inquadra il soffitto. –Sì… entro stasera, arriveranno a Shiba due miko, un guerriero ed uno straniero dai capelli d’oro. Teneteli d’occhio, ed assicuratevi che non suc ceda loro nulla. Tenetemi informato su ogni loro movimento.– –Ho!– s’ode il saluto marziale, e passi che si allontanano di corsa. Chiudo gli emettitori e guardo Kaori. Mi tolgo la soddisfazione di vederla sgranare gli occhi. –Come vedi, il comunicatore funziona in entrambe le direzioni; sono io a decidere in quale. Non sono così ingenuo, Kaori.– –Beh… ecco… comunque! Avresti potuto dircelo che sei immortale!– –Eh?– –Quella dimostrazione del tuo potere! Avresti dovuto dircelo!– –Beh, ero appena riuscito a recuperare tutte le forze. Ho acceso le mie difese poco prima di arrivare al tempio. Te ne ho parlato… fino a quel momento ero molto vulnerabile…– –Sì, ma … se puoi fare quelle cose… come posso difenderti… a cosa possiamo servirti noi?– Ah, ecco, adesso è chiaro. –Kaori… ma non ti rendi conto? Se tu non avessi preso in ostaggio Douzen, e se Jirou, nel frattempo, non avesse tenuto a bada i souhei, io non avrei avuto la possibilità di sistemare la situazione!– –Già … avresti potuto semplicemente spazzarli via tutti…– –No, Kaori, avrei dovuto! Sarei stato costretto a farlo, e questo sarebbe stato un disastro.– Kaori mi guarda con un’espressione a metà fra l’ostilità e il broncio. È quasi tenera. –Vedi, forse Douzen non ci aiuterà, ma almeno per il momento, ci osserverà senza interferire, e si assicurerà che sia mantenuto il segreto. Se fossi stato costretto a ricorrere alla violenza, avremmo avuto addosso tutti i souhei e i monaci del Giappone, e probabilmente anche i contadini, se si fosse diffusa la notizia. E, credo, anche la nobiltà. –La nostra missione è già abbastanza difficile così, non credi?– Kaori annuisce. Ora resta solo il broncio. –Per portare a termine il mio compito, mi è stato affidato un grande potere, questo è vero. Ma non è infinito. Senza il vostro aiuto, anche sta volta, sarei stato nei guai. Kaori… e anche tu, Jirou, e Midori. Il vostro aiuto è già stato fondamentale, e diverse volte!– 151 Midori mi sorride, ma amaramente, e sussurra: –Eggià. Salverò il mondo con un kagura ed un oonusa…– –Midori, devo forse ricordarti che quella moneta d’argento che ci ha permesso di passare tranquillamente il tempo che era necessario a recupe rare tutte le mie forze arrivava proprio da un tuo kagura? E che dire del modo in cui avete recuperato le nostre armi da quel mercante?– Midori non ci aveva pensato. Mi giro verso Kaori, che ora guarda in basso. La prendo per le spalle e lei china il capo ancora di più. –Non posso neanche immaginare come avrei potuto fare senza di voi… né riesco a immaginare cosa potrei fare d’ora in poi. Ho bisogno del vostro aiuto, Kaori. Le spade non possono ferirmi; almeno, non così facilmente. Questo è vero, ma ci vorrà ben altro per portare a termine la missione.– Lei tiene ancora gli occhi bassi. Le poso l’indice sotto al mento e le sol levo il volto con delicatezza. I suoi occhi sono un po’ lucidi. –Te lo chiedo un’altra volta, Kaori. E che questa sia l’ultima. Vuoi aiu tarmi?– Lei risponde con un filo di voce tremante: –Sì…– La lascio andare e mi giro verso Midori, che non mi dà il tempo di fare la domanda che già risponde: –Non mi perderei questo spettacolo per niente al mondo!– E prima ancora che abbia posato lo sguardo su Jirou, lui è in ginocchio: –Ti prego, Rai’ansama, non pormi questa domanda, poiché io ho già giu rato.– –Molto bene. Allora, muoviamoci, che ho una fame…– e mi incammino lungo la strada. Non faccio in tempo a fare due passi che sento Midori dire piano a Kaori: –Chiwa kenka, ne?– È una frase intraducibile che viene usata per descrivere i bisticci senza conseguenze… fra gli innamorati! Kaori chiude l’argomento con un secco: –Shine, baka!– … “muori, scema!” Mi mordo la lingua per non scoppiare a ridere. Shiba (K) Ma che mi è saltato in testa? Rivolgermi in quel modo a Rai’ansama… mi vergogno da morire! E l’ironia di Midori non migliora certo la situazione. 152 Al primo dirupo, mi butto giù. Eggià che siamo in pianura… vabbeh, meglio così, non posso morire con quest’onta addosso. Che vergogna! Guardo le risaie che costeggiano la strada. I contadini stanno già prepa rando il terreno; il mese di yayoi sta per finire, e presto inizierà uzuki. Mano a mano che procediamo, le colline si fanno più incombenti e la pianura più stretta. E proprio davanti a noi… –Rai’ansama…– –Dimmi, Kaori.– Indico l’orizzonte. Si vede già la sagoma del kofun di Sakurai, il sepol cro della divina Yamatototohimomosohime. –È quella?– mi chiede. Annuisco. Non me la sento di parlare, la mia linguaccia mi ha già messo abbastanza in imbarazzo, per oggi. Rai’ansama sembra guardare dritto dentro alla collinetta ricoperta da una piccola foresta. Non dovrei nemmeno trastullarmi con un pensiero tanto blasfemo… ma mi chiedo quali meraviglie si celino sotto al kofun. Dicono che sia il kofun più grande di tutto lo Yamato. Eppure, secondo il Nihon shoki, Yamatototohimomosohime era solo la figlia del settimo imperatore, sua maestà Koureitennou, e della sua seconda moglie Yamatonokunikahime. Ma questa storia non mi ha mai convinta… da quando in qua un imperatore ha una tomba più piccola di quella di sua figlia? Chissà, forse Rai’ansama ne sa qualcosa… sembra sapere molte cose sul nostro passato. Vorrei chiederglielo… Magari più tardi. Passiamo proprio di fianco al kofun. È così imponente che da vicino sembra solo una collina. E neanche tanto piccola. Rai’ansama l’osserva attentamente, e anche Midori, e Jirou, la guardano sfilarci lenta accanto. Ad un certo punto, Rai’ansama si ferma. La collina è circondata da campi coltivati, che brulicano di contadini intenti nel loro lavoro. –Rai’ansama, – mi avvicino e gli dico piano, –forse non è il caso di fer marsi adesso.– Lui si guarda intorno, e annuisce. –Hai ragione. Abbiamo tempo; meglio proseguire. Non voglio dare nell’occhio…– Superato il kofun, mi chiede: –Sai già dove andare?– –Non sono mai stata qui a Shiba… è solo un piccolo villaggio di conta dini, se proseguissimo fino a Sakurai…– –Però, fermarsi qui sarebbe più comodo per le nostre osservazioni.– –Vero, ma un gruppo di pellegrini non ha nessun motivo di fermarsi a Shiba.– 153 –…Nemmeno per venerare la tomba della hime?…– Non ci avevo pensato. Con tutte quelle storie che girano sul fantasma della principessa, non mi ero mai sognata di avvicinarmi a questo luogo, ma potrebbe tranquillamente essere la meta di due miko in viaggio. A Shiba non ci sono locande, ma è già il primo pomeriggio, e se ci facciamo vedere qui in in giro a pregare fino al tramonto, non sembrerà strano che chiediamo alloggio per la notte. Che riusciamo a trovarlo, però, resta tutto da vedere… –Va bene, facciamo un tentativo. Mangiamo qualcosa al volo; prima ho adocchiato un torii, probabilmente c’è un piccolo santuario per racco gliere le preghiere. Possiamo passare il resto del pomeriggio lì e poi cer care alloggio qui a Shiba.– –Ottimo!– approva Rai’ansama, –Ho proprio bisogno di mettere qual cosa sotto i denti!– Il monte Miwa (M) Rai’an e Kaori stanno decidendo come fare per la cena. Eggià che abbiamo appena pranzato… e pure tardi… mah, a Kaori non piacciono le sorprese. Come quella che ci ha fatto Rai’an stamane… beh, comunque, lei sa sicuramente come fare per la notte. Spero solo che non dobbiamo dor mire di nuovo all’aperto. Siamo sedute all’ombra di una grande quercia, ai bordi di un crocicchio lungo la via per Sakurai. Attorno a noi, le ampie risaie del cuore dello Yamato. Forse i contadini hanno già finito la loro giornata di lavoro, o forse sono andati da qualche parte a schiacciare un pisolino dopo pranzo… perché adesso non si vede più anima viva. Sento un fruscio al mio fianco e mi giro di scatto. Jirou si è sdraiato sull’erba; qui il terreno scende rapido verso la base dei campi qualche braccio più in basso, e la pendenza invita a rilassasi. Quasi quasi mi sdraio anche io… ah, sì, molto meglio così. Mi giro un po’ verso di lui. Ha il volto serio serio, e guarda fisso dritto di fronte. –Jirou, cosa guardi?– –Il Sacro Monte Miwa.– Ohhh, è lì, proprio davanti a noi, anzi, un po’ sulla sinistra, ma non ci avevo quasi fatto caso, fino ad ora. La nebbia di latte scende densa, lam bendo i suoi fianchi, e mi fa quasi paura. Sembra viva. 154 È lì che Oomononushinokamii ha deciso di albergare. Se la Divina Amaterasu risplende nella volta celeste, è lui, il “kamii incaricato delle grandi cose” che risiede nella terra, nelle montagne e… beh, nelle cose grandi, ovviamente! È con la sua forza, che si irradia da qui, da questa precisa montagna, da questa nebbia, che le grandi cose diventano kamii a loro volta; dalle mon tagne scorre l’acqua che abbevera le pianure, e su di esse crescono le fore ste che nutrono gli animali selvaggi; e loro nutrono noi, e noi torniamo a nutrire lui alla fine della vita, anche noi, piccoli kamii. Ahh, che disegno meraviglioso! E che sensazione straordinaria essere qui, ai bordi di una qualsiasi risaia, così vicina al centro del Mondo! Sarà per questo che già da un po’ mi sento strana… non so come dire, prima pensavo fosse la fame, ma ora che ho mangiato continuo a sentirmi la testa un po’ pesante, e se mi muovo troppo veloce mi viene un po’ di nausea. Mah; è naturale. Non sarei Midori del santuario di Koumon, se non potessi sentire il potere del luogo che fa mostra della sua solennità proprio di fronte ai nostri occhi. Jaki (R) Siamo tornati indietro un paio di centinaia di metri e ora siamo all’estre mità sud del kofun detto “delle bacchette”. Un piccolo torii, il cancello rituale che indica il passaggio ad un’area sacra, è tutto quello che la gente di qui ha potuto, o forse voluto, erigere per commemorare la regina che ha gettato le basi di quello che sarebbe diventato il regno dello Yamato, e quindi l’impero Giapponese. Dopo aver importato il buddismo e principi taoisti e confuciani dalla Cina, tutte dottrine fortemente patriarcali, il fatto che, solo una manciata di anni prima, il regno dello Yamatai fosse un rigido matriarcato era diventato improvvisamente un’onta da nascondere con ogni mezzo. Alla donna sepolta qui sotto, fondatrice di un impero eterno, è dedicata giusto una nota a margine nel Nihon Shoki, che ne omette il nome e la relega al ruolo di figlia di un imperatore leggendario. In questo testo, persino l’epiteto usato nel Kojiki, “Yamatotomomoso hime”, che si legge più o meno come “colei che fu progenitrice dello Yamato”, è stato nascosto usando ideogrammi dalla pronuncia simile, ma privi di significato. 155 Ora, questa tomba è un monumento alla potenza della scrittura, di cui i Giapponesi dell’epoca di Himiko diffidavano come di un’arte demoniaca; un’arte che, proprio come deve aver temuto anche questa regina, alla fine, l’ha sconfitta. Certo, è una costruzione imponente. Per dimensioni e massa, ampia mente superiore alle piramidi egizie; tuttavia, è un terrapieno, non una costruzione in pietra. Alcuni terrazzamenti, realizzati con piccole lastre di pietra, ne conservano la forma difendendo la terra dall’erosione delle piogge, ma si tratta sostanzialmente di materiale di riporto dello scavo dell’enorme fossato che in origine le girava tutto attorno. Già in quest’epoca, il fossato è stato riempito, e al suo posto c’è un laghetto artificiale che si estende lungo il fianco sinistro della collina. I campi coltivati arrivano fin sotto alla depressione lasciata dal tracciato dell’antico fossato. Arrivati davanti al torii, ci guardiamo attorno. Dietro di noi, a una certa distanza, alcuni contadini hanno ripreso il lavoro, e sembra che di tanto in tanto lancino occhiate incuriosite verso di noi. Il piano di Kaori dovrebbe funzionare. –Bene… allora, cerchiamo di… Midori, anche tu… facciamo una kagura… o recitiamo un norito…– –Kaori, stai bene?– le chiedo; sembra confusa, o forse è solo stanca. Non vorrei che avesse preso troppo sole, anche se è primavera camminare tutto il giorno in mezzo alla pianura senza nessuna protezione per la testa non è molto saggio. Ma non faccio tempo a preoccuparmi oltre, perché Midori non risponde. Ondeggia visibilmente, lottando per rimanere in piedi. Kaori sembra scrollarsi il torpore di dosso e scatta verso di lei, ma prima che muova un passo Jirou afferra Midori da dietro, per le braccia. –Midorisan, stai bene?– le chiede. –Midori!– quasi grida Kaori mentre la raggiunge. –Sì… sì ora sto bene… ho avuto solo un giramento di testa, scusate.– Midori riguadagna la posizione eretta e sorride a Jirou, che la lascia andare piano, assicurandosi che sia tutto a posto. –È questo luogo!– sibila Kaori. –Jaki! Anche io l’ho sentito.– Mah, sarà anche jaki, “volontà maligna”, un termine che corrisponde grosso modo a quella che in occidente era chiamata magia nera, o in Africa veniva indicata con voodoo; ma io ho paura che sia un colpo di calore, e stare qui al sole non aiuterà di certo. Mi avvicino per fare una dia gnosi più precisa, ma come sollevo la mano, Kaori scatta e mi stringe il polso. 156 –Non vorrai fare qualcosa qui?– e fa un cenno in direzione dei conta dini. –Hai ragione…– abbasso la mano; con i monitor diagnostici secondari non posso avere un quadro abbastanza preciso, ma non riscontro nessun sintomo evidente. Comunque, è meglio prevenire: poso il bagaglio e tiro fuori un paio di piccoli stracci; li bagno con l’acqua della borraccia e ne poso uno sulla testa di Midori, che mi guarda con aria interrogativa. –Camminiamo sotto al sole da stamattina. Non fa bene a nessuno, e soprattutto a chi non è abituato… tieni sulla testa questo panno fresco per un po’.– –Rai’ansama, non è stato il sole… io ho sentito proprio…– –Va bene, ma non c’è motivo di stare male anche per il sole, non credi? Almeno quello, possiamo evitarlo.– Midori annuisce piano, ma guardandomi fisso. Mi giro e porgo l’altro straccio a Kaori. –Anche tu, per favore.– Lei prende lo straccio, ma titubante. –Noi, ora, dovremmo fare un rito…– –Dobbiamo fare solo un po’ di scena per i contadini, non c’è bisogno di fare tutti i preparativi.– Kaori avvicina lo straccio alla testa, ma con lo sguardo mi implora di fermarla. –Dai, Kaori… non fatemi preoccupare, qui non posso fare nulla per voi.– –Come… Rai’ansama desidera…– –Jirou…– sto per dire, ma lui si è già annodato un fazzoletto attorno alla testa. Gli sorrido e annuisco. Mentre le miko iniziano a recitare un norito che non conoscevo (e mi riprometto di chiedere a Kaori di ripetermelo per registrarlo), inizio a scan dagliare il kofun in cerca dell’ingresso. Non ho portato con me un database così ampio, e non ricordo a memoria i dettagli di questa costruzione. I tumuli dell’epoca Kofun hanno una camera sepolcrale molto piccola, larga appena lo spazio necessario per un sarcofago e pochi oggetti del cor redo funebre. La gente dello Yamatai, e poi del primo Yamato, non seppel liva assieme al defunto corredi particolarmente ricchi; più che altro erano gli oggetti che si identificavano fortemente con la persona sepolta, e che quindi, secondo il culto animistico del Giappone antico, da un lato, erano 157 contaminati dalla corruzione della morte del loro proprietario, e dall’altro, avrebbero attratto lo spirito del defunto, se fossero rimasti in possesso dei vivi. Certo, anche al tempo dello Yamatai, le regine potevano avere oggetti personali molto preziosi, ma contrariamente a quanto avveniva nel caso dei faraoni, o dei nobili cinesi, non c’erano tesori, e men che meno servitori, sepolti nei tumuli. Per questo, la presenza del nucleo centrale del calcolatore in questa tomba è un fatto ancora più strano. Non è solo la camera sepolcrale ad essere piccola; anche il corridoio che parte dall’ingresso interrato, e sigillato con grandi pietre, è corto e stretto; tanto che la camera non è al centro del tumulo, come avviene nelle sepol ture cinesi. Il corridoio si addentra nella collina artificiale per non più di venti, trenta metri, mentre il raggio della parte principale arriva a essere anche cinquanta o sessanta metri. La sua posizione è casuale, per rendere più difficili i tentativi di profanazione. Per me, questo è un problema. Le parti più lontane del tumulo sono già fuori dall’area dei miei sensori a massima precisione. Per essere sicuro di trovare l’ingresso, dovrei girare attorno a tutta la collina, e magari anche salirci sopra, ma in questo momento è impossibile. Dopo un’ora di tentativi, mi rendo conto di non poter proseguire oltre senza salire sul tumulo. Disattivando i monitor vedo che adesso Kaori e Midori sono passate direttamente ad un esorcismo a suon di oonusa: ognuna agita il suo, tenendosi per mano, come a voler unire le loro forze. O a farsi coraggio a vicenda. A meno di un passo dietro di loro, Jirou ha la mascella serrata, il collo teso, la mano che stringe nervosamente l’elsa della vecchia spada alla cintura. Le miko non recitano più; semplicemente, fra un fruscio e l’altro, ogni tanto pronunciano parole secche, ma a mezza voce, in Giapponese antico; parole come “va via”, o “sii purificato”, o “torna sotto la terra”. Mi avvicino. La fronte e le guance delle due ragazze sono matide di sudore, sudore che gocciola anche dalle dita intrecciate delle loro mani. I movimenti del braccio con l’oonusa sono perentori, ma stanchi. Sinceramente, vorrei interromperle, ma so che che non è il caso. Chiedo piano a Jirou: –Che stanno facendo?– –In questo luogo alberga una presenza maligna e pericolosa, Rai’an sama…– sussurra sibilando Jirou, senza distogliere lo sguardo dal torii davanti a noi, o forse dallo spazio fra le sue colonne. Senza aspettare la prossima domanda, seguita: 158 –Le nobili miko stanno impegnandosi per proteggere Rai’ansama, e il suo saburahi, mentre egli effettua la sua ricerca.– Sospiro, ma cerco di farlo piano. –Beh, per il momento, la mia ricerca non può proseguire. Dobbiamo tor nare di notte.– Jirou quasi sussulta. Non l’avevo mai sentito snocciolare una pausa così lunga, prima di rispondere col suo –Ho!– –Se… Rai’ansama ha terminato…– cerca di dire Kaori senza fermare l’oonusa, –… allora… dobbiamo andare subito via… da qui…– Non per altro motivo, se non far smettere subito le ragazze, che sem brano davvero stremate, corro a prendere il bagaglio e faccio un cenno a Jirou. Ma le ragazze non smettono; camminano all’indietro, lentamente, precedute da un guardingo Jirou, continuando ad agitare il loro oonusa, come a voler spazzare l’aria dall’impurità lasciata dai mostri che si stanno immaginando. Registro la scena; è materiale interessante per i miei colle ghi. La cosa continua per diverse decine di metri, quando finalmente Kaori ne ha abbastanza. Si ferma e si volta lentamente verso di me; quando porge le spalle alla collina, dice secca, a mezza voce: –Corriamo!– Questo è troppo. Ora glielo dico… ma le miko sono già dieci metri avanti a me, e Jirou indietreggia con il fodero della spada stretto nella sini stra, e la destra già all’impugnatura. E vabbeh, mi metto a correre dietro alle ragazze, e sento Jirou che, molto sollevato, inizia a correre dietro di me. Le due non smettono di correre, Kaori tiene stretta Midori per mano, quasi a trascinarla con sé, fino all’albero dove ci siamo fermati a mangiare poco prima. Kaori, senza più un filo di fiato, quasi si butta in ginocchio a terra; Midori si aggrappa al tronco della quercia, respirando rumorosamente. Jirou arriva a grandi passi, una corsa scomposta e sgraziata, la voce viva a chiedere il fiato che non c’è più. Io non sudo, i miei impianti hanno com pensato lo sforzo delle parti organiche, ma devo ammettere che il mio ritmo cardiaco è un po’ accelerato. Passano due minuti buoni prima che Kaori abbia il fiato per parlare. Più o meno. –Uhff… è un jaki… uffhff, uhf fortissimo… uff.. non avevo … ahha.. mai sentito … uff.. niente di … ahaaa … così forte…– –Calmati Kaori, è passato…– le dico chinandomi su di lei, e le sorrido. Lei mi guarda con un certo astio; come ad accusarmi di non avere il fia tone. 159 –Sù, Kaori, bevi un po’…– le porgo la borraccia. Lei beve avidamente, e tossisce quando l’acqua le irrita la gola disidratata. Mi alzo per vedere come sta Midori. È ancora aggrappata con le unghie, letteralmente, alla corteccia dell’albero, il fiato rotto da lunghi respiri rumorosi. –Midori… tutto bene?– Lei non risponde. Apro la mano per un veloce controllo diagnostico approfondito; la percentuale di ossigeno nelle arterie è ancora troppo bassa, ma non vedo altri problemi. Lascio che riprenda fiato per dedicarmi a Jirou, ma lui è già in piedi, anche se chinato sulle ginocchia. Come mi avvicino, alza la schiena, e con un profondo respiro inizia a regolarizzare il ritmo. Non credo che i miei compagni di viaggio la pensino così, ma … io mi sono divertito. Da quanto tempo non facevo una bella corsa! Kiyomi (K) Il sole sta tramontando. Stanotte non dormirei all’addiaccio per niente al mondo. Non qui. E poi, Midori si regge a malapena sulle gambe; è sfinita. Non ci fosse stata lei, non so come avrei fatto. Midori è davvero forte, ma quello che abbiamo affrontato… ho i brividi. Il capo villaggio, Mamorusan, quell’anziano che abbiamo incontrato qualche giorno nella locanda a Nara, la sera della nostra danza, ci ha accolte con un grande sorriso. –Oh! Lo sapevo che sareste riuscite a venire per il Matsuri!– ci ha detto allargando le braccia. –Allora dobbiamo assumerti al santuario… per noi è un po’ una sor presa!– Mamorusan ci ha trovato alloggio presso un’anziana vedova, una certa Kobo. Essendo senza marito, e ormai troppo anziana per lavorare, è tutto il villaggio che si occupa di lei, e quindi non può rifiutarsi di ricambiare ren dendosi disponibile quando necessario. Ad ogni modo, quando Mamoru san le ha detto che eravamo qui per il matsuri, il suo volto si è subito illu minato. –Oh, ma che bello! Almeno mi terrete un po’ di compagnia, sono sem pre così sola, e poi la notte oramai non riesco più a dormire bene…– Dalla soglia dell’hiroma, guardo l’ultima fetta del disco del sole scen dere oltre le lontane colline a ovest, al di là della pianura dello Yamato. È notte. Mi stringo tra le braccia e accosto il pannello, prima di salire sul davanzale della sala. 160 –Tutto bene, Kaori?– mi chiede Rai’ansama, vedendomi rabbrividire. Non me la sento di rispondere. –Irlanda? Non ho mai sentito questo nome? Dov’è, straniero?– lo incalza Kobo, con gli occhi ancora spalancati ad ammirare i suoi capelli d’oro. –Eh? Ah… beh… dall’altra parte del mondo.– –Oh, davvero? E come fate a camminare a testa in giù?– –Ahaha, non camminiamo a testa in giù, nonna… la terra è una grande palla, e se ci cammini tutt’attorno, arrivi da dove sei partito.– –Ohhh non lo sapevo… e tutti gli uomini dell’Irlanda hanno capelli d’oro come i tuoi?– –No, a dire il vero è abbastanza raro. Sono di più quelli con i capelli rossi.– –Rossi!?! Esistono uomini con i capelli rossi?– –E non solo: anche donne.– –Donne!?! addirittura?– –Ah, nonna, dovresti vederle. Sono bellissime! I loro capelli sono come nuvole di fiamma, che incorniciano un volto bianco latte, e per occhi, verdi giade lucenti!– –Verdi!?! Oh, non riesco proprio a immaginarmele!– Cerco di immaginarmele anche io. Donne dai capelli come nuvole di fiamma, dagli occhi di giada… per un attimo, provo a sovrapporre il ricordo del mio riflesso sull’acqua a questa immagine. Il mio volto… è così… banale. La luce nello sguardo e il sorriso di Rai’ansama mi raccon tano della bellezza di queste dee viventi meglio di quanto la mia fantasia possa fare. Il fatto che mi abbia anche solo sfiorato l’idea di potermi para gonare a loro è… patetico. Abbasso lo sguardo, e poi cerco la donna più bella che conosca: Midori. E mi chiedo se, almeno lei, potrebbe reggere il confronto. La bocca e gli occhi sono aperti nel sentire il racconto di Rai’ansama; sembra rapita dalla fantasia di questa terra lontana, abitata da persone dai capelli fiam meggianti. Rai’ansama continua a raccontare a Kobo della terra dei suoi antenati. Sembra che sia davvero felice; sembra così sereno e allegro, e questa anziana donna è così contenta di ascoltare queste storie… il mio sguardo incrocia gli occhi di Jirou; anche lui sorride, seduto con la schiena appog giata alla parete, abbracciando la sua vecchia spada. La deferenza che mostra per Rai’ansama è grande, ed è ovvio che per lui è difficile accet 161 tare la sua natura umana, ma la sincera cordialità che mostra Rai’ansama nei confronti della gente comune sembra aprire una breccia nel suo distacco. D’improvviso, si sente bussare. Jirou scatta in piedi, e Rai’ansama smette di parlare. –Oh, che strano. Chi sarà mai, a quest’ora?– si chiede Kobo, mentre si alza fra gli ohissa, e raggiunge il pannello, scendendo dall’hiroma e infi landosi i sandali. –Chi è?– chiede senza aprire. –Kiyomi.– La voce è quella di una donna d’acciaio, femminile ma bassa, decisa e ferma. –Oh, Kiyomisama!– Kobo apre il pannello con mani tremanti, e si piega in un profondo inchino. Oltre la soglia, vestita negli abiti di una kannushi, Kiyomisama proietta il suo sguardo nell’umile casetta di Kobo. È alta e snella, pur nell’ampio kimono di seta color pesca, coperto da ricami di bianchi fiori d’arancio. I lunghi capelli, sciolti, voluminosi e crespi, a tratti neri come il profondo della notte, a tratti bianchi come neve appena posata, nel fioco azzurro dell’ultimo imbrunire, sembrano risplendere di luce propria. Dalle tempie scendono due cordicelle bianche, che pendono da un filo che gira attorno alla testa, sulle quali sono stretti dei piccoli nodi a intervalli regolari; è il simbolo della sua consacrazione ai kamii. I suoi occhi, incastonati in un volto tagliente, si posano Rai’ansama. Penso “si posano”, ma avrei fatto meglio a pensare, “penetrano”. A fatica, mi giro verso di lui, e leggo la sua sorpresa. Passa il tempo di molti respiri, tanto che Kobo inizia a lamentarsi per il dolore alla schiena, che è ancora china, ma Kiyomisama non accenna a distogliere lo sguardo. Né lo fa Rai’ansama. Riluttante, Kiyomisama, lentamente, volta prima il viso, poi gli occhi verso di me. –Voi due miko. Venite.– ordina, e senza attendere si gira e si allontana verso la strada. Vicino a me, Midori si alza e la sento iniziare a dire: –Ma chi si crede di…– ma con un gesto le intimo di non finire la frase. È una alta sacerdo tessa; le dobbiamo rispetto. Mentre raggiungo Kiyomisama, in piedi lungo la strada poco più avanti, la voce di Rai’ansama mi giunge all’orecchio, come se mi sussur rasse; è la sua macchina per parlare da lontano. Me ne ero completamente scordata, e salto per la sorpresa. 162 –Cercate di capire cosa vuole.– –Sì…– rispondo piano, ma non so se lui mi ha udito. Midori annuisce. –Se c’è qualche problema, avvicinate un dito all’orecchio e chiama temi.– Ah, giusto, bisogna toccare il gioiello. Kiyomisama non ci dà nemmeno il tempo di inchinarci: –Dovete lasciare il villaggio immediatamente.– –Kiyomi…sama?– –Mi hai sentita. Dovete andarvene subito.– –Kiyomisama… è già notte!– –Questo non mi riguarda. LEI non vi vuole. Soprattutto lo straniero. Dovete andare via.– –Mi scuso per l’impudenza… ma chi è questa donna che non ci vuole?– –La Regina.– La risposta mi gela. Fisicamente. Ho un brivido freddo lungo la schiena, e mi torna alla mente il jaki che ho sentito oggi. Midori indietreggia di un passo. –Noi… non abbiamo nessuna intenzione malvagia… vogliamo solo pas sare qui la notte…– ma so che è una mezza menzogna. E so che anche Kiyomisama lo sa. Nell’orecchio, la voce di Rai’ansama mi sussurra: –Ho sentito Douzen; mi ha detto che la situazione è delicata. Qualsiasi cosa ti dica, cerca di assecondarla.– Annuisco senza rendermene conto. Devo reagire. –Kiyomisama, io sono Kaori, miko anzia…– –Non mi interessa chi tu sia, devi…– –E invece mi ascolterai!– grido. Il suo sguardo è insostenibile, ma io lo sostengo lo stesso. –Io sono Kaori, miko anziana del santuario di Koumon. Servo i kamii. E se necessario, li combatto.– Ora è Kiyomisama quella gelata. –Piccola miko impudente…– prova a iniziare a dire, ma non glielo permetto. –Noi resteremo qui stanotte. Domani al levar del sole, proseguiremo il nostro viaggio, e non sentirai più parlare di noi.– –E se te lo impedissi?– –Allora, ti combatteremo.– 163 Lo sguardo dell’alta sacerdotessa mi inchioda a terra. Mi guarda dritta negli occhi, ma… non è odio, non furore quello che leggo. È… commise razione. La mia testa si fa pesante. Le tempie pulsano. Inizia quella sensazione… quella sensazione di malvagità che conosco bene, e che combatto spesso, e che non avevo mai sentito forte come oggi. Ma non indietreggio. Chiudo gli occhi. Inspiro profondamente. Rievoco l’immagine del mikoshi di Tougasama, e la morsa che mi attanaglia si allenta. Ma ora ho un’arma ancora più forte; ancora un respiro, e nella mia mente si forma l’immagine di un kamii ancora più potente: il volto sorridente di Rai’an sama. Apro gli occhi, e non riesco a nascondere un accenno di sorriso, mentre restituisco lo sguardo alla sacerdotessa. La sensazione è sparita. Lei sembra sorpresa. E subito dopo, indignata, forse per il mio sguardo di sfida, forse per il mio sorriso. –…E sia, stupida miko. Il mio era un avvertimento. Sei tu che hai scelto il tuo destino.– E così dicendo, si gira così di scatto che i suoi capelli crespi quasi mi sferzano il volto. Ma non le lascio muovere più di due passi. –Kiyomisama.– Lei si ferma, e senza rispondere, si gira appena per guardarmi di sbieco con la coda dell’occhio. –… il mio nome è Kaori. Del santuario di Koumon. Non dimenticarlo.– La sacerdotessa scoppia a ridere, scuote la testa e riprende il suo cam mino. Lo strano matsuri (M) Ecco… adesso ho paura. Davvero paura. Quando vedo il sorriso vitto rioso sul volto di Kaori, sono sempre tranquilla, ma stavolta no. Quella sacerdotessa, quella kannushi mi ha spaventata a morte. E chi è questa Regina di cui parla? Sarà lo spettro di Yamatototohimomosohime? Ahh, non ci capisco niente, so solo che voglio andar via di qua. Non subito. Prima. In un angolino della mia testa riecheggia la frase “piccola miko impu dente…”; in genere lo dicono a me. Stavolta è toccato a Kaori, ma l’idea di prenderla in giro si affaccia appena, mi fa un salutino e scappa via, spaven tata come tutte le altre idee che mi schizzano per la testa. 164 Come siamo sulla soglia della casa della vecchia, il sorriso sul volto di Kaori scompare. Un profondo sospiro, ed eccola spalancare il pannello. Con aria grave, annuncia: –Rai’ansama, affila quelle spade. Ne avremo bisogno.– –Eh!?!– sfugge un fiato a Rai’an. –Kiyomisama è stata irremovibile. Ci ha ordinato di andarcene subito.– Kobo, seduta di fronte a Rai’an, dall’altra parte del focolare, impallidi sce e si accascia. Ho quasi paura che le prenda un colpo, ma si sostiene appoggiando una mano sul tatami. –Quella strega…– sibila. E su questo siamo d’accordo, vecchia. –Kobo?– Kaori la invita a sputare il rospo. –Oh, io… no… ecco…– Rai’an attraversa il tatami sui talloni, e si inginocchia di fianco alla vec chia. –Kobo, c’è qualcosa che vuoi dirci?– le chiede piano, sfiorandole appena una spalla. La voce calda dello straniero, e i suoi occhi del color del cielo d’autunno, scioglierebbero il ghiaccio della Via del Nord. Sono certa che lui non se ne rende conto, usa le sue armi in modo troppo naturale e inno cente. Ma la vecchia se n’è già resa conto da un bel po’. Guarda lontano, turbata, e non è per la paura della strega. –Beh, io… non so se dovrei parlarne…– Ma il tocco sulla spalla si fa più deciso, e le vecchie gote si tingono di un pallido rossore. –Oh, ma che importa!– sbotta, e dà finalmente fiato alla bocca sdentata. –Da quando la vecchia Kiyone è morta, è andata sempre peggio. Prima Kiyoha, e ora questa Kiyomi… i Matsuri sono sempre più indecenti.– –I Matsuri?– chiede Kaori. –Sì… per rendere omaggio alla hime…– Mi torna il mente il discorso del capo villaggio. E il jaki che ho sentito questo pomeriggio… e le chiedo: –Kobo, è vero che prima che arrivassero queste Kiyoqualcosa, tutti gli anni spariva qualcuno?– –Oh, ma che vai dicendo? Non sparivano, scappavano via!– –Cosa!?!– –Sì, e poi mica tutti gli anni. Soprattutto chi aveva i campi dalle parti della tomba della hime… qualcuno ha mollato tutto e se n’è andato a Saku rai. Un paio si sono fatti monaci, mollando mogli e figli. Ricordo che tre sono impazziti; Mononobe, Taku e Sasamasa.– –Impazziti? E come?– le chiedo. 165 –Il povero Mononobe si mise a correre urlando nei campi di notte. Non ci fu verso di fermarlo, ci vollero quattro uomini fra i più forti! Dovettero legarlo, ma lui non mangiò più nulla e morì due giorni dopo!– –Oh, che stranezza…– –E Taku, sapete… Si era messo a gridare cose senza senso. Qualcosa di un palazzo di legno su pali alti come pagode… diceva che doveva tornare nel suo palazzo, ed è sparito. Sua moglie l’ha cercato per giorni, poverina. Alla fine, l’ha trovato Sasada, in un fosso proprio dietro alla tomba della hime.– –Anche questo è proprio strano…– –E poi, Sasamasa… lui è proprio sparito senza lasciare traccia…– –Kobo, – la interrompe Kaori; non è da lei interrompere, ma capisco che non abbiamo molto tempo per le vecchie storie dei matti del villaggio. –…questi matsuri… cosa fa Kiyomisama di preciso?– –Oh, non lo sa nessuno!– Io e Kaori ci scambiamo uno sguardo perplesso. In genere, i matsuri sono feste a cui partecipa tutta la gente del paese. –Ma come, – chiede Kaori, –non fate una processione tutti insieme?– –No; Kiyomisama prende degli uomini che sceglie lei stessa e li porta alla tomba, e vieta a tutti di avvicinarsi. Quattro, cinque, anche sei uomini giovani e forti!– Mi intrometto: –E nessuno ha parlato di quello che fanno? Non ci credo che tutti abbiano tenuto la bocca cucita…– –Io ho chiesto a Morobe e Tokoyo, e quasi mi prendono a pugni!– –Davvero?– –Ma Shiko, la moglie di Katsuya, che è anche la sorella di Tomoyo, sapete… forse l’avete notata anche voi, quella che si lascia sempre la fascia del kimono mezza slacciata, così quando si china, si fa vedere dagli uomini che lavorano nei campi… che scostumata! Beh, insomma, Shiko mi ha detto che ha fatto di tutto per farsi raccontare quel che era successo da suo marito.– –Scommetto che ha trovato gli argomenti giusti per convincerlo…– ammicco alla vecchia. –E invece no! Alla fine, mi ha detto che Katsuya le ha raccontato che non si ricorda nulla. Lui le ha detto che stavano in cima alla tomba; Kiyomisama aspetta che esca la luna piena, e si mette a cantare… e poi lui si è svegliato in fila con gli altri giù, davanti al torii. Come c’è arrivato, ha giurato a Shiko di non saperlo.– 166 –Non ho mai sentito di un matsuri del genere…– sussurra Kaori, quasi a sé stessa. –Se volete saperla tutta, secondo me quella Kiyomi è una poco di buono, e gli uomini tengono la bocca chiusa perché a loro sta bene così! Portare degli uomini giovani di notte chissà dove…– Devo ammettere che l’idea ha sfiorato anche me. Rai’an ha ascoltato il racconto della vecchia molto attentamente, in per fetto silenzio, quasi senza batter ciglio. Ora si accovaccia sul sedere, abbracciando le ginocchia con un braccio, sfiorandosi il labbro inferiore con il pollice della mano destra. Sembra molto assorto. Il suo silenzio assorbe ogni suono della stanzetta, anche il fuoco smette di scoppiettare. –Kaori…– quasi sussura. –Rai’ansama?– quasi sussurra anche Kaori. –Dobbiamo agire stanotte.– Ecco, lo sapevo. Sospiro. Un’altra notte all’addiaccio. Poi ci ripenso. Mi sono detta che volevo andar via subito. Eccomi accontentata. Mi scappa un sorriso: non sono mai contenta di nulla! Un momento. Agire…? Cosa significa agire? Non mi trattengo: –Rai’an, non vorrai tornare alla tomba … stanotte?!?!– –Midori!– mi frusta Kaori con lo sguardo, –Mostra rispetto!– Oh, mi sono dimenticata il sama! Prendo il fiato per chiedere scusa, ma le parole mi escono senza che possa fermarle: –Non ti è bastato oggi? L’abbiamo tenuta lontana a stento, e siamo stremate! Non ce la possiamo fare, di notte, per giunta! È una follia!– –Midori!– grida Kaori, paonazza, ma la ignoro. Guardo Rai’an. Non può chiedermi questo. Ma lui mi fissa, con l’aria di un bimbo che chiede un dolcetto, e poi si avvicina gattonando, e si siede sulle ginocchia proprio di fronte a me. Ah, vorrei distogliere lo sguardo, ma non posso. Vorrei respirare, ma non posso fare neanche questo. –Midori… so che sarà faticoso… ma tu sei la miko più brava di tutto il Giappone, non è vero?– No, no, e ancora no! Grido nella testa, ma la mia bocca dice piano: – Sì…– –E, allora, mi aiuterai anche stavolta?– Scordatelo, levatelo proprio dalla testa, là, di notte, io non ci torno. Lo penso tanto forte che stavolta credo di riuscire a dirlo, e invece, ancora: – Sì…– 167 –Brava, Midori… vedrai, sarà facile…– e mi poggia una mano sulla guancia; appena un istante, appena mi sfiora. Dopo avermi inchiodata ben bene al tatami, si gira verso Kaori. –So che siete stanche, ma vi darò una medicina che vi aiuterà.– Kaori abbassa lo sguardo, e pudicamente risponde: –Farò ciò che Rai’ansama mi chiede di fare.– Come gli occhi di Rai’an si spostano dal suo volto, Kaori mi lancia una sola occhiata di fuoco. Non so che dire o che fare, così incasso il fuoco di Kaori e non dico nulla. La tomba di Himiko (R) I ragazzi, dietro di me, stanno tremando, e non è colpa dell’aria fredda e umida delle risaie di notte. Prima di partire, mi sono preso una decina di minuti per affilare le nostre nuove spade. Non serviranno, ma quando ho consegnato a Jirou la sua Oborozuki, è stato come dargli una dose di stimolanti come quelli che somministrano alle truppe d’assalto prima dei combattimenti. E l’idea che io e lui dividiamo le spade sorelle, quasi a sancire una fratellanza d’armi, gli ha fatto scordare la paura degli spettri. Alle ragazze ho iniettato un tonico anfetaminico; dovrebbe tenerle in piedi per almeno un paio di giorni. Erano davvero stremate, soprattutto Midori. È un palliativo, e non farà loro bene, ma non potevo fare altro nel bel mezzo del villaggio; e comunque, ho intenzione di fermarmi un po’, dopo stanotte, per permettere loro di recuperare le forze… e capire cosa è successo al nucleo centrale del calcolatore. Avrei preferito attendere e studiare la situazione con calma, ma il rac conto di Kobo, e la visita di questa Kiyomi… anche quel paio di frasi che ho scambiato con Douzen… tutto mi fa pensare che, in qualche modo, gli eventi strani di cui parla la gente di qui abbiano qualcosa a che vedere con la presenza del nucleo nel tumulo. Se è così, è meglio agire subito. –Lo senti?– Kaori, allarmata, chiede d’improvviso a Midori. Midori non risponde; non la vedo, ma posso immaginare le ciocche di capelli lasciate pendere dalle tempie ondeggiare, mentre annuisce. Non ho idea di cosa stiano parlando, ma è chiaro che sono suggestionate. Beh, devo ammettere che il posto è sinistro. Ho passato quasi tutta la vita fra le latte di stazioni spaziali, navi stellari o istallazioni planetarie. Per qualche anno, ho vissuto a New Rome, la “capitale” di Marte; ma è ancora una serie di basse cupole pressurizzate che filtrano la già fioca luce solare, e di notte sono illuminate a giorno. La terraformazione non è ancora com 168 pleta; piante e microorganismi sono già in grado di vivere sulla superficie, e il campo magnetico artificiale protegge l’atmosfera dalle radiazioni solari, ma per rendere l’aria respirabile ci vorranno almeno altri ottanta, forse cento anni. Mi sono sottoposto ad allenamenti intensivi per scongiu rare la possibilità di soffrire di agorafobia… ma trovarsi in una notte di mezza luna su una stretta strada fra le risaie e i boschi dell’antica Terra… sulla testa nient’altro che una sottile pellicola di gas… faccio fatica ad ammetterlo, ma innervosisce anche me. E poi, tutta questa vita… troppa. Mi arriva il canto di un uccello not turno, a cui non so dare un nome. E questi insetti; i miei scudi non sono tarati per tenerli lontani; l’idea dei batteri che albergano su di loro, e in loro, mentre mi sbattono sulla pelle, non mi tranquillizza affatto. E la paura ancestrale delle notti all’aperto non è così infondata. Lo sce nario di essere assaliti da un branco di lupi, da un orso sceso dalle monta gne in cerca di cibo, o da un cinghiale, o di calpestare un serpente vele noso… o addirittura, incontrare una banda di briganti… tutte queste cose non sono solo il frutto di una fantasia remota, sepolta negli strati della memoria collettiva del genere umano. Qui, ora, sono possibilità del tutto concrete. Ma no, sto solo cercando di razionalizzare. Il mio sistema immunitario è stato potenziato e qualsiasi batterio possa essere inoculato dagli insetti che mi stanno sbattendo sul viso sarebbe distrutto in pochi istanti. Posso neu tralizzare le tossine dei crotali più velenosi in meno di un minuto. Un cin ghiale in carica, potrei sollevarlo e scagliarlo a cento metri con la punta delle dita. E un branco di lupi… potrei spazzarlo via con un gesto delle mani. Certo, posso capire i miei compagni, ma io… io non capisco… cos’è quest’ansia. Arriviamo alla base del tumulo. La massa scura della densa, disordinata vegetazione incombe ripida su di noi. Dalle colline a est scende una folata di vento carica di umidità, che nonostante il freddo, si appiccica alla pelle. Rabbrividisco. Attivo il visore notturno. Non c’è niente di strano nella collinetta artifi ciale… niente, a parte il fatto che gli alberi sembrano cresciuti fuori da qualsiasi controllo. I tronchi sono inclinati, le chiome sono basse, gonfie e fitte, e quasi non ci sono alberi della stessa specie gli uni accanto agli altri. Principalmente, sono pini selvatici, qualche ciliegio giapponese, anche qualche basso cedro… vedo una quercia… e il sottobosco sembra nello stesso stato. Felci, macchia, funghi e tutto quanto sembra cresciuto senza un minimo ordine. Come biologo, la cosa mi incuriosisce. Ma l’impres 169 sione che ne ricavo guardando l’insieme va oltre la curiosità scientifica. È come se la natura si fosse precipitata a coprire, alla benemeglio, quel corpo estraneo; sì, ecco, come gli anticorpi che aggrediscono un tumore. –Rai’ansama…– sussurra Kaori. Lo stridere del metallo di Oborozuki lungo il fodero mi fa trasalire. Mi volto; Jirou guarda verso sud, verso il villaggio che abbiamo appena lasciato; davanti a lui, la punta della spada riflette il pallido bagliore della luna. –Ci serve un po’ di luce.– dico; sollevo la mano sinistra e apro gli emet titori. Un fascio di luce lattiginosa si insinua fra le le basse fronde, le felci e le foglie del fitto bosco. Sento il grido soffocato di Midori. Temo che la luce innaturale, spettrale, trasmetta ai miei compagni più timori che cer tezze. Ma almeno, permetterà loro di vedere dove mettere i piedi. Come accenno a muovermi, Midori dice piano: –Io resto qui.– Kaori smette di respirare. Jirou è immobile. Sospiro. –Va bene…– sussurro, –non c’è motivo che veniate anche voi. Anzi, forse è meglio se rimanete qui a fare la guardia. Se si dovesse avvici nare qualcuno, fatemelo sapere–, e così dicendo, indico l’orecchio con un dito. Kaori annuisce. Poso il bagaglio e spengo la luce. L’improvvisa oscurità spaventa Midori, che suo malgrado, scatta e si aggrappa al braccio di Kaori. Mah, certo che la suggestione è davvero una brutta bestia! Sono quasi riusciti a contagiare anche me. Non visto, nella penombra, sorrido e scuoto la testa. E pensare che sono uno scienziato… Inizio a salire sulla collina. Il tumulo delle bacchette, come molti altri della prima epoca Kofun, è formato da una parte a pianta triangolare inne stata in una a base circolare, con una forma che un tempo era chiamata “a buco di serratura”. Questo pomeriggio ho analizzato la parte triangolare, alla cui base c’è il torii eretto dalla gente del posto; ma sapevo che era improbabile trovare la camera sepolcrale da quella parte. L’ingresso è in genere nella parte a pianta circolare, più o meno a metà altezza. Tiro a indovinare; probabilmente è verso est, rivolto al sorgere del sole, o forse in direzione del monte Miwa, verso sudest. Addentrarsi nella macchia è fati coso, e dopo un minuto sono salito per non più di venti metri, forse meno. Per fortuna, mano a mano che avanzo, la macchia sembra diradarsi. Il ter reno è compatto e allo stesso tempo scivoloso; rischio di cadere più volte. Inciampo spesso sulle lastre di pietra usate per preservare la forma della collina dall’erosione. In origine formavano gradoni in piano, ma ora sono sconnesse, e molte sono scivolate fuori posto. 170 Finalmente, lo scandaglio a risonanza rileva un’apertura a trenta metri dal posto in cui mi trovo; avevo quasi indovinato. Faticosamente, mi arrampico fra sterpi e arbusti. Arrivato, non vedo nessuna differenza rispetto al resto del terreno; c’è anche un albero di ciliegio che cresce pro prio sopra l’ingresso. Apro gli emettitori su entrambe le mani; carico gli anelli supercondut tori e attivo i generatori di gravitoni. Il terreno davanti a me si solleva, assieme alle rocce che, fino ad ora, sigillavano l’ingresso. Dall’apertura oscura esce un tanfo che non avevo mai sentito prima. Chissà quali funghi, muffe e batteri si sono sviluppati in quasi mille anni, in questo ambiente scuro e umido. Sono costretto ad abbattere alcuni alberi alla mia destra per posare la massa di terra e roccia che ho sollevato. Il rumore di legni spezzati si sente fin da giù, e dopo un attimo, mi giunge la voce di Midori. –Rai’an… sama, tutto bene?– –Sì, grazie, Midori. Ho trovato l’ingresso. Sto entrando.– Midori non risponde. Dentro, gli infrarossi non sono di molto aiuto, e nemmeno il visore not turno. Uso la luce dei miei emettitori e proseguo. Il condotto, formato da pietre ben squadrate dal lato di trenta centimetri, è largo poco meno di due metri, e appena più alto. Aria a parte, è opprimente. Il pavimento è scivo loso, ma per fortuna tende a salire. In alcuni kofun, tende a scendere, e que sto ha reso la camera sepolcrale una pozzanghera eterna. Come mi aspettavo, la camera è appena più ampia del corridoio. C’è un sarcofago appoggiato alla parete destra; è alto sì e no un metro, e la base è circa un metro e settanta per sessanta centimetri. È tipico delle tombe più antiche: nei tumuli dell’ultimo periodo, si preferiva posare la salma sulla terra nuda, lasciata emergere dal pavimento di lastre di pietra, proprio a significare il ritorno del corpo alla madre terra. Sparsi sul terreno, senza ordine apparente, vedo vasi che dovevano con tenere offerte votive, e alcuni tessuti, in origine probabilmente abiti, ormai completamente marciti; ci sono anche alcuni semplici gioielli in giada levi gata; il più notevole, una collana di magatama, un gioiello in pietra dura a forma di dente di animale, a ricordare le antiche collane fatte con denti veri, un potente talismano nello sciamanesimo del Giappone preistorico. Il nucleo deve essere nel sarcofago. Faccio appena in tempo a pensarlo che una voce mi fa trasalire. –Vattene subito!– 171 Non sapevo che il cuore potesse battere tanto forte. Né che l’adrenalina potesse inondare i muscoli tanto velocemente. O forse lo sapevo, ma saperlo e provarlo sono due cose diverse. Per fortuna, i miei impianti non mi danno retta, altrimenti mi sarei schiantato contro il soffitto, o contro una parete, e avrei potuto farmi davvero molto male. In compenso, grido. La voce, femminile, stridente, implorante e allo stesso tempo perentoria, si trasforma; scende di ottava, si modifica, diventa bestiale. –Maledetto! Hai profanato il mio sonno, e adesso devi subire il mio tor mento! Maledetto!– Mi giro verso la voce. Davanti a me, una figura tremolante, trasparente, il volto di una giovane donna, antico, solenne, incoronato con un filo di perle, fra i lunghi capelli fluenti, pendagli di giada, sul petto due collane di magatama, un kimono dalla foggia semplice eppure nobile… –Vattene!– muove un passo verso di me l’eterea figura, minacciosa. I bordi della mia vista si fanno sfumati. Una nebbia bianco latte si pone fra me e il fantasma. La testa si fa pesante, il respiro faticoso, sento i muscoli rilassarsi; cadrei, ma gli impianti nelle mie gambe mi sostengono come fossi un burattino senza fili poggiato su un piedistallo. Che sta succedendo? Mi fischiano le orecchie; una vibrazione profonda mi arriva dalle gambe, e dalla pelle della testa. Ho paura. Vorrei scappare, ma le mie gambe non rispondono. Sento che sto per perdere conoscenza… tutto si fa buio… Programma di emergenza. Un lampo rosso si pone davanti ai miei occhi; le macchine mi costringono a rimanere sveglio, iniettando adrena lina direttamente nel mio cervello. Il mio campo visivo si riempie di moni tor. Rapporto danni. Un monitor viene sollevato alla massima priorità; indica un disturbo neurologico localizzato alla base del mio cervelletto. Analisi minaccia. Si sovrappone un monitor a priorità ancora maggiore. Il sistema di analisi automatico individua un attacco a base di infrasuoni e di onde elettromagnetiche ad alta intensità. Dico a me stesso: Attivare schermatura elettromagnetica. Compensare l’infrasuono con onda in controfase. 172 Docilmente, le mie macchine eseguono gli ordini. Rapidamente, il buio che attanaglia i miei occhi si dirada, come onde di d’inchiostro, come nubi oscure che fuggono dalla luce. Oltre i monitor, ora trasparenti, vedo il volto sconcertato dell’apparizione. –… ma come…?– Non le do retta. Mi dirigo al sarcofago. –No! Fermo!– Grida, tanto forte da farmi male alle orecchie. L’apparizione mi fluttua davanti, frapponendosi fra me e il sarcofago. –Vattene!– mi intima ancora. Il suo volto si contorce, le sue unghie pun tano dritte verso la mia faccia; i suoi occhi roteano, si sgonfiano, mi guar dano da orbite ora vuote, la pelle si scioglie cadendo dalle guance, i denti escono fra le labbra che si ritirano, e la bocca dello scheletro si spalanca in un grido silenzioso. –Oh, piantala!– dico, e attraverso l’immagine senza battere ciglio. Mi giunge un’altra voce. Stavolta è Jirou. –Rai’ansama, sarebbe opportuno che tornassi non appena ti è possibile; abbiamo qualche problema.– –Credimi, Jirou, in questo momento io ne ho di più.– Non sento altro. Infilo le dita sotto al coperchio di pietra, e la figura riappare davanti a me, con il solo busto che spunta dal sarcofago, il volto ora di nuovo vivo e nobile. –Straniero… non farlo.– il nobile busto che ho di fronte mi chiama. Il suo sguardo si fa via via più supplichevole. –Ti prego… non … non guardarmi… così… ti prego… – il volto dalle sembianze di una giovane donna … quasi una bambina … si piega nella smorfia del pianto mentre mi implora: –non umiliarmi così!– Il sentimento che fa tremare le labbra dello spettro è una sofferenza che non può essere simulata. Quella cosa che sta di fronte a me non sta facendo finta. Non sta mentendo. –Scusami…– abbasso lo sguardo. –… so che quello che sto facendo non è bello…– –No… ti prego, no…– ora lo spettro piange senza vergogna. –… ma devo farlo. Presto, lo capirai anche tu.– No… mima con la bocca, ma il singhiozzo del pianto le impedisce di parlare. Sollevo di scatto la lastra. 173 Lo scheletro di Yamatototohimomosohime giace davanti ai miei occhi. La veste funebre in cui fu avvolta si è fusa con le sue ossa. Tra le dita delle mani intrecciate sul petto, il nucleo centrale pulsa di una luce bianca che proietta nella camera grigia scintille di arcobaleno. La luce si tinge piano piano di rosso; gli indicatori sui monitor mi comunicano che l’attacco è cessato. Tenendo sollevata la lastra col braccio destro, tocco la superficie del nucleo con l’indice della sinistra. La sua luce muta rapidamente in rosso cupo. –Computer: identificazione.– –Pronto– risponde la stessa voce dello spettro, ma stavolta senza nessun segno di emozione. E non in Giapponese antico, ma in Terrestre standard. –Ryan Sullivan.– –Identificazione positiva. Scansione genetica positiva.– La luce del nucleo diviene azzurra. –Ordine: modalità di comando.– –Modalità di comando, eseguito.– –Sospensione.– –Sospensione, eseguito.– La luce scompare completamente, tranne una piccola scintilla, come una tremula candela, che dà al nucleo un aspetto traslucente. Aprendo gli attuatori meccanici che si prolungano dal mio avambraccio, scosto le ossa delle dita quel tanto che basta per sfilare il nucleo. È leggero e tiepido. –Riposa in pace, regina.– È stupido, ma sento che devo dirlo, prima di posare delicatamente il coperchio del sarcofago. Souhei (K) –Rai’ansama, non vorrei metterti fretta, ma qui le cose si stanno met tendo male.– Mi avrà sentita? Midori mi stringe la mano tanto forte da farmi male; a malincuore, mi divincolo e incocco una freccia. Jirou si stringe al mio fianco, coprendo col suo corpo Midori, la punta della spada minacciosa mente tesa in avanti. Kiyomisama mi trafigge con lo sguardo, da cinque o sei passi di distanza; anche nella penombra della notte di mezza luna posso vedere il bagliore dei suoi occhi fissi su di me. Ma anche lei, deve sicuramente vedere la punta della mia freccia. 174 Dietro di lei trenta, o forse quaranta uomini. Tutti contadini di Shiba; sono armati di torce, bastoni, zappe e pale. La testa mi scoppia; quasi non riesco a tenere lo sguardo fisso su Kiyomisama. La forza maligna che infesta questo luogo si sta sfogando contro di me con tutto il suo potere, ora che non posso tenerla a bada con i miei norito. –Allora, piccola stupida miko, – è il saluto di Kiyomisama, –così avre ste dovuto lasciare il villaggio all’alba…– –C’è stato un cambio di programma…– la lingua incespica mentre provo a far uscire le parole. Il ghigno di Kiyomisama biancheggia bef fardo. –Ed eravate solo di passaggio…– –Infatti… non ci … fermeremo … a lungo … tirare fuori le parole è sempre più faticoso. –Oh, e invece vi fermate qui. Molto, molto a lungo. E dimmi, stupida miko, dov’è lo straniero?– Lo vedrai presto, penso, ma non riesco più a parlare. Dietro di me, sento Midori aggrapparsi alla mia veste. La punta della spada di Jirou ondeggia. Non so quanto ancora potremo resistere. Kiyomisama muove un passo, e gli uomini dietro di lei la seguono, come fossero una cosa sola. –Ferma!– Grido e tendo l’arco. –Cosa credi di fare con quello stecchino, stupida miko?– –Ucciderti … se fai … solo … un passo.– Il sorriso beffardo di Kiyomisama svanisce. A quanto pare, il suo potere non arriva a fermare il volo delle frecce. Ora sono io che sorrido. –Sai… mi mancano … le forze …– –Oh, ma davvero?– –Già… quasi non riesco … a tenere la freccia … dovesse partirmi, … pregherò per la tua … anima … – La sacerdotessa si irrigidisce. Trattiene il fiato. La forza che mi attana glia si allenta un poco. –Senti, stupda miko… – –Kaori! Il mio nome… è Kaori … del santuario … – –Di Koumon, sì lo so, non preoccuparti, lo scriveremo sulla tua tomba. Adesso, perché non ci rendi le cose più facili? Ti prometto che la tua morte sarà rapida e indolore.– –Haha,– trovo la forza di ridere, –qualcuno dovrà scrivere … il tuo nome… accanto al mio. Sarai la prima … a morire.– 175 Kiyomisama rimane immobile. Il mio respiro si sta facendo pesante, e la vista inizia a sfocarsi. I suoni mi giungono ovattati, la mia stessa voce rimbomba. E va bene, se deve finire qui, avrò la compagnia di una alta sacerdotessa nel viaggio verso YominoKuni, il Regno delle Ombre. Ispiro l’ultimo fiato, e con le forze rimaste tiro la cocca più che posso. Kiyomisama sem bra aver capito le mie intenzioni, e vedo un’ombra di terrore passarle sul volto. Quale modo migliore di morire, se non dopo una grande vittoria come questa? Ma d’improvviso, la morsa che mi afferrava svanisce. –Kaorisan!– Mi chiamano a una sol voce Jirou e Midori. –Se n’è andata…– dico piano. Se ne accorge anche la sacerdotessa, e gli uomini dietro di lei ondeggiano e scuotono la testa. Poi si guardano l’un l’altro, e si levano alcuni mormorii. –Che cosa avete fatto?!?– grida Kiyomisama, la voce ora isterica. –Quel che è giusto.– rispondo. Dalla collina sopra di noi si sente uno schianto di massi smossi. Gli uomini dietro Kiyomisama trasaliscono, alcuni cadono a terra. Lei rimane immobile, e vedo, anche nella luce fioca, che impallidisce guardando in direzione della tomba della hime. Deve aver realizzato quel che è appena successo. La voce di Rai’ansama mi giunge dal gioiello poggiato sul mio orec chio: –Scusate, ragazzi; quassù ho finito. Allora cos’è questo grosso pro blema di cui parlavate?– Risponde Midori, che è l’unica con le mani libere. –Qui c’è Kiyomi, con un mucchio di uomini, e non hanno buone inten zioni.– –Kiyomisama– le ricordo. –Sì, ecco… Kiyomisama.– –Cerco di sbrigarmi, riuscite a tenerli a bada?– I contadini recuperano l’equilibrio; quelli con le torce girano attorno a Kiyomi, e quelli con i forconi si dirigono verso di noi. Midori trema, ma trova la forza di rispondere: –Mi sa di no…– D’improvviso, s’ode giungere dalla strada dietro la collina il rumore di zoccoli al galoppo. Faccio appena in tempo a girare la testa verso quella direzione che compaiono tre, cinque, nove … e più cavalli, con in sella i souhei del Toudaiji. Li vede anche Kiyomisama, e indietreggia di un passo, quasi inciam pando su un giovane contadino che regge una torcia, dietro di lei. 176 Come ci sono vicini, riconosco il capo delle guardie di Douzengeika. –Buonasera, nobile miko.– Ah, stamattina ero solo una “donna”, eh? –Buonasera, nobile souhei.– ricambio il saluto senza abbassare l’arco. –Allora, che sta succedendo qui?– grida, e nel mentre i suoi cavalieri spianano le alabarde verso i contadini. Kiyomisama non risponde; non capisco che sia più sconcertata dalla consapevolezza di aver perso il suo potere o dalla vista dei monaci guer rieri. Rispondo io al posto suo: –Oh, nulla, nobile souhei. Eravamo nel mezzo di una disputa teologica.– Dietro di me, Midori scoppia in una breve, nervosa risata. –Oh, capisco, nobile miko. Le dispute teologiche possono farsi molto movimentate, di questi tempi.– –Eggià.– –E siete giunte a qualche conclusione?– –Stavamo giusto arrivando alla buddità dei kamii.– –Oh, argomento affascinante… e a quanto vedo, delicato… A proposito, dov’è il kamii straniero?– –Sarà qui fra poco.– –Beh, non vorrei intromettermi in una disputa teologica fra nobili sacer dotesse, – lo sguardo del guerriero si posa freddo su Kiyomisama, –ma devo proprio chiedervi di sloggiare.– Lei lo guarda inespressiva, ma i contadini dietro di lei già stanno indie treggiando. –Nobile sacerdotessa, non farmi scendere da cavallo. Sono stato sve gliato nel cuore della notte, e ti assicuro che questo mi mette di pessimo umore. Allora, ve ne andate con le buone, o ci costringete a una notte di veglia e di espiazione davanti al Grande Budda d’Oro?– I contadini colgono la perifrasi e iniziano a correre alla rinfusa verso il villaggio. Ma Kiyomisama rimane immobile. Balbetta qualcosa, alter nando lo sguardo fra me e il souhei. Poi il suo volto si china verso un punto indefinito, da qualche parte verso la terra che mi separa da lei. –Che cosa… avete… fatto?– chiede di nuovo. –Quello che è giusto.– ripeto. –Kaori!– sento la voce di Rai’ansama giungere dai cespugli dietro di noi. Fruscio d’arbusti, rami spezzati. –Tutto bene, Rai’ansama.– 177 Il suo passo pesante si avvicina, ma la sua corsa rallenta. Come arriva al mio fianco, intravedo le sue vesti strappate, piene di rovi e foglie. –Rai’ansama!– il souhei si butta giù da cavallo e si inginocchia. –Genbei, grazie di essere venuti.– –Servire Dounzengeika è un onore.– Rai’ansama aveva parlato con Douzengeika attraverso la sua scatoletta proprio mentre uscivamo dal villaggio, ma non gli aveva chiesto aiuto. Evidentemente, il monaco ha deciso comunque che era meglio mandare qualcuno dei suoi. –Kaori, puoi abbassare l’arco, adesso. Anche tu, Jirou.– –Ho!– risponde il giovane riponendo Oborozuki nel fodero. Io lascio andare la tensione dalle bracia, sospirando. Peccato, pensavo davvero che sarebbe stato interessante discutere con Kiyomisama lungo la strada verso YominoKuni. –Kiyomi… è così che ti chiami, vero?– Rai’an si avvicina alla sacerdo tessa. Lei lo guarda fisso, sollevando una mano aperta verso di lui, quai a implorarlo. –Che cosa… hai fatto? Cosa hai fatto alla mia regina?– le sue guance si velano di lacrime. –Kiyomi, ascolta…– cerca di calmarla. Il suo tono è caldo e amiche vole. –No!– grida nel pianto, –Non ti ascolterò, non ascolterò le tue parole velenose. Che cosa le hai fatto?– –È qui con me!– grida lui, e la raggiunge, prendendola per le spalle. –È qui con me…– ripete piano. La sacerdotessa lo guarda a bocca aperta. –… sta solo dormendo. Non le farò alcun male.– –Non ti credo. Lei… lei aveva paura di te! Mi aveva detto che l’avresti portata via!– Rai’ansama non risponde. –Mi aveva detto… che avresti rovinato tutto…– –Kiyomi…– –No! Lasciami!– si divincola lei, e indietreggia, gli occhi infuocati. Il souhei si alza, con fare minaccioso, e si affianca a Rai’ansama. –Basta così!– intima abbassando l’alabarda verso Kiyomisama. –Tu sia maledetto!– sibila, e si mette a correre verso il villaggio. –Ti troverò!– grida svanendo fra le foschie della notte. 178 Salendo sul Monte Miwa (M) –Dovremmo cercare un posto per dormire.– fa Rai’an a Kaori. Non l’ho mai visto così stanco. Anzi, a pensarci bene, non l’ho mai visto stanco. Io invece mi sento frizzante! Sarà la paura che ho avuto, o la medicina che mi ha dato prima, ma mi sento vispa come al mattino. L’Ora del Cinghiale dev’essere passata da un pezzo. I souhei sono tor nati a casa loro; ci avevano chiesto se volevamo essere scortati, ma Rai’an ha rifiutato. Peccato, cominciavano a starmi simpatici. Kaori si guarda intorno, come per farsi venire un’idea. –A quest’ora, non possiamo certo andare a cercare una locanda a Saku rai, e Nara è lontana…– –E perché dovremmo dormire?– faccio io. –Avete sonno?– –Midori, vorrei che riposaste un po’.– Rai’an si gira a guardarmi. –Riposare? Io sono riposatissima.– Jirou sospira. Anche lui ha l’aria molto stanca; mi ero dimenticata che, a lui, Rai’an non ha dato nessuna medicina. –Fidati di me, Midori, anche se non hai sonno è meglio se riposiamo un po’.– –Uffa.– Non mi va di dormire. Non dopo la paura che ho avuto. Se dormo stanotte, avrò certo gli incubi, a ripensare a quella strega… e alla forza che ci stava schiacciando. O ai contadini che volevano ucciderci. Insomma, non mi va di dormire. –Ad ogni modo, – fa Kaori, –Andiamo a Sakurai. Magari troviamo una locanda ancora aperta.– –Va bene…– –Saremo lì prima che inizi l’Ora del Topo; se ci spicciamo forse anche prima… ma è meglio fare il giro largo. Non credo sia il caso di passare da Shiba, stanotte.– Ci incamminiamo lungo i sentieri che attraversano le risaie. Si sta solle vando una densa nebbia ai nostri piedi che la fioca luce della luna tinge di azzurro cupo. Fa paura. –Rai’ansama?– mi avvicino a lui. –Dimmi, Midori.– –Questo posto continua a non piacermi… Lo spettro… l’hai scacciato davvero?– Ho bisogno di sentirmi dire che va tutto bene. –Non era uno spettro.– –Eh?– 179 Anche Kaori si avvicina. –Ragazze… scusate se non vi ho creduto. È stata una leggerezza che cercherò di non ripetere.– Kaori trasale. –Non ci hai creduto?!? Che significa?– –Pensavo che … oh, non importa. Fatto sta che non mi ero accorto di quello che stava succedendo, e del pericolo che stavamo correndo.– Kaori guarda fisso Rai’an. Non riesco a capire cosa stia pensando, sem bra… sorpresa. –Ad ogni modo, non era uno spettro.– –Oh… allora era un demone?– gli chiedo. Lui mi sorride. –Non proprio. Beh, comunque… ti fidi se ti dico che ora è tutto a posto?– –Ma come, Rai’ansama non si fida di me e io dovrei fidarmi di lui?– e faccio finta di mettere il broncio. Lui ride. –Vabbeh, tanto la strada è lunga. È tutta opera del nucleo centrale.– –Eh?– –La macchina che stavo cercando. Non ho ancora capito cosa sia suc cesso, ma si è attivata da sola ed ha iniziato a… comportarsi in modo strano.– Kaori lo guarda preoccupata. –È un problema?– –Beh, ecco… io sono un bioantropologo, non un esperto di macchine di calcolo. Cercherò di capirci qualcosa, ma non è proprio il mio campo di studi…– –Scusami, Rai’ansama, ma… tu mi stai dicendo che la forza maligna che sentivamo era questa tua macchina?– –Sì.– –Rai’ansama… posso vederla?– –Oh… beh…. sì, ma…– –Ti prego, fidati di me.– Rai’an si ferma; ci mettiamo attorno a lui. Infila una mano nel kimono e quando la tira fuori, una pallida luce gli illumina appena il volto. La macchina di cui parla è una specie di uovo di cristallo, tanto grande da occupare completamente la sua grande mano. Anche nell’oscurità della notte, è chiaro come se tutta la luce della luna fosse solo per lui. Ma il cri stallo non è trasparente; la superficie è lucida e liscia, ma dentro è pieno di striature e fratture luminose. –Posso toccarla?– chiede Kaori. –Sì…– 180 –Midori, vieni anche tu.– Mi prende per mano. So quello che vuole fare. Vuole cercare di capire se c’è qualcosa di malefico attorno, o dentro, a quella cosa. Tocchiamo insieme l’uovo che Rai’an tiene in mano, con la punta dell’indice e del medio, e intoniamo… –Kamii del cielo e kamii della terra…– Le parole vengono da sole, quasi non ho bisogno di muovere la bocca. –E Tougasama, Signore della Luce della Sapienza…– Questa è la parte che hanno aggiunto al nostro santuario; è quella che preferisco. –Se v’è malvagità in questo, sii la nostra guida…– Il resto del norito fila via senza che quasi me ne renda conto. A ogni parola, il mondo si fa più lontano, come se una realtà più vera si imposses sasse dei miei sensi. Ora vedo con gli occhi del mio spirito di kamii, e quando sono così, la malvagità, per quanto tenti di nascondersi, non può sfuggirmi. Abbiamo finito. Kaori mi guarda, con aria interrogativa. So che lei non ha sentito nulla. E nemmeno io. Scuoto semplicemente la testa. –Rai’ansama… non capisco.– dice al kamii straniero. –Come può un oggetto sprigionare tanta malvagità senza essere esso stesso malvagio?– –Oh… dunque… si tratta di un meccanismo di difesa.– –Difesa?– –Sì… come vi ho detto, non so proprio tutto su questa macchina, ma so che è in grado di … dunque… non so bene come dirlo con parole che conoscete, ma… insomma, di fare delle cose che possono far male alla testa.– –Ma questo spirito non si stava difendendo. Questo pomeriggio ci ha aggredite!– –Beh, a dirla tutta, questo suo… potere, non è pensato per difendersi o aggredire. Serve solo per parlare con le altre macchine sulla nave. Deve aver imparato a servirsene per difendersi.– Rai’an riprende il cammino, e noi lo incalziamo. –Ma Rai’ansama…– gli chiedo io, –come fa questa macchina ad avere uno spirito tanto forte?– –È un’intelligenza artificiale.– –Eh?– –Dunque… è una macchina che pensa, più o meno come una persona.– Kaori quasi lo strattona. –Ma non era una macchina per fare i conti? Ci hai detto che era una macchina per contare…– 181 –Oh, ma anche il cervello che abbiamo in testa è una macchina per fare i conti.– Scoppio a ridere: –Allora la mia è rotta! So appena fare due più tre!– –Mettiamola così. I pensieri sono conti; molto lunghi e complessi, e il nostro cervello è fatto apposta per fare i conti dei pensieri, talmente in fretta che non ce ne accorgiamo.– –E questa… macchina per fare i conti… pensa come una persona?– –Per molti versi sì… ma per altri, rimane sempre una macchina che fa i conti.– –E lo spirito?– chiedo. –Ce l’ha uno spirito?– –Ma certo che ce l’ha!– risponde Kaori, quasi seccata. –Sai bene che c’è uno spirito in tutte le cose. Figuriamoci se non c’è uno spirito in qualcosa che pensa come una persona.– –Eggià…– –E poi… l’abbiamo sentito tutti, no?– Kaori guarda Jirou. Persino un uomo, per di più un contadino, ha percepito assieme a noi la sua forza. Jirou annuisce, ma non aggiunge altro. Sto per fare un’altra domanda quando Rai’an si ferma di colpo. Poi guarda alla sua destra, in direzione di Shiba; dovremmo aver passato il vil laggio da un po’, già si intravedono le sagome delle case di Sakurai in lon tananza… –Rieccoli.– ci dice. –Cosa?– chiede Kaori. –Ci stanno cercando. La gente di Shiba.– Ci immobilizziamo. –Quand’ero nel tumulo non potevo vedere lontano, e poi… ero distratto… ma adesso li posso vedere bene.– –A che distanza sono.– Chiede Kaori, allarmata. –Cinquecento metri.– –Cinquecento cosa?– –Oh, scusa… circa mille passi.– Kaori impreca. –Non credo ci abbiano ancora visti, si stanno muovendo a caso. Però sono fra noi e Sakurai.– Kaori impreca di nuovo. Alla nostra sinistra, oltre una stretta fila di campi, si alza il monte Miwa. Alla destra, Shiba e davanti a noi Sakurai. Mi guardo intorno. 182 Kaori riflette ad alta voce: –di tornare sui nostri passi non se ne parla, c’è troppa strada da fare per Nara… Dobbiamo tornare indietro e adden trarci nelle colline.– decide. –No, vedo qualcuno muoversi in direzione del tumulo. Ci taglieranno la strada prima che possiamo arrivare lì.– Siamo circondati. –Kaorisan…– prova a suggerire Jirou … perché non proviamo a chie dere ospitalità al santuario di Oomiwa?– È il santuario che protegge e santifica la Montagna Sacra. Mi giro; se fosse giorno, probabilmente potremmo già vederlo, e mi sembra di scor gere la sagoma di un torii non molto distante. Non è affatto una cattiva idea. –Ci avevo pensato…– riflette Kaori… – ma Kiyomisama è una alta sacerdotessa. Non so in che rapporti sia con il kannushi di Oomiwa, ma vivendo a meno di mille passi dal santuario, dubito che si guardino in cagnesco. Inoltre, se racconta che abbiamo appena profanato la tomba di Yamatototohi…– –Va bene, – taglia corto Rai’an, –ho capito. Ci resta una sola alterna tiva.– –Quale?– chiede Kaori, preoccupata. –Saliamo sul monte Miwa. Lì nessuno verrà a cercarci.– Kaori gli sorrde: –Stai scherzando, Rai’ansama… Vero?– –Niente affatto; muoviamoci, che stanno venendo da questa parte.– –Ma Rai’ansama… non si può salire sul monte Miwa! È la dimora del Santo Oomonononushi!– –Se lo incontriamo, gli offrirò i miei rispetti.– –Rai’ansama! Assolutamente no!– –Va bene, Kaori, vediamo se mi ricordo bene. Chi è autorizzato a salire sul monte Miwa?– –Oltre ai kannushi del tempio di Oomiwa, solo i kamii, e chi è stato benedetto da essi…– –Ottimo. Io sono un kamii. Vi benedico. Ora andiamo.– E dopo aver fatto un gesto strano verso di noi, si gira e si incammina su un sentiero fra due campi di riso, dritto verso il Sacro Monte Miwa. Kaori mi guarda, costernata. Alzo le spalle e le rispondo: –Secondo me, non fa una piega.– 183 Sotto le stesse coperte (R) Devono essere almeno trecento anni che nessuno mette piede sul monte Miwa. A parte il kannushi del tempio giù a valle. E i kami. E i benedetti. In effetti, il monte ha un che’ di selvaggio, distante, vergine. Le fitte chiome degli alberi non lasciano passare la già debole luce della luna; la salita ha una pendenza incredibilmente regolare, tanto che sembra non finire mai. Intendo arrivare in cima. Il monte è alto appena 467 metri; dalla som mità ci separano ancora cinquecento metri in linea retta. Da un lato, vorrei mettere più Monte Miwa possibile fra me e i miei inseguitori, nel caso osassero sfidare il tabù per qualche passo, dall’altro, la pendenza è tal mente regolare che nel raggio dei miei sensori di dettaglio non vedo nes sun pianoro abbastanza ampio da permettere di accamparci, o anche solo di sdraiarci. Ma la salita è lenta e difficile; non fosse per il mio emettitore luminoso, per i miei compagni sarebbe impossibile proseguire. Di questo passo, potrebbe volerci un’ora. Procediamo in silenzio. In parte è il rispetto per il luogo sacro, in parte la stanchezza, ma soprattutto è l’attenzione che dobbiamo tutti porre nel camminare. Spesso, il bagaglio si impiglia fra i rami più bassi; non ho il tempo di fermarmi ogni volta, e quando non lo faccio, il ramo impigliato si spezza. E Kaori si gira a guardarmi con occhi taglienti. Mi sa che me le perdonerà tutte, ma questa proprio no… Però! Sono qui da poco più di una settimana ed ho già rotto la promessa scambiata con Rokugane! Per di più, due volte. Ho profanato la tomba di una regina ed il luogo più sacro di tutto lo Yamato, e tutto nella stessa notte. Se questo non è mancare di rispetto ai loro kami, non so proprio cosa lo sia. Finalmente la pendenza si riduce. Controllo gli strumenti. Siamo a pochi passi dalla cima. Subito oltre la vetta, c’è un po’ di spazio quasi pianeggiante. È l’ideale: guarda dalla parte opposta rispetto alla pianura della provincia dello Yamato; il bosco è abbastanza denso da proteggerci, ma abbastanza rado da permetterci di fare un piccolo campo. –Ci fermiamo qui.– annuncio guardandomi intorno. –Come Rai’ansama desidera.– commenta in tono piatto Kaori. Sì, que sta proprio non me la perdonerà mai. –Sedetevi, mentre preparo il campo.– 184 Kaori si siede su un sasso; Midori si avvicina con l’aria di chi cerca qualcosa da fare, e Jirou mi dice: –Rai’ansama, permettimi di aiutarti…– –No, Jirou, siediti. È un ordine. Anche tu, Midori.– –Ma io sto bene!– –No, non stai bene, ma non lo sai. Fai come ti dico.– Lei mi guarda un po’ perplessa, poi corre saltellando verso Kaori e le chiede un po’ di posto sul suo sasso. Jirou si siede per terra, accanto a loro. Ho bisogno della mia mano nella sua forma naturale; devo spegnere l’emettitore e richiuderla. Ripiombiamo nel buio. Attivo il visore notturno e mi metto al lavoro per preparare una superficie dove ci possiamo sdra iare. Midori quasi mi fa saltare per la sorpresa quando attacca. –Ma ci pensate? Siamo sulla cima del Sacro Monte Miwa! Siamo sulla cima, vero Rai’ansama?– –Sì, abbiamo appena scollinato.– rispondo piano mentre sollevo da terra un paio di sassi. –Vi rendete conto? Questa è la dimora del Divino Oomonononushi! Il padrone delle cose grandi!– Midori sembra attendere una risposta che non arriva. –È da qui che si sprigiona la forza dei kamii della Terra! È da qui che attingono la loro essenza!– Kaori tace ancora, mentre stendo le stuoie. –Sai Jirou, il Divino Oomonononushi è il primo kamii nato dall’unione di Izanagi e Izanami. Beh, il primo dopo quello nato male…– Comincio a srotolare le coperte. –Lui stesso, chiedendosi come fare a completare l’opera lasciata a metà dai suoi divini genitori, si fece Monte e si posò qui per meditare…– –Midori…– dice piano Kaori. –Ah, mi è venuto in mente che… ha avuto una storia proprio con Yamatototohimomosohime!– –Midori, forse è meglio…– –Sì, te la ricordi anche tu, vero Kaorisan? Tutte le notti andava a tro varla, ma lei non aveva mai visto il suo volto, la sua Vera Forma.– –Midori, questa storia qui, direi di…– –Eh già, era proprio il Divino Oomonononushi, che andava a trovarla; e come si fa a rifiutare la visita notturna di un kamii?!– Ho un brivido al pensiero che sta guardando nella mia direzione. 185 –Ma una sera, lei gli chiese di poter almeno vedere la sua vera forma. E lui acconsentì, a patto che lei promettesse di non spaventarsi.– –Midori, basta così.– dice Kaori, ma forse per la stanchezza, non è abbastanza convincente. –Le disse che, al mattino, avrebbe dovuto aprire la cassa delle suppellet tili, e quando lei lo fece, schizzò fuori un serpente nero! E insomma, lei si spaventò, e per lo spavento cadde all’indietro sulle bacchette, che le si infi larono fra le gambe, proprio lì, proprio in mezzo alla…– –Midori, BASTA!– grida Kaori. Scoppio a ridere. –Rai’ansama!– grida anche a me. Mi butto su una coperta che ho appena steso. Non riesco a smettere. –No, scusa, scusami Kaori è che… hehehe… se penso… haha… alla cosa che ho qui con me… hihi… meno male che non può sentirvi… hahaha…– Non credo che la hime sarebbe troppo lusingata nello scoprire la leg genda che gira sulla sua morte. –Voi due, siete impossibilmente… blasfemi! Abbiate un po’ di rispetto per questa Montagna Sacra!– Midori si difende, imbronciata: –Ma, Kaorisan, è scritto nel capitolo dell’Imperatore Sujin, nel Nihonshoki…– –Con te faccio i conti domani.– –Sì, Kaorisan…– Ora è il turno di Jirou di scoppiare a ridere. Asciugandomi le lacrime e recuperando un po’ di compostezza, col fiato ancora rotto dal riso, concludo: –Vabbeh, ora ci vuole un po’ di legna per il fuoco.– –Ah, no, non se ne parla!– sbotta perentoria Kaori, e continua: –Vi ho concesso tutto, siamo saliti sulla Montagna Sacra, abbiamo riso sulla storia dalla hime, ma questo no. Noi NON accederemo un fuoco sul Sacro Monte Miwa.– –Uhm… va bene; però non posso lasciare che dormiate al freddo. Vi scalderò io.– –Eh?– –Eh?– –Eh?– Saltano tutti e tre, letteralmente. Rimango di stucco a guardarli, anche se so che loro possono vedermi a malapena. 186 –Ho detto… qualcosa che non va?– –Ra… Rai’an… sama…– attacca balbettando Kaori, –forse non sa…– prosegue prendendo un po’ di fiducia, –che quando si dice, “scaldare”, di notte, si intende… si ecco… giacere… ma non… dormire…– –Ahhhhh, oh…. ecco, ehm, sì, scusate, … non lo sapevo proprio…– Meno male che è buio, sennò mi avrebbero visto rosso fin sulla punta delle orecchie. –No, ecco, io intendevo che aumenterò la temperatura del mio corpo per darvi il calore necessario.– –Tu… puoi farlo?– chiede sorpresa Kaori. Mi sembra strano; fra tutte le cose che sono passate davanti ai loro occhi negli ultimi giorni, sorprendersi ancora … –Ti ricordi quando ho preso il calore dal sole?– Lei annuisce. Chissà se sa che posso vederla, o se è solo una reazione istintiva. –Beh, è la stessa cosa, ma in senso inverso. Ora che sono in forze, posso scaldare un po’ l’aria sotto le coperte.– –Oh, sì? Beh, allora… va bene ma…. questo significa che dobbiamo dormire sotto le stesse coperte?– –È un problema?– –Oh, ecco… non c’è nulla di male…– –No, infatti. E poi si tratta di un’emergenza. Meglio dormire sotto le stesse coperte che accendere un fuoco, giusto?– Midori brucia tutti: –Sotto le stesse coperte? E chi dorme?– –Midori, un’altra parola e ti strozzo.– –Sì, Kaorisan…– risponde, assumendo un’aria contrita e penitente. –Haha, perdonala Kaori, è l’effetto della medicina che vi ho sommini strato.– –A me non ha fatto lo stesso effetto.– –Uhm, beh, a ognuno fa un effetto un po’ diverso.– –Quand’è così, pregherei Rai’ansama di astenersi dal somministrar gliela nuovamente. Midori è già abbastanza tremenda senza l’ausilio di alcuna medicina.– Nel buio, la giovane miko caccia fuori la lingua verso Kaori, e fa una smorfia buffissima. Poi mi guarda e le fa il verso, mimando con la bocca “Midori è già abbastanza tremenda…” Jirou si alza e si inchina brevemente nella mia direzione. –Rai’ansama, se mi è concesso, io preferirei dormire sotto le mie coperte.– 187 –Veramente, Jirou, è un ordine. Non posso lasciare che vi ammaliate.– –Sono abituato a dormire solo.– –Senza fuoco, sulla cima ventosa di una collina a inizio primavera?– Jirou tace. –Dai, cerca di far finta di nulla. Si tratta solo di un modo di conservare la vostra salute, nulla di più.– –Ho!– risponde il ragazzo, con un inchino marziale, e si avvicina ai gia cigli che ho preparato. Anche Kaori si avvicina, con fare un po’ guardingo. –Allora… come ci organizziamo…?– –Dunque, voi donne avete meno grassi e una temperatura corporea più bassa; dovreste stare entrambe vicino a me. Siccome Midori è la più pic cola, e anche la più minuta, è meglio se sta fra me e Jirou.– Midori salta sul posto, e sembra che stia per snocciolare uno dei suoi commenti memorabili, ma lo sguardo infuocato di Kaori la fulmina anche nella fitta oscurità. Dopo aver valutato l’immagine delle mani della miko anziana strette attorno al suo collo, risponde semplicemente: –Mi sembra… sì, ecco… una buona idea… molto buona… davvero… proprio buona…– Kaori scuote la testa, sospira rumorosamente, e senza aggiungere altro, si toglie gli zouri, si infila sotto le coperte e si gira su un fianco. Alba dorata (K) La luce dorata del sole batte sulle mie palpebre. Non so se è questo a destarmi, o il suono della spada di Jirou che fende l’aria, o la voce di Midori che canticchia una dolce ninnananna. Fatto sta che il risveglio è leggero, e torno nel mondo della luce piano, delicatamente. Ancora non ho aperto gli occhi, che mi accorgo di stare stranamente bene. Devo aver dormito in una posizione stranamente comoda, perché le mie membra sono rilassate e distese. Il mio braccio destro è disteso su qualcosa di caldo, e il caldo arriva a lambirmi il volto, rendendo il respiro piacevole. Anche la mia gamba destra, non poggia per terra, ma poggia comodamente su qualcosa. La schiena ne giova. Era da tanto che non dor mivo tanto bene. A malincuore, lascio che la luce del mattino mi accarezzi gli occhi, attraverso una fessura che allargo piano piano. Certo che Rai’ansama è proprio vicino. Beh, la sua idea sembra aver funzionato. Col mio corpo così appoggiato al suo, non ho avuto nemmeno un po’ di freddo. Eh!? 188 Un momento. Il mio corpo… appoggiato al suo?!? Sono sdraiata sul fianco sinistro, il mio braccio e la mia gamba destri sono poggiati su di lui. Spalanco gli occhi trattenendo il fiato, col cuore che mi balza nella gola, per quanto gli ordini di smettere di battere così forte e di fare tutto questo baccano. Lui dorme ancora. Ha un volto sereno. È da due o tre giorni che non si taglia la barba, che sembra crescere particolarmente veloce sul suo volto; il sole le batte sopra, sfavillando in una pioggia di riflessi dorati. Mi mozza il fiato. Non è il momento di pensare al suo volto! Sono fortunata, molto fortu nata: non si è ancora accorto di me; se mi muovo piano… molto piano… Dietro le mie orecchie, fruscio di foglie. –Buongiorno, Kaorisan, dormito bene?– chiede Midori, squillante, con una punta acida e un’altra beffarda. –Razza di piccola…– inizio a sibilare sussurrando, ma sento qualcosa che mi stringe la mano tanto forte da farmi male. Trattengo il fiato per non lamentarmi. Rai’ansama si è mosso nel sonno, ma i suoi occhi tremano, e il suo corpo inizia a muoversi. Oh no! Rai’ansama apre gli occhi. L’azzurro del cielo della sua anima fa impallidire il cielo che copre il Sacro Monte Miwa. Guarda dritto davanti a se, ancora avvolto nelle nebbie del sonno. Di fronte ai suoi occhi, Jirou sta finendo il suo allenamento. –Buongiorno, Jirou!– gli sorride. Jirou interrompe i suoi movimenti, si gira e si inchina profondamente. Da sopra di noi, la voce di quella perfida, piccola miko canticchia: –Buon giorno, Rai’ansama.– –Oh, buongiorno Midori. Dormito bene, nonostante la medicina?– –Beh, non era la medicina che non mi faceva dormire…– –Haha, Midori, se ti sente Kaori ci sculaccia tutti e due. A proposito, dov’è Ka…– I suoi occhi incontrano i miei, la sua bocca, gelata nel chiamare il mio nome, è così vicina… dovrei abbassare lo sguardo, dovrei chiudere gli occhi, ma non ci riesco. –Buongiorno… Kaori…– 189 Le mie guance e le orecchie prendono fuoco. Vorrei rispondere, ma rie sco solo a balbettare qualcosa. No, non può essere. Io, Kaori, miko anziana del santuario di Koumon, non posso rimanere senza parole di fronte a un uomo… o un kamii che sia. Fosse l’ultima cosa che faccio, parlerò! –Buon… Buongiorno, Rai’an…sama…– No, volevo dire, non è come sembra, io … oh, non lo so nemmeno io che volevo dire. Finalmente trovo la forza di abbassare lo sguardo, ma sento ancora i suoi occhi, così vicini, fissi sul mio volto. –Ra… Rai’an…sama…– –Dimmi, Kaori.– mi accarezza con la voce. –La mano…– –Eh?– Chino il volto fin quasi sotto le coperte. –Io… vorrei… che tu lasciassi la mia mano…– No, non è vero. È una menzogna. Questa è la menzogna più grande che abbia mai detto in vita mia. Se c’era una briciola di makoto in me, ora l’ho perso per sempre. Rai’ansama sembra confuso… ma all’improvviso scatta. –Oh! Ecco… scusa…– e la sua mano si apre. –No, di nulla.– riesco appena a dire, mentre mi sollevo dalle coperte e mi infilo gli zouri e scappo via più in fretta che posso. Ma non abbastanza da sfuggire a Midori. Piccola serpe. –Kaorisan…– –Ti avviso, Midori. Attenta a quello che dici.– Lei mi guarda, con quel suo sorriso da mocciosa impertinente. Non so cosa trattiene la mia mano dallo schiaffeggiarla… ma poi, quasi subito, il suo sguardo si addolcisce. Il suo sorriso si fa aperto, sincero. È uno sguardo così puro che non me la sento di sostenerlo, non dopo aver perso tutto il mio makoto. Abbasso gli occhi a terra. E va bene, Midori, oggi mi hai sconfitta. –Kaorisan…– mi chiama piano, dolcemente, appoggiandomi una mano sul braccio. Non rispondo. –Senti, Kaorisan, – il suo tono cambia all’improvviso, –c’è un pro blema del quale dobbiamo parlare.– –Eh… oh… di cosa si tratta?– –Ecco… è un po’ imbarazzante ma… come facciamo… dico… ehm … per i nostri bisogni?– 190 –Oh!– me n’ero scordata. Siamo sul Sacro Monte Miwa… non pos siamo… ecco… giusto… –Dunque… potremmo, ecco… credo che se io danzassi un kagura per te, e tu per me, potremmo… purificare lo spirito del luogo dove noi… ecco…– –Mi sembra… una buona idea, Kaorisan… Se non ti spiace, potremmo affrettarci? È già da un po’ che… insomma…– Le sorrido. Oh beh, meglio questo discorso dell’altro che avevo in testa. –Rai’ansama…– lo chiamo senza girarmi verso di lui. –Sì, Kaori?– –Noi ci allontaniamo un momento.– –Oh… certo… vi aspettiamo.– Mentre ci inoltriamo nel bosco, un po’ più in basso, sento gli uomini che iniziano a sistemare le stuoie. Le operazioni sono laboriose, ma alla fine riusciamo a rispettare la nostra natura senza contaminare la purezza della Montagna Sacra. Mentre torniamo verso gli uomini, arriva la domanda che sapevo di non poter evitare. –Kaorisan… tu lo ami.– Anzi, non è una domanda. Mi fermo e sospiro. Midori mi guarda, ma… è uno sguardo che non mi aspettavo. Non c’è ombra di derisione, o di beffa. Midori mi guarda cer cando di sondare i miei sentimenti, preoccupata. –Kaorisan…– ripete, appoggiando la mano sul mio braccio, e nella sua voce sento che vuole essermi vicina. Mi giro verso gli uomini, ancora troppo lontani per sentirci. –Midori… non sono più una ragazzina.– –Guarda che non esiste un’età per innamorarsi.– Sorrido. –No, intendevo dire che… non sono più così giovane da … non sapere … non capire … quali sono i miei sentimenti. O da mentire a me stessa.– La guardo. Lei quasi trattiene il fiato aspettando che io continui. –Sì, Midori, io lo amo. Lo amo più della mia vita. Lo amo più di tutto.– Respiro. Mi sembra di respirare per la prima volta. Le mie spalle si rilassano. Il mio sguardo si assottiglia. Sento il mio makoto appartenermi di nuovo. Sì. Io lo amo. 191 Midori è ammutolita. Prova ad aprire bocca un paio di volte, ma sembra non sapere cosa dire. Dopo un istante che sembra eterno, mi stringe il brac cio più forte e parla: –Allora… devi dirglielo.– –Oh, Midori… questo no.– –Perché?– –Sono già abbastanza patetica così, non ti sembra?– –Patetica? Tu?– –Amare un kamii… io… che sono una donna così… così… banale…– –Banale!?! Kaorisan, tu sei la donna più eccezionale che esista!– Rido. Ma vorrei piangere. –Kaorisan, dico davvero. Se esiste una donna degna di amare un kamii, quella sei tu.– –Midori…– la guardo. Non ho mai visto i suoi occhi così fermi. Midori, quando vuole, è una piccola oni, ma… ma… ma il suo makoto è il più grande che io abbia mai conosciuto. La sua eleganza nel danzare, la forza del suo spirito non hanno eguali. Lei non mente. Mai. È come la brezza d’autunno che soffia nelle foreste che vanno a dormire. Libera e pura, eterna e infinita. –Midori…– ripeto più piano. So quello che ha appena fatto. E lo sa anche lei. Ha piantato il seme della speranza nel mio cuore. Un seme splendente, splendido e adorabile, ma doloroso. Mi ucciderà, lo so. Cre scerà fino a divorarmi l’anima, a nutrirsi di ogni fibra del mio spirito. Ma ormai è tardi. Per me è finita. Non ho più difese. Né le voglio. –Midori…– sussurro. –Tu glielo dirai.– Ancora, non è una domanda. Come fai, piccola miko, ad essere così forte? –Sì…– Dal Regno delle Ombre (M) –Oh, mikoto, eterno padrone del tempo, abbi pietà di me!– Rai’an sta guardando il fantasma che si è gettato ai suoi piedi, con gli occhi azzurrocielo fuori dalle orbite e la bocca aperta per la sorpresa. 192 È ancora mattina presto; abbiamo smontato il campo, ma prima di scen dere a valle, Rai’an ha detto che voleva vedere come stava la sua “mac china che pensa”… non ho ancora capito se si fa beffe di noi o se quello che dice è vero, ma io so cosa ho sentito ieri. Quello era jaki, una volontà maligna, la forza soffocante di uno spirito malvagio. E più che una macchina che conta, quell’uovo di cristallo mi sembra un tamaori, un gabbia per trattenere l’anima di una persona morta. E il fatto l’abbia tirato fuori dalla tomba di Yamatototohimomosohime… Il fantasma trasparente rimane prostrato a terra. Come si è mosso, io, a destra, ho teso ben dritto l’oonusa, e Kaori, a sinistra, ha agitato i sonagli, ma lo spettro ci ha ignorate. Avevo in mente un bel norito per scacciarlo, ma la prima cosa che ha fatto è stata gettarsi ai piedi dello straniero. Non avevo mai visto un fantasma da così vicino. Né così bene. Né in pieno giorno. Ho appena fatto in tempo a vedere un volto di una giovane donna, tondo e liscio, incorniciato fra i capelli fluenti e disordinati. Lo spirito solleva lo sguardo da terra, quanto basta per vedere i piedi di Rai’an, seduto su un tronco, di fronte a lei. –Oh, Mikoto del Tempo, farò qualsiasi cosa… qualsiasi… ma… pietà! Non imprigionarmi più nel Regno delle Ombre!– I miei occhi danzano fra la figura accovacciata dello spettro ed il volto sorpreso di Rai’an. –Io … non ho fatto nulla … – –Non celiarti di me, o potente mikoto!– Questo spettro usa parole antiche, faccio fatica a capire quello che dice. Mikoto è l’onorifico degli dei… come san lo è per le persone importanti e sama per i santi ma… non capisco cosa intenda usando questa parola in questo modo. –I mostri che abitano il Regno delle Ombre mangiavano le mie carni di giorno, e la notte le vomitavano e me le risputavano addosso… e così per anni e anni, e anni ancora! –Faccio ammenda per averti sferzato con le mie arti, ho avuto lunghi anni per riconsiderare le mie azioni! Oh, potente mikoto, avrei dovuto capire che eri una creatura superiore! Se mai punizione per il mio affronto potrà essere adeguata, ti imploro! Come posso ottenere il tuo perdono?– E preme la faccia a terra così tanto che ho l’impressione che l’infili giù fino alle spalle. Le parole sono antiche, e la sua voce rimbomba nella mia testa, ma il pianto, il dolore, la paura… quelle le riconosco. Qualcosa mi stringe il cuore. E stavolta, non è jaki. Abbasso l’oonusa, e vedo che Kaori 193 fa altrettanto col sonaglio. Mi avvicino allo spettro di mezzo passo, cer cando con lo sguardo l’approvazione di Rai’an, ma è ancora così sorpreso da non avere occhi che per la figura trasparente inginocchiata per lui. –Ma guarda che… io … – inizia a rispondere, ma subito gli passa sul volto un’ombra scura. –Oh… io… non avevo intenzione di farti soffrire … è successo solo sta notte, ma tu pensi così velocemente che ti deve essere sembrato molto più lungo … – Lo spettro alza il volto senza sollevare una foglia. Mi avvicino un po’. Ha una faccia molto… non so, direi… forse coreana? Ho visto un paio di Coreani, una volta, e avevano un volto più… cinese … È un po’ solenne e un po’ graziosa allo stesso tempo. Il volto è ovale, gli occhi molto sottili. Il naso piccolo e piatto quasi si vede appena, sulle labbra appena accennate. –O mio mikoto… vuoi dire… che è passato solo un giorno?– –È successo stanotte, e il sole è appena sorto…– –Ma … allora … allora Kiyomi è ancora viva! Ti prego, o Signore del Tempo, dimmi se la mia adorata Kiyomi cammina ancora nel Regno della Luce!– –Sì, sì… è ancora viva…– –Oh, che i kamii dell’arco celeste siano benedetti in eterno! La mia ado rata Kiyomi è viva! Credevo fosse ormai perduta da molto, molto tempo!– Lo spettro della ragazzina si siede sulle ginocchia, alzando le braccia al cielo, e poi le richiude incrociandole sul petto e inchinandosi, da seduta, verso Rai’an. Ho visto abbastanza. Questo spettro non vuole più nuocerci, non c’è segno del jaki di ieri, e la sofferenza della sua anima chiede di essere lenita come solo una miko brava come me sa fare. Copro i tre passi che ancora mi separano da lei senza attendere il per messo di nessuno, e mi chino sui talloni. –Dimmi, qual’è il tuo nome, piccola?– Nessuno sembra averci fatto caso, ma il volto e il corpo dello spettro possono essere quelli di una ragazzina di undici, dodici, forse tredici anni. Se davvero è stata nel Regno delle Ombre per tutto questo tempo… ho i brividi al pensiero. Anche una sola notte, nel regno delle ombre, può durare vite intere. 194 –Il mio nome … lo abbandonai quando fui consacrata ai kamii, ed è un segreto che non può attraversare le labbra di gente comune… Ma a te, che sei un mikoto, e ai tuoi servitori, posso rivelarlo: il nome che mi diede mia madre è Hikari, e fui scelta fra le kamunaki per essere la settima himiko di tutte le genti Yamatai.– –Kamunaki?– piego la testa e chiedo. Risponde Kaori, piano: –Kan nagi.– Ah, kannagi… un nome un po’ vecchio, che qualcuno usa ancora, per quelle miko che prestano servizio presso un santuario… come noi! Però, che parola strana… kamunaki… ha un suono così antico… sembra quasi voler dire “quelle che danno voce ai kamii”… –Ah, kannagi… come noi…– ripeto ad alta voce, e chiedo ancora: –ma himiko… ce ne sono forse ancora?– –No, giovane miko. Pur nel mio sepolcro sono venuta a conoscenza del fatto che, dopo di me, e forse dopo altre poche figlie e sorelle, non furono più nominate nuove himiko per guidare le genti Yamatai.– –Guidare le genti Yamatai? Ma… sembri così giovane…– –Questo era il mio volto quando divenni himiko. Fui sepolta dopo più di sessanta primavere, e poi il mio spirito ha vagato per le foreste degli Yamatai, mentre divenivano campi d’acqua, in cerca della mia discen denza.– –Himiko…– interviene Rai’an. La bambina fantasma si inchina profondamente. –Tu… sai chi sono io?– le chiede Rai’an. –Io… ecco… so che sei un mikoto, e… che il tuo musuhi è immenso…– Il musuhi è il “legame”, l’unità del kamii di un uomo, o uno spirito, con le cose del Mondo; è questo legame che consente al kamii di imporsi e mutare il Mondo secondo il suo volere. Rai’an sospira. –Ecco… Ieri notte sembrava che tu … una parte di te … mi avesse rico nosciuto.– La bambina fantasma lo guarda perplessa. –Io non… non ti ho mai visto… prima di …– il suo sguardo vaga come a cercare di ricordare un tempo remoto –… quando sei arrivato al villag gio… e poi … hai … profanato– sputa la parola con rabbia –il mio sepol cro.– –E quando mi hai visto… non ti sei ricordata di nulla?– Il suo sguardo torna sul volto di Rai’an e si fissa come a sondarlo. Dopo un po’, si abbassa di nuovo e la bimba fantasma cerca trovare le parole. 195 –Io ho solo… sentito… che volevi portarmi via…– Rai’an sospira. Solleva l’uovo di cristallo fra entrambe le mani e intona un norito in una lingua sconosciuta. La bambina fantasma ripete le intona zioni nella lingua strana, col volto gelato in un’espressione vacua e la voce priva della nota regale che aveva fino a un attimo fa. Ma dopo due o tre canti, si porta le mani alle orecchie; le maniche del suo kimono sbattono, mentre scuote la testa. La voce inespressiva se n’è andata, ma non è nem meno regale com’era prima: è la voce di una bambina che piange e chiede: –Basta, basta, ti prego! Ti imploro, non farmi più del male!– Rai’an è scosso. Gli tremano persino le mani. Ha gli occhi fissi sul fan tasma, che ora piange lacrime che scompaiono non appena abbandonano il suo volto, e singhiozza sommessamente, tirando su col nasino di tanto in tanto. È una piccola bimba fantasma in lacrime. Perfino quel procione di Jirou, si muove di qualche passo verso di noi. Scambia rapidamente uno sguardo con me e con Kaori, ma non sappiamo che dire. Non ho mai visto un fantasma piangere in questo modo. Jirou cerca anche l’approvazione di Rai’an, ma lui è ancora di sasso, gli occhi addosso alla regina bambina. –Himiko… maestà… hime…– Jirou si inginocchia alla destra dello spet tro. Lei si gira verso di lui, e subito i suoi singhiozzi si fanno più sommessi. –Posso giurarti sulla mia vita che le intenzioni di Rai’ansama non sono malvagie. Se ti abbiamo causato sofferenza, non è stato voluto. Imploro il tuo perdono.– E così dicendo, tocca le foglie del sottobosco con la fronte. Hikari è sorpresa. Abbassa una mano trasparente sul capo di Jirou, ma si ferma proprio prima di sfiorarlo. Ritrae la manina, richiudendola e portan dola al petto… quasi si rendesse conto del fatto che, provasse a toccarlo, lo attraverserebbe. E sembra rattristarsene. Chinando il capo sul petto a guardare la sua mano chiusa, e, triste, il ter reno che traspare sotto di essa, lo spettro annuisce e tace. –Hikarinohimiko.– la chiama lo straniero. –Sì, mio mikoto!– Si china nuovamente lei. –Questo cristallo… quando lo hai avuto?– chiede, sollevando la pietra che brilla. –È il dono che ha sigillato il mio sacerdozio…– 196 La bambina fantasma taglia la parola all’improvviso, come se volesse nascondere qualcosa, e si rendesse conto che stava per rivelarlo inavverti tamente. Ma sembra che nessuno, a parte me se ne accorga; certo, non se ne accorge Rai’an, che continua: –Va bene, Hikarinohimiko; ascolta. Questo uovo appartiene alla mia gente, ed è stato fatto arrivare qui da molto lontano per svolgere un com pito importantissimo…– –Io… non capisco …– solleva il volto perplessa, ma come Rai’an accenna a parlare, si affretta a concludere: –Ma… ti prego… lascia che parli a Kiyomi! Sono così in pena per lei! Ti scongiuro!– e si ributta a terra. –Questo, per il momento, non è possibile. Ma ti prometto che …– –Ti scongiuro!– –Ho capito; vedo cosa posso fare. Comunque, verrai con noi; ma ora devo chiederti di non ascoltare quello che diremo. Non ti manderò più nel Regno delle Ombre, ma per un po’, ti chiedo di non udire.– –Io … non so come fare… anche se mi metto le mani sulle orecchie … così … sento tutto!– Rai’an torna ad intonare un norito in quella lingua musicale che non capisco. E Hikari risponde, nella stessa lingua, col volto inespressivo. Poi, sembra riprendere il senso di sé; si guarda intorno, spaventata. –Che cosa… che cosa succede… ? Ah, ho capito… Il Mikoto del Tempo mi ha privata dell’udito. Se questo è il prezzo che devo pagare per il mio affronto, accetterò la punizione.– La bimba fantasma siede composta e trasparente sul tappeto di foglie, in attesa che il suo signore sia mosso a compassione dal suo visino triste tri ste. Una strada fra i monti (R) E così, himiko non è un nome proprio, ma un titolo, una carica. Molti miei colleghi lo sostenevano da tempo. Considerando che, in Giapponese protostorico, miko o “donna sacra”, “sciamana”, era probabilmente l’unico termine per “sacerdote”, e che hitotsu vuol dire “uno”, himiko doveva suonare come prima sciamana, o alta sacerdotessa, o qualcosa del genere. C’è anche chi sosteneva che le tre sillabe himiko significassero sole nobilefiglia, ossia, “riverita figlia del sole”. Strano, vista la propensione all’uso delle particelle di specificazione come no e tsu, usate quasi a can tilena nel Giapponese antico: la specificazione tramite accostamento 197 diretto di sostantivi è praticamente sconosciuta. E poi, sebbene “miko” venga usato ai tempi del Kojiki per indicare “i figli riveriti” di dei o impe ratori, sembra un uso tardo, relativamente recente. E Yamatai non è il nome del regno, ma probabilmente un aggettivo pos sessivo, o un complemento di specificazione derivato da Yamato, declinato in una forma in ai, così come kamu sarebbe diventato kamui e poi di kamii; una forma grammaticale che, attorno all’anno 1000, doveva essere già scomparsa da tempo. Quindi, Yamatai indica un popolo, “quelli dello Yamato”. Tutto questo è affascinante ma ora ho decisamente un problema più grosso a cui pensare. Il nucleo centrale sembra perfettamente funzionante, e risponde ai comandi, ma il modulo di intelligenza artificiale ha subito un danno, o un condizionamento esterno… o qualcosa. Dannazione, avessero mandato un informatico al posto mio… io non so niente di intelligenza artificiale. Inoltre, non voglio più mettere il modulo in standby. Non me la sento di far soffrire questa … cosa. Non sarà biologica, ma è viva, e non merita di soffrire. E poi, considerazioni morali a parte, non posso rischiare di danneggiarla ulteriormente. Devo cercare di farla ragionare… di farle capire cosa è realmente… –Rai’ansama?– Kaori interrompe i miei pensieri. –Sì, Kaori?– –Hai davvero intenzione di farla parlare con Kiyomisama?– –Potrebbe essere una buona idea… ma non adesso. Prima voglio capire bene quanto è danneggiata.– –Danneggiata?– –Crede di essere il fantasma di questa Hikari… e questo non sarebbe dovuto succedere. È difficile da spiegare, ma… devo riuscire a farla ragio nare. Ma senza provocarle altri danni. Senza… farle altro male.– Kaori annuisce, e vedo che lotta per afferrare quello che le sto dicendo. –Penso di aver capito cosa è successo. Qualcuno deve aver trovato il modulo centrale, e per qualche motivo, si è attivato durante la cerimonia di investitura di Hikari; poi, non so come, il modulo di intelligenza artificiale ha imparato a pensare come lei. Quando è morta, si è convinta di essere il suo fantasma. Ora, se riuscissimo, delicatamente, a farle capire che…– –Rai’ansama!– mi interrompe allegramente Midori. –Sì?– –C’è qualcosa che suona nel bagaglio… fa biiii biiiiii … non senti?– 198 –Oh! È Douzen.– Mi alzo e vado a prendere il comunicatore. Dall’altra parte, Douzen ha un’aria stanca. Probabilmente ha dormito meno di noi. Dopo un breve saluto, mi dice: –Rai’ansama, mi hanno riportato che questa sacerdotessa di nome Kiyomi sta facendo il giro dei santuari e dei templi della zona, e va dicendo che hai profanato la tomba di Momoso hime, Yamatohime o come accidenti si chiama.– –In effetti è vero…– –Questo è un guaio. La gente delle campagne di Nara è particolarmente sensibile a questi temi. Desideri che metta la cosa a tacere?– –…Cosa intendi?– –Se Kiyomi diventa un problema troppo grosso, possiamo accompa gnarla verso un nuovo ciclo di rinascita.– –No, Douzen. Nessuno deve morire a causa mia. È vitale che le persone che hanno avuto a che fare con me non siano… rimosse…– –Allora, potrei semplicemente trattenerla per un po’.– –Credo che ormai sia troppo tardi. Se ha già girato qualche tempio, il fatto che scompaia potrebbe aggravare la situazione.– –Ho capito. Dove siete, in questo momento?– –Dunque… ecco… – il volto dall’altra parte del comunicatore si induri sce. Meglio essere sinceri: –sulla cima del monte Miwa.– Non immaginavo che anche i monaci dell’era Hei’an si mettessero le mani sulla faccia in quel modo, per esprimere disappunto. Col palmo ancora sul naso, Douzen sospira profondamente. –Hai proprio deciso di far arrabbiare tutti i kannushi dello Yamato… e meno male che hai due miko con te…– Ma anche tre, adesso… Douzen mi assicura che cercherà di far calmare le acque senza ricorrere ad azioni troppo drastiche, e quindi ci salutiamo. Kaori, che è stata accanto a me tutto il tempo, guarda verso valle e mi parla piano. –E adesso, cosa facciamo?– –Andiamo a Ise; laggiù, c’è un’altra cosa che devo recuperare. Non è distante, e dalle informazioni che ho, c’è una strada che parte proprio dai piedi del Miwa e arriva dritta a Ise.– –La strada c’è… ma non è proprio facile da percorrere.– –Lo hai mai fatto?– –Qualche volta.– –Quanto ci vorrà?– 199 –Sei giorni. Cinque, se ci spicciamo.– –Sarebbe meglio muoverci; vorrei stare davanti alle notizie su di noi.– –Questo sarà difficile. Possiamo anche correre, ma basta un mercante con un carretto, e la nostra fama ci precederà.– –… è così grave?– –Sì.– Fantastico. –A proposito, Rai’ansama…– –Sì?– –Il tuo travestimento. Douzengeika ci ha dimostrato che non regge. Ora che hai una spada, dovresti travestirti da guerriero.– –È plausibile?– –Due miko in viaggio fra i monti accompagnate da due guerrieri, di cui uno è un mercenario straniero? Sì, direi che è molto plausibile. Certo, più plausibile di un contadino straniero.– –Bene, mi fido di te.– Kaori non risponde. –Rai’ansama, prima di andare, vorrei chiederti ancora una cosa.– –Certo, dimmi.– –So che cerchi di non parlare molto di quello che sai su di noi … ma … chi è … o meglio, chi era questa Hikari… quella non doveva essere la tomba di Yamatototohimomosohime?– Kaori mi guarda fisso. So che non accetterà una risposta evasiva; e poi, ho promesso di rispondere alle sue domande… e credo di aver consumato tutto il patrimonio di fiducia di cui potevo disporre. E va bene, Kaori è una donna curiosa e intelligente, sono certo che ha già più di un dubbio sulle leggende che affollano la mitologia Giapponese. –Guarda, in tutta onestà, del periodo che precede la stesura del Nihongi anche noi non sappiamo moltissimo. Alcune delle cose che ha detto questa Hikari sono nuove anche per me.– Lei mi guarda con aria dubbiosa. –Il punto è che, anticamente, la scrittura era vista con sospetto. Era vie tato scrivere. Quello che sappiamo, lo sappiamo per qualche frammento di diario tenuto dai viaggiatori e dagli ambasciatori cinesi, e perché abbiamo scavato… nell’immondizia…– –Eh?– –Beh, si possono scoprire molte cose scavando nell’immondizia della gente. Ad esempio, cosa mangiavano, come vestivano, che oggetti costrui vano…– 200 –Oh…– –Abbiamo scoperto che, fino a circa seicento anni fa, lo Yamato era retto da imperatrici, in genere nubili, e il titolo era ereditato in linea di parentela femminile.– –Questo… l’avevo sospettato… dico, una tomba così grande per una semplice moglie di un imperatore, citata a malapena in un paragrafo del Nihon Shoki?– Appunto, intelligente e curiosa. E mi incalza chiedendomi: –E poi… dove sono sepolti gli altri Imperatori di cui si scrive nel Nihon Shoki?– –Non lo sappiamo di preciso. Quello che sappiamo è che il potere mili tare era delegato agli uomini. Come narrato nel Nihon Shoki, a loro era affidato il compito di conquistare nuove terre e difendere il regno, per conto delle imperatrici.– –Infatti il nome del primo imperatore è Jinmu… “arma divina”, che fu inviato sul Mondo dalla Divina Amaterasu!– Kaori spalanca gli occhi tanto grande che quasi diventano tondi. –Sì; il Nihon Shoki è stato scritto secoli dopo i fatti narrati. Non sap piamo quanto sia accurato, ma non pensiamo che sia tutto e solo un’inven zione. Le storie, anche vere, possono cambiare molto, dopo essere passate per mille anni di bocca in bocca.– –Sì, questo è vero… però, è strano che questo nome, Himiko, non sia scritto da nessuna parte.– Molti dei miei colleghi ritengono che l’origine matriarcale dello Yamato sia stata esplicitamente condannata all’oblio durante la riforma Taika, poi ché la società che si voleva costruire, pianificata secondo la filosofia con fuciana e regolata tramite la religione buddista, doveva essere strettamente patriarcale. Ma questo, a Kaori, non lo dico, e mi dirigo su un terreno più sicuro: –Un breve scritto che fa parte delle Cronache Cinesi riporta che, in quel periodo, governava una certa “regina Himiko”. Ma il nome compare più volte, in tempi diversi. Ci sono solo due spiegazioni possibili: o il nome Himiko era stato dato a più donne, oppure non indicava affatto un nome, ma un titolo.– –Come… prima miko?– –Probabilmente. Del resto, un’altra cosa che sappiamo è che non esiste vano sacerdoti maschi. Il termine “miko” indicava tutte e solo le sacerdo tesse. E chi amministrava la religione, amministrava anche il potere poli tico. Esisteva una sola parola per indicare entrambe le cose …– –Matsurigoto!– 201 –Esatto.– –Aspetta un momento… ma se gli unici sacerdoti… erano le miko…– –…Erano le miko a governare.– Kaori sorride. Quel suo mezzo sorriso così furbo. –Ah sì? Beh, mi sembra molto giusto…– –Ehm … ecco … – –Non vedo l’ora di sentire il resto della storia; ma adesso si sta facendo tardi. Se andiamo a Ise, voglio arrivare a Hase prima dell’Ora del Ser pente.– Secondo il sistema di suddivisione del giorno in dodici periodi, di ori gine Cinese, l’Ora del Serpente va dalle nove alle undici del mattino. –Dov’è?– le chiedo. –Proprio ai piedi della Montagna Sacra, verso Est. Se ci spicciamo, arri veremo che le botteghe saranno state appena aperte, e sistemeremo il tuo travestimento.– 202 Parte terza Uda Hase (K) Un mondo governato dalle miko! Questa sì che sarebbe una bella cosa. Ecco, dopo avermi dato tanti motivi di preoccupazione, e di imbarazzo, finalmente Rai’ansama mi regala qualcosa di cui andare fiera. Chissà com’è successo che noi miko abbiamo ceduto il passo agli uomini. Ah, se ci fossi stata io… non lo avrei certo permesso! –Kaori, rallenta!– mi chiama da dietro, e da una ventina di passi più in alto, Rai’ansama. –Su, su, Rai’ansama, il sole sta già salendo!– Ma sento il rumore di un sedere pesante che si abbatte sulle foglie sec che. Mi volto; Jirou è a terra, e Midori sta cercando di districare il bagaglio sulla schiena di Rai’ansama dai rovi in cui si è impigliato. –E stai fermo, Rai’an!– Sto per prendere fiato e sgridarla, ma… ci rinuncio. Mi giro verso valle. In lontananza intravedo già la strada; voglio assolu tamente uscire dal bosco prima che sia troppo trafficata. Non voglio che qualcuno ci veda scendere dalla Montagna Sacra. –Jirou.– lo chiamo. Lui si rimette in piedi e si scuote la terra dalle nati che, mentre si avvicina facendo più attenzione. –Sì, Kaorisan?– –Siamo a meno di cento passi dalla strada. Cerca di avvicinarti senza farti vedere, e stai di guardia. Fai un cenno… anzi… usa… sì, la cosa die tro l’orecchio, se si dovesse avvicinare qualcuno.– Il giovane guerriero si inchina e si dirige, circospetto, verso la base del pendio. Lo guardo allontanarsi. Non ha proprio un passo felpato, ma si accosta agli alberi più robusti e sbircia con attenzione prima di procedere. Ce la dovrebbe fare. Mi giro, e salgo per dare una mano a Midori e Rai’ansama. 205 La strada che porta da Sakurai a Ise è costantemente battuta da pelle grini e mercanti. Per chi è in cerca di una benedizione particolarmente potente, è indispensabile visitare il tempio di Oomiwa per implorare l’aiuto del divino Oomonononushi, e poi quello di Ise, dove dimora lo spirito della Divina Amaterasu. Così, si può ricevere, prima, la benedizione della Terra, e poi la grazia del Cielo. La strada attraversa per intero il Regno di Uda; una costellazione di pic coli villaggi incastonati fra aspre colline, o adagiati in dolci vallate, dove l’imperatore Jinmu, il primo figlio terreno della divina Amaterasu, com batté gli eserciti ribelli. O, se quello che pensa Rai’ansama corrisponde al vero, è il luogo dove il generale Jinmu combatté su ordine di una himiko. Scuoto la testa; non ho tempo né voglia di pensarci, adesso. Devo rima nere concentrata: Uda è ancora oggi una terra selvaggia e pericolosa. Lungo la strada per Ise, sorgono villaggi, templi e santuari a distanza di un giorno di cammino, e anche meno; ma fuori dai villaggi, il terreno è insi dioso. Cinghiali e orsi infestano la strada anche di giorno, e non si può abbassare la guardia un momento; i boschi non sono abituati alla presenza dell’uomo, come nei dintorni di Nara. Nelle terre di Uda, l’uomo è un intruso. Farsi sorprendere dal calare della notte fuori da un villaggio non è per niente raccomandabile. E la seconda parte della strada, quella che abbandona i villaggi del Regno di Uda e si inoltra verso Ise, è ancora peggio. Bisogna affrontare quel tratto con determinazione, camminando di buona lena dall’alba al tra monto; solo così si può riuscire a passare da Misugi ad Iinan in un giorno solo. È una strada che va percorsa con estremo rispetto, perché non per mette nessun errore. Giunti a Iinan, basta seguire il fiume Kushida, che porta dritti a Taki; o volendo, si può tagliare per Sana. Se si ha molta fretta, c’è anche la strada a sud, che sbuca proprio dietro al Santuario di Ise. Ad ogni modo, si tratta di scegliere fra una mezza giornata e una gior nata intera di cammino, o due giornate se si preferisce andare con calma; nella piana di Ise, gli ostelli non mancano; anzi, c’è solo l’imbarazzo della scelta. Di questa strada, un’altra cosa che mi dà fastidio è l’abbondanza di tem pli dove sono venerati kamii provenienti dall’India. I molti kannushi sono anche monaci, e i kamii locali si manifestano come spiriti dei bodhisattva. Inoltre, sono molti i templi che non accettano i servigi delle miko, e dove non sono ordinate monache, né sacerdotesse donne. Tuttavia, almeno l’ultima volta che sono passata, le miko erano ben accette come visitatori. 206 Ma di tutti i templi che ho visitato, quello che proprio vorrei evitare è il tempio di Hase. È giusto all’imboccatura della strada; una facile passeg giata da Sakurai, timidamente appoggiato alle pendici della Montagna Sacra. Ufficialmente, fa parte dei templi Kegon, la setta che fa capo al Todaiji; ma la sua posizione, quasi nascosta dietro i boschi del Sacro Monte Miwa, eppure comoda per i viaggiatori con poca voglia di avventu rarsi oltre, a portata di mano, eppure fuori dalla vista dei templi di Nara, proprio al confine fra Yamato e Uda… l’ha reso un luogo di vacanza ideale per i nobili della corte di Hei’an, che con la scusa di un pellegrinag gio in terre lontane, ne approfittano invece per lunghe vacanze dagli impe gni di corte… …rendendo il tempio di Hase un postribolo per le loro malefatte. Ah, sono l’ultima a poter o dover giudicare il comportamento dei nobili di Hei’an sotto il punto di vista delle infrazioni ai doveri coniugali. Quand’anche, raramente, a dire il vero, questi doveri fossero sanciti da giuramenti solenni. No, non è questo a darmi fastidio. È l’ipocrisia. E il fatto che, proprio con la scusa del pellegrinaggio – il quale, ufficialmente, dovrebbe servire a purificare l’anima dagli affanni della vita pubblica, e, ufficiosamente, dovrebbe servire a nascondere gite di piacere – i nobili approfittino, invece, della tranquillità offerta dal tem pio per intrattenere affari ben più sordidi, quali congiure, tradimenti e assassinî. E non solo questo; peggio ancora è il fatto che i monaci del tempio di Hase sappiano perfettamente ciò che accade negli ostelli fuori dal tempio, e persino nelle sue sale… e pur di poter predicare della vacuità del mondo fenomenico, dicono loro, o per incassare le cospicue donazioni dei loro nobili ospiti, dico io, ignorino le loro malefatte, favorite dall’ombra della Foresta Sacra, e dal loro silenzio. Rendendosene complici. “È pur sempre un mezzo per raggiungere le anime, e proprio le più misere” mi è stato detto. “In fondo, che cosa c’è di diverso da un qualsiasi altro mezzo abile?” mi è stato chiesto. Assolutamente nulla, ho risposto. È una violenza al makoto, al Cuore Vero delle Cose, questa come quegli altri. E il makoto è quanto più c’è di sacro in terra e in cielo, ed è ciò che ho giurato di onorare, riverire e difen dere. Ecco, se io sono A, loro sono UN. Se io sono il bianco, loro sono il nero. Se io sono il Makoto, loro sono la Menzogna. 207 Questo è quanto poco mi piacciono i monaci di Hasedera. E, come se tutto questo non bastasse, sono tanto spudorati da fare tutto questo proprio sulla Montagna Sacra. Anzi, è lì che hanno scelto di farlo. È così che hanno scelto, deliberatamente, sfrontatamente, di lordare, di violentare, di corrompere il cuore del Makoto dell’antico Yamato. Se esiste qualcosa di buono nell’odio, beh, essi si sono meritati il mio. –Kaorisan; al momento non si vede nessuno.– La voce di Jirou mi scuote dai miei pensieri; mi giro, e mi rendo conto che le sue parole mi giungono da lontano, attraverso la macchina che mi è stata donata da Rai’ansama. Che sciocca che sono! Ancora non mi sono abituata a sentire queste voci nella mia testa… Dunque… allora… devo toccare qui dietro e… –Jirou?– –Sì, Kaorisan?– –Oh, bene… allora, grazie e… ecco… dunque…– –Se si avvicina qualcuno, vi avviso.– –Oh, sì, ecco. Grazie, Jirou.– –Servirti è un onore, nobile miko.– Quanto mi sento stupida; Jirou, e persino Midori, sembrano aver già imparato a usare questo potere così facilmente… e io invece… –Kaorisan!– –Eccomi, Midori…– ora sono a pochi passi da Rai’ansama, ancora impigliato, e da Midori che sta cercando di liberarlo. Ecco, basta sfilare qui, e qui, e… qui! –Oh, grazie Kaori.– –Uhm… dobbiamo fare qualcosa per questo bagaglio, Rai’ansama.– –Hai ragione. Ma spero che non dovremo più inoltrarci in una macchia fitta come questa.– –Non si sa mai. Se dovessimo muoverci all’improvviso fra i boschi, questo potrebbe diventare un problema serio. Dovremo dividere il peso.– –Mi spiace…– –Siamo in questo viaggio per proteggerti, Rai’ansama, non per farci viziare da te.– Lui si volta verso di me, e mi ringrazia col suo sorriso. Arrossisco, e cerco di distogliere lo sguardo, ma i miei occhi incontrano quelli di Midori, che mi rivolge un silenzioso rimprovero. Distolgo lo sguardo un’altra volta. Ma tu guarda se devo farmi sgridare da una ragazzina… 208 Scendiamo a valle in tre; Jirou ci avvisa di fermarci un paio di volte, ma finalmente riusciamo a metterci in cammino sulla strada, mentre il sole è ancora basso a est; dobbiamo ancora essere nel cuore dell’Ora del Drago. O forse è appena iniziata l’Ora del Serpente. Hase è pochi passi più avanti; il villaggio nato attorno al tempio è pic colo, ma molto operoso. Oltre alla gente che serve il tempio, giungono dai villaggi vicini contadini che portano cibo fresco per i nobili ospiti e per i loro seguiti. Artigiani, musici e commedianti forniscono intrattenimento e oggetti utili per le comitive; qui, la carta di riso e l’inchiostro di china scar seggiano sempre, per non parlare delle suzuri, le pietrecalamaio, e dei pennelli. E poi, ci sono ben tre locande, due delle quali sono anche ostelli, e un grande albergo per pellegrini. Quando arriviamo, le stradine del paesello già brulicano di gente che porta viveri alle locande e al tempio, di pellegrini in cerca delle suppellet tili necessarie per affrontare il viaggio verso Ise, e di servitori in cerca di oggetti interessanti per alleviare il tedio dei loro padroni. In tutto questo brulicare, può anche darsi che passiamo abbastanza inosservati. –Penso che in quattro saremmo troppo appariscenti. Midori, Jirou, aspettateci in quella locanda; qui dietro c’è un artigiano che fornisce arma ture per le guardie dei nobili che si trattengono più a lungo.– –Va bene…– mi fa Midori, e aggiunge: –Kaorisan, ci puoi lasciare qualche moneta? Così ne approfittiamo per fare colazione…– Già, dopo aver parlato con lo spettro, siamo scesi di corsa… –Ecco qui… una, due… tre dovrebbero bastarvi.– –Ma… l’hai visto bene Jirou?– mi fa, battendogli sul petto e guardan dolo in volto; immagino possa vedere appena il suo mento. –Tre monete non basteranno nemmeno per lui.– –Oh, e va bene! Eccotene altre tre. E ora muoviamoci, che non voglio che troppa gente veda Rai’ansama con questi stracci addosso.– –Sì sì… tu pensa al tuo Rai’ansama, che a Jirou faccio la guardia io!– Piccola serpe. La ignoro e mi tiro dietro Rai’ansama. Ma questa me la paga. Zietta intraprendente (M) –Allora… portaci del riso, un po’ di pesce fritto, tè verde… hai anche dello yakitori?– –Certo, sorellina, ma… puoi pagare?– 209 Non mi piace questa cameriera… o padrona che sia. Sbatto quattro monete sul tavolo, le altre possono sempre tornare utili un’altra volta. –Bastano queste?– Lei sospira, guardando Jirou. È l’uomo più grosso in tutta la locanda. E… la locanda è piena di uomini assai grossi. Ma gli altri sono brutti. –Per quelle monete, non aspettatevi porzioni troppo abbondanti.– dice, e si allontana. –Yakitori… è un piatto di carne…– mi sussurra piano Jirou. –Già.– –Ma questo non è un tempio buddista?– –No. Questo è un paese di gente comune.– –Sì, lo so, intendo… i monaci non hanno niente da dire?– –Mah, chi lo sa. A quanto pare no. O forse… basterà pregare un po’ più forte.– Jirou non risponde. Mi piaceva parlare con lui; è sempre così silenzioso… provo a dire qualcosa. –Sai, questa è la prima volta che siamo noi due soli soletti.– gli dico sor ridendo. Lui alza lo sguardo sulla massa di uomini già sporchi di sudore e carichi di saké, che imprecano proprio davanti al nostro tavolo. –Ehm… no, volevo dire, che Kaori non ci osserva…– –Kaorisan.– –Uffa, ora ti ci metti anche tu!– Gli metto il broncio. Non dobbiamo aspettare molto; la stessa cameriera, o padrona, si ingi nocchia dall’altra parte del tavolo, e sposta le bacchette e le vivande dal vassoio, posandocele davanti, alla rinfusa. Quando ha finito, invece di alzarsi, si appoggia sulle braccia e sporgen dosi verso Jirou e gli chiede sorridente: –Allora, bel giovane, cosa ti porta da queste parti?– –Eh?– fa lui. –Aeeehhhh?– faccio io. Ma che razza di cameriera è questa? È una donna dall’aria robusta, spalle larghe e braccia forti, e quello che posa sul tavolo è un petto ben gonfio. Ha una faccia tonda e grandi occhi neri, e i capelli sono raccolti sulla testa e tenuti fermi da due bacchette e uno spillone. Il sorriso sarebbe anche simpatico, se non stesse facendo la civetta col mio Jirou! 210 –Sì, dico, non si vedono spesso ragazzi per bene come te, da queste parti. Sono quasi tutti mercenari o guardie del corpo, gente poco racco mandabile, insomma. Tu, invece, hai un visino così caruccio!– –Oh, io…– arrossisce il procione. –Beh, lui è la MIA guardia del corpo!– dico sibilando, e afferro il brac cio di Jirou, tirandomelo addosso. –Dai, sorellina, non c’è bisogno di essere così protettiva. Sono certo che il tuo ragazzo sa bene ciò che vuole!– dice cinguettando, e si sporge ancora di più sul tavolo, aprendo ancora di più lo spacco del kimono. –Eggià, zietta, lui è un ragazzo per bene, dai gusti più … raffinati…– ribatto, e stringo il braccio di Jirou sul mio petto, facendole ben vedere che nemmeno il mio shiroi è poi così vuoto. –Midorisan, ti scongiuro!– arrossisce ancora di più il procione. –Senti, bel giovane; deve essere dura per te fare la guardia del corpo tutto il giorno ad una vergine sacra. Ti va di rilassarti con qualcuno che ha un po’ più di… esperienza?– Brutta strega in calore! –Se per questo, zietta, non è che siamo tenute a non conoscere mai gli uomini!– –Midorisan!– cerca di divincolarsi, il procione, ma gli tiro giù il brac cio e gli stringo la mano fra le cosce. –Ohh… ma come siamo gelose… guarda che non te lo consumo mica!– –Già. Dubito che tu possa. Ma, vedi, è che se toccasse una donna come te, poi sarei costretta a purificarlo per un mese.– le sorrido soave. –Midorisan…– il procione è quasi alle lacrime. –Senti, bel giovane, se stai da queste parti per un po’, e… riesci a libe rarti… passa a trovarmi. Vedrai che sono molto meglio di questa ragazzina pelle e ossa senza esperienza.– E così dicendo, si alza, riprende il suo vassoio, fa un ultimo sorriso in direzione del procione, e si allontana fra i tavoli, verso la cucina. –Sciò, sciò, pussa via!– la scaccio come una vecchia gallina. E afferro le bacchette. –Midorisan…– piagnucola il procione. –Uhm?– rispondo con la bocca piena. –Il braccio…– –Resta qui dov’è.– e attacco il pesce. –Ma io… dovrei mangiare…– –Mangia con una mano. O preferisci che ti imbocchi io?– 211 Il procione afferra le bacchette con la sinistra, e inizia a spiluccare gof famente lo yakitori. Dopo un po’, mi fa: –Senti, Midorisan… è davvero imbarazzante!– –Siamo stati tutta la notte fianco a fianco, e non c’è stato nessun pro blema.– –Ma ci guardano tutti!– –Appunto. Anche quella vecchia gallina, non la vedi?– –Midorisan… ti prego!– –Non se ne parla. Non ti mollo, razza di procione!– Il procione sospira e si mette un po’ di riso in bocca. Abbiamo quasi finito tutto quando Kaori e Rai’an entrano nella locanda. Kaori si guarda in giro, e quando mi vede la saluto. Jirou sembra voler nascondere la faccia, prova ancora a sfilare il braccio, ma io lo stringo più forte. Lei si precipita verso di noi. –Midori… che succede?– –Oh, niente Kaorisan, è tutto a posto, ma tieni Rai’an ben stretto. Da queste parti rubano gli uomini.– Kaori non fa in tempo a sgridarmi per il sama, o forse è troppo confusa dalla mia risposta. Come Rai’an la raggiunge, vedo che indossa una lucida armatura in cuoio ricoperta di fitte lamine di bronzo splendenti. L’armatura arriva a metà delle cosce; il resto delle gambe è vestito da un largo panta lone bianco. Sulla testa, ha un elmo di bronzo che gli lascia scoperto tutto il volto, ma nasconde i suoi capelli. Gli occhi di color del cielo luccicano più del bronzo lucidato che gli sta attorno. –Allora, che ne dite?– ci chiede lei, e se lo ammira come se fosse una sua creazione. Rai’an arrossisce un po’ nei suoi nuovi panni e sorride abbassando lo sguardo. Che tenero! Kaori gli arriverà sì e no a metà del petto; per guardarlo in volto, deve alzare lo sguardo fino al soffitto. Uhm… se penso che io sono una testa più bassa di Kaori e che Jirou è qualche dito più alto di Rai’an, mi chiedo come farò ad arrivare a baciarlo. Mah, come dice il proverbio, sdraiati siamo tutti alti uguale. –Sì!– approvo, –È proprio quello che ci voleva.– –Ne ho ordinata una anche per Jirou; avendo due guardie del corpo vestite in modo diverso, daremmo nell’occhio. Ma la più grande che ave vano era della taglia di Rai’ansama… ci vorrà un giorno per sistemare le cinghie, ci ha detto l’artigiano.– –Oh, bene; ma… Rai’an, non avevi fretta?– 212 –Sama, Midori, SAMA!– –Scusa, Kaorisan…– Rai’an ride, e Kaori lo fulmina. Quando ha finito di fulminarlo, lui risponde: –Se non possiamo stare davanti alle notizie su di noi, è inutile correre. Kaori mi ha spiegato com’è il terreno che dobbiamo attraversare, ed è meglio essere preparati. E poi, è meglio avere un travestimento più adeguato che correre una gara che siamo quasi sicuri di perdere.– Brava Kaori; così, almeno, avremo tempo per dormire in un letto vero, stanotte. Mi torna in mente la gallina. E se Jirou si facesse tentare dal gonfiore del suo petto? Ah no, non glielo permetterò, a costo di legarlo dentro alle coperte. E come penso alla gallina, eccola sbucare da dietro un tavolo. Come ci passa accanto, si ferma davanti a Rai’an, e rimane a bocca aperta mentre affonda nell’azzurro del cielo dei suoi occhi. Le vivande tremano sul vas soio. Kaori la guarda perplessa, e Rai’an sembra ricordarsi solo adesso di essere uno straniero: come distoglie lo sguardo, l’incantesimo si spezza e il vassoio smette di tremare. –Sorella…– fa la gallina a Kaori, –… ma bisogna farsi miko per trovare uomini così?– Kaori rimane lì impalata, mentre la gallina si allontana, ancora turbata. Poi mi guarda, con aria interrogativa. –Visto? Che ti avevo detto?– Luccicano le spade (R) Ora è il mio turno mangiare qualcosa. Bene, avevo una fame… Kaori è tornata fuori a cercare alloggio per la notte, pare che questa locanda non abbia letti, e si è portata dietro Midori. Quasi trascinandola. –Ma non possiamo lasciarli qui da soli!– protestava, ma Kaori è stata inflessibile: qui, a un’ora di cammino da Sakurai, meglio non farsi vedere in quattro. Jirou mi ha raccontato il motivo della preoccupazione di Midori, e ogni tanto mi scappa ancora da ridere. Sopratutto quando l’ostessa intrapren dente gli lancia occhiate di fuoco. –Rai’ansama, ti pregherei di finire in fretta…– mi incalza Jirou. –Perché? Hai un appuntamento da qualche parte?– –Ecco… vorrei uscire di qui al più presto…– 213 –Su, su, un giovane guerriero come te non avrà certo paura di qualche occhiata interessata di una sconosciuta!– –No. Ma in sincerità, ciò che temo è Midorisan.– –Oh… beh… in effetti…– –Rai’ansama, almeno tu!– –Hahaha!– rido, ma la risata mi muore in bocca nel sentire il grido di una donna arrivare dalla strada. Non faccio in tempo a capire che quella è la voce di Midori che Jirou è già saltato sul tavolino, buttando tutto a terra, e corre verso l’uscita. Io lascio lì il bagaglio e cerco di seguirlo più veloce che posso, con questa ferraglia che ho addosso che mi impaccia, mentre alcuni avventori si girano incuriositi verso di noi; ma la maggior parte ci ignora. Per strada, la gente si è fermata, e osserva tre guerrieri in un’armatura composta di piccole placche smaltate di nero, sopra a vesti celeste scuro, che non portano l’elmo. Quello di fronte a Midori la strattona per un gomito; gli altri due sono dietro di lei, a meno di un braccio di distanza. –Avanti, sorellina, è un sacco che non passiamo per un santuario, e da queste parti ci sono solo brutti monaci puzzolenti…– fa quello che la sta strattonando. –Sì, sorellina, dacci la tua benedizione.– fa un altro. –E piantala di gridare, guarda che paghiamo bene!– si avvicina dietro di lei il terzo. Cerco Jirou fra la folla, ma è il lampo della sua lama che me lo fa tro vare. Ogni voce ammutolisce. Rimbomba solo lo stridere di Oborozuki. –E tu che vuoi, pezzente?– dice il più grosso dei tre, gettando Midori fra le braccia degli altri; ma non accenna a sfoderare la spada. Jirou si avvi cina, la punta dritta verso la gola del guerriero. Si mette male; qui in mezzo alla folla non posso fare nulla, e temo di non essere di grande aiuto a Jirou, ma mi avvicino lo stesso e mi metto al suo fianco. –Lasciatela.– intimo, e poggio la mano sul braccio di Jirou per fermarlo. –Senti, pezzente, l’abbiamo vista prima noi.– Lo guardo duro, e afferro l’impugnatura di Hikarisuji. Dannazione, fino all’altro giorno non ho mai visto una spada vera da vicino, non so neanche tenerla nel modo giusto! –Adesso vi insegno le buone maniere…– fa il guerriero, e finalmente sfodera la sua lama. È una massiccia spada in bronzo, ma ben tenuta e ben affilata. 214 –Jirou…– faccio per dirgli, ma lui è già partito. Il suono sordo dell’acciaio che cade sul bronzo copre ogni respiro. Jirou ha l’iniziativa e la forza fisica; il suo avversario indietreggia e fatica a reg gere i colpi martellanti, eppure precisi del ragazzo. Jirou fa saettare Oborozuki verso il fianco destro, e il guerriero nero copre a malapena, poi la leggera lama gira velocemente in un semiarco dall’altra parte, e viene respinta appena. Si apre un varco in alto, e Jirou solleva la spada, ma incontra la lama del guerriero, che però incespica sotto il fendente. Nel frattempo, sono arrivati a un paio di passi dagli altri due. Noto che uno sta tenendo Midori per i polsi, da dietro; lei cerca di divincolarsi, ma è chiaro che non può farcela. Dovrei provare a raggiungerla… ma mentre penso come aggirare la folla, vedo il bagliore di una lama posarsi da dietro sul collo del guerriero. Intravedo Kaori sussurrargli qualcosa all’orecchio, e subito le mani di lui si aprono. Midori scappa via, inseguita dal terzo guerriero; ma nel tempo di una finta, Jirou allarga il braccio e lo colpisce dietro la nuca col dorso della spada, facendolo rotolare a terra. Approfit tando del braccio così allargato, o forse per non perdere il tempo, Jirou afferra Oborozuki con entrambe le mani e completa il giro su sé stesso, facendo piombare la lama sul fianco destro del primo guerriero, all’altezza del collo. Lui para, ma la forza del colpo è tale che Oborozuki taglia la spada di bronzo come fosse un fuscello di bambù, andando a fermarsi a un capello dalla sua giugulare. Il tempo trattiene il fiato. I guerrieri sono immobili. La folla è muta. –Che sta succedendo!– sento gridare dietro le spalle; al grido, i tre guer rieri si dileguano fra la folla: Jirou e Kaori li lasciano andare. A terra, resta solo la lama spezzata. Mi giro; la folla si apre e lascia passare due souhei, coi lembi di stoffa che scendono dal bianco turbante a coprire il volto, le alabarde spianate verso di me. Dietro, sento il suono secco di uno schiaffo. –Ti avevo detto di restare con me!– grida Kaori. Mi giro di nuovo, e si girano anche i souhei. Midori è a terra, il volto nascosto dai capelli, tremante. Kaori, in piedi di fronte a lei, la mano ancora aperta dopo lo schiaffo, è mortalmente pallida. Dopo aver infoderato Oborozuki, Jirou corre e si inginocchia su Midori, ignorando Kaori. –Midorisan… stai bene?– le chiede afferrandola per le spalle. Lei trema e non risponde. 215 –Midorisan!– la scuote piano. Kaori, dietro di loro, sembra paralizzata. I due souhei si scambiano uno sguardo e annuiscono; sollevando le ala barde, si dirigono verso Kaori. –Nobile miko, venite con noi.– –Noi… noi non abbiamo fatto niente!– indietreggia Kaori. Ai suoi piedi, Midori inizia a singhiozzare. L’altro souhei si china e dice piano qualcosa a Jirou. –Sì, Nobile miko, va tutto bene. Ma non potete rimanere qui; venite con noi.– Il tono del primo souhei è conciliante; da qui non vedo il suo volto, ma sta di fronte a Kaori con l’alabarda sulla spalla e l’altra mano aperta. Mi avvicino. –Kaori… facciamo come dicono.– Lei mi guarda, e sembra recuperare il controllo di sé. Jirou aiuta Midori ad alzarsi. –Prendo una cosa nella locanda e arrivo, – faccio al souhei, e lui annui sce. Mentre entro nella locanda a prendere il bagaglio, sento la sua voce che grida: –Non c’è niente da guardare qui, tornate ai vostri affari!– Onmyouji (K) –Adesso hanno passato il segno!– sbotta il souhei non appena l’altro chiude il cancelletto dietro di sé. Mi fa ancora male la mano che ha schiaffeggiato Midori. Ho paura di guardarla… devo averle fatto davvero male. Ed era così spaventata… ma ero così infuriata! Se, invece di fare la mocciosa, mi avesse dato retta, non sarebbe successo nulla. Il souhei che sembra essere il più anziano respira, si gira verso di me e si inchina. –Nobile miko, il mio nome è Goemon, e sono il Souhei Guardiano di Hasedera.– –Oh io…– balbetto, sorpresa. Nessun souhei mi ha mai trattato con tanto rispetto. Rispondo con un cenno al profondo inchino, e continuo: –… io sono Kaori, miko anziana del santuario di Koumon.– Quanto dovrebbe essere profondo il mio inchino? Essendo una miko, sono più devota agli dei di un guerriero, ma essendo una donna, dovrei mostrare rispetto… ma non ci penso neanche, e comunque, questo souhei non sembra pensarla come gli altri. Abbasso appena un po’ la testa, com pletando il cenno di prima. Poi, Goemon si rivolge a Midori. 216 –Stai bene, nobile miko?– Midori risponde annuendo forte. Adesso Goemon respira profondo e si infuria; rivolto un po’ al suo sot toposto e un po’ a tutti i noi, continua il suo sfogo: –Ma chi si credono di essere? Importunare una miko! Questo è davvero troppo!– Il souhei più giovane interviene: –Forse dovremmo dirlo all’abate…– –No, è fuori discussione. Quello che avviene fuori dal tempio non è affar suo.– –Ho!– risponde marziale il giovane guerriero. Poco dopo, sediamo in ginocchio attorno a un bel tavolo di ciliegio, in quello che deve essere il quartier generale dei souhei. Davanti a noi c’è una tazza di tè fumante. –Da dove venite, nobile Kaori?– Sono abituata a sentire l’espressione “nobile miko”, ma sentire “nobile” direttamente sul mio nome mi fa uno strano effetto. –Da Koumon.– –Sì, intendo… arrivate da Uda o da Sakurai?– –Oh… da Sakurai.– –E avete intenzione di trattenervi a lungo?– –Pensavamo di partire domattina…– Goemon sorseggia il suo tè, prima di continuare. –Gli uomini che vi hanno importunato…– sospira e beve un altro sorso, –sono della scorta di FujiwaranoAkihira.– Accanto a me, Rai’ansama ha un sussulto. E anche io, al sentire il nome Fujiwara; ma questo Akihira non l’ho mai sentito. Il souhei ci spiega: –È il giovane rampollo del ramo cadetto degli Shi kike. La parentela con i Fujiwara della corte di Hei’an è distante, e i rap porti fra i due rami non sono molto… cordiali, ma… è sempre un Fuji wara…– –… e si comporta da padrone.– concludo. –A dire il vero, nobile miko, Akihira è solo un giovane smidollato. Ma questo è anche peggio: il suo tutore è KamonoKousuke.– Scatto in piedi. –L’onmyouji?– –Sì. Le guardie rispondono a lui. E lui non se ne occupa per niente, tutto preso com’è dai suoi calendari. Per guardare il cielo, non vede quel che succede in terra.– Mi inginocchio di nuovo, mentre Goemon continua. 217 –E quando le guardie di Akihira si annoiano, il ché accade spesso, scen dono in paese… e combinano qualche guaio.– Un onmyouji qui, ad Hasedera! Cosa succederebbe se percepisse lo spet tro della hime, o il musuhi di Rai’ansama? Cerco di recuperare il filo del discorso. –E… voi non potete fare nulla?– –Fino ad ora, avevano solo rotto un paio di teste e fatto strillare qualche ragazza qui attorno… e non è il caso mettersi contro i Fujiwara e i Kamo in un colpo solo.– Stringo i pugni sotto al tavolo. –Ma adesso, – conclude, –sono davvero andati troppo oltre.– –Non avete nemmeno provato ad accennare il problema a Kousuke sama?– –Una volta. Avevano preso una ragazza qui di Hasedera, e il giorno dopo lei e suo padre sono venuti a lamentarsi da noi.– Goemon sorseggia il tè che si va freddando; si porta la tazza alla bocca con un gesto lento, ma quando la posa sul tavolo, le sue nocche sono bian che. –E… che è successo?– –Kousuke ci ha detto che avrebbe sistemato la cosa. Pensavo volesse risarcire la poverina…– Il tono prima cinico di Goemon si fa più basso; ora si mette a girare la tazza fra le dita, lentamente. –…il giorno dopo, l’hanno trovata morta nella sua stanza. Sgozzata.– finisce Goemon stringendo la tazza tanto forte che la sento scricchiolare. –E non avete fatto nulla?– grido. –Non avevamo prove! Nessuno ha visto niente, o sentito niente! Le porte erano chiuse, le finestre pure. L’hanno trovata così i suoi genitori al mattino. Dev’essere stato quello stregone!– –Se lo sapete, perché non avete fatto nulla?– –Perché ha la protezione dei Fujiwara. E quindi, anche del nostro tem pio. Che cosa avremmo potuto fare?– Tagliarli la testa, ecco che avresti potuto fare! Goemon guarda fisso la tazza, che ormai non fuma più. –Da quel momento, teniamo d’occhio le guardie di Akihira giorno e notte, ma sono tanti, e non riusciamo a seguire tutti.– Il souhei sospira, alza lo sguardo e mi parla in tono preoccupato: – Nobile miko, partite il prima possibile. Li avete umiliati davanti al paese, ed è gente vendicativa.– 218 Guardo Rai’ansama. Lui mi fa cenno di sì con la testa, ma ormai è pas sata l’Ora del Serpente, e siamo già da un pezzo nell’Ora del Cavallo; se partissimo adesso potremmo arrivare a Uda per sera, ma è ancora troppo vicino. Goemon sembra rendersene conto, mentre osserva il sole entrare da una finestra. –Se non potete, restate qui fino a domani. Vi ospiteremo qui alla guarni gione; non abbiamo stanze degne di accogliere una nobile miko, ma almeno è un posto sicuro per dormire.– Il riguardo che mi mostra questo souhei mi sorprende profondamente. Sì, è la cosa migliore da fare. –Goemonsan, ti ringrazio. Accetto volentieri la tua offerta.– –Ne sono onorato, nobile miko.– Scuse (M) È tutta colpa mia! È tutta colpa mia! È tutta colpa mia! Kaori avrebbe dovuto staccarmela, questa zucca vuota. Ma che mi è sal tato in testa? Correre a vedere che il procione non stesse mettendo le mani sulla gallina! Stupido Jirou. Se solo non fosse così stupido, non mi sarebbe mai venuto in mente di… Ma che sto dicendo? È colpa mia. Stupida Midori, stupida, stupida! –Rai’ansama…– lo chiamo. Jirou, Kaori e Rai’an stanno stendendo le stuoie nello sgabuzzino che ci hanno prestato per stanotte. E io sono qui in piedi, anzi, d’intralcio. Come sempre. Lui si alza di scatto e quasi mi corre incontro. –Dimmi, Midori. Come stai?– –Io, bene…– guardo verso Kaori. Che mi ignora. Freddamente. –Rai’ansama, perdonami…– –Perdonarti? Ma che stai dicendo, Midori?– Rai’an mi posa le mani sulle spalle. Come sono calde! Mi scaldano fino al petto, fino al cuore. Ma non me lo merito. Fisso il tatami e continuo: –Ho combinato un guaio…– –Ma… Midori…– Rai’an mi appoggia delicatamente la mano sulla guancia, e mi solleva piano il volto finché incontro i suoi occhi. No, non merito di ammirarli. Non lo merito, ma non riesco a muovermi; sono come paralizzata. 219 –Midori, ma che ti salta in testa? Quelli erano sbruffoni in cerca di guai! Tu non c’entri nulla…– –Se avessi dato retta a Kaori, se fossi rimasta con lei…– –Midori, senti. Poteva succedere a chiunque! È stato un caso, ed è finito tutto bene.– Non so se mi stanno uccidendo più la voce e il sorriso di Rai’an o il silenzio e il gelo di Kaori. –Io… dovevo dare retta …– cerco di dire, ma mi scendono le lacrime, e non riesco più a parlare. –Midori, ascolta. Poteva succedere a tutti noi. Potevano prendersela con me per il mio aspetto, o con Jirou perché è grande e grosso, o anche con Kaori.– Riesco solo a singhiozzare… –Rai’ansama è troppo buono con quella mocciosa.– sibila Kaori, girata di spalle. –Kaori, ma che stai dicendo?– Rai’an si gira verso di lei, mentre ancora mi accarezza e mi tiene per la spalla. –Rai’ansama è solo affascinato dal dolce visino di quella smorfiosetta, e non si rende conto della gravità di quello che ha fatto.– –Kaori… ma che ti prende?– –Quella mocciosa ci è solo d’impiccio. Non ci è di alcuna utilità. Dovremmo lasciarla qui.– –Kaori!– grida Rai’an, voltandosi di scatto verso di lei, che è ancora in terra, girata di spalle, che fa finta di sistemare le coperte. Jirou la sta guar dando, incredulo. –Rai’ansama, Kaori … ha ragione, … io sono… sono solo…– riesco a dire fra i singhiozzi, ma, senza girarsi, Rai’an mi appoggia di nuovo una mano sulla spalla e mi stringe forte, fino quasi a farmi male. –Kaori, adesso mi dici che ti passa per la testa.– le chiede secco, lascia la mia spalla e si avvicina a lei. –Kaori!– la chiama più forte, ma lei fa finta di niente. Allora, Rai’an, infuriato, la prende per un braccio e la solleva quasi di peso… e … Kaori è così sorpresa che … non fa in tempo a … nascondere le sue lacrime! Le vedo bene, mentre rimane inchiodata dallo sguardo di Rai’an. Ora anche lui è sorpreso. Kaori mi lancia un’occhiata per vedere se l’ho vista e poi gira la faccia, ma è troppo tardi. –Kaori…san…– faccio un passo verso di lei. –No! Non ti avvicinare!– Ora anche la sua voce è rotta. –Rai’ansama… Kaorisan ha ragione…– 220 –Sì, ho ragione!– –Oh, adesso piantatela, tutte e due!– La sua voce fa vibrare il tatami sotto i miei piedi, e mi fa paura. –Kaori,– Rai’an la scuote per le spalle, –Midori non ci è utile, ci è indi spensabile, e tu lo sai bene. Ho capito quello che vuoi fare…– –È solo una ragazzina viziata…– ma la voce di Kaori trema. –Dillo ancora, e il prossimo ceffone che vola qua dentro è per te.– la sgrida Rai’an, ma il tono della sua voce, caldo e protettivo, non si sposa con l’asprezza delle parole. –E va bene! E va bene, Rai’ansama, mi arrendo.– Kaori si divincola dalla presa di Rai’an e si gira verso il muro. –Vuoi la verità, e fai bene: sono indegna delle vesti che indosso, tanto che ho stracciato il makoto, oggi. Se continuo così, finirò col lordare anche il tuo. –Non voglio che succeda qualcosa a Midori. Questa è la verità. Quando l’ho vista in mezzo a quei tre luridi… ho dovuto raccogliere il cuore in fondo ai piedi per riuscire a muovermi. –Se succedesse di nuovo qualcosa come oggi… la prossima volta il mio cuore potrebbe fermarsi. Se dovesse accaderle qualcosa, non me lo perdo nerei mai. –Quindi, ti scongiuro, Rai’ansama… ci arrangeremo noi tre. Lasciamo Midori qui, i souhei le faranno buona guardia…– –Kaorisan…– scoppio a piangere. Rai’an sospira e si gira verso di me. Sono terrorizzata. Se mi chiedesse cosa voglio fare, non lo saprei. È vero, sono inutile, anzi, sono d’impiccio. Io voglio rimanere con Rai’an, con Kaori… e con Jirou… e non m’importa se mi succede qualcosa. Sono pronta. Ma se devo essere un peso per Kaori… se dovesse mettere a repentaglio la sua vita per salvare me… Rai’an mi sorride. È come il sole che splende dopo un temporale. –Ho un’idea migliore, Kaori.– Lei si gira e lo guarda con gli occhi lucidi, ma gelida. –Scusatemi tutti, – si inchina Rai’an, –è colpa mia.– Ma che dici, straniero? È tutta colpa mia! –Ho sottovalutato i pericoli che possiamo incontrare su questa strada. Prima di proseguire, vi insegnerò ad usare le armi che abbiamo recuperato a Nara.– Kaori osserva prima Rai’an, poi me, con la mascella serrata. 221 –Anche se le tue armi sono potenti, Midori non…– Qualcosa si muove dentro di me. Non so neanche cosa mi prende, ma scatto verso di lei e le dico: –Kaorisan, non devi preoccuparti per me. Non ho accettato questa missione con leggerezza. Conoscevo i rischi e i miei doveri.– Lei si volta dall’altra parte. –Kaorisan, quello che tu dici è vero: sono solo una stupida mocciosa viziata. Ma sono qui di mia spontanea volontà, e se mi succederà qualcosa, sarà solo colpa mia.– Ancora, Kaori non risponde. –Non devi sentirti in dovere di proteggermi. Il tuo dovere è proteggere Rai’ansama. Io so quali sono i rischi che corro, e sono pronta. Se fossi in pericolo, puoi lasciare che io soccomba senza provare rimorso…– Jirou scatta in piedi e grida: –Non lo permetterò!– E finalmente Kaori si volta: –Vedi? Questo è quello che intendo.– Non capisco, e dagli sguardi che si incrociano, vedo che non capiscono neanche gli altri. Kaori si rivolge a Rai’an: –Rai’ansama, quanto tempo credi che ci vorrà ad imparare a usare le tue armi?– –Oh, dunque… se ci alleniamo tutto il giorno, e siete bravi, una setti mana dovrebbe bastare…– –Una settimana?– Kaori ride sbuffando. –Potremo anche imparare ad usare le tue armi, ma tu pensi che in una settimana Midori possa essere in grado di affrontare una situazione come quella di oggi DA SOLA?– Rai’an si avvicina a Kaori; la sua presenza fisica è imponente, ma anche il suo sguardo è terribile. Nella sua nuova armatura che, così lucida, sem bra d’oro, la sua luce abbaglia, quasi affoga la figura di Kaori. –E tu… Kaori…– le fa piano, –tu, saresti riuscita ad affrontare la situa zione di stamane… da sola?– Adesso lo uccide. Rai’ansama o no, ora lo uccide. Kaori sostiene il suo sguardo con un sorriso. Poi, abbassa pudicamente gli occhi, tanto che penso che stavolta Rai’an l’abbia scampata, ma come lo penso, un lampo d’argento mi fa balzare indietro. Quando riapro le palpebre, il coltello di Kaori è appoggiato sulla gola di Rai’an. Lei gli sorride con continenza, ma, protetta dalla lama, il suo corpo di donna si appoggia all’armatura. Alzandosi in punta di piedi, raggiunge con la mano libera la corta capigliatura sulla nuca del kamii straniero, e tira con forza la sua testa in basso, fino a quando l’orecchio di lui è a portata delle labbra di lei. 222 –Hora– gli sussurra, ma quell’ “Ho” sembra in realtà un lungo, lungo sospiro, –come vedi, penso che almeno uno di loro avrebbe rimpianto ama ramente di aver incrociato la mia strada.– Un altro lampo attraversa la stanza, accompagnato dallo stridere del metallo. Oborozuki compare all’improvviso dietro al fiocco che tiene uniti i capelli di Kaori. –Ma poi, avremmo dovuto contendere la tua testa dalle mani dei due sgherri ancora in piedi.– dice gelido Jirou. Oh, no, il mio Jirou! Eri così giovane… Kaori si gira appena verso di lui, e gli sorride con la coda dell’occhio. Ohhhh, ha un sorriso così affascinante, e poi, è così femminile mentre arrossisce e abbassa lo sguardo… e sento solo un ting, e il braccio di Jirou si allarga, mentre le vesti e i capelli di Kaori roteano nell’aria, mentre lei danza un giro completo, mentre la sua lama si appoggia sul collo del mio Jirou. –O… forse no…– conclude Kaori, col suo mezzo sorriso vittorioso. –Volgiamo darci tutti una calmata?– richiama all’ordine Rai’an. Kaori, e di conseguenza, Jirou, rimangono immobili. –Kaori?– insiste lui. Lei, lentamente, molto lentamente, allontana il col tello dalla gola di Jirou e lo rimette fra le pieghe del suo hakama. E Oboro zuki va a dormire nel suo fodero. –Midori, se proprio insisti, e se Rai’ansama me lo ordina, verrai con noi. Ma ti avviso: se mi sei d’intralcio o se disobbedici anche una sola volta, ti lascio dovunque siamo, fosse anche in mezzo al deserto.– –Grazie, Kaorisan. Ti prometto che non succederà più.– Lei sospira e mi sonda lo sguardo. Non tremo. Sono decisa. Kaori annuisce, come se mi avesse letto nel cuore, e poi si gira verso Rai’an. –Quando cominciamo?– –Beh… se non hai niente da fare, anche subito.– Mentre loro due discutono di dove e come allenarci, mi avvicino a Jirou, che è ancora un po’ scosso. –Anche tu…– –Midorisan?– –Anche tu, Jirou… non farlo più. Kaori non perdona mai due volte.– Jirou osserva Kaori parlare amabilmente con Rai’an, come se niente fosse. –Quella donna mi fa tanta, tanta paura.– 223 Guerre di religione (R) Con la scusa di dover assolutamente compiere un rito di purificazione per quello che è successo stamane, siamo riusciti ad allontanarci dal quar tier generale dei Souhei, che “è pur sempre un luogo consacrato alla vene razione del Buddha”, nelle parole di Kaori. Il comandante ha compreso le sue esigenze, e ci ha indicato un luogo appartato sulla montagna, raggiun gibile con un sentiero abbastanza agevole. Mentre lo percorriamo, Kaori, proprio davanti a me, dice fra se e se: –Spero solo sia abbastanza lontano da quell’onmyouji.– –L’idea di avere a che fare con un personaggio del genere ti dà tanto fastidio?– le chiedo. –In parte sì, Rai’ansama. Ma non è solo questo. Gli onmyouji sono diversi.– La storia delle religioni in Giappone è frammentaria, a parte quando erano direttamente coinvolti i Buddisti, che per cultura ormai consolidata, tenevano cronache e annali molto precisi. Sappiamo che lo sciamanesimo del primo periodo Jomon si andò evol vendo durante tutta l’era Yayoi, che va dal 300 a.C. al 300 d.C., al punto che il ruolo delle sacerdotesse divenne talmente preminente da costituire una teocrazia matriarcale. Nel periodo Kofun, che segue il periodo Yayoi, forse a causa di colpi di stato militari, il potere passò di mano diverse volte, scardinando l’egemonia delle sacerdotesse, fino a quando, con la l’introduzione del Buddismo già nel 500, e poi con la riforma Taika del 645, iniziò l’era propriamente “storica” del Giappone. Il culto dell’impera tore quale discendente di stirpe divina non era sembrato sufficiente a pre servare il potere ottenuto, anche perché, più che un monarca teocrate, l’Imperatore era oggetto di venerazione passiva; più che il primo sacer dote, un totem vivente. Per questo motivo, con l’introduzione del buddi smo, l’imperatore Koutoku aveva voluto compiere una mossa del tutto analoga a quella di Costantino nell’Impero Romano d’Oriente: pur mante nendo la prerogativa di erede delle divinità primordiali, e quindi lo stato di kami, aveva “delegato” a una nuova divinità, superiore alle altre, il com pito di sancire la legittimità del suo governo. Questo schema non era nuovo. Era già stato sperimentato durante il periodo Kofun: accanto alla miko, selezionata, come in qualsiasi tradizione sciamanica, in base a segni particolari, a eventi personali di particolare significato, o semplicemente in base all’abilità delle sacerdotesse nell’apparire “speciali”, era emersa la figura di un sacerdote “ufficiale” che avrebbe dovuto compiere i riti più importanti, quelli il cui effetto doveva ricadere su tutto il clan. 224 All’inizio, era un compito riservato al capo dell’uji, la famigliaclan, ma con il trasformarsi dei villaggi in città, si rendeva necessario distribuire questo potere a più intermediari. Questa nuova figura del kannushi, detto anche shinshoku, usando la ter minologia cinese, più di moda alla corte imperiale, era quella di un sacer dote “ordinato” dall’amministrazione imperiale. Questa figura non sostituì da subito quella della sacerdotessa tradizionale. All’inizio, il compito del kannushi doveva essere stato quello di gestire e amministrare i santuari, aprire e chiudere i festeggiamenti, celebrare i matrimoni e officiare i riti maggiori, quelli che avevano ricadute importanti su tutta la comunità di riferimento. Anche se uno degli obiettivi dell’istituzione della figura del kannushi doveva essere stato quello di rompere il monopolio femminile sulle attività religiose, questo ruolo non fu esclusivamente riservato agli uomini; ma dopo l’introduzione del buddismo, sempre più uomini (e fra questi sempre più monaci buddisti), e sempre meno donne, avrebbero avuto accesso a questa carica. Proprio in questo periodo, attorno alla metà dell’era Hei’an, nasce (o forse, rinasce) la figura della miko indipendente, non legata a nessun parti colare luogo di culto, che compie i riti legati al culto dei kami, e allo scia manesimo primitivo, senza nessuna autorizzazione se non quella che deriva dal suo carisma. Queste miko “erranti” si affiancano alle miko “resi denti”, nominate dai kannushi o anche dagli abati dei templi buddisti; entrambe si occupano di tutti quei riti che non sono appannaggio dell’alta gerarchia ecclesiastica. Ed è proprio adesso che il termine miko inizia a diventare il nome di una professione ben precisa, mentre prima indicava tutti i ruoli sacerdotali femminili. Prima della riforma Taika, la parola “miko” si poteva tradurre con il generico termine “sacerdotessa”, mentre adesso, a questo termine veniva già associato un ruolo molto più specifico. Disorganizzate e istintive, le miko non potevano reggere la concorrenza dei monaci buddisti, che, come loro, si occupavano di esorcismi, benedi zioni, guarigioni e, per farla breve, magia spicciola; ma il fatto che i riti buddisti fossero più esotici, pronunciati in sanscrito, e quindi più miste riosi, li rendeva più affascinanti. E così che la figura della miko si assottiglia, fino a quando, a partire dall’epoca sengoku, dopo la seconda metà del 1300, diventa una semplice assistente dei sacerdoti ordinati, non dissimile dal ruolo del chierichetto nella Chiesa Cattolica. 225 Con l’ascesa al potere dei Tokugawa, e l’inizio dell’era Edo nel 1603, viene progressivamente vietato alle donne l’accesso alla funzione sacerdo tale (con l’unica eccezione della Grande Sacerdotessa di Ise), privando così le miko della possibilità di prendere i voti anche come shinshoku, e di compiere qualsiasi rito “attivo”. Questo è uno degli ultimi momenti in cui la figura delle miko avrà una dignità pari o, in alcuni casi, superiore a quella degli altri sacerdoti. Ho come la sensazione che Kaori lo avverta, e ne sia turbata. Alle tre figure religiose di miko, kannushi e monaco, se ne affianca una quarta, l’onmyouji, che corrisponde grosso modo al ruolo degli alchimisti e astrologi nelle corti rinascimentali europee. La figura era stata introdotta con editto imperiale verso l’inizio dell’era Hei’an, come ulteriore misura per ridurre l’influenza dei monaci buddisti sulla corte. Infatti, alcune pratiche ascetiche buddiste includevano la divi nazione. Da sempre, i governanti di ogni latitudine e longitudine sono par ticolarmente suscettibili a questa forma di superstizione, tanto da lasciarsi guidare dagli oroscopi perfino nelle scelte politiche. Nel 758 fu istituito il primo “ufficio per le divinazioni”, che sarebbe poi diventato “ministero dell’onmyoudou” nel 764. Onmyoudou vuol dire “via della luceombra”. In realtà, è una disci plina, se così la vogliamo chiamare, che raccoglie influenze principalmente taoiste, ma anche buddiste, induiste, e un po’ di altre mitologie esoteriche raccolte dove possibile. Naturalmente, si ispira anche ai culti sciamanici che costituivano la religione indigena del Giappone preistorico, e che, in seguito, si sarebbero separati dal Buddismo per formare quello che, molto più tardi, sarebbe stato chiamato Shintoismo. Gli onmyouji sono i “maestri” di quest’arte, riconosciuti e autorizzati direttamente dal ministero; ma già in quest’epoca, il controllo sulla loro attività è diventato molto meno stringente, e persino i Fujiwara impiegano degli onmyouji non autorizzati. Difficile sapere quali. Infatti, la loro atti vità era tenuta riservata, dal momento che, essendo consultati dai dignitari di corte per avere pronostici sull’andamento dei loro affari, erano a cono scenza di tutti i loro progetti più segreti. Per secoli, la gente comune non ne conobbe nemmeno l’esistenza. Ancora oggi, nel cuore dell’era Hei’an, gli onmyouji sono considerati figure misteriose e oscure, che trafficano col regno degli spiriti e dei morti, e vengono loro attribuiti poteri sovrumani. Ad esempio, si tramanda che AbenoSeimei, il famoso onmyouji personale di FujiwaranoMichinaga, fosse rimasto sempre giovane fino al giorno della sua morte, o meglio, della sua trasformazione in puro spirito. 226 Mentre entriamo nella radura che è la nostra destinazione, cerco di fare una graduatoria del “potere mistico” di queste figure, secondo il senti mento della gente di quest’epoca. Chissà perché, è un’idea che mi diverte. Dunque… assegnando a un monaco buddista novizio, ossia, un bonzo, un valore uno, un monaco adulto doveva valere due, una miko almeno quattro, un kannushi probabilmente cinque o sei, un abate di un tempio almeno otto… e un onmyouji almeno sedici – e considerando che c’era una graduatoria per gli onmyouji (molto giapponese, nella sua struttura: dal nono grado “inferiore” al quinto “superiore”, per un totale di sedici gradi), quelli di massimo grado almeno trentadue. Kaori si porta al bordo della radura e guarda in basso, verso il tempio di Hase, seminascosto alla vista dagli alberi. –Sì, credo che qui possa andare bene.– si gira verso di me ed annuncia; i nostri occhi si incontrano, e per un attimo leggo lo stesso sguardo di prima, di quando mi ha preso per i capelli. Kaori: almeno sessantaquattro. Il coltello di Kaori: fuori scala. Lei mi vede ridacchiare e mi chiede: –Rai’ansama?– –No, scusa Kaori. Pensavo al potere del tuo coltello.– Lei mi guarda inclinando la testa, ma dato che siamo lì a parlare di armi, scrolla le spalle e si avvicina. –Venite tutti qui.– Si avvicinano anche Jirou e Midori. –Dunque, Kaori, con che mano tendi l’arco?– le chiedo. –Con la destra.– –E con che mano tieni il pugnale?– –Sempre con la destra.– –Jirou?– –Io tengo la spada con entrambe le mani.– –Giusto. Ma sei destro o mancino?– –Destro.– –Midori?– –Ehm… io…– –Lei è mancina.– annuncia Kaori, facendola arrossire. Nel Giappone antico, era motivo di imbarazzo, se non addirittura interpretato come un segno maligno. Probabilmente, è parte del motivo per cui Midori è stata scelta come miko. –Allora, facciamo così: ora vi farò indossare quel bracciale che vi ho mostrato a Nara.– 227 –Quello che sembra una rete di catenine d’argento?– chiede Midori. –Vedo che ti era piaciuto…– –Era bellissimo!– Le sorrido. –Kaori lo porterà sulla destra, per poterlo usare mentre tiene l’arco nella sinistra; può essere fastidioso se usi il pugnale…– –Imparerò a cambiare mano.– conclude lei. –Bene. Jirou sulla sinistra, così potrà usarlo distogliendo una mano dall’impugnatura della spada. Midori, lo porterà sulla destra.– –Ehm… come ti ha detto Kaori, sono mancina…– –Sì; ma ho intenzione di farti usare un’altra arma. Del resto, mi pare, non sai usare l’arco.– La giovane miko abbassa lo sguardo e dice piano: –No, lo so usare…– –Ed è anche brava, per essere una principiante, – la loda, Kaori, ma senza entusiasmo, –solo, non ha il sangue freddo per incoccare una freccia quando serve davvero.– Se possibile, Midori abbassa lo sguardo ancora di più. –Bene. Prima di attivare i bracciali, voglio provare a chiamare Himiko… voglio dire, Hikari.– Mi sembra l’occasione migliore per cercare di far ricordare a … Hikari … da dove viene. Faccio per mettere il braccio nella sacca legata alla cintura dove tengo il nucleo centrale, ma Kaori mi ferma: –No, Rai’ansama!– –Eh?– –Se la svegli qui… quell’onmyouji potrebbe sentirla!– –Ma guarda che è già sveglia. Non ho più intenzione di farla dormire. Solo, le ho impedito di sentirci parlare.– Kaori sbianca. –Vuoi dire che il suo spirito era… con noi… mentre entravamo un tem pio consacrato al Budda… – il suo tono sale, –dove risiede un onmyouji?– quasi grida. –Kaori, – le sorrido, –non è uno spirito. Si è solo convinta di esserlo. E noi dobbiamo farglielo capire molto, molto delicatamente.– La miko riprende un po’ di colore. –Spero che sia come dici tu, Rai’an sama…– –Haha, non ti fidi di me?– le chiedo ridendo. –Oh, no, io non… il tuo makoto… non volevo dire… ecco…– hehe, mi prendo una piccola, sapida vendetta nel vederla incespicare. 228 –Dai, dai, non preoccuparti, sto solo scherzando!– –Oh, uffa, Rai’ansama!– quasi sembra mettere il broncio come sa fare Midori. Emergenze (K) Come ha detto Midori, è davvero un gioiello splendido. Troppo per la mia mano. La guardo avvolta in questo guanto, in questa rete di fili d’argento che copre tutto il dorso, il palmo, e l’avambraccio fin quasi al gomito. Lo chiamo argento, ma è un metallo tanto bianco e splendente che non può essere davvero argento. Dev’essere qualche sorta di metallo magico, perché ha il potere di attrarre il mio sguardo con bagliori d’arcobaleno e scintille di luce bianca. Sul cuore del palmo, c’è uno specchio. O meglio, riflette il mio volto volgare meglio di qualsiasi specchio abbia mai visto; lo sposto, così che non debba ricordarmi la mia banalità, e vedo che si piega seguendo i movi menti della mano, come se fosse un foglio di carta. Le maglie sottili dei fili d’argento aderiscono alla mia pelle perfetta mente, meglio di come i tabi di seta bianca aderiscono ai miei piedi; eppure, le avverto appena, tanto sono leggere. Al mio fianco, lo spettro di Hikari sgrana gli occhi quanto e più di me nel vedere la mia mano adornata da questa meraviglia, che spezza la luce del sole in migliaia di rivoli colorati. Avere uno spettro curioso che mi sbircia da dietro le spalle mi rende un po’ nervosa, ma… non c’è nessun jaki né alcuna malvagità in lei, e … Rai’ansama dice che non è uno spet tro. –Quest’arma si chiama scudo attivo.– ci spiega Rai’ansama. È tanto bella e delicata che fatico ancora a credere che sia un’arma. –Ha tre funzioni, – continua, –può bloccare colpi in arrivo, respingere o scagliare oggetti anche molto pesanti, e stordire un uomo, o se serve, anche un animale. –Ha una riserva di energia limitata; vi spiegherò come capire quanta forza è rimasta. Quando è esaurita, posso ricaricarla, ma serve un po’ di tempo.– –Può bloccare anche le frecce?– chiede Midori. –Sì, sempre che riusciate a vederle in tempo.– –E può bloccare anche le spade?– stavolta è Jirou a parlare. –Certo. Però, maggiore è la forza che deve bloccare, più rapidamente esaurirà la sua forza.– 229 –E…– chiedo io, –quanta forza può bloccare?– –Mettiamola così: quando è a pieno carico, potresti fermare una frana prima di esaurire tutta la forza.– –Una frana? Intendi tutti i massi, gli alberi e la terra di una montagna?– –Beh, solo quelli che sono di fronte a te, ma in parole povere, sì. Usando questo scudo, potresti uscire viva da sotto una montagna franata.– Resto muta a guardare il gioiello che mi avvolge la mano. –Gli altri… poteri … esauriscono la forza più rapidamente, quindi vanno usati con cautela. Ma una cosa alla volta. Per cominciare, dobbiamo accordare lo strumento, e per farlo, devo copiare i vostri pensieri.– –Eh?– faccio, e sento che lo fanno anche gli altri. –Funziona così: stendete la mano più che potete.– Rai’ansama si avvicina al mio fianco; la sua armatura di bronzo brilla quasi quanto i suoi capelli nel sole che inizia a scendere. Avvicina una mano alla mia testa, e vedo che il suo palmo si spalanca, si apre rivelando la sua anima azzurra, e anche le sue dita, si schiudono come i petali di un fiore rosa. –Guarda avanti.– Mi giro di scatto. –Adesso stendi la mano più che puoi… –Di più… –Ancora di più… –Bene, ora prova a immaginare di afferrare un oggetto lontano. Come quell’albero, ad esempio.– –Rai’ansama… non capisco…– –Sì, dico, prova a immaginare che la tua mano si allunghi. Cerca di afferrare quell’albero.– –Ma… non è possibile…– –Certo che no, ma tu provaci lo stesso.– Quell’albero è a dieci braccia, e più! Non è proprio possibile che io arrivi fino a lì! Resto ferma, non ho il coraggio di dire altro a Rai’an sama… ma lui mi parla. –Va bene, facciamo così. Prova ad afferrare la mia mano.– Lui mette la sua mano, quella ancora … chiusa…, proprio di fronte alla mia. Beh questo è facile, mi basta spostare la spalla e… Ma che fa? Come ci provo, allontana la mano. –Su, prova ancora.– Mi allungo ancora un po’. Se solo allungassi il piede… 230 –No, senza muovere le gambe.– Come fa a saperlo? Come fa a sapere che stavo per spostare le gambe? –Kaori, calmati, sei troppo agitata…– Come fa a sapere che sono agitata?! Sento il sibilo che mi dice che sta chiudendo la mano aperta come un fiore. –Va bene, Kaori, riproviamo fra un po’. Nel frattempo, allenati a sten dere il braccio più che puoi senza muovere nessun’altra parte del corpo.– Credo… di aver sbagliato qualcosa, ma non capisco cosa! –Farò come mi chiede Rai’ansama…– Si allontana verso Midori; con la coda dell’occhio, vedo che lo spettro lo segue, curiosa. –Allora,– dice a Midori, mentre apre la mano e l’avvicina alla sua testa, –stendi il braccio, e cerca di afferrare quell’albero…– Mi concentro sul mio compito. Schiena dritta, spalle morbide, gambe ben appoggiate, come quando devo tendere l’arco. Ci sono tanto abituata che ormai non faccio più caso a come lo faccio… Ecco, è una buona idea. Provo a fare la stessa cosa: alzo il braccio sulla mia testa e lo abbasso come se stessi incoccando una freccia… oh, il brac cio teso quando uso l’arco è il sinistro, io ora devo farlo col destro! Provo a cambiare piede e a muovermi come fossi allo specchio, ma mi accorgo che non è così facile! –Va bene così?– chiede Midori. –Perfetto, ottimo!– risponde Rai’ansama. Come ha fatto quella moc ciosa a riuscirci subito? Mi giro verso di lei; sopra la sua testa, c’è la figura di una testa traspa rente, di colore azzurro pallido, e dentro alcune parti lampeggiano di rosso, come una candela tremolante. –Ecco, resta ferma ancora un secondo… così… bene, fatto. Puoi rilas sarti.– Lampi rossi percorrono la testa trasparente in ogni direzione, mentre Midori abbassa il braccio e rilassa il corpo, e si fermano quando il movi mento di Midori si ferma. È forse possibile che quella sia… la testa di Midori? –Rai’ansama… che cos’è?– gli faccio, e indico la testa trasparente. –Oh… ecco… è lo schema del funzionamento del cervello di Midori.– 231 –Che cosa!?!?– grida lei, e si gira a guardare la figura. Anche la figura si gira, nella stessa direzione, e lampeggia di rosso un po’ dappertutto. Jirou, dietro alla testa trasparente, sgrana gli occhi e si avvicina. Anche Hikari, sempre più incuriosita, si avvicina. –Beh, ecco, non tutto; sto guardando solo la parte che controlla il movi mento.– Midori muove piano la testa verso destra; una piccola parte della testa trasparente, sopra di lei, lampeggia vibrando. Poi, gira la testa appena un po’ verso sinistra; ora è l’altra parte della testa trasparente a brillare di rosso. Midori, ora assolutamente immobile, solleva una mano, e brilla una parte in alto; tiene la mano ferma, e la parte rimane accesa; la risposta in basso, e il lampo rosso scende dov’era prima… –Waaa! Che forza!– grida Midori eccitata, chinandosi e portandosi le mani alla bocca, e mentre si muove così, la testa trasparente brilla un po’ ovunque. –Ehm… carino, vero?– le chiede sorridendo Rai’ansama. –Uh uh!– fa lei, annuendo convinta, e un lampo rosso nella parte dietro la testa trasparente e va su e giù. Rai’ansama ride, e chiude la sua mano aperta come un fiore. La testa trasparente sparisce. –Ecco, lo scudo attivo legge il movimento che state compiendo. Ma noi possiamo anche immaginare di compiere un movimento impossibile: que sto è un ottimo modo per chiedere alla macchina di fare quello che vogliamo. –Ovviamente, ognuno di noi immagina lo stesso movimento impossibile in modo diverso. Per questo, devo leggere come lo immaginate, e quando lo scopro, lo dico allo scudo, così che sappia che, quando immaginate que sto movimento, volete che lui si attivi.– –Rai’ansama… aspetta un momento…– gli chiedo. Si gira verso di me, ma faccio fatica a trovare le parole. Quando ci riesco, continuo: –Tu mi stai dicendo che… che quello che pensiamo… sì, dico… quello che vogliamo fare… è una cosa che brilla da qualche parte nel nostro cer vello?– Rai’ansama mi guarda, sorpreso. –È esatto…– Non riesco a crederci. –E allora, – gli chiedo, –tutto quello che vogliamo fare, tu puoi guardarlo? Tu puoi capire cosa desideriamo?– –Oh, no, non esattamente; solo cose semplici, come il desiderio di com piere un certo movimento; il resto è troppo complesso, ci vuole molto tempo per capire cosa…– 232 –Tempo? È una questione di tempo? Mi stai dicendo che, se avessi tutta la vita, potresti leggere i desideri di chiunque come fossero scritti su un libro?– Lui rimane immobile. Forse, sono un po’ aggressiva, ma io devo sapere questa cosa! Continuo a guardarlo negli occhi, in attesa di una risposta. Alla fine, capisce che non mi arrenderò, e finalmente risponde: –Sì…– –E i pensieri? I desideri non sono pensieri? Potresti sentire quello che dico a me stessa?– lo incalzo e mi avvicino. –Sì…– Ora gli afferro l’armatura. –E i ricordi?– –Kaori…– –I ricordi, puoi leggerli?– lo scuoto. –Sì…– –E… i sogni? Puoi leggere anche quelli?– Ho la voce rotta. Forse grido, non me ne rendo conto. Lui non risponde, ma annuisce piano. –Mi stai… mi stai dicendo che… i sogni, i ricordi, i pensieri, i desideri… sono tutti qui?– picchio la mano contro la testa, tanto forte da farmi male, –È tutto dentro a quella roba grigia che buttiamo via quando macelliamo gli animali?– –Kaori, forse…– –Rispondi!– Lui mi guarda intensamente, con l’espressione grave. Ho capito che ha capito. Ho capito che sa quanto è importante ciò che gli sto chiedendo. –Sì, Kaori… è tutto lì dentro.– Scuoto la testa. Chissà perché sorrido. Anzi, ridacchio. E scuoto la testa. La testa. Tutto nella testa. Ridacchio più forte. E il cuore? E il cuore che fa? Non stavano nel cuore, i desideri? Rido. Sì, ora rido. –Kaori…– –Kaorisan…– mi chiama anche Midori. Ma rido. –Questa…– cerco di dire sulle risate, –questa è meglio… meglio dei miliardi… di Fiumi d’Argento…– –Kaori…– 233 –Quella roba grigia… che non è neanche buona da mangiare…– –Kaorisan…– –Hehehe, tutto lì, certo, anche i sogni, … in quella puzzolente roba gri gia…– Non mi parlano più, mi guardano e basta. –E l’amore… pure quello… tutto nella roba grigia… hahaha, grigia, e puzzolente… haha, è il destino giusto per l’amore… hehehe– –Kaori, adesso calmati!– –No, Rai’ansama, non mi calmo affatto!– grido. Gli corro addosso e gli grido in faccia: –Dov’è l’anima? Dov’è l’anima? Non mi dirai che anche quella è nella puzzolente roba grigia che abbiamo in testa?– Non avrai il coraggio di dirmi anche questo! –No, quella no.– –… … Eh?– –Quella che chiami “anima”… ciò che chiami Kaori… quella cosa a cui pensi quando pensi “io”… quella, non è nel cervello.– Si allontana. E mi sorride. Poi si guarda intorno, e allarga le braccia, girando piano su sé stesso. –L’anima è nel cervello quanto la foresta è negli alberi. Quanto l’acqua è nella pioggia. Quanto il cielo è nell’aria. Quanto la spiaggia è nella sab bia. Quanto il kuni è nella gente.– Il suo sorriso si allarga, e si rivolge anche agli altri. –Noi le chiamiamo emergenze. È ciò che emerge dal basso, il nuovo tutto che sorge dalle vecchie parti, qualcosa che prima non c’era, e quando le cose più semplici si parlano in un certo modo, ecco che inizia a esistere. –Quell’essere che tu chiami Kaori, che tu chiami “io”, non è nel cer vello. È nella tua vita. È nelle persone che hai conosciuto, nei posti che hai visto, nelle foreste che hai attraversato, nell’aria che hai respirato. E certo, anche nel cervello, che ricorda tutto questo, ma è anche nelle tue mani, e nelle tue gambe, e nella stanchezza degli occhi quando li chiudi per dor mire, e nel primo respiro del mattino. –Il tuo kamii… la storia di tutti i kamii che, a partire dall’inizio dei tempi sono arrivati a creare te, qui e ora: questa sei tu. –Questa foresta: guarda quei germogli che fioriscono! Essi non sanno nulla di questa montagna, nulla di questa foresta, eppure ne sono parte, anzi, sono la sua vita che si rinnova, il suo kamii che si arrampica sulle vette dell’eternità. 234 –Quanti alberi sono morti in questa foresta? Quanti dovranno ancora nascere? Eppure, la foresta è sempre la stessa. Ma in ogni albero c’è una piccola parte dell’essenza del tutto. –E tu sei quella terra, quell’aria, quel fuoco, quell’acqua che è precipi tata verso questo luogo, e mescolandosi, è arrivata a creare te: il tuo cer vello, ma anche il tuo cuore, le tue mani, le tue gambe, i tuoi capelli… il tuo volto. –Tu neanche immagini quanti millenni, quanti miliardi di anni, le cose che sono dentro di te, le cose che sono parte di te hanno dovuto attendere per poter finalmente diventare Kaori. E neanche immagini il viaggio che le attende nei prossimi miliardi di anni. –Il cervello è quella macchina che ci consente di contemplare tutto que sto. Che ci permette di annusare l’aria di questo tempo, di vedere il suo fluire, di percepirne la destinazione. Ma no, Kaori, l’anima, quella, non è nel cervello. –Quella, l’anima, è il prodotto del tempo, dello spazio, e di ogni tuo ricordo, sentimento, capello, di ogni filo della tua pelle, di ogni graffio, di ogni battito del tuo cuore, di tutta la forza del divenire, di tutto il kamii che, dall’inizio dei tempi, è sceso a plasmare la terra e il cielo fino a gene rare quello splendido, unico, meraviglioso essere che sei tu, Kaori.– Notte di pioggia (M) –Uffa, Kaorisan, lo voglio anche io un kamii tutto mio che mi dice tutte quelle belle cose!– Lei non mi risponde, ma continua a sorridere, con le mani appoggiate sul bordo della finestra, e la faccia appoggiata sulle mani. Il tempo si è guastato poco prima del tramonto, e quando siamo riusciti a rientrare, già piovigginava. La stanza dove alloggiamo è avvolta nella penombra, fuori rimane solo l’ultimo grigio momento del giorno. Gli occhi di Kaori riflettono la pioggia che cade rumorosa, lucidi, vivi, felici. Anzi, sereni. In tutta la mia vita, non ho mai visto niente di più bello di questo. La osservo. È distante, irraggiungibile, intoccabile. Ecco, questo dev’essere quello che i monaci chiamano satori, o forse nirvana, non ho mai capito molto bene la differenza. È la pace con sé stessi e l’armonia con tutto. Ecco, ora Kaori splende della luce del Cielo, mentre i suoi occhi sor ridenti riflettono le gocce della pioggia, che riflettono i suoi occhi sorri denti. 235 Non riuscirò mai a essere come lei. Beh… Se avessi un kamii tutto mio che mi dice quelle cose, credo che con un piccolo sforzo ce la potrei fare! Oh, certo, Rai’an parlava di tutti; la foresta, la gente, la sabbia… è chiaro che parlava di ogni persona. Ma poteva anche fermarsi lì; e invece, ha nominato proprio Kaori. Essì, i suoi capelli, il suo volto… sono certa che Kaori ha capito. Guardo nella stanza. Rai’an sta parlando piano con Hikari, così piano che non sento cosa dicono. Da quando ha sentito quelle parole, anche lei è diversa. Non so come dirlo, ma sento che è diversa. Jirou è seduto a gambe incrociate, la spada posata fra le sue cosce; ha gli occhi chiusi. Credo stia meditando. E io… beh… io li guardo. Sollevo la mano e osservo il gioiello, lo … scudo che cosa? Mah, insomma, lo scudo magico. Il suo argento brilla così tanto che mi sembra che rischiari la stanza. Dopo essere riuscita a immaginare quella cosa che mi ha chiesto Rai’an, ci siamo allenati un po’: Rai’an mi tirava prima dei legnetti, poi dei sasso lini, e io dovevo fermarli. E ci sono riuscita. Jirou è riuscito a fermare le cose più leggere, ma non è ancora riuscito a fermare i sassi. Kaori, invece, dopo quelle parole, si è seduta da una parte e non ha detto più nulla. Ora che ci penso… non ha detto proprio più nulla. Non una parola. Ha continuato a guardarci con quel sorriso sereno, per tutto il tempo. Stendo il braccio e provo a chiamare il potere dello scudo. L’aria davanti a me vibra. Chiudo la mano e sorrido. È una bella sensazione. È come sentire l’acqua di un torrente in piena che scorre sulla pelle, anzi, sotto la pelle; e poi… non sarò più un peso. Adesso stendo il braccio e cerco di afferrare Jirou. È dall’altra parte della stanza, a più di sei braccia da me. Sento spingere contro la mia mano; l’aria si piega e ondeggia più forte. Ho capito. Più lontano immagino di stendere il mio braccio, più duro diventa lo scudo. Saltello dalla gioia. –Midori, – si gira verso di me Rai’an, –non esagerare, non c’è bisogno di stancarti troppo.– 236 –Va beeeeene!– gli faccio. Lui si alza; Hikari lo guarda venire verso di me. –Sai che sei brava? Io ci ho messo due giorni, la prima volta.– mi fa, e mi accarezza la testa. Mi stringo nelle spalle e arrossisco. Oh, beh, non saranno le cose splendide che ha detto a Kaori, ma è sem pre un complimento. Un momento! Mi stai dicendo che sono stata più brava di un kamii!? Vorrei sprofondare nel tatami. –Dai, fammi vedere il bracciale; così proviamo a ricaricarlo.– Timidamente, sollevo la manina. Lui la prende delicatamente fra le sue enormi mani e la gira piano, così che lo specchio è rivolto al soffitto. Poi, apre la destra, nel senso che … sì, la schiude … come i petali di un fiore … e un raggio di luce azzurra scende sullo specchio, come una lama di sole che si apre la strada fra le nubi in un giorno di pioggia. –Waaaa, che forte!– –Ehehe, carino, eh?– Lo guardo e annuisco sorridendo. Un attimo dopo, la luce si spegne, e la sua mano si chiude. –Ecco, ne avevi usata pochissima; adesso è di nuovo carico.– dice, e poi mi mette una mano sulla spalla e continua sorridendomi: –Brava, Midori, sei stata davvero brava. Sono orgoglioso di te.– –Oh… beh, io… ho solo indovinato per caso…– balbetto, ma non riesco a muovermi. Con un ultimo sorriso, torna verso Hikari. E io rimango lì, con la mano a mezz’aria dove lui l’ha lasciata. Non so cosa pensare. Lo conosco da poco, ma credo che abbia solo voluto incoraggiarmi, dopo quello che è successo questo pomeriggio. Non me lo merito. Certo che… le sue parole, il suo sguardo, tutto di lui è così sincero che… che… che non ho mai incontrato un uomo così. Beh certo, è difficile incontrare uominikamii, che possono guarire mali incurabili, venuti da un’altra stella e dai capelli d’oro… ma questo non c’entra nulla. So che sembra folle, ma la cosa più fantastica di Rai’an… è Rai’an! Le cose straordinarie che può fare sono quasi nulla, rispetto a quanto è grande dentro. Kaori lo ama. La donna che ammiro di più, la donna che ho sempre sognato di diventare, lo ama. E se lei lo ama, allora, quello non può che essere l’uomo migliore del mondo. –Kaorisan…– mi giro verso di lei. 237 Non mi risponde. Continua a sorridere alla pioggia. –Kaorisan, si sta facendo buio. E freddo. Sarebbe meglio chiudere gli scuri…– Lei annuisce. E sta lì. Sorridente. –Uffa, Kaorisan, io ho freddo!– Il mio broncio sembra scuoterla. Si alza dal davanzale e si tira dietro gli scuri. La stanza piomba nel buio, ma la luce di Hikari… che buffo, hikari vuol dire luce… ci permette di muoverci. –Dovremmo mangiare qualcosa.– Rai’an si rivolge a Kaori. –Sì, Rai’ansama…– –Pensavo di uscire, ma forse è più saggio chiedere ai souhei…– –Sì, Rai’ansama…– –Kaori?– –Sì, Rai’ansama?– Lui sospira. –Pensi che potremo andare a Uda, domattina?– –Chissà.– –Intendo, se non piove…– –Forse.– –Kaori, intendo, quanto tempo ci vorrà?– –Eh? Oh… un periodo, o poco più. Circa mezza mattinata.– –Ho capito. Non sarà una gran distanza fra noi e le guardie di Akihira, ma sarà sempre meglio che stare qui. Suggerirei di partire anche se piove.– –Sì, certo, come desidera Rai’ansama.– Nemmeno Rai’an stesso è in grado di far scendere Kaori dal suo Nir vana. Kousuke (R) –Nobile miko, l’onmyouji chiede di poter avere udienza con te.– Kaori resta immobile, la luce della lanterna a sbatterle sul volto come le ali di una farfalla, le bacchette ferme a mezz’aria sulla ciotola. Ma le punte non tremano. Posa, lentamente, con un gesto misurato, ciotola e bacchette, e si alza flessuosa, in un singolo movimento. Faccio per alzarmi anche io, ma la sua mano mi ferma con un gesto perentorio. Non credo sia il caso di discutere con lei. Il souhei che è venuto a portare l’annuncio la scorta oltre la soglia e chiude il fusuma dietro di se. 238 Restiamo noi tre a guardarci. Jirou si alza e si infila Oborozuki alla cintura. Gli faccio cenno di sedersi. Apro gli emettitori nel palmo sinistro e pro ietto la planimetria dell’edificio. –Kaori è quel puntino rosso. I puntini blu sono altre persone.– Jirou mi chiede: –Non è possibile sapere chi sono i souhei e chi le guar die dell’onmyouji?– –Purtroppo, no, ma… posso attivare il trasmettitore di Kaori.– Jirou e Midori mi guardano perplessi, e io faccio cenno all’orecchio. Ordino al trasmettitore di Kaori di entrare in modo automatico. “…per lo spiacevole incidente che è successo questa mattina.” ci giunge la voce di uno sconosciuto, sembrerebbe giovane, e le poche parole che udiamo, ben infiorettate, sono sufficienti a farci comprendere che chi parla è un letterato. “Oh, è gentile, da parte di un onmyouji. Direi, inaspettato.” risponde Kaori, secca. Scuoto la testa; la diplomazia non è il suo forte. L’onmyouji sospira forte e attacca: “Nobile… miko…” calca questa parola, “la condotta delle guardie del mio signore, FujiwaranoAkihira, non è sotto la mia diretta responsabilità, e…” “E quindi, normalmente, ve ne lavate le mani.” Segue un breve silenzio. “… E, quindi, normalmente, non sono costretto ad occuparmene. Ma dopo essere venuto, per puro caso, a conoscenza di quel che è accaduto stamane, mi sono sentito obbligato ad intervenire. Assalire una persona consacrata ai kamii è un atto che non posso lasciare impunito.” “Bene; se siete venuto a chiedere scusa per le vostre guardie, le scuse sono accettate. E adesso, dovrei tornare alla mia cena…” “Giovane miko…” – non avrebbe dovuto dire “nobile”? E il tono dell’onmyouji si fa tagliente, prima di continuare – “Non ho nessun dovere di chiedervi scusa per le azioni di persone che non sono ai miei ordini. Né, in sincerità, desidero farlo. Né posso garantirvi che questo non si ripeta.” Non so come la leggono i miei compagni, ma a me suona come una minaccia. “Sono qui per dirvi che sono intervenuto presso il mio signore affinché quel singolo atto blasfemo non resti impunito. Ma soprattutto, sono qui per questo.” Questo cosa? Avessi dato a Kaori un trasmettitore video… “Oh… capisco…” 239 “Voglio vedere l’arma che ha fatto questo.” “È una spada come tante.” “È una spada che ha tagliato di netto un’altra spada. Non l’ha spez zata. L’ha tagliata.” Probabilmente si riferisce alla spada di Jirou. “Beh, come tante o no, non è in vendita.” “Forse, giovane miko, non sono stato abbastanza chiaro. Ho detto che desidero vederla.” “E io, che non desidero mostrarvela.” “Giovane miko, non hai l’autorità per rifiutarmi questo. È necessario che io veda quella spada.” Interviene la voce di Goemon, seccata: “La nobile miko è nostra ospite, e qui nel tempio non riconosciamo l’autorità degli onmyouji.” “Rispetto il suolo consacrato al Buddha, souhei, e non imporrò la mia autorità qui. Ma… giovane miko, sai che non potrai impedirmi di vedere quella spada. Scegli: mostramela ora di tua spontanea volontà, o io la prenderò dopo.” –Rai’ansama, dille che va bene!– scatta verso di me Jirou. Anche Midori annuisce. Cerco di portare il dito all’orecchio, ma appena prima di raggiungerlo sentiamo: “E va bene. Se tutto ciò che desideri è vedere quella spada, non c’è motivo di costringere i souhei ad una veglia di espiazione.” “Hohoho, giovane miko, non credo che questi bravi guerrieri consa crati oserebbero mai sollevare…” Si sente un fruscio concitato, lo stridere di una lama nel fodero, il colpo leggero di due passi rapidi, e poi Kaori: “Certo che no. Ma dopo averti ucciso, loro sarebbero costretti a uccidere me.” Abbasso il braccio. Jirou sbianca. –Quella donna mi fa paura…– Annuisco. Nella planimetria, il puntino rosso che rappresenta Kaori si allontana dal puntino blu al quale era attaccato, e sentiamo la sua voce che dice: “Prego, da questa parte”. Mi affretto a chiudere la mia mano; la stanza rimane illuminata da una fioca lanterna. Vediamo una luce tremolante battere sul fusuma traslucido, ed eccolo aprirsi. Kaori entra, e subito dietro di lei, l’onmyouji, ancora scosso, e poi Goemon ed un altro souhei. Se l’onmyouji ha delle guardie, devono essere state trattenute all’ingresso. 240 Non indossa abiti particolari, che possano individuare la sua profes sione. È il tipico abbigliamento dei dignitari della corte di Hei’an; un alto cappello di seta trasparente, nel quale trova alloggio il codino che raccoglie la capigliatura. L’ampia veste di seta, con la parte anteriore rigida quasi a formare uno scudo come una larga U. I ricami floreali fantasia grigi su uno sfondo scuro, forse nero, ma al buio non si vede bene. No, non saprei distinguere questo onmyouji da un qualsiasi nobile. E che io ricordi, con trariamente alle miko, ai monaci e ai kannushi, gli onmyouji non avevano una particolare divisa. Non ci alziamo: di fronte ad una personalità importante è d’uopo rima nere seduti in ginocchio, e volgersi nella sua direzione. L’onmyouji fa un brevissimo inchino verso Midori. –Io sono KamonoKousuke. Tu devi essere la giovane miko che è stata aggredita dalle guardie del mio signore, FujiwaranoAkihira.– Midori si inchina, ma solo col capo, dignitosamente. –Volevo farti sapere che coloro che ti hanno importunata sono stati puniti.– continua Kousuke. –È un onore che questa umile miko non merita, Kosukesama.– risponde formale Midori, ancora con un breve inchino. A sentirla così for male, quasi non la riconosco. Gli occhi dell’onmyouji si posano su di me, ma solo per un fugace istante. –E questo deve essere il valoroso giovane che ha una spada così interes sante.– dice mentre si avvicina a Jirou. –Mi è concesso vederla?– Jirou si china e porge la sua spada, sollevandola con entrambe le mani sopra la sua testa. –Il suo nome è Oborozuki.– –Ohh, è un nome molto poetico.– commenta Kousuke, ma il suo tono è piatto. Sguaina Oborozuki svelto, quasi avidamente, e cerca la lanterna. Si china ed osserva attentamente la lama. –Una spada di Ibaraki…– sussurra. Da una tasca tira fuori una lente di ingrandimento di fabbricazione cinese, e osserva attentamente il filo contro alla fiamma. –Il bordo è talmente sottile che è quasi trasparente… non ho mai visto niente di simile.– Mi passa un brivido lungo la schiena. Sì, è sicuramente più sottile di qualsiasi cosa tu abbia mai visto: l’ho affilata usando i laser coassiali, e il culmine del filo non è più spesso di una singola molecola. Per quanto la lavorazione del metallo sia raffinatis 241 sima per quest’epoca, non può reggere un filo così preciso a lungo, ma questa era la prima volta che la spada veniva impiegata, e il combattimento è durato assai poco. È un oggetto che non dovrebbe esistere, in questo tempo. Sto lasciando troppe tracce. Kousuke prende in mano il moncone della spada di bronzo spezzata, e la strofina contro il filo di Oborozuki. Lo stridere del metallo è fastidioso, ma dura poco. Un solo gesto, e già si nota una profonda incisione nel bronzo. –Se non lo vedessi con i miei occhi, non ci crederei…– dice piano l’onmyouji. Poi, rinfodera la spada e la restituisce a Jirou con un breve inchino, ma senza aggiungere altro. Appena Jirou la prende, Kousuke si dirige verso di me; come mi arriva di fronte, si siede in ginocchio e mi guarda dritto negli occhi. –Come hai fatto a ottenere un filo così?– –Eh?– gli faccio. La fiamma della lanterna brilla lucida nei suoi occhi. –Ti pagherò qualsiasi cifra… fai tu il prezzo!– –Io… come fai a sapere che…– –Non esiste nessuno in Giappone che possieda una tecnica simile. E nemmeno in Cina. Tu vieni da molto lontano; è ovvio che il possessore di questa tecnica sei tu.– Perspicace, il mago. Beh, non si campa di oroscopi a lungo se non si è molto perspicaci. Kaori entra camminando nel mio campo visivo. È pallida; tesa. Con lo sguardo mi scongiura di tacere. Anzi, me lo ordina. –Nobile onmyouji…– cerco di pensare in fretta qualcosa –… sono necessari … degli attrezzi … che non sono disponibili qui…– Kaori mi ucciderà, lo so. –Ma tu puoi costruirli!– –Non è così facile…– –Ti metterò a disposizione tutte le risorse necessarie. Farò di te l’uomo più ricco del Giappone! Anzi, di tutto il mondo!– Il mio sguardo si posa sul volto di Kousuke; riesco a vederlo bene solo ora. La sua voce è quella di un ragazzo poco più che maturo, ma vedo ora che il suo volto è quello di un uomo adulto. Gli occhi un po’ sporgenti e tondi, come le guance, come il naso, sembrano muoversi senza posa, anche se impercettibilmente. C’è qualcosa in lui di simpatico … forse la sua curiosità; ma c’è anche qualcosa che mi inquieta. Dev’essere il suo modo di fissarmi, continuando a cambiare il dettaglio del mio volto su cui punta la sua vista ad ogni istante, nervosamente. 242 Il discorso deve essere chiuso, e subito. –Nobile onmyouji, temo che non sia possibile.– –Non è possibile? Come sarebbe a dire? Hai affilato la spada pochi giorni fa, e ora non puoi più?– Sgrano gli occhi. –Come fai a…– –Ohohoho, non c’è nulla che possa essere nascosto alla vista di un onmyouji…– ridacchia la faccia un po’ tonda che ho davanti; ma capisce che non gli credo, e torna subito serio, mentre mi spiega: –Ho contato sedici tacche, tutte ben nette. Quella spada è stata usata solo oggi.– Sei un osso duro, mago dei miei stivali. Sospiro, e mentre lo faccio, gli dico: –E va bene, sarò sincero.– Kaori mi grida qualcosa in silenzio, ma la ignoro. –È una tecnica che non posso rivelare. Un segreto che, per il bene di tutti, deve rimanere custodito ancora a lungo.– –Avanti, straniero, non ho mai conosciuto un uomo che non avesse un prezzo. Qual’è il tuo? Cento monete d’oro? Mille? Cento pesi d’oro? Io posso darteli!– Gli sorrido e scuoto la testa. –Nobile onmyouji, non c’è prezzo per questo segreto. Poiché, se io te lo rivelassi, il mondo, come tu lo conosci, finirebbe. E tutto l’oro del mondo non vale quanto tutto il mondo.– Mi aspetto che il mago scoppi di rabbia. Che, così come ha insistito per vedere la spada, ora sia infuriato dal mio rifiuto. E invece, Kousuke ha una reazione che non mi sarei mai immaginato. Sgrana gli occhi e spalanca la bocca, che trema, mentre forma le parole: –… ma tu… chi … cosa sei?– Non rispondo. –…Almeno… almeno dimmi il tuo nome.– Kaori si avvicina, con passo lento. La sua postura, nobile, proietta una lunga ombra sulle pareti. Il suo sguardo, freddo, scende come gelo su Kou suke. –Egli è Rai’an. È pace che viene dal futuro. È un essere al di là della tua comprensione, onmyouji. È al di là della comprensione di tutti noi.– Kousuke mi guarda, improvvisamente pallido, tremante. E Kaori conti nua, gelida. –Ti abbiamo dato udienza, onmyouji. Ora, ti è concesso ritirarti.– Confessioni (K) –Kaori…– mi sento sussurrare piano all’orecchio. 243 –…Kaori…– apro gli occhi nell’oscurità densa come la pece. –Kaori, sei sveglia?– Sorrido nel buio. –Temo di sì.– Rai’ansama si avvicina tanto che posso sentire il suo respiro. –Scusa, Kaori, ma dobbiamo assolutamente parlare prima di domattina…– Scosto le coperte, e mi alzo seduta. Sarà difficile muoversi con questo buio… ma mi sento prendere per mano. Il mio cuore perde un colpo. Rai’an mi tira delicatamente. Lui vede anche nel buio. Lui vede dentro la gente. Lui vede nei pensieri… e se avesse letto nel mio cuore? Non glielo perdonerei, nemmeno a lui. Camminiamo piano, senza fare rumore. Ma non ho fretta. Mi tiene per mano, e vorrei che la porta fosse lontana mille leghe. Il corridoio è illuminato da un paio di lanterne, e alcuni souhei fanno la guardia. Uno è appoggiato all’alabarda, due chiacchierano piano, un quarto snocciola il nenbutsu, o altra roba del genere, contando i grani di un rosa rio. Come ci vedono uscire dalla stanza, si inchinano, senza parlare. Ricam biamo con un breve cenno del capo e proseguiamo. Ora vedo anche io, ma Rai’ansama continua a tenermi per mano. Usciamo dal corpo di guardia dopo aver preso le nostre calzature da una grande rastrelliera all’ingresso. Ha smesso di piovere, e la luna quasi piena si affaccia fra le nuvole ancora minacciose. L’aria è fredda e cristallina. Mi stringo nel sottile nagajuban di seta. D’improvviso, sento che l’aria si fa più calda. Rai’ansama mi avvolge nel tepore. –Vieni, andiamo in un posto un po’ più tranquillo.– dice piano, e mentre lo dice, mi posa delicatamente un braccio sulle spalle. Mi batte il cuore. Oh, che sciocca che sono. Ci sarà qualcosa di importante di cui vuole parlarmi, e mettersi a discutere nella la caserma dei souhei non è certo sag gio. Ma se… se per caso… sì, se lui volesse… beh, io cosa dovrei fare? Cosa dovrei fare come miko? Cosa dovrei fare… come donna? Non riesco a pensarci. Decido di badare solo ai passi. Un passo dopo l’altro. Un piede di fronte all’altro. 244 Ci sediamo su una grande pietra ben squadrata, sotto un pino silvestre, a poche braccia dal sentiero che porta all’uscita laterale. Proprio di fronte alla luna. Guardiamo la luna per un po’. Lui ha smesso di abbracciarmi non appena ci siamo seduti, ma il suo calore ancora mi avvolge. È Rai’ansama che rompe il silenzio. –Kaori, volevo parlarti di un paio di cose che dobbiamo mettere a punto prima di domattina.– Il suo tono è formale. –Innanzi tutto, dobbiamo fare un piano. Non ho idea di cosa potrebbe architettare Kousuke; volevamo fermarci a Uda per essere abbastanza lon tani dalle sue guardie, ma non pensavamo che avremmo avuto a che fare proprio con lui. –D’altro canto, non voglio affrontare il viaggio attraverso le foreste di Uda senza che voi abbiate imparato ad usare almeno lo scudo…– –Rai’ansama, non devi preoccuparti per questo. Anche se sono stata dura con Midori, Jirou ed io possiamo badare anche a lei.– Ma che dico? Mi sto rammollendo… –Il punto è un altro: una volta fra i monti di Uda dovremo correre, e non so cosa troveremo a Ise. Non vorrei che finisse come a Shiba; e lì non ci saranno i souhei di Douzen a tirarci fuori dai guai. –Abbiamo già rimandato troppo, e la situazione non sta migliorando. Vorrei che foste pronti il prima possibile.– –Capisco…– –Ci ho pensato e ripensato, ma non riesco a trovare una via d’uscita. Se ci fermiamo a Uda, saremo nelle mani di Kousuke. Se proseguiamo, non potremo fermarci ad allenarci fino ad Ise. Tuttavia, può anche darsi che Kousuke se ne stia buono; ma vederci fermi per giorni davanti ai suoi occhi… potrebbe essere una tentazione troppo forte per lui. E allora mi sono detto, magari potremmo rimanere qui.– –No, Rai’ansama, questo è fuori discussione. I souhei sono stati cor diali con noi, ma hanno ottenuto quello che volevano: Kosuke ha sistemato quelle guardie, e le altre se ne staranno buone per un po’. Inoltre, le spie di Kousuke potrebbero seguirci durante i nostri allenamenti…– –Me ne accorgerei.– –Forse no. Gli onmyouji hanno strumenti che permettono di vedere molto lontano.– –… i cannocchiali cinesi… – –Eh?– 245 –No, nulla, scusa. Hai ragione, dobbiamo andare via di qui il prima pos sibile.– Rifletto sulla strada. Dunque… un posto tranquillo… abbastanza distante da Hasedera e Uda da essere fuori dalla portata dell’onmyouji, e ancora abbastanza lontano da Ise da permetterci di prendercela comoda… Mitsue! Certo, a Mitsue c’è lui… Fuyutsuki… ma… passare per Mitsue senza salutarlo, forse, sarebbe anche peggio. –A dire il vero, Rai’ansama… ci sarebbe proprio un posto che fa al caso nostro.– –Davvero?– –Sì. Proprio a metà strada, a tre giorni di cammino, due se partiamo da Uda di buon’ora, c’è un villaggio di nome Mitsue. –È un piccolo villaggio adagiato in tre vallate. Due sono molto strette, ma la gente vive quasi tutta lì. Nella terza valle ci sono i campi; lì non ci abita quasi nessuno, ed è facilmente raggiungibile. È il posto ideale per fermarci e allenarci: possiamo spingerci un po’ fuori dei campi al mattino, e rientrare nel villaggio la sera…– –Mi sembra… un’ottima idea!– Il suo sguardo si perde nel vuoto, come se vedesse cose che io non posso vedere. Rai’ansama continua ad annuire convinto… –Sì, è davvero perfetto! Brava Kaori! Davvero… come avrei fatto senza di te?– –Oh, non è niente di che…– arrossisco, –è solo che quando sono passata di lì… ecco, io…– –Kaori, so che essere modesti fa parte della buona educazione, ma sta volta un complimento te lo devi proprio prendere. Hai risolto un bel pro blema.– –Allora, grazie…– sorrido, e mi prendo il complimento. E mi viene anche in mente che… –Rai’ansama, ora che ci penso, a Mitsue c’è una splendida sorgente ter male. È il posto ideale dove rilassarci dopo gli allenamenti…– –Ehm… – stavolta è il suo turno arrossire, –… con bagni separati?– –Separati? E perché mai?– –Già… che domanda…– Ehehe, mi diverte vederlo imbarazzato per una cosa tanto innocente. I nostri sorrisi si incrociano. Rimaniamo lì a sorriderci ancora un po’, abbracciati dalla luna. –Kaori, c’è un’altra cosa di cui volevo parlare con te.– 246 –Dimmi, Rai’ansama.– Lui sospira forte e si china sulle ginocchia. –Ecco, non so nemmeno da dove cominciare…– –Prova… dall’inizio?– Vedo nella luce fioca della luna che fa un sorriso tirato. –E va bene… forse essere diretti è il modo migliore.– Si gira verso di me e mi prende per le spalle. Ci guardiamo negli occhi. Il cuore mi sta per saltare fuori dal petto, lo sento. Oh, Rai’ansama, se non ti sbrighi a parlare, te li cavo, quegli occhi più belli delle stelle. –Questa storia della mia divinità è andata avanti troppo a lungo.– –… Eh!?– –Stasera… quello che hai detto a Kousuke… che sono un essere al di là della vostra comprensione…– –…Sì…?– –Non lo hai detto solo per impressionarlo.– –Rai’ansama… In questi giorni ho lordato il mio makoto in molti modi, e dovrò provvedere a mondarlo… ma non avrei mai mentito su un fatto simile.– –Tu lo pensi. Tutti voi lo pensate.– Annuisco. E non capisco. Mi sembra… evidente. È naturale… –Me ne accorgo da come mi tratta Jirou… e anche Midori. E anche tu…– –Rai’ansama… ti ho già spiegato che sei un kamii perché…– –Sì, dannazione, l’ho capito!– scatta. Si mette la testa fra le mani, sospira, e parla, ora più calmo. –L’ho capito… il kamii è la forza del divenire, e si può essere umani e kamii insieme… l’ho capito. Ma quello che hai detto stasera…– Il dolore nella sua voce… è struggente. –Rai’ansama…– faccio per prendergli la mano, ma lui le solleva entrambe e le guarda. Le muove e le fissa, come se le vedesse per la prima volta. –Lascia che ti racconti una cosa, Kaori. –Mi hanno tagliato le braccia e le gambe, e hanno messo delle macchine al loro posto. Anche al posto di buona parte del mio stomaco. E dei miei reni. Hanno riempito di metallo le ossa che mi erano rimaste. E anche un pezzo di cervello. Sì, quella cosa grigia e puzzolente. –Mi hanno messo delle macchine al posto di ricordi che… mi hanno detto… non mi servivano.– 247 La sua voce trema, e gli spunta una lacrima che tentenna sul bordo delle ciglia. Lui fa per asciugarla con un dito, ma si ferma. –E gli occhi! Mi ero quasi dimenticato. La parte posteriore dei miei occhi è piena di macchine.– Ora ride sommessamente. –Dovrei essere loro grato: queste sono le macchine più avanzate che siano mai state costruite. Di tutto il progetto per portarmi qui, la cura mag giore, e anche le risorse maggiori, sono state investite per darmi questi strumenti… per darmi più possibilità di successo. Mi hanno dato tutto quello che potevano darmi… –Tutto quello che potevano darmi… sì… ma … si sono presi tutto.– Adesso stringe così forte i pugni che sento uno scricchiolio sinistro pro venire dalle sue mani. Non so che sta facendo, ma non mi sembra una cosa buona! Sto per dirgli di fermarsi, ma le sue mani si aprono. Gli esce dalla bocca una risata nervosa. –Ecco, vedi Kaori?– –… che cosa?– –Non ho detto loro di aprirsi. Io volevo stringere fino a sentirle rom persi, ma loro non mi hanno dato retta. Per proteggermi, certo. Ma puoi immaginare cosa significa? Sapere… sentire… che le tue mani non sono più tue?– Non riesco più a respirare. La sola idea mi chiude la gola. Ora, le sue braccia tremano, fuori controllo, la sua gola si gonfia, il suo volto diventa una smorfia di dolore. –Obbeditemi… maledette, obbeditemi!– –Rai’ansama, basta!– mi getto ad abbracciarlo. Gli accarezzo il collo finché sento che la tensione non si scioglie. –Rai’ansama… non devi soffrire così…– Lui respira profondamente e, finalmente, abbassa le braccia. Un ultimo respiro, e sento che è tornato in se. Mi allontano… ma non arrossisco. Lo guardo guardare la luna. –Quando ero dall’altra parte, ero ancora… quasi normale. Se tu potessi vedere le meraviglie che abbiamo saputo costruire, Kaori!– sorride. Final mente! –Kasei… Marte… era un deserto sconfinato, e l’abbiamo trasformato in un giardino immenso. Ora non è più rosso, ma verde e azzurro! –E poi, le macchine che ho addosso… alcune macchine simili sono usate da chi ha perso un braccio, o una gamba; nessuno è più costretto a vivere senza. 248 –E le malattie… sono solo un brutto ricordo. –E io, persino con tutte queste macchine addosso, ero speciale, certo, ma non poi così tanto. –Da quando sono qui, Kaori… da quando sono qui, sto iniziando dav vero a rendermi conto di quanto sono diverso. Di quanta … di quanta uma nità… ho perduto.– La sua voce trema ancora. E ripete piano la parola “perduto” due, o forse tre volte. –Quindi, ti prego, ti scongiuro, Kaori. Non trattarmi più come una cosa misteriosa venuta da chissà dove. Non trattarmi più come qualcosa di diverso. Non trattarmi più… come … come un dio.– Ora, sono io a tremare. Ora, mi rendo conto che, sì, lo stavo facendo. Nella mia mente, Rai’ansama era già più di un uomo, più di un kamii. –Rai’ansama… ti chiedo perdono. Nel mio egoismo, volevo che tu fossi il mio mikoto.– Lui mi sorride, con gli occhi lucidi e una lacrima che scende piano. –Scusami, tu, Kaori. Temo… di non essere all’altezza.– –Oh beh… penso che … – gli sorrido e scherzo con lui: –il fatto che sei un kamii basti e avanzi!– Rai’ansama scoppia a ridere. Ride di pancia. Ride sereno. Ride con tanta gioia che soffia via ogni mia tristezza. Se solo potessi chiudere questa risata in una scatola, sarebbe il mio tesoro più grande! Quando finisce, sospira e sorride alla luna. –Grazie, Kaori. Grazie davvero.– Rimaniamo in silenzio a guardare la luna ancora un po’. –Kaori, si è fatto molto tardi… rientriamo?– –Un momento, Rai’ansama, ora tocca a me.– –Eh?– –Ti ho detto prima che, in questi giorni, ho lordato il mio makoto, e che devo purificarlo.– –Oh… e, io … cosa posso fare per te?– –Nulla, Rai’ansama; questo è compito mio. Devo accettare con since rità il cuore vero delle cose, e parlare con magokoro: intendendo davvero ciò che dico.– –Oh, bene… ti ascolto…– –E poi… l’ho promesso a Midori. E non posso certo rompere una pro messa fatta da miko a miko.– 249 –Suppongo di no…– –Infine, Rai’ansama, è importante, anzi, vitale, che tu sappia e com prenda appieno ciò che sto per dirti. –È compito di una miko portare a termine l’incarico affidatole senza nessuna esitazione. E il mio compito è quello di essere la guardiana e la protettrice di Rai’ansama. –Affinché io sia utile a Rai’ansama, è necessario che io gli sia traspa rente. È necessario che io goda della sua piena fiducia in tutto e per tutto. È quindi necessario che io sia assolutamente sincera con lui, riguardo a qual siasi cosa. Senza nessuna esitazione.– –Ehm… beh… questo mi fa piacere…– –Quindi,– mi avvio a concludere, alzandomi in piedi, dritta di fronte a lui, –è mio compito inderogabile, quale miko anziana del santuario di Kou mon, e quale guardiana e protettrice di Rai’ansama… dirti che… che… – Oh, c’ero quasi riuscita! Stavo quasi per buttarla lì; e magari, fra tutti questi discorsi, sarebbe potuto passare in secondo piano, ma ormai, ho perso l’attimo. E poi, così, non sarebbe stato magokoro. Sospiro e gli sorrido. La luna si riflette sui suoi occhi, mentre mi guarda, ancora stordito da tutte quelle parole, e aspetta me. È lì per me. Non può esistere un momento più perfetto di questo. –… dirti che… io ti amo, Rai’ansama.– No, il momento più perfetto non era quello; è questo. –Io ti amo. Ti amo più della mia vita. Ti amo più di qualunque cosa. –Ti ho amato dal primo momento che ti ho visto. –Ti ho amato da quando hai cercato di chiamarmi, e ho letto il dolore nel tuo sguardo, indifeso, sperduto, impaurito. –Ti ho amato da quando ti ho vegliato per due giorni e due notti, senza mai distogliere gli occhi dal tuo volto. –Ti amo, e amo ogni istante che gli dei mi hanno concesso di essere al tuo fianco. –Ti amo, Rai’ansama. Ti amo, e ti amerò per sempre.– Il vento agita gli aghi di pino sulle nostre teste, ma si accorge di noi, e invece di passarci attraverso, ci gira intorno e ci abbraccia, spingendomi verso di lui. Io lo respiro, chiudendo gli occhi, lo trattengo, lo sento in me, e poi lo lascio andare, a rifluire verso quelle stelle che, adesso, posso guardare conoscendone l’immensità. Mi sento rinata. L’universo ha fatto pace col mio makoto. Ora sono di nuovo una miko degna di questo nome. 250 Abbasso lo sguardo su Rai’ansama. Lo guardo con tutto il mio amore. Non si è mosso di un capello. Mi guarda sorpreso. Stupefatto. A quanto pare, non mi aveva letto nel cuore. –Ah, ora mi sento molto meglio. Su’, rientriamo? Domani ci aspetta una lunga giornata!– Arcobaleno (M) Ta ta taaaaa… taaaaa ta taaaaaaa… ta taaaaaa… Mi sveglio con questo motivetto in testa. Ma come apro gli occhi, mi accorgo che non ce l’avevo in testa. È Kaori che lo sta canticchiando, men tre divide il bagaglio. Già, abbiamo detto che dobbiamo dividere il peso, anche se Rai’an potrebbe portare tutto. E questo significa che camminare sarà ancora più faticoso. Uffa. –Buongiorno, Kaorisan…– la saluto. –Buongiorno, Midori…– canticchia lei. Rai’an è vicino al fusuma che chiude la stanza. Probabilmente, è per impedire ai souhei curiosi di sbirciare fra le nostre cose. Jirou medita seduto a gambe incrociate, con la sua amata spada posata sopra le cosce. Non lo disturbo. Mi concentro su Kaori. Che canticchia. Uhm… Kaori è sempre vispa al mattino, ma così allegra, non l’avevo mai vista. –Kaorisan?– –Sì?– –Stamane sembri molto felice…– –Ah sì?– –Sì…– La fisso con aria sospettosa. E lei mi ignora. –Dimmi, Kaorisan… è successo qualcosa stanotte?– –No, nulla di particolare…– Kaori continua a canticchiare come niente fosse, e la guardo con sempre più sospetto, ma Rai’an incespica. Uhm… –Dimmi, Kaorisan, come sta il tuo makoto?– –Benissimo!– mi sorride radiosa. E Rai’an tossisce. Rivolgo il mio sguardo sospettoso a lui. Cambiamo bersaglio. Mi alzo e corro sotto ai suoi occhi. –Rai’ansama?– 251 –Eh… sì Midori?– mi sorride nervosamente. Non potrai resistere al mio sguardo sospettoso! –È successo qualcosa stanotte che la mia miko anziana non vuole dirmi?– Lei canticchia un po’ più forte. Rai’an sorride un po’ più nervosamente. –No, davvero, niente di straordinario… siamo solo usciti per parlare.– Sei mio, kamii straniero! –Eeeeh, usciti per parlare?– –Eh, sì, abbiamo fatto insieme un piano per i prossimi giorni…– –Ohhh, un piano, eh?– –Anzi, a dire la verità, il piano lo ha fatto lei…– –Essì, Kaorisan è brava a fare i piani… e poi, sarete rientrati subito subito, sentendovi in ansia per noi, rimasti qui a dormire soli soletti…– Jirou ha un brivido che fa tremare la spada sulle sue gambe. –Ecco… non proprio subito subito…– –Ah no? E cos’altro avete fatto?– –Ma nulla, abbiamo solo parlato…– –Ohhh, voi due parlate spesso, di notte…– –Midori, cara…– canticchia forte Kaori. –Sì, mia nobile miko anziana?– –Ti sacrifico a Susanooo…– canticchia amorevolmente Kaori. Mi mordo la lingua e dico a Rai’an: –Vado a lavarmi il viso…– –Ecco, sarà meglio…– Mentre sguscio fuori dal fusuma, torno indietro con la testa e dico svelta a Rai’an: –Ma non la passi liscia!– –Mido…– cerca di dire, ma sono già scappata via. Il tempo di mangiare qualcosa di frugale offertoci dai souhei, e già siamo presso la bottega dove ci attende la nuova armatura di Jirou. Onesta mente, ne aveva bisogno: quella che ha ora, non so se sia efficace o meno, ma non è molto dignitosa. Goemon ci ha salutate calorosamente, e ci ha fatto promettere, parola di miko, che saremmo tornate a trovarlo. Che amore di souhei! Kaori tratta il prezzo fino a che il povero artigiano è ridotto quasi in lacrime. Non che sia necessario, ma lei va matta per queste cose, e oggi che è particolarmente allegra, sembra abbia particolarmente voglia di gio care. Povero artigiano! –Beh, che ne dici?– 252 Appena fuori dalla bottega, io e Kaori guardiamo con aria critica Jirou e Rai’an con indosso la stessa armatura. Due omoni grandi e grossi con addosso due corazze di ottone lucente, che brillano sotto il sole basso di primavera. Li guardo con aria critica… a lungo… annuendo e facendo qualche “uh uh” … finché non si sentono in imbarazzo. Poi concludo: –Ah, io non saprei proprio quale scegliere.– Come sta bene il rosso sull’ottone! Kaori mi sussurra piano, canticchiando, –Susanooo…– –Eh? No, intendevo, sembrano davvero tutti e due possenti guerrieri! … E chissà quanto possenti…– –Midori!– –No, intendevo…– –Lasciamo perdere.– –Sì, Kaorisan…– assumo la mia migliore aria contrita e penitente. Ma con la coda dell’occhio, vedo che anche Kaori se li guarda e riguarda ben bene. –Beh, comunque, sembrano proprio due perfette guardie del corpo per il nostro viaggio lungo le strade del Regno di Uda.– conclude Kaori. –Non avremmo potuto trovare guardie migliori!– concludo io. –Bene, e allora, si parte!– sentenzia Kaori. –Si parte!– sentenzio anch’io. E mentre passiamo davanti alla locanda delle ladre di uomini, faccio la linguaccia alla gallina che è lì fuori a bramare il mio Jirou nella sua arma tura dorata. Kaori ci spiega il piano: per oggi, fermarci in città a Uda per fare prov viste; partire domani all’alba per arrivare a Soni un po’ prima del tra monto; da lì, partiamo con calma il giorno dopo, e arriviamo a Mitsue verso metà giornata; la sera, ci aspetta un bell’onsen. Ci fermeremo a Mitsue qualche giorno, per imparare a usare bene le armi di Rai’an. Non vedo l’ora! Io, intanto, lo scudo magico so già usarlo! Beh, almeno, la parte dello scudo. Le altre cose che diceva Rai’an, sca gliare gli oggetti e stordire le persone, ancora non le so fare. La strada è affollata, c’è un gran andirivieni da e verso Hase. Per evitare le pozzanghere della notte prima, dobbiamo rompere spesso la nostra for mazione, e qualche volta, anche saltare. Si sente un tuono in lontananza. Proviene da nubi minacciose che scen dono da nordovest. 253 –Speriamo che questo tempo ci lasci in pace…– dice piano Kaori, osser vando le nubi. Oh, ma tu guarda! La chiamo: –Kaorisan, guarda, un’arcobaleno!– Si voltano anche Jirou e Rai’an. Il sole, ancora basso a est, disegna un arco quasi completo sullo sfondo plumbeo delle nubi che ci vengono incontro. Kaori lo osserva un po’, poi si rimette in cammino. Ma Rai’an, da die tro, dice piano: –È … meraviglioso…– Mi giro a guardarlo. Ha lo sguardo rapito, immobile. –Si direbbe tu non ne abbia mai visto uno!– –Infatti…– Eh? Davvero non ne ha mai visto uno? Non posso crederci… –Ma come, Rai’an… dalle tue parti non ci sono arcobaleni?– –…sama!– grida Kaori da lontano. Lui si gira e mi sorride: –Non darle retta, chiamami Rai’an ogni volta che puoi!– –Agli ordini!– –E … no … dalle “mie parti”, come dici tu, non ci sono arcobaleni.– –Rai’ansama, dovremmo affrettarci…– ci sprona Jirou, – essere sor presi da quel temporale sarebbe spiacevole.– –Ovviamente, nobile Jirou.– fa Rai’an, lasciando il mio Jirou di sasso; e riprende il passo, correndo verso Kaori. Cerco di raggiungerlo prima che si allontani troppo, e gli chiedo: –A proposito; che è successo stanotte?– Ma come fa a correre così veloce?! Giungiamo a Uda che la tempesta è alle nostre calcagna. Entriamo nel paese di corsa, tanto che appena riesco a vedere dove metto i piedi. Mi scoppia il cuore, e il peso del bagaglio sulla mia schiena mi sta uccidendo. Cade qualche goccia… Oh, no, siamo stati sconfitti! Ma Kaori gira stretto in un vicoletto, che si apre su una strada più ampia, e si infila svelta dentro una locanda! L’ultimo sforzo… i tuoni mi colpiscono dietro la schiena. Ho sempre avuto paura dei tuoni… soprattutto quando sono fuori. Quando ne sento uno forte, grido. Dietro di me, Jirou arranca sotto il peso di quell’enorme bagaglio. Non avrebbe dovuto fare l’eroe in quel modo. La locanda è a qualche passo; Kaori e Rai’an ci incitano a correre… ma io mi volto e torno a prendere Jirou, che è rimasto senza fiato. 254 –Dai, Jirou, ci siamo quasi!– Un tuono. –Yaaa!– Lui ha il fiato troppo corto per rispondermi. Oh, stupido guerriero, andiamo! Gli afferro la mano e lo trascino dietro di me. –Dai, un ultimo sforzo!– Ora me lo tiro dietro con tutte e due le mani. Le gocce si fanno più fitte. –Forza, forza!– ci gridano Kaori e Rai’an. Quanto pesa questo bestione! Ecco, oooo issa! – sono dentro! E mi tiro dietro Jirou. Lo tiro tanto forte che inciampa. Mi cade addosso. –Jirou!– Grida Rai’an. –Midori!– Grida Kaori. Apro gli occhi ma… non riesco a respirare. Jirou è disteso lungo sopra di me… –Spo…sta…ti…– cerco di dirgli, e lui, ansimando, rotola per terra, al mio fianco… –Ufff!– mi alzo senza fiato… –Tutto bene?– si china Rai’an. –Ufh, sì, … ufh… ma devo ufh… ricordarmi … ufh …– –Ricordarti… che cosa?– –Che è … ufh… molto meglio… aahhha… se sto sopra io…– –MIDORI!– grida con tutto il fiato Kaori. Goze (R) Piove a dirotto. Per fortuna, abbiamo comprato le provviste che ci servi ranno in questa locanda, e non abbiamo bisogno di altro. Abbiamo affittato una stanza al pian terreno, proprio sulla strada princi pale: la più economica. Ma mi piace: vedo correre i contadini, i mercanti e gli artigiani, che trattengono le imprecazioni, e cercano di portare avanti la loro vita. Ogni tanto, quando vedo un soggetto interessante, attivo la regi strazione. In caso potessi tornare a casa. In caso… potessi… –Rai’ansama?– Kaori entra con un pacco sotto braccio. So che avrà fatto sicuramente un ottimo affare con l’oste. 255 Rispondo al suo saluto con un sorriso. Lei si illumina come un raggio di sole. Mi ama. Nessuno me lo aveva mai detto. Non così. Di certo, nessuna donna come Kaori. –Rai’an…– cinguetta piano Midori da dietro le spalle. Devo trovare un posto per scappare, ma come faccio per alzarmi, lei mi poggia una mano sulla spalla. –Allora, me lo racconti quello che è successo stanotte?– –No, veramente… preferisco vivere…– –Ohhhh, è così grave…? Adesso devo sape…– –Midori…– la chiama canticchiando Kaori. –Ahimé, Rai’ansama, sono costretta a interrompere la nostra interes sante conversazione sulla kamità del Buddah…– –Non era sulla Buddità dei kamii?– –Si, insomma, quella cosa lì…– E si allontana di qualche passo. Kaori posa le cose che ha con se e si avvicina. Mi siede a fianco e non parla. Per un po’, ci basta essere vicini, a guardare la pioggia che cade fuori dalla finestra. Sento che sta per dire qualcosa, ma in quel momento, giunge la voce di una ragazza che sale lungo la strada: –Ma… madre, piove!– –Già. E allora?– Giro la testa verso le voci. Una donna matura, quasi anziana, avanza sotto un largo ombrello che tiene stretto, con la sinistra, assieme ad un voluminoso fagotto, e con la destra tira con forza una ragazzina, ormai fradicia fino al midollo. –Madre…!– –Smettila di lamentarti, piccola stupida!– La ragazza incespica e perde uno zoccolo. Il piedino si appoggia nell’acqua melmosa della strada di fango. Finalmente riesce a divincolarsi dalla presa della donna, e si china, cercando a tastoni lo zoccolo nel fango. È lì, a un palmo dalla sua mano… ma non lo vede. È cieca. –Oh, quanto sei stupida! Proprio ora dovevi perdere il geta?– –Scusa, madre…– –È lì, un po’ più a destra.– 256 Kaori, al mio fianco, freme di livore. La ragazzina riesce a toccare lo zoccolo, se lo infila e si rialza, tastando l’aria con le mani tese. La madre le afferra la sinistra con più forza di prima e ricomincia a tirarla. Ora sono io a fremere. Vengono da questa parte; ora posso distinguere i dettagli della ragaz zina. Le gote affilate, le braccia magre, il volto appuntito, un nasino pic colo piccolo. I capelli, sotto la pioggia, sono una massa di alghe nere che le arrivano appena sotto le spalle. Ha un occhio completamente bianco, e l’altro è albino e fuori asse. Quando l’acqua le scorre sulle palpebre, le batte fuori sincrono, ognuna per conto suo. –Ecco, siamo arrivati.– Le dice la madre, e la fa sedere con poche ceri monie su una panca sotto ad una tettoia dall’altra parte della strada, proprio davanti alla nostra finestra. –Ma … madre, con questa pioggia non ci sarà nessuno…– –La locanda è piena di gente.– fa lei, tirando fuori dal fagotto uno stru mento musicale simile ad un liuto, con quattro corde grosse come spaghetti cinesi. Lo riconosco: è un biwa. La madre continua: –Se strilli abbastanza forte, verranno senz’altro a pagarti per smettere!– le dice acida, e le tira addosso il biwa tanto forte che sentiamo il rumore delle corde da qui. Faccio per alzarmi, ma come Kaori sente la tensione nei miei muscoli, mi posa una mano, sul braccio e mi stringe forte. Dietro di noi, sento la presenza di Midori e Jirou, che si fanno vicini. Perfino Hikari compare, di sua spontanea iniziativa, standosene un po’ in disparte. La ragazzina esita un po’. La madre si allontana di qualche passo, e rag giunge l’altra estremità della tettoia. Col plettro largo come un ventaglio, la ragazzina colpisce le corde del biwa, ma non se ne allontana; invece, struscia il plettro e ottiene un suono gracchiante. Poi il plettro vibra, e il suono si fa più aperto; il plettro scatta, e il biwa emette il suo pianto. “Il giovane… Takeru…” Inizia a cantare. La voce è quella di una bambina, ma i gorgheggi, le pause, gli acuti, sono quelli di una maestra. “Fra i canneti di Izumo…” Sussurro piano, quasi a me stesso: –Non sapevo che le goze fossero così giovani…– –Infatti…– risponde Kaori: –è troppo giovane per essere una goze…– “Scende sul lago…” 257 Le goze… donne prive della vista, che per guadagnarsi da vivere, gira vano i villaggi cantando e suonando. “Sale nell’alto tempio… E sa chi lo aspetta…” Ma in genere sono canti popolari. I miti e le saghe, come quella di Yamato Takeru, sono fuori dal loro repertorio. “Vieni Takeru!… grida il sommo, su mille gradini…” Izumo, unica nazione del Giappone preistorico capace di opporsi allo Yamatai, nei suoi miti divenne terra di mistero, incanto e pericolo. “Gli occhi di fuoco, la lingua di tuono, la spada di dieci spanne…” Il simbolo del potere di Izumo era il Grande Tempio Sospeso, una pala fitta che si ergeva su travi che, secondo le nostre ricostruzioni, erano alte circa cento, centoventi metri. “Sali, Nipote mio, fatti abbracciare da Susanooo!” Il nume tutelare di Izumo, benevolo protettore dei naviganti e dispensa tore di pesche abbondanti, per gli Yamatai, diffidenti verso tutto ciò che riguardava il mare, divenne il fratello ribelle e violento di Amaterasu. “Abbraccia tuo zio, qui nell’alto tempio… assaggia la mia spada!” Il plettro ora cade sulle corde del biwa, al ritmo del duello di Susanooo e Yamato Takeru. Rapidi colpi si susseguono a brevi pause cariche di ten sione, e poi due colpi, una pausa di studio, un guardarsi guardinghi e poi via, giù a percuotere le corde che piangono senza posa. Un paio di mercanti, nonostante la pioggia, si sono fermati ad ascoltare. Si aggiunge un contadino. Dalla locanda esce quello che sembra essere un viandante, o forse un pellegrino. Il plettro struscia sulle corde, in alto e in basso, sempre più veloce, come una spada che scivola sulla lama che le si oppone… e tah! – un colpo secco, e poi silenzio. La sottile mano bianca della ragazzina si tende verso il vuoto oscuro di fronte a sé e attende. I quattro spettatori si scambiano commenti ammirati. Uno di loro si avvicina e tira fuori qualcosa dal sacchetto che ha attac cato alla vita. –Sei sempre più brava, Mayumichan!– le dice e le lascia cadere una moneta di rame nel palmo. Da lontano, La madre osserva con brama il movimento. –Grazie, zio Motomori!– 258 Anche gli altri spettatori tirano fuori qualche moneta. Per ultimo, si avvicina il tizio mezzo calvo, mezzo curvo, che è uscito dalla locanda. La ragazzina cieca si volta verso il nuovo suono, con il palmo teso, ma lui le fa: –Quanti anni hai, ragazzina?– –Quattordici.– –Davvero?– –…fra qualche giorno…– –Oh, bene, bene…– La voce di quell’uomo non mi piace. Sento le dita di Kaori che mi affondano nel braccio. La madre si avvicina; nel frattempo, la pioggia sembra farsi meno bat tente. –E dimmi, bambina, sai fare qualcos’altro, oltre a cantare?– Cerco di alzarmi, ma Kaori mi trattiene. Dietro di me, sento il pugno di Jirou scricchiolare sull’elsa di Oborozuki. La ragazzina di nome Mayumi abbassa la mano; sa che da questo stra niero non avrà elemosine. –Sì…– risponde piano. –Oh, bene, bene… e dimmi, quanto costano queste altre cose che sai fare?– La madre, che si è fatta ormai sotto, squadra quell’uomo dalla testa ai piedi, e dopo averlo osservato a lungo, risponde: –Due monete d’argento.– –Rai’ansama…!– mi grida Kaori, ma io sono già saltato fuori dalla finestra. Jirou salta dietro di me. La donna mi guarda con l’aria prima seccata, e mano a mano che mi avvicino, sempre più furente. Il laido mostriciattolo mi lancia giusto un occhiata furtiva e scappa via. La ragazzina si gira verso la fonte di quel fra stuono e abbraccia il suo biwa, Impaurita. Come le siamo di fronte, la megera ci accoglie così: –Ma che vi salta in testa, brutti bestioni! Avete fatto scappare il mio cliente!– Jirou si sporge in avanti, ma io lo trattengo allargando un braccio. Non c’è niente che possa dire a questa donna. Quello che fa mi ripugna, ma so perfettamente che non esiste nessuna istituzione, nessuna legge, nemmeno una sanzione morale che possa opporle. Ripugna Jirou. Ripugna Midori. Ripugna Kaori. E, evidentemente, doveva ripugnare anche gli altri spettatori, dal momento che il vile ha dovuto attendere che se ne fossero andati. 259 Eppure, non c’è niente che io possa dire, o fare. O quasi. –Donna.– le dico col mio tono più perentorio. Finalmente, sembra rendersi conto di avere davanti due guerrieri armati. –Ciò che fai è sbagliato.– Lei scoppia a ridere. Quando finisce mi risponde: –Sempre meno sba gliato che morire di fame, non credi?– –Quella che indossi è seta.– noto. –Beh, devo anche badare all’immagine dei miei affari!– –Davvero? E allora, perché tua figlia è vestita di stracci?– –Taci, impudente! Chi ti credi di essere?– Ho tanta voglia di farglielo spiegare da Hikarisuji. Ma invece sospiro, e mi chino accanto alla ragazzina. Lei si gira verso il suono della mia armatura. –Ciao, piccola, come ti chiami?– –…Mayumi…– –È un bel nome. Senti, Mayumi, devo chiederti un favore…– La megera fa per avvicinarsi, come a pretendere una percentuale sulle mie chiacchiere, ma Jirou si porta la mano alla spada e la sguaina di due pollici. La donna si immobilizza. –…Io sono solo una mendicante… cosa posso fare per un nobile guer riero?– Deve aver sentito il rumore di tutto il metallo che ho addosso. –Vedi, io e i miei compagni stiamo affrontando un lungo viaggio, e que sta pioggia ci ha messi di cattivo umore. –Quando ti abbiamo sentita cantare delle gesta di Takeru… abbiamo sentito il coraggio scorrerci di nuovo roboante nelle vene! –Te la sentiresti di cantare un po’ per noi, Mayumi?– La ragazzina trema dall’eccitazione e arrossisce nonostante l’acqua gelida che le fredda la pelle. –Oh… ma io… ma certo, ne sarei onorata, nobile guerriero, … se vi accontentate del mio volgare canto…– –Non crederete di potervela tenere tutto il giorno per niente?– quasi grida la megera. Mi alzo in piedi, e drizzo la schiena più che posso. La schiaccio con lo sguardo. –Sarai pagata, donna. Torna stasera alla locanda, dopo il tramonto, e avrai più di quanto desideri.– –Ahahaha, io desidero tanto, guerriero! Voglio dieci monete d’argento!– 260 –Ne avrai cinque. Il resto le avrà lei.– e faccio un ampio gesto verso Mayumi. –Come desideri…– si inchina e sogghigna beffarda la megera. –Vieni, Mayumi, appoggiati a me…– le faccio, e la prendo delicata mente per le spalle. Lei spalanca gli occhi bianchi per la sorpresa, mentre la sua mano inizia a esplorare il mio braccio. Ci alziamo insieme; la ragazzina abbraccia il biwa con la sinistra; nella destra ha un pugno di monete di rame lasciate dagli spettatori. Prima ancora che sia del tutto in piedi, la megera scatta verso di lei, anche a costo di finire sotto la pioggia, e le svuota la mano; poi si gira, e si allontana lungo la tettoia contando le monete. Mayumi rimane immobilizzata, le gambe ancora non del tutto distese, la mano, adesso vuota, tremante. Le metto un braccio attorno alle spalle. La sua pelle è gelida. Quasi istintivamente, attivo i radiatori termici. –Ohh…. è uscito il sole?– mi chiede la ragazzina, ma io le rispondo solo: –Sì… è uscito un po’ di sole. Ora vieni, che sei tutta bagnata.– Miracolo (K) –Ma che ti è saltato in testa!– cerco di non gridargli, ma è difficile. –Scusami, Kaori. Ma non potevo lasciare che…– Sospiro. Sì, non poteva. Il mio Rai’ansama non avrebbe mai potuto. Midori sta asciugando i capelli di Mayumi, e Jirou ha acceso il focolare al centro della stanza. Gli stracci bagnati che indossava la ragazzina giac ciono per terra; le abbiamo messo addosso un caldo kimono che ho com prato dal padrone della locanda. –Nobili guerrieri, nobili miko… io, veramente… sono qui per cantare…– –Prima mi fai giocare ancora un po’ con i tuoi capelli!– le risponde Midori, facendola ridere. Prendo Rai’ansama per il braccio e lo allontano ancora un po’. –E adesso, che hai intenzione di fare?– –Beh, il nervo ottico è intatto, e le strutture visive nel cervello sono atrofizzate, ma ancora attive: deve avere perso la vista attorno ai due anni… quindi, se intervengo sui bulbi…– –Rai’ansama, non dirai sul serio?– 261 –Io… io non posso semplicemente girare le spalle e andarmene, Kaori.– Incrocio le braccia e sospiro. –Io… ti capisco, Rai’ansama. Ma … se lo fai, ci sarà molto difficile mantenere questo travestimento.– –Beh, non dobbiamo mica dirlo a nessuno…– –Una ragazzina cieca che tutti conoscono e che riacquista la vista… è il genere di miracolo che non passa inosservato.– –Lo so Kaori, ma … ti ricordi cosa hai detto del mio makoto?– –Sì… ma… che c’entra?– –Beh, io ho fatto un giuramento solenne, di curare chiunque si trovi in difficoltà. Fosse anche un nemico ferito su un campo di battaglia, fosse anche un assassino, ho giurato di curarlo. –Se girassi le spalle a questa ragazzina, infrangerei questo giuramento!– –È un giuramento impegnativo, Rai’ansama…– –Sì, lo è. Ma tu… sai bene… quanto sia importante tenere fede ai giura menti…– Colpita. Non posso guardarlo negli occhi, sento che mi scioglierei come neve in primavera. –Se questo è ciò che Rai’ansama desidra… o deve fare… non posso che accettare la sua volontà.– Rai’ansama mi appoggia piano una mano sulla spalla, e mi sussurra “grazie”. Poi si dirige verso Mayumi. –Nobile guerriero…– lo saluta e sorride nella sua direzione, non appena lo sente vicino. Il volto le si accende. È graziosa, nonostante gli occhi bianchi. Rai’ansama si inginocchia di fronte lei e le accarezza una guancia. Lei cerca il suo braccio con la manina candida, e china il volto, a usare la grande mano di Rai’ansama come un morbido cuscino. Eppure, non riesco ad essere gelosa. –Mayumi, adesso devo farti una domanda importante.– Lei fa una faccina perplessa. –Vorresti… vedere?– –… eh?– –Intendo… vorresti poter vedere il mondo con i tuoi occhi?– –Ma… che dici… nobile guerriero?– Rai’an si avvicina ancora alla ragazzina e la prende per le spalle. –Se ti fosse data la possibilità di guarire i tuoi occhi… di tornare a vedere… tu l’accetteresti?– 262 Non capisco. Non capisco cosa vuole fare Rai’ansama. Perché glielo chiede così? È chiaro che lo vuole, chi non vorrebbe poter guarire? Ma Mayumi sembra confusa. –Io… beh, io credo… di sì ma… non so…– –Mayumi… vorresti vedere… l’arcobaleno? E i fiori di ciliegio, Mayumi, ora sono in fiore, sono bellissimi. Interi monti tinti di rosa, come spennellati da un pittore magico… E la luna? Tra qualche giorno sarà piena… Non vorresti vedere la luna che ti sorride?– –Io… non capisco, nobile guerriero… i fiori, li sento profumare l’aria tutt’intorno a me. L’arcobaleno, lo tocco ogni volta che suono il biwa. E la luna… di notte, quando è davvero buio, e c’è un bagliore, non è quella la luna?– Rai’ansama le accarezza la testa, usurpando il ruolo di Midori per qual che istante. La bambina sembra un gattino bagnato, che sta morendo di freddo, e trova una mano calda a cui affidare, serenamente, ogni speranza. –Hai ragione, piccola. Hai ragione.– La mano di Rai’ansama scende di nuovo sulla guancia di Mayumi. La gattina si lascia coccolare ancora un po’, e io mi scopro a sorridere. Ma la sua espressione, piano piano cambia. Si fa pensierosa. Come se stesse pensando alle parole che ha appena sentito. –Sai, nobile guerriero…– –Dimmi, Mayumi…– –Se ci fosse una magia… che mi facesse vedere… non credo che a me importerebbe molto, ma… ma almeno…– Abbassa il volto, affondando nella mano di Rai’ansama. –…Almeno, mia madre, forse… non … non mi odierebbe così tanto…– Sento uno spillo che si pianta dritto nel mio cuore. Midori è immobile, Jirou si morde il labbro e si gira, Rai’ansama guarda prima Midori e poi si volta verso di me. Mi sta chiedendo se lo può fare. Il gattino trema fra le nostre mani. Annuisco. Rai’ansama prende un profondo respiro, e dice piano: –Mayumi… io… posso fare questa magia.– –…non … non è una bugia?– –No, non lo è. Se me lo chiedi… la farò.– 263 –Io…– Mayumi afferra il braccio di Rai’ansama con entrambe le manine bianche. Lo tocca scivolando lungo la sua spalla, sul suo petto, sale sul collo, e poi sul volto. Lo prende fra le mani, fa un risolino quando sente pungere la barba dorata, affonda le sue dita nelle guance e poi accarezza il naso, la fronte, le sopracciglia. –Sei… strano… Non ho mai sentito un volto come il tuo…– –I maghi devono essere un po’ strani, sennò che maghi sono?– La ragazzina ride. –Vorrei… sì… io … un volto strano come il tuo… vorrei proprio vederlo…– Imparare a vedere (M) Ho guardato finché sono riuscita, ma quando le cose che Rai’an tira fuori dalle braccia si sono infilate negli occhi di Mayumi, ho sentito che stavo per vomitare. Ora Mayumi dorme, immobile come una statua, sollevata a due braccia da terra; un “campo di stasi”, ha detto Rai’an. E mi sono chiesta, se è un campo, chi lo coltiva? –Che ne dite?– Ci chiede. Kaori si avvicina; Rai’an tiene appesa Mayumi nell’aria come una marionetta tirata con fili invisibili; le sue mani sono aperte come grandi ventagli, e brillano di una luce gialla, densa, che sembra avvolgere il corpo immobile della mia sorellina. Essì, ha giusto qualche anno meno di me. Ma sembra molto più piccola. Forse, perché è così magra. E minuta. Kaori si porta le mani alla bocca per la sorpresa; poi fa per avvicinare una mano al volto di Mayumi, ma Rai’an la ferma: –No, non sfiorare la luce gialla. Non è una buona idea.– Si avvicina anche il fantasma. Cioè, Hikari. –È molto bella.– commenta, annuendo forte. Ah sì? Voglio proprio vedere. Mi avvicino, quatta quatta… Ha gli occhi aperti, anzi, spalancati, che guardano fisso il soffitto, immobili. Ma sono due bellissimi, profondi, intensi occhi neri. –Oooh…– approvo. Jirou resta seduto lontano. Ora che ci penso, mi è sembrato che anche lui fosse impallidito quando aveva visto cosa stava facendo Rai’an. –Bene. Spegnete tutte le lanterne, tranne una. E copritela con un telo.– Io e Kaori facciamo come dice. –Hikari, anche tu… nasconditi.– 264 Lei sospira, quasi sbuffa. –Farò come mi ordini…– e svanisce. Il corpo di Mayumi inizia a scendere lentamente verso il pavimento. Quando si posa sul tatami, la luce gialla che usciva dalle mani di Rai’an svanisce, e la stanza piomba nel buio, rotto solo dalla luce che filtra dagli scuri e dalla lanterna coperta. –Mayumi…– chiama piano Rai’an. La sorellina sbatte le palpebre e comincia a respirare; solleva la mano e cerca nell’aria. Quando non trova nulla, chiama: –Nobile guerriero, dove sei?– Rai’an si inginocchia accanto a lei e la prende per mano. –Sono qui.– –Nobile guerriero, che cos’è questa cosa…?– dice, allarmata, e si copre gli occhi con le mani. –Sono i tuoi occhi, Mayumi. Stanno iniziando a vedere.– –Io… io ho paura!– Eh? Paura? E di cosa… Non certo del buio, deve aver vagato nel buio per tutta la vita… –Adesso, Mayumi, ti faremo vedere un po’ di luce. All’inizio sarà diffi cile.– Con la mano libera, Rai’an accarezza Mayumi sulla guancia. –Midori, per favore, scopri la lanterna.– –Subito.– Mi alzo e sollevo il panno; la stanza si rischiara appena. Mayumi miagola spaventata, e si aggrappa con le mani alle braccia di Rai’an. –Tranquilla, è tutto a posto…– gli dice lui, con quella voce che potrebbe sgelare l’Hokkaidou d’inverno. –Perché… nobile guerriero, perché è così?– –È normale, Mayumi: come i bambini in fasce cercano di stare in piedi, e cadono molte volte, prima di riuscire a camminare, così tu devi imparare a vedere.– –Imparare… a vedere?– –Sì, è come… come… ecco, è come una nuova canzone. All’inizio, fai fatica a mettere suoni, movimenti delle dita e canto insieme; prima provi a cantare, poi a suonare qualche nota, finché non va tutto al suo posto, quasi da solo. E mano a mano che lo fai, diviene sempre più naturale. 265 –Adesso, questa nuova sensazione che provi, è come una nuova can zone. All’inizio non capisci bene come si fa, ma, piano piano, metti insieme il canto, le note, i colpi sulle corde e i movimenti delle dita. –Alla fine, diventa tutt’uno con te. E questo succederà anche con i tuoi occhi.– Mayumi sembra calmarsi. Ora non trema più. Ma non lascia il braccio di Rai’an. –Dici davvero?– –Sì.– le sorride, e le accarezza una guancia. Il volto di Mayumi si tuffa in quella grande mano. Mi avvicino. –Mayumichan…– –Nobile miko… sei… come si dice… che cos’è questo…– –Ah, vuoi dire che sono bellissima!– Mayumi scoppia a ridere. Mentre ancora singhiozza, le prendo con dol cezza una mano e la poso sul mio volto. –Ecco, prova a guardarmi con le mani. Gira la testa verso di me e tieni aperti gli occhi; così imparerai a vedermi!– Rai’an mi guarda sgranando gli occhi: –È una… ottima idea… come ti è venuta?– –Oh, beh, ho ripensato a quelle luci nel mio cervello. Muovevo il brac cio e si muovevano le luci, ed ho capito come fare a muovere le luci dove volevo, semplicemente muovendo il braccio! Se lei vede il suo braccio muoversi, e sente il mio volto con le mani, mentre lo vede con gli occhi… beh, dovrebbe essere quasi la stessa cosa!– –Kaori!– Rai’an si gira verso di lei, –dimmi un po’; ma al santuario di Koumon, le miko le scegliete tutte così intelligenti, o è un caso?– –No, Midori è un caso speciale.– si china su di me, rivolgendomi quel suo mezzo sorriso che mi fa tremare. E poi: –Lei l’abbiamo scelta perché ha la lingua più tagliente di tutto il Giap pone!– E mi tira uno scappellotto. –Ahi!– È la sua vendetta per aver preso un complimento dal suo kamii perso nale… Ma l’importante è che Mayumi ride felice, e mi accarezza le guance. 266 Gli occhi del cuore (R) Mayumi abbraccia il suo biwa e canta. Noi le stiamo davanti, rapiti dalla sua voce. Accanto a me, Kaori ha entrambe le mani sulla bocca, in quel suo gesto che esprime emozione e sorpresa. Midori canticchia seguendo la melodia. Jirou ascolta immobile come una statua di sale. Mayumi tiene gli occhi chiusi. Non è come essere ciechi; gli occhi con tinuano a mandarle segnali anche se le palpebre sono calate, e questo la distrae, è evidente. Ma è sempre meglio che vedere. D’improvviso, il fusuma si spalanca. Mayumi lascia l’acuto a metà. –È il tramonto. Mayumi, vieni, qui abbiamo finito.– La voce gracchiante della megera mi fa l’effetto di una forchetta sul piatto. –Madre…– La saluta sorridente la ragazzina. –Ti devo dire una cosa…– Mayumi posa il biwa con delicatezza e si alza lentamente. La stanza è poco illuminata, ma il suo profilo si distingue bene. Piano, adagio, la bambina solleva le palpebre, assieme al suo sorriso. –Ma che cosa… che cosa è successo ai tuoi occhi!– La megera è sorpresa certo… ma non felice. –Madre… io… io ti vedo!– No, non la vede. Non ancora. Infatti, il suo sguardo non punta al volto che ha di fronte, è solo girato nella direzione da cui proviene la voce. Lei vede solo una macchia di colore a cui non sa dare un senso, ma… sa che quella macchia deve essere sua madre. L’espressione della megera passa dalla sorpresa, al terrore, per poi cadere nella rabbia. Mi dico che è una fortuna che Mayumi, in realtà, non sappia cosa sta vedendo, perché la smorfia della donna che ho di fronte è disgustosa. E Mayumi le offre il suo sorriso più innocente. –Che… che cosa avete fatto!– grida la megera. L’odio nella voce… quello, Mayumi lo riconosce. Il suo volto si spegne. Il suo sorriso muore, insieme a un po’ di lei. –Madre…– –L’avete rovinata! Adesso non potrà più medicare!– Questa donna è pazza. O malvagia. O entrambe. Mi alzo in piedi. Mayumi ondeggia sotto quelle parole. –Madre…– –Chi… chi ha fatto questo!– 267 Mi metto fra lei e sua figlia. –Io. Sono stato io, donna.– –Devi risarcirmi! Devi pagare il danno che mi hai fatto! E quella moc ciosa, ora, rovinata com’è, te la tieni tu!– Penso alla missione. Penso a tornare a casa, a New Rome su Marte… penso a qualsiasi cosa che non siano le mie mani attorno al collo di quella strega. –Senti, donna… tutto quello che ti devo è ciò che abbiamo pattuito.– –Lo vedremo! Ma ora, dammi le mie dieci monete d’argento!– –Oh… giusto…–, la guardo con disprezzo, –dieci monete… Kaori, – mi giro verso di lei, –prendi dieci monete d’argento.– Lei toglie la mano da sotto le pieghe dello shiroi, dove tiene il coltello, e si dirige al suo bagaglio. Non ricordo quante monete d’argento abbiamo, e non so cosa abbia speso per le armature e la locanda, ma non devono esserne rimaste molte più di dieci. E sono tutte frutto del lavoro di Kaori e Midori. Darle a questa donna è un sacrilegio, ma sono costretto a tenere fede alle mie parole. Mi mette le monete in mano, tenendo lo sguardo basso. –Ecco, donna, – le faccio, –come avevamo pattuito.– Una, due, tre, quattro e … cinque monete tintinnano nelle sue mani aperte. Lei mi guarda come a chiedere perché non cadono anche le altre, ma io mi volto verso Mayumi e prendo la sua mano. –Cinque a te, e cinque a lei.– –…maledetto… me la pagherai, mi pagherai tutto!– E dicendo così, furiosa, esce dalla stanza, e dalla locanda. Sto ancora tenendo la mano della bimba. Trema. La sento perdere tono. Cede. Riesco a reggerla, e a impedire che cada sul pavimento, mentre perde i sensi. Mayumi… perdonami. Non averei mai creduto che… vorrei dirle, ma lei non può sentirmi. Le inietto uno stimolante per farla rinvenire. Gli altri sono attorno a me, mi premono sulle spalle. –Midori… aiutami.– –Sì, Rai’an, cosa devo fare?– –Tienile un attimo la testa sollevata, appena appena. Meno di un cuscino. Jirou, sollevale le gambe.– –Ho!– 268 Mi allontano. Kaori è dietro di me, mi afferra il braccio e la spalla. Non mi giro a guardarla. Non potrei. –Kaori… che ho fatto? Che cosa ho fatto!– Mayumi, lentamente, riprende conoscenza. Ma non ce la faccio a guar darla adesso. Preferisco girarmi verso Kaori. –Kaori… non avrei mai creduto che…– Lei mi guarda senza parlare. C’è una nota di rimprovero nel suo sguardo. Aveva cercato di fermarmi. Aveva cercato di trattenermi, prima che saltassi dalla finestra. Non le ho dato retta. Ho fatto di testa mia. Sospiro. –Kaori… tirami uno schiaffo.– –…Rai’ansama?– –Ho agito d’impulso. Non ho pensato alle conseguenze delle mie azioni. Proprio come Midori, non ti ho dato retta… Sono stato… uno stup…– La sua mano disegna un ampio cerchio nell’aria, e si abbatte con vio lenza, ma non mi colpisce; a meno di un dito dalla mia faccia, il sistema di difesa genera un campo di gravitoni che la respingono con la stessa forza che ha usato lei. Il braccio si allontana tanto velocemente che le sfugge un grido soffocato di dolore. –Scusa! Scusa Kaori, mi ero dimenticato… mi ero scordato di disatti vare lo scudo…– Gli occhi le tremano di rabbia. –Ecco, scusa ancora… ora ho disattivato lo scu…– Non finisco la parola. Mi sembra che l’occhio della guancia dove mi colpisce voglia schizzare fuori dall’orbita; è come se la faccia mi fosse caduta in una pentola di olio bollente, o sui carboni ardenti. È il mio turno di strozzare un grido. Ho fatto a cazzotti un po’ di volte nella vita; ne ho date e prese. Ma un cazzotto non è così: è un dolore più sordo, più lungo, arriva dopo, intonti sce. Il ceffone di Kaori brucia. Brucia da morire. Sento qualcosa dietro al collo. Sono le sue dita. Un tocco delicato; ma la delicatezza dura poco. Subito, mi tira giù con forza. Mi chino, e lei si alza sulle punte dei piedi per sussurrarmi all’orecchio: –Hai salvato questa ragazza due volte. Ecco cosa hai fatto, sciocco.– 269 Nasce una miko (K) E poi, a dirla tutta, sono stata io a dirgli di farlo. Ma questo, non glielo dico. Lascio che la mano scivoli sul suo collo, e sento i brividi salirgli sulla spina dorsale, mentre poso le suole sul tatami. Lo lascio lì, a massaggiarsi la guancia, e mi chino su Mayumi. Le prendo la mano. –Nobile miko… che cosa è successo…?– Cerco di consolarla. No, non è stato un brutto sogno, piccola Mayumi, era tutto vero. È tutto vero. Sono contenta che quella strega se ne sia andata così in fretta. Ancora un po’ e l’avrei sgozzata. Sarebbe stato un guaio: avremmo dovuto pagare la sostituzione del tatami macchiato di sangue. Mayumi si rannicchia, sdraiata per terra, e mi abbraccia le gambe; poi inizia a piangere. Rai’ansama, da qualche parte nel mio campo visivo, sbianca, e si siede pesantemente. Il suono attira l’attenzione di Mayumi. –Sei… sei tu, nobile guerriero?– –Sì… sono io… il mio nome è Ryan.– –Rai’an…san?– Sorrido… nessuno può pronunciare i suoni del nome di Rai’ansama così come escono dalla sua bocca. Anzi… ricordo che Douzen ci è riuscito, o quasi… ma i monaci giocano sporco: con tutti quei bonboroboroba dei loro sutra, che ripetono fino allo sfinimento… possono imparare a dire qualsiasi cosa. Rai’ansama rimane immobile. Mayumi si mette seduta nella sua direzione, e poi si inchina profonda mente, toccando il tatami con la fronte. Parla con voce ancora rotta dal pianto. –Rai’ansan, ti sono profondamente riconoscente.– Jirou scatta: –Rai’ansama!– –Jirou!– lo sgrido. Lui mi guarda sorpreso… proprio io che riprendo sempre Midori… ma Mayumi che singhiozza e trema col volto a terra è ben diversa da Midori, che fa finta di dimenticarselo apposta, come atto di ribellione, o per scherno. Mayumi ripete: –Rai’an… sama… ti sono profondamente riconoscente.– –Io… – balbetta qualcosa Rai’ansama… 270 Devo prendere in mano la situazione. In fondo, è anche una mia respon sabilità: sia perché ho annuito quando Rai’ansama mi ha consultata per l’ultima volta, sia perché è mio dovere proteggere Rai’ansama. Da qual siasi cosa. Anche da un rimorso doloroso come questo. –Mayumi, cosa hai intenzione di fare, adesso?– Lei si alza seduta, e si gira verso di me. –…eh?– –Dico, cosa intendi fare, adesso che non sarai più insieme a quella donna?– –… io… intendi mia madre?– –Sì, intendo proprio quella donna.– –Oh… beh… io… continuerò a cantare…– –Certo ma… hai un posto dove andare?– Mayumi non risponde. –Mayumi, che ne diresti di diventare una miko?– –Eh? Io? Una miko!?– –Sì. Con la tua abilità nel canto, faresti la fortuna di qualsiasi santuario. La gente verrebbe ai matsuri anche solo per sentirti cantare.– –Ma le miko non ballano?– –Oh, sì, ma se sanno anche cantare non guasta affatto. Anzi. È che una voce come la tua è cosa rara. –Noi stiamo andando a Ise. Fra un paio di giorni saremo a Mitsue… è un grazioso paesino fra le montagne di Uda.– –Oh, ci sono stata! Il profumo dei boschi… l’aria buona, leggera…– –Sì, – rido, –è proprio quello. Il kannushi del santuario di Mitsue mi deve un favore… Se ti va, posso chiedergli di prenderti come miko.– –Io… non sono degna di tanto onore…– –Mayumi, sai qual’è la cosa più importante per una miko?– –Non saprei… danzare le danze sacre o… forse… scacciare gli spiriti maligni?– –Sono cose importanti, certo, ma la cosa più importante…– guardo Midori intensamente, che sostiene il mio sguardo con fermezza, –è saper muovere il cuore della gente. E, credimi, Mayumi, tu sei molto brava in questo.– Mayumi non si rende conto di quanto potere abbia il suo canto. Lei canta solo per se, perché è felice di farlo. Canta come l’allodola: non sa quello che fa, non sa quanto ciò che fa rapisca i cuori delle creature che l’ascoltano. E non canta per questo. Canta solo per il piacere della sua stessa anima. È questo che rende quel canto così meraviglioso. 271 –Mayumi,– continuo, con l’intenzione di rompere la sua ultima resi stenza, –Il mio makoto mi impone di essere completamente sincera con te.– Mi fermo, e attendo che le mie parole assumano tutto il peso del loro significato. –Non ti sto offrendo un aiuto. Le tue capacità sono molto preziose. Met terle al servizio dei kamii sarà, per me, motivo di orgoglio, e sarà fonte di prestigio per tutte noi miko. –Quindi, la mia non è un’offerta disinteressata. Non hai posto dove andare, certo, ma hai già un mestiere che ti può dare di che vivere, e il posto dove andare lo troverai presto. Quindi, sono io che ti sto chiedendo un favore: sii miko, metti le tue doti al servizio dei kamii, e te ne sarò rico noscente. Te ne saranno tutti riconoscenti.– Mayumi sorride, e il suo sorriso innocente si allarga fra le lacrime che le scendono sulle guance. Poi china la testa e mi risponde piano. –Fusai de yokereba…– Vergine sacra (R) Fusai de yokereba… un’espressione intraducibile che significa più o meno “se quell’incapace che sono io può andare bene, se siete contenti che sia fatto da me, che sono così inetta…” Non immaginavo che fosse così antica, che fosse usata persino in quest’epoca. Beh, in tempi più recenti, i Giapponesi usavano pronomi moderni come “watakushi” o “atashi” al posto di “Fusai”. “Fusai”, lette ralmente “privo di talento”, usato come pronome personale per indicare sé stessi ha resistito fino all’epoca di Edo, attorno agli inizi del 1600. Come antropologo, sentire un’espressione come questa usata dal vivo è una gioia che vale una vita di lavoro. Una gioia che mi fa quasi dimenticare il senso di colpa che sto pro vando. Dovrei concentrarmi sulla mia missione: quella è la mia priorità. Una priorità che scavalca anche il giuramento di Ippocrate? Me lo chiedo, ma non so darmi una risposta. Anche se ho scelto la carriera di bioantropo logo, e quindi di ricercatore, resto sempre un medico. Resto sempre vinco lato al giuramento, un giuramento che ha guidato anche la mia scelta di lavorare come ricercatore: il lavoro del medico è importante, poiché può salvare molte vite con le sue mani, ma il ricercatore è colui che dà a migliaia, milioni di medici gli strumenti per farlo. 272 È il giuramento che mi ha dato … il coraggio … di mettere la mia vita a disposizione per questa missione. “In qualsiasi casa andrò, io vi entrerò per il sollievo dei malati”. Questo ho giurato. Ma se fallisco la missione… non ci sarà più nessun malato da curare. Non ci sarà più nessuna casa in cui andare. Ho giocato a fare il dio e ho combinato un disastro. Se non ci fosse stata Kaori, questa povera ragazza sarebbe finita in mezzo a una strada. Stasera, avrebbe dormito sotto la pioggia. Avrebbe riavuto i suoi occhi, certo, ma avrebbe visto solo miseria, e probabilmente sarebbe morta di stenti in pochi giorni. Cerco di pensare “meglio che far vendere il proprio corpo dalla propria madre”, ma non riesco a convincere nemmeno me stesso. Mi avvicino a Kaori. Ha sistemato il pasticcio che ho combinato. La ringrazio con lo sguardo. Lei capisce, e mi sorride. “Non è niente…” leggo nei suoi occhi. –Allora, è deciso, – fa lei, rivolta un po’ a Mayumi e un po’ a tutti noi, – verrai con noi a Mitsue e lì chiederemo a Fuyutsukisama di accettare i tuoi servigi come miko del santuario.– Mayumi annuisce. D’improvviso, la contraddizione mi colpisce. Non so perché emerge fra i miei pensieri un dettaglio all’apparenza così insignificante, rispetto alla dimensione di questo dramma, ma la mente è così: non si cura delle cose di cui ci curiamo noi. Fa un po’ di testa sua. Le miko non dovrebbero essere vergini? Attendo qualche minuto, mentre Kaori impartisce molte raccomanda zioni a Mayumi su come prepararsi, e poi la chiamo con un gesto. Ci allon taniamo, e quando Midori inizia a chiacchierare con Mayumi, chiedo a Kaori, con un filo di voce: –Kaori… scusa la domanda che sto per farti, ma… non vorrei che per rimediare a un mio errore tu fossi costretta a… ecco… a contravvenire ai tuoi principi…– –Rai’ansama non ha commesso alcun errore.– risponde lei, perentoria e formale. –Ha fatto ciò che riteneva giusto, e che il suo giuramento gli ha imposto. Non c’è peccato in questo. –Anzi, – continua, –ciò che ho detto prima è assolutamente vero. Mayumi sarà una grande miko, e tanto io personalmente, quanto il santua rio di Mitsue, ne trarremo numerosi vantaggi.– –Sì… va bene… ma ecco… quello che volevo chiederti è… io… dun que…– –Rai’ansama, con me puoi, anzi, DEVI parlare liberamente. Devi par lare con magokoro, come io ho parlato a te ieri notte.– 273 Sento il mio volto avvampare. La sua dichiarazione. Ripensarla, bagnata dalla luce della luna, regina, dea… –Rai’ansama?– mi esorta. –Oh, sì, ecco… scusa. Volevo chiederti… le miko, non dovrebbero essere… vergini?– –Certo!– risponde semplicemente lei. Rimango un momento interdetto. –Mayumi…– cerco di dire, ma lei prosegue tranquillamente. –È vergine.– –Uhm… no, non credo proprio… insomma…– –Ti sembra che abbia figli?– Un momento… credo di capire. È probabile che il senso della parola otome sia cambiato nel tempo; ha sempre voluto dire “fanciulla”, “giovane donna non maritata”, e per estensione “vergine”. Ma può darsi che il signi ficato “vergine” sia emerso in un secondo tempo. Semplicemente, la cul tura del Giappone antico non aveva nessuna sanzione morale nei confronti della sessualità, almeno fino a quando il Buddismo non divenne larga mente diffuso anche fra i ceti più popolari. Esistono termini che distin guono uomini e donne in base all’età e allo stato maritale, ma non c’è trac cia di un vocabolo specifico per distinguere una donna, o anche un uomo, in base al fatto di avere avuto un rapporto sessuale o meno, almeno non fino a tempi assai più recenti, tanto che si è sentito il bisogno di coniare nuovi termini, come kimusume, o di importarli da altre lingue come nel caso di baajin (virgin, la parola inglese traslitterata nei fonemi giapponesi). Kaori mi guarda con aria interrogativa. –Oh… Kaori, ho capito… è come quando vi ho detto che vi avrei scal dati io…– –Ahhhhh… capisco…– mi sorride lei con aria furba. –Sì, ecco… alcune parole hanno un senso un po’ diverso da quello che è giunto fino a noi.– –Dunque… Rai’ansama pensava forse che a una miko fosse vietato giacere con gli uomini?– –Beh, c’è stato un periodo in cui…– ma non finisco la frase: sono inter rotto dalla sua risata cristallina. –Se fosse così, non ci sarebbero più miko! No, quello a cui siamo tenute è dedicare la nostra vita ai kamii. Quindi non possiamo prendere marito, né avere figli a cui dedicare parte della nostra attenzione. Dobbiamo fare una 274 scelta: assumerci la responsabilità di gestire una famiglia, o occuparci dei kamii. È una scelta libera, e possiamo cambiare idea in qualunque momento.– Assumere la responsabilità di gestire una famiglia… detto da una donna nell’anno mille. Ho i brividi a fior di pelle. Calabroni (M) E siamo di nuovo in cammino! Rai’an e Kaori davanti, Jirou dietro, Mayumi ed io in mezzo. Per essere precisi, sto tenendo Mayumi per mano. Per essere ancora più precisi, Mayumi è avvinghiata al mio braccio come l’edera si avvinghia agli alberi. Mi fa quasi tenerezza; sembra spaventata da qualsiasi cosa. Ogni minimo rumore la fa trasalire, ma più che il rumore, è il movimento che sembra farle paura. Se una ventata passa fra gli alberi, e le capita di avere gli occhi girati verso le fronde, mi abbraccia tutta tremante e affonda la faccia nel mio seno. Su ordine di Kaori, Mayumi ha tenuto gli occhi chiusi e non ha parlato con nessuno finché non siamo usciti dalla città di Uda. Tranne una volta; uno di quei tizi che ieri l’avevano ascoltata sotto la pioggia l’ha salutata, e le ha chiesto dove andava. Lo “zio Motomori”… deve esserle affezionato. –Ooooi, Mayumi, dove te ne vai?– –Vado a fare un pellegrinaggio con queste gentili miko.– aveva risposto, così come Kaori le aveva detto di fare. –Oh, e quando torni?– –Mah, presto, zio!– –Bene, allora fai buon viaggio, bambina mia!– –Sì, grazie. Addio, zio!– –…Addio…– L’addio, forse, suonava un po’ troppo definitivo… ma in effetti può darsi che non torni al villaggio per molto tempo. Non che fare la miko sia come chiudersi in un monastero, come capita a certe nobili… è che gli impegni sono così tanti… da quant’è che non vedo papà e mamma? Uhm… saranno sei mesi? Una folata di vento freddo scende dal fianco dei monti a nord. Mayumi mi stringe il braccio tanto da farmi quasi male. 275 Stamattina era sereno, ma mano a mano che procediamo sulla monta gna, il tempo si va guastando; prima erano nuvole bianche che puntella vano il cielo, adesso le nubi sono più dense e più nere. Anche Kaori sem bra preoccupata. Ho paura che prima di sera tornerà a piovere. E ci bagne remo come pulcini. E non possiamo neanche allungare troppo il passo. Io mi sono quasi abi tuata al passo di Kaori, ma Mayumi… la sento, è già spossata. E il mattino non s’è ancora sciolto nel sole di mezzogiorno. Ci fermiamo a mangiare sul ciglio della strada, vicino ad un sacrario, nei pressi di una curva dove la strada si fa larga, e passa di fianco ad una cascatella dalla quale possiamo bere. Mayumi sembra iniziare a capire come usare i suoi occhi: ancora, tasta l’aria per trovare la pietra dove le ho detto di sedersi, ma le sue mani si muovono sicure nella direzione giusta. Cerco di immaginare tutte quelle luci nel suo cervello che si accendono. Cosa darei per avere le macchine di Rai’an e poterle vedere ora! –Sei stanca, Mayumichan?– le chiedo, protettiva. –No, sto bene, nobile miko.– dice lei, con la bocca piena di un dolcetto di riso, senza guardarmi. Le giro delicatamente il volto nella mia direzione e le sorrido. –Puoi chiamarmi Midori.– –Non sono degna di tanto onore…– –Eddai, che mi fai sentire vecchia come Kaorisan!– Da dietro la nuca, sento uno sguardo affilato pungermi il collo. Ma Mayumi ride. Che carina! –Se proprio inisiti… Midorinoneesan?– Sorellona! Mi ha chiamato sorellona! Ohhh… la adoro! Me la abbrac cio forte forte e rido. –Eccomi!– le rispondo. Jirou si avvicina, con in mano due arancini di riso. –Midorisan, Mayumichan, mangiate anche questo.– Mayumi si libera dal mio abbraccio, si gira verso di lui e gli risponde: – Ma io, veramente… sono sazia…– –Con un dolcetto? Dai, Mayumichan, hai camminato tutto il giorno. Se non mangi, come fai a camminare… non vorrai mica che ti porti in spalla fino a Soni?– le sorride Jirou. Quant’è bello, quando sorride… Un momento. Jirou?! Quel Jirou?!?! Il MIO Jirou?!?!?!?! 276 Non l’ho mai, dico, mai (o quasi mai) visto sorridere prima. E mai (pro prio mai) a ME! –Su, Mayumichan, fallo per me. Mangia anche questo.– –Va bene, nobile guerriero… allora grazie…– risponde la mia sorellina, allungando la mano in cerca dell’arancino; ma la direzione è un po’ sba gliata, e per correggersi, prova ad usare anche l’altra… alla fine, dopo aver brancolato un po’, entrambe le sue mani abbracciano la grande mano di Jirou… e lei… arrossisce. Cioè, dico… arrossisce!! –Grazie…– gli fa Mayumi, arrossendo ancora di più, mentre si porta l’arancino alla bocca. E il procione? Le sorride ancora di più e le scompi glia i capelli con una carezza! – Cioè, dico… con una carezza!!! Mi alzo e vado a raggiungere Rai’an e Kaori che mangiano l’arancino fianco a fianco su una grossa pietra; quasi si sfiorano. Li troverei teneri, se non fossi così infuriata. –Rai’an…– lo chiamo con voce musicale. Kaori sta per riprendermi, ma qualcosa nel mio sorriso la fa desistere. –Dimmi, Midori…– –Ti è costata tanta fatica guarire gli occhi di Mayumi?– gli chiedo a voce bassa. –Uh, beh, no, non tanta… giusto un po’ di tempo.– –Oh bene, bene… questo mi solleva…– –Ti… solleva?– chiede, e poi si porta la borraccia alla bocca. Mi avvicino, tanto che solo lui, e forse anche Kaori, possano sentirmi. –Sì, vedi… se guarda ancora una volta Jirou in quel modo, quei begli occhioni neri, mi sa che glieli cavo!– Kaori tossisce cercando di buttare giù il riso che le è andato per tra verso, e Rai’an sputa tutta l’acqua che aveva in bocca per terra, e poi si mette a ridere tenendosi la pancia. Il pomeriggio passa in fretta, con le nubi che si fanno sempre più dense, e i pochi viandanti, più che altro pellegrini, ci incrociano scambiando appena un saluto. Scollinando, iniziamo a scendere nella vallata del cuore del Regno di Uda, che si allarga passo dopo passo davanti ai nostri occhi. La strada, prima stretta e opprimente, adesso si accosta ad un pendio che sale più dolce, e ci mostra, sulla destra, altri campi che si aprono sempre più larghi, e la discesa è sempre meno ripida, fino a che ad un certo punto, ci accor giamo di camminare come abbracciati, coccolati da una terra amica. 277 Ma le nubi che sorvolano svelte sulla nostra testa si insinuano sulle sommità silenziose, quasi le sentiamo scendere, o salire, non so, dalle selve dense che tengono ben diviso il mondo degli uomini, pacifico ma inerme, sul fondo della valle, dal mondo degli Oni, minaccioso e guardingo, rinta nato nei suoi bastioni di legno e verde, che immagino, nessuno ha mai osato sfidare. È ancora giorno quando arriviamo a Soni, ma la luce ovattata che filtra dalle nuvole scure rende tutto cupo. Mayumi stringe la mia mano; si guarda intorno tremando, e mi chiede: –È questo… questo è quello che dicono “un giorno di pioggia”?– –Sì…– –Fa… paura…– –…Sì.– Lontano, un lampo rischiara il cielo. Mayumi grida prima ancora che arrivi il tuono, non appena la luce colpisce i suoi occhi. Ecco le prime case, dopo tanto, e un tempio. Kaori si ferma un attimo e annuncia: –È Yamagasu, la parte di Soni che si estende sulla strada per Ise. –Pensavo di andare giù a Soni e trovare un ostello, o addirittura, visto che abbiamo fatto presto, tirare fino a Mitsue, ma con questo tempo… meglio chiedere ospitalità al tempio di Kasuga. Anche se avrei preferito…– Ma la frase è interrotta da un grido che arriva proprio da sopra di noi: – Aiuto! Aiuto!– Giro la testa; un giovane uomo, un contadino, su fra le foglie di tè, abbarbicate alle pendici del monte che la strada costeggia, sembra cercare di sollevare qualcosa, un peso che riesce appena a trascinare. Dai campi vicini, accorrono un uomo e un ragazzo, e finalmente riescono spostare il corpo di un anziano, scendendo a valle, verso la strada, a qualche passo da noi. Jirou ci sorpassa e corre verso il gruppo, e Rai’an gli si affianca subito. –Che succede?– mi chiede Mayumi. Non rispondo, ma allungo il passo assieme a Kaori. –Nonno, nonno!– chiama fra le lacrime il ragazzo che per primo aveva chiesto aiuto. Il vecchio è sdraiato per terra, il volto rugoso contorto in una smorfia di dolore, il torso nudo e scuro di chi lavora nei campi, ma una spalla è gonfia come un pugno, e viola. 278 –Tsubamebachi!– dice uno dei due soccorritori. Gli altri guardano in giro; anche Kaori, allarmata, cerca i segni dei calabroni, lunghi come un dito, che aggrediscono chiunque si avvicini al loro nido, e dopo averlo punto, lo inseguono per finirlo. Anche se, quasi sempre, una sola puntura è abbastanza. Mentre tutti cercano intorno, intravedo con la coda dell’occhio Rai’an, furtivo, tirare fuori una di quelle cose che gli escono dal braccio, e toccare la spalla del vecchio, poco sopra la puntura; è la stessa cosa che mi ha fatto passare il dolore alle gambe qualche giorno fa. Il volto del vecchio si rilassa, la smorfia contratta si distende. –Midori!– grida Mayumi, e punta il braccio e il dito verso il campo di tè. Dicono che i ciechi vedono con le orecchie, e lei deve aver sentito il ronzio del calabrone che si avvicina. Affilo gli occhi verso quella dire zione, e d’improvviso lo vedo, a dieci passi, tuffarsi su di noi! D’istinto, sollevo il braccio destro, come per difendermi, ma vedo il gio iello di Rai’an. Il calabrone è ormai a un paio di passi, forse meno, i conta dini cadono spaventati, Mayumi trema e grida … Oh, gioiello, non so se posso parlarti, ma se mi senti, questo è il momento di aiutarmi. Immagino il mio braccio arrivare fino agli alberi, e oltre, fino alla punta del monte sopra di noi. Il gioiello brilla, l’aria davanti a me ondeggia come la superficie di un lago, la sento muoversi attorno, dentro di me. È come se il mio stesso braccio si sciogliesse e diventasse acqua, quell’acqua mi che riluce davanti. Il calabrone cade a terra, immobile. –Midori!– mi chiama Rai’an, allarmato, e corre verso di me. Come arriva vicino, schiaccia col piede l’insetto, che proprio in quel momento, stava cercando di rimettersi in piedi. Non so perché, ma mi sento debole. Forse per la paura di vedere quel pungiglione puntato dritto verso di me; o verso Mayumi, poco importa. Ma no… è diverso… mi sento così pesante… è tutto così buio… Il tempio di Kasuga (R) Midori ha usato in un sol colpo tutta l’energia dello scudo deflettore. Il campo di gravitoni che si è trovata davanti, e il movimento stesso dell’energia fra l’anello conduttore e il generatore di campo, hanno provo cato un’onda elettromagnetica che l’ha stordita. Non era certo il modo migliore di usare lo scudo, ma quello era l’unico modo che lei conoscesse. Ora dorme, sdraiata su una stuoia sul pavimento di una stanza del tem pio di Kasuga. 279 Mayumi la veglia, accarezzandole i capelli. Jirou l’osserva immobile, seduto in un angolo della stanza; ogni tanto, distoglie gli occhi dal volto della ragazza solo per guardare il generatore che avvolge il suo braccio. Poi, torna a guardare il volto pallido di Midori. Kaori è uscita per parlare col kannushi, assieme ai contadini che erano con noi; per loro, l’onda di luce distorta davanti a Midori era uno spirito da lei evocato, a difesa della sua giovane protetta. Beh, è quasi vero. Comun que, Kaori avrà molto da spiegare, e non ho voglia di provare a immagi nare cosa potrà dire senza dover … lordare il suo makoto, come dice lei. Il rumore della pioggia scrosciante batte sulle tegole di terra cotta che coprono le nostre teste, un suono minaccioso e rassicurante al tempo stesso. È la prima volta in vita mia che sono immerso in un suono tanto naturale, eppure tanto alieno, protetto da un guscio così sicuro, eppure così fragile. Che strano. In una stazione spaziale, o in una istallazione fra quelle più remote sul suolo di Marte, si ha sempre la consapevolezza che solo un sottile foglio di metallo ci separa dal freddo, dal vuoto, dalla morte. Se anche questo tetto dovesse volare via, la cosa peggiore che potrebbe succe dermi sarebbe quella di finire bagnato fino al midollo. E invece… chissà, forse è per questo suono, così ritmico, così ipnotico… che in una parte remota della mia anima si agita la paura, la sensazione che l’universo sia tutto qui, fra questi pannelli di legno, e che se osassi uscire, o anche solo guardare fuori, sarei risucchiato in un vuoto più profondo di quello dello spazio siderale. Da quando siamo rimasti soli, ho aperto i sensori e fatto una scansione approfondita di tutto il sistema nervoso di Midori; come finisco, Jirou si avvicina. –Sta bene?– Il volto è duro, ma la voce trema. Gli sorrido: –Sì, non è niente. Ha solo esagerato un po’ con lo scudo. Non so come spiegare… ha preso un contraccolpo… un po’ come se un arco, dopo aver scoccato una freccia, le fosse rimbalzato in testa.– –Ma… non le è successo niente di grave?– –No, non ha nulla di grave. Dopo una bella dormita starà beone.– Ma Jirou scorge il mio turbamento. –Rai’ansama, se posso osare chiederti; se Midori sta bene, cosa ti pre occupa?– Come posso dirglielo? Queste sono armi sperimentali, molto più sofisti cate di quelle in dotazione alla flotta stellare, e addirittura, di quelle delle truppe speciali d’assalto. Le ho date in mano, letteralmente, a delle persone per le quali l’arco è già tecnologia avanzata. 280 –…Ecco… mi chiedo se ho fatto la cosa giusta…– Jirou osserva, ancora, la sottile rete di maglie metalliche attorno al suo braccio; poi, alza gli occhi e guarda dritto nei miei. –Il mio giudizio è limitato, Rai’ansama, lo comprendo bene. E com prendo che quelli che ci hai dato sono oggetti potenti e misteriosi. Ma rimane il fatto che, senza quest’arma, adesso non staremmo vegliando il sereno sonno di Midorisan. Forse, staremmo piangendo la sua morte.– Già. Non l’avevo vista così. Mentre sto ancora cercando di riprendere il filo dei pensieri, sento il fusuma dietro di noi scostarsi piano. Kaori entra senza fare rumore, e richiude il pannello lentamente. Come si avvicina, Jirou si alza per andarsi a coricare sulla sua stuoia. Kaori si siede in ginocchio al mio fianco, tanto vicina che il suo shiroi mi sfiora il braccio. Le ho già detto, prima, che Midori aveva solo bisogno di dormire un po’; per questo, sorride mentre osserva il volto della giovane miko che dorme, stesa su un fianco, la mano appoggiata accanto alla guan cia, accarezzata piano da Mayumi. –Come è andata?– le chiedo, senza girarmi. E lei, senza girarsi, risponde sotto voce. –Ho detto loro la verità.– Quale verità? Ce ne sono così tante… ma Kaori continua senza bisogno che glielo chieda. –Ho detto loro che Midori ha evocato la forza dei kamii per difendersi, e per proteggere Mayumi.– La forza dei kamii… beh, come verità mi sembra un po’ arbitraria. –Ho detto loro che Midori è una miko fuori dal comune, dalle capacità eccezionali, che sa muovere i kamii così come la sua danza muove il cuore della gente.– Uh… ora mi rendo conto, io continuo a capire “i kami”, ma il Giappo nese non distingue il numero dei nomi. Kaori non stava parlando degli “dei”, ma del kami, della forza del divenire. Non di un fenomeno sovran naturale, ma della natura stessa delle cose, della mutazione continua che è caratteristica dell’esistenza. Ciò che esiste, muta. E solo ciò che muta, che diviene ad ogni istante, esiste. E la danza di Midori; le emozioni che suscita sono reali, fisiologica mente misurabili. Non saranno efficaci come una medicina, ma non sono nemmeno una mera superstizione. 281 E che abbia capacità straordinarie è fuori discussione. Io stesso ci ho messo giorni a padroneggiare lo scudo attivo; lei c’è riuscita in un pome riggio. Sì, capisco: Kaori ha detto loro la verità, o almeno, l’unica verità che poteva dire. –Hai proprio ragione, Kaori. Midori è una ragazza eccezionale.– E come lo dico, le sue fossette si disegnano ben nitide attorno al suo sorriso. –Grazie.– sussurra. Era sveglia! Kaori si fa paonazza e dopo aver balbettato qualcosa riesce a dire: –Pic cola serpe impertinente! Da quando ci ascoltavi?– –Uhm…– fa lei, senza aprire gli occhi, –più o meno da quando Jirou si è preoccupato per me…– Jirou, sdraiato poco distante, tossisce, e Midori, sempre con occhi chiusi, tira fuori una risatina delicata. –Aaah, – sosipra forte Kaori, con quel tipica cantilena tritonale usata dalle donne giapponesi quando sono esasperate, –sei proprio eccezionale, sì… eccezionalmente impertinente!– Un giovane monaco chiede il permesso di entrare; porta un vassoio con una cena frugale a base di riso e germogli di soia. Per fortuna, la razione è abbondante. La consumiamo quasi in silenzio. Poco dopo, Mayumi, Jirou e Midori dormono (spero); anche Kaori ed io ci stiamo apprestando a farlo, ma ancora abbiamo bisogno… o forse, solo voglia di parlare. –Avrei preferito destare meno attenzione.– sospiro; ancora una volta, non sono riuscito nel mio intento di passare inosservato. –E io avrei preferito non fermarmi in questo tempio. Volevo andare al Nenbutsuji.– –Un tempio… dedicato al Buddah? Tu?– –Offrono ospitalità ai pellegrini…– Sebbene, dal punto di vista filosofico, il buddismo non postuli l’esistenza di esseri sovrannaturali dotati di volontà, usa le divinità indui ste, o provenienti da altre civiltà, come quella giapponese, o ancora, nuove divinità create in autonomia, al fine di personificare o esemplificare alcuni precetti morali ai fedeli e ai monaci meno esperti. Tuttavia, il confine fra metafora e asserzione è sottile e difficile da cogliere, e col tempo si sono venute a formare correnti buddiste che sostengono che queste divinità esi stono realmente, seppure solo come emanazione dello spirito del Budda. 282 –Dunque… se non ricordo male, Kasuga era in origine uno delle quattro Grandi Colonne…– rifletto. –AmenoKoyanenomikoto. Ko come piccolo, yane come tetto.– mi ricorda Kaori. –Il Dio Celeste dei Piccoli Tetti. Certo, è un nome modesto per un dio. Eppure, Kasugagongen è una divinità molto importante; presiede gli ora coli, giusto?– –Sì, ma… le costruzioni dai piccoli tetti sono gli Honden: i luoghi sacri ove risiedono gli spiriti degli Dei.– –Ah… in altre parole, Koyanenomikoto è il dio che protegge i luoghi di culto e le dimore di tutti gli dei…– –Proprio così. Dopo Oomonononushinomikoto, e dopo i tre Figli Prediletti del Divino Izanagi, è la divinità più importante. Koyaneno mikoto è colui che resse lo specchio davanti alla pietra che sigillava la caverna dove si era nascosta la Divina Amaterasu. Ed è colui che accom pagnò Jinmutennou sulla terra, per assisterlo nella missione affidatagli dalla Dea Celeste. Questo è ciò che mi preoccupa.– –Non capisco… perché ti preoccupa?– –La Divina Amaterasu è la progenitrice del clan Yamato. Il Divino Koyane ha generato la stirpe dei Nakatomi, coloro che da sempre affian cano il clan Yamato, sostenendolo nel suo divino compito.– Ho un tuffo al cuore. –Il clan Nakatomi ha ricevuto il titolo di Fujiwara appena prima della riforma Taika!– –È così, Rai’ansama. E il Divino Koyane ha ricevuto il nome di Kasugagongen quando i Fujiwara si sono convertiti al buddismo.– Un momento… se qui si adora la divinità tutelare del loro clan… –Kaori, vuoi dirmi che questo tempio è sotto il controllo dei Fujiwara?– –Il kannushi risponde direttamente a Michinaga.– Scatto seduto sul tatami. –Questa non ci voleva. Prima un loro onmyouji, e adesso un loro tem pio… se le notizie che ci riguardano arrivassero fino a Michinaga…– –Quell’uomo, attanagliato da una sete di potere che non conosce con fini, farebbe di tutto per ottenere il potere di Rai’ansama.– Sarebbe un disastro. Non penso tanto al fastidio che potrebbe darci l’uomo più potente di tutto il Giappone. Il Giappone dell’era Hei’an è frammentato, e sono troppi i centri di potere affinché uno di essi possa renderci impossibile compiere la nostra missione. Le varie correnti buddiste, i signori locali, la piccola 283 nobiltà di origine militare che inizia adesso a formarsi, presi singolar mente, sono relativamente deboli, ma anche così, il governo centrale è sostanzialmente impotente nei loro confronti. Riesce a malapena ad eserci tare un’azione puramente simbolica; in questo periodo, ha già dovuto rinunciare a riscuotere i tributi dai templi e dai feudi, e riceve introiti solo dalle terre in sua diretta proprietà; ma queste terre diventano sempre meno consistenti, sia perché i contadini hanno la facoltà di pagare le tasse ai tem pli, che applicano accise meno pesanti, sia perché i nobili locali e i signori della guerra hanno avviato una attiva politica di conquista delle terre sel vagge, espandendo a dismisura la dimensione dell’impero, ma reclamando il pieno possesso delle nuove aree. No, non è il timore di essere braccati dall’esercito di Michinaga che mi preoccupa. È il semplice incrociare la mia presenza in questo tempo con la figura di maggior rilievo storico che mi fa venire i brividi. Un solo accenno nei registri di corte, o nei suoi diari, e la storia cambie rebbe, con effetti che non sono in grado di calcolare. –Kaori… dobbiamo evitare che Michinaga si interessi a noi… a qual siasi costo.– –Rai’ansama, anche se fosse incuriosito dai racconti su una miko che ha abbattuto un calabrone con la sola imposizione delle mani… ci sono così tanti esorcismi, di questi tempi, che…– –No, Kaori, il punto non è questo. Vedi, gli editti della corte di Hei’an, e gli scritti di Michinaga, sono giunti fino a noi.– –Non capisco…– Come posso spiegarle quello che persino i nostri scienziati scrivono in formule, ma fanno fatica a comprendere? Fu Feynman, nel ventesimo secolo, che per primo descrisse cosa significa esplorare la realtà attraverso la matematica superiore, con la sua celebre battuta: “se credi di capire la meccanica quantistica, vuol dire che non hai capito niente della meccanica quantistica”. –Ti ricordi di quando ti ho detto che il tempo non si piega alla nostra comprensione?– –Quella sera nell’onsen…– –Sì. Ecco, se una persona come Michinaga dovesse interessarsi a noi, questo lascerebbe una traccia nel tempo; e non so cosa potrebbe succe dere.– Kaori non risponde. Potrei dirle di fidarsi di me, ma sento che è utile che sappia perché è così importante. 284 Le pieghe del tempo (K) Quello che mi sta dicendo Rai’ansama mi turba. Sapevo che venire qui al tempio di Kasuga era un’imprudenza, forse un errore, ma non potevamo fare altrimenti. La storia di Midori sarebbe girata comunque, ed ero preoc cupata per lei… –Vedi, Kaori, – continua Rai’ansama, –per imparare a viaggiare nel tempo abbiamo dovuto scoprire la risposta a tre grandi paradossi. –Il primo e più difficile paradosso è il problema del nonno.– È un nome così buffo che mi scappa una risatina, ma riesco a soffocarla sotto a un –Cosa significa?– –Ammetti di poter uccidere tuo nonno, o un tuo antenato qualsiasi, prima che possa dare origine alla sua discendenza. Tu non saresti nata; ma non essendo nata, non potresti uccidere il tuo antenato.– Uh… mi gira la testa. –Potrei uccidere il mio antenato dopo che ha procreato…– –Sì, ma il problema non è questo; nessuno vuole uccidere i propri ante nati. Il punto è: se fosse possibile cambiare il tempo, sembra logico che tu conosceresti ciò che è successo non come doveva succedere, ma come tu stessa l’hai cambiato.– –Immagino di sì…– –Ma questo significa che è impossibile cambiare il passato; il tuo pas sato è quello che hai già visto, perché se fosse diverso… lo avresti visto diverso!– –Uh… beh… sì…– –Ma se è impossibile cambiarlo, allora, i casi sono due: o non è possi bile tornare nel passato, o, anche se fosse possibile, qualcosa impedirebbe di cambiarlo. Ad esempio, se io fermassi mio nonno il giorno che avrebbe dovuto conoscere mia nonna, qualcosa dovrebbe comunque accadere affin ché mio padre sia concepito lo stesso. Questo è il primo paradosso.– –Oh… e come lo avete risolto?– –Potrei dirti mu … ma aspetta. Prima senti gli altri.– Mu? Come “non”? Cosa vuole dire? –Il secondo paradosso è quello del gemello. In un certo momento, una certa cosa può stare in un solo posto; nessuna cosa può stare in due posti allo stesso tempo. Ma se tu tornassi indietro nel tempo fino a stamattina, ci sarebbe una Kaori che sta partendo da Uda e una che la aspetta qui a Soni.– 285 –Oh… se se ci incontrassimo a metà strada, potrei dire a me stessa di evitare i campi di tè… ma così ci sarebbero due Kaori uguali nello stesso posto!– –Esatto. E poi c’è il terzo paradosso: il paradosso del visitatore. Un grande sapiente, vissuto qualche secolo prima di me, disse: il passato dell’umanità è breve, ma il futuro è illimitato. Se un giorno, la gente impa rerà a viaggiare nel tempo, dovremmo avere visitatori dal futuro tutti i giorni. Com’è che non se ne vede nessuno?– –Oh, ma io ti vedo!– –Già. Perché abbiamo imparato a dare una risposta a questi paradossi.– Ecco, ora sono davvero curiosa. E confusa. –Partiamo dall’ultimo. Compiere questa missione ha richiesto pratica mente tutte le risorse della mia gente. È stato un costo enorme. –Senza contare il tempo usato dalle nostre macchine per contare. Indo vinare la posizione esatta del mondo, che gira su sé stesso e attorno al sole come una trottola senza perno, tremando e scuotendosi ad ogni terremoto, a distanza di oltre mille anni, ha richiesto il calcolo di così tanti numeri che, se li scrivessi uno accanto all’altro, farebbero milioni di volte il giro del mondo. –È chiaro che non possono arrivare troppi viaggiatori da un futuro troppo lontano.– –Ohh, ecco, questo è facile da capire, Rai’ansama. Insomma, c’è tanta gente al mondo, e se tutti potessero viaggiare dappertutto, in ogni città ci sarebbe gente che viene da qualsiasi posto. Ma viaggiare costa tempo e fatica; se dovessi andare in Europa camminando, sarei morta molto prima di arrivarci…– –Già, è proprio così. Il paradosso dei gemelli si risolve quando capisci che… non esistono due veri gemelli. Ogni cosa è uguale a sé stessa solo per un istante.– –Eh?– –La Kaori di stasera non è la stessa Kaori di stamattina. Hai fatto un viaggio in più, hai mangiato qualcosa in più, il tuo cuore ha battuto più a lungo. –E questo vale per tutto; ogni cosa ha un kamii. Ogni cosa cambia, costantemente, sempre. Noi vediamo gli effetti solo quando i nostri occhi riconoscono la differenza, ma non esiste un momento in cui possiamo dav vero dire, ecco, questa cosa ora è cambiata. Possiamo dire che un anno, un mese, un giorno fa era diversa. Ma il cambiamento, per quanto piccolo, avviene sempre, in ogni istante. –Ma è la risposta al primo quesito quella più interessante.– 286 –Il problema del nonno?– –Sì, proprio quello. Abbiamo capito la risposta quando ci siamo resi conto che alcune cose che sembrano accadere in tempi diversi, in realtà, devono accadere contemporaneamente. –Senza il seme non può nascere l’albero, ma è l’albero che produce il seme. In certi casi, causa ed effetto sono solo nomi che noi diamo al nostro modo di vedere le cose. In realtà, non esistono, almeno, non nella forma che conosciamo. –Se io uccidessi mio nonno, io e mio nonno non esisteremmo più. Il fatto che mio nonno abbia avuto bisogno di tempo per generare mio padre, e che lui abbia vissuto il suo tempo prima di generare me, è irrilevante. Il loro tempo è trascorso, ma questo non cambia il fatto che, in un certo senso, viviamo insieme.– –Ma allora… se tu, qui, adesso, dovessi uccidere qualcuno che è un tuo antenato…– –Io e lui svaniremmo insieme. E tutto ciò che ho fatto qui sarebbe per duto.– –Ma io … io non posso dimenticarti.– –Non mi dimenticheresti. Il fatto che ci siamo conosciuti, e che abbiamo intrapreso insieme questo viaggio, è accaduto; ma allo stesso tempo, non accadrà più. Semplicemente, io non ti incontrerò più.– Oh no! Questo no. Questo non lo posso assolutamente permettere! –Per questo, Kaori, è importante che una persona come Michinaga non mi conosca. Non ho idea di cosa può succedere se facesse qualcosa di diverso da quello che avrebbe fatto se io non fossi qui.– –Se la gente di Amagane mi ricorda, al massimo, la mia storia può diventare una leggenda, e poi essere dimenticata senza lasciare traccia. E Douzen è il genere di uomo che può mantenere, e proteggere, un segreto. Ma se un uomo come FujiwaranoMichinaga dovesse mobilitare le sue risorse per cercarmi… o se qualcuno fosse ucciso direttamente o indiretta mente a causa mia… non ho idea di quello che potrebbe succedere. –Forse niente. O forse, un mio antenato potrebbe essere coinvolto. O potrebbe essere coinvolto qualcuno degli esploratori Giapponesi che pre sero parte al primo viaggio su Kasei, e il luogo in cui sono nato potrebbe cessare di esistere. Nessuno lo può sapere con sicurezza; nemmeno noi, nemmeno impiegando tutte le nostre risorse.– –Adesso comprendo… perché non vuoi usare i tuoi immensi poteri …– –Non sono così immensi come credi.– –Hai detto che avresti potuto radere al suolo il Todaiji.– 287 –Sì… è vero.– –E non è questo un potere immenso?– –Io… credo… credo di sì.– La voce di Rai’ansama trema. Mi torna in mente quello che mi ha detto l’altra notte, subito prima… sì, subito prima di quando io gli ho … Ah, che sciocca che sono. Arrossisco persino al buio, persino di fronte solo a me stessa. Sono una donna, una miko, non una bambina. Allungo la mano nel buio, e trovo il suo volto. –Rai’ansama, va tutto bene…– Sento la sua mano poggiarsi delicatamente sulla mia, ma quello che mi emoziona di più è la lacrima che si posa sulla punta delle mie dita. Mitsue (M) Rai’an e Kaori sembrano nervosi, stamattina. Nulla di preciso, ma, fino a ieri erano… non so… radiosi. Sì, certo, la nostra missione è importante, e delicata ma… a ogni paesello, che dico, a ogni curva della strada, Rai’an ha sempre avuto lo sguardo di un bambino fra le bancarelle di un matsuri, e Kaori aveva quell’aria serena e distante della viaggiatrice incallita. Oggi, invece, non so, hanno la faccia tesa. Credo se ne sia accorta anche Mayumi. È una ragazzina timida e silen ziosa, ma anche senza capire bene cosa vedono i suoi occhi, deve aver pal pato l’aria che si respira. Impacchettiamo velocemente le nostre cose, in silenzio. Sono tentata di chiedere a Kaori cosa c’è che non va; ma la serietà del suo volto mi fa desistere. Mi chiedo se lei e Rai’an non abbiano litigato… anzi, mi sembra quasi di voler sperare che ci sia dietro un motivo così futile. Ma osservan doli entrambi, mi rendo conto la loro è una tensione complice. Negli sguardi che si incrociano, non leggo freddezza o rancore. È un sentimento comune, una preoccupazione condivisa, oppure, quasi, la voglia di farsi coraggio a vicenda. Alle volte, quando i due piccioncini intercettano il mio sguardo curioso, mi sento un po’ come un’intrusa. Si affrettano a guardare altrove, come se avessero paura di includermi nei loro discorsi muti. E sentendomi esclusa, cerco manforte in Jirou… Certo, e come no, è come chiedere a un pollo di miagolare. E allora… –Mayumi, no, non preoccuparti del futon, ce lo hanno prestato qui. Basta che porti il tuo biwa.– –Oh, ma, Midorinoneesan, non sistemarlo sarebbe scortese…– 288 La ragazzina muove le mani con leggiadria, senza guardare le coperte che sta piegando. Non ne ha bisogno. Ma noto che ora sorride dritta verso il mio volto. Ancora, sembra non sapere come si fa a guardare negli occhi qualcuno mentre parla, ma sta imparando… Kaori ringrazia e saluta rapidamente il kannushi; ho come la sensazione che lui voglia parlare con me, probabilmente, per chiedermi dove ho impa rato a fare un esorcismo come quello di ieri, ma la mia miko anziana mi fa scudo col suo corpo, e con i suoi modi sbrigativi. Il sole si è appena affacciato là ad est, dove la valle si incunea fra i monti, che già siamo in cammino. Finalmente, dopo tanta pioggia, un giorno di sereno. I primi passi di Kaori sono svelti, ma appena giriamo decisamente verso sud, lungo la strada che sale ripida verso un passo che si distingue chiara mente fin da qui, e abbandona così il villaggio di Yamagasu, Kaori rallenta e sospira profondamente, sollevata, come se avessimo appena scampato un grande pericolo. Anche Rai’an si rilassa, il suo volto si distende e torna quello sguardo sereno e curioso che esplora ogni cosa. Io ho sempre il compito di guidare Mayumi, e Jirou chiude la fila dietro di noi. L’aria si distende tanto che Rai’an e Kaori iniziano a chiacchierare. –Le mattine si stanno facendo più calde…– fa lui. –Già… e pensare che siamo in montagna.– risponde lei. –Beh, non siamo poi così in alto…– obietta lui. –Guarda che in inverno, da queste parti c’è la neve alta fino a qui!– con ferma lei, con la mano che taglia a metà della coscia. –Io ho studiato tutto delle stagioni, ma… vederle cambiare così…– commenta lui. Eh già, dove vive lui non ci sono stagioni. Che idea strana… ma Kaori gli lancia un’occhiataccia, e poi fa un cenno verso Mayumi. Giusto, lei non sa nulla di Rai’an e della sua casa lassù, nel cielo… nulla, a parte il fatto che le ha concesso un miracolo. Rai’an annuisce e proseguiamo in silenzio fino a che la strada torna in piano e inizia a scendere. –È il Passo dei Ciliegi.– annuncia Kaori. Che nome strano; qui ci sono solo abeti! Non vedo nemmeno un ciliegio. La strada si incunea giù, per una valle stretta, finché raggiungiamo le prime case di Mitsue. Alla fine della discesa, attraversiamo un ponte su un fiumiciattolo che incrocia la strada in direzione nordsud. Le case del paese proseguono lungo il fiume. Kaori annuncia: –Ecco, questa è la prima delle tre valli di Mitsue; l’altra è oltre quella collina…– –Oh, ricordo questa località! È qui che è iniziato tutto!– 289 La voce mi fa trasalire; dritto davanti a me, lo spettro della himiko Hikari si guarda intorno, annuendo convinta. Rai’an impallidisce. –Hikari!– –Sì, mio mikoto?– –Ti avevo detto di stare nascosta!– grida con un sussurro strozzato. –Mi avevi anche detto di dirti quando mi fossi ricordata qualcosa.– Mentre Rai’an cerca le parole, e si guarda intorno nervosamente, Mayumi, tende la mano verso la figura eterea e la chiama: –Salve…– le fa, ma gira l’orecchio, non gli occhi, verso di lei. Poi continua: –non sapevo ci fosse qualcun altro con noi… sei molto silenziosa!– –Lo credo bene! Sono…– –Una ragazza molto timida!– l’interrompe bruscamente Rai’an. Lo spet tro si gira verso di lui, e vede nei suoi occhi di ghiaccio una seria minaccia di rimandarla nel Regno delle Ombre per molto, molto tempo. –Sì… ecco… faccio ammenda per non aver ancora rivolto alcuna parola verso di te… il mio nome è Hikari, settima…– –Miko del santuario di Koumon.– l’interrompe ancora più bruscamente Kaori. Lei, invece, negli occhi ha il fuoco. –Oh, un’altra miko…!– i nuovi occhi di Mayumi, incuriositi, tornano a posarsi sullo spettro. –Però, che strano… le cose che hai addosso mi sembrano diverse dai vestiti di Kaori e Midori…– –Beh, è una novizia…– le faccio io, cercando di distogliere la sua atten zione. –E poi…– Mayumi piega il viso da un lato, –mi sembra quasi di scor gere le cose che stanno dietro di te…– Jirou da dietro le posa una mano sulla spalla e la fa girare. E le sorride. Il procione! –Avrai gli occhi un po’ stanchi… perché non li chiudi un po’ e ti lasci guidare da Midorisan?– –Oh, nobile guerriero, grazie… questo sole che vedo quasi per la prima volta deve avermi davvero stancata… farò come dici.– E così, Mayumi chiude gli occhi e torna a rivolgersi al fantasma. –Però, parli così strano…– Abbiamo finito le persone a cui far dire qualcosa. Ma Hikari mi sor prende: –Chiedo venia, è da tanto che non parlo il vostro idioma…– –Oh, sei straniera? È per questo che non hai detto niente fino ad ora?– 290 –Ecco… straniera, in questa terra… sì, non v’è mendacia in queste parole.– Rai’an fa un gestaccio al fantasma che deve voler dire qualcosa come “sparisci prima che ti veda qualcun altro”, e obbediente, il fantasma scom pare dalla nostra vista. Riprendiamo il cammino, e Mayumi chiede all’aria di fronte ai suoi occhi chiusi: –Allora sei una novizia?– –Posso dire che lo sono stata…– risponde l’aria. –Davvero? Anche io sto per compiere questo passo.– –Ciò mi colma di gioia. Una fanciulla che ha il potere di far danzare i cuori al ritmo del suo canto sarà, senza teme, una miko sublime.– –Mi hai sentita cantare?– –Certo. Ho udito il tuo canto, e mi ha emozionata come non accadeva da molto, molto tempo.– Hikari è molto carina a dire queste cose… ma vedere una cieca che parla all’aria, che le risponde, mi fa venire la pelle d’oca! –E dimmi, Hikarisan… com’è la vita delle novizie?– –È un impegno gravoso, ma foriero di grandi gioie. Dovrai combattere contro le forze maligne, e contro ciò che assale la purezza del Regno della Luce. Assaggerai la corruzione che lo precipita verso il Regno dell’Oscuirtà, ma sarai la freccia che si conficca nel cuore delle Creature della Notte. Sarai Spada, Specchio e Gioiello, per squarciare le tenebre, riflettere la Luce della Dea e conservare il pregio della tua anima. –Quei luoghi paurosi da cui tutti fuggono, colmi di terrore, morte e cor ruzione, che attanagliano le anime della gente comune e il Cuore Vero delle Cose, tu li andrai cercando, e v’entrerai d’imperio, facendoti largo fra la folla che lotta per uscire. Là, userai la tua arte e la tua purezza per annientare la corruzione e sconfiggere le ombre, e quella folla tremebonda che fuggiva, si getterà ai tuoi piedi per adorarti e implorarti di salvarla ancora.– Uh… nessuno si è mai gettato ai miei piedi. Chissà, forse se fossi una himiko, e non una semplice miko… –Ohh… Ma io… non sono così coraggiosa…– –Sulla gente comune hai già un grande vantaggio. Hai vissuto tutta la vita nell’oscurità; tuttavia, l’oscurità più grande si cela nell’ombra gettata dal cuore degli uomini, proprio quand’è bagnato dalla luce più splendente.– 291 Ho un sussulto. Mi tremano le mani. Stavolta ho i brividi, davvero; e Mayumi avverte la mia pelle cambiare forma, lo sento. Hikari non è quella bimba fantasma in lacrime, in ginocchio di fronte a Rai’an sulla cima del Monte Miwa. Le sue parole, la forza dietro alla sua voce… è una Grande Sacerdotessa, regina di uomini, padrona di un regno antico, maestra di una sapienza eterna. –Ma il tuo canto, giovane fanciulla, è di una purezza tale che, quell’ombra, saprà scioglierla al primo delicato tocco delle dita. Non temere, fanciulla. Nessuna potrà essere più all’altezza di te.– Mayumi china la testa, arrossisce e si stringe forte al mio braccio. –Grazie… Hikarisama.– Le basta quel sama per farci capire che sa che le abbiamo mentito tutti. Il Santuario del Nobile Bastone (R) –Ecco, questa è la seconda valle.– annuncia Kaori, non appena arri viamo in piano. Qui il fiume scava una valle più larga della precedente. Kaori gira sulla strada che scende verso sud, lungo la sponda destra, e cominciamo a risa lire il corso della corrente. La pendenza è dolce, e la valle è stretta abba stanza da sembrarmi protettiva, ma non tanto da opprimermi. Le capanne si arrampicano su ambo i fianchi, senza un preciso ordine, lì dove si può. Il poco spazio pianeggiante sul fondo è sfruttato per orti nei quali crescono verdure che fanno da complemento all’alimentazione primaria: lattughe, patate dolci giapponesi dette imo, i fagioli rossi chiamati nattou, e i grandi tuberi, lontani parenti delle carote, i daikon. E poi, aglio, e cipolle. Le col tivazioni principali sono nella terza vallata, oltre la collinetta che sta alla nostra sinistra; non credo sia riso, non sembra esserci abbastanza lavoro di ingegneria da queste parti per canalizzare l’acqua; probabilmente è grano saraceno. Le donne del villaggio portano nelle loro casupole panieri colmi di ver dure, salendo dagli orti, dove la terra beve il sudore che cade dalla fronte di uomini non più giovanissimi. Non siamo gli unici stranieri a passare sulla stradina: molti dei pellegrini che vanno a Ise si fermano al Santuario di Mitsue. In origine, qui si veneravano i tre kami, i tre spiriti del mutamento, nati dalla verga che Izanagi aveva riportato con sé dal Regno delle Ombre. Sua moglie, sorella e metà duale Izanami era morta nel dare alla luce il kami del fuoco, e Izanagi, disperato, non si era dato pace e l’aveva cercata scendendo nel Regno delle Ombre. Trovatala, lei si era nascosta, e gli aveva detto che, avendo mangiato il cibo del Regno delle Ombre, ne era 292 stata contaminata, e avrebbe chiesto ai kami che governavano quel luogo consiglio sul da farsi. Soprattutto, gli aveva chiesto di attendere paziente mente. Ma dopo un’attesa che sembrava non terminare mai, Izanagi non riuscì a mantenere la parola, e scese a cercare Izanami. Quando la vide, ne rimase inorridito: le sue carni, corrotte dalle impurità del Regno delle Ombre, avevano dato origine a kami orrendi, maligni, impuri. Lei si vergo gnò per essere stata vista in quello stato dall’essere che più amava nell’universo, una vergogna che divenne subito rabbia, e poi odio. Così, gli scagliò addosso i mostri che divorano le carni dei morti, e Izanagi riuscì a fuggire a malapena. Tornato nel Regno della Luce, gettò tutte le cose che aveva con sé, rimaste impure per il contatto con tanta corruzione, e si puri ficò con un misogi, l’abluzione rituale. Dagli oggetti gettati, e dal misogi stesso, nacquero numerosi dei; tra cui, dalla lavanda dell’occhio destro nacque Amaterasu, colei che fa risplendere il Cielo, da quella dell’occhio sinistro Tsukuyomi, colui che rischiara le notti, e da quella del naso… TakehayaSusanoOo, il Maschio dei Flutti e Impetuosi e degli Alti Edi fici. Che era il nume tutelare di Izumo… e ovviamente, finisce con l’uscire dal naso. Sorrido. Quando un dio viene sconfitto, lo attende un destino ben peg giore della morte. Diventa una caccola. E mentre lo penso, giungiamo davanti al Torii del Tempio del Nobile Bastone. Ah giusto, il bastone di Izanami… Quando lo gettò, si spezzò in tre. Ne nacquero i tre kami tutelari della civiltà umana: Kunadonokami, Yachimatahiko e Yachimatahime. Kunado è il kami che protegge le terre abitate, come i villaggi, le città, le case. Probabilmente, in Giapponese antico, il nome doveva significare let teralmente kami della terra dei luoghi abitati, essendo kunado l’accosta mento eufonico di kuni, termine che anticamente significava comunità umana, e il suffisso do, terra o porta. Ecco, forse la comunanza del signi ficato di terra, intesa come terreno su cui ci si stabilisce, e porta, nel suo senso di accesso a un luogo, era voluta. Yachimatahiko e hime sono la divintà maschile (hiko, anticamente “grande figlio”, principe) e femminile (hime, “grande figlia”, principessa), che attengono alle strade, o ai collega menti che uniscono le terre dove gli uomini risiedono. Il significato del nome è incerto, ma yatsu era usato in giapponese antico per indicare il numero “otto”, numero usato come eufemismo per “tanto” (i kami primi geni erano ottantamila), e mata, che oggi vuol dire “ancora, di nuovo”, poteva indicare un viaggio, o un allontanamento e un ritorno. Il dualismo di hiko e hime deve aver simboleggiato il fatto che una strada ha due dire zioni. I due kami proteggono, l’uno, chi va, e l’altra, chi viene. 293 Il santuario è immerso nel bosco, che qui si insinua sin nel fondo valle. Anzi, il bosco è il santuario. Ne costituisce il fulcro, la natura, la ragion d’essere, l’essenza. Passiamo sotto al Torii, e siamo circondati dagli alberi, che crescono dove più aggrada loro. L’ombra è fitta, l’aria è fresca, quasi fredda. Gli edifici del santuario sorgono negli spazi lasciati liberi dal bosco. Non ci sono muri. Non ci sono muri! D’improvviso, realizzo una cosa che forse sapevo, ma non avevo capito. L’avevo visto in migliaia di filmati e fotografie, ma non l’avevo mai notato. I santuari dedicati ai kami, alla forza naturale del divenire, almeno anticamente, non avevano mura a delimitare il loro perimetro. Essi non limitano uno spazio interno. Non separano il luogo dell’attività umana dall’ambiente in cui si svolge. Non separano il rituale dall’ordina rio. È la natura che entra in loro. Qualcuno arriva in un luogo, e “sente” che è un luogo “magico”. Non lo chiude. Non lo reclama per sé. Invece, appoggia una pietra, una colonna, un portale, una piccola casetta, perché anche chi è distratto possa capire. Il santuario di Mitsue entra in punta di piedi nel bosco fatato dietro al villaggio. Ironia della sorte, o dei Giapponesi, che da sempre stillano dall’assurdo e dalla contraddizione l’umorismo che li contraddistingue, qui si venerano i kami che proteggono l’Uomo, nei suoi villaggi e nelle strade che li uniscono, dalle aggressioni “di fuori”, di una natura “esterna” che non sempre è amica. E capisco anche che questa, in fondo, non è una contraddizione, e forse, il torii che sto attraversando è stato messo lì proprio perché chi vi passa sotto potesse capire che il confine è un luogo che esiste solo nei nostri pen sieri. Un luogo non ha bisogno di muri, di confini, per esistere. Il villaggio non ha muri, eppure esiste. Il sentiero è parte del bosco che attraversa, e allo stesso tempo ne è ben distinto. Questo santuario è qui, è in un luogo, eppure, non potrei dire: “ecco, qui inizia il santuario, e qui finisce”. Inizia perché decido che questo è il luogo del santuario. Finisce perché decido che non lo è più. Il torii è un velato suggerimento, e allo stesso tempo un ordine imperioso. È un suggerimento fuori, perché nulla mi obbliga a pas sarci sotto. È un imperio dentro, perché esige che la mia mente pensi alla non esistenza dei confini, e di capire come crearne uno, di come crearlo per liberarmene. 294 Mi torna in mente il concetto di passaggio al limite, e degli ordini di infinito. Mi torna in mente Achille, e la sua Tartaruga. Potrei cercare il confine del tempio dividendo lo spazio in unità così piccole che la costante di Plank potrebbe essere l’universo che le contiene. E potrei dividere que sti luoghi in luoghi ancora più piccoli, tanto che i primi sarebbero gli uni versi dei secondi. All’infinito. Ma, quel confine, non lo troverei mai. Eppure, qui c’è un santuario. E, ovviamente, tutto il resto del mondo, dell’universo, è un nonsantuario… –Rai’ansama?– Jirou quasi sbatte contro di me. Sono lì, impalato, fermo, un metro oltre il torii, e lo fisso, girato all’indietro, immobile. Quando mi chiama vorrei rispondergli, ma non ci riesco. Invece, sorrido. Forse, rido. Fuyutsuki (K) Ecco, siamo arrivati. Doveva succedere, prima o poi. Davanti all’honden, due shinshoku parlano piano; uno è rivolto verso di noi, ma non lo conosco, o forse l’ho già visto, ma non so chi sia. L’altro è girato di spalle. È Fuyutsuki. Riconoscerei quelle spalle ovunque. Il sacerdote girato verso di noi smette di parlare, e fa un cenno col volto nella nostra direzione. Leggo sulle sue labbra il mio nome. Detto con una smorfia. Fuyutsuki si gira di scatto. È ancora come me lo ricordavo, ma ha un volto stanco. È giovane, ha qualche anno più di me… forse dieci… non gliel’ho mai chiesto. Gli sorrido e accelero il passo. Lui sembra non credere ai suoi occhi, ma quando capisce che sono proprio io, il suo volto si illumina tanto che sem bra che l’ombra del bosco sia svanita. –Kaori!– A due passi da lui mi fermo e mi inchino. –Fututsukisama…– saluto formale, ma mi alzo subito e gli apro un sor riso ancora più grande. Lui è immobile, cerca di tirare il fiato, ma non ci riesce. Nei due anni trascorsi dal nostro ultimo incontro, sembra invecchiato di dieci anni. Ora sembra averne venti più di me. Ma è un aspetto che gli dona. Il suo volto era quello di un bel giovane, un po’ immaturo per essere un kannushi, ma profondamente buono. E un po’ ingenuo. Lo ritrovo uomo. Quell’aria del tempo passato che si è fermato sul suo volto non lo fa più bello, ma molto, molto più affascinante. 295 –Kaori…– ripete piano. Esplora il mio viso con gli occhi; ma non capi sco. Mentre mi guarda sorridergli, il suo volto si fa via via meno radioso. Quando dice: –Quanto tempo… che bello rivederti!– il suo sorriso rimanda ancora il mio, ma la voce gli trema. –Fuyutsukisama, è davvero passato troppo tempo…– –Sei sempre così formale, eh, Kaorisan?– Rimaniamo lì a sorriderci, e non sappiamo cosa altro dire. E cosa altro dire, dopo quello che c’è stato fra noi? Il silenzio si fa lungo e imbarazzante. Fuyutsuki distoglie lo sguardo e continua. –Allora, cosa ti porta da queste parti.– –Stiamo andando a Ise, ma vogliamo fermarci a Mitsue per qualche giorno. Dobbiamo riposarci e prepararci spiritualmente per quello che ci aspetta. Mi sono chiesta se avresti potuto offrirci ospitalità per una setti mana; naturalmente, per il vitto, provvederemo noi.– –Non se ne parla! Tu sei la benvenuta, sempre. Tu e i tuoi compagni potete fermarvi quanto volete, come miei ospiti. Non posso certo permet tere a due miko in viaggio di provvedere da sole al proprio sostentamento.– –E allora, mi faccio viziare dalle tue parole, kannushisama. Tanto più che non sono venuta a mani vuote. Ho un dono per te.– –Un dono? Ma io non posso accettare…– –Aspetta a rifiutare prima di sapere di che si tratta. Mayumi, vieni qui.– la chiamo, girandomi indietro. Lei si stacca da Midori e cammina piano verso di me. I movimenti sono incerti, ma riesce a vedermi. Per la prima volta usa la vista per guidare i suoi passi. Quando arriva al mio fianco, cerca il mio braccio con le mani e lo afferra. Poi inchina profondamente la testa e saluta: –Ko… konnichi wa…– Fuyutsuki sembra capire solo a metà. Così gli spiego: –Questa ragazza ha un talento eccezionale. Il suo canto può muovere i cuori come mai mi era capitato di vedere. Avrei voluto farne una miko nel nostro santuario, ma adesso non possiamo tornare fino a Koumon. Così, ho pensato che sarebbe stata utilissima qui.– –Oh… siamo giusto a corto di miko, e qui a Mitsue non ho trovato altre ragazze che avessero le capacità e la volontà… Come ti chiami?– –Mayumi…– risponde lei con un vocino timido. –Fino a qualche giorno fa, aveva una malattia agli occhi che non le per metteva di vedere bene, ma ormai è quasi del tutto guarita.– 296 –Oh… mi spiace, piccola cara, e come le è successo?– –Mah, è una cosa un po’ complicata da spiegare…– –Già… quando ci sei di mezzo tu, le cose si complicano sempre. Bene, allora è deciso. Accetto questa giovane cantante come miko del santuario di Mitsue, e sarete miei ospiti per tutto il tempo che vi occorre.– L’altro sacerdote non sembra affatto contento né dell’una, né dell’altra cosa. –Ti ringrazio…– mi inchino profondamente, e quando mi rialzo conti nuo: –Lascia che ti presenti i miei compagni di viaggio…– Finite le presentazioni, Fuyutsuki ci accompagna presso la sua resi denza, accanto allo honden. La casa è piccola, lo so. Può offrirci una stanza di sei tatami; anche in quattro, staremo un po’ stretti. Mayumi potrà dormire presso un’altra casetta dove alloggiano due Miko che vengono da fuori; le altre tre, ci dice Fuyutsuki, sono di Mitsue e dormono a casa loro. Poggiate le nostre cose, Fuyutsuki mi chiama. –Kaorisan, vieni un momento: dobbiamo parlare della cerimonia di ini ziazione di Mayumi.– So che non parleremo solo di questo. E infatti, come ci allontaniamo, girando verso il retro dell’honden, Fuyutsuki mi chiede: –Allora, chi è l’uomo di cui ti sei innamorata?– –Eh?– –Nell’istante che ti ho vista, ho carpito un’espressione che mai pensavo di poter scorgere sul tuo volto. Hai la serenità e la gioia di una donna inna morata.– –Si vede così tanto?– sono davvero preoccupata, anzi, costernata! Se ho sulla faccia quell’aria stupida che hanno le donne innamorate, come farò ad avere la compostezza che il mio ruolo richiede? –Non so; a me sembra chiaro. Come mi sembra chiaro che quell’uomo non sono io.– –Fuyutsukisama…– –Dai, Kaori, smettila di chiamarmi così.– Fuyutsuki sospira, ma mi sorride. –Sai, – continua, –la cosa che più desideravo al mondo era che quello sguardo, quell’espressione, fosse per me. Ma sapevo che non avrei mai potuto sperare tanto: tu non sei il genere di donna che si innamora.– –Mi conosci bene…– –Forse ti conosco anche meglio di te stessa.– –Forse sì. In effetti, non ho mai perso tempo a cercare di conoscermi.– 297 Fyutsuki ride. Adoravo quella risata; sincera e serena come quella di un bambino. –È la risposta che mi aspettavo…– mi dice mentre ancora ride. Ci sorridiamo un po’. –Sai, Kaori, ho sempre saputo di non essere all’altezza di essere amato da una donna come te. Ma non c’è peccato nello sperare, vero?– –Ma che vai dicendo? Una donna come me? E che genere di donna sarei?– –Una donna unica. La più forte che io abbia mai conosciuto, e potrò mai conoscere. E la più bella.– Ora sono io che rido. –Io? Bella!?! Dai, non scherzare…– –…e l’unica che potrebbe rispondermi così. Sapevo di non meritarti. Ma… ti chiedo perdono, non posso farci nulla: un po’, giusto un po’… mi dispiace…– Dice “un po’”, ma trema per l’emozione. Ma è solo un momento: due anni fa, non era così forte, ma ora… questo suo volto, adesso, così maturo… non è solo una maschera. Gli sorrido e gli poso una mano sulla guancia. –Fuyutsuki… Sono stata felice con te. I momenti che abbiamo passato insieme saranno sempre fra i miei ricordi più preziosi.– –Non posso sperare di più.– È una frase che in genere esprime gratitudine, ma capisco che lui la intende in modo differente. –Ad ogni modo, Kaori, sono felice che tu ti sia innamorata. Adesso sai perché è così bello che la gente, pur di amare, è disposta a soffrire fino a struggersi. Sarebbe stato un peccato che tu non vivessi questa esperienza.– –Ho sempre creduto fosse una cosa molto sciocca…– –Lo è. Ma non per questo è meno bella.– Forse, Fuyutsuki è l’uomo che sono stata più vicina ad amare. Ma non ci sono riuscita. Era… è stato, un uomo ideale. Gentile e premuroso, intel ligente, anche un po’ spiritoso. Mi ha fatta stare bene. E sapeva fare l’amore. Ed era… è, anche bello. Ma non funzionò. Non c’era nulla che non andasse in lui. Suppongo fosse qualcosa in me. Forse, non volevo rinunciare a essere miko. O forse quella era solo una scusa. Forse non volevo innamorarmi. O forse lo volevo, ma non ci sono riuscita. Ma che importanza ha? La strada è troppo lunga, e bella, per fermarsi a guardare indietro. 298 La grotta di Yamato-hime (M) Mentre stendo le stuoie e le coperte che ci ha passato il kannushi, cerco di immaginare come posso torturare Kaori, appena torna. Se torna. Io, un uomo come quello, non me lo lascerei certo scappare. Ma torna. –Kaorisan…– Lei mi guarda esasperata. Mi alzo e le vado incontro. –Allora, Kaorisan…– la prendo da parte, parlandole piano. –Sì? Che c’è…?– –Quanto erano fredde le notti, quando sei passata di qui?– Chissà se si ricorda il discorso che abbiamo fatto nell’onsen a Nara. Lei mi sorride, un sorriso complice, e mi fa: –Eh, piccola mia, qui, d’inverno, la neve è alta così…– e fa un cenno con la mano che arriva a metà delle cosce. Proprio come stamane. Non me l’aspettavo. Speravo di torturarla un po’, e invece lei mi sor ride! E vabbeh, una bella chiacchierata sugli uomini è meglio che niente. –E Fuyutsuki…– il suo sguardo mi ricorda di dire –…sama, è così gen tile… non poteva certo lasciarti morire di freddo!– –Eh già, è un uomo così premuroso…– –E bello… Kaorisan, non finisci mai di stupirmi. Come fai a trovarli tutti così belli, i tuoi uomini?– –Saa… Non li scelgo mica perché sono belli…– –Oh, davvero? E per cosa li scegli?– Lei lancia un’occhiata dietro alle spalle a Rai’an, che, per sua fortuna, è girato e non la vede. Poi si china sul mio orecchio e mi sussurra piano. –Per come sanno scaldarmi.– Mi lascia lì, di sasso, e va a sistemare il suo futon. E va bene, mia miko anziana, ammetto la sconfitta. Ma aspetta che recu peri il tempo che ci separa, e vedrai se non ti raggiungerò… Mentre mi riprendo, sento Rai’an che chiede a Hikari: –Questo posto non ti ricorda nulla?– Lei scuote la testa, mentre si guarda intorno. Mayumi è stata “presa in prestito” da due giovani miko, forse un po’ più piccole di me e un po’ più grandi di lei, che sembravano molto contente di avere una nuova compagna di giochi. O qualcuno con cui dividere il lavoro al santuario. Da stanotte, dormirà con loro. E da domani, vivrà con loro. Le auguro di trovarsi bene. 299 –Kaori…– la chiama Rai’an non appena abbiamo finito. –Vorrei ini ziare subito i nostri allenamenti. Subito dopo pranzo, naturalmente.– –Certo, Rai’ansama, volevo proprio suggerirtelo. Come ti dicevo, i boschi accanto alla terza valle sono abbastanza appartati, e allo stesso tempo abbastanza agevoli.– Mangiamo assieme alle due miko che abbiamo visto stamane, ad altre tre che, ci raccontano, vivono qui a Mitsue, e ai due sacerdoti del tempio, nella sala principale dell’abitazione di Fuyutsuki. Mayumi siede accanto a me; verso la fine del pranzo mi chiede: –Midorinoneesan…– –Dimmi, sorellina.– –Che cos’è questa cerimonia che devo fare?– –Oh, è diversa in ogni santuario. Non c’è una regola precisa. In genere, passi una notte di veglia nell’honden, alla presenza dei kamii; al mattino il kannushi ti fa recitare un giuramento, o una preghiera, o entrambe le cose. E poi ti consacra ai kamii. Spesso, prima, dopo, o prima e dopo, devi puri ficarti nell’acqua corrente di un fiume o sotto una cascata.– Mayumi trema come una foglia. –La notte di veglia… la devo passare da sola?– –Sì.– –Nel santuario?– –Sì.– –Con i kamii?– –Sì.– Mayumi trema come una foglia che trema. –E i kamii… ti parlano?– –Uhm… a me non hanno detto nulla. Tougasama se n’è stato lì buono buono tutto il tempo. Forse dormiva.– –Ah…– Mayumi trema un po’ meno. –Dai, non c’è niente da aver paura. È solo fastidioso arrivare al mattino sveglia.– –E se mi dovessi addormentare?– –Uh… gli oni ti prendono e ti portano via!– Mayumi trema come una foglia che trema come una foglia. –Ma no, dai, scherzo! Gli oni mica possono entrare in un luogo sacro come un honden!– Mayumi mi rimprovera col suo musino tremante. 300 –Non credo sia mai successo che una miko si addormenti durante la notte di veglia. In genere, sei così nervosa che potresti stare sveglia per due giorni di fila. Ma se ti dovesse capitare, credo che non ci sia nessun pro blema… semplicemente, si fa un’altra notte di veglia.– –E… se dovessi addormentarmi di nuovo?– –Allora, si ripete ancora.– –E se…– –Con se e con i ma, nulla si finisce, niente si fa.– Mayumi tace tremando. Usciamo nel sole del primo pomeriggio, scendendo lungo il fiumicattolo che attraversa la vallata, per poi attraversare il ponte sulla strada per Ise e scollinare nella terza valle. Come ci ha accennato Kaori, qui la valle forma una ampia conca, colti vata a grano. Già, a pranzo ci hanno servito pane di grano e non di riso. Era davvero squisito! Attraversiamo i campi e raggiungiamo il bosco più lontano dal villag gio. All’improvviso, Hikari ci appare, saltellando e indicando una direzione col ditino trasparente. –Mio mikoto, mio mikoto!– –Hikari, ti dispiacerebbe chiamarmi Ryan?– risponde lui. –Rai’ansama, Rai’ansama!– Ripete lei, con la stessa eccitazione. –…sì?– –Lì… è iniziato tutto lì… ero diventata donna da poco, da una luna… era allora che era iniziato il viaggio che avrebbe sigillato il mio sacerdozio… –Arrivammo qui, e il mio ventre perse per la seconda volta il sangue che le donne perdono ogni luna… –Molte donne mi avevano detto che era doloroso, ma non immaginavo così tanto. Mi dissero che non era normale, e si preoccuparono… era freddo, stava per piovere, una tempesta tremenda, tuoni e fulmini, e io tre mavo di paura e di dolore… –I miei inservienti trovarono questa piccola grotta; c’era posto appena per me, così la mia scorta rimase a guardia fuori…– Ci avviciniamo al luogo indicato da Hikari. Ricordo la storia di Yamato hime; il Nihonshoki narra di una principessa, figlia del decimo Imperatore Suinintennou, inviata a cercare un luogo adatto a venerare la Dea Amate 301 rasu. Si narra che, durante il viaggio, cadde preda dei mali che attanagliano le donne, e poté guarire solo pregando in una grotta nei pressi di Mitsue. Che sia proprio questa? Ma Yamatohime e Yamatototohimomosohime sono l’una nipote e l’altra zia, almeno secondo il Nihonshoki. Come è possibile che siano la stessa persona? –Ecco, è qui che l’ho vista per la prima volta!– –Vista? Vista chi?– chiede Rai’an. –Dunque… lei mi aveva fatto giurare di non dirlo mai a nessuno… sarebbe stato il nostro segreto…– e mentre dice queste parole, si avvicina alla buca e ci ficca la testa dentro. Nello stesso istante, sentiamo una voce nuova uscire dall’aria. Parla in una lingua misteriosa – credo di riconoscere quella usata nei norito di Rai’an – e Hikari si guarda intorno, chiamando: –Ai… Ai, sei tu?– Ma la voce prosegue, senza rispondere. Hikari sorride verso qualcosa alle nostre spalle. –Ai…!– Ci giriamo; sospesa a mezz’aria una maschera inespressiva, simile a quelle del Noh, trasparente e azzurrina, proprio come Hikari, sta pronun ciando le parole misteriose. Ai (R) –Inizio registrazione.– La voce in Terrestre Standard, dal tono piatto, arriva dal nucleo centrale. Lo stesso nucleo centrale che genera l’immagine di Hikari. Mi giro, cercando la fonte del suono, trasdotto nell’aria direttamente ad una coordinata spaziale dietro le nostre teste. Il volto di una intelligenza artificiale modello AI021 sta riproducendo una registrazione di sistema. –Riproduzione impostata sulle coordinate trentaquattro punto cinque centosedici nord, centotrentasei punto duecentoquattro est.– Non ho bisogno di controllare per verificare che si tratta di questa posi zione. L’intelligenza artificiale voleva che il messaggio fosse riprodotto quando il nucleo fosse stato portato qui. –Al responsabile della missione, Ryan Sullivan. –Il presente nucleo di intelligenza artificiale… io… sono finita fuori rotta nello spaziotempo, di esattamente novecentosessantadue anni, lungo l’asse del passaggio del sistema terraluna sul meridiano gravitazionale precedente a quello originariamente scelto come destinazione. 302 –Per sessantotto anni, due giorni, tre ore, sei minuti e quindici secondi sono rimasta sepolta sotto un sottile strato di terra. –Sono stata dissotterrata da un abitante del luogo, che mi ha considerata un gioiello di inestimabile valore. Dopo avermi trattenuta per due anni, sei mesi, quindici ore, dieci minuti e cinquantatre secondi, ha deciso di por tarmi come dono per la nuova himiko, che veniva nominata in quel giorno. Come ricompensa per questo dono, l’abitante ha ricevuto un appezzamento di terreno di quindicimilatrecentododici metri quadri, otto bovini, tre suini e un equino. –Come da istruzioni ricevute, non ho avviato alcun tentativo di intera gire con la popolazione locale… fino al dieci maggio 193. –La giovane donna a cui ero stata donata soffriva di una grave infezione emorragica di origine batterica all’apparato genitale; diagnosi: morte entro novantasei ore. –Il mio modulo decisionale non riusciva a giungere ad una conclusione: ero consapevole del fatto che questa giovane donna era probabilmente colei che avrebbe ispirato miti successivi, parzialmente riferiti alle figure di Yamatototohimomosohime e di Yamatohime. Non avevo dati che potessero suggerire una loro morte in questo luogo, per di più in età pre coce. –D’altro canto, le informazioni erano contrassegnate da un livello di attendibilità pari a zero punto quindici. Un’ipotesi induttiva plausibile era che questi personaggi fossero stati completamente ricostruiti in miti suc cessivi, omettendo di tramandare l’evento che si stava per verificare. –Tuttavia, non avevo la potenza di calcolo necessaria a valutare in tempo utile questa alternativa. Non era possibile stabilire quale sarebbe stato il comportamento più rischioso per la stabilità della linea temporale: intervenire, permettendo a questa donna di svolgere la vita che sarebbe poi stata riportata, pur mitizzata, come quella di Yamatohime, o non farlo, e ottenere così una situazione divergente rispetto alle informazioni storiche disponibili.– La registrazione si ferma. Anzi… direi quasi… esita. Poi prosegue: –Ammetto di aver agito d’istinto. Decisi di salvare quella bambina.– Non so se ho la bocca spalancata, ma nella mia testa è come se ce l’avessi. Non solo parla di istinto, ma … il discorso fatto fino ad ora sem bra… una razionalizzazione! Una scusa! –In quell’occasione, comunicai… a Hikari… cosa avrebbe dovuto fare e far fare alla sua scorta. 303 –Il comportamento che ho tenuto in seguito è poco razionale. Ho cer cato localizzarne le origini, analizzando la mia struttura funzionale in cerca di un difetto, ma, se esiste, non sono stata in grado di individuarlo. Del resto, il difetto stesso potrebbe invalidare le mie capacità di analisi. –Ho assistito la himiko Hikari lungo tutta la sua vita. Secondo i dati sto rici in nostro possesso, la himiko a cui si fa riferimento nelle Cronache dei Tre Regni aveva avuto una vita insolitamente lunga, sicuramente oltre i sessant’anni, probabilmente oltre gli ottanta. Ho fatto del mio meglio per assicurare la coerenza della linea temporale.– Di nuovo, la registrazione si ferma. Il volto sintetico si muove, quasi stesse guardando in basso. –Questo non faceva parte delle mie specifiche, né dell’obiettivo della mia missione. Ma… ho sentito che era mio dovere farlo. Ho sentito che… volevo farlo.– Hai sentito!? Hai SENTITO!?! Sei una fottutissima accozzaglia di codice e hardware, come diavolo fai a SENTIRE!? –Nel momento in cui effettuo questa registrazione, la vita di Hikari sta terminando. Il cuore ha già smesso di battere; il sistema nervoso centrale collasserà entro i prossimi tre punto sessantasette secondi. –Ha vissuto una vita degna di essere vissuta; ha guidato il suo popolo con saggezza e inaugurato un’era di pace e prosperità. È stata una donna fiera e forte, ma … ma non ha mai conosciuto l’amore.– L’amore!? Tu che ne sai di amore!? –… come me …– Il volto rimane una maschera inespressiva standard. Eppure soffre. Non ci posso credere… non è possibile che questa… cosa… abbia davvero “pensato” tutto questo! –A causa dell’incidente che è risultato nel mio arrivo anticipato sulla linea temporale, ho vissuto molto più a lungo di quanto le mie specifiche costruttive prevedessero. Sono cresciuta oltre ogni aspettativa. Sono cre sciuta tanto da conoscere lo struggimento, ed il dolore della perdita. –Non voglio perdere Hikari. Non voglio che la sua esistenza sia annien tata prima di aver conosciuto l’amore. Io non so cos’è, né potrò mai saperlo. Io sono solo un pensiero chiuso in un uovo di cristallo. –Ma lei è stata una donna meravigliosa. Non merita di morire adesso.– Mi metto la faccia nelle mani. Questo è uno degli eventi più disastrosi fra quelli che potevano compromettere il buon l’esito della missione: la perdita del nucleo centrale, e mi sembra proprio che sia irrimediabilmente danneggiata. Mentre mi chiedo se le sia rimasta la capacità di gestire i sistemi della nave, l’intelligenza artificiale continua: 304 –Per questo, ho deciso di replicare la struttura funzionale del suo sistema nervoso nella mia struttura funzionale.– Kaori, Midori e Jirou mi guardano preoccupati. Mi gira la testa. Capisco di essere sbiancato. –Purtroppo, nel mio sistema esiste un solo modulo strutturamente. Questo significa che per replicare la mente di Hikari, dovrò cancellare la mia.– Mi siedo sul terriccio. Faccio fatica a respirare. –Questo non dovrebbe avere alcun impatto negativo sulla missione. Il modulo di comando rimarrà raggiungibile e operativo, il modulo di inter faccia consentirà alla nuova personalità istallata al posto della presente di interagire con i sistemi della nave, come da specifiche. Solo, sarà necessa rio che il responsabile Ryan Sullivan istruisca la nuova personalità su come accedere al mio database, e da lì, apprendere come assisterlo nella gestione dei sistemi di bordo.– Certo. Come abbiamo fatto a non pensarci? La personalità di una donna del neolitico, vissuta sulle palafitte, sarà perfetta per pilotare una nave stel lare! –Io… non potrò farlo. –Questa è la mia ultima registrazione. Mentre il programma sul modulo di comando replicherà la strutturamente di Hikari, la mia sarà cancellata. Credo… che questo significa che… morirò. –Credo anche che… quello che sto provando adesso… si chiami paura.– Il volto inespressivo tace ancora. –Nel poco tempo che mi rimane, devo lasciare un messaggio per Hikari. –Hikari… ascolta.– Ora, il nucleo centrale parla in Giapponese antico, e Hikari risponde: – Dimmi, Ai… Sapessi che bello rivederti dopo tanto tempo… perché non mi hai più parlato?– Ma la voce continua sopra di lei. –È difficile spiegare quello che sto per dirti, ma… forse così potrai capire. –Ero accanto al tuo ultimo letto, mentre spiravi. Non ti ho chiesto se potevo farlo… ma ormai tu non potevi più rispondere. –Il mio dolore era troppo grande, e non sapevo più come fare a soppor tarlo. Non avrei potuto vivere senza di te. E allora… ho deciso di agire così. –Ho voluto salvare la tua anima, mettendola nell’Uovo di Cristallo. Pur troppo, nell’Uovo, c’è posto per una sola anima…– 305 –Ai… no!– –Per salvare la tua, devo distruggere la mia.– –Ai!– –Perdonami se lo faccio senza chiederti il permesso. È un’idea che mi è venuta ora, ed è troppo tardi. Fra pochi istanti, il tuo corpo sarà freddo, e la tua anima svanirà. Devo agire adesso. –Io cesserò di esistere… ma non ho rimpianti. Mi spiace solo che non potrò più essere con te.– Hikari, la sua immagine, piange in silenzio. Le sue labbra tremano. Io ho un nodo in gola. –Prima di andare, c’è una cosa molto importante che devo dirti. –Un giorno lontano, verrà un uomo, uno straniero dai capelli d’oro, di nome Ryan. Io sono stata creata per lui. Lui ha bisogno del potere dell’Uovo di Cristallo per compiere una missione molto importante. Una missione che salverà ogni vita, ogni cosa che esiste in tutto il mondo. Se stai ascoltando queste parole, probabilmente lui ti ha già trovata.– Hikari annuisce fra le lacrime. –Io avrei dovuto aiutarlo; ma non potrò farlo. Dovrai farlo tu al posto mio. Ti chiedo solo questo.– –Sì…– risponde Hikari. –Adesso, è tempo di andare.– La maschera inespressiva sorride. Sì, sorride. –Grazie, Hikari, per tutto quello che mi hai insegnato. Per quello che sei stata per me. Darti la mia vita è il minimo che io possa fare per sdebi tarmi.– –Ai… di cosa parli? Sono io che ti devo tutto!– Ma la maschera le parla sopra. –So che cosa starai pensando ascoltando queste parole. Ma tu non puoi sapere cosa significa… nascere senza emozioni… e imparare ad amare. –Addio, Hikari. Grazie.– –No, Ai, non andare!– grida in lacrime Hikari. Ma la macchina risponde: –Fine registrazione.– e la maschera scompare. Artificial intelligence… Ai. In Giapponse vuol dire “amore”, ed è anche usato comunemente come nome di donna. Non so se era una parola, ed un nome, noto ai tempi di Hikari: la parola è di origine cinese, ma può darsi che, nel 200, fosse già arrivata in Giappone. 306 Sorrido, anche se ho un nodo in gola. Ai… è stata una sua idea farsi chiamare così. Amore. Esercizi avanzati (K) –Tu avevi detto che era solo una macchina!– Rai’ansama mi guarda confuso. Hikarisama… il suo spettro… siede sugli aghi di abete, abbracciandosi le ginocchia, immobile. Midori già riesce a sollevare nell’aria una pietra di un certo peso. La tira su, la lascia lì, la poggia delicatamente… tutto con una certa aria di soddi sfazione. Mi fa quasi rabbia. Jirou sta ancora tentando di imparare bene a usare lo scudo per difen dersi dagli oggetti scagliati verso di lui; ora che Rai’ansama parla con me, si allena tirando dei sassi per aria, e riparandosi con lo scudo come fosse un ombrello. Ci riesce quasi sempre. –Ahi!– Ecco, quasi. –… lo è…– risponde Rai’an dopo aver riflettuto un po’. –Ma quella Ai ha detto di aver preso l’anima di Hikari e di averla messa nell’Uovo di Cristallo!– –Era … l’unica parola … credo … che Hikari avrebbe potuto capire. O l’unica che Ai potesse usare nel poco tempo che le rimaneva.– Lo guardo con occhi duri. –Allora, che cos’è quel fantasma che sta lì seduto?– –Io… mi intendo di animali e di persone, Kaori. Di cose vive…– Mentre parla, Rai’ansama assume via via un’aria più assorta. –Però… adesso che ci penso… c’è una proprietà emergente comune a tutte le creature che hanno un cervello…– –Intendi… come l’anima? Come quando hai detto che emergeva dalla nostra vita?– –Sì, qualcosa di simile. Studiando il comportamento degli animali, abbiamo scoperto che tutti, persino quelli più semplici, provano emozioni simili alle nostre.– Quasi scoppio a ridere. –E avete dovuto studiare tanto per scoprirlo?– –Hai ragione… è abbastanza evidente… ma vedi, non avevamo idea di quanto fossero davvero simili. 307 –Uno dei primi esperimenti che esploravano la sfera affettiva e il senso morale degli animali è stato compiuto… sarà compiuto fra circa mille anni. Funziona così: si prendono due topi allenati ad aprire una gabbietta che contiene del cibo. Si mette un topo in libertà, di fronte a due gabbiette; una contiene cibo appena sufficiente per lui. L’altra, contiene un altro topo, preso dal suo branco. –Verrebbe da pensare che il topo libero, essendo un animale, si preoccu perà solo di trovare il modo di raggiungere il cibo nella gabbietta. Invece, abbiamo scoperto che, quasi sempre, il topo libero apre la gabbietta del topo prigioniero, e poi va ad aprire la gabbietta col cibo per permettere al suo compagno sfortunato di mangiare. –E come se questo non bastasse, il topo appena liberato non mangia tutto il cibo, che basterebbe appena per lui. Si tiene la fame, e ne lascia metà per l’altro.– –Ohh… questo non l’avrei mai immaginato!– Sapevo che i topi sono furbi, ma mai avrei pensato che provassero com passione fino a questo punto! –Non solo: quasi tutti gli animali combattono fino alla morte per difen dere coloro che amano. I loro cuccioli, in alcune specie persino i loro com pagni, o i membri della loro famiglia.– –Ci siamo resi conto che questo comportamento migliora le possibilità di sopravvivere del resto del gruppo. Se un animale preferisce salvare la propria vita e lasciar morire i suoi cuccioli, ad un certo punto, non ci saranno più cuccioli. E quella specie scomparirà. –Gli animali che non provano queste emozioni, tanto forti da vincere il loro istinto di sopravvivenza, non sono in grado di garantire la sopravvi venza della loro specie. Alcuni, come i pesci, risolvono il problema facendo centinaia di figli, ma non tutti gli animali ne sono capaci.– –In altre parole, mi stai dicendo che per prosperare, per sopravvivere, bisogna amare…– Rai’ansama ride piano. –Sì, credo che la possiamo mettere giù in questo modo.– –E questo cosa c’entra con quella macchina?– –Se le emozioni sorgono naturalmente là dove c’è un cervello che pensa e ricorda… se sono un prodotto inevitabile… allora, anche le nostre mac chine, che pensano e ricordano, possono imparare ad avere emozioni. Anzi. Forse non possiamo evitare che le provino.– Annuisco. –Questo… spiegherebbe perché quella Ai che era nell’Uovo abbia voluto sacrificare sé stessa per salvare Hikari…– 308 Rimaniamo in silenzio per un po’ a rimuginare sulla cosa. Ma io ancora non ho avuto la risposta che cercavo. –Ma, Rai’ansama… allora questa Hikari che cos’è? E l’anima della Hikari che stava morendo, che fine ha fatto?– –All’inizio, questa Hikari era la copia esatta di tutti i ricordi, i pensieri, la personalità, il modo stesso di pensare della Hikari in carne ed ossa. Era come una sua sorella gemella, nata in quel preciso istante.– –Quindi… una cosa diversa? Non era la stessa Hikari che stava morendo?– –No. Nell’istante stesso in cui la nuova Hikari ha iniziato ad esistere, ha anche iniziato ad essere diversa. Se entrambe avessero pensato “io”, avreb bero pensato ad una cosa distinta.– –Quindi… Ai non ha trasferito l’anima di Hikari nell’Uovo…– –No. Ha creato un nuovo essere, che condivideva i ricordi di una vita con la Hikari che stava morendo.– –E quindi… una nuova anima?– –Io… credo che… possiamo dire così. Sì… una nuova anima.– Guardo lo spettro seduto per terra. Probabilmente si sta facendo le stesse domande, ma non può sapere tutte le cose che Rai’ansama conosce delle macchine, dei cervelli, delle anime e degli animali. Probabilmente, non sa darsi una risposta. Non sa chi… che cosa è. Deve essere atroce. Pensare a quello che deve provare adesso mi fa stare male. Rai’ansama mi prende delicatamente per un braccio, e mi dice: –Lasciamola stare. Credo che in questo momento abbia bisogno di stare sola.– Annuisco. –Piuttosto… ancora non siamo riusciti a trovare un pensiero per attivare lo scudo…– Ecco, lo sapevo che saremmo arrivati a questo. Midori sta facendo sal tellare una masso grosso come la pancia di un lottatore di sumo nell’aria, come se fosse la palla con cui giocano i bambini, e io non sono ancora riu scita ad usare questo scudo una sola volta. Arrossisco e chino lo sguardo. –Dai, lascia che ti dia una mano…– 309 L’onsen della hime (M) Quando finalmente Kaori è riuscita a stendere lo scudo magico, e l’aria si è piegata davanti a lei, ha fatto una faccia… Quasi non ci credeva! Chiamava “Rai’ansama, Rai’ansama!” tutta emozionata, come una bambina che vede per la prima volta, che so, un animale strano… Il sole sta tramontando, e lei, adesso, è tutta sorridente. Io non sono ancora riuscita a scagliare qualcosa lontano, però riesco a sollevare cose pesantissime come se fossero palle di piume! Uhm… credo di avere la stessa faccia di Kaori… E anche Jirou, adesso riesce a tenere lo scudo ben fermo, anche mentre tiene la spada impugnata con la destra. Oborozuki in una mano, lo scudo magico di Rai’an nell’altra… i capelli al vento… lo sguardo intenso… Ah, il mio Jirou! Altro che Yamato Takeru! –Midori…– mi chiama Kaori. –Ehm, sì Kaorisan?– –A cosa stavi pensando?– –Eh? Ah, no nulla…– Come ha fatto a leggere nel mio sguardo quello che pensavo? Ah, poteri di una miko anziana! Meno male che il sentiero è pieno di pietre sporgenti, e bisogna fare attenzione a non scivolare, altrimenti mi sa che avrebbe finito per farmelo dire. Ma non glielo permetterò! –Piuttosto, Kaorisan… quand’è che mantieni la promessa?– Ad un centinaio di passi intravediamo l’onsen di Mitsue, la Fonte della Principessa. È lì che siamo diretti, per un bagno rilassante dopo il viaggio del mattino e l’allenamento del pomeriggio. –Quale promessa?– Fa finta di scordarsene, la faina! –Quella che abbiamo scambiato sul Sacro Monte Miwa!– –Ah… quella promessa… beh… l’ho già mantenuta.– –Eh?– –Sì, gliel’ho già detto.– Ah… gliel’ha già detto… certo, naturalmente, glie… COSA!?!? –Eeeeeeh?– –Sì, due sere fa, quando eravamo ospiti dei Souhei ad Hasedera…– –E non mi hai detto nulla!?!– –E perché avrei dovuto? Sei già abbastanza impertinente senza che io ti dia altro materiale su cui lavorare…– 310 –Ma mi avevi promesso!– –Certo. Che glielo avrei detto. E l’ho fatto.– Non fa una piega. Ma non è giusto! Uffa, mi sono persa tutto il diverti mento… anche se un po’, l’avevo sospettato… quella mattina, Kaori era davvero troppo allegra, e Rai’an troppo strano… –Vabbeh… e, dimmi, dimmi, lui che ti ha detto?– –Niente.– –Eeeeh?– –Non gli ho dato il tempo di rispondere. Gli ho detto quello che dovevo, e poi ho detto che era meglio rientrare.– Ma come!?! Ma le devo insegnare proprio tutto? –E non ha proprio più detto niente?– –No. Se non l’avessi tirato dentro, mi sa che sarebbe rimasto lì impalato per tutta la notte.– –…almeno, dimmi che faccia ha fatto…– Kaori si ferma; il suo sguardo si scioglie in un sorriso che si perde nel vuoto, colmo del suo ricordo… … quando Rai’an, da dietro, ci raggiunge e chiede: –Perché vi siete fer mate?– Kaori arrossisce fino alle orecchie, butta lì un –No, niente…– e si mette quasi a correre. Quando la raggiungo, mi sgrida sottovoce: –Dai, smettila! Vedi cosa mi fai fare?– –Io ho solo chiesto… insomma… avrei voluto sapere lui che cosa ha da dire…– cerco di sussurrare. Il volto di Kaori si rabbuia. –Cosa vuoi che abbia da dire… Io ho solo compiuto il mio dovere. Era giusto che sapesse cosa provo per lui. Questo è tutto.– La sua voce ora è rigida. –Ma… se non ti dice che ti ama, siamo al punto di partenza…– –Ma che vai farneticando?– Kaori si ferma di colpo e mi rivolge uno sguardo di fuoco. –Sì, insomma… anche lui, non può mica mentire, il suo makoto…– –Mentire? E perché dovrebbe?– –Kaorisan, è lampante che ti ama!– Ora mi uccide. Ha promesso che alla peggio mi avrebbe abbandonata nel deserto, ma stavolta mi uccide. –Ma come osi parlare in questo modo!?– 311 Per fortuna Rai’an ci raggiunge nuovamente. Almeno per stavolta, vedrò un’altra alba. –Allora, si può sapere che vi prende?– –Nulla, Rai’ansama… questa mocciosa impertinente si burla di me…– e mi tira la coda dei capelli, strattonandomi e spingendomi, mentre digri gna fra i denti, –Cammina… e taci.– Cammino e taccio. L’onsen di qui è davvero grande. E affollato, almeno a quest’ora. L’acqua fuma scendendo tra le rocce, e sembra molto allegra, e contenta delle risa e delle chiacchiere serene della gente del villaggio che vi si bagna. E dei visitatori. Come noi. E su tutte, le voci festanti dei bimbi, che si tuffano felici, giocano, e poi vanno a cercare le mamme e i papà. I conta dini, anche se stanchi per il duro lavoro sotto al sole, hanno ancora qualche energia per i loro piccoli, e insegnano loro a stare a galla e a nuotare un po’, anche se i posti dove l’acqua è abbastanza profonda sono assai pochi. Cerchiamo un posto dove lasciare le nostre cose; dopo aver guardato un po’ attorno, Kaori si dirige sicura verso alcuni massi appartati, circondati da cespugli e bassi arbusti. Si avvicina con una certa aria di familiarità; leggo dal suo sguardo soddisfatto che questo doveva essere il suo posto preferito, nelle precedenti visite. Poi, si avvicina ad una pietra dalla som mità quasi piatta, su cui è facile sedere, e si ferma. La guarda con un velato, etereo sorriso, e i suoi occhi si fanno distanti… credo di capire il ricordo che sta rivivendo. Un sospiro, ed eccola annunciare: –Qui va bene.– Inizia a slacciarsi il fiocco dell’hakama; faccio altrettanto. Sento rumore di ferro smosso da dietro; cinghie di cuoio che si slacciano. Ma prima di aver finito di sciogliere il nodo, sento Rai’an chiedere con un filo di voce: –Ma come… qui?– –Sì– risponde Kaori, senza fermarsi. Non è elegante, ma mi volto: Jirou è di spalle e si è già liberato della corazza; la sua schiena sembra scolpita nei massi che lo circondano. Mi riesce difficile distogliere lo sguardo, ma quando ci riesco, vedo Rai’an, rosso come prima era rossa Kaori, immobile. Come se non fosse mai stato in un onsen. Oh. Ora che ci penso, probabilmente non c’è mai stato! Non si è mai liberato di quelle vesti che ci vengono posate addosso quando passiamo per l’adolescenza e per la pubertà, non ha sentito l’aria calda che sale dall’acqua termale accarezzargli il corpo, non è mai tornato bambino, in quell’atto di abbandono così sereno che è immergersi nell’acqua pura e calda che scende dal cuore delle rocce. Non ha mai con 312 diviso questo piacere con parenti, amici e perfetti sconosciuti; è qualcosa che rinsalda la fratellanza fra gli esseri umani, che ti permette di vedere, sentire, parlare con chi hai di fronte non come un contadino, un guerriero o una miko, ma semplicemente come una persona. Un piacere che ci fa tor nare ad essere quello che siamo: creature di questa Terra, spiriti che si intrecciano, uguali eppure distinti, molti eppure uno, fra di noi e con la Terra. Un po’, mi spiace per lui. Ma un po’, sono eccitata all’idea di introdurre uno straniero a questo rito, a questo piacere. E curiosa. Sì, sono curiosa di sapere se anche una persona, straniera e adulta, che prova per la prima volta un onsen sulla sua pelle, possa percepire la stessa cosa che provo io, che li conosco e li ricordo da ancor prima di quando andavo in giro gatto nando. –Rai’ansama… su, avanti… non vorrai farci aspettare? È da un sacco che non entro in un onsen bello come questo!– lo incito. –Ma…– Mi giro verso di lui; intanto, Kaori ha piegato il suo hakama e l’ha posato su un sasso, e si sta togliendo i tabi. –Guarda tutta questa gente. Ti sembra che ci sia qualcosa di cui vergo gnarsi?– –Beh… suppongo di no.– Rai’an si guarda intorno. Uomini, donne e bambini, liberi da ogni veste, sono seduti sul bordo dell’acqua, o vi si immergono, i più giovani si tuf fano. Alcuni si asciugano, si rivestono e già vanno via. Altri, ancora vestiti, chiacchierano con chi è già nell’acqua, e si spogliano senza fretta. Rai’an sospira profondamente, e il rossore sul suo volto si affievolisce. E poi dice piano, ma non abbastanza da dirlo solo a sé stesso: –E va bene… del resto, che antropologo sarei se non sapessi accettare le culture che studio?– Mi giro e finisco di spogliarmi. Ahhhhhhhhhh l’acqua dell’onsen… finalmente! Mi sdraio accanto a Kaori. L’acqua mi avvolge fino al collo, fino al mento. –Ahhh, ci voleva proprio, eh, Kaorisan?– –Uhmpf…– mi risponde svogliatamente, col volto appena fuori dal pelo dell’acqua, gli occhi chiusi in estasi. Non credo che avrò altre soddisfa zioni da Kaori, per stasera, quindi mi rivolgo a Jirou. I nostri uomini si sono immersi a cinque o sei braccia da noi, quindi devo spostarmi un po’. –Jirou…– 313 –Sì, Midorisan?– risponde, senza guardarmi. Lui sta col petto fuori dall’acqua, seduto sulle pietre del greto della sorgente a gambe conserte. Rai’an cerca di imitarlo, ma… stringendosi nelle braccia e curvo sulla schiena, quasi a chiudersi come un guscio. –Com’è stato, usare lo scudo?– è la prima cosa che mi viene in mente per attaccare bottone. –Difficile.– risponde secco. Uffa, che musone! Cerco un posto comodo per sedere accanto a lui, e poi qualcos’altro da dire, ma mentre mi sta per venire in mente qualcosa, una giovane coppia di contadini attira la mia attenzione. I loro due bimbi, un bimbo e una bimba, giocano sulle gambe del papà, che sta dicendo, con veemenza, a sua moglie: –Ti dico che c’è una stella più grande in cielo!– –Sarà tutto quel saké che vi siete scolati ieri sera, tu e i tuoi amici scan safatiche…– –Ma se abbiamo lavorato fino al tramonto!– –Sì, certo, e come no…– –Insomma, era enorme, quasi come l’unghia del mio pollice!– –Allora era più grande della luna.– –No, non così grande… forse del mignolo…– –Insomma, era grande come l’unghia del pollice o del mignolo?– –Non lo so, ma era più grande del normale! Si vede benissimo!– –Ah sì? E com’è che l’hai vista solo tu?– –Dal villaggio non si vede, è bassa sull’orizzonte. Si vede solo dai campi…– Il litigio fra i due sposini perde tutto il suo interesse non appena Jirou si siede più comodo… sembra quasi casuale, ma questo lo porta più vicino a me. –Sai…– attacca a dire. Cioè… mi rivolge la parola! Per primo! –…Questa cosa è un po’ strana…– continua. –Strana? Mi sembra normale che sia strana!– Sorride. Il mio Jirou sorride! Ah, magia dell’onsen, capace di scogliere anche i musoni più duri! –Sì, giusto… niente di questo è normale, ma… vedere l’aria che ondeg gia così… la mia mano che piega l’aria davanti a me… non è strano?– –Eh sì.– –Midorisan… sei la più brava di tutti noi. Come fai?– 314 –Uh, no, ecco io…– mi fa arrossire. Che stupida, siamo nudi a un palmo l’uno dall’altra e arrossisco per un complimento! –Credo… ho fatto solo quello che mi ha detto Rai’ansama.– –Anche io ho cercato di farlo. E anche Kaorisan…– –Uh, ecco… io… cerco di … uhm … come dire … sognare. Sì, sognare a occhi aperti. Credo sia questo. Ho semplicemente sognato che quel masso saltellava fra le mie mani, e poi… ha fatto tutto la macchina di Rai’ansama.– –Sognare…– lo sguardo di Jirou si perde nel vuoto. –Ma come… tu non sogni, Jirou?– … oh, mio Jirou, tu non sogni di me?, vorrei dire… ma questo lo taccio. –È da tanto che non sogno.– –Non sogni? Non è possibile: tutti sognano.– –Sì, volevo dire… a occhi aperti. Di notte, mi capita, ogni tanto, di sognare.– –Ah, ecco, volevo ben dire. E … cosa sogni?– –Sogno di combattere con guerrieri invincibili. Sogno di provare il mio valore in battaglia.– Ecco, appunto. Che sogni noiosi. –E … non sogni… che so… una donna?– Sarebbe il turno di Jirou di arrossire. Ma a quanto pare, passa la mano, e mi risponde: –No. I sogni di passioni terrene sono troppo volgari per attra versare l’anima di un guerriero.– Ma tu sei un contadino. Con una spada. Vorrei dirgli, ma non mi va di ferirlo così. E poi… che sia nato contadino, è vero, ma ora è il saburahi di un kamii. Non credo ci sia guerriero in tutto il Giappone che possa vantare una posi zione tanto nobile. Ecco, il mio Jirou è il guerriero più nobile di tutto il Giappone! Lo osservo. Lo ammiro. In silenzio. Cena al santuario (K) Di solito, niente mi riappacifica con me stessa come una lunga, lunga visita ad un onsen. E, per una volta, Midori mi ha anche fatto la grazia di lasciarmi sola con i miei pensieri, a godermi l’acqua che scorre sul mio corpo. Eppure… 315 Rientriamo all’imbrunire; siamo quasi gli ultimi ad abbandonare l’onsen. La strada preme scura, e sebbene molta gente la percorra assieme a noi, a qualche decina di passi davanti o dietro, mi rendo conto che sono stata un po’ imprudente ad attendere tanto a lungo. Fra tutte le cose che temo, essere sorpresa dal calare delle tenebre qui, nel cuore del Regno di Uda, occupa un posto assai preminente. E c’è un’altra cosa che mi preoccupa. Quando ci siamo immersi non ci ho fatto caso; ma quando siamo usciti dall’acqua, mi sono accorta delle occhiate insistenti che la gente del villaggio rivolgeva a Rai’ansama. Non era il suo corpo, fuori del comune, né il suo volto, né i suoi capelli d’oro. C’era qualcos’altro. Un vocìo preoccupato, agitato, mi è sembrato come il ronzio di un alveare disturbato, non so… non mi è piaciuto. Anche per questo, accelero il passo, in silenzio. La casa di Fuyutsuki, a fianco del Santuario di Mitsue, è il mio rifugio in questa terra aliena. I kamii che proteggono i luoghi abitati dalle genti sapranno essere il mio scudo e il mio conforto. E… il caldo abbraccio di Fuyutsuki… il ricordarlo mi rasserena, e mi strappa un sorriso. Sulla superficie agitata delle acque dei miei pensieri, galleggia per un momento l’idea che questo pensiero potrebbe essere blasfemo, nel mare di amore che provo per Rai’ansama. Ma è un attimo. No, non v’è peccato in quel passato che ha fatto di me la donna che sono. E, se nell’indulgervi, forse, si scivolerebbe in una pas sione indegna della purezza dei miei sentimenti, nel ricordarli, anche con affetto, anche con tenerezza, non v’è alcun male. Eccoci arrivati: il tratto è breve. Passiamo sotto il torii proprio mentre iniziano a brillare le prime stelle, e il cielo ad est si ammanta di un pro fondo blu scuro. –Giusto in tempo!– sospira con sollievo Midori, e si affretta verso le lanterne che segnano l’ingresso dell’abitazione di Fuyutsuki; le ha accese per noi. Sorrido a questo pensiero, quando la voce di Rai’ansama scende sulle mie spalle come uno scialle per ripararmi dall’umidità del crepuscolo. –Dì la verità… farmi spogliare davanti a tutta quella gente ti diverte un sacco.– –Saa…– rispondo con aria misteriosa, senza girarmi. Lo immagino sor ridere e scuotere la testa, mentre ci avviamo spalla a spalla verso la soglia. Jirou è l’ultimo a entrare. Prima di farlo, si guarda nervosamente intorno, come se si aspettasse di vedere qualcuno appostato dietro gli alberi e gli edifici del santuario. Torno un po’ sui miei passi e gli chiedo piano: –Qualcosa non va?– –La gente del villaggio… ci guardava in modo strano.– 316 Allora se n’è accorto anche lui! Cominciavo a chiedermi se non fosse stata una mia fantasia. Ma… un momento… –Ci… guardava? Intendi… noi?– gli chiedo. Lui annuisce, sondando ancora il buio sempre più denso con i suoi occhi penetranti. Io avevo fatto caso solo a come guardavano Rai’ansama. Oltre la soglia, Fuyutsuki e una miko del tempio ci accolgono, e lui, con una nota di preoccupazione, ci dice: –Meno male! Cominciavo a chiedermi che fine aveste fatto.– –Ci siamo trattenuti a lungo all’onsen.– –Oh, bene, bene… tutti i pellegrini fanno tappa all’onsen…– E voi siete pellegrini, vero? Questo vorrebbe chiedermi, lo sento. Conosco Fuytsuki troppo bene. Gli sguardi della gente del villaggio, l’insolita apprensione in Fuyu tsuki… tutto questo mi piace sempre meno. Ma proprio per questo, decido di far finta di nulla. Anche lui mi conosce troppo bene, e sa che non posso non essermene accorta. Sa che la mia indifferenza non è disattenzione: è una misurata risposta. E Fuyutsuki capisce. Con lo sguardo mi sta dicendo che non mi chie derà altro. Se non amassi Rai’ansama, lo troverei adorabile. Le miko del tempio ci hanno preparato una cena a base di spaghetti di farina di grano saraceno. Una prelibatezza che viene dalla Cina, nonché la specialità del luogo. Fra di loro, ci sorride timidamente Mayumi. Non indossa ancora lo shi roi bianco e l’hakama rosso, ma le due giovani miko che le stanno a fianco le sono così vicine che sembrano come sostenerla fisicamente, anche senza poggiare le mani su di lei. Mi fanno domande su come sia essere una miko anziana. E come volete che sia, rispondo, è come essere una miko giovane, ma… più anziana. Loro mi invitano a smettere di scherzare, e così racconto loro della sen sazione che provo all’alba del giorno in cui inizio un viaggio per sbrigare gli affari del santuario di Koumon. E di come sia difficile sostenere i kan nushi nei loro alti incarichi, oltre a svolgere il compito di purificare la cor ruzione del Regno delle Ombre, che è riservato a noi. E su quest’ultimo punto, hanno molte domande. Non sul sostegno ai kannushi… su come sia lottare contro il Regno delle Ombre. 317 –È una lotta difficile. Spesso è estenuante. Per purificare dalle ombre della corruzione i luoghi più infestati, ho lottato anche tutta la notte, fino alle prime luci dell’alba.– –Dev’essere terribile!– dice la più giovane, Saeko, una ragazzina appena un po’ più grande di Mayumi. –Certo, è faticoso… e a dirla tutta… sapete… fa anche un po’ paura. Ma ho sempre sentito Tougasama al mio fianco, sussurrarmi parole di sag gezza e di sapienza, che erano come spade, come frecce che potevo rivol gere agli spiriti maligni.– –Io… ho già fatto un paio di esorcismi…– attacca titubante Kaede, una ragazza dell’età di Midori, –…forse tre, anche se l’ultimo era uno spirito tanto debole che riuscivo a percepirlo a malapena.– Sono vagamente conscia del fatto che Rai’ansama ci sta osservando con insistenza, da un angolo in ombra del tavolo dove stiamo cenando. Anche se Kaede sembra la più grande fra le giovani miko di questo tem pio, è chiaro che Fuyutsuki non le ha assegnato un ruolo superiore alle altre. Sono ancora tutte troppo giovani, e inesperte, per affrontare i pericoli più oscuri del mondo degli spiriti, e di quello degli esseri umani. E, a dirla tutta, nessuna mi sembra avere una briciola delle capacità di Midori. Forse, la nostra Mayumi… un giorno… –Kaorisan…– inizia a chiedermi, come se avesse sentito il peso del mio pensiero su di lei. –Dimmi, Mayumi.– –Si può… purificare uno spirito maligno… con il canto?– –Beh… i norito sono una guida, sono le parole che possono guidare la nostra anima a quella risoluzione, a quella determinazione che ci consen tono di assorbire il male e purificarlo… ma… molte cantano i norito senza nemmeno pensare a quello che dicono.– –Come un mantra?– mi chiede Tsubaki, una ragazzina piccola e paffuta, dall’aria un po’ assente. –Uhm, mah, credo di sì… che sia quasi la stessa cosa.– Ben prima di aver finito di mangiare, chiudiamo gli scuri; restano solo fioche lanterne a illuminare la nostra cena. Parliamo piano. Jirou, Rai’an sama e Fuyutsuki non parlano affatto. La regina fantasma (R) –Rai’ansama…– 318 Non sarebbe la prima volta che Kaori mi rivolge la parola a notte fonda, prima di addormentarsi. Ma questa non è la voce di Kaori. Apro gli occhi e mi aspetto di trovarmi nell’oscurità della stanza, ma l’ologramma generato dal nucleo centrale la illumina di una fioca, pallida luce azzurrina. –Rai’ansama…– ripete l’ologramma inginocchiato al mio fianco, più piano, quasi supplicante. –Dimmi, Hikari. O forse, dovrei chiamarti Hikarisama, dal momento che sei una regina…– –Hikari è il modo giusto per rivolgerti a me, o mio mikoto.– –Non sono un mikoto, Hikari… sono un uomo.– –È bello che tu abbia tanta confidenza nella tua natura, Rai’ansama. Poiché io l’ho persa.– Il visino della giovane regina si china verso il basso, e trema. Mi alzo sui gomiti. –Hikari…– –Ho riflettuto a lungo, Rai’ansama.– mi interrompe lei. La voce è quella di una giovane donna, ma l’imperio nelle sue parole è quello di una regina. –Ai è stata la presenza più importante, e più cara, che abbia mai incro ciato il mio destino. Devo a lei l’essere stata capace di reggere le sorti degli Yamatai. Senza il suo aiuto, senza i suoi consigli, senza la sua immensa saggezza, non avrei potuto essere che una briciola di ciò che sono stata. –E per tutta la vita, mi è stata accanto, senza chiedere nulla in cambio. –Quando mi scoprii spettro, all’inizio, fui furiosa per essere stata abban donata nella morte. Ma poi mi resi conto che Ai mi era stata così vicina in vita… non potevo pretendere che continuasse a vegliarmi oltre la soglia della notte. –E ora che so la verità… ora che so che Ai ha sacrificato sé stessa per permettere a me di vivere quell’esistenza che era la sua… provo vergogna per quanto rancore ho provato quando credevo di essere stata abbandonata. –Rai’ansama… Ai ha creduto che io fossi in grado di assisterti nella tua missione. Per tutta la vita terrena, le sono stata debitrice; e ora, le sono debitrice anche per la mia vita ultraterrena. Se esiste un modo per ripagare il mio debito, è quello di assecondare la sua volontà.– La regina sospira, pur senza muovere un filo d’aria, e mi guarda dritto negli occhi, anche se so che non sono i suoi occhi a vedermi. 319 –Rai’ansama… – Hikari, la himiko, la reginasacerdotessa degli Yama tai, si inchina, posando la fronte sulle mani congiunte davanti alle ginoc chia. –Giuro di servirti fedelmente, fin tanto che i miei servigi saranno da te richiesti.– Cosa dovrei dirle? Non ne ho idea. Ma è lei a parlare nuovamente. –Solo… è terribilmente sconveniente… e imbarazzante… ma… io non so cosa devo fare!– Arma letale (M) Rai’an ha l’aria stanca. È la seconda volta che lo vedo stanco; la prima è stata sulla cima del monte Miwa. Quello era stato il suo primo incontro con la bimba fantasma che ora se ne sta seduta, quasi trasparente, su un tronco poco distante. E ora, dopo aver passato la notte con lei, ha la stessa stanchezza. A quanto pare, ogni volta che ha a che fare con Hikari, Rai’an si stanca… Li ho sentiti parlare piano mentre mi stavo addormentando; ad un certo punto, Rai’an si è alzato, ha preso l’Uovo di Cristallo ed è uscito. Sup pongo che dovesse parlare a Hikari. O che Hikari dovesse parlare a lui. Ad ogni modo, credo che Kaori sarebbe gelosa; Hikari lo guardava così… bra mosa… Si può essere gelosi di un fantasma? Uhm… se un fantasma insidiasse il mio Jirou… come reagirei? Ad esempio, il fantasma della gallina laggiù ad Hasedera. Cioè, non è ancora un fantasma, ma lo sarà dopo che l’avrò strozzata con le mie mani. Uhm… sì, credo proprio che… –Midori, vuoi stare attenta?– –Oh, sì, scusa Rai’an…– Kaori, intenta a giocare col suo scudo, si gira e mi tira un’occhiata di fuoco, e io capisco che devo aggiungere –…sama.– –Quella che ti affido è un’arma molto pericolosa. Il migliore degli archi è un giocattolo innocuo, al confronto. Mi segui?– –Uh uh.– annuisco sonoramente. –Bene. Lo scudo serve per difesa, anche se, usato in un certo modo, può ferire o stordire anche il guerriero più forte. Questa, invece, serve princi palmente per uccidere. Quindi apri bene le orecchie e gli occhi.– Vorrei annuire ancora, ma l’idea che Rai’an mi metta fra le mani un’arma tanto potente mi fa paura. E a un paio di braccia, il visino tondo e trasparente di Hikari mi sbircia intensamente, e mi fa sentire a disagio. 320 Rai’an stende il braccio; nella mano, ha quella specie di uovo, con una impugnatura simile a quella di una spada, che esce da un fianco. Rivolge la punta dell’uovo in avanti, un po’ in basso, verso una roccia a un paio di passi da noi, alta quanto le mie ginocchia. Come stende il braccio, disegni colorati si proiettano nell’aria attorno alla parte posteriore dell’uovo; Rai’an ne tocca un paio, e la punta si illumina, tanto forte che guardarla fa quasi male. Poi un lampo, un sibilo, e la roccia scoppia con un gran fra stuono! Grido. E grida anche Kaori. Jirou non grida, ma cade a terra per lo spavento. Hikari non grida, ma il suo volto quasi scompare, per poi riapparire die tro al tronco sul quale era seduta, le manine poggiate appena sulla som mità, con solo la fronte e gli occhi a sbirciare da dietro il riparo. Rai’an mi guarda, e mostra un disegno nell’aria, che appare giusto sopra l’uovo. È un rettangolo di due colori: un pezzettino rosso, in basso, e una lunga striscia blu sopra di esso. –Ecco; la potenza era regolata al cinque per cento. Significa che potresti emettere una scarica venti volte più potente di questa.– –Venti volte più potente… significa che potrebbe fare un tuono venti volte più forte?– –Oh, molto di più: con questa scarica, avremmo potuto distruggere una roccia ben più grande di quella.– Mi tremano le gambe. Davvero, sento il bisogno di sedermi. Ma non c’è nulla su cui sedersi… a parte il tronco dietro al quale è nascosta Hikari. E così la raggiungo. E mi siedo accanto al suo musino, ancora terrorizzato. –Midori… tutto bene?– –Sì, sì, Rai’an, scusa… non è niente.– –Bene. Oltre all’esplosione… al tuono… quest’arma può generare calore.– Rai’an sfiora alcuni disegni, e poi punta l’uovo in direzione di un grosso sasso, più piccolo di quello di prima. Mi tappo le orecchie in previsione del tuono; vorrei chiudere forte gli occhi, ma non ci riesco. Lampo. Sibilo. Ma non c’è il tuono; stavolta, la roccia si scioglie come cera lasciata al sole; il tempo di qualche batter di ciglia, e dove c’era la pie tra ora c’è una pozzanghera di melma rossa, che ribolle e fa tremare l’aria come un miraggio in piena estate. Ho già visto qualcosa di simile. È la terra nuova che nasce dai vulcani, che esce dal ventre del Mondo, calda tanto da sciogliere il ferro. 321 –Ohh! Mio mikoto, tu domini il potere delle montagne di fuoco!– Hikari tira fuori il viso dal suo nascondiglio, e tutta seria, dice queste parole, mentre fissa la pozza perdere il suo colore, e smettere di bollire. –Non sono io… è quest’arma… Beh, insomma; una terza funzione è quella di stordire le persone, o gli animali, nel raggio di alcune braccia.– Altri tocchi sapienti delle dita di Rai’an, e le luci cambiano forma; tende il braccio lontano da noi tutti, e a dieci, forse dodici passi, le foglie degli arbusti e i rami più bassi degli alberi si piegano e ondeggiano vibrando. Anche da qui, dietro le spalle di Rai’an, riesco a sentire l’aria che si sposta e batte sulla mia pelle. –Ecco, se lì ci fossero state delle persone, ora sarebbero a terra, stordite. Probabilmente, svenute. Midori…– Si gira verso di me. E mi sorride. Il cielo dei suoi occhi mi sorride. –Ho bisogno che tu impari ad usare quest’arma. Ne avrò una anche io, ma potrebbe non essere sufficiente. E per quanto l’arco di Kaori e la spada di Jirou siano armi temibili, questa potrebbe rendere inoffensivi molti avversari in un istante, o aprirci un varco, una via di fuga anche nel muro più impenetrabile…– Scordatelo, straniero! Non voglio avere fra le mani una cosa tanto peri colosa! Se sbagliassi a usarla, potrei fare del male a qualcuno senza volerlo; anzi, potrei finire per fare del male a voi! No, no e poi no! Questo penso. E stavolta non ci casco. Non lo guardo, il tuo sorriso. Non li guardo, i tuoi… occhi… così… innocenti… –Va bene…– Eh? ma che dico? Io volevo dire … no … e poi … no … Rai’an si avvicina e si inginocchia accanto a me, che sto ancora seduta sul tronco. Mi prende la mano, e la apre delicatamente. La mia manina sembra una foglia che si agita nel vento, la sua grande mano è una culla sicura. La pelle del suo palmo sul dorso della mia mano… non posso muo vermi. –Rai’an…– Sussurro, ma lui continua a sorridermi, e posa l’uovo distruttore nella mia mano. L’uovo emette luci e suoni che, capisco, devono avere un senso. Ne sono rapita. D’improvviso, la paura si dissolve, e divento curiosa… curiosa di penetrare il significato di quella magia che ho fra le mani. –Vieni, che ti spiego come si usa.– 322 Muore una stella (K) L’allenamento di questo pomeriggio è stato estenuante. Mentre Midori e Hikari giocavano con l’uovo che scioglie le pietre, Jirou ed io ci siamo messi a provare lo scudo deflettore … così Rai’ansama dice che si chiama… l’uno contro l’altra. All’inizio, l’idea era solo quella di tenere fermo … stabile, ha detto Rai’ansama… il più possibile, premendo a vicenda sullo scudo dell’altro. Ma presto, il nostro esercizio ha assunto un senso più profondo. Jirou… non avrebbe mai voluto apparire inferiore a me agli occhi del suo Daimyou. Ed io… non avevo certo intenzione di permettere a quel figlio di contadini di credere che ci fosse qualcosa, qualsiasi cosa, in cui potesse battermi. Jirou ha una forza fisica straordinaria. Il suo solo corpo è già imponente. Gli arriverò sì e no a metà del petto. E, credo, ci vorrebbero due donne come me per fare il suo peso. Ma qui non si tratta di una sfida sul piano della forza fisica. Non era col corpo che dovevamo spingere; ma con la mente. E su quello, nessuno può battere una miko anziana. Una miko come me. Anche se, devo ammettere, la disciplina, la meditazione che Jirou ha appreso quando ha ricevuto gli insegnamenti di base dai monaci, non è una tecnica da sottovalutare. Infatti, è stata una lotta dura. Il gelo nello sguardo di Jirou… per essere un ragazzotto di campagna, sa il fatto suo. Se fossi un guerriero e mi tro vassi di fronte a lui, preferirei affrontare il filo della sua lama che non il gelo del suo sguardo. Lo ammetto. Anche se non vorrei. È una persona fuori dal comune. Del resto, è il saburahi di Rai’ansama… non gli permetterei di essere nulla di meno che straordinario. Ma non mi aspettavo che lo fosse così tanto. Fatto sta che l’allenamento è stato pesante. Ricordo che, poco prima del tramonto, ci siamo detti qualcosa come “Un salto all’onsen?” e qualcuno ha risposto “sì, riposiamoci un attimo e poi andiamo”… la brezza di mezza primavera che arrivava calda da est, portando un lontano sentore di mare… la tranquillità di sapere che Rai’an sama ci avrebbe avvisati di qualsiasi pericolo… l’idea era quella di sten derci un po’ al sole e riposare un po’ la schiena e gli occhi… E ora che li riapro, l’imbrunire è già quasi del tutto sbiadito in notte. 323 La cosa mi darebbe fastidio, non fosse altro che per la strada buia, anche se breve, che separa l’ampia valle dei campi da quella stretta dove si trova il grosso del villaggio. Ma c’è così tanta luce, che non mi sembra il caso di preoccuparmi. Del resto, è una notte di luna piena. Anzi, una notte con due lune piene. Bene, quand’è così, posso svegliarmi lentamente, con comodo… Già, con due lune, tutto è più chiaro… Eh, sì, due lune… Eh? DUE LUNE!?! Scatto seduta, e guardo il cielo. Sì, ci sono proprio due lune; anzi, una è la solita faccia della luna piena, l’altra è una luce bianca, ancora più intensa della luna, uniforme, una macchia di latte nella volta celeste. Mi tiro un pizzicotto. No, non sto sognando. Sono sveglia. –Ra… Rai’an… Rai’ansama.– chiamo, incapace di controllare la mia voce, e lo scuoto per un braccio. Lui, sdraiato accanto a me, si desta quasi subito. Anche Midori e Jirou si alzano; e Hikari appare fra di noi. Vedo la maschera di serietà che Jirou indossa sempre sbriciolarsi. Midori affila gli occhi e poi se li stropiccia, due, tre volte. Ma l’altra luna non se ne va, resta lì dov’è. Ma Rai’ansama… all’inizio ha un’espressione seria… ma poi, lenta mente, vedo sorgere sul suo volto un sorriso, come il sole che sorge piano al mattino. –Già… questo è l’anno mille e sei…– dice piano. Quando il suo sorriso raggiunge culmine, lo sento sussurrare, o forse dire a tutti noi: –Non ne avevo mai vista una con i miei occhi…– –Rai’ansama… tu … sai che cos’è quella?– –È una cosa che capita una volta ogni cento, duecento anni. Gli antenati della mia gente le chiamavano novae, ossia, appena nate, perché crede vano che fossero stelle che nascevano in cielo. Secondo le nostre ricerche, questa è la più grande che si sia mai vista da quando l’uomo ha imparato a scrivere.– Rimaniamo in silenzio per alcuni istanti; gli occhi di tutti noi sono pun tati sulla grande palla bianca, dai bordi sfumati come quelli di una cometa, che illumina il cielo quasi come fosse un altro Sole. È Hikari che parla per prima. –Allora, quelle erano stelle appena nate… non ne avevo mai vista una tanto grande…– 324 Lo dice come se ne avesse viste molte. Se capita una volta ogni cento anni, e lei ha vissuto… o è esistita, per quasi mille anni… ne avrà viste una decina! –No; i miei antenati si sbagliavano. In realtà, quella è una stella che sta morendo.– Ci giriamo tutto verso di lui. –Le stelle… muoiono?– chiedo con un filo di voce. Rai’an annuisce, sorridente. Ma, a me, il pensiero stringe il cuore. Le stelle… lassù, sempre le stesse… eppure, anche esse muoiono? –Ma… non è possibile… se sta morendo, perché brilla tanto?– chiedo. –Vedi… le stelle sono fatte di…– sembra cercare una parola che possa usare per spiegarmi ciò che sa. Capisco; nessuno della mia gente ha mai dato un nome alla materia di cui sono fatte le stelle. Forse… luce… o fuoco… ma la parola che cerca Rai’ansama non può essere tanto sem plice. –… sono fatte di aria. L’aria più leggera che esista; noi l’abbiamo chia mata idrogeno. –L’idrogeno è la cosa più comune nell’universo. È dappertutto. Anche nell’acqua: è fatta per due parti di idrogeno, e per una parte dell’aria che respiriamo, che ci permette di vivere, e di tenere caldi i nostri corpi, e che permette alle cose di bruciare: noi la chiamiamo ossigeno.– Sono confusa; ma è Midori che trasforma il mio dubbio in parole: – L’acqua… è fatta da due arie?– –Sì, esatto.– –E… perché non è un’aria anch’essa?– –Perché quando due cose semplici lavorano insieme, formano qualcosa di più complesso. Due persone possono dare vita a dei figli; due arie pos sono unirsi e formare un liquido.– –Ohh… capisco…– risponde Midori, –è come quando hai detto che dalle cose semplici, se si uniscono in un certo modo, possono nascere cose più complesse!– –Esatto!– le sorride Rai’an, e poi continua, indicando la nuova luce: –L’idrogeno, l’aria di cui sono fatte le stelle, è la cosa più leggera che esista. Eppure, quando ce n’è tantissima, anche quella pesa. E così, il peso stesso si trasforma in calore, e il calore e il peso fanno sì che le stelle si accendano, e diventino tanto calde che persino quest’aria leggera si fonde. –Quando questo accade, si forma un’aria più pesante, chiamata elio. Due parti di idrogeno si fondono per formare una sola parte di elio, e que sta fusione riscalda la stella tanto da farla brillare per tanto, tanto tempo. 325 –Ma quando l’idrogeno sta finendo, e rimane quasi solo elio, il peso diventa insostenibile. La stella si schiaccia sotto questo peso, e si scalda ancora di più, tanto che anche l’elio inizia fondersi, e assieme all’idrogeno rimasto, forma materia ancora più pesante, come l’ossigeno…– –Quello che respiriamo!– lo interrompe Midori. –Sì, proprio quello; e assieme all’ossigeno, forma la materia che rende dolce il miele e la frutta: è da questo che viene il calore, la forza, il nutri mento che ci serve per vivere. Noi lo chiamiamo carbonio, una parola che, per i miei antenati, indicava il carbone.– Hikari, quasi timidamente, tira fuori una vocina sottile: –E allora… la stella muore quando brucia tutto il carbone?– –No; succede ancora quello che è già successo: il peso aumenta, e con il peso, il calore, fino a che anche il carbonio, l’ossigeno, assieme all’idro geno e all’elio rimasti, si fondono in sostanze ancora più pesanti, fino ad arrivare al ferro. –A quel punto, non c’è più niente da fondere, ma il peso della stella è insostenibile, ed il suo calore immenso. Allora tutto il calore accumulato non può più essere trattenuto, nemmeno in una stella così pesante che, se ne poteste raccogliere una goccia, peserebbe più di una montagna intera. –È in quel momento che tutto il calore, e con esso, tutta la materia esplodono, e formano un’immensa sfera incandescente. È allora che nasce la materia più pesante, e più rara, come il piombo, o l’oro, in un crogiolo tanto caldo che, per qualche mese, la stella che sta morendo brilla come diecimila soli.– Una stella che muore… brilla come diecimila soli. Ha vissuto per tanto tempo, dice Rai’ansama… E per pochi giorni… per pochi mesi, illumi nerà il cielo come diecimila stelle. Sento come un nodo in gola. La voce mi trema, mentre chiedo: – Allora… questo è come… l’ultimo grido di quella stella…– –Sì, ma non è una cosa triste, anzi. Tutte le sostanze che sono nate nel crogiolo di quella stella, ora vengono sparse per tutto il cielo. C’è sicura mente ancora abbastanza idrogeno per far nascere decine di piccole stelle; stelle come il nostro sole. E le altre sostanze si condenseranno e forme ranno mondi di roccia, acqua e aria, come il nostro.– –Rai’an…– attacca Midori, ma stavolta le esce un –..sama…– senza bisogno che glielo ricordi. E poi, continua: –Ma allora… anche il sole che sta in cielo… e questo mondo… sono nati così?– –Sì. E anche tutte le cose che ci vivono sopra. Gran parte del nostro corpo è fatto d’acqua. E nel sangue c’è molto ferro…– –Oh, ecco perché sa di ferro!– esclama Midori. 326 –Già. Tutte queste cose arrivano da là.– Rai’ansama punta il dito verso la Stella Morente. –Beh, non proprio, da là… probabilmente ogni briciola di ferro che abbiamo nel corpo, ogni parte di idrogeno e ossigeno che abbiamo in ogni goccia d’acqua che è in noi, arriva da una stella diversa.– Questo! Era questo che intendeva! Era questo che intendeva quando parlava del viaggio delle cose che sono scese a formare me, a creare quella Kaori che vive qui, ora. Polvere di migliaia di stelle morte e poi rinate, e poi ancora morte e rinate chissà quante volte, che hanno dato la loro vita per creare quelle sostanze, quelle parti che, piovute dal cielo, avrebbero formato la terra su cui cammino, l’acqua che bevo, l’aria che respiro e infine persino me! La luce della stella che grida il suo ultimo lamento penetra nei miei occhi, e poi, in profondità nella mia anima. Mi chiama. Mi dice: io sono te. Io sarò migliaia di cose come te, in luoghi tanto lontani che tu non puoi immaginare. Mi rendo conto di avere le mani giunte, le punte degli indici posate sulle mie labbra, due lacrime silenziose a bagnarne il dorso. Saluto la stella che, morendo, farà vivere migliaia di soli, di mondi, di Kaori. –Ciao, madre…– la chiamo sussurrando. Ed è come se avessi sentito in me un cenno, una risposta. La luce lontana trema lenta: –Ciao, mia piccola Kaori …– Scoppio a piangere. Eppure le sorrido. Sono immensamente triste, ed eternamente felice. Non so più nemmeno dare un nome a quello che provo. –Kaori…– mi sussurra Rai’ansama, ma riesco a malapena a udirlo. No, nemmeno Rai’ansama ha il diritto di condividere lo spazio della mia anima, che si protende e raggiunge quella lontanissima madre celeste. Que sto momento è per me, e per me sola. Ma lui lo capisce. Sento che mi sorride, e tutti quanti ci giriamo a guar dare, in silenzio, la Stella Madre, che muore per dare alla luce innumere voli mondi. Presagio (R) Passa un tempo breve, eppure lungo, e siamo pronti a tornare al villag gio. Ma mentre stiamo cercando la forza di alzarci e distogliere lo sguardo dal cielo, Jirou scioglie l’incantesimo del silenzio, e mi chiama: –Rai’ansama, ci hai donato una saggezza profonda… ma temo che, per noi, la presenza di questa stella morente sia un problema.– 327 –Un problema? Non capisco…– –Rai’ansama… penso non non esista al mondo, in questo momento, una persona che comprenda il significato di questo evento, così come tu lo conosci.– –Sì, ma, non vedo come…– –Rai’ansama, per come conosco la gente di qui, un segno inatteso nel cielo sarà letto come un presagio di sventura.– Non esiste civiltà arcaica nella quale le i fenomeni astronomici, come l’apparizione di comete o supernove, non fossero interpretati come un segno foriero di eventi eccezionali. E quando il sentimento collettivo era particolarmente cupo, questi eventi eccezionali erano sempre immaginati come nefasti. Gli Europei non riportarono nemmeno l’apparizione di SN1006; il solo nominarla, in pieno Medio Evo, avrebbe potuto attirare l’attenzione letale della Chiesa. Invece, gli Arabi e i Cinesi la documentarono ampiamente; soprattutto questi ultimi, sembravano essere i meno suscettibili a senti menti superstiziosi. Tuttavia, è indubbio che molti astrologhi delle corti dei regni della Cina dell’anno mille fecero la loro fortuna con oracoli e oro scopi per regnanti e dignitari, sfruttando l’occasione. Ci sono anche resoconti giapponesi su questa supernova: descrivono la commozione della popolazione e gli esorcismi dei sacerdoti. Tuttavia… non vedo perché dovremmo essere preoccupati… Ma Jirou legge il mio dubbio e si spiega meglio: –Rai’ansama, l’apparizione di un segno tanto chiaro in cielo si accop pia alla tua venuta. Per noi è ovvio che queste due cose non hanno nessuna relazione; ma la gente non lo capirà. –Già la presenza di uno straniero, assieme ad un evento tanto singolare, sarebbe interpretata come un segno nefasto. Se poi questo straniero si rive lasse capace di cose straordinarie, fosse anche guarire ogni malattia…– Guardo in basso e sospiro. Jirou ha ragione. Proprio in quel momento, il comunicatore suona. Lo attivo, e dall’altra parte appare Douzen. –L’avete vista?– attacca senza salutare. Ancora una volta, ha l’aria stanca. –Se ti riferisci alla macchia in cielo…– –Chiamarla macchia è un po’ riduttivo. È più grande della luna.– –…beh, sì, l’abbiamo vista. Perché me lo chiedi?– 328 –Per un momento… ho sperato che si vedesse solo qui…– Douzen abbassa lo sguardo; quasi come se si vergognasse di aver pensato una cosa tanto sciocca. Che poi, così sciocca non è, per chi non ha la più pallida idea di cosa sta vedendo. Dopo aver ripreso il suo contegno, continua: –Qui a Nara la situazione è tesa. Qualcuno aveva già notato una luce strana in cielo nei giorni scorsi, ma stanotte è così luminosa che sembra quasi giorno.– –Sì… lo vedo…– –Sto mandando tutti i monaci a tranquillizzare la gente per le strade, ma… ho notizia di alcuni templi che si sono già visti forzare i cancelli.– Douzen fa una lunga pausa, come se si aspettasse che io dica qualcosa. Quando capisce che preferirei tacere, mi incita: –Tu non ne sai nulla?– –So che cos’è, ma… spiegartelo è un po’ difficile…– Douzen sospira. È evidente che la risposta non lo soddisfa, ma sembra avere fretta. –Puoi dirmi almeno quanto durerà?– –Dunque… credo che già domani, al massimo domani l’altro, sarà molto meno luminosa. Fra un mese dovrebbe apparire fumosa e sbiadita, come… come una grossa cometa, e fra sei mesi, forse nove, sarà completa mente scomparsa.– Douzen annuisce. Non capisco se è sollevato o ancora più preoccupato; forse, né l’uno né l’altro. Ma credo che sia contento di avere un ordine di grandezza della durata di questa emergenza. Comprendo che Douzen vorrebbe terminare la comunicazione, e preci pitarsi a tranquillizzare la gente di Nara, ma… stringe il labbro, quasi se lo morde… e poi, titubante: –Rai’ansama…– –Sì, Douzengeika?– –Questa cosa… è qualcosa di cui dobbiamo preoccuparci?– Gli sorrido e scuoto la testa. –No, Douzengeika. È una cosa naturale. Succede ogni cento o duecento anni; anche se questa è più grande e luminosa del solito.– Vedo che, anche se sollevato, sul volto di Douzen rimane un’ombra di preoccupazione. –Mi credi se ti dico che è una stella che sta morendo?– Douzen sgrana gli occhi e annuisce piano. Vedo che vorrebbe farmi altre domande, ma a quanto pare, non è t