Gli architetti delle cupole - Association la Voûte Nubienne

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Gli architetti delle cupole - Association la Voûte Nubienne
CULTURA testo di Alberto Salza - foto di Christian Lamontagne / Cosmos / Luz
Gli architetti
delle cupole
NEL SAHEL SI RISCOPRE
UN’ANTICA TECNICA
DI COSTRUZIONE
FATTA DI CURVE
E TERRA CRUDA
La cupola di terra è possibile
grazie a un antico strumento
della cultura nubiana, il
compasso ligneo, che, fissato
al suolo con un perno in
corrispondenza del centro della
futura struttura, permette di
posizionare i mattoni strato dopo
strato sino a formare la volta
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Chi l’ha detto che le abitazioni
devono avere muri lisci, linee
squadrate e tetti spigolosi?
In Africa si torna a riutilizzare
la “volta nubiana”, che permette
di costruire case in terra: resistenti, economiche,
confortevoli e rispettose dell’ambiente
Dopo la fine della guerra
civile in Sud Sudan, nel
2008 venni inviato nel
villaggio di Turalei con il
compito di progettare una
città per i reduci e i pastori dinka. I Dinka sono
sempre vissuti in curatissime capanne semisferiche, adatte all’orizzonte
circolare del nomade. Il
tondo, a detta loro, è connesso alla tradizione, alla
democrazia, all’apprendimento, alla bellezza. La
mia ricerca diede risultati
opposti: la maggior parte
dei returnees e molti pastori volevano una “casa
quadrata”. Un ex-combattente mi disse: «Io vado
verso il futuro».
Durante una guerra civile, il settore che collassa
è quello delle costruzioni: la società è così concentrata nel distruggere
che nessuno investe più
in case. E nelle ricostruzioni post-conflitto in
genere si fa ricorso a tecniche di edificazione e a
modelli abitativi importati dall’Occidente, trascurando e abbandonando le
architetture tradizionali.
Così si perde l’efficacia
delle cose semplici. Mostrando il tetto crollato
di una capanna, un reduce dinka mi spiegò: «Mio
nonno avrebbe saputo come ripararlo, io no».
Mattoni crudi
Se possiamo paragonare la guerra alla catastrofe ecologica che investe
periodicamente il Sahel
(alternanza di siccità e
inondazioni), allora ben
venga la prospettiva offerta
dall’Association La Voûte
Nubienne (Avn; vedi box
alla pagina seguente), attiva nell’Africa subsahariana, che guarda al passato
per costruire un futuro sostenibile. Il nome deriva
dalla cosiddetta “volta
nubiana”, una tecnica costruttiva ad archi ogivali
che risale all’Alto Egitto
del primo millennio a.C.
La Voûte Nubienne utilizza esclusivamente mattoni
impastati con terra e seccati al sole.
La terra cruda è un materiale da sempre usato dalle popolazioni locali, in
quanto a disposizione di
tutti, ma deve essere ben
lavorata e ben assemblata
per resistere alle intemperie. Nel Sahel, contrariamente a quanto si creda,
piove. E piove con concentrata intensità: ecco perché
Avn utilizza pietre per le
fondamenta; inoltre, un
telo di plastica impermeabilizza il tetto piano a terrazza che rifinisce in alto
le volte, su cui è bello dormire nella stagione torrida
che precede le piogge. La
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MURATORI SENZA FRONTIERE
L’Association La Voûte Nubienne è attiva in Sahel dal 1998.
La sua mission è quella di «consentire nel più breve tempo
possibile, al minor costo e al maggior numero di abitanti
locali l’accesso a un habitat decente». La tecnica costruttiva
è elaborata in modo che gli abitanti delle zone rurali (ma
non solo) possano apprendere le metodologie architettoniche e siano in grado di divenire muratori semi-specializzati,
assorbendo in parte i costi edilizi per una casa propria. Il
programma è integrato nell’economia e nella società locale,
compartecipe pertanto all’autonomia delle comunità.
Tramite un programma di diffusione su larga scala, denominato Pour des Toits de Terre au Sahel, l’associazione è operativa in Burkina Faso, Mali, Togo, Senegal, Guinea, Costa
d’Avorio, dove ha già formato una rete di diverse centinaia
di muratori, i quali hanno fornito a oltre 20.000 persone
un tetto a volta nubiana: bello, ecologico, sicuro e poco
costoso. www.lavoutenubienne.org (A.S.)
plastica è l’unico elemento non autoprodotto, nella
tecnica della volta nubiana.
Ha un costo in denaro, ma
incrementa la durata delle
◀ In un villaggio del Mali
gli architetti dell’associazione
La Voûte Nubienne insegnano
ai muratori locali a costruire
cupole con la terra
◀ Per fare i mattoni si impasta
a mano l’argilla. Si evita l’uso
del legno per ridurre la costante
desertificazione del territorio e si
rifiuta l’impiego di ferro e cemento
visti come elementi “alieni”,
inadeguati al contesto
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costruzioni e il comfort
interno.
(S)volta ecologista
La forma della struttura
ad archi ogivali di poco
più di 3 metri di ampiezza – lievemente modificata rispetto al modello
nubiano – si basa sull’uso della curva catenaria
rovescia, che si ottiene in
modo semplice lasciando
pendere per gravità una
catenella da due punti fissi. Questa curvatura, sollecitabile solo a trazione,
fa sì che le volte nubiane
garantiscano solidità alla costruzione, in quanto
scaricano assai meglio le
forze rispetto alle architravi di legno.
Il Sahel vive una sempre maggiore carenza
di legname. Gli alberi si
diradano per la desertificazione, naturale e umana:
già nel 1972, a Niamey, in
Niger, riscontrai che il
maggior pericolo ambientale era dato dall’uso di
carbonella e legna da ardere da parte delle popolazioni inurbate (un operaio
spendeva il 30 per cento
dello stipendio in combustibile per uso domestico),
cui andavano aggiunti i
pali per le case “di città”.
La volta nubiana tende al
rispetto dell’ambiente e
comporta un risparmio
economico per le comunità coinvolte, in quanto si
evita l’uso della lamiera
ondulata d’importazione
(meno sicura e confortevole) che va da tempo sostituendo i tetti piani in terra
e pali (troppo difficili da
mantenere). L’unica voce
di spesa sarebbe data dalla forza lavoro; se la casa
è autoprodotta si tratta
di un investimento; se si
dovesse ricorrere a muratori preparati sul posto,
si manterrebbe comunque il denaro all’interno
dell’economia locale. Al
proposito, Avn prevede, tramite metodologie
semplici e programmi di
apprendimento mirati, la
formazione di personale
semi-specializzato, il quale sia in grado di accedere
a un mestiere per entrare
nel mercato edilizio autonomo nei Paesi del Sahel,
come da mission e vision
di chi opera nell’ambito
dello sviluppo sostenibile.
L’architetto napoletano
Sempre nel campo dell’architettura ecosostenibile
vale la pena ricordare la
straordinaria opera compiuta in Africa occidentale
dall’architetto napoletano
Fabrizio Caròla, 85 anni,
artefice in Marocco, Mali e
Mauritania di una serie di
edifici pubblici (ospedali,
università, centri di accoglienza, mercati, alberghi)
che gli hanno valso premi e
riconoscimenti importanti.
La peculiarità di tutte queste opere sta nel recupero di
tecniche costruttive proprie
della tradizione locale. Anziché esportare in Africa i
modelli costruttivi occidentali, Caròla ha valorizzato
e rielaborato lo stile usato
nell’antichità nelle regioni in
cui si è trovato ad operare,
basandosi principalmente
su materiali poveri e naturali, disponibili sul luogo.
«Ho abbandonato il cemento armato perché è
un pessimo materiale,
che costa moltissimo, accumula e poi ritrasmette calore», ha spiegato
tempo fa in un’intervista
rilasciata al nostro collaboratore Roberto Paolo.
«Ho abbandonato vetro e
ferro perché in Africa sono inutili, come in tutti i
Paesi caldi. Sono elementi
di un modello nordeuropeo che è stato trasferito
erroneamente anche in
Italia. Basti pensare agli
uffici nei grattacieli che
accumulano luce e calore, dove non si può vivere
senza aria condizionata.
Un’assurdità. Pareti lisce,
spigoli e vetrate sono fatti
per Paesi freddi, dove c’è
poca luce, sono devastanti
invece nel Sud del mondo.
Ho abbandonato anche il
legno perché il Sahel, do-
ve ho lavorato principalmente, è una zona in via
di desertificazione».
Usando mattoni di terra e
semplici pietre, Caròla ha
costruito gli edifici recuperando gli elementi architettonici della cultura
edile nubiana: archi, volte e cupole realizzate con
il compasso ligneo (uno
strumento ripreso e valorizzato dall’architetto egiziano Hassan Fathy). Un
repertorio di forme curve
in grado di realizzare soluzioni economicamente vantaggiose, di rapida
esecuzione. Funzionali al
benessere degli abitanti.
«Una cupola è un fascio di
infiniti archi – fa presente
l’architetto napoletano –.
Ognuno annulla la tensione necessaria agli altri per
reggersi in piedi, gli archi
si compensano a vicenda,
così si annullano tutti gli
sforzi. La struttura si regge naturalmente, senza
forze… Sono convinto, anche se non posso provarlo,
che questo ha un’influenza positiva su chi ci abita
dentro, sugli esseri umani,
mentre i nostri edifici qui
in Occidente trasmettono
tensione».