Valutazione automatica e rilevanza della rendita

Transcript

Valutazione automatica e rilevanza della rendita
Valutazione automatica e rilevanza della rendita catastale per i trasferimenti
immobiliari ai fini dell’imposta di registro, ipotecaria e catastale
Sommario: 1. La valutazione automatica – 2. La rendita catastale proposta – 3.
L’orientamento della Corte di Cassazione – 4. Aumento dei moltiplicatori catastali per i
trasferimenti immobiliari - 5. Tassazione a doppio binario per le compravendite di
immobili
1. La valutazione automatica
Quando si acquistava un immobile ed il venditore non era soggetto ad IVA la base
imponibile per l’applicazione dell’imposta proporzionale di registro era data dal valore
dell’immobile dichiarato nell’atto. Se l’ufficio finanziario riteneva che il valore
dell’immobile trasferito era superiore a quello indicato nell’atto, provvedeva alla rettifica
e alla liquidazione della maggiore imposta dovuta.
Il legislatore viste le dichiarazioni non sempre veritiere da parte dei soggetti che
intervengono negli atti di compravendita immobiliare e la mole di lavoro che si
prospettava per eseguire gli accertamenti ha ritenuto opportuno stabilire dei parametri
di valutazione aventi come obbiettivi: da un lato quello di inibire il potere di rettifica da
parte degli uffici finanziari e dall’altro quello di dare maggiore tranquillità ai
contribuenti, cercando, ovviamente, di ottenere una maggiore certezza del gettito.
Pertanto, al fine di facilitare i rapporti fra il contribuente e l’Amministrazione finanziaria
e di evitare un notevole contenzioso in materia di atti sottoposti a valutazione da parte
degli uffici finanziari è stato introdotto, con l’art.52, comma 4, del T.U. n. 131 del 26
aprile 1986, un parametro di riferimento valutativo automatico. In tal modo, gli uffici
finanziari non provvedono alla rettifica del valore o corrispettivo dichiarato quando detto
valore o corrispettivo è dichiarato in misura non inferiore all’ammontare determinato
con il criterio automatico.
La norma citata disponeva infatti che “non sono sottoposti a rettifica il valore o il
corrispettivo degli immobili, iscritti in catasto con attribuzione di rendita, dichiarato in
misura non inferiore per i terreni, a sessanta volte il reddito dominicale risultante in
catasto e, per i fabbricati, a ottanta volte il reddito risultante in catasto, aggiornati con i
coefficienti stabiliti per le imposte sul reddito, né i valori o corrispettivi della nuda
proprietà e dei diritti reali di godimento sugli immobili stessi dichiarati in misura non
inferiore a quella determinata su tale base a norma degli articoli 47 e 48. ...(omissis)”.
Successivamente, con decreto ministeriale 11 novembre 1989, questi moltiplicatori
sono stati elevati rispettivamente a settantacinque volte per i terreni e a 100 volte per i
fabbricati. La norma di per sé non poteva considerarsi esaustiva, in quanto non tutti i
beni immobili, se pur correttamente dichiarati in catasto, risultano iscritti negli atti
catastali ed invero – quand’anche ivi correttamente identificati – a volte si riscontrano
privi della rendita. In sostanza, si registrava uno stato di fatto non perfettamente
rispondente ai principi di uguaglianza e del buon andamento della Pubblica
Amministrazione su cui si fonda l’attività amministrativa, tanto è che il legislatore ha
ritenuto di dover emanare il decreto legge 14 marzo 1988 n. 70, convertito con
modificazioni nella legge 13 maggio 1988, n. 154, che di fatto all’art.12, comma 1,
estende la facoltà di avvalersi della “valutazione automatica” anche agli immobili ancora
privi di rendita, purché regolarmente dichiarati in catasto. Difatti, tale particolare
procedura consente al contribuente, che ne faccia richiesta, in ordine ad un immobile
non ancora censito, la determinazione della definitiva base imponibile in funzione della
rendita catastale che sarà attribuita dall’Agenzia del Territorio ed il pagame nto
dell’eventuale maggiore imposta dovuta, senza sanzioni, in un momento successivo
all’atto di compravendita.
La possibilità di avvalersi della “valutazione automatica” anche per gli immobili privi di
rendita, purché regolarmente dichiarati in catasto, è stato esteso dapprima all’imposta
1
sulle successioni e donazioni con l’art.8 della legge 17 dicembre 1986 n. 880 e
successivamente anche al valore iniziale dell’Invim con il comma 3-bis del citato art.12
della legge n. 154 del 13 maggio 1988, ed all’IVA con l’art.15 del D.L. 23 febbraio 1995
n. 41. Il suddetto criterio automatico si applica altresì all’imposta ipotecaria e catastale,
nonchè al valore finale dell’Invim.
L’art.12 della legge n. 154 del 13 maggio 1988, ed in particolare il comma 1, detta
anche gli obblighi a carico di quei contribuenti che vogliono avvalersi, per la
determinazione dell’imponibile dell’automatismo citato, qualora il reddito di riferimento
non risulti ancora iscritto negli atti catastali. Detti obblighi consistono:
nel dichiarare espressamente nell’atto o nella dichiarazione di successione di
volersi avvalere delle disposizioni portate dall’art.12 in esame;
nell’allegare alla domanda di voltura una specifica istanza per l’attribuzione
della rendita catastale, riportante gli estremi dell’atto o della dichiarazione di
successione, nonché gli identificativi degli immobili oggetto di trasferimento, l’istanza
non può essere inviata per posta e deve, quindi, essere consegnata a mano
dall’interessato o da un suo incaricato;
nel produrre all’ufficio del registro, o comunque competente, la ricevuta di
detta istanza rilasciata in duplice copia dall’ufficio catastale nella cui circoscrizione è sito
l’immobile, entro sessanta giorni dalla data di formazione dell’atto pubblico, o di
registrazione della scrittura privata, ovvero dalla data di pubblicazione o emanazione
degli atti giudiziari.
In caso di mancata presentazione della ricevuta nei termini, l’ufficio finanziario procede
alla valutazione venale del bene o del diritto.
Lo stesso art.12 prevede i termini entro cui ciascun ufficio tecnico erariale deve inviare
all’ufficio del registro il certificato catastale attestante l’avvenuta iscrizione con
attribuzione della rendita.
In questo scenario in occasione della revisione degli estimi del catasto edilizio urbano
(ora catasto dei fabbricati) con il Decreto ministeriale 14 dicembre 1991 il parametro
catastale è stato modificato e sono stati stabiliti i seguenti moltiplicatori:
34 per le unità immobiliari classificate nel gruppo E (immobili a destinazione
particolare) e per quelle classificate nella categoria catastale C/1 (negozi e botteghe);
50 per le unità immobiliari classif icate nel gruppo D (immobili a destinazione
speciale) e per quelle classificate nella categoria catastale A/10 (uffici);
100 per le unità immobiliari classificate nei gruppi catastali A, B e C, con
esclusione quindi di quelle classificate nelle categorie catastali A/10 e C/1.
Successivamente il legislatore, con specifico intervento (art.3, commi 48 e 51, della
legge 23 dicembre 1996 n. 662), ha rivalutato solamente le rendite catastali urbane del
5% e i redditi dominicali – ai fini dei tributi diversi dalle imposte sui redditi – del 25 per
cento.
2. La rendita catastale proposta
Come abbiamo visto, la prassi prevista dall’art.12 della legge n. 154 del 13 maggio
1988, pone a carico dei soggetti interessati diversi adempimenti amministrativi, che del
resto si ripercuotono in modo gravoso anche nelle attività degli uffici (comunicazioni fra
2
gli uffici, notifiche ecc.). Il legislatore, pertanto, ha introdotto con il decreto legge 20
giugno 1996 n. 323 una notevole semplificazione della suddetta procedura,
consentendo al contribuente di avvalersi della “rendita proposta” elaborata tramite la
procedura informatica denominata Docfa. La stessa peraltro è stata resa possibile dal
regolamento di attuazione dell’art. 2, commi 1– quinquies ed 1– septies, del decreto
legge 23 gennaio 1993, n. 16, convertito con modificazioni dalla legge 24 marzo 1993,
n. 75.
I commi 20, 21 e 22 dell’art.10 del decreto legge 20 giugno 1996 n. 323 prevedono che
per ogni unità immobiliare urbana priva di rendita definitiva possa applicarsi la
disposizione di cui al comma 2-bis dell’art.12 della legge n. 154 del 13 maggio 1988
qualora sussistano i seguenti requisiti:
- l’unità stessa sia stata dichiarata o variata in catasto con le modalità previste dal
regolamento emanato col decreto ministeriale 19 aprile 1994 n. 701;
- la presenza nell’atto della dichiarazione di volersi avvalere delle disposizioni previste
dall’art.12 della legge n. 154 del 13 maggio 1988.
Va da sé che il primo requisito risulta autonomamente soddisfatto per tutte le
dichiarazioni di immobili presentate in catasto mediante la procedura Docfa, il cui
utilizzo è obbligatorio dal 1997 in tutto il territorio nazionale con la sola eccezione delle
province di Trento e Bolzano allorché si debbano dichiarare in catasto nuove unità
immobiliari urbane o variazioni delle stesse. Il secondo requisito, definito dalla norma
come “sola condizione”, comporta un adempimento dichiarativo, in relazione all’opzione
del contribuente di avvalersi delle disposizioni sopra indicate. Il legislatore, quindi, ha
implicitamente abolito, in presenza di unità dichiarate con la procedura Docfa, gli
ulteriori adempimenti a carico dei soggetti interessati, ivi compresi quegli intercorrenti
fra gli uffici finanziari.
Ne consegue che è da ritenere superata la disposizione di cui al comma 2 dell’art.12
della legge n. 154 del 13 maggio 1988, che prevede la specifica trasmissione del
certificato concernente l’iscrizione in catasto con rendita dell’unità individuata
nell’istanza, in quanto le unità immobiliari sono iscritte in atti fin dalla dichiarazione o
denuncia in catasto con rendita, anche se la stessa è qualificata come “proposta”.
La nuova disciplina riguarda anche gli immobili che, pur essendo stati dichiarati
antecedentemente all’attivazione della procedura Docfa, vengono ripresentati in catasto
in conformità alla suddetta procedura ed in osservanza dell’art.4 del richiamato decreto
ministeriale n. 701 del 19 aprile 1994.
Per quanto ovvio, occorre precisare che la cosiddetta “valutazione automatica” si
applica solo agli immobili ai quali, secondo l’ordinamento catastale, è da attribuire una
rendita.
La suddetta disciplina, pertanto, non è applicabile per tutti quegli immobili che sono
stati iscritti negli atti catastali ai soli fini inventariali (unità in corso di costruzione,
lastrici solari, parti comuni di edifici, ecc.) e ai terreni per i quali gli strumenti urbanistici
prevedono la destinazione edificatoria.
Va evidenziato che ciascuna unità immobiliare dichiarata in catasto viene, con l’utilizzo
dello specifico programma informatico, iscritta in atti, dopo essere stata individuata con
gli appositi identificativi: comune, sezione (se presente), foglio, numero ed eventuale
subalterno. Inoltre, per i beni che costituiscono unità immobiliari, è fatto altresì obbligo
ai dichiaranti di individuare una rendita, definita dall’art.1 comma 3, del regolamento in
esame, come “proposta “, sulla base delle unità similari, per caratteristiche intrinseche
3
ed estrinseche, presenti nella zona ove risulta ubicata l’unità stessa.
Secondo quanto precisato dalla circolare n. 83 del 9 aprile 1999[1] “dopo l’attivazione
del programma informatico Docfa ogni unità immobiliare, può risultare iscritta in atti:
a)
con una rendita catastale definitiva (R.C.);
b)
ovvero con una rendita catastale semplicemente proposta (R.C.P.).”
“A norma del Decreto Ministeriale del 19 aprile 1994 n. 701” continua la circolare
“l’Ufficio periferico del dipartimento del Territorio competente ha facoltà di modificare la
rendita proposta, entro un anno dalla data di registrazione in atti dell’unità immobiliare,
ovvero entro due anni per il primo biennio di vigenza della procedura. Qualora
decorrano i termini citati, senza che l’azione dell’Amministrazione Finanziaria abbia
prodotto modifiche della rendita proposta iscritta in atti, la stessa è da ritenersi
definitiva”.
Recentemente l’Agenzia del Territorio ha emanato la circolare n. 7 del 4 luglio 2005[2],
anche a seguito di numerosi ricorsi presentati: è infatti possibile che venga rettificata la
rendita catastale proposta dal contribuente con la procedura Docfa, anche dopo che
siano trascorsi 12 mesi. A condizione però che gli uffici riscontrino al necessità di
procedere alla modifica dei dati in seguito ad accurate verifiche supportate da visite
dell’immobile. In teoria ora potranno essere riaperte una serie di pratiche che molti
uffici provinciali consideravano chiuse. Secondo l’Agenzia del territorio il termine di 12
mesi dalla presentazione del modello informatico risponde alla finalità di accelerare la
conclusione del procedimento di attribuzione catastale, ma non può avere natura
perentoria, né tantomeno il suo decorso può comportare la decadenza della podestà
accertativa in capo all’Agenzia stessa.
3. L’orientamento della Corte di Cassazione
Per gli atti formati in epoca anteriore alla data di entrata in vigore della legge
28/12/1995 n. 549 e dunque prima della modifica introdotta all’art.52 c. 1 del T.U. n.
131 del 26 aprile 1986, quando cioè ancora la riscossione dell’imposta complementare
di registro veniva effettuata in pratica attraverso un doppio passaggio, dovendo l’Ufficio
dapprima procedere a rettificare il valore dichiarato nell’atto portato a registrazione
mediante un avviso di accertamento e poi, con un successivo provvedimento (l’avviso di
liquidazione), procedere a richiedere il pagamento dell’imposta scaturita dalla rettifica
del valore, si è disputato, invero, in giurisprudenza, sull’obbligo dell’ufficio di notificare,
l’avviso di rettifica anche nei casi di richiesta dei contribuenti di avvalersi della
procedura prevista dall’art.12 della legge n. 154 del 13 maggio 1988.
La questione è stata definitivamente risolta dalla Corte di Cassazione, la quale ha
riconosciuto che l’Ufficio, in questa particolare ipotesi, è tenuto a richiedere la maggiore
imposta dovuta attraverso un semplice avviso di liquidazione, senza la necessità di
notificare preventivamente un avviso di rettifica.
Tale principio, che deve considerarsi assolutamente pacifico è stato ribadito in varie
sentenze della Corte di Cassazione:
Sentenza del 24/05/2000 n. 6789 che cita nella massima “ove il contribuente
abbia chiesto di avvalersi, ai sensi dell’art.12 della legge n. 154 del 1988, dei criteri di
determinazione automatica di cui all’art. 52 del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, ma il
valore del bene trasferito da lui dichiarato concretamente nell’atto risulti inferiore a
quello derivante dall’applicazione dei suddetti criteri, l’Ufficio non è tenuto ad emettere
un previo avviso di accertamento e di rettifica, ma non deve far altro che richiedere la
4
maggior imposta dovuta, attraverso la notifica di un avviso di liquidazione.”[3]
Sentenza del 05 giugno 2001 n. 7580 che cita nella massima “Quando la parte
dichiara, a norma dell’art.12 del D.L. 14 marzo 1988 n. 70 convertito nella legge n 154
del 1988, di volersi avvalere della determinazione automatica del valore sulla base della
rendita catastale, l’attribuzione della rendita adottata dall’UTE innesca un procedimento
di valutazione automatica, in ragione del quale il valore dichiarato viene sostituito dalla
risultante della rendita moltiplicata per il coefficiente stabilito in base alla natura
dell’immobile. Conseguentemente l’Ufficio, trattandosi di semplice recupero d’imposta
nella misura (implicitamente) dichiarata dal contribuente, legittimamente procede con
avviso di liquidazione e non con avviso di accertamento, il quale non si rende di per sé
impugnabile, laddove invece va impugnato lo stesso provvedimento in sé di attribuzione
della rendita. Il sistema sopra delineato è stato, fra l’altro, confermato dall’art.74 della
legge (cosiddetto “Collegato alla Finanziaria”) 21 novembre 2000 n. 342 (pubblicata
sulla G.U. del 25 novembre 2000), il quale ha stabilito che qualora atti di
determinazione della rendita adottati prima del 31 dicembre 1999 siano stati recepiti in
atti impositivi (siano essi divenuti definitivi o meno) è data la possibilità d’impugnare la
rendita ed il relativo termine è riaperto fino a sessanta giorni dall’entrata in vigore della
legge stessa (8 febbraio 2001).”[4]
Sentenza del 01 marzo 2002 n. 2973 che cita nella massima “Nel caso in cui il
contribuente, soggetto passivo dell’imposta di registro su un atto avente ad oggetto un
immobile ancora privo dell’attribuzione di rendita catastale, chieda, in base all’art.12 del
decreto legge n. 70 del 1988, convertito in legge 13 maggio 1988, n. 154, di avvalersi
del sistema di valutazione previsto dal quarto comma dell’art.52 del D.P.R. 26 aprile
1986, n. 131, e il valore derivante dall’applicazione di tale criterio automatico, una volta
attribuita la rendita, sia superiore al valore dichiarato nell’atto registrato, l’ufficio
legittimamente richiede la maggiore imposta dovuta adottando un avviso di
liquidazione, e non un avviso di accertamento. Ciò in quanto l’avviso di accertamento di
maggior valore o di rettifica, espressione dell’esercizio di un potere discrezionale
tecnico, e la liquidazione dell’imposta effettuata mediante il calcolo presuntivo del
valore basato sulla rendita catastale, attività priva di qualsiasi discrezionalità e limitata
all’esecuzione di mere operazioni aritmetiche, costituiscono due poteri amministrativi di
accertamento tributario fra di loro diversi e alternativi, disciplinati, rispettivamente dai
commi primo e quarto dell’art.52 del D.P.R. n. 131 del 1986, sicché, in presenza dei
presupposti per l’applicazione dell’art.12 del D.L. n. 70 del 1988, che richiama
espressamente solo il quarto comma dell’art.52, l’Ufficio non può esercitare il potere
attribuitogli dal primo comma dello stesso articolo.”[5]
Sentenza del 10 settembre 2003 n. 13241 parte 2 che cita nella massima “In
tema di imposta di registro, qualora l’acquirente di un immobile non ancora iscritto in
catasto edilizio urbano con attribuzione di rendita abbia dichiarato nell’atto di acquisto
di volersi avvalere della valutazione automatica, avanzando contestuale richiesta per
l’attribuzione della rendita catastale, ed il valore dichiarato risulti, dopo l’attribuzione di
questa, inferiore a quello determinabile in base alla nuova rendita secondo il criterio
automatico l’Ufficio deve riscuotere la maggiore imposta dovuta con avviso di
liquidazione senza essere tenuto ad emettere avviso di accertamento, atteso che la
liquidazione avviene, in tal caso, sulla base della volontà espressa dal contribuente di
assoggettamento al criterio tabellare di valutazione dell’immobile, mentre il detto Ufficio
non deve fare altro che calcolare la maggiore imposta dovuta sulla base di detto
criterio. Non è, conseguentemente, necessario procedere, prima della notifica
dell’avviso di liquidazione, alla separata notificazione o comunicazione dell’atto di
classamento dell’immobile con attribuzione della relativa rendita catastale, potendo tali
atti essere recepiti nell’avviso di liquidazione con il quale l’Ufficio procede al recupero
della maggiore imposta dovuta, così da consentirne la conoscenza al contribuente e da
permettere l’impugnazione dell’avviso stesso.”[6]
L’interpretazione della Corte di Cassazione, secondo la quale, nei casi di operatività
5
dell’art.12 del decreto legge 14 marzo 1988 n. 70, l’Ufficio debba richiedere la maggiore
imposta dovuta con la notifica di un avviso di liquidazione e senza la necessità
dell’avviso di rettifica, è poi coerente con il sistema dei poteri di accertamento
tributario, tenuto conto che l’avviso di accertamento di maggior valore o di rettifica è il
risultato dell’esercizio di un potere discrezionale tecnico, mentre nell’ipotesi in cui il
valore debba essere determinato senza alcuna discrezionalità, attraverso l’applicazione
di mere operazioni aritmetiche, così come accade nell’ipotesi in cui il valore viene
calcolato presuntivamente sulla base della rendita catastale, non avrebbe senso
ricorrere ad un atto espressione di un potere di valutazione. Peraltro, ad ulteriore
riprova dell’attendibilità di questa impostazione, vi è la considerazione che appare
anche contraddittorio ammettere che il contribuente, dopo avere chiesto che il valore
del bene sia determinato in modo automatico, possa poi rimettere in discussione tutto il
rapporto tributario, contestando la valutazione dell’Ufficio.[7]
4. Aumento dei moltiplicatori catastali per i trasferimenti immobiliari
Con l’art.2 - comma 63 – della legge 24 dicembre 2003 n. 350 (legge finanziaria 2004),
ai soli fini delle imposte di registro, ipotecaria e catastale, sono stati rivalutati del 10% i
moltiplicatori previsti dal comma 4 dell’art.52 del D.P.R. 131 del 26 aprile 1986. Di
conseguenza a decorrere dal 1 gennaio 2004:
-
il moltiplicatore di 34 è divenuto 37,4;
-
il moltiplicatore di 50 è divenuto 55;
-
il moltiplicatore di 75 è divenuto 82,5;
-
il moltiplicatore di 100 è divenuto 110.
Con il comma 7 dell’art.1-bis del decreto legge n. 168 del 12 luglio 2004 questi
moltiplicatori sono stati aumentati di un ulteriore 10% rispetto alla misura stabilita
prima dell’aumento sancito dalla legge finanziaria 2004 portando l’incremento
complessivamente ad una percentuale del 20%, ma con la precisazione che la
rivalutazione di questo ultimo intervento normativo riguarda i “beni immobili diversi
dalla prima casa di abitazione”. Al successivo comma 8, è precisato che “per beni
immobili diversi dalla prima casa di abitazione si intendono quelli per i quali non
ricorrono le condizioni di cui alla nota II-bis all’articolo 1 delle tariffa, parte prima,
annessa al testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro, di cui al
decreto del Presidente delle Repubblica 26 aprile 1986, n. 131”. Dal tenore letterale dei
citati commi 7 e 8 si evince che l’ulteriore aumento del 10% riguarda tutti gli immobili
suscettibili di valutazione automatica, con l’esclusione di quelli per i quali ricorrono le
condizioni per usufruire, in sede di registrazione dell’atto o della dichiarazione di
successione, dell’agevolazione “prima casa”. In altri termini, dall’aumento sono escluse
le unità immobiliari adibite a prima abitazione (ovvero i fabbricati censiti nel catasto
urbano con le categorie catastali da A/1 a A/11, esclusi gli uffici, categoria A/10) e le
pertinenze delle medesime (fabbricati censiti come C/2, C/6 e C/7) pur se acquistate
con atto separato, sempre che possiedano i requisiti per beneficiare dell’agevolazione
“prima casa”.
Pertanto ai soli fini dell’imposta di registro, ipotecaria e catastale i moltiplicatori
diventano:
-
40,8 per i fabbricati classificati nel gruppo E e nella categoria catastale C/1;
-
60 per i fabbricati classificati nel gruppo D e nella categoria catastale A/10;
6
-
90 per i terreni agricoli;
-
110 per i fabbricati costituenti “prima casa”;
120 per i fabbricati classificati nei gruppi A, B e C, con esclusione delle
categorie catastali A/10 e C/1 e dei fabbricati abitativi costituenti “prima casa”.
Volendo fare un esempio di valutazione automatica per il trasferimento di un immobile,
alla luce delle suddette disposizioni normative, immaginiamo un rendita catastale di
1.000 euro riferita ad una abitazione diversa dalla “prima casa”. Questa rendita va
anzitutto aggiornata del 5% e diventa 1.050[8], a questo prodotto va poi applicato il
moltiplicatore (100) rivalutato del 20%, ottenendosi la moltiplicazione di 1.050 per 120,
con il risultato 126.000 euro, l’importo rappresenta il valore automatico di questo
fabbricato.
5. Tassazione a doppio binario per le compravendite di immobili
Dall’1 gennaio 2006 la base imponibile su cui applicare le imposte per la compravendita
fra persone fisiche di immobili ad uso abitativo e relative pertinenze potrà essere, su
richiesta della parte acquirente resa al notaio, il valore catastale e non più il prezzo
concordato fra le parti. A prevederlo è il comma 497 della legge finanziaria 2006, che in
deroga all’art.43 del Testo Unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro di
cui al D.P.R. 26 aprile 1986 n. 131, per le sole cessioni fra persone fisiche che non
agiscano nell’esercizio di attività commerciali, artistiche o professionali, aventi ad
oggetto immobili a uso abitativo e relative pertinenze all’atto della cessione e su
richiesta della parte acquirente resa al notaio, la base imponibile ai fini delle imposte di
registro, ipotecarie e catastali è costituita dal valore dell’immobile determinato ai sensi
dell’art.52, commi 4 e 5, del D.P.R. 26 aprile 1986 n. 131, indipendentemente dal
corrispettivo pattuito indicato nell’atto.
La finanziaria ha – quindi - varato un doppio binario opzionale per la tassazione delle
compravendite degli immobili ad uso abitativo fra persone fisiche. Va evidenziato,
infatti, che il nuovo trattamento fiscale non è automatico: la norma può essere
applicata solo se vi sia una “richiesta della parte acquirente resa al notaio”, in
mancanza si torna al vecchio sistema e cioè la tassazione del trasferimento sulla base
del prezzo dichiarato (o del valore del bene, se superiore al prezzo). Occorre, inoltre,
precisare che la nuova norma è applicabile solo alla compravendite effettuate fra
persone fisiche che non agiscano nell’esercizio di attività commerciali, artistiche o
professionali (e quindi non enti collettivi quali associazio ni, fondazioni, società di ogni
tipo, eccetera) e non riguarda qualsiasi tipologia edilizia, ma concerne esclusivamente
gli immobili ad uso abitativo e relative pertinenze (ne sono quindi esclusi uffici, negozi,
opifici, terreni, eccetera).
L’innovazione legislativa, seppur nei limiti sopra precisati, risponde all’esigenza di
rimediare al diffuso e pericoloso malcostume di dichiarare, nei rogiti, un prezzo inferiore
a quello effettivamente pattuito e appena di poco superiore al cosiddetto valore
catastale. La nuova norma incentiva, dunque, l’emersione del prezzo realmente
negoziato, “disinnescando” la sua rilevanza fiscale ed evitando i gravissimi rischi
connessi - sotto il profilo civilistico – alla dichiarazione di un prezzo inferiore a quello
vero, dato che l’imponibile non sarà più rappresentato dal prezzo ma dal valore
catastale. Difatti, da quando nel 1986, il Testo Unico del registro, ha introdotto la
cosiddetta “valutazione automatica” si è diffuso il cattivo e illecito costume di dichiarare
nei rogiti di compravendita un corrispettivo inferiore a quello effettivamente pagato dal
compratore per abbattere l’imponibile su cui calcolare l’imposta. A parte le disastrose
conseguenze che a livello fiscale e civilistico possono derivare da una dichiarazione di
prezzo inferiore rispetto alla realtà, la “valutazione automatica” non va intesa come un
salvacondotto inoppugnabile. Infatti, dichiarare un imponibile pari o appena superiore al
7
valore catastale mette sì il contribuente al riparo dall’azione di accertamento di valore
(cioè il procedimento che il fisco può svolgere per accertare che il valore trasferito è
maggiore del prezzo dichiarato per applicare a quel valore l’aliquota di imposta) ma non
mette al riparo dalla sanzione per occultamento di corrispettivo previsto dall’art.72 del
D.P.R. n. 131 del 26 aprile 1986 (sanzione dal 200 al 400% dell’imposta dovuta sulla
differenza tra prezzo vero e dichiarato). A far desistere da questo comportamento
potrebbe essere la nuova norma inserita al comma 497 della legge finanziaria 2006 e
volendo, quindi, fare un esempio della nuova tassazione ipotizziamo una compravendita
di un appartamento con rendita catastale di 793,65 euro, nella quale si dichiara un
prezzo di 250.000,00 euro, a richiesta dell’acquirente la tassazione va operata non più
prendendo a riferimento il prezzo (caso nel quale – immaginando che non si applichino
agevolazioni – le imposte di registro, ipotecaria e catastale dovute sarebbero 25.000,00
euro) ma il valore catastale (e cioè la rendita catastale 793,65 aggiornata del 5%, che
diventa 833,33, a questo prodotto va poi applicato il moltiplicatore 100 rivalutato del
20%, ottenendosi la moltiplicazione di 833,33 per 120, uguale a 100.000,00 euro), con
il risultato che l’ammontare da pagare in sede di registrazione dell’atto di
compravendita risulta di 10.000,00 euro (vale a dire la somma di 7.000,00 euro per
imposta di registro, di 2.000,00 euro per imposta ipotecaria e di 1.000,00 euro per
imposta catastale ) anzichè 25.000,00 euro.[9]
Antonio Scianaro
Funzionario dell’Agenzia delle Entrate di Parma
[1] Ministero delle Finanze, Dipartimento del Territorio, Circolare del 9 aprile 1999 n.
83, in dt.finanze.it.
[2] Agenzia del Territorio, circolare del 4 luglio 2005 n. 7, in dt.finanze.it.
[3] Cass. civ. 24 maggio 2000 n. 6789, in dt.finanze.it.
[4] Cass. civ. 5 giugno 2001 n. 7580, in dt.finanze.it.
[5] Cass. civ. 1 marzo 2002 n. 2973, in dt.finanze.it.
[6] Cass. civ. 10 settembre 2003 n 13241 parte 2, in dt.finanze.it.
[7] Pierluigi Muccari, Il recupero delle imposte in caso di valutazione automatica per i
trasferimenti immobiliari, in Il Corriere Tributario n. 38/2002.
[8] Art. 3, commi 48 e 51, della legge 23 dicembre 1996 n. 662 (legge finanziaria
1997) che ha disposto la rivalutazione delle rendite catastali : 5% per la rendita
catastale dei fabbricati e 25% per i redditi dominicali dei terreni.
[9] Angelo Busani, Nel rogito valori a confronto, in Il Sole 24 Ore del 30 dicembre 2005.
8