30 giugno 2005 nr12
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30 giugno 2005 nr12
Il narratario, nella moderna critica letteraria indica il lettore, non quello reale, che ha letto o che leggerà, ma l’implicito, quello cui si rivolge l’autore. Come scriveva Manzoni nel primo capitolo del suo capolavoro: “Pensino i miei venticinque lettori che impressione dovesse fare sull’animo del poveretto, quello che s’è raccontato”. il anno undicesimo numero dodici www.ilnarratario.info - Premio Nazionale “Verba Volant” 1999 con patrocinio Ministero Pubblica Istruzione - [email protected] Periodico Quindicinale - Aut. Tribunale Milano 34/95 28.1.1995 - tel/fax 02/6123586 - via Arbe 29 - 20125 Milano ft tra spavaldi e vigliacchi. Università: laboratorio di testi: racconti analisi rapsodie epopee giornale in foglio con editoria elettronica da tavolo direttore responsabile Fabio Trazza redazione organizzazione fotocomposizione e stampa in proprio Onu: Per chi è abituato a considerare gli Stati Uniti d’America una grande potenza politicamente compatta e atta a condizionare più che a onorare le decisioni dell’Onu, e militarmente proiettata a governare il mondo con dottrina e persone–guida un po’ spavalde, rimarrà forse sconcertato dalla vicenda Bolton. Contro John Bolton, scelto dai repubblicani di Bush per rappresentare gli Stati Uniti all’Onu, è scattato il veto dell’opposizione democratica in Senato. Il veto avviene prima ancora della votazione. Per accedere alla discussione delle proposte, dopo la quale si vota e si approva o si respinge con maggioranza semplice dei votanti, è necessario superare un quorum, 60% degli aventi diritto al voto. Se non si supera questa soglia, non avviene neppure la discussione. Per questo si parla di blocco o di veto. Le ragioni? Molti democratici e qualche repubblicano pensano che Bolton abbia sempre incarnato il ruolo dello spavaldo, del bullo della politica, e non lo considerano adatto a impersonare gli Stati Uniti nell’assemblea dei rappresentanti degli stati del mondo. Un fatto esemplare per ricordare due cose. –1– Difficilmente le battaglie ad personam fanno venire alla luce le ragioni delle divergenze, che nel nostro caso nascondono uno scontro durissimo tra Senato americano e servizi di sicurezza sull’atteggiamento da tenere nei confronti della Siria, per la cui definizione rappresentano veramente poco sia una sedicente spavalderia, sia una inconcludente vigliaccheria; –2– Analogamente l’attribuzione di una presunta funzione taumaturgica o demoniaca, a uno o più stati, non fa venire alla luce il problema vero dell’Onu, impotente a fronteggiare il disordine mondiale prodottosi dopo la guerra fredda e incapace di cogliere il mutamento di peso politico e la rilevanza strategica di tanti nuovi paesi (Cina, India, Giappone, Argentina, Brasile) e di considerarli adeguatamente nella vita assembleare. Il cammino da fare è lungo e insicuro. E non mancano i banditi. Siamo tutti in cammino. A che vale fermarsi a prendere a sassate il primo cane che appare dietro i tronchi? narratario Studio di funzione: la contrapposizione relativo—assoluto appartiene solo al sapere matematico. (Vedi articolo: Falsi problemi e false contrapposizioni) milano Difficile capire dove vada Milano. È probabile anzi che si faccia fatica a farla andare. Sembra, il nostro, un tempo di non progetti. Forse è il tempo del rimescolamento. Ampie fasce di popolo si rianimano. Non si sa, però, se quelle che si spengono, ripiegate nell’ignavia, siano ancora più ampie. Si fa prima a dire che Milano è attraversata da un bisogno di dibattito e che a questo bisogno spesso si risponde con decisioni che non consentono più dibattito. Milano avrebbe bisogno che quanto di più grande e di più unico la compone e la caratterizza fosse capace di attrarre. Ci sarebbe anche bisogno che quanto di più solido esiste a Milano non fosse scambiato con quanto è più visibile. E sarebbe anche necessario che tutto il bene che c’è da fare a Milano, che è immenso, non fosse fatto con la grancassa più aggiornata, che oggi, impudicamente, strombazza solidarietà anche quando ce n’è poca o non ce n’è del tutto. Una grancassa chiamata litigio. Litigare sul male degrada una città. E a Milano non manca né il degrado, né il litigio. Se non si opera rapidamente un riscatto, si rischia di non poter più recuperare le zone di degrado, sia materiale, sia morale, con mezzi di ordinaria amministrazione. È probabile che tutta la migliore linfa, che laicamente scorre tra giardini, vie, palazzi e forzieri di Milano, rimanga ancora per lungo tempo sterile per la città, imprigionata nei confini del godimento personale. È possibile che tutta la cultura di governo, che politicamente scorre tra assemblee, consigli, comitati e borse, non sappia più districarsi tra i diversi interessi e le diverse culture che a Milano convivono. E di diversità a Milano, tra quanti più o meno sanno e più o meno hanno, ce ne sono tante e così ipermeabilmente combinate e stratificate che solo una lunga opera di non politicanti potrà rimetterle in comunicazione. È naturale che l’aria di rinnovamento, che religiosamente scorre tra comunità, chiese, biblioteche e cattedrali, non sia permanentemente respirata in ogni angolo di una città dove, dopo il primato della cappa di smog, per dirsi veramente irrespirabile, non manca chi vorrebbe le fosse attribuito anche quello della cappa più cupa di un’irreligiosa laicità. C’è chi, a Milano, scambia per ricchezza sociale il numero di preferenze che è riuscito a raccogliere, in Milano, per le ultime elezioni regionali. C’è persino chi è disposto a riconoscere un valore rivoluzionario a chi ha la capacità di avvicinarsi numericamente ai consensi elettorali che può registrare qualche candidato che gode dell’appoggio di aderenti al movimento cattolico Comunione e Liberazione. Perdurando questo clima, se dovesse avvenire, per fisiologico avvicendarsi della politica, non solo l’avvicinamento, ma anche il sorpasso, non sarebbero da escludere feste trionfali in piazza, alla faccia del Duomo, piuttosto che di fronte a Palazzo Marino. L’immiserimento di Milano porta a godere di saper nutrire queste povere speranze. O forse è il godimento di saper nutrire queste povere speranze che produce l’immiserimento di Milano. Milano ha bisogno di un progetto che si sostanzi di grande economia e grande cultura e sia portato come contributo alla politica, sperando che questa lo capisca e, se lo capisce, che non se lo mangi. E, invece, c’è chi butta tutto in organizzazione di comitati elettorali in vista delle elezioni del prossimo anno. Pensare che la praticità di Milano consista nell’organizzarsi senza idee, sarebbe un errore rimediabile solo cambiando residenza. So, dopo tutto questo gran parlare, di non aver raccontato neanche un fatto. E sì che a Milano, di cose, ne succedono tutti i giorni e in tutte le ore. Me ne dispiaccio molto, per non averlo fatto, e mi scuso con i miei venticinque lettori. Sperò però di aver raccontato una situazione. Una di quelle che, a Milano, non capitano proprio tutti i giorni e tanto meno tutte le ore. tra bandi e bande. Mentre in tanti, proprio tanti, quasi tutti, sono pronti a biasimare i pochi soldi che la politica riserva all’università e alla ricerca, è consolante ascoltare due voci indipendenti dall’attuale politica nazionale, Gino Giugni e Pietro Ichino. Con parole chiarissime [Corriere 16 e 17 giugno] hanno spiegato che l’Università, per le assunzioni fa i bandi, ma per le decisioni fa entrare in funzione le bande. A un’università così andrebbero chiusi i finanziamenti per dieci anni. giovedì 30 giugno 2005 Libano e Iran: esperienze di democrazia. europa Beirut. domenica 19 giugno. Vari eventi risvegliano l’Europa dal suo evanescente sogno di rappresentare il dinamismo nel mondo. Il primo incubo la sera del 29 maggio con la bocciatura francese (poi sarebbe arrivata anche quella olandese) di un lunghissimo documento che ambiva a divenire la “Costituzione” dell’Unione Europea, ma che nessuno aveva mai letto. Si è proseguito con l’esito negativo del vertice sul bilancio dell’Unione. Ora anche il più normale cambio semestrale della presidenza di turno evoca storici conflitti franco–inglesi sul continente. Il laburista Tony Blair si presenta come spartiacque tra un vecchio modello di unità europea, quello francese, e uno nuovo, quello inglese. La crisi del modello francese è leggibile dietro l’accentuazione degli interessi nazionali spacciati per interesse europeo. L’emergere del modello inglese è leggibile dietro l’accentuazione degli interessi allo sviluppo economico necessario al mantenimento di un welfare in perfetto stile british: non è più sostenibile l’idea francese dell’insostenibile salario ai disoccupati vita natural durante. L’Inghilterra, con Blair, più che il socialismo delle promesse utopiche, sembra rilanciare la moralità cristiana dello sviluppo e l’etica del lavoro come unica fonte di sostenibile ricchezza materiale: in Gran Bretagna lo Stato ha raddoppiato la spesa sanitaria e diminuito il tasso di povertà di più, e più rapidamente, di qualsiasi altro Paese. Lo stesso corrispondente da Bruxelles del quotidiano francese di sinistra Liberation, Jean Quatremer, ha detto al Financial Times che «per lunghissimo tempo, noi (in Francia) abbiamo parlato del modello sociale francese, contrapponendolo all’orribile modello anglosassone, ma ora vediamo che è il nostro modello a essere un orrore. Blair, invece, dimostra che una sinistra moderna può avere successo». Ma dietro la guerra dei modelli politico–economici, che nessuna protezione compatibile con norme di libertà potrà mai proteggere dalla concorrenza di Cina e India, si aggrava la divaricazione tra i modelli socio–culturali circolanti in Europa. Nessuna legislazione nazionale potrà mai legittimare sul più ampio teatro europeo decisioni di rottura dei modelli sociali, come le decisioni del parlamento spagnolo di attuare il cosiddetto divorzio “express” e di legalizzare il matrimonio omosessuale, equiparandolo a quello tradizionale e consentendo le adozioni con la semplice modifica dell’articolo 44 del proprio Codice civile. Difficile immaginare che la divaricazione possa essere sanata con disquisizioni giuridiche, come quella di fondare la modifica di quell’articolo [insieme ad altri 16 del Codice civile] sull’articolo 32 della Costituzione di quel paese. Ci si limita ad adeguare il linguaggio ad un modello di società in trasformazione, di cui si ignorano le stesse prospettive e del cui governo ci si disinteressa. Rimarrà sempre inagibile un modello sociale nazionale che non riesca a sintonizzarsi con quello di altri paesi. Come consentire, ad esempio, l’adozione per le coppie gay spagnole se i paesi da cui proviene la grandissima maggioranza dei bambini adottati non permettono l’affidamento ad omosessuali? Ma un altro fatto incombe, sottaciuto, sulle divaricazioni, già laceranti, del tessuto europeo. In Romania il 15 giugno una ragazza di 23 anni, Maricica Irina Cornici, viene crocifissa e abbandonata sino alla morte nella cella di un convento ortodosso. Dopo i lamenti la imbavagliano e crocifiggono, lasciandola finché non giunga la morte, dopo tre giorni, a liberarla. Agli occhi dei carnefici Maricica Irina sarebbe stata posseduta dal demonio. A quelli dei medici, da schizofrenia. Ai nostri, la povera ragazza crocifissa, cresciuta in un orfanotrofio, giunta al convento tre mesi prima per trovare un’amica e decisa poi a restare, appare la vittima innocente di una società, l’europea, che, abbagliata da luminosi fari di tecno–scienza, ignora il permanere di sacche del peggiore paganesimo, pronte a riemergere insieme ai più cruenti riti orgiastici, falsamente creduti purificatori e che solo la lenta crescita del dialogo fede–ragione, nei secoli, aveva fatto regredire. A seguire gli incubi delle notti europee parrebbe che la direzione del dinamismo ci spinga indietro, molto indietro: verso la barbarie. Cortina ha pubbli- Falsi problemi e false contrapposizioni dell’enunciazione cato un pamphlet di del problema stesGiulio Giorello: «Di nessuna chiesa. La libertà del lai- so, quindi scientificamente inutile] non c’è che dire. co», 80 pagine, Milano, 2005. Cosa vuol dire Giorello? Anzi, verrebbe solo da dire: «Evviva l’epistemologia!», Cerchiamo di capirlo. Per inquadrare la statura del [ramo della filosofia in cui per universo consenso ecpersonaggio e la natura del pamphlet, è utile una pre- celle il nostro]. Da notare che l’epistemologia è la messa: «È un falso problema scegliere tra Gesù e Muham- scienza delle proposizioni che, sole, possono essere mad: in nome dell’anima i cristiani al tempo delle guerre formulate per esprimere la certezza assoluta, in condi religione e i fautori della jihad oggi hanno optato per trapposizione a quelle che esprimono solo pareri percancellare vita e libertà. Di quel tipo di anima non sap- sonali e che possono essere formulate, solo, per espripiamo che farcene.» [Corriere della Sera. Magazine, 23.6.05, mere l’opinione relativa. Brevissima, come si vede, la premessa, per inquadrare p.94]. Giusto. Così il nostro. Ma: se il problema è falso, allora è vera la soluzione? E quale soluzione? Che il ai miei venticinque lettori la statura del personaggio problema è falso. Come affermazione tautologica [che e la natura del pamphlet. segue in seconda nulla aggiunge a quanto già era conosciuto prima La democrazia non elimina in uno stato il rischio di conflitto interno che tra i gruppi sociali si può scatenare. Si propone solo di guidarlo verso una soluzione bilanciata tra gli interessi esistenti. Così almeno dovrebbe avvenire nelle democrazie mature. Certo che, se in una campagna elettorale un candidato continua a ripetere: «Ogni voto per la nostra lista è una pallottola nel petto del nemico», difficilmente possiamo credere che si bilanceranno con equilibrio gli interessi all’indomani delle elezioni. Avviene così in Libano. Dopo un lungo periodo di guerra civile (1975-1990) il Libano aveva perduto la condizione stessa per esercitare quel ruolo di cassaforte del Medio Oriente, che i Francesi gli avevano predisposto con la loro presenza economica e militare prima della 2a guerra mondiale. Nel ’90 l’intervento economico di una famiglia saudita, Hariri, fa decollare il Libano verso il benessere materiale, ma nel febbraio del 2005 una bomba fa saltare in aria nel centro di Beirut il capo del governo Rafik Hariri. L’opinione pubblica libanese ne attribuisce la responsabilità alle forze armate siriane che occupano il paese. In massa si scende in piazza a chiederne il ritiro. A fine aprile le forze armate di Siria, dopo 29 anni di presenza, abbandonano il Libano: parte la campagna elettorale per la prima esperienza di democrazia. Il figlio di Rafik, Saad Hariri, antico ricco e nuovo credente nella democrazia, fa suo la slogan «Ogni voto per la nostra lista è una pallottola nel petto del nemico». Non stupisce che nel Libano le grida dell’odio non abbiano ancora ceduto il passo ai lamenti della pietà. Stupisce invece che inviati occidentali parlino di Saad Hariri come di un giovane «parco e prudente nelle interviste, un po’ impacciato sul palco e nei comizi». Chi non s’accorge come il linguaggio possa riflettere il disordine di una società, ma possa anche generarlo, difficilmente avvertirà il ritmo con il quale il proprio stesso paese, lentamente, si avvicina al clima libanese. Scuola: segue in seconda tra concorrenza e meritocrazia. Ci mancava il leader dell’opposizione in una ‘lettera da Creta’, a chiedere una scuola fondata sulla concorrenza. Non ha voluto esser da meno del presidente di Confindustria, che la vuole basata sulla meritocrazia. Con in mente i loro fantasmi tutti sparlano della scuola e non si accorgono che, per fortuna, in tanti preparano la strada per misurare ed alzare la qualità delle scuole: aree sensibili dell’amministrazione e docenti volenterosi in continua formazione. il narratario pagina 2 laboratorio di testi: racconti analisi rapsodie epopee continua dalla prima Libano e Iran: Segno: Un modo per destabilizzare un paese e spingerlo verso una guerra civile (passaggi necessari per il paradigma libanese) è la delegittimazione dei risultati elettorali. È ciò che stanno facendo gli Usa contro il recente voto iraniano. Ci sono libri belli e anche giornali, fogli, belli. La loro bellezza non dipende dal tempo, ma dal segno che li attraversa. E il segno non è il carattere usato, ma l’insieme dei caratteri, delle linee, dei volumi, che nello spazio della pagina si dislocano per richiamare, risvegliare, annunciare qualcosa a qualcuno, che, per i più diversi motivi, incrocia quella pagina. Poi la pagina la fermi e la interroghi. Per questo la pagina, come strumento di comunicazione, non teme l’evolversi né del tempo, né della tecnologia. Anzi usa questi per abbellirsi. Una «Grammatica del comunicare» di Illiprandi, Lorenzi, Pavesi, in tre volumi, editi da Lupetti, Milano, 2005, tenta di spiegare come al fondamento della lettura convivano l’utilità dell’apprendere il significato dei segni e l’esercizio estetico di incontrare la bellezza del segno. esperienze di democrazia. Teheran. venerdì 24 giugno. Ahmadinejad, 48 anni, sindaco di Teheran, città con 14.000.000 di abitanti, vince, contro le previsioni, le elezioni per il governo dell’Iran, superando con il 61,5% il leader in carica, Rafsanjani. Aveva chiesto agli iraniani di votare per lui, «oscuro servo del popolo e umile spazzino». Qui sono contenuti i motivi del timore con cui l’occidente ha accolto la sua elezione. «Servire il popolo» evoca la contagiosa stagione rivoluzionaria cinese, ma potrebbe essere la semplice intenzione di svolgere un servizio alla società. Chi si è lasciato prendere dal panico ha immediatamente parlato di populismo al potere. «Umile spazzino» evoca una lunga stagione moralizzatrice. Chi si è lasciato prendere dal panico ha pavidamente pensato alla via giustizialista dell’esercizio del potere o, peggio, alla via forcaiola. Difficile anticipare le scelte di Ahmadinejad, ma a molti è parso facile demonizzarle, dimenticando che per la politica, anche quando si ammanta della più pura laicità, rimane necessario recuperare la nozione di servizio alla collettività e di pulizia per il comune benessere. È paradossale che i laicissimi laici occidentali gridino allo scandalo del religiosissimo laico musulmano Ahamadinejad, prima di aver visto un peccato. Ma non manca chi è andato a cercarlo nella sua giovinezza: l’occupazione dell’ambasciata americana nel 1979. tra pagina e caratteri. La Ricerca e Rubbia: tra ‘che fare?’ e ‘che dire?’ Carlo Rubbia, un Nobel, è alla testa dell’Enea, un ente italiano con 3.000 dipendenti. Potrebbe realizzare il sistema che garantirebbe all’Italia tra 20 anni, e all’Europa tutta tra 50, l’autonomia energetica, sviluppando le ricerche sull’idrogeno. Si vuol far cadere quella testa. Lo consentirà la politica, perché non gli dà le risorse economiche necessarie. Lo consentirà la pubblica opinione, perché la si tiene cieca, sorda e muta dove non siano coinvolti progetti e appetiti di massa a sfondo sessuale o catastrofico. Lo consentirà il consiglio di amministrazione dell’Enea, perché roso dall’invidia verso una gloria dell’umanità. Rubbia se ne andrà. Ma dove dovremo mandare noi, se potessimo, quel consiglio di amministrazione? giovedì 30 giugno 2005 continua dalla prima Il pamphlet Falsi problemi e false contrapposizioni valori di di Giorello un determichiama a raccolta i laici: «Basta di- nato quadrante, positivo o negativo, fendersi! È tempo di attaccare!» lungo l’asse delle x e delle y. Difendersi da chi? Dalla chiesa cat- Ricavare dal mondo dei valori matetolica, che, dopo un eroico pontefice matici una terminologia da trasferiorientale, Karol Woityla, ha appena re al mondo dei valori morali non è affidato il timone a un dotto pontefi- operazione lecita. Nel dominio del ce occidentale, Joseph Ratzinger, sapere morale la contrapposizione colpevole di aver denunciato la dit- relativo—assoluto è inapplicabile, tatura del relativismo. mentre si rivela di grande utilità la Attaccare chi? Il disastroso assolu- contrapposizione più propria relatitismo che starebbe alla base del pen- vo—universale. siero di Ratzinger. Si dovrà, quindi, riscrivere quell’anIl ragionamento di Giorello è sem- tica pagina di storia delle lotte tra plice: «Contro l’assolutismo, che è papi e antipapi, la cui molla spesso l’opposto del relativismo. Il relativi- dagli storici è stata vista nella fame smo non si oppone all’oggettività o di ricchezza e nella sete di potere. alla verità scientifica, ma all’asso- Guardando il novello antipapa Giolutismo. E nella storia umana, i disa- rello, possiamo e dobbiamo con asstri li hanno fatti sempre gli assolu- soluta onestà ammettere che egli non tismi e i fondamentalismi. Anche la si batte né per fame, né per sete. Lo fa, chiesa, con l’apparato repressivo con il pamphlet, per quella pura ebdella Controriforma. Solo liberan- brezza intellettuale che deriva dal dosi dalla Controriforma è nata l’Eu- competere con chi, per natura, eserropa moderna e democratica ». cita un magistero universale. Per anTralasciamo il giudizio sommario e nientare tale magistero, Giorello non incerto sull’origine dell’Europa esita a reinterpretare quel passo [alla cui modernità, comunque, fu evangelico nel quale si dice che Dio proprio la controriforma (che non è chiama chi vuole. Giorello traduce: nient’altro che la riforma della Chie- «lo Spirito soffia sopra qualsiasi fonsa Cattolica) a donare il più avan- damento» e conclude: lo Spirito per zato sistema di istruzione che l’Eu- sua natura è relativo. Ma l’evangelo ropa potesse sognarsi]. E veniamo è diretto agli uomini in carne ed ossa, ai fatti, e alla terminologia, scienti- il cui fondamento sono i piedi per terfici, su cui Giorello con la potenza ra, e che, se vogliono sentire la voce della sua laicità intende fondare una che li chiama, dovrebbero solo aprineo–crociata antipapista. re orecchi e cuore. A rendere filosofiCi risulta che la contrapposizione co il vangelo, francamente, non c’è relativo—assoluto appartenga al sa- bisogno di Giorello: ci aveva già penpere matematico. In uno studio di sato, in modo magistrale, Giovanni. funzione, una volta tracciati gli assi In conclusione: cosa vuol dire Giocartesiani, osserviamo che rello con il suo pamphlet? Abbiamo —il punto di vista «relativo» rende cercato di capirlo: forse al nostro non possibile spaziare senza limiti, in interessa tanto il dibattito con verifiogni quadrante, sia positivo, sia ne- ca o falsificazione dei problemi, quangativo, lungo l’asse delle x e delle y; to la conquista della classifica di li—il punto di vista «assoluto» rende bri e pamphlet, anche approdando a possibile considerare con i precisi false contrapposizioni e sorvolando limiti indicati dallo 0 (zero) tutti i su quelle vere. laboratorio di testi racconti analisi rapsodie epopee il Editoria e informazione: tra Pubblico e Stato. L’editoria esterna ai grandi gruppi editoriali chiede soldi allo Stato, oltre che al Pubblico. Lo Stato dovrebbe darli perché i gruppi minori andrebbero protetti [si tratta di gruppi politici, cooperativistici, giornalistici], perché non riescono ad accedere alla fonte pubblicitaria, vera grande pila per l’abbeveratoio delle bestie più grosse e pericolose. Ve lo immaginate un coniglio che si spinge a bere dove sono appostati leoni, sciacalli e iene? Così, pagando, il Pubblico mantiene la sua (scarsa) informazione e lo Stato, pagando, mantiene la sua (lauta) propaganda. Ora, l’assemblea delle cooperative giornalistiche ed editoriali, al Capranichetta di Roma, reclama più soldi dallo Stato: vogliamo la «legge Bonaiuti»! Il nome è di un politico, ma loro sperano che sia di buon auspicio (per l’informazione?). Comunicazione: tra una messa e un trasloco. Il 16 giugno c’è stata una messa a Londra per i giornalisti. L’ha tenuta l’arcivescovo di Canterbury. L’occasione è stata per il trasloco da Fleet Street, la via dei giornali, dell’ultimo giornalista. L’ha celebrato il magnate dell’editoria Rupert Murdoch. Uniti a messa, divisi sulla notizia. Murdoch celebra il trasloco dell’ultima grande agenzia giornalistica londinese, onorando padri e grandi uomini che hanno generato la stampa come raccolta delle notizie. L’arcivescovo condanna figli e piccoli uomini che generano la stampa, perché sfruttano la paura della pubblica opinione per fare notizia: — si ergono a guardiani della democrazia e trattano cose estranee al pubblico interesse, catalizzate solo dall’idea di scandalo. narratario [email protected] autorizzazione tribunale di Milano 34/95 - 28.1.1995 Esemplare unico in edizione manifesto conforme all’edizione cartacea della tiratura della presente edizione in copie distintamente contrassegnate e raggruppate in quattro serie A», «B», «C», «D» serie « La copia cartacea è disponibile su richiesta al Portavoce del «Laboratorio Altiero Spinelli» Signor Fortunato Lucchini alla cortese attenzione dei Lettori della Bacheca d’Istituto Premio Nazionale “Verba Volant” 1999 con patrocinio del Ministero della Pubblica Istruzione Edizione fuori commercio - Vietata la vendita - Proprietà letteraria e artistica ® Distribuzione a cura del «Laboratorio Altiero Spinelli» E canto il curvo riccio d’una viola, tra tocchi d’amore tesa e rintocchi di morte distesa tra cielo e terra. Passano tra fori di risonanza e rimbalzano su dal fondo piatto 5 rotolando tra fasce inarcate, tocchi, sospiri, rintocchi, lamenti, a congiungersi, giacendo nel letto d’armonica tavola, con bottone proteso spiovente in punto di curva 10 delle C, gioielli di semianelli, bocche di suono per filtri d’amore. Si disegnava così di musica un umil agil ligneo strumento, la viola, sin dai tempi di Provenza, 15 giunta con i canti di viuòla, o i sospiri di una vivòla, o le lunghe sonate di vivuòla. E lo si disegnava misurato, composto il legno, pressato e intagliato, 20 pennellato incerato, lucidato. Ma già, prima di Provenza, su zolle, tra larghe foglie e delicati incensi, sale il profumo di viole odorose, tinte di bianco, tutte in mezzetinte, 25 in ricca e stemperata mescolanza tra verdi di foglie e bruni di terre, tra cieli turchini e rossi tramonti. Lì la violacea famiglia di viole, come in chiusa certosa, nutre il mondo: 30 giornale in foglio con editoria elettronica da tavolo 20125 Milano via Arbe 29 tel./fax 02/6123586 direttore responsabile Fabio Trazza mammole a capo chino e gambo teso; strette in pensier brucian di colori; a ciocche s’incastonano in grappoli; e su tutte: matronale: la notte affusola le sue foglie a lancia 35 e chiaro ogni desiderio profuma. Com’insetti volan dita sui fiori. Com’insetti volan vite dai fiori. E i girasoli nascondon le viole. Dopo la Provenza: viole da gamba, 40 piantate a terra come violoncelli; viole d’amore aperte a risonanza. Al botton della cordiera sei corde, a nodi accavallate al ponticello, 45 da piroli tese nel cavigliere, pizzicate su tastiera tastata, spalla inclinata, tentano il manico. E parte l’arco, tesi i crini in punta, dal tallone tirati stretti in vite. Partono in risonanza sette corde, 50 sette e sette (due e due, un tre) al primo strofinio di sei corde. E la viola d’amor canta e piange: canto notturno per viola d’amore all’Isla assediata d’amore e morte 55 nel più spasmodico giorno dell’anno. Il più lungo, il venticinque giugno, come un suono è volato in cielo: accompagnato dai suoi verdi occhi, i più amabili tra viole d’amore. 60