30 giugno 2005 nr12

Transcript

30 giugno 2005 nr12
Il narratario, nella moderna
critica letteraria indica il
lettore, non quello reale, che
ha letto o che leggerà, ma
l’implicito, quello cui si
rivolge l’autore.
Come scriveva Manzoni nel
primo capitolo del suo
capolavoro: “Pensino i miei
venticinque lettori che
impressione dovesse fare
sull’animo del poveretto,
quello che s’è raccontato”.
il
anno undicesimo
numero dodici
www.ilnarratario.info - Premio Nazionale “Verba Volant” 1999 con patrocinio Ministero Pubblica Istruzione - [email protected]
Periodico Quindicinale - Aut. Tribunale Milano 34/95 28.1.1995 - tel/fax 02/6123586 - via Arbe 29 - 20125 Milano
ft
tra spavaldi e vigliacchi.
Università:
laboratorio di testi: racconti analisi rapsodie epopee
giornale in foglio con editoria elettronica da tavolo direttore responsabile Fabio Trazza
redazione organizzazione fotocomposizione e stampa in proprio
Onu:
Per chi è abituato a considerare gli Stati Uniti d’America
una grande potenza politicamente compatta e atta a condizionare più che a onorare
le decisioni dell’Onu, e militarmente proiettata a governare il mondo con dottrina e
persone–guida un po’ spavalde, rimarrà forse sconcertato
dalla vicenda Bolton.
Contro John Bolton, scelto
dai repubblicani di Bush per
rappresentare gli Stati Uniti
all’Onu, è scattato il veto dell’opposizione democratica in
Senato. Il veto avviene prima
ancora della votazione.
Per accedere alla discussione delle proposte, dopo la
quale si vota e si approva o si
respinge con maggioranza
semplice dei votanti, è necessario superare un quorum,
60% degli aventi diritto al
voto. Se non si supera questa
soglia, non avviene neppure
la discussione.
Per questo si parla di blocco
o di veto. Le ragioni?
Molti democratici e qualche
repubblicano pensano che
Bolton abbia sempre incarnato il ruolo dello spavaldo, del
bullo della politica, e non lo
considerano adatto a impersonare gli Stati Uniti nell’assemblea dei rappresentanti
degli stati del mondo.
Un fatto esemplare per ricordare due cose.
–1– Difficilmente le battaglie
ad personam fanno venire alla
luce le ragioni delle divergenze, che nel nostro caso nascondono uno scontro durissimo tra Senato americano e
servizi di sicurezza sull’atteggiamento da tenere nei confronti della Siria, per la cui
definizione rappresentano
veramente poco sia una sedicente spavalderia, sia una
inconcludente vigliaccheria;
–2– Analogamente l’attribuzione di una presunta funzione taumaturgica o demoniaca, a uno o più stati, non fa
venire alla luce il problema
vero dell’Onu, impotente a
fronteggiare il disordine
mondiale prodottosi dopo la
guerra fredda e incapace di
cogliere il mutamento di peso
politico e la rilevanza strategica di tanti nuovi paesi
(Cina, India, Giappone, Argentina, Brasile) e di considerarli adeguatamente nella
vita assembleare. Il cammino
da fare è lungo e insicuro.
E non mancano i banditi.
Siamo tutti in cammino.
A che vale fermarsi a prendere a sassate il primo cane che
appare dietro i tronchi?
narratario
Studio di funzione: la contrapposizione relativo—assoluto appartiene solo
al sapere matematico. (Vedi articolo: Falsi problemi e false contrapposizioni)
milano
Difficile capire dove vada Milano. È probabile anzi che
si faccia fatica a farla andare. Sembra, il nostro, un tempo di
non progetti. Forse è il tempo del rimescolamento. Ampie
fasce di popolo si rianimano. Non si sa, però, se quelle che si
spengono, ripiegate nell’ignavia, siano ancora più ampie.
Si fa prima a dire che Milano è attraversata da un bisogno
di dibattito e che a questo bisogno spesso si risponde con
decisioni che non consentono più dibattito.
Milano avrebbe bisogno che quanto di più grande e di
più unico la compone e la caratterizza fosse capace di attrarre.
Ci sarebbe anche bisogno che quanto di più solido esiste
a Milano non fosse scambiato con quanto è più visibile.
E sarebbe anche necessario che tutto il bene che c’è da
fare a Milano, che è immenso, non fosse fatto con la grancassa più aggiornata, che oggi, impudicamente, strombazza solidarietà anche quando ce n’è poca o non ce n’è del tutto. Una
grancassa chiamata litigio. Litigare sul male degrada una città. E a Milano non manca né il degrado, né il litigio.
Se non si opera rapidamente un riscatto, si rischia di
non poter più recuperare le zone di degrado, sia materiale,
sia morale, con mezzi di ordinaria amministrazione.
È probabile che tutta la migliore linfa, che laicamente scorre
tra giardini, vie, palazzi e forzieri di Milano, rimanga ancora
per lungo tempo sterile per la città, imprigionata nei confini
del godimento personale.
È possibile che tutta la cultura di governo, che politicamente scorre tra assemblee, consigli, comitati e borse, non
sappia più districarsi tra i diversi interessi e le diverse culture
che a Milano convivono. E di diversità a Milano, tra quanti
più o meno sanno e più o meno hanno, ce ne sono tante e
così ipermeabilmente combinate e stratificate che solo una
lunga opera di non politicanti potrà rimetterle in comunicazione.
È naturale che l’aria di rinnovamento, che religiosamente
scorre tra comunità, chiese, biblioteche e cattedrali, non sia
permanentemente respirata in ogni angolo di una città dove,
dopo il primato della cappa di smog, per dirsi veramente irrespirabile, non manca chi vorrebbe le fosse attribuito anche
quello della cappa più cupa di un’irreligiosa laicità.
C’è chi, a Milano, scambia per ricchezza sociale il numero
di preferenze che è riuscito a raccogliere, in Milano, per le
ultime elezioni regionali.
C’è persino chi è disposto a riconoscere un valore rivoluzionario a chi ha la capacità di avvicinarsi numericamente ai
consensi elettorali che può registrare qualche candidato che
gode dell’appoggio di aderenti al movimento cattolico Comunione e Liberazione. Perdurando questo clima, se dovesse
avvenire, per fisiologico avvicendarsi della politica, non solo
l’avvicinamento, ma anche il sorpasso, non sarebbero da
escludere feste trionfali in piazza, alla faccia del Duomo, piuttosto che di fronte a Palazzo Marino.
L’immiserimento di Milano porta a godere di saper nutrire
queste povere speranze.
O forse è il godimento di saper nutrire queste povere speranze che produce l’immiserimento di Milano.
Milano ha bisogno di un progetto che si sostanzi di grande economia e grande cultura e sia portato come contributo
alla politica, sperando che questa lo capisca e, se lo capisce,
che non se lo mangi.
E, invece, c’è chi butta tutto in organizzazione di comitati
elettorali in vista delle elezioni del prossimo anno. Pensare
che la praticità di Milano consista nell’organizzarsi senza idee,
sarebbe un errore rimediabile solo cambiando residenza.
So, dopo tutto questo gran parlare, di non aver raccontato neanche un fatto. E sì che a Milano, di cose, ne succedono tutti i giorni e in tutte le ore.
Me ne dispiaccio molto, per non averlo fatto, e mi scuso
con i miei venticinque lettori. Sperò però di aver raccontato
una situazione. Una di quelle che, a Milano, non capitano
proprio tutti i giorni e tanto meno tutte le ore.
tra bandi e bande.
Mentre in tanti, proprio tanti, quasi
tutti, sono pronti a biasimare i pochi
soldi che la politica riserva all’università e alla ricerca, è consolante
ascoltare due voci indipendenti dall’attuale politica nazionale, Gino
Giugni e Pietro Ichino. Con parole
chiarissime [Corriere 16 e 17 giugno]
hanno spiegato che l’Università, per
le assunzioni fa i bandi, ma per le decisioni fa entrare in funzione le bande. A un’università così andrebbero
chiusi i finanziamenti per dieci anni.
giovedì
30 giugno 2005
Libano e Iran:
esperienze di democrazia.
europa
Beirut. domenica 19 giugno.
Vari eventi risvegliano l’Europa dal suo evanescente
sogno di rappresentare il dinamismo nel mondo. Il primo incubo la sera del 29 maggio con la bocciatura francese (poi
sarebbe arrivata anche quella olandese) di un lunghissimo
documento che ambiva a divenire la “Costituzione” dell’Unione Europea, ma che nessuno aveva mai letto. Si è proseguito
con l’esito negativo del vertice sul bilancio dell’Unione.
Ora anche il più normale cambio semestrale della presidenza di turno evoca storici conflitti franco–inglesi sul continente. Il laburista Tony Blair si presenta come spartiacque tra
un vecchio modello di unità europea, quello francese, e uno
nuovo, quello inglese. La crisi del modello francese è leggibile dietro l’accentuazione degli interessi nazionali spacciati
per interesse europeo. L’emergere del modello inglese è leggibile dietro l’accentuazione degli interessi allo sviluppo economico necessario al mantenimento di un welfare in perfetto
stile british: non è più sostenibile l’idea francese dell’insostenibile salario ai disoccupati vita natural durante.
L’Inghilterra, con Blair, più che il socialismo delle promesse utopiche, sembra rilanciare la moralità cristiana dello sviluppo e l’etica del lavoro come unica fonte di sostenibile
ricchezza materiale: in Gran Bretagna lo Stato ha raddoppiato
la spesa sanitaria e diminuito il tasso di povertà di più, e più
rapidamente, di qualsiasi altro Paese.
Lo stesso corrispondente da Bruxelles del quotidiano francese di sinistra Liberation, Jean Quatremer, ha detto al Financial Times che «per lunghissimo tempo, noi (in Francia)
abbiamo parlato del modello sociale francese, contrapponendolo all’orribile modello anglosassone, ma ora vediamo
che è il nostro modello a essere un orrore. Blair, invece, dimostra che una sinistra moderna può avere successo».
Ma dietro la guerra dei modelli politico–economici, che
nessuna protezione compatibile con norme di libertà potrà
mai proteggere dalla concorrenza di Cina e India, si aggrava
la divaricazione tra i modelli socio–culturali circolanti in Europa. Nessuna legislazione nazionale potrà mai legittimare
sul più ampio teatro europeo decisioni di rottura dei modelli
sociali, come le decisioni del parlamento spagnolo di attuare
il cosiddetto divorzio “express” e di legalizzare il matrimonio omosessuale, equiparandolo a quello tradizionale e consentendo le adozioni con la semplice modifica dell’articolo 44
del proprio Codice civile. Difficile immaginare che la divaricazione possa essere sanata con disquisizioni giuridiche, come
quella di fondare la modifica di quell’articolo [insieme ad
altri 16 del Codice civile] sull’articolo 32 della Costituzione di quel paese. Ci si limita ad adeguare il linguaggio ad un
modello di società in trasformazione, di cui si ignorano le
stesse prospettive e del cui governo ci si disinteressa.
Rimarrà sempre inagibile un modello sociale nazionale che
non riesca a sintonizzarsi con quello di altri paesi. Come consentire, ad esempio, l’adozione per le coppie gay spagnole se
i paesi da cui proviene la grandissima maggioranza dei bambini adottati non permettono l’affidamento ad omosessuali?
Ma un altro fatto incombe, sottaciuto, sulle divaricazioni,
già laceranti, del tessuto europeo. In Romania il 15 giugno
una ragazza di 23 anni, Maricica Irina Cornici, viene crocifissa
e abbandonata sino alla morte nella cella di un convento ortodosso. Dopo i lamenti la imbavagliano e crocifiggono, lasciandola finché non giunga la morte, dopo tre giorni, a liberarla. Agli occhi dei carnefici Maricica Irina sarebbe stata posseduta dal demonio. A quelli dei medici, da schizofrenia. Ai
nostri, la povera ragazza crocifissa, cresciuta in un orfanotrofio, giunta al convento tre mesi prima per trovare un’amica e
decisa poi a restare, appare la vittima innocente di una società, l’europea, che, abbagliata da luminosi fari di tecno–scienza, ignora il permanere di sacche del peggiore paganesimo,
pronte a riemergere insieme ai più cruenti riti orgiastici, falsamente creduti purificatori e che solo la lenta crescita del dialogo fede–ragione, nei secoli, aveva fatto regredire. A seguire gli incubi delle notti europee parrebbe che la direzione del
dinamismo ci spinga indietro, molto indietro: verso la barbarie.
Cortina ha pubbli- Falsi problemi e false contrapposizioni dell’enunciazione
cato un pamphlet di
del problema stesGiulio Giorello: «Di nessuna chiesa. La libertà del lai- so, quindi scientificamente inutile] non c’è che dire.
co», 80 pagine, Milano, 2005. Cosa vuol dire Giorello? Anzi, verrebbe solo da dire: «Evviva l’epistemologia!»,
Cerchiamo di capirlo. Per inquadrare la statura del [ramo della filosofia in cui per universo consenso ecpersonaggio e la natura del pamphlet, è utile una pre- celle il nostro]. Da notare che l’epistemologia è la
messa: «È un falso problema scegliere tra Gesù e Muham- scienza delle proposizioni che, sole, possono essere
mad: in nome dell’anima i cristiani al tempo delle guerre formulate per esprimere la certezza assoluta, in condi religione e i fautori della jihad oggi hanno optato per trapposizione a quelle che esprimono solo pareri percancellare vita e libertà. Di quel tipo di anima non sap- sonali e che possono essere formulate, solo, per espripiamo che farcene.» [Corriere della Sera. Magazine, 23.6.05, mere l’opinione relativa.
Brevissima, come si vede, la premessa, per inquadrare
p.94]. Giusto. Così il nostro. Ma: se il problema è falso,
allora è vera la soluzione? E quale soluzione? Che il ai miei venticinque lettori la statura del personaggio
problema è falso. Come affermazione tautologica [che e la natura del pamphlet.
segue in seconda
nulla aggiunge a quanto già era conosciuto prima
La democrazia non elimina in
uno stato il rischio di conflitto interno che tra i gruppi
sociali si può scatenare. Si
propone solo di guidarlo verso una soluzione bilanciata
tra gli interessi esistenti.
Così almeno dovrebbe avvenire nelle democrazie mature. Certo che, se in una campagna elettorale un candidato continua a ripetere:
«Ogni voto per la nostra lista è una pallottola nel petto del nemico», difficilmente
possiamo credere che si bilanceranno con equilibrio
gli interessi all’indomani
delle elezioni.
Avviene così in Libano.
Dopo un lungo periodo di
guerra civile (1975-1990) il
Libano aveva perduto la
condizione stessa per esercitare quel ruolo di cassaforte
del Medio Oriente, che i
Francesi gli avevano predisposto con la loro presenza
economica e militare prima
della 2a guerra mondiale.
Nel ’90 l’intervento economico di una famiglia saudita, Hariri, fa decollare il Libano verso il benessere materiale, ma nel febbraio del
2005 una bomba fa saltare
in aria nel centro di Beirut il
capo del governo Rafik Hariri. L’opinione pubblica libanese ne attribuisce la responsabilità alle forze armate siriane che occupano il
paese. In massa si scende in
piazza a chiederne il ritiro.
A fine aprile le forze armate
di Siria, dopo 29 anni di presenza, abbandonano il Libano: parte la campagna elettorale per la prima esperienza di democrazia.
Il figlio di Rafik, Saad Hariri, antico ricco e nuovo credente nella democrazia, fa
suo la slogan «Ogni voto per
la nostra lista è una pallottola nel petto del nemico».
Non stupisce che nel Libano
le grida dell’odio non abbiano ancora ceduto il passo ai
lamenti della pietà.
Stupisce invece che inviati
occidentali parlino di Saad
Hariri come di un giovane
«parco e prudente nelle interviste, un po’ impacciato
sul palco e nei comizi».
Chi non s’accorge come il
linguaggio possa riflettere il
disordine di una società, ma
possa anche generarlo, difficilmente avvertirà il ritmo
con il quale il proprio stesso
paese, lentamente, si avvicina al clima libanese.
Scuola:
segue in seconda
tra concorrenza e meritocrazia.
Ci mancava il leader dell’opposizione in una ‘lettera da Creta’, a chiedere una scuola fondata sulla concorrenza. Non ha voluto esser da meno
del presidente di Confindustria, che
la vuole basata sulla meritocrazia.
Con in mente i loro fantasmi tutti sparlano della scuola e non si accorgono
che, per fortuna, in tanti preparano la
strada per misurare ed alzare la qualità delle scuole: aree sensibili dell’amministrazione e docenti volenterosi in continua formazione.
il
narratario
pagina 2
laboratorio di testi: racconti analisi rapsodie epopee
continua dalla prima
Libano e Iran:
Segno:
Un modo per destabilizzare un paese e spingerlo verso una guerra civile (passaggi necessari per il paradigma libanese) è la delegittimazione dei risultati elettorali.
È ciò che stanno facendo gli Usa
contro il recente voto iraniano.
Ci sono libri belli e anche giornali,
fogli, belli. La loro bellezza non dipende dal tempo, ma dal segno che
li attraversa. E il segno non è il carattere usato, ma l’insieme dei caratteri, delle linee, dei volumi, che nello
spazio della pagina si dislocano per
richiamare, risvegliare, annunciare
qualcosa a qualcuno, che, per i più
diversi motivi, incrocia quella pagina. Poi la pagina la fermi e la interroghi. Per questo la pagina, come strumento di comunicazione, non teme
l’evolversi né del tempo, né della
tecnologia. Anzi usa questi per abbellirsi. Una «Grammatica del comunicare» di Illiprandi, Lorenzi, Pavesi, in tre volumi, editi da Lupetti,
Milano, 2005, tenta di spiegare come
al fondamento della lettura convivano l’utilità dell’apprendere il significato dei segni e l’esercizio estetico
di incontrare la bellezza del segno.
esperienze di democrazia.
Teheran. venerdì 24 giugno.
Ahmadinejad, 48 anni, sindaco di
Teheran, città con 14.000.000 di
abitanti, vince, contro le previsioni,
le elezioni per il governo dell’Iran,
superando con il 61,5% il leader in
carica, Rafsanjani. Aveva chiesto
agli iraniani di votare per lui,
«oscuro servo del popolo e umile
spazzino». Qui sono contenuti i motivi del timore con cui l’occidente
ha accolto la sua elezione.
«Servire il popolo» evoca la contagiosa stagione rivoluzionaria cinese, ma potrebbe essere la semplice
intenzione di svolgere un servizio
alla società. Chi si è lasciato prendere dal panico ha immediatamente parlato di populismo al potere.
«Umile spazzino» evoca una lunga
stagione moralizzatrice. Chi si è lasciato prendere dal panico ha pavidamente pensato alla via giustizialista dell’esercizio del potere o, peggio, alla via forcaiola.
Difficile anticipare le scelte di Ahmadinejad, ma a molti è parso facile
demonizzarle, dimenticando che per
la politica, anche quando si ammanta della più pura laicità, rimane necessario recuperare la nozione di
servizio alla collettività e di pulizia
per il comune benessere.
È paradossale che i laicissimi laici
occidentali gridino allo scandalo
del religiosissimo laico musulmano
Ahamadinejad, prima di aver visto
un peccato. Ma non manca chi è
andato a cercarlo nella sua giovinezza: l’occupazione dell’ambasciata americana nel 1979.
tra pagina e caratteri.
La Ricerca e Rubbia:
tra ‘che fare?’ e ‘che dire?’
Carlo Rubbia, un Nobel, è alla testa
dell’Enea, un ente italiano con 3.000
dipendenti. Potrebbe realizzare il sistema che garantirebbe all’Italia tra
20 anni, e all’Europa tutta tra 50, l’autonomia energetica, sviluppando le
ricerche sull’idrogeno.
Si vuol far cadere quella testa.
Lo consentirà la politica, perché non
gli dà le risorse economiche necessarie. Lo consentirà la pubblica opinione, perché la si tiene cieca, sorda
e muta dove non siano coinvolti progetti e appetiti di massa a sfondo
sessuale o catastrofico. Lo consentirà il consiglio di amministrazione
dell’Enea, perché roso dall’invidia
verso una gloria dell’umanità.
Rubbia se ne andrà.
Ma dove dovremo mandare noi, se
potessimo, quel consiglio di amministrazione?
giovedì 30 giugno 2005
continua dalla prima
Il pamphlet Falsi problemi e false contrapposizioni valori di
di Giorello
un determichiama a raccolta i laici: «Basta di- nato quadrante, positivo o negativo,
fendersi! È tempo di attaccare!»
lungo l’asse delle x e delle y.
Difendersi da chi? Dalla chiesa cat- Ricavare dal mondo dei valori matetolica, che, dopo un eroico pontefice matici una terminologia da trasferiorientale, Karol Woityla, ha appena re al mondo dei valori morali non è
affidato il timone a un dotto pontefi- operazione lecita. Nel dominio del
ce occidentale, Joseph Ratzinger, sapere morale la contrapposizione
colpevole di aver denunciato la dit- relativo—assoluto è inapplicabile,
tatura del relativismo.
mentre si rivela di grande utilità la
Attaccare chi? Il disastroso assolu- contrapposizione più propria relatitismo che starebbe alla base del pen- vo—universale.
siero di Ratzinger.
Si dovrà, quindi, riscrivere quell’anIl ragionamento di Giorello è sem- tica pagina di storia delle lotte tra
plice: «Contro l’assolutismo, che è papi e antipapi, la cui molla spesso
l’opposto del relativismo. Il relativi- dagli storici è stata vista nella fame
smo non si oppone all’oggettività o di ricchezza e nella sete di potere.
alla verità scientifica, ma all’asso- Guardando il novello antipapa Giolutismo. E nella storia umana, i disa- rello, possiamo e dobbiamo con asstri li hanno fatti sempre gli assolu- soluta onestà ammettere che egli non
tismi e i fondamentalismi. Anche la si batte né per fame, né per sete. Lo fa,
chiesa, con l’apparato repressivo con il pamphlet, per quella pura ebdella Controriforma. Solo liberan- brezza intellettuale che deriva dal
dosi dalla Controriforma è nata l’Eu- competere con chi, per natura, eserropa moderna e democratica ».
cita un magistero universale. Per anTralasciamo il giudizio sommario e nientare tale magistero, Giorello non
incerto sull’origine dell’Europa esita a reinterpretare quel passo
[alla cui modernità, comunque, fu evangelico nel quale si dice che Dio
proprio la controriforma (che non è chiama chi vuole. Giorello traduce:
nient’altro che la riforma della Chie- «lo Spirito soffia sopra qualsiasi fonsa Cattolica) a donare il più avan- damento» e conclude: lo Spirito per
zato sistema di istruzione che l’Eu- sua natura è relativo. Ma l’evangelo
ropa potesse sognarsi]. E veniamo è diretto agli uomini in carne ed ossa,
ai fatti, e alla terminologia, scienti- il cui fondamento sono i piedi per terfici, su cui Giorello con la potenza ra, e che, se vogliono sentire la voce
della sua laicità intende fondare una che li chiama, dovrebbero solo aprineo–crociata antipapista.
re orecchi e cuore. A rendere filosofiCi risulta che la contrapposizione co il vangelo, francamente, non c’è
relativo—assoluto appartenga al sa- bisogno di Giorello: ci aveva già penpere matematico. In uno studio di sato, in modo magistrale, Giovanni.
funzione, una volta tracciati gli assi In conclusione: cosa vuol dire Giocartesiani, osserviamo che
rello con il suo pamphlet? Abbiamo
—il punto di vista «relativo» rende cercato di capirlo: forse al nostro non
possibile spaziare senza limiti, in interessa tanto il dibattito con verifiogni quadrante, sia positivo, sia ne- ca o falsificazione dei problemi, quangativo, lungo l’asse delle x e delle y; to la conquista della classifica di li—il punto di vista «assoluto» rende bri e pamphlet, anche approdando a
possibile considerare con i precisi false contrapposizioni e sorvolando
limiti indicati dallo 0 (zero) tutti i su quelle vere.
laboratorio di testi
racconti analisi
rapsodie epopee
il
Editoria e informazione:
tra Pubblico e Stato.
L’editoria esterna ai grandi gruppi
editoriali chiede soldi allo Stato, oltre che al Pubblico. Lo Stato dovrebbe darli perché i gruppi minori andrebbero protetti [si tratta di gruppi
politici, cooperativistici, giornalistici], perché non riescono ad accedere alla fonte pubblicitaria, vera grande pila per l’abbeveratoio delle bestie più grosse e pericolose. Ve lo
immaginate un coniglio che si spinge a bere dove sono appostati leoni, sciacalli e iene? Così, pagando, il
Pubblico mantiene la sua (scarsa)
informazione e lo Stato, pagando,
mantiene la sua (lauta) propaganda.
Ora, l’assemblea delle cooperative
giornalistiche ed editoriali, al Capranichetta di Roma, reclama più soldi
dallo Stato: vogliamo la «legge Bonaiuti»! Il nome è di un politico, ma
loro sperano che sia di buon auspicio (per l’informazione?).
Comunicazione:
tra una messa e un trasloco.
Il 16 giugno c’è stata una messa a
Londra per i giornalisti. L’ha tenuta
l’arcivescovo di Canterbury.
L’occasione è stata per il trasloco
da Fleet Street, la via dei giornali,
dell’ultimo giornalista. L’ha celebrato il magnate dell’editoria Rupert
Murdoch.
Uniti a messa, divisi sulla notizia.
Murdoch celebra il trasloco dell’ultima grande agenzia giornalistica
londinese, onorando padri e grandi
uomini che hanno generato la stampa come raccolta delle notizie.
L’arcivescovo condanna figli e piccoli uomini che generano la stampa,
perché sfruttano la paura della pubblica opinione per fare notizia:
— si ergono a guardiani della democrazia e trattano cose estranee al
pubblico interesse, catalizzate solo
dall’idea di scandalo.
narratario
[email protected]
autorizzazione
tribunale di Milano
34/95 - 28.1.1995
Esemplare unico in edizione manifesto
conforme all’edizione cartacea
della tiratura della presente edizione
in copie distintamente contrassegnate
e raggruppate in quattro serie
A», «B», «C», «D»
serie «
La copia cartacea è disponibile
su richiesta al Portavoce del
«Laboratorio Altiero Spinelli»
Signor Fortunato Lucchini
alla cortese attenzione
dei Lettori
della Bacheca d’Istituto
Premio Nazionale “Verba Volant” 1999 con patrocinio del Ministero della Pubblica Istruzione
Edizione fuori commercio - Vietata la vendita - Proprietà letteraria e artistica ®
Distribuzione a cura del «Laboratorio Altiero Spinelli»
E canto il curvo riccio d’una viola,
tra tocchi d’amore tesa e rintocchi
di morte distesa tra cielo e terra.
Passano tra fori di risonanza
e rimbalzano su dal fondo piatto
5
rotolando tra fasce inarcate,
tocchi, sospiri, rintocchi, lamenti,
a congiungersi, giacendo nel letto
d’armonica tavola, con bottone
proteso spiovente in punto di curva 10
delle C, gioielli di semianelli,
bocche di suono per filtri d’amore.
Si disegnava così di musica
un umil agil ligneo strumento,
la viola, sin dai tempi di Provenza, 15
giunta con i canti di viuòla,
o i sospiri di una vivòla,
o le lunghe sonate di vivuòla.
E lo si disegnava misurato,
composto il legno, pressato e intagliato, 20
pennellato incerato, lucidato.
Ma già, prima di Provenza, su zolle,
tra larghe foglie e delicati incensi,
sale il profumo di viole odorose,
tinte di bianco, tutte in mezzetinte, 25
in ricca e stemperata mescolanza
tra verdi di foglie e bruni di terre,
tra cieli turchini e rossi tramonti.
Lì la violacea famiglia di viole,
come in chiusa certosa, nutre il mondo: 30
giornale in foglio con editoria elettronica da tavolo
20125 Milano via Arbe 29 tel./fax 02/6123586
direttore responsabile Fabio Trazza
mammole a capo chino e gambo teso;
strette in pensier brucian di colori;
a ciocche s’incastonano in grappoli;
e su tutte: matronale: la notte
affusola le sue foglie a lancia
35
e chiaro ogni desiderio profuma.
Com’insetti volan dita sui fiori.
Com’insetti volan vite dai fiori.
E i girasoli nascondon le viole.
Dopo la Provenza: viole da gamba, 40
piantate a terra come violoncelli;
viole d’amore aperte a risonanza.
Al botton della cordiera sei corde,
a nodi accavallate al ponticello,
45
da piroli tese nel cavigliere,
pizzicate su tastiera tastata,
spalla inclinata, tentano il manico.
E parte l’arco, tesi i crini in punta,
dal tallone tirati stretti in vite.
Partono in risonanza sette corde,
50
sette e sette (due e due, un tre)
al primo strofinio di sei corde.
E la viola d’amor canta e piange:
canto notturno per viola d’amore
all’Isla assediata d’amore e morte 55
nel più spasmodico giorno dell’anno.
Il più lungo, il venticinque giugno,
come un suono è volato in cielo:
accompagnato dai suoi verdi occhi,
i più amabili tra viole d’amore.
60