Giugno - salesiani don Bosco
Transcript
Giugno - salesiani don Bosco
Spedizione in abb. postale 45% - art. 2 comma 20B - Legge 662/’96 - D.C./ D.C.I. - Torino - Tassa Pagata / Taxe Perçue • ANNO XXVIII - MENSILE - N° 6 - GIUGNO 2007 06 MA-giu-2007-impag(6) 18-05-2007 10:28 Pagina 1 MARIA A U S I L I AT R I C E RIVISTA DEL SANTUARIO BASILICA DI MARIA AUSILIATRICE - TORINO Il Pane di Vita 06 MA-giu-2007-impag(6) 18-05-2007 10:28 Pagina 2 L’eco di una splend i La pagina del Rettore Carissimi amici del Santuario, P er chi è stato testimone delle solenni celebrazioni dei giorni scorsi, riecheggia ancora nella mente e nel cuore, la grande testimonianza di una grande devozione popolare a Maria Ausiliatrice. Quante suppliche, quante preghiere, quante confessioni, quante testimonianze...! Anche agli occhi di chi è diffidente e scettico un’attenta esperienza a Valdocco nei giorni “caldi” delle celebrazioni lo impressiona fortemente. Così è stato anche per chi ha potuto seguire alcuni momenti salienti della veglia e delle celebrazioni del 24 mattino e sera, su TELEPACE, televisione satellitare che, con la collaborazione del “Don Bosco Media Center” di Torino ha portato nelle famiglie e nelle comunità religiose di tutto il mondo un messaggio mariano significativo e forte. Attenti osser- ia Festa di Mar 24 maggio vatori hanno valutato che solo tra i due giorni del 23 e 24 sono passate a Valdocco più di 100.000 persone e certamente più di un milione hanno seguito l’evento in tutto il mondo. Nel prossimo numero della nostra rivista vi daremo conto della festa con numerosi flash fotografici. Ritorniamo ora, per qualche istante, a riconsiderare la rilettura degli eventi che hanno segnato la nostra storia salesiana e il senso recondito del santuario di Maria Ausiliatrice. Dicevano nel numero scorso, che la costruzione del tempio è più che un lavoro tecnico, che una preoccupazione per i piani, i materiali e i finanziamenti. Per Don Bosco la costruzione della Basilica di Maria Ausiliatrice rappresenta un’esperienza spirituale ed una maturazione della mentalità pastorale. La realizzazione di questo grande tempio supera l’idea iniziale: da una chiesa per la sua casa, il suo quartiere e la sua congregazione all’idea di un santuario, meta di pellegrinaggi, centro di culto e punto di riferimento per una famiglia spirituale. Parrocchia salesiana di Codigoro (Ferrara). 2 I problemi economici poi si sono risolti con grazie e miracoli che stimolarono una generosità non calcolata del popolo (oggi possiamo affermare e testimoniare che si ripetono tali grazie!). Tutto ciò radicò in Don Bosco la convinzione che “Maria si era edificata la sua casa”, “che ogni mattone corrispondesse a una sua grazia”. All’origine del santuario di Valdocco non c’è, come in altri luoghi mariani, un’apparizione o un miracolo. Ma il tempio stesso finisce per essere un luogo e un complesso “taumaturgico” (v. don P. Stella). Affermò un sacerdote di quel tempo, un certo teologo Margotti: “Dicono che Don Bosco fa miracoli. Io non ci credo. Ma qui ne ebbe luogo uno che non posso negare: è questo sontuoso tempio che costa un milione ed è stato costruito in soli tre anni con le offerte dei fedeli”. La costruzione coincide ed è seguita dalla fondazione dell’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice. Esse rappresentano l’al- Parrocchia di Morgex (Aosta) con Don Renato. A 06 MA-giu-2007-impag(6) 18-05-2007 10:28 Pagina 3 d ida esperienza che continua e a Ausiliatric o largamento del carisma al mondo femminile. Così come un’altra fondazione, l’arciconfraternita di Maria Ausiliatrice è, insieme ai cooperatori, l’estensione verso il mondo laico. Comincia allora l’espansione delle Congregazioni. Avrà la sua manifestazione vistosa nelle spedizioni missionarie che ancor oggi partono, in gran parte, da Valdocco. Ne venne come conseguenza l’apertura apostolica: dall’istituto educativo ad una pastorale popolare con elementi tipici: la predicazione, i sacramenti, la pratica della carità attraverso offerte materiali e partecipazione alle attività caritative. Seguì anche lo sforzo sistematico per le vocazioni adulte chiamato “opera di Maria Ausiliatrice”. Senza assolutizzare l’affermazione, si può dire che Don Bosco incominciò la costruzione come direttore di un’opera e la finì come capo carismatico di un grande movimento ancora in germe ma già definito nelle finalità e tratti distintivi; la cominciò come sacerdote originale di Torino e la finì come apostolo della Chiesa, passò dalla città al mondo. Parrocchia di Robbiano Giussano (Milano) con Don Virgilio. Se l’esperienza dell’oratorio aveva dato come risultato positivo la prassi pedagogica, l’opera del santuario fece emergere nel lavoro salesiano una visione di Chiesa come popolo di Dio sparso su tutta la terra in lotta con le potenze del male: una prospettiva che presenterà in un’altra forma nel sogno delle due colonne (1862 di cui già avevamo parlato la volta scorsa). Forgiò uno stile pastorale fatto di audacia e fiducia: saper cominciare con poco, osare molto quando si tratta del bene, andare avanti affidandosi al Signore. Scolpì una convinzione nel cuore della congregazione: “Propagate la devozione a Maria Ausiliatrice e vedrete che cosa sono i miracoli...”. L’augurio più cordiale per tutti noi è che sappiamo imparare dalla nostra storia di famiglia e che dalla fiducia in Maria ognuno di noi si senta al sicuro ed aiutato ad essere un degno testimone dell’amore di Dio. Don Sergio Pellini Rettore Scuola Materna Gesù Fanciullo di Rosà (Vicenza). 3 06 MA-giu-2007-impag(6) Editoriale Il matrimonio è l’accoglienza della definitività dell’amore. 4 18-05-2007 10:28 Pagina 4 Cnell’a o n more sacrati «Ti amo». È una delle espressioni più usate ogni giorno da milioni di persone. Pronunciata con intensità e trasporto. Coscienza e passione. Ponderatezza e affetto. Una frase che anche i coniugi legati da molto tempo non farebbero male a ripetersi. È una dichiarazione, un’invocazione, un mostrarsi nella semplicità di ciò che si è, disarmati ma forti della propria donazione. Come acqua di primavera essa sgorga dalla semplicità del cuore e proclama la trasparenza e la purezza dell’amore. Parole che temono solo di non reggere ai rovesci della vita e che invocano un fondamento perenne e assoluto che fondi il loro stesso vibrare. Parole che anelano all’eterno e che bramano l’immortalità. Esse sono termini di un desiderio senza termine. Nell’istante in cui sono pronunciate l’Universo sembra vibrare di gioia. La ferialità dell’inesorabile temprerà l’incandescenza vitale dell’entusiasmo contenuto nella semplicità di questa espressione. Ma ogniqualvolta essa verrà utilizzata, s’imporrà con l’autorità del suo abbandono poiché ricorda agli umani le possibilità dischiuse dall’amore e indica loro la via verso l’amore perfetto, suscitando nel cuore, nella mente, nei sensi una domanda: ma esiste l’amore perfetto? Esiste un amore di cui non se ne può pensare uno maggiore? Oppure la perfezione nell’amore è come un orizzonte verso cui si cammina ma mai si raggiunge? La sera del Giovedì Santo, nelle chiese si proclama il testo del capitolo XIII del Vangelo di Giovanni, in cui si dice: «Prima della festa di Pasqua, Gesù, sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine». Il testo greco di “sino alla fine” non significa solo: sino al termine della propria vita; indica la consumazione totale del proprio essere, l’offerta esaustiva di sé. Poiché Gesù è l’uomo perfetto, anche l’amore che ha dimostrato è un amore perfetto. Si potrebbero ancora dire altro su questa frase di Giovanni, poiché Gesù è persona divina e il suo amore ci introduce in quella fine che non ha fine che è l’eternità stessa e che la sua offerta è perenne e dura in cielo come in terra sino alla consumazione dei secoli mediante l’offerta dell’Eucaristia. Gesù dimostra, quindi, un amore perfetto, tanto che non si può amare più di Gesù. Il suo amore umano è, dunque, l’amore umano perfetto. Quando un uomo e una donna assumono nella loro vita questo amore? Semplicemente quando accolgono la definitività dell’amore. 06 MA-giu-2007-impag(6) i In ogni età l’amore ha le sue espressioni. Col passare degli anni, l’affetto e la vicinanza assumono tonalità nuove che rendono l’amore una continua scoperta. 18-05-2007 10:28 Pagina 5 Questa radicale e conclusiva donazione viene sancita nel sacramento del matrimonio. In ogni sacramento è Cristo che agisce mediante il ministro. Ora, nel sacramento del matrimonio, per la Chiesa d’Occidente, i ministri sono gli sposi stessi: attraverso il loro reciproco donarsi, Cristo porta a compimento in loro il Suo “amare sino alla fine”. In loro, Cristo realizza il Suo donarsi all’umanità per sempre. Così Cristo rende gli sposi partecipi del Suo stesso amore che è amore infinito ed eterno. Quando Cristo celebra il matrimonio, rende partecipi i due sposi della definitività insita nel Suo amore. Istituisce fra essi un vincolo che li lega in un’appartenenza indistruttibile. Il dovere della fedeltà e la forma giuridica dell’indissolubilità sono conseguenze non l’essenza di questo vincolo. Gli sposi infatti possono essere infedeli; possono divorziare: ma il vincolo che li unisce l’uno all’altro permane più forte di ogni divisione, poiché, in questo senso, il sacramento è stato istituito da Cristo stesso. Quando gli sposi accolgono la perennità dell’amore di Cristo, Gesù stesso rende partecipi i due sposi della Sua capacità di amare. E poiché ogni sacramento è frutto della Pasqua del Signore e del dono che Lui fa ai Suoi discepoli nella storia, cioè il dono dello Spirito, allora gli sposi sono mossi dall’azione dello Spirito Santo. È lo Spirito Santo che ha spinto Cristo a donarsi sulla Croce e gli sposi sono resi partecipi di questa stessa forza amorosa: questa partecipazione effusa nel cuore degli sposi è la carità coniugale. È questa l’operazione più preziosa compiuta da Cristo quando celebra il sacramento del matrimonio. Il vincolo coniugale esige la carità, e nello stesso tempo è il vincolo coniugale che abilita gli Sposi a ottenere il Vivificante, cioè lo Spirito Santo che porta a compimento e perfeziona il loro amore umano. Il vincolo senza la carità è un non senso e la carità, ossia l’amore di Dio nei nostri cuori, si ottiene mediante l’implorazione della preghiera. «Io voglio amare te, ma senza l’amore di Dio in me, so che il mio amore è fragile e fugace, per questo chiedo a Dio di amare attraverso di me la persona che ho scelto come segno della Sua amorosa fedeltà»: Concedi, o Signore, che le nostre famiglie scoprano la forza della Tua benevolenza, e in Te si consacrino affinché il loro amore raggiunga gli orizzonti del Tuo. Don Giuseppe Pelizza 5 06 MA-giu-2007-impag(6) 18-05-2007 10:28 Pagina 6 Il mistero del Gesù racconta il Padre pane della vita Gv c. 6 6 © Elledici / G. Schnoor S e una similitudine c’è tra il capitolo 5 e il 6, è che anche qui si inizia con un miracolo e qualche appendice e poi segue un lungo e non facile discorso-dibattito sul pane di vita. Il miracolo viene chiamato segno e questo dice che ci vuole indicare qualcosa d’altro simbolizzato dal racconto. L’inizio è molto strano: “Gesù passò all’altra riva del mare di Galilea”, ma da dove partì e dove approdò sull’altra riva? Silenzio assoluto. Poi si crea l’atmosfera per il racconto miracoloso. La narrazione è molto diversa da quella dei Sinottici, ma assai piacevole (6,5-15). La riassumiamo: l’iniziativa è tutta di Gesù, il quale, vedendo una grande moltitudine, dice a Filippo: «Dove possiamo comperare il pane perché costoro abbiano da mangiare?». Poi si fa avanti un ragazzino con cinque pani e due pesci. Allora Gesù fa sdraiare la gente, rende grazie, e distribuisce il pane; ce n’era in sovrabbondanza. La gente si entusiasmò e voleva prendere Gesù per farlo re, ma egli riuscì a sfuggire solo sul monte, mentre i discepoli presero la barca e si diressero verso Cafarnao. Durante la notte il mare era molto agitato. Ma a un certo punto venne verso di loro Gesù, camminando sull’acqua. Si avvicinò e disse: «Non abbiate paura». E con lui la barca raggiunse presto la riva (6,16-21). Anche la gente al mattino si diresse con le barche verso Cafarnao, dove incontrarono Gesù. A questo punto (6,25) ha inizio il discorso-dibattito sul pane che dà la vita. Andrea conduce da Gesù un ragazzo e poi si ritira. Lascia che Gesù incontri personalmente questo giovane. In questo modo diventa il modello di ogni apostolo: condurre a Gesù rimanendo liberi dinanzi ai propri impegni e progetti. “Discorso-dibattito” sul pane che dà la vita (6,26-59) Nella spiegazione seguiamo il metodo usato nel capitolo 5: inserire il testo in corsivo nel commento. L’importante è di non perdere mai di vista il testo. Una prima parte è racchiusa da due frasi: dalla parola di Gesù: «Cercate il cibo che dura per la vita eterna» e dalla domanda del popolo: «Signore, donaci sempre questo pane». Gli interlocutori diretti sono le folle, ma l’evangelista sta parlando alla comunità cristiana che deve assumere le sue responsabilità di fronte a Gesù. “Gesù rispose alla gente che gli chiedeva come era giunto a Cafarnao: «In verità, in verità vi dico: voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. Cercate non il cibo che perisce, ma quello che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell’uomo vi darà, perché su di lui il Padre ha messo il suo sigillo». Il fatto che la gente non lo cerchi perché ha visto dei segni è spiegabile. L’hanno appena proclamato come “Il Profeta che deve venire nel mondo” (6,14). Ora lo cerca perché si sono saziati. Un inviato di Dio che risolve la materialità della loro vita: assicurare il pane, è più che sufficiente, ma non per Gesù che è venuto per donare la vita eterna. Perciò subito eleva il suo linguaggio e fa guardare in alto: «Datevi da fare non per il cibo che perisce, ma per quello che dà la vita eterna, che sazia per sempre». Solo questo cibo è un ve- 06 MA-giu-2007-impag(6) 18-05-2007 ro dono di Dio e ve lo darà il Figlio dell’uomo. “Ve lo darà”, al futuro perché si tratta di una promessa. Il compimento viene spiegato nel discorso. Però il Padre con il miracolo, compiuto da Gesù, ha messo il suo sigillo sull’agire del Figlio, cioè assicura che si compirà. Allora gli dissero: «Che cosa dobbiamo fare per compiere le opere di Dio». Gesù rispose loro: «Questa è l’opera di Dio che crediate in colui che lui ha mandato». “Le opere”. La gente di solito educata dai farisei pensa alla vita eterna come a una conquista personale, frutto del proprio agire, non come a un dono. E invece Gesù fa guardare al dono: “l’opera di Dio” singolare; e poi dice che consiste nel “credere in colui che Egli ha mandato”. L’opera è fatta dall’uomo, ma è allo stesso tempo “un’opera di Dio”, compierla significa aderire totalmente a Gesù per un dono che non può dare ora, ma che darà quando sarà innalzato sulla croce. Allora gli dissero: «Quale segno compi perché vediamo e crediamo in te? Che cosa fai? I nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto, come sta scritto: “Diede loro da mangiare un pane venuto dal cielo”». Rispose loro Gesù: «In verità, in verità vi dico: Non è Mosè che vi ha dato un pane dal cielo, ma il Padre mio vi dà ora un pane dal cielo, quello vero. Infatti il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo». Allora gli dissero: «Signore, dacci sempre questo pane». Gesù ha chiesto la fede in lui, un’adesione totale alla sua persona. Ma la gente non ci sta. Ci vuole ben altro; per credere in lui, non basta il miracolo del pane. Quindi, come i farisei, chiedono un segno più strepitoso e citano quello che avvenne nel deserto, quando Dio con la manna 10:28 Pagina 7 diede loro un pane disceso dal cielo. Gesù cambia il soggetto e dice: «Non è Mosè che ve lo ha dato» e poi passando dal passato al presente aggiunge: «Ma il Padre mio vi dà ora un pane dal cielo, quello vero». E, definendo se stesso dice che il pane vero è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo, cioè “è sorgente di vita per tutti, non solo per un popolo”. A questo punto come la samaritana, quando ha sentito parlare di un’acqua che disseta per sempre, anche loro rispondono in modo simile: «Signore, dacci sempre questo pane». La samaritana ha detto così per togliersi il fastidio di attingere ogni giorno al pozzo. Ora hanno risposto per un simile motivo non perché vogliono credere. La risposta verrà. Gesù rispose loro: «Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà mai più fame e chi crede in me non avrà mai più sete. Vi ho detto però che voi mi avete visto, eppure non credete». Si è parlato della manna, “un pane venuto dal cielo”; E Gesù allegorizzando dice: «Io sono il pane della vita» o come si è detto: «Sono colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo» (6,33) «Sono io il pane dal cielo, quello vero che il Padre vi darà». Il pane che sazia per sempre è Gesù nella totalità della sua persona. Egli è quel nutrimento che solo può sostenere e saziare e dare quella vita che ha il carattere della definitività; egli è davvero per l’uomo sorgente di vita. Non è quindi possibile avere la vita senza Gesù. Il Padre infatti lo ha mandato affinché chi crede in lui abbia la vita eterna. I cristiani della comunità di Giovanni che spezzavano insieme il pane eucaristico, gioivano nell’udire Gesù definirsi: «Sono io il pane della vita». Invece a quelli che l’ascoltavano Gesù diceva: «Mi avete visto e non credete». Gesù si sente rifiutato, eppure continua a rivelarsi con parole incisive. «Tutto ciò che il Padre mi dà verrà a me: colui che viene a me non lo respingerò, perché sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà ma la volontà di colui che mi ha mandato. E questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nulla di quanto mi ha dato, ma che lo risusciti nell’ultimo giorno. Questa infatti è la volontà del Padre mio: che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna e io lo risusciti nell’ultimo giorno». Ci sembra di essere di fronte Il luogo in cui Gesù ha moltiplicato i pani e i pesci si trova nelle vicinanze del lago di Tiberiade. Il periodo in cui Gesù pose questo segno, era la primavera, in prossimità della Pasqua. 18-05-2007 10:28 Pagina 8 © Elledici / G. Schnoor 06 MA-giu-2007-impag(6) Nel Vangelo di Giovanni, Gesù stesso distribuisce i pani e i pesci alla folla che sta attorno a Lui. È Gesù che dirige l’azione e mantiene la regia di quello che sta avvenendo. a un meraviglioso riassunto di quanto finora si è detto su Gesù, Figlio di Dio, Inviato del Padre, Sorgente di vita eterna. Gesù ora parla in prima persona del Padre come Mandante, di sé come l’Inviato e degli uomini come destinatari della sua opera. L’iniziativa è come sempre del Padre il quale vuole che tutti gli uomini abbiano la vita eterna e siano salvi per mezzo del Figlio suo. Ma ci sono coloro che vedono il Figlio e non credono in lui (6,36); però ci saranno, soprattutto nel futuro, anche coloro che vedono Gesù e lo accoglieranno e crederanno in lui (6,40); e lo accoglieranno come “dono del Padre” (3,16). In questi Gesù vede il “dono” che il Padre fa a lui. È meraviglioso: come credente sono per Gesù un “dono” del Padre. La comunità che sta con Gesù sa che gli uni sono per gli altri “dono di Dio”. Questa è l’opera del Padre che, mediante la fede, ha reso i discepoli capaci di appartenere al Figlio. 8 Ma ora osserviamo il Figlio, colui che come apprendista alla scuola del Padre si è reso soggetto capace della sua missione. Egli dice di ciascuno: non lo caccerò via, farò sì che non si perda, lo risusciterò nell’ultimo giorno. E farà tutto questo perché il suo cibo è “fare la volontà del Padre”. Sono parole che infondono nel cristiano un senso di sicurezza della sua futura salvezza. Una dura controversia (6,41-59) Se vogliamo leggere rettamente questa difficile pagina di Vangelo dobbiamo collocarci nella comunità cristiana di allora e nella sua prassi eucaristica. Essi spezzavano il pane come Gesù aveva loro insegnato: “Prendete, questo è il mio corpo... prendete questo è il mio sangue...”. Assumere il corpo e il sangue del Signore dava loro la possibilità di entrare nella più intima comunione con lui. Leggendo o ascoltando in questa situazione il rac- conto non capivano perché tanti giudei sentendoli parlare suscitavano polemiche a non finire. È questa situazione ecclesiale che traspare da tutto il racconto e che si sovrappone a quello che Gesù ha detto. Certamente Gesù ha parlato di sé come “pane” e della necessità di essere mangiato. Leggiamo il testo: «I giudei mormoravano contro di lui perché aveva detto: “Io sono il pane disceso dal cielo” e dicevano: Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe del quale conosciamo il padre e la madre? Come dunque può dire: “Io sono il pane disceso dal cielo?”». Innanzitutto si parla dell’identità di Gesù e si presenta la sua carta d’identità: egli è questo e non si può aggiungere altro. Perciò come può dire: “sono disceso dal cielo?”. Sembra di risentire Nicodemo che dice: “Come può accadere questo?”. Sono parole che sanno di chiusura. Gesù sente le loro difficoltà e perciò torna a parlare del Padre. «Non mormorate tra di voi. Nessuno può venire a me se non lo attira il Padre che mi ha mandato e lo risusciti nell’ultimo giorno. Sta scritto nei profeti: “E tutti saranno istruiti da Dio”. Chiunque ha ascoltato il Padre e ha imparato da lui viene a me. Non perché qualcuno abbia visto il Padre. Solo colui che viene da Dio ha visto il Padre. In verità, in verità vi dico chi crede ha la vita eterna. Io sono il pane della vita. I padri vostri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti; questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia. Io sono il pane vivo disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo». Gesù sente le loro difficoltà e perciò torna a parlare del Padre. Il credere in lui è “opera di Dio” è dono del Padre. E, spiegando l’agire del Padre dice loro che 06 MA-giu-2007-impag(6) 18-05-2007 debbono aprirsi a Dio, lasciarsi istruire dal Padre che ha già parlato per mezzo dei profeti. Ascoltino la sua parola e l’accolgano; allora capiranno chi è Gesù, andranno da Gesù senza aver visto Dio, la cui educazione avviene nell’intimo dell’essere e porta a poco a poco a convinzioni di fede che il Padre si rivela definitivamente in Gesù che viene dal Padre come pane e sorgente di vita. Poi riafferma di essere il “Pane disceso dal cielo” e di nuovo richiama il dono della manna che non può dare la vita. Mentre il pane che viene dal cielo dà la vita eterna. E finisce dicendo: «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo». Non l’avesse detto... I Giudei si misero a discutere aspramente tra di loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?». Gesù disse: «In verità, in verità vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’Uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Come il Padre che ha la vita ha mandato me e io vivo per mezzo del Padre, così anche colui che mangia me vivrà per mezzo di me. Questo è il pane disceso dal cielo non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno». Per i Giudei la parola di Gesù è un assurdo. Impossibile fare i cannibali e mangiare la carne di un uomo e tanto meno bere il suo sangue. Ancora oggi gli 10:28 Pagina 9 Ebrei non mangiano il sangue, perché il sangue è vita e la vita appartiene a Dio. Perciò il linguaggio di Gesù è inaccettabile e nei loro dibattiti con i cristiani mettevano in evidenza quello che per loro era un assurdo. Per i cristiani invece la rivelazione di Gesù è meravigliosa e chiara. Si intende per i cristiani che leggono nella luce pasquale. Essa richiama loro quanto è avvenuto nel Cenacolo. Gesù continua a dire loro: «Prendete e mangiate: questo è il mio corpo... Prendete e bevetene: questo è il mio sangue». Corpo e sangue separati; ciò significa che è intervenuta la morte; che Gesù può diventare “cibo e pane che dona la vita” solo nel dono totale di se stesso. Cibarsi di lui era quello che i cristiani facevano e fanno celebrando e spezzando insieme il pane, come Gesù ha loro insegnato nel Cenacolo. “Insieme” perché ogni partecipante deve imparare a imitare Gesù e a farsi come Gesù dono totale per gli altri. Mangiare Gesù “pane” significa già fin d’ora possedere la vita eterna. Il dono eucaristico è il dono più bello che Gesù ci ha fatto; esso ci fa entrare nella più intima comunione con lui e con il Padre: ci fa vivere la sua vita e ci insegna a donare la nostra. Il v. 59 è un versetto isolato. Dice che Gesù disse queste cose nella sinagoga di Cafarnao. Ma quando vi entrò? Gesù e i discepoli (6,60-71) Quanta tristezza traspare dal volto di Gesù in questa pagina di Vangelo. Oramai i Giudei lo hanno rifiutato e i discepoli non riescono a capirlo. Dicono: «Questo discorso è duro, chi può ascoltarlo?» (6, 60). Nella situazione che si è creata le parole di Gesù sono per loro uno “scandalo”. Com’è possibile vedere in Gesù, il figlio di Giuseppe, il Messia, il Figlio di Dio “disceso dal cielo” e per di più uno che cammina verso la morte per diventare “pane che dà la vita eterna”? Gesù, che “sa quello che c’è nell’uomo” (2,25), li guarda e si accorge che stanno mormorando contro di lui e dice: «Questo vi scandalizza? E se vedeste il Figlio dell’uomo salire in cielo dov’era prima?» (6,62). Annuncia loro quell’evento che darà la pienezza della rivelazione del suo mistero, ma che può essere accolto soltanto da coloro che si lasciano guidare dallo Spirito Santo, perché «le sue parole sono spirito e vita» (6,63). Bisogna lasciarsi “ammaestrare dal Padre” e non chiudersi in ragionamenti puramente umani: «la debolezza umana (la carne) non giova a nulla» (6, 63). Ma Gesù si accorge che anche queste parole non dicono nulla: «Da quel momento infatti molti dei suoi discepoli si allontanarono e non andavano più con lui» (6,66). Gesù, rimasto solo con i Dodici, dice loro: «Volete andarvene anche voi?» (6,67). Per non concludere l’articolo nella tristezza la risposta di Pietro sia il nostro atto di fede e la nostra preghiera: «Signore, da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio» (6,68s). Mario Galizzi 9 06 MA-giu-2007-impag(6) 18-05-2007 10:28 Pagina 10 La Catechesi di Benedetto XVI I Salmi La preghiera del Re Salmo 143,9-15 Mio Dio, ti canterò un canto nuovo, suonerò per te sull’arpa a dieci corde; a te, che dai vittoria al tuo consacrato, che liberi Davide tuo servo. Salvami dalla spada iniqua, liberami dalla mano degli stranieri; la loro bocca dice menzogne e la loro destra giura il falso. I nostri figli siano come piante cresciute nella loro giovinezza; le nostre figlie come colonne d’angolo nella costruzione del tempio. I nostri granai siano pieni, trabocchino di frutti d’ogni specie; siano a migliaia i nostri greggi, a mirìadi nelle nostre campagne; siano carichi i nostri buoi. Nessuna breccia, nessuna incursione, nessun gemito nelle nostre piazze. Beato il popolo che possiede questi beni: beato il popolo il cui Dio è il Signore. L a tonalità di questo salmo, ripreso in due tempi distinti dalla Liturgia dei Vespri, è sempre quella innica e ad entrare in scena è, anche in questo secondo movimento del Salmo, la figura dell’«Unto», cioè il «Consacrato» per eccellenza, Gesù, che attira tutti a sé per fare di tutti «una cosa sola» (cf Gv 17,11.21). Non per nulla la scena che dominerà il canto sarà segnata dal benessere, dalla prosperità e dalla pace, i tipici simboli dell’era messianica. 10 La pace che Dio dona al suo popolo è una benedizione che investe tutta l’esistenza della persona e della comunità. La vera pace Per questo il canto è definito «nuovo», termine che nel linguaggio biblico non evoca solo la novità ma la pienezza ultima che suggella la speranza (cf v. 9). Si canta, quindi, la meta della storia in cui finalmente tacerà la voce del male, che è descritta dal Salmista nella «menzogna» e nel «falso giuramento», espressioni destinate a indicare l’idolatria (cf v. 11). È in questa luce che si parla dei malvagi, visti come oppressori del popolo di Dio e della sua fede. Ma a questo aspetto negativo subentra, con uno spazio ben maggiore, la dimensione positi- va, quella del nuovo mondo gioioso che sta per affermarsi. È questo il vero shalom, ossia la «pace» messianica, un orizzonte luminoso che è articolato in una successione di quadretti di vita sociale: essi possono diventare anche per noi un auspicio per la nascita di una società più giusta. La speranza del futuro Ecco innanzitutto la famiglia (cf v. 12), che si basa sulla vitalità della generazione. I figli, speranza del futuro, sono comparati ad alberi vigorosi; le figlie sono raffigurate come colonne 06 MA-giu-2007-impag(6) 18-05-2007 solide che reggono l’edificio della casa, simili a quelle di un tempio. Dalla famiglia si passa alla vita economica, alla campagna coi suoi frutti conservati nei depositi agrari, con le distese dei greggi che pascolano, con gli animali da lavoro che procedono nei campi fertili (cf vv. 13-14a). Lo sguardo passa poi alla città, cioè all’intera comunità civile che finalmente gode il dono prezioso della pace e della quiete pubblica. Infatti, cessano per sempre le «brecce» che gli invasori aprono nelle mura urbane durante gli assalti; finiscono le «incursioni», che comportano depredazioni e deportazioni e, infine, non si leva più il «gemito» dei disperati, dei feriti, delle vittime, degli orfani, triste retaggio delle guerre (cf v. 14b). Un popolo che vive di fede Questo ritratto di un mondo diverso, ma possibile, è affidato all’opera del Messia ed anche a quella del suo popolo. Tutti insieme possiamo attuare questo progetto di armonia e di pace, cessando l’azione distruttrice dell’odio, della violenza, della guerra. Bisogna, però, fare una scelta schierandosi dalla parte del Dio dell’amore e della giustizia. È per questo che il Salmo si conclude con una beatitudine riservata al popolo «il cui Dio è il Signore» (v. 15), un popolo che non rinunzia alla sua fede e ai suoi valori spirituali e morali. Un popolo che può, quindi, intonare col Salmista questo «canto nuovo», pieno di fiducia e di speranza. Il richiamo spontaneo è al patto nuovo già annunziato dai profeti (cf Ger 31,31-34) e compiuto in Cristo (cf Eb 8,8-12), all’uomo nuovo, all’alleluia della vita rinnovata e redenta, alla novità stessa 10:28 Pagina 11 Il popolo che vive sotto lo sguardo di Dio è avvolto dalla sua pace e dal suo amore anche quando deve attraversare i deserti della vita. che è Cristo e il suo Vangelo. È ciò che ci ricorda Sant’Agostino. «Non immaginare che la grazia provenga dalla legge, mentre in realtà è in virtù della grazia che si è in grado di adempiere la legge. Per questo dice: «Suonerò per te sull’arpa a dieci corde». «Sull’arpa a dieci corde», cioè nella legge com- pendiata nei dieci comandamenti. Lì io salmeggerò a te, lì godrò in te, lì voglio cantarti il cantico nuovo, poiché pienezza della legge è la carità» (Esposizioni sui Salmi, 143,16: Nuova Biblioteca Agostiniana, XXVIII, Roma 1977, pp. 677). Benedetto XVI L’Osservatore Romano, 26-01-2006 11 06 MA-giu-2007-impag(6) 18-05-2007 10:28 Pagina 12 Una politica s e Incontri Incontro con George Weigel sul malessere dell’Europa P erché in Europa il riferimento a Dio è visto come una minaccia per i diritti umani e per la democrazia? Secondo George Weigel, membro dell’“Ethics and Public Policy Center” di Washington “Comprendere questi fenomeni richiede qualcosa di più di una normale analisi politica”. Né potranno le risposte politiche spiegare le ragioni che stanno dietro la questione forse più urgente con cui si confronta l’Europa oggi: il fatto che l’Europa occidentale stia compiendo un suicidio demografico; i suoi tassi di natalità sono eccessivamente bassi, e creano una pressione enorme sulla previdenza statale ed un vuoto demografico nel quale confluisce un numero sempre maggiore di immigrati islamici. Per l’intellettuale statunitense, George Weigel, esperto di politica internazionale, negli Stati Uniti ha scritto diversi libri sulla Chiesa e sui Papi. “l’idea che l’Europa stia attraversando un periodo di «crisi della morale civile» è una descrizione troppo generica”. Il riferimento a Dio nella Carta Costituzionale europea, avrebbe ricordato all’uomo i suoi limiti e la sua responsabilità dinanzi a qualcuno più grande di lui. 12 È necessario effettuare un’analisi culturale e persino teologica della situazione attuale dell’Europa. Perché, in seguito al 1989, gli Europei non sono stati in grado di condannare il comunismo come una mostruosità morale e politica? Perché l’unico giudizio politicamente accettabile sul comunismo era l’osservazione piuttosto banale che «non ha funzionato»? Forse perché, secondo quanto afferma lo storico John Keegan, gli Europei spesso rifiutano l’azione rifugiandosi piuttosto nella convinzione che “ogni conflitto di interessi deve essere risolto attraverso le consultazioni, la conciliazione e l’intervento delle organizzazioni internazionali”. Insomma, come dire, troviamo una soluzione teorica è il problema è risolto, troviamo una spiegazione (“il comunismo non ha funzionato”) e non pensiamoci più. Che poi siano gli stessi che fino a ieri sostenevano il comunismo a continuare a fare i politici di grido, questo non suscita nessuno scandalo. Ma dobbiamo anche chiederci perché l’Europa si sta allontanando dalla democrazia, incatenandosi sempre di più nei legacci della burocrazia? Perché gli Stati europei non riescono a prendere decisioni forti di politica interna, come quelle sull’orario di lavoro o sulla copertura delle spese pensionistiche? Perché l’Europa si è avviata verso ciò che il filosofo politico Pierre Manent definisce “depoliticizzazione”? Perché Manent ha “l’impressione che oggi la più 06 MA-giu-2007-impag(6) 18-05-2007 10:28 Pagina 13 de e continuata riduzione della popolazione europea dai tempi della Peste nera del XIV secolo”. Cosa avviene quando un intero continente, più ricco e in salute che mai, manca di creare il futuro dell’umanità nel senso più elementare del termine, non producendo la generazione successiva? “Queste preoccupazioni – spiega Weigel – non sono il prodotto di una “eurofobia” americana, né sono il risultato della netta contrapposizione tra gran parte dell’Europa e gli Stati Uniti sul tema della guerra in Iraq. Non vi è in effetti nulla di originale nella mia lettura dell’attuale situa- s enza Dio? grande ambizione degli europei sia di diventare ispettori delle carceri americane?”. Tutto questo immobilismo europeo e questa incapacità a prendere delle decisioni è frutto di una mancanza di identità che da sempre per l’Europa è stata data dalla sua comune appartenenza al Cristianesimo. La cosa è così chiara – tranne che agli intellettuali europei – tanto che un giurista internazionale ed ebreo osservante come J. H. H. Weiler, afferma che gli Europei sono “cristofobici”, e si chiede come mai “l’alta cultura europea” sia “così sprezzante della tradizione sia religiosa che secolare”. Ma uno dei problemi più urgenti da risolvere resta il suicidio demografico verso cui l’Europa sta andando, poiché sta riducendo sistematicamente la propria popolazione e prefigura ciò che lo storico britannico Niall Ferguson ha definito “la più gran- zione dell’Europa: le stesse preoccupazioni sono presenti nell’esortazione apostolica di Giovanni Paolo II Ecclesia in Europa del 2003”. In quel testo, il Papa sostiene che in Europa esiste l’idea che un’Europa politica, giuridica ed economica non sia sufficiente. “E come Giovanni Paolo II – ha aggiunto Weigel –, molti pensatori europei si stanno chiedendo se un’Europa che rappresenta il trionfo della regolamentazione burocratica in tutto il continente sia tutto ciò a cui poter aspirare”. Il dibattito sulla invocatio Dei nella Costituzione europea riguardava anche il presente e il futuro, e non solo il passato. Quanti hanno rifiutato il riferimento, nonostante quanto da loro affermato, non lo hanno fatto per “tolleranza”, ha affermato infine Weigel, ma perché convinti che possa esistere una politica senza Dio, “che un’Europa libera, tollerante, civile e pluralistica possa essere costruita solo come spazio dal quale il Dio della Bibbia sia stato escluso”. Marco De Bernardinis Nel Parlamento Europeo sono presenti diverse correnti guidate da interessi economici e ideologici che sotto l’illusione della modernità, combatto più o meno apertamente la morale e le indicazioni della Chiesa sulla famiglia naturale. 13 06 MA-giu-2007-impag(6) 18-05-2007 Vita liturgica S otto le specie del pane e del vino consacrate, sappiamo di avere con noi il Signore della vita e della morte, «Colui che è, che era e che viene» (Apocalisse 1,4). Lui è il Vivente, per questo Egli è con noi tutti i giorni sino alla fine (cf Mt 28,28), e la sua presenza per noi è festa. Una festa che si realizza per la memoria della cena e della morte del Signore, al di là di ogni distanza temporale, una festa del futuro, perché già adesso sotto i veli del sacramento è presente Colui che porta con sé ogni futuro, il Dio dell’eterno amore. L’uomo, un essere di fame Un futuro che si offre all’uomo il quale è costituito nella sua profonda struttura relazionale ed esistenziale come un essere che ha fame e sete. Cioè un essere in- 10:28 Pagina 14 C r i s t o il pane necessario sufficiente per se stesso; un essere dai continui e molteplici bisogni di nutrizione, dalla cui soddisfazione dipende la sua esistenza. Dall’aria per respirare, dal latte materno appena egli varca le soglie della vita, dal cibo e dalle bevande materiali più volte al giorno, alle cento altre cose a cui tende la sua vita per costituzionale necessità, il sapere, il possedere, il godere, sempre questo essere che si chiama uomo ha necessità di avere dal di fuori di lui ciò che manca alla sua esistenza, al suo sviluppo, alla sua salute, alla sua felicità. Perciò desidera, studia, lavora, vuole, soffre e spera: sempre è teso a qualcosa che lo sorregga e lo faccia vivere in pienezza, e, se possibile, sempre. Questo quadro di esistenza, che è quello reale, di tutti, può essere riassunto in una sola emblematica espressione: l’uomo è un vivente bisognoso di pane, d’un suo pane che lo nutra, lo integri, gli allarghi e gli prolunghi la sua sempre avida e caduca esistenza. Un’esistenza tesa nello sforzo di mantenersi e di dilatarsi, ma condannata a sperimentare la propria insufficienza e caducità, e a subire alla fine una morte fatale. Non vi è in terra pane che le basti; non vi è dalla terra pane che la renda immortale. Ed ecco allora la divina parola del Signore Gesù: «Io sono il pane della vita... se uno mangia di questo pane vivrà in eterno» (Gv 6,48-51). La vita umana ha in Cristo, il suo compimento, il suo pegno di vita immortale. Cristo il pane totale Andreas Lothar Nell’Eucaristia, Gesù si fa cibo per l’uomo. Alimento per la sua fame di verità e d’infinito. 14 Come il pane ordinario è proporzionato alla fame terrena, così Cristo è il pane straordinario, proporzionato alla fame straordinaria, smisurata dell’uomo, capace, smanioso anzi di aprirsi ad aspirazioni infinite. Noi abbiamo sovente la tentazione di pensare che Cristo non corrisponda in realtà ai bisogni, ai desideri, ai destini dell’uomo; dell’uomo moderno specialmente, che spesso si illude d’essere nato per altro alimento superiore che non quello divino, e d’essere riuscito a saziarsi d’altre conquiste, che non quelle della fede, ovvero che sospetta essere la religione uno pseudoalimento, praticamente vacuo e vano. 06 MA-giu-2007-impag(6) 18-05-2007 10:28 Pagina 15 gnoso, svelerà all’ultimo giorno, quello del giudizio finale, che tutte le volte che noi abbiamo soccorso qualcuno, abbiamo soccorso Lui, il Cristo: «Io ho avuto fame e voi mi avete dato da mangiare; Io ho avuto sete, e voi mi avete dato da bere...» (Mt 25,35). Così che l’Eucaristia non è solo il cibo per l’anima, ma stimolo di carità per i fratelli che hanno bisogno di aiuto, di comprensione, di solidarietà, caricando così l’azione del bene di un’energia e d’una speranza che, finché Cristo sarà con noi con la sua Eucaristia, non verranno mai meno. Cristo è il pane della vita. Cristo è necessario, per ogni uomo, per ogni comunità, per ogni fatto veramente sociale, cioè fondato sull’amore e sul sacrificio di sé, per il mondo. Come il pane, Cristo è necessario! Antonio Saglia Varcare la soglia della fede Nell’Ultima Cena, Gesù istituendo il sacramento dell’Eucaristia, domanda ai suoi di perpetuare come memoriale del suo amore, il gesto del pane spezzato e del vino versato, ponendo così in essere la Chiesa che vive del comando del suo Signore. Ma Cristo non si copre delle apparenze del pane e del vino per deludere la nostra fame superiore, ma si riveste delle apparenze del cibo materiale, oltre che per farci desiderare quello spirituale, ch’è Lui stesso, per riconoscere e per rivendicare le esigenze legittime della vita naturale. È Lui, che prima di annunciare Se stesso come pane del cielo ha moltiplicato il pane della terra fino alla sazietà di coloro che per ascoltarlo lo avevano seguito in una zona disabitata, e che non avevano di che mangiare (Gv 6.11ss.); è Lui che ha rivolto all’umanità l’invito: «Venite a me, voi tutti, che siete affaticati ed oppressi; ed io vi ristorerò» (Mt 11,28). È Lui, che non più sotto le specie di pane e di vino, ma sotto quelle d’ogni essere umano sofferente e biso- La solennità del Corpus Domini, fra le sue finalità, ha anche uno scopo educativo; quello di renderci attenti ed esultanti alla realtà del mistero eucaristico. L’uomo è un essere che si abitua alle cose straordinarie senza più attribuire e riconoscere l’esuberante ricchezza di significato che hanno. Così avviene sovente per l’Eucaristia, che non offre alla nostra conoscenza sensibile se non le immagini apparenti, le specie del pane e del vino, mentre celano, in realtà, queste specie, la carne e il sangue, e loro stesse contengono sull’altare gli elementi d’un sacrificio, d’una vittima immolata, di Cristo crocifisso, Corpo unito al proprio sangue, alla sua anima e alla Divinità del Verbo. Questo è il «mistero di fede» presente nell’Eucaristia; e questo è il primo sforzo spirituale, al quale questo sacramento ci invita e ci obbliga, uno sforzo conoscitivo, non sor15 06 MA-giu-2007-impag(6) 18-05-2007 retto da un’esperienza sperimentale, che vada oltre le sembianze, uno sforzo di fede, di adesione cioè ad una Parola dominatrice delle cose create, una Parola, un Verbo divino, presente. Per accedere al sacramento dell’Amore bisogna varcare la soglia della fede. Entrati nella sfera della Fede, la quale ci invita a leggere nei segni sacramentali l’ineffabile Realtà ch’essi localizzano e raffigurano, Cristo sacrificato e fattosi alimento spirituale per noi, affiora una domanda: perché? Perché, il Signore ha voluto assumere queste sembianze? Perché viene a noi così nascosto e velato? Gesù stesso dice di Sé: «Io sono il pane della vita» (Gv 6,48). Mediante il pane, dunque, Egli si rende così accessibile a tutti e sempre, tanto da moltiplicare la sua sacramentale presenza per ogni altare, per ogni mensa, dove un’altra sua presenza rappresentativa e operativa, quella d’un Sacerdote, renda possibile la moltiplicazione indefinita di questo prodigio. Avvolti dall’abbraccio di Cristo Cristo si fa pane. Per tutti e per tutta la durata della storia umana. Questo è il dato. Considerando questo dato ci chiediamo ancora: per quale scopo Cristo 10:28 Pagina 16 Le specie eucaristiche conservate nel tabernacolo, servono anzitutto per la comunione ai malati e poi per l’adorazione personale. si fa pane? Cristo si fa pane per la «comunione», in greco «koinonía». Infatti noi diciamo «fare la comunione» intendendo accostarsi all’Eucaristia, ricevere Gesù nel sacramento che nella sua profonda realtà consiste nell’unità del Corpo mistico del Signore. Questo modo di parlare indica però il senso soggettivo, nostro, dell’azione: siamo noi che ci accostiamo all’Eucaristia. Così facendo, però non consideriamo, ciò che provoca questo nostro movimento e lo suscita: l’iniziativa di Cristo che rende a noi possibile di ricevere Lui. È Lui che si offre a noi istituendo e rinnovando l’Eucaristia con le parole: «Prendete e mangiate; Questo è il mio corpo dato in sacrificio per voi... Questo è il calice del mio sangue versato per voi...». Qui si svela l’intenzione estrema – e finalmente dichiarata – di Cristo verso gli uomini: l’amore. «Nessun amore maggiore di questo, il dare la propria Nutrendoci di Cristo, pane vivo, noi veniamo trasformati in Lui e partecipiamo alla sua vita eterna. 16 vita per i propri amici, e voi siete i miei amici...» (Gv 15,13). Qui il grande comandamento diventa grande dono. Qui ciò che è comandato viene offerto. Qui Colui che comanda esegue ciò che ordinato. Colui da cui tutto il creato dipende si fa dipendenza d’amore per l’uomo. Così prima di disporci ad obbedire al comando dell’amore, siamo investiti dall’amore. Prima che ci disponiamo ad amare, siamo amati, perché Egli ci ha amati per primo (1Gv 4,10-19). Quante volte ci siamo sottratti al suo amore, noi creati da Lui, fatti per Lui, noi abbiamo ricusato d’incontrarci con Lui forse per il vile e segreto timore d’essere conquistati ad un Amore, che avrebbe mutato la nostra vita. L’Eucaristia è l’invito più diretto, più forte all’amicizia, alla sequela di Cristo. L’Eucaristia è l’alimento che dà l’energia e la gioia per corrispondervi. L’Eucaristia pone la nostra vita sopra un supremo gioco d’amore, di scelta, di fedeltà. L’Amore ricevuto da Cristo nell’Eucaristia è comunione con Lui e per ciò stesso si trasforma e si manifesta in comunione nostra con i fratelli, quali sono tutti gli uomini per noi. Nutriti del Corpo reale e sacramentale di Cristo, noi diventiamo sempre più intimamente il Corpo mistico di Cristo: «il calice della benedizione, che noi benediciamo, non è forse comunione con il sangue di Cristo? E il pane, che noi spezziamo non è forse comunione con il corpo di Cristo? Poiché c’è un solo pane noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo: tutti infatti partecipiamo dell’unico pane» (1Cor 10,16ss.). Veramente possiamo ripetere con Sant’Agostino: «O Sacramento di pietà! O segno d’unità! O vincolo di carità! Chi vuol vivere, ha di che vivere» (Tr 26,19: PL 35,16-15). Lorenzo Villar 06 MA-giu-2007-impag(6) 18-05-2007 10:29 Pagina 17 Don Bosco Studio e l’amorevolezza L ’idea di amorevolezza ha vari significati, talvolta, così sottili che tutto ciò che si può pronunciare al riguardo viene facilmente etichettato come qualcosa di opinabile e soggettivo. All’interno del mondo salesiano quando si utilizza questa parola, essa è solitamente relazionata ad altri due: religione e ragione. Tanto che l’amorevolezza nel Sistema Preventivo è diventata ormai elemento imprescindibile per chiunque voglia comprendere, imitare o anche semplicemente rileggere cosa Don Bosco intendesse per educazione. Ma perché cercare in Don Bosco la radice della sua amorevolezza? Di certo, siamo tutti consapevoli che non esiste evidenza più chiara della sua capacità di farsi tutto a tutti e, per dirla con le parole del Rettor Maggiore, di dare di più a chi ha ricevuto di meno. Il Papa, Benedetto XVI, nel suo Messaggio per la Quaresima di quest’anno, sottolinea con la sua eleganza didattica (rifacendosi esplicitamente all’Enciclica Deus caritas est) l’importanza di ritornare all’origine del termine “amore”. Se si rilegge il Sistema Preventivo e si cerca in esso qualche riferimento alla Bibbia, si rischia di restare un po’ delusi, poiché esiste un solo riferimento biblico: “La pratica di questo sistema è tutta appoggiata sopra le parole di San Paolo che dice: Charitas benigna est, patiens est; omnia suffert, omnia sperat, omnia sustinet. La carità è benigna e paziente; soffre tutto, ma spera tutto e sostiene qualunque distur- L’amorevolezza di Don Bosco si è manifestata in gesti concreti ed immediati, volti a soddisfare le esigenze fondamentali dei suoi giovani: l’accoglienza, la formazione culturale e spirituale. bo. Perciò soltanto il cristiano può con successo applicare il sistema Preventivo. Ragione e Religione sono gli strumenti di cui deve costantemente far uso l’educatore, insegnarli, egli stesso praticarli se vuol essere ubbidito ed ottenere il suo fine”. Don Bosco è chiaro: solo il cristiano può applicare questo sistema. Ma perché solo lui? A questa domanda dobbiamo trovare una risposta. La carità amabile è il tratto più caratteristico dell’insegnamento e della vita di Don Bosco. La carità è da intendersi come dedizione agli altri senza limiti e avversioni, come agape. Il modello e il paradigma di questa carità lo troviamo, come dice Don Bosco stesso, in San Paolo, con il celebre Inno all’amore, di cui prima abbiamo citato una parte. I riferimenti all’antichità classica Il famoso brano di San Paolo inserito nella lettera ai Corinti ha un richiamo ad uno scritto di uno dei più grandi pensatori dell’antichità, Platone, che in un suo testo, Protagora, descrive l’in17 06 MA-giu-2007-impag(6) 18-05-2007 10:29 Pagina 18 Don Bosco aveva capito che tutti i giovani avevano bisogno di una mamma per poter crescere sani. Per questo invita Mamma Margherita a Valdocco per essere la mamma dei suoi ragazzi poveri. tellettuale dalle vuote parole, il sofista, come colui che è privo di consistenza, come un nulla che risuona.1 Ma Paolo non utilizza solo questo riferimento ai grandi del mondo greco. Nella sua lettera si appella anche alla tradizione greca dei topoi. Le negazioni per mezzo delle quali viene definita l’agape, che cioè non cerca il suo interesse, non si adira e non si rallegra dell’ingiustizia, appaiono quasi un richiamo a ciò che nel Simposio è detto di Eros, chiamato scaltro investigatore, spericolato e instancabile nell’escogitare le sue trame.2 Così ai Corinti, che debbono comprendere l’agape cristiana, viene spiegato il contrario dell’eros greco; d’altra parte nell’eros è anticipato ciò che si compie nell’agape. Le differenze fra eros e agape Non possiamo però non cogliere delle differenze fondamentali tra i due. L’eros è un amore sostanzialmente egocentrico, è desiderio. L’uomo predomina in esso sia come punto di partenza, sia come punto di ar18 rivo. La via dell’eros è contraddistinta dal fatto che è l’uomo ad ascendere al divino, la sua anima vive la nostalgia per il mondo superiore, dove platonicamente è la sua patria. Nell’eros l’anima intraprende il suo viaggio in una contemplazione e in un’estasi da far perdere i sensi. In questa ascesa dell’eros si esprime un atteggiamento dell’anima affine a quello dell’assalto titanico al cielo, mantenendo il suo carattere egocentrico perfino nella sua forma più sublime. L’agape ha invece un carattere totalmente diverso. Non ha nulla a che vedere con l’aspirazione e il desiderio, come dice Paolo: «non cerca mai il proprio interesse», non sale come l’eros verso l’alto per assicurarsi un vantaggio, ma è invece sacrificio e dono di sé. Nell’eros non è l’umano che si eleva al divino, ma il divino che nel suo amore misericordioso si abbassa all’umano. All’interno del Simposio Platone fa poi pronunciare ad Agatone un elogio di Eros, dicendo che esso è come un dio mansueto, benevolo, colui che erige la comunità degli uomini;3 San Paolo utilizzerà questi elementi, ma non per parlare dell’eros, bensì dell’agape. Paolo si allontana poi totalmente da Platone quando il filosofo greco parla della funzione del “demone” (una specie di spirito che lega l’assoluto e il relativo) e che si trova nel concetto di amore riportato dal testo del Simposio. Qui l’agape viene presentato come un fine a cui l’uomo può tendere con le sue sole forze. Paolo però vede le cose in modo diverso. L’agape non è qualcosa che l’uomo può otte- Il gioco, la musica e il teatro sono stati sempre elementi importantissimi nel sistema educativo di Don Bosco: il ragazzo si forma e cresce in tutte le dimensioni e tutte vanno curate. 06 MA-giu-2007-impag(6) 18-05-2007 Vivere in famiglia l’amorevolezza significa cercare il bene dei propri figli, la solidità per il loro futuro. nere con la sua volontà o la sua intelligenza: l’agape è anzitutto un dono della perfezione che ci viene da Dio e che possiamo ottenere già in questo mondo, ma possiamo anche non averla affatto. In questo modo San Paolo elimina tutti quei tentativi che la cultura del suo tempo aveva fatto per sanare la frattura fra l’assoluto a cui l’uomo aspira e il relativo in cui si trova immerso. Soltanto l’agape è il vero legame fra il divino e l’umano e questo legame viene donato all’uomo gratuitamente da Dio. Nell’agape troviamo così il segno distintivo della solidarietà, e ancor di più in essa troviamo il senso di unità del concetto di amore. La spiegazione di Agostino Tornando alla distinzione tra agape e eros, tra la prospettiva cristiana dell’amore e la prospettiva platonica, si può dire che Agostino fu tra i primi a cercare di unificare i due principi. L’argomento di Agostino è la dottrina della caritas. Il pensatore cri- 10:29 Pagina 19 stiano vede però la caritas come elemento intermedio fra l’agape e l’eros. La caritas è la sintesi dei due; sintesi possibile perché l’eros è già in sé slancio verso Dio: è la superbia che gli impedisce di giungere al suo fine; allora è lì che interviene l’agape con la sua umiltà. Ogni amore è appetitus, desiderio della felicità. E come tale può essere considerato un elemento proprio della vita umana in generale:«nemo est qui non amet».4 Ora se l’amore è desiderio e il desiderio è specificato dall’oggetto desiderato, potremo definire la caritas come l’amore che desidera le cose elevate, mentre la cupiditas l’amore che tende alle cose inferiori. Scegliere una o l’altra forma di amore, significherà decidere di tutta la nostra vita, dato che l’amante si trasforma in qualche modo nella cosa amata. E qui che la caritas diventa elemento distintivo di ogni educatore cristiano. Don Bosco quando pensava all’educatore non poteva che pensarlo in questi termini. Infine chiederci se la caritas è identica alla felicità è una domanda lecita, anzi doverosa per una chiarificazione ulteriore della nozione di carità. Sant’Agostino affrontò questo problema utilizzando l’espressione «dilige et quod vis fac».5 Bisogna cogliere il significato pieno del verbo “dilige”, che trova nel generico “ama” la traduzione italiana. Il comandamento non è solamente “ama e fa ciò che vuoi”, ma “dilige” cioè: abbi l’amore vero, autentico, redento. La “dilectio” non si lascia ridurre alla ricerca della felicità, essa è ammirazione, riconoscenza, santo rispetto, gioia, allegria, e poi anche voler bene e voler fare del bene a tutti secondo le proprie opportunità. La virtù della carità non dimentica la felicità, ma la felicità non è l’unico criterio. Solitamente una dimostrazione termina con una enumerazione di esperienze e luoghi, ma si può ben intuire che trovare citazioni dove Don Bosco visse la carità è come scriverne l’ennesima biografia. Vittorio Castagna Cf PLATONE, Protagora, 329a. Cf PLATONE, Simposio, 203d. 3 Ivi, 197b. 4 AGOSTINO, Sermo XXXIV, XXXVIII, 210. 5 AGOSTINO, In epistolam Ioannis ad Pathos tractatus decem, VII, 8. 1 2 FRANCESCO COLUCCIA EUCARISTIA Terapia d’amore Editrice Elledici, pagine 160, € 9,00 Un testo profondo, un invito a mettersi a tavola con Cristo, meditando sul dono dell’Eucaristia vista nel suo senso antropologico e cosmico che pone il Sacramento dell’amore di Cristo come farmaco contro il male, garanzia per il futuro e senso dell’esistenza che accoglie in sé i dolori e le gioie della vita umana. In appendice una proposta di testi per la celebrazione, l’adorazione e la preghiera, tratti da San Tommaso d’Aquino. 19 06 MA-giu-2007-impag(6) 18-05-2007 10:29 Pagina 20 28 giugno: Sant’Ireneo di Lione, vescovo e martire (130ca. - 202) Un mese un santo I reneo significa pacifico o pacificatore, uno che si sforza di portare o di operare la pace. Tale fu il nome e il programma di vita di Ireneo di Lione. Nato in Oriente (a Smirne nel 130 circa) e vissuto nel 200 (è morto infatti nel 202) operò quasi totalmente in Occidente, nella Gallia, a Lione, che già allora era un importante centro commerciale, abitato anche da una numerosa colonia di cristiani orientali. Sembra che questi avessero richiesto una guida spirituale permanente. E arrivò dall’Oriente proprio Ireneo. Egli si adoperò in circostanze difficili Per la pace e per la verità (fu due volte come ambasciatore a Roma) per avvicinare o conciliare l’Oriente e l’Occidente, le chiese orientali e la chiesa guida in occidente, cioè Roma con il suo vescovo. Ireneo poteva vantare un privilegio che era di non molti nel 200: lui era stato discepolo di Policarpo (morto nel 160) che a sua volta era stato un uditore attento e devoto, di San Giovanni, l’apostolo ed evangelista: cioè di una fonte di prima mano e di assoluto prestigio che collegava di- Un plastico della città di Lione all’epoca del vescovo Ireneo (II secolo) nel Museo della civiltà gallo-romana. rettamente a Gesù Cristo. Le parole che Ireneo beveva attentamente dalle labbra di Policarpo erano le stesse parole che questi aveva ricevuto dal grande Giovanni apostolo. Si sentiva un privilegiato e di questa esperienza fu sempre orgoglioso. Per questo fatto Ireneo viene considerato l’ultimo della generazione apostolica e nello stesso tempo il primo vero teologo della generazione post apostolica. È stato proprio lui a cominciare a dare importanza somma non solo alla Sacra Scrittura ma anche alla Tradizione della Chiesa. Da Policarpo a... Lione Si sa poco della sua giovinezza. Probabilmente proveniva da una famiglia cristiana di Smirne, ma con sicurezza sappiamo che fin da ragazzo fu un convinto, assiduo e attento uditore di Policarpo. Anni felici che Ireneo richiamò in seguito in una lettera dove scrisse: “Le cose di allora le rammento meglio di quelle recenti. Io potrei descrivere ancora il luogo dove il beato Policarpo era solito riposare per parlare, e come esordiva, e come entrava in argomento, quale vita conduceva, quale era l’aspetto della sua persona, i discorsi che teneva al popolo, come ci raccontava dei profondi rapporti da lui avuti con Giovanni e con gli altri che avevano visto il Signore, dei quali rammentava le parole e le cose da loro udite in- 20 06 MA-giu-2007-impag(6) 18-05-2007 10:29 Pagina 21 giare dell’eresia (di un certo Montano) che annunciava la fine imminente del mondo e la persecuzione anti cristiana da parte delle autorità romane già in atto nella valle del Rodano. Ireneo fu inviato a Roma come latore di una lettera al Papa per questi problemi dottrinali. Accolto bene, ebbe l’occasione di rafforzarsi nell’ortodossia e nella vera dottrina tramandata dagli apostoli. Nel mentre nella sua stessa Chiesa di Lione venivano martirizzati ben 48 cristiani, tra i quali anche il vescovo novantenne. Ritornato nella comunità, annun- ziò la risposta di Roma alle questioni dottrinali e questa, rassicurata anche dalla sua presenza, Pendaglio in bronzo con il monogramma di Cristo completato dall’Alfa-Omega. L’UOMO VIVENTE È GLORIA DI DIO Effige del santo nella cripta di Sant’Ireneo a Lione. torno al Signore, ai suoi miracoli e alla sua dottrina. Tutto ciò Policarpo l’aveva appreso proprio da testimoni oculari del Verbo della vita... Queste cose... le conservo nella memoria, non già sulla carta, ma nell’intimo del cuore e, grazie a Dio, assiduamente amorosamente le ripenso”. Ireneo era felice che la propria fede si basasse sulla testimonianza e su quella tradizione saldissima e così vicinissima alle fonti apostoliche. Nel 177 lo troviamo a Lione, doveva c’era una fiorente e numerosa comunità cristiana (greci e orientali), scossa però da una duplice difficoltà: il serpeg- La gloria di Dio dà la vita; perciò coloro che vedono Dio ricevono la vita. E per questo colui che è inintelligibile, incomprensibile e invisibile, si rende visibile, comprensibile e intelligibile dagli uomini, per dare la vita a coloro che lo comprendono e vedono. È impossibile vivere se non si è ricevuta la vita, ma la vita non si ha che con la partecipazione all’essere divino. Orbene tale partecipazione consiste nel vedere Dio e godere della sua bontà. Gli uomini dunque vedranno Dio per vivere, e verranno resi immortali e divini in forza della visione di Dio... Colui che opera tutto in tutti nella sua grandezza e potenza, è invisibile e indescrivibile a tutti gli esseri da lui creati, non resta però sconosciuto; tutti infatti, per mezzo del suo Verbo, imparano che il Padre è unico Dio, che contiene tutte le cose e dà a tutte l’esistenza, come sta scritto nel Vangelo: «Dio nessuno lo ha mai visto; proprio il Figlio Unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato» (Gv 1,18). Fin dal principio dunque il Figlio è il rivelatore del Padre, perché fin dal principio è con il Padre e ha mostrato al genere umano nel tempo più opportuno le visioni profetiche, la diversità dei carismi, i ministeri e la glorificazione del Padre secondo un disegno tutto ordine e armonia. E dove c’è ordine c’è anche armonia, e dove c’è armonia c’è anche tempo giusto, e dove c’è tempo giusto c’è anche beneficio. Per questo il Verbo si è fatto dispensatore della grazia del Padre per l’utilità degli uomini, in favore dei quali ha ordinato tutta l’economia della salvezza, mostrando Dio agli uomini e presentando l’uomo a Dio. Ha salvaguardato però l’invisibilità del Padre, perché l’uomo non disprezzi Dio e abbia sempre qualcosa a cui tendere. Al tempo stesso ha reso visibile Dio agli uomini con molti interventi provvidenziali, perché l’uomo non venisse privato completamente di Dio, e cadesse così nel suo nulla, perché l’uomo vivente è gloria di Dio e vita dell’uomo è la visione di Dio. Se infatti la rivelazione di Dio attraverso il creato dà la vita a tutti gli esseri che si trovano sulla terra, molto più la rivelazione del Padre che avviene tramite il Verbo è causa di vita per coloro che vedono Dio. 21 06 MA-giu-2007-impag(6) 18-05-2007 Cammeo gnostico con iscrizione, forse un talismano (II-III sec.), della Bibliothèque Nationale, Cabinet des Médailles, Parigi. pensò di eleggerlo vescovo. Ireneo accettò pur sapendo che ciò significava porre la propria candidatura al martirio (che poi avenne sembra nel 202). Ireneo vescovo: impegno per la pace e per la verità Fu un grande pastore della comunità di Lione: dotato di una buona cultura teologica e scritturistica (così testimonia Tertulliano) si diede alla predicazione e alla evangelizzazione. Inviò anche missionari in altre parti della Gallia. Ma il suo merito maggiore è stato quello di aver messo per iscritto quello che predicava. I suoi insegnamenti confluirono in quella che rimane la sua (ancora oggi) famosa opera e cioè Contro le eresie. Ireneo non è un uomo di scienza, di ricerca sistematica, di speculazione: egli è soprattutto un uomo di fede, un uomo di chiesa, un vero pastore di anime che si mette a scrivere per amore del suo gregge e 22 11:03 Pagina 22 della verità. Egli quindi non ha mai avuto intenti o progetti scientifici ma pratici, non teorici ma pastorali: rispondere praticamente e comprensibilmente all’eresia che allora minacciava la sua comunità cristiana. Una di queste eresie che Ireneo dovette affrontare fu lo Gnosticismo, dalla forza dirompente, come lo fu l’Arianesimo qualche secolo più tardi. Lo gnosticismo era un movimento filosofico-religioso, spontaneo e non unificato, presente in Palestina, Egitto e in altre parti dell’Impero Romano. È un insieme di teorie di natura sincretistica, teso a fondere le religioni misteriche, l’astrologia magica orientale, lo zoroastrismo, l’ermetismo, la Kabbala ebraica, filosofie ellenistiche, il giudaismo alessandrino e il cristianesimo dei primi tempi. In queste elucubrazioni fantasiose e complicatissime, il Cristo era un semplice eone (uno dei tan- L’OPERA DELLA TRINITÀ Dunque attraverso quest’ordine, tali ritmi e tale movimento, l’uomo creato e plasmato diviene ad immagine e somiglianza di Dio Increato: il Padre decide benevolmente e comanda, il Figlio esegue e plasma, lo Spirito nutre e accresce, e l’uomo a poco a poco progredisce e si eleva alla perfezione, cioè si avvicina all’Increato; perché solo l’Increato è perfetto, e questi è Dio. Infatti, bisognava che l’uomo prima fosse creato, poi, dopo essere stato creato, crescesse, dopo essere cresciuto, divenisse adulto, dopo essere divenuto adulto, si moltiplicasse, dopo essersi moltiplicato, divenisse forte, dopo essere divenuto forte, fosse glorificato e, dopo essere stato glorificato, vedesse il suo Signore. ti), venuto sulla terra per salvarla, dotato di un corpo sì ma solo apparente. Il vero pericolo di questa teoria era lo stravolgimento della dottrina dell’incarnazione e la sua vanificazione: Gesù Cristo non poteva essere il vero salvatore perché non era morto veramente e quindi non era risorto. Inoltre in questo gnosticismo c’era anche una forte dose di antinomismo: era presente cioè la tendenza anarchica sostanziata di autonomia, di rifiuto delle norPolicarpo, dal corteo dei martiri. Mosaico del VI sec. Sant’Apollinare Nuovo, Ravenna. 06 MA-giu-2007-impag(6) 18-05-2007 10:29 Pagina 23 PREGHIERA DI SANT’IRENEO O Signore, ci comandi di seguirti non perché tu abbia bisogno del nostro servizio, ma soltanto per procurare a noi la salvezza. Infatti seguire te, nostro Salvatore, è partecipare alla salvezza, e seguire la tua luce è percepire la luce... Il nostro servizio non apporta nulla a te, perché tu non hai bisogno del servizio degli uomini: ma a coloro che ti servono e ti seguono, tu doni la vita, l’incorruttibilità e la gloria eterna... Se tu ricerchi il servizio degli uomini è per poter accordare, tu che sei buono e misericordioso, i tuoi benefici a coloro che perseverano nel tuo servizio. Perché, come tu, o Signore, non hai bisogno di nulla, così noi abbiamo bisogno della comunione con te; infatti la nostra gloria è di perseverare e rimanere saldi nel tuo servizio... Da Contro le Eresie, IV, 13-4; 14,1 me legali e quindi anche della Chiesa Cattolica, organizzata con guide visibili che emanavano leggi. Ireneo rispose contro queste teorie fantasiose ed elucubrazioni sincretistiche con la chiara esposizione della dottrina cattolica, ricevuta dalla tradizione apostolica (dall’apostolo Giovanni a Policarpo e poi a lui stesso). Ireneo è considerato un vero teologo perché ha esposto la dottrina cristiana in modo sistematico e completo anche se sintetico e con intento principalmente pastorale. La visione di Dio è vita per l’uomo Alcuni punti principali su cui insistette Ireneo nei suoi scritti. Anzitutto, Ireneo è l’uomo della Tradizione. Per lui sono due le colonne dell’ortodossia: la Scrittura e la Tradizione, e come fonte sussidiaria la ragione. Ireneo affermava che la regola di fede era il magistero vivente della Chiesa, magistero che conservava una perenne giovinezza proprio per l’azione vivificante dello Spirito Santo (che naturalmente è anche all’origine della Sacra Scrittura). La tradizione si trova, secondo Ireneo, in ogni chiesa che si richiama agli apostoli come fondatori. Ma è in modo specialissimo e unico nella Chiesa di Roma, che ha una “più forte preminenza” (potentior principalitas) proprio perché fondata non solo sulla predicazione ma anche sul sangue versato dai due super apostoli: Pietro e Paolo. Ireneo giustifica così l’importanza di essere in sintonia dottrinale con la Chiesa di Roma e con il suo Vescovo, visto come successore di ben due apostoli. Ireneo, a distanza di tanti secoli, ha avuto l’onore di varie citazioni nei documenti del Concilio Vaticano II, segno che alcune sue intuizioni teologiche erano sempre attuali. Ricordiamo Martirio di Sant’Ireneo di Lione con la decapitazione. tra gli altri il parallelo Eva-Maria, che sarà ripreso anche da altri autori, e l’idea del Cristo come punto focale della storia umana, preparata proprio per la sua rivelazione. Con Cristo incarnato c’è il massimo della Rivelazione che Dio fa di se stesso nei riguardi dell’uomo, rendendolo capace di rispondere alle istanze divine. Nella sua opera Contro le eresie (4,34) Ireneo si domanda: “Che cosa ha portato Dio di nuovo venendo sulla terra? Niente di più e di meno che Se Stesso”. Dio, attraverso il Cristo, è la vera, grande e decisiva novità nella storia del mondo e dell’uomo. Ed è proprio questa novità che è luce, guida, sostentamento, salvezza e gloria dell’uomo. È questa visione del Cristo, assoluta novità di Dio, che l’uomo ha veramente la sua vita, la sua gloria e la sua salvezza. Mario Scudu 23 06 MA-giu-2007-impag(6) 18-05-2007 10:29 Pagina 24 «Chi mangia di questo p 06 MA-giu-2007-impag(6) 18-05-2007 10:29 Pagina 25 o pane, vivrà in eterno» Gv 6, 58 06 MA-giu-2007-impag(6) 18-05-2007 10:29 Pagina 26 La Musica Sacra Musica e Fede C ome detto nella scorsa puntata, con l’inizio del XVII secolo il solco tra musica sacra e musica profana diviene sempre più profondo fino al formarsi, nello stesso secolo, anzi nella prima metà di esso, di un patrimonio musicale sacro e di un patrimonio musicale profano. Si era anche detto però che il secondo non è affatto il risultato di quattro secoli – dal ’600 ad oggi – di studi, di ricerca e di invenzioni melodiche ove sia assente la componente spirituale. Tutt’altro. Lo si è chiamato qui patrimonio musicale profano non perché abbia rifiutato ospitalità alla componente spirituale, ma per il diverso fine che musica sacra e musica profana si prefiggono. L’ag- Il musical Jesus Christ Superstar, è una delle più celebri, ma anche discusse, riproposizioni del tema religioso in campo musicale. 26 gettivo profano, in effetti, indica tutto ciò che è estraneo o contrario a ciò che è sacro: questo però non significa il ripudio, ma la separazione di una strada dall’altra, allorché la secondaria (cioè musica profana) abbia le sufficienti attrezzature per mettere su famiglia per conto proprio, staccandosi dalla principale. Un debito secolare Così è avvenuto per la musica profana: nata e nutrita dal sacro, prosegue sul sentiero proprio, fondandosi su di esso ed utilizzando tutti quegli elementi, fonici e letterari, che il sacro le aveva copiosamente elargito. Questo è verificabile ascoltando qualunque composizione musicale profana di questi ultimi quattro secoli, dagli immortali spartiti di Monteverdi (che La Scala, proprio quest’anno 2007, riproporrà in apertura di stagione), all’elegia di Bellini (che in fatto di delicatezza elegiaca trapelante afflato spirituale è maestro, vedi Sonnambula, oppure l’energia di tinta neoclassica di Norma, dove si intersecano passione, amore, delitto e pena), alla melodia di Donizetti, (espansiva e affascinante, che fece piangere calde lacrime anche a Madame Bovary), alla tempra formidabile di Verdi, unico nell’universo musicale mondiale dotato di intuito infallibile nel comprendere i segnali dei tempi nuovi: per non rimanere che in Italia, e in tempi ormai lontani. D’altronde i numerosi esempi percorsi, nelle puntate di questi ultimi due anni, circa la presenza di Maria nella musica, dimostra- no quanto il patrimonio musicale profano sia debitore al sacro. Se poi si estende lo sguardo in tempi recenti, e in altre culture, il successo di un «film musicale» come Jesus Christ Superstar (1970) dell’inglese Andrew Webber Lloyd, testo basato su di un’abile commistione di formule moderne e classiche, discutibile fin che si vuole ma pur sempre proponente un tema religioso, indica che l’elemento spirituale, per quanto rimestato e riadattato, non è stato mai messo da parte dalla produzione musicale. Certo, non ci si sogna di pensare a questo film come ad un’opera del patrimonio musicale sacro: ma dimostra, quanto meno, che la radice spirituale è ineliminabile. Allo stesso modo il compositore statunitense di origine russa Vladimir Ussachevsky (1911-1990) scrive una copiosa e colta partitura di tonalità religiosa, che non può considerarsi musica sacra, ma nella quale è ben percepibile l’elemento spirituale. Gli interventi dei Papi Per parlare ora espressamente di musica sacra, più che dai tempi remoti è utile partire da quelli recenti. È interessante anzitutto considerare l’attenzione riservata dal magistero ecclesiastico alla musica sacra. All’inizio del secolo XX, San Pio X, con un lungo motu proprio dal titolo «Tra le sollecitudini» (22 novembre 1903) analizza attentamente gli obiettivi e l’uso della musica sacra durante le funzioni liturgiche. Sono gli anni in cui a Bayreuth il teatro wagneriano assumeva gra- 06 MA-giu-2007-impag(6) 18-05-2007 dualmente i caratteri di un grande tempio per il modo di fare spettacolo. Le interminabili, solenni opere nelle quali gli déi pagani hanno parte preponderante e tutto sembra dipendere dalla loro volontà o dal loro destino, condizionando così la cultura e la stessa spiritualità, la Chiesa raccomanda l’uso di una musica in cui «santità» e «bontà delle forme» siano ben percepibili a livello di messaggio. L’organo interviene solo per accompagnare il canto, mettendo così in chiaro la netta subordinazione dello strumento. Questo perché il Papa ravvisa come l’organo, strumento tipico del rito sacro, rischia una compromissione tra questa sua funzione e quella profana: ecco che cosa egli intende per «bontà delle forme», cioè uso di strumento per il rito e non viceversa. È vietata l’adozione di qualsiasi altro strumento, che in qualche modo possa far deviare l’attenzione dal rito alla bellezza del suono. Ma se l’organo è il solo ammesso in chiesa, viene utilizzato da tempo nel teatro: affiancato alla compagine orchestrale, compare, oltre che in autori come Ottorino Respighi (1879-1936), anche in partiture di eccelsi autori come Camille Saint-Saens (18351921), che lo usa nella sua Symphonie avec orgue (1888), come Richard Strass (1864-1949), nel suo celebre poema sinfonico Also sprach Zarathustra (1896); ancora il nostro Giacomo Puccini (1858-1924) lo colloca in Tosca (1900) e in Suor Angelica (1918) e il grande musicologo e studioso Albert Shweitzer (18751965) ne auspica nei suoi scritti l’utilizzo per il ricupero della strumentazione bachiana. Tutto ciò indica la vasta stima e la generale applicazione dell’organo, unico strumento caro ai pontefici (non solo a San Pio X, ma anche ai successivi). Che cosa avrebbe detto Papa Sarto, oggi, dinanzi alle Eucari- 10:29 Pagina 27 Il canto durante le celebrazioni liturgiche deve avere il sopravvento sulla funzionalità degli strumenti. Questa subordinazione, un tempo tanto cara alle indicazioni celebrative, oggi deve forse essere riscoperta. stie accompagnate da chitarre, tamburi e quant’altro...? A San Pio X va il merito della fondazione del 1910 della «Scuola Superiore di Musica Sacra», divenuta poi il «Pontificio Istituto di Musica Sacra» (PIMS), con facoltà di conferire i gradi accademici. Pio XI, con il motu proprio Ad musicae sacrae restitutionem (22 novembre 1922), incluse questa scuola tra le Università Pontificie. Pio XII raccomandò vivamente la frequenza dei corsi di musica, soprattutto ai candidati presbiteri, attraverso lettere varie e addirittura l’enciclica Musicae sacrae disciplina (25 dicembre). Proprio quest’ultimo documento è di particolare importanza per la musica sacra. Dopo aver riassunto l’origine e lo sviluppo della musica sacra, specie gregoriana, ed aver raccomandato l’osservanza «delle norme saggiamente fissate da San Pio X nel documento da egli stesso definito codice giuridico della musica sacra» (il motu proprio ricordato sopra), Papa Pacelli indica i motivi che ne debbono regolare ogni manifestazione, affinché la musica risulti di aiuto efficace al servizio divino e all’edificazione dei fedeli. Fissa le caratteristiche del27 06 MA-giu-2007-impag(6) 18-05-2007 la musica, che saranno quelle proprie della liturgia, inculcando l’uso universale del canto gregoriano, non respingendo altre forme, soprattutto polifoniche, purché ornate delle debite qualità, e disciplinando l’uso dell’organo e di altri eventuali strumenti. Raccomanda quindi l’educazione musicale di tutti, mediante la formazione di apposite Scholae Cantorum tra i fedeli e lo studio della musica nei seminari. Una vera esortazione, insomma, a promuovere sempre più la conoscenza e l’applicazione della musica sacra, considerata come importante ramo della liturgia. Bisognerà ora attendere il Vaticano II con la costituzione Sacrosanctum Concilium sulla liturgia per avere nuovi e precisi insegnamenti sulla musica sacra, eccezion fatta per occasionali brevi documenti o citazioni di essa nelle altre encicliche. La novità di Perosi Per concludere questo primo tratto di storia a ritroso sulla musica sacra, è più che doveroso un Ottorino Respighi (1879-1936), affianca l’uso dell’organo a quello degli altri strumenti musicali, svincolandolo così dal solo uso ecclesiastico. 28 10:29 Pagina 28 La musica sacra si caratterizza nel XX secolo come una musica sostenuta principalmente, se non esclusivamente dall’uso dell’organo. omaggio al maggiore compositore sacro degli ultimi due secoli, e probabilmente il più profondo in assoluto: Don Lorenzo Perosi (Tortona 1872 - Roma 1956). L’anno scorso il primo cinquantenario della morte è passato quasi inosservato, anche per il maggiore e giusto rilievo riservato al secondo centenario mozartiano. Ordinato sacerdote nel 1894 e maestro di cappella prima ad Imola e poi a San Marco in Venezia, fu chiamato nel 1898 alla direzione della Cappella Sistina, che mantenne, salvo una parentesi di alcuni anni, fino alla morte. Si può dire che Perosi rappresenti la piena risposta al motu proprio di San Pio X del 1903. La sua enorme produzione risulta meno concentrata sull’eredità polifonica palestriniana, e solo parzialmente debitrice alle movenze del canto gregoriano, che in quegli anni, grazie al PIMS, otteneva una nuova e più accurata fase di ricerche e di indagini. Con un carattere as- solutamente compreso dentro le poetiche del teatro verista, filtrato attraverso un approccio musicale semplice ed istintivo, Perosi appare sulla scena come l’ultimo anello di una catena di musicisti che, pur avvertendo l’urgenza di una riforma della musica liturgica, sono stati all’interno dello spirito del tempo, senza mai perdere la propria individualità artistica. L’affinità non solo con il verismo, ma soprattutto con la Giovane Scuola (di cui si era parlato nelle puntate relative alla presenza di Maria nella musica), dona al compositore piemontese una spontanea e delicatissima effusività melodica. La sua è una melodia veramente rigenerata, che in modo sapiente ed equilibrato sa realizzare una perfetta mescolanza tra le componenti veriste, con qualche ascendenza wagneriana e con misurati riferimenti al gregoriano. Compose una ventina di «oratori» nei quali non si può non ravvisare il taglio teatrale, ma così correttamente inserito da rendere ancora più «sacra», all’udito e all’anima, la vicenda che viene narrata. Valga per tutti La passione di Cristo secondo San Marco (1897), in cui l’esigenza di rappresentare il «dramma» spirituale si esprime in una sintesi perfetta di drammaticità e di sacralità. Compose inoltre, durante tutta la carriera, ben 52 messe, uno Stabat Mater (1904) e centinaia di vari pezzi sacri corali. Lorenzo Perosi è veramente il maestro che ha saputo perfettamente coniugare le richieste della teatralità con le forme più accurate e adeguate rivolte a ripronunciare, con timbro nuovo e con risonanze nuove nella coscienza dell’ascoltatore, le parole antiche e perennemente attuali dell’annuncio evangelico. Franco Careglio 06 MA-giu-2007-impag(6) 18-05-2007 L’ADMA nel mondo 10:29 Pagina 29 INSERTO ASSOCIAZIONE DI MARIA AUSILIATRICE Maria rinnova la Famiglia Salesiana (Lettera del Rettor Maggiore Don Egidio Viganò del 25 marzo 1978) sa del titolo per farne una realtà in parte nuova e più grande: un luogo privilegiato dalla presenza materna e soccorritrice di Maria. E questo dovrà certamente avere delle conseguenze anche per il nostro rilancio mariano. La coscienza della presenza di Maria Si può parlare di una «originalità» nella nostra devozione all’Ausiliatrice per cui, volendo inserirci nel cuore del movimento mariano più attuale, si debbano sottolineare e curare alcuni aspetti caratteristici che risultano distintivi di questa devozione? Formuliamo la domanda partendo da una preoccupazione particolarmente pratica: la sua risposta servirà a illuminare gli aspetti da privilegiare nel nostro rinnovamento. Don Bosco è stato, tra i devoti di Maria lungo i secoli, uno dei grandi; lo è stato in forma caratteristica con una sua peculiare modalità, inserito esplicitamente nel vivo del movimento mariano più attuale e più incisivo per la Chiesa del suo tempo. Notiamolo bene: egli si inserì e non inventò la devozione all’Ausiliatrice. Entrò nell’alveo di una © Valerio Bocci Quali che siano le motivazioni concrete alle origini della scelta del titolo «Auxilium Christianorum», già di per sé carico di storia e di una urgente attualità per le congiunture socioreligiose, ci sembra che ciò che per Don Bosco è stato determinante è il fatto d’aver sperimentato, giorno dopo giorno, che Maria si sia costruita praticamente questa «sua Casa» nelle zolle dell’Oratorio e ne abbia preso possesso per irradiare da lì il suo patrocinio. Il modo con cui Don Bosco parla di questa «Casa dell’Ausiliatrice» sottolinea meno gli accenni storici, e assai più le affermazioni di presenza viva, di fontana zampillante di grazia, di rilancio continuo di operosità apostolica, di clima di speranza e di volontà d’impegno per la Chiesa e per il Papa. Si presenta alla nostra considerazione una vera «lirica dei fatti», che tiene dietro alla costruzione della basilica e che illumina più vitalmente la scelta mariana di Don Bosco. Penso che dovremmo riflettere di più sulle conseguenze «spirituali» che ha per Don Bosco (e per noi) il fatto della costruzione di questo tempio, il suo significato effettivo e la sua funzione fondale nella configurazione definitiva del suo carisma e le conseguenze concrete nella fondazione e sviluppo della Famiglia Salesiana. Dall’esistenza di questo santuario in poi l’Ausiliatrice è la espressione mariana che caratterizzerà sempre lo spirito e l’apostolato di Don Bosco: la sua vocazione apostolica gli apparirà tutta come opera di Maria Ausiliatrice, e le molteplici e grandi sue iniziative, particolarmente la Società di San Francesco di Sales, l’Istituto delle FMA e la gran Famiglia Salesiana, saranno viste da lui come fondazione voluta e curata dall’Ausiliatrice. Penso si possa affermare che l’esistenza del santuario sia diventata, per l’esperienza viva di tante grazie concrete, più significativa di quanto forse pensava inizialmente lo stesso Don Bosco; la luce che irradia dal tempio di Valdocco trascende le preoccupazioni pastorali di quartiere e la storia stes- (6a parte) 29 06 MA-giu-2007-impag(6) 18-05-2007 10:29 Pagina 30 tradizione già antica e specifica, ma le seppe dare un volto ed uno stile così peculiare, che da lui in poi l’Ausiliatrice è stata chiamata familiarmente anche «la Madonna di Don Bosco»! Tentiamo di soffermarci brevemente su alcuni elementi che, sottolineati fortemente dal nostro fondatore, contribuiscono a dare a questa devozione un volto ed uno stile suoi caratteristici. Innanzitutto, la viva coscienza della presenza personale di Maria nella storia della salvezza comporta nella devozione di Don Bosco, come abbiamo già osservato, l’atteggiamento costante di stabilire dei rapporti vitali con Essa (unendo, certamente, Maria a Cristo in un binomio inscindibile di salvezza: le due colonne del suo sogno!). Ne consegue che questa devozione mariana si riferisce sempre direttamente alla «persona» stessa della Madonna con tutte le sue grandezze e i suoi titoli; quindi, non si esprime mai in una qualche forma di concorrenza con le altre devozioni, ma piuttosto in una forma di convergenza intensiva e di proiezione operativa, per cui ogni titolo e ogni festa mariana è amata e celebrata sottolineando il suo apporto di «aiuto» alla salvezza umana. Questa coscienza della presenza personale di Maria Ausiliatrice è sentita concretamente da Don Bosco nella propria vita come un dato oggettivo basilare, un elemento fondante tutta la sua vocazione sia per quanto definisce la destinazione e lo stile della sua missione apostolica, sia per quanto va tratteggiando la fisionomia del suo spirito evangelico. (continua) L’A D M A nel mondo LA MERCED (Perù). Dalle scuole dell’infanzia sino alla superiori (statali e non statali) in zona amazzonica. Abbiamo gradito i saluti della Sig.ra Ispettrice, Suor Bardini Lina, presente nella Comunità FMA locale in cui si trovava per la visita annuale regolamentare. Il 24 maggio 2006 altre 5 aspiranti ADMA hanno fatto la Promessa con entusiasmo attorniate da numerosi fedeli nella Chiesa Madre dedicata a Marìa Santissima de la Merced. Con queste 5 nuove associate sono 25 complessivamente dalla sua fondazione! L’età delle nuove associate è tra i 72 e i 44 anni: Clarisa Vittoria del 1935 si occupa di agricoltura ed è presidente del “Club delle piante”; Sonia C. del 1955 è segretaria dell’ADMA ed è casalinga; Rosa Maria è del 1959 è contabile; Giuseppina che è del 1960 è sarta e fa la catechista; Sonia A. nata nel 1963 è segretaria contabile. 30 LA MERCED (Perù). Suor Nèlida Samaniego, animatrice spirituale ADMA locale e le 5 Nuove Associate del 24 maggio 2006. I nostri ringraziamenti a Suor Nélida Samaniego per il suo apostolato ADMA; a lei e alla comunità FMA come pure alle/gli associate/i il nostro plauso e preghiera. SAN ANTONIO DE LOS ALTOS (Venezuela). Noviziato salesiano e Casa di spiritualità. L’Assemblea Annuale ADMA alla quale ben tre volte ho avuto la gioia di partecipare negli anni tra il 1995 al 2000. L’assemblea si è tenuta nei giorni 1, 2 e 3 settembre 2006; vi hanno partecipato... solo 85 assoSAN ANTONIO DE LOS ALTOS (Venezuela). “Assemblea annuale ADMA” 1-3 settembre 2006: gruppo generale. 06 MA-giu-2007-impag(6) 18-05-2007 10:29 Pagina 31 ciate/i purtroppo per mancanza di posti disponibili. In compenso grande fu l’interesse, la compartecipazione e l’entusiasmo di tutti i partecipanti. Sono stati presenti il Padre Raùl Biord, vicario dell’Ispettore P. Jonny Reyes, il Padre Giuseppe De Franceschi, animatore spirituale nazionale dell’ADMA, parecchi animatori spirituali locali salesiani e FMA, alcuni appartenenti ad altri gruppi della famiglia salesiana. Durante 3 intere giornate hanno riflettuto sul tema della famiglia in approfondimento della strenna 2006 del Rettor Maggiore, P. Pascual Chávez V. È stata generale la soddisfazione e la gioia dei partecipanti, che sono tornati alle loro sedi e alle rispettive famiglie con la ferma volontà di essere sempre più fedeli a Don Bosco quali appartenenti all’ADMA seguendone sempre più il regolamento. TORINO-VALDOCCO. ADMA Primaria e ADMA locali di TO-Crocetta, SDB e FMA di TOAgnelli, Sassi, Stura, Mappano, Giaveno. Da venerdì 23-03-2007 alle 15,30 a domenica 25-03-2007 dalle 09,30 alle 18,00 ESERCIZI SPIRITUALI. Li abbiamo sempre fatti fuori sede, generalmente presso la “Madonna dei Laghi” di Avigliana (TO) nella casa di spiritualità SDB. Sono stati finalizzati alla preparazione alla Santa Pasqua. I partecipanti pernottavano a casa loro, ma potevano pranzare al “Self-service della Basilica”. I partecipanti al ritiro spirituale erano sempre almeno una trentina, al pomeriggio sono giunti all’ottantina! Mai meno di 15 uomini e arrivarono a essere 22! Particolarmente numerosi i partecipanti la domenica 25 soprattutto al pomeriggio, una settantina! I temi svolti: 1) Sete di Dio (Mc 10,17; Mt 17,14). Non basta il buon desiderio; ci vuole radicalità e costanza. 2) L’insegnamento di Gesù è “esigente”: conoscere Gesù è sinonimo di seguire quanto insegna a parole e a fatti; in questo TORINO-VALDOCCO. Incontro quaresimale nella sala Don Bosco. TORINO-VALDOCCO. Il Sig. Ispettore Don Pietro Migliasso presiede la celebrazione eucaristica del ritiro nella chiesa di San Francesco di Sales. TORINO-VALDOCCO. Il gruppo dei partecipanti dopo la Santa Messa nella chiesa di San Francesco il 25 marzo. 31 06 MA-giu-2007-impag(6) 18-05-2007 10:29 Pagina 32 Ricordi degli Esercizi Spirituali 23-25 marzo 2007 - Torino-Valdocco TORINO-VALDOCCO. Il brindisi pasquale ha chiuso l’incontro degli esercizi spirituali. “consiste la vita eterna”: lottare contro il peccato e vincerlo; praticare la virtù. Per comprendere e realizzare quanto Gesù insegna esige interiormente orienta il nostro cuore verso le sue parole e conduce la volontà sulla via dei suoi insegnamenti (Salmo 119,35.36). Santa Teresa di Gesù bambino... non sentiva la sua parola ma sentiva Lui dentro se stessa! È, però assolutamente indispensabile dare spazio e prestare attenzione e, all’atto pratico, collaborare! SABATO 24. Dalle ore 10,00 alle 12,00 almeno 6 confessori in basilica di Maria Ausiliatrice erano disponibili a confessare e sono stati molto occupati! Nella riflessione fatta in sala Don Bosco fino alle 10,00 si è curato l’esame di coscienza e ci pare che vi sia stata molta attenzione. DOMENICA 25. Il Sig. Ispettore, Don Migliasso Pietro alle 11,15 ha iniziato la celebrazione della Santa Messa nella chiesa di San Francesco di Sales, avendo Don Viotti Sebastiano come concelebrante, e all’organo Don Pagliero Angelo. Tema della liturgia della parola: la misericordia di Dio è infinita... in Lui tutto è infinito. Dio perdona sempre, tutto, e chiama alla conversione, a cambiare, a fare il bene al posto del male, a fare quanto e come si deve fare quello che non si è fatto, a non peccare più, a essere fedeli e costanti! Ecco il grande messaggio di questa quinta domenica di quaresima anno C. Alle 12,15 oltre una quarantina hanno pranzato in clima di vera amicizia. Alle 14,30 la sala Don Bosco era già tutta occupata, data la pioggia, che continuava a cadere! Si è iniziato con il Santo Rosario recitato a due cori, con calma; precedeva ogni mistero un’adeguata riflessione come si è fatto anche ieri pomeriggio. Subito dopo Don Viotti commenta i “ricordi” letti da Maria Lucia Caffaro in Martina. 32 Come persona umana: sii onesto/a sempre con tutti. Come cristiano/a: vivi in grazia di Dio. Come Associato/a: sii Educatrice/tore alla Don Bosco in famiglia, sul lavoro, nella Società ecclesiale e civile. Per questo: 1) Prega almeno 5 minuti al mattino e alla sera e prima dei pasti fa una breve preghiera ma con raccoglimento! 2) Santa Messa ogni domenica e ogni festa di precetto. 3) Confessati almeno una volta al mese e se per disgrazia pecchi mortalmente, pentiti al più presto, chiedi perdono di cuore col proposito di confessarti appena possibile, ma necessariamente prima di fare la Santa Comunione. 4) È consigliabile un confessore fisso. Per le/gli Associate/i: ogni 24 del mese 2 ore di riunione, la festa di Maria Ausiliatrice e di San Giovanni Bosco, Santa Messa e processione, giornata di ritiro, l’ultima domenica di Avvento, la 5ª domenica di Quaresima, la Giornata Mariana annuale, gli Esercizi Spirituali di tre giorni. La santa Comunione quando si va a Messa se si è in grazia di Dio. Infine, vivere e diffondere la devozione a Maria Ausiliatrice! Don Viotti ha commentato, puntualizzato e illustrato i vari punti e ha dato possibilità di chiedere chiarimenti. L’incontro è stato molto interessante, utile, compartecipato! Abbiamo trasmesso a continuazione un filmato di 12 minuti: “Ci vuole una casa per accogliere la vita e custodire il mistero”: si parla di Mornese: Mazzarelli, Valponasca, Collegio; Santa Maria Domenica Mazzarello, la sua famiglia, la sua Opera FMA e fece seguito un secondo filmato: “XXV giornate di spiritualità della Famiglia Salesiana - Roma 18 - 21 gennaio 2007” per approfondire la Strenna del Rettor Maggiore, Don Pascual Chávez V. per il 2007: “Lasciamoci guidare dall’amore di Dio per la vita”. Per le 16,20 tutti erano in Basilica per i vespri, l’Esposizione, l’adorazione, la benedizione di Gesù Eucaristico poi TUTTI IN SALA DON BOSCO “PER IL BRINDISI PASQUALE” con lo scambio di auguri con Don Sergio Pellini, Vicario dell’Ispettore e Rettore della Basilica. Un clima fortemente mariano e salesiano alla luce dell’imminente Santa Pasqua! Un vivo “grazie” ai membri del Consiglio ADMA per il lavoro fatto nella preparazione e gestione di tutto il “movimento”! Don Sebastiano Viotti 06 MA-giu-2007-impag(6) 18-05-2007 10:29 Pagina 33 Cuore di Gesù. Io amo solo te, santissimo Sacramento. Sono povero e misero, ma quando possiedo il tuo santo e amabile Cuore, allora sono ricco. Sono malato, ma conosco la medicina miracolosa e ricerco il santissimo Sacramento. Quando ingiustizia e pericolo mi assalgono, mi af- esempi esempi e pensieri A cura di Mario Scudu Odiarsi è più facile di quanto si creda. La grazia è dimenticarsi. Ma se ogni orgoglio fosse morto in noi, la grazia delle grazie sarebbe amare umilmente se stessi, come qualunque altro membro sofferente di Gesù Cristo. G. Bernanos, scrittore Il minimo sguardo di Dio calmerebbe molto di più il vostro cuore turbato da questa preoccupazione di voi stessi. La sua presenza spinge sempre ad uscire da se stessi, ed è ciò che vi occorre. Uscite dunque da voi stessi e sarete in pace. F. Fénelon, predicatore Ogni tramonto è un piccolo passo verso la morte. Susanna Tamaro L’uomo è misura di tutte le cose. Protagora, filosofo Tutto è relativo, ecco il solo principio assoluto... Non vi è nulla di buono, non vi è nulla di cattivo assolutamente parlando. Tutto è relativo: ecco la sola cosa assoluta. Auguste Comte, filosofo Amare la propria fragilità dopo essere stato a NaPversitàroprio gasaki, mi trattenni all’unidi Kyoto per una riunione di studenti e di professori, non cristiani o cristiani, cristiani di vecchia o di fresca data. Domandavo loro: «per quale ragione, voi giapponesi, siete divenuti cristiani? Voi avete tutto. Lo scintoismo per celebrare la nascita e le forze della vita; il buddismo per circondare la morte e celebrare l’aldilà, e, tra i due, a- vete il Giappone e il vostro affetto alla giapponesità. Avete battuto gli svizzeri con gli orologi migliori del mondo; avete battuto i tedeschi con l’ottica migliore del mondo; avete battuto gli americani con l’elettronica migliore del mondo... Allora perche avete bisogno di Cristo?». Uno di loro, convertito da quattro anni, professore di storia dell’arte e specialista dell’estetica di Kant, che era appena entrato nell’Ordine dei domenicani, fratello Kamitsubo, rispose: «Fino a Hiroshima, fino alla bomba di Hiroshima, noi non eravamo mai stati vinti. Eravamo persuasi di essere i figli del sole. Nessuno ci poteva vincere. Ma dopo il disastro, ci fu solo il Cristo per farci amare la nostro fragilità». Dopo la visita di Nagasaki e di Hiroshima, la porta di entrata del cristianesimo e di ogni “confessione” mi si era ridotta ad una sola frase: è impossibile, da soli, amare la propria fragilità. I poveri del Vangelo hanno trovato la risposta prima degli apostoli. I poveri di cuore conoscono la sola condizione. Gli apostoli hanno avuto bisogno di tempo. Se si preferisce restare soli, la domanda posta dalla nostra fragilità ci fa paura. Bernard Bro Accoglimi tra le tue braccia S acro Cuore di Gesù, ti lodo e ti amo con tutto il cuore. Santissimo Sacramento, pane spirituale dell’anima mia, con amore sincero ti prego senza sosta. Io amo solo te, sacratissimo Sacro Cuore di Gesù, (G. Carnovali (1806-1873), attribuzione, Camaitino (Sotto il Monte - BG), Casa del beato Giovanni XXIII. fido al sacratissimo Cuore di Gesù. Quando i nemici incalzano, essi non possono farmi del male. Subito mi rifugio in te, delizia dell’anima mia. Spesso sono stato confuso. Nelle mie necessità stammi accanto, sacro Cuore di Gesù. Tu sei il maestro, io il discepolo. Fammi ascoltare con cuore sincero e aperto le tue parole. Desidero portare ogni fatica, ogni croce fino alla fine della mia vita per amor tuo, sacratissimo Cuore di Gesù. Quando, nell’ora della mia morte, il corpo e l’anima vengono meno, prendimi tu tra le tue braccia. Nel giudizio sii misericordioso con me. Non mi respingere, sacratissimo Cuore di Gesù! Fammi essere tuo per l’eternità! Non chiedo nessun’altra felicità, o santissimo Sacramento. San Giuseppe Freinademetz, Missionario in Cina 33 06 MA-giu-2007-impag(6) 18-05-2007 10:29 Pagina 34 Santuari del Tri v 74 Santuari mariani VERONA Santuario di Santa Teresa di Gesù Bambino Frati Carmelitani Scalzi Indirizzo: Via Volturno 1 Tel. 045.500.266 - 045.50.52.66 Diocesi: Verona. Calendario: È celebrata la festa del 1º ottobre (Santa Teresa del Bambino Gesù) e il 1º maggio si svolge la benedizione dei bambini. Note: Nel mese di settembre, ogni sabato, concerto d’organo con organisti di fama internazionale. Inoltre, nel convento dei carmelitani, vengono ospitati soltanto laici che intendono fare esperienza vocazionale. Il Santuario fu eretto nel 1905. È in stile neogotico e il suo interno è un tripudio di marmi, la cui policromia è sorprendente. Straordinari le sculture, gli affreschi, i dipinti, le vetrate. La Il Santuario di Santa Teresina di Verona è uno dei centri più importanti del Veneto per la musica organistica. facciata è stata rivestita in cotto nel 1968. L’ampio sagrato è cinto da una cancellata in ferro battuto sorretta da un basamento e da colonne di marmo. Il monumento a Santa Teresa è in marmo bianco, elevato su un ricco piedistallo in porfido. Sulla parete interna della facciata, in un grande affresco del Bargellini è raffigurata l’apoteosi del Carmelo: 220 figure disposte e studiate con grande gusto in 144 metri quadrati di parete. L’altare maggiore è in marmo broccato, al di sopra si trova un tempietto in cui è collocato il gruppo della Sacra Famiglia con Santa Teresa. Sulla porta del tabernacolo, ingemmata di pietre preziose, è riprodotta con finissimo lavoro d’intarsio la Santa ai piedi del Crocifisso. VICENZA Santuario di Monte Berico Servi di Maria Indirizzo: Viale X Giugno 87 Tel. 0444.32.09.99 Diocesi: Vicenza. Calendario: Sono celebrate solennemente tutte le festività mariane: Annunciazione (25 marzo); Assunzione (15 agosto); Natività (8 settembre); Madonna del Rosario (7 ottobre); Immacolata (8 dicembre). Note: In maggio si tengono concerti d’organo. Si organizzano, inoltre, conferenze di carattere teologico e mariologico. Posto sulla sommità del Monte Berico, il complesso religioso è formato dal Santuario e dall’annesso convento che domina la città sottostante. È possibile 34 La statua in pietra del 1400 della Vergine venerata al Monte Berico. Uno scorcio dell’interno e la panoramica del Santuario (a lato). 06 MA-giu-2007-impag(6) 18-05-2007 i veneto /17 accedere al tempio a piedi attraverso due strade caratteristiche: quella delle Scalette e quella dei Portici. La prima, la più antica (1574) è composta da 192 gradini, che iniziano con un arco trionfale (1595), che reca la firma del Palladio. La seconda, dei Portici, con 150 archi come i grani del Rosario e gli affreschi dei 15 misteri del Rosario: in tutto 700 metri di lunghezza. Davanti alla facciata il grande piazzale della Vittoria, che domina tutta la città. Qui fu costruito il Santuario agli inizi del Quattrocento, nel punto in cui, il 7 marzo 1426 e il 1º agosto 1428, Vincenza Pasini vide la Madonna che le promise di far cessare la pestilenza se i vicentini le avessero elevato un Santuario. Nel 1578 il Palladio edificò un nuovo tempio che venne in seguito distrutto per erigere 10:29 Pagina 35 l’attuale Basilica fra il 1688 e il 1703, progettata da Carlo Borella. L’imponente convento è affidato ai Servi di Maria dal 1435. All’esterno del Santuario le tre facciate simmetriche barocche sono ornate da 42 statue di santi e tre bassorilievi di Orazio Marinali. I resti dell’oratorio gotico (1428) formano il presbiterio della chiesa, diviso da colonne in tre navate. Nel refettorio ammiriamo la Cena di San Gregorio Magno di Maria Santissima e i Quattro Evangelisti, quadro di Alessandro Maganza (15561630), conservato nel Santuario del Monte Berico. A lato, il chiostro gotico con le arcate decorate da cornici in terracotta. Paolo Veronese (1572). Il chiostro gotico possiede belle arcate decorate da cornici in terracotta del XV secolo e in sacrestia si conservano opere pregiate come la Pietà di Bartolomeo Montagna del 1500 e il coro ligneo intagliato di Pier Antonio dell’Abate. Cristina Siccardi 35 06 MA-giu-2007-impag(6) 18-05-2007 10:29 Pagina 36 MADONNA DELLA CORONA - 24 GIUGNO 1522 - SPIAZZI (VR) Calendario Mariano U no dei più caratteristici Santuari, sia per l’austerità del paesaggio che lo circonda, sia anche per la sua storia, è sicuramente quello della Madonna della Corona che sorge sul Monte Baldo, in Diocesi di Verona. Il Monte Baldo è una stupenda catena prealpina che si estende tra il lago di Garda ed il fiume Adige, per una lunghezza di circa 40 chilometri e per una larghezza di 20. Il massiccio da sempre è chiamato «la Corona», «da quei monti che in giro piegando, formano intorno una corona». Per questo il Santuario dell’Addolorata prende il nome della «Corona». In un breve spiazzo incavato Altare della Crocifissione presso il Santuario della Corona. 36 L’antico sentiero nella parete di roccia cruda, che si drizza a picco sull’abisso per una altezza di 400 metri, sta la chiesa, appiccicata sulla roccia come un nido di aquila. La tradizione La tradizione fa miracolosamente comparire nel 1522, sulla parete rocciosa del Baldo, la statua della Madonna. La Venerabile Elena da Persico (1869-1948), fondatrice delle Figlie della Regina degli Apostoli, riferisce che, in una notte del giugno 1522, una luce misteriosa illuminò le selve che coprivano le balze orientali del monte Baldo, in quella insenatura rocciosa, che scende a picco fin quasi all’Adige e guarda i monti sorgenti sull’altra riva del fiume. Così intensa e viva è quella luce che i terrazzani dei dintorni ne sono colpiti ed accorrono sui cigli della roccia per vederne la causa. Ma da lassù nulla possono scorgere, se non la meravigliosa luce. Allora i più coraggiosi, per mezzo di funi si calano giù al centro di quegli splendori. Sopra un brevissimo spiazzo, a mezza roccia, scorgono la statua di Maria col Figlio morto sulle ginocchia. La notizia si diffonde subito in tutti i dintorni ed è un accorrere di gente a venerare la statua miracolosa. Ma il luogo dove essa si trova è inaccessibile, ed allora si pensa di portarla alla borgata Spiazzi, composta di poche case, alla cima delle rocce. Superando grandi difficoltà, si riesce nell’impresa. L’immagine preziosa e venerata, a forza di argani, è portata sulla sommità del monte. Viene improvvisata una processione, alla quale prendono parte moltissimi fedeli accorsi dai paesi vicini, e la statua, tra canti di gioia, è collocata sopra un altare in una cappella di legno, costruita in tutta fretta. Ma il giorno seguente, quando i devoti accorrono per venerarla di nuovo, la statua non c’è più! Pensando ad un furto, si cerca nelle case, negli antri delle rocce, nei boschi. Inutilmente! Finalmente qualcuno pensa di guardare sullo spiazzo roccioso, dal quale è stata tolta. Si trova proprio là. Raffigurazione dell’apparizione della Vergine addolorata con il Figlio morto fra le braccia. 06 MA-giu-2007-impag(6) 18-05-2007 10:29 Pagina 37 Suggestiva visione del Santuario della Corona, incastonato ai piedi del monte Baldo. Secondo la tradizione la sta- Allora quegli uomini semplici rinnovano la fatica del giorno prima, scendono di nuovo a prendersi la preziosa statua e la riportano nel luogo dove già le hanno eretto un altare. E per la seconda volta Ella sparisce dalla Cappella di legno, e per la seconda volta è ritrovata nel breve spiazzo roccioso. Si decide allora di costruire sul posto una piccola chiesa. Per circa venti anni, i fedeli debbono calarsi giù dalle rocce con le funi dell’argano, finché non viene costruita una strada. Un’altra spiegazione Oltre alla tradizione che riferisce l’apparizione miracolosa della statua della Pietà, si ritiene che, già prima del 1522 in quella cavità rocciosa vivessero dei religiosi eremiti, ai quali Ludovico di Castelbarco fa dono, come ex voto, di una statua del- tua dell’Addolorata giunse in questi luoghi da Rodi, dopo che l’isola cadde in mano ai Turchi. l’Addolorata che la tradizione vuole sia giunta da Rodi, dopo la caduta dell’isola in mano ai Turchi. Infatti sul piedestallo della statua vi è la scritta «Hoc opus facit fieri Ludovicus de Castro Barco AD 1432». Attorno a questa statua fiorisce la devozione all’Addolorata, molto viva in quel tempo, e sorge il Santuario che con gli anni si sviluppa ed abbellisce. del venerdì santo, quando Maria riceve tra le braccia il corpo di Gesù deposto dalla croce. Una statua simile è quella che si venera nel Santuario altoatesino di Pietralba, «Maria Weissen- La statua La statua della Madonna che si venera alla Corona è un gruppo in pietra alto cm 70; la Vergine è raffigurata in atteggiamento di profondo e composto dolore materno, mentre sorregge e contempla afflitta il corpo di Cristo deposto dalla croce. È una delle tante immagini e statue della Pietà (in tedesco «Vesperbild», cioè «Quadro della sera») che ci riporta alla sera 37 06 MA-giu-2007-impag(6) 18-05-2007 stein», in provincia di Bolzano, molto amato dall’indimenticabile Papa Albino Luciani, Giovanni Paolo I. Queste raffigurazioni della Pietà sono in gran parte una forma artistica caratteristica della regione tedesca e alpina. Le vie attuali al Santuario Oggi per giungere al Santuario della Madonna della Corona si possono percorrere diverse vie. Da Brentino, in Val d’Adige, si snoda lungo il costone del monte Cimo «l’antico sentiero del pellegrino», che si percorre a piedi: tratti di terreno battuto si alternano a rampe di gradinata (1540 gradini). È la via più ardita, che ogni anno è percorsa da molti pellegrini. Una strada asfaltata scende dal piazzale “Giovanni Paolo II” di Spiazzi e arriva alla Corona immergendosi nell’ultimo tratto in una galleria (scavata nel 1922). Questa strada è percorribile anche da auto, ma nei periodi di maggior afflusso è riservata ad un pulmino di linea. Un’altra antica via «la via del pellegrino orante» è costituita da una lunga teoria di scalinate che, partendo da Spiazzi, presso la fontana, o dal piazzale “Giovanni Paolo II”, portano al Ponte del Tiglio; da qui inizia la «via Matris», il tratto di scalinata a strapiombo sulla vertiginosa vallata. Percorrendo queste scalinate si possono ammirare le visuali più suggestive del Santuario. Il numero dei gradini disseminati nei dintorni della Corona è di circa duemila (2.000). Ogni anno in questo angolo nascosto, sospeso tra cielo e terra, giungono numerosi pellegrini per chiedere alla «Pietà», che la tradizione popolare ama pensare giunta da Rodi, quell’aiuto di cui è stata ricca nei secoli. Don Mario Morra 38 10:29 Pagina 38 Manoscritt Centro di Documentazione L ’Archivio Storico del Centro di Documentazione racchiude oltre 350 manoscritti. Descriviamo i più antichi e i più significativi. Possediamo il Testamento Spirituale del Beato Giovanni Colombini, (1305-1367) fondatore dei Gesuati, morto il 31-71367, cinque giorni dopo averlo dettato, in rogito del notaio Benedetto Pacis di Città di Castello, con relativa copia originale e trascrizione del Sac. Tarcisio Valsecchi. San Francesco di Sales (1567-1622). Due Autografi originali riportano brani di Omelia della 3ª Domenica di Avvento del 1603 (fronte e retro), ed un frammento di scrittura del medesimo ha l’autentica dell’Arcivescovo di Torino Michael Antonius, in data 10-4-1710 (vedi foto 1 e 2). Possediamo una lettera, interamente autografa ed inedita, di Santa Giovanna Francesca Fremiot di Chantal (1572-1641) scritta da Annecy in data 2-11(anno sconosciuto) indirizzata a San Francesco di Sales. È firmata: Umilissima ed Obedientissima Figlia SR. Giov. Franc. Fremiot. 쐃 San Filippo Neri (1515-1595) con lettera, inviata da Roma l’812-1575, presenta alla nipote Suor Maria Vittoria Trievi, Monaca del Monastero di San Pietro martire a Firenze, le condoglianze per la morte del padre. Lettera della Beata Giovanna Maria Bonomo (1606-1670), benedettina del Monastero di San Girolamo in Bassano del Grappa, indirizzata il 16-12-1638 a suo padre Giovanni, in Vicenza al Carmine. Cristiani Giapponesi: (1659). Due documenti inviati da Don Mario Marega sdb (1938) a Don Pietro Zerbino, studiati e tradotti dalla Dr. Laura Moretti: – Professione di fede: “Le persone sopra indicate non hanno intenzione di apostatare. Sigilliamo con le impronte del pollice il fatto che tale decisione non comporta per noi alcun ripensamento. Di conseguenza chiediamo disposizioni in merito. Secondo anno dell’era Manji (1659), decimo mese, primo giorno”. – Giuramento di Abiura: “Noi rinneghiamo la religione cristiana. Non diventeremo una seconda volta cristiani. Qui giuriamo solennemente. Che que- 06 MA-giu-2007-impag(6) 18-05-2007 10:29 Pagina 39 쐋 tti antichi sto documento serva come atto per il futuro. Quattro componenti della famiglia Zengoro. Anno del cinghiale, dell’era Manji (1659), ottavo mese, settimo giorno” (vedi foto 3). San Crispino da Viterbo (1668-1750). Lettera da Roma del 21-9-1744(?) ad una certa Signora Caterina: “Si rassicuri, Signora Caterina mia, che ogni giorno prego il mio amato Gesù ed in specie la mia Signora Madre Maria Vergine per lei, acciò le dia pazienza ed a suo tempo il Paradiso”. Di Santa Veronica Giuliani (1660-1727) possediamo cinque lettere alle sorelle, tra le quali quella da Città di Castello, inviata il 5-1-1710 alla sorella Anna Maria Giuliani, in poesia sul Natale. San Giuseppe Benedetto Cottolengo (1786-1842). Quietanza alle Regie Dogane (Torino, 28-1-1837): “Dichiaro di aver ricevuto due franchi e centesimi otto dalle Casse delle Regie Dogane per conto dell’annuale porzione determinata a favore del fu Coppo Giovanni Battista di Andezeno”. Due fogli con firme di Giuseppe Benedetto Cottolengo. 쐇 Sant’Alfonso Maria De Liguori (1696-1787). Tra le lettere e scritti a destinatari vari citiamo la petizione del Maggio 1749 inviata, a nome delle Monache Redentoriste di Napoli, al Re Carlo III da Nocera dei Pagani e la lettera del 3-12-1777 all’Ill.mo Signore Don Remondini editore a Venezia (vedi foto 4). 쐏 San Vincenzo Pallotti (17951850). Biglietto al Signor Giovanni Marchetti (Roma, 18-61848): “Prego la sua carità di mettere nelle mani di M. G. Vescovo di Gubbio le 100 copie latine e le 200 italiane colla fiducia che le farà diramare in tutta la Diocesi”. Beato Giuseppe Allamano (1851-1926). Lettera a Ill.mo Signore (Torino Consolata, 14-111902): ringrazia “pel caro regalo delle Reliquie del nostro santo Patrono delle Missioni d’Africa. Il Signore la rimeriti del- la bontà ed insieme della generosità dell’offerta. I miei giovani missionari pregando ogni giorno davanti alla preziosa Reliquia non dimenticheranno il buon donatore”. Beato Luigi Boccardo (18611936). Lettera (Torino 1898): invita il destinatario a collaborare con il Teologo De Alexandris Luigi per un nuovo Presepio per i giovani della scuola di religione, sezione completa, sita in via Milano n. 3. San Giovanni Bosco (18151888). Lettera (Torino, 12-81871) al Padre Barrera al quale invia, in allegato, la lettera della Marchesa Cavalletti Luisa e chiede chiarimenti in proposito. Lettera a Carissimo Signore: “Mi è giunta a Roma la sua lettera, l’attendo a Torino per parlare di cose di maggior rilievo. Assicuro preghiere (Roma, Via Sistina, 104, 15-3-1874)”. Don Mario Morra 39 06 MA-giu-2007-impag(6) 18-05-2007 Santi di ieri e di oggi S uo padre faceva il calzolaio a Hussowitz-Brunn (Moldavia). Lì, nella sua umile casa, sesta di sette figli, nel 1894, nasce Elena Kafka. Quando comincia a parlare, la piccola è balbuziente. Ha soltanto due anni, allorché, nel 1896, la sua famiglia, tutt’altro che benestante, emigra a Vienna. A sei anni, va a scuola, ma balbettando come non dovrebbe, la maestra con un sistema del tempo, le ordina di stare zitta per tre mesi, con la speranza di guarirla dal grave difetto di pronuncia. “La cura” riesce assai bene ed Elena è molto fiera di potersi esprimere scioltamente come la altre bambine. Ha voglia di studiare, ma a 15 anni, è costretta a lasciare la scuola, per impegnarsi come cameriera. Ha in cuore una grandissima affezione a Gesù e vuole spendere la vita per Lui solo. Non gli piace il lavoro che fa, 10:29 Martire per il crocifiss perché vuole servire Gesù nei malati come infermiera. Gesù nei malati Riesce a farsi assumere all’ospedale di Lainz, tenuto dalle Suore della Carità cristiana, una congregazione viennese. Lì esplode il suo desiderio più intenso e più intimo: farsi suora, consacrarsi a Dio. I suoi genitori si oppongono, ma Elena, con l’ostinazione che sarà sempre sua propria, non si arrende. Prega, insiste per convincere i suoi, infine scappa di casa. A 20 anni, entra assai lieta nell’Istituto da lei amato: veste l’abito religioso e prende il nome di suor Maria Restituta, riferendosi a una giovane martire, uccisa nel 304 d.C., al tempo delle persecuzioni dell’imperatore Diocleziano. Nel 1914, scoppia la “grande La chiesa di Hussowitz-Brunn in Moldavia, dove Elena venne battezzata. 40 Pagina 40 guerra”. Restituta, ancora novizia, presta il suo servizio all’ospedale di Modling, come infermiera in sala operatoria e anche come anestesista. Non c’è nulla che la intimorisca o la spaventi. Anzi, è bravissima con i feriti di guerra e sempre pronta ad affrontare le emergenze, anche le più gravi. È ardente di amore a Gesù Crocifisso ed Eucaristico: tutta la luce e l’energia che possiede – a cascate – le vengono da Lui. Lo prega a lungo, ogni mattina nella Santa Messa, ripresentazione del suo Sacrificio, e durante il giorno, alza spesso gli occhi al Crocifisso esposto nelle camere e nelle sale operatorie. Medici, colleghe e soprattutto i pazienti sono letteralmente affascinati dal suo stile deciso e cordiale, dalle sue capacità di risolvere ogni problema che capiti. In breve, la soprannominano “suor Resoluta”: ella ne è fiera perché questo è un onore grande al suo Gesù che crea personalità forti e dolcissime in modo che chi si consacra a Lui non fa mai voto di perpetuo abbattimento, ma trova gioia senza confini. Al termine della guerra, suor Restituta diventa assistente volontaria di un famoso chirurgo, con il cui carattere nessuno vuole avere a che fare, ma lei lo “domina” e lo orienta tutto a servizio dei malati. Da parte sua, continua a essere sorella e madre dei sofferenti, con vera carità cristiana. Intende amare e donarsi, a immagine di Gesù, fino a dare la vita: perché non c’è amore più 06 MA-giu-2007-impag(6) 18-05-2007 10:29 Pagina 41 so dai luoghi pubblici, così come si vuol fare oggi, da parte di molti. Suor Restituta riesce a continuare, più o meno segretamente, ad assistere malati e morenti. Il nuovo chirurgo, benché sia un nazista fanatico, ha troppo bisogno della sua esperienza per permettersi di denunciarla. Quando il Crocifisso viene tolto dall’ospedale di Modling, ella si ribella e lo riporta al suo posto. Quando viene edificata una nuova ala dell’ospedale, suor Restituta, appende di persona il Crocifisso nelle diverse camere, sapendo bene a che cosa può andare incontro. sso Elena Kafka 1896-1943 Quello è il posto del Crocifisso! grande di chi sacrifica la vita per i suoi amici. Con il passare degli anni, diventa un’istituzione, benché sia bassa di statura, e, a vederla, al primo incontro, non sembri un granché. Impressiona per il suo buon umore, anche nei momenti più difficili. Le chie- dono: “Come fai a essere sempre così?”. Restituta risponde alzando il dito verso il Crocifisso: “Dipende da Lui”. Nel 1938, i nazisti invadono Vienna. Hitler non vuole la presenza delle suore negli ospedali e ordina che sia tolto il Crocifis- Il suo gesto è una sfida alla falsa croce – la svastica – emblema del nazismo. Colta nell’atto di rimettere il Crocifisso al suo posto, viene denunciata alla Gestapo. Il mercoledì delle ceneri 1942, viene arrestata dalle SS, che per di più le trovano addosso un libello che definisce Hitler un dittatore sanguinario. Viene accusata di alto tradimento. Nel carcere di Vienna, viL’ospedale di Vienna presso cui Suor Restituta svolgeva il servizio di infermiera. 06 MA-giu-2007-impag(6) 18-05-2007 ve un Calvario lungo più di un anno. Suor Restituta si prodiga ad aiutare i compagni di prigionia – le donne incinte, i condannati nel braccio della morte – con la sua fede invincibile, il suo coraggio, il suo buon umore. Verso la fine del marzo 1943, giunge da Berlino la condanna a morte, firmata da Bormann stesso, uno dei gerarchi del nazismo: Suor Restituta riesce a mandare il suo ultimo messaggio alle consorelle: “Per Gesù sono vissuta, per Gesù voglio morire”. Il 30 marzo 1943, Suor Elena Restituta Kafka viene decapitata a Vienna sotto la lama della ghigliottina. Prima di porgere la testa al boia, chiede al cappellano: “Padre, mi faccia sulla fronte il segno della Croce”. Papa Giovanni Paolo II l’ha beatificata nel 1998, come “martire del Crocifisso”. Il 21 giugno 1998, parlando di lei nella Heldenplatz (= la piazza degli eroi) di Vienna, 60 anni dopo la manifestazione tenuta da Hitler nello stesso luogo, il Papa disse: “Grazie, suor Restituta per la tua resistenza alla moda del momento”. Poi: “Tante cose possono essere tolte ai cristiani. Ma la Croce come segno di salvezza non ce la faremo togliere. Non permetteremo che la Croce venga esclusa dalla vita pubblica. Ascolteremo la voce della coscienza che dice: bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini” (Atti 5,29). “Cari giovani, piantate nella vostra vita la Croce di Cristo. È la Croce il vero albero della vita”. In questo nostro tempo in cui da molti, anche tra sedicenti credenti, si vorrebbe togliere il Crocifisso dalle case, dalle scuole, dai luoghi pubblici e persino dalle Chiese, questa umile figlia del popolo, con un’autorevolezza singolare, ci dice: “Non toccate il Crocifisso”. Paolo Risso Str. Lazzaretto, 5 - 14055 Costigliole d’Asti 42 10:29 Pagina 42 Vita e l i Meditazione T rovo stupendo quanto ha detto Papa Benedetto XVI nel suo discorso ai Movimenti ecclesiali, il 3 giugno dello scorso anno, specialmente a proposito di vita e libertà. Ne ripresento le parole esatte; pur con frequenti omissioni, perché risulti più evidente la linearità del suo pensiero. La grande domanda “Che cos’è la vita? La stragrande maggioranza degli uomini ha lo stesso concetto di vi- ta del figliol prodigo del Vangelo. Egli si era fatto liquidare la sua parte di patrimonio, e ora si sentiva libero, voleva finalmente vivere senza più il peso dei doveri di casa, voleva soltanto vivere, godersela pienamente... Alla fine si ritrovò custode di porci: vuota era diventata questa sua vita, così vana. E vana si rivelava anche la sua libertà”. “Non avviene forse anche oggi così? Quando della vita si vuole soltanto impadronire, facilmente si finisce per rifugiarsi nella droga, la grande illusione. No, in questo modo noi non troviaLa libertà è un dono che ci è dato da vivere con responsabilità. 06 MA-giu-2007-impag(6) 18-05-2007 10:29 Pagina 43 l ibertà mo la vita. La vita la si trova soltanto donandola. Più uno dà la sua vita per gli altri, più abbondantemente scorre il fiume della vita.” Gesù ha fatto così! E poi, “la vita sboccia nell’andare insieme col Pastore che conosce il pascolo dove scorrono le fonti della vita: il pascolo dove scorrono le fonti della vita è la Parola di Dio, come la troviamo nella Sacra Scrittura, nella fede della Chiesa. Dove non scorre più la vera fonte della vita, dove soltanto ci si appropria della vita invece di donarla, là è in pericolo anche la vita degli altri; là si è disposti ad escludere la vita inerme non ancora nata, perché sembra togliere spazio alla propria vita”. Nella nostra libertà possiamo indirizzare la nostra vita verso la sua piena realizzazione oppure verso il suo fallimento. La meta e la rotta sono nelle nostre mani. Liberi perché figli “Il tema della libertà è già stato accennato poco fa. Nella partenza del figliol prodigo si collegano appunto i temi della vita e della libertà. Egli vuole la vita, e per questo vuol essere totalmente libero. Essere libero significa, in questa visione, poter fare tutto quello che si vuole”. “Chi vive così, ben presto si scontrerà con l’altro che vuole vivere nella stessa maniera. La conseguenza necessaria di questo concetto egoistico di libertà è la violenza, la distruzione vicendevole della libertà e della vita”. “La Sacra Scrittura invece collega il concetto di libertà con quello di figliolanza: «E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto uno spirito da figli adottivi per mezzo del quale gridiamo: abbà, padre!» (Rom 8,15). Che cosa significa ciò? San Paolo presuppone il sistema sociale del mondo antico, nel quale esistevano gli schiavi, ai quali non apparteneva nulla e che perciò non potevano essere interessati ad un retto svolgimento delle cose. Corrispettivamente c’erano i figli, i quali erano anche eredi, e che per questo si preoccupavano della conservazione e della buona amministrazione della loro proprietà. Poiché erano liberi, avevano anche una responsabilità”. Liberi perché responsabili “Vale sempre il principio: libertà e responsabilità vanno in- sieme. Libero è il figlio, cui appartiene la casa e che perciò non permette che sia distrutta. Lo Spirito Santo ci rende figli e figlie di Dio. Egli ci coinvolge nella stessa responsabilità di Dio per il suo mondo, per l’umanità intera. Noi facciamo il bene non come schiavi che non sono liberi di fare diversamente, ma lo facciamo perché portiamo personalmente la responsabilità per l’intero, perché amiamo Dio e quindi le sue creature”. “Vogliamo imparare questa vera libertà, non quella degli schiavi che mira a tagliare per se stessi una fetta della torta di tutti, anche se poi questa manca all’altro. Noi desideriamo la libertà vera e grande, quella degli eredi di Dio, corresponsabili con Lui!”. Antonio Rudoni 43 06 MA-giu-2007-impag(6) 18-05-2007 10:30 Pagina 44 notizie notizie e avvenimenti A cura di Mario Scudu Venti secoli e Gesù fa ancora notizia turisti son di casa a Roma ma quelli che in questa cauta primavera invadono piazze, Istrade, vicoli hanno una meta non segnata nella Guida: la tomba di Giovanni Paolo II. La Domenica delle Palme, nella serpentina di giovani accaldati in attesa dell’autobus per San Pietro, spiccava una t-shirt. Bianca, stilizzava il (muto) grido di Gesù sulla Croce: occhi e bocca demoliti dallo strazio. Sul retro della maglietta, una mano. Spalancata a subire un chiodo che faceva spicciare gran sangue. Sotto quella mano, una scritta: «His Pain -Your Gain», la sua pena è la tua salvezza. T-shirt così le vedemmo durante la Giornata mondiale della Gioventù. Ricordo che il collega Catucci del manifesto chiese a dieci giovani (americani) perché andassero a trovare il Papa con quella t-shirt certamente pulp. «Perché? Ma perché dice la verità: col suo dolore Gesù ci salva». Allorché parlai di quella maglietta a Giovanni Paolo Il, dopo una breve pausa il Santo Padre disse che la testimonianza di fede è anch’essa un mistero. Come tale imprevedibile. Qualche volta il mistero sfiora il miracolo. Ma il miracolo non è soltanto la Ancora oggi, Giovanni Paolo II rimane per molti giovani un sicuro punto di riferimento. guarigione da un male che la scienza umana ha diagnosticato «inguaribile». Esistono anche miracoli minori, che ci sfuggono. E qui, senza presunzione ma solo per «dovere di cronaca», il Vecchio Cronista vuol riferire ai suoi cari lettori quanto, nei giorni esaltanti del Giubileo, mi raccontò un giovine amico sacerdote. Al Circo Massimo avevano piantato numerosi gabbiotticonfessionali: don Matteo fu avvicinato da un ragazzo. Dopo averlo fissato a lungo, in silenzio, quel ragazzo sgarbatamente parlò: «Prete», disse, «io non mi sono mai confessato e non è detto che lo faccia adesso, stamani. Ignoro le preghiere comandate e come fare a dirti che ho picchiato la mia ragazza, oppure che mi sono ubriacato in gruppo e tutto il resto. Non me ne frega niente di confessare a te, un estraneo, i miei problemi ma potrei provarci, prete, se tu mi spiegassi come ci si confessa». «Ti sei già confessato, avvicinati che ti assolvo, su, muoviti, non avere paura come dice il Papa. Non avere paura», disse il prete e il ragazzo cadde in ginocchio (in altri tempi si sarebbe gridato al miracolo). «Dio è il problema», diceva Prezzolini. E Gesù? Venti secoli dopo la sua morte e resurrezione, Gesù continua “a far notizia”. In verità, come rifletteva Papa Wojtyla, Cristo muore ogni giorno nel buio di noi: nella Mesopotamia chiamata Iraq, a Kabul, in Bosnia, a Mogadiscio, nella Palestina, nelle carceri, in autostrada. Ma ostinatamente risorge e «siede alla destra del Padre». Uno è il suo volto anche se Gesù muore e risorge in sembianze diverse: Salvo D’Acquisto, Padre Kolbe, don Pietro Pappalardo torturato a via Tasso e fucilato alle Ardeatine. Poteva salvarsi, don Pietro, ma rifiutò scegliendo di morire come gli altri. Anche Gesù poteva salvarsi e tuttavia rimase a Gerusalemme. Per morire crocefisso. Perché? «His Pain - Your Gain»: come ci dice la scritta pulp sulla t-shirt del pellegrino americano: la sua pena è la nostra salvezza. Igor Man, da Specchio, 2007 06 MA-giu-2007-impag(6) 18-05-2007 10:30 Pagina 45 I padri da multare e i bulli da sgonfiare on penso sia del tutto peregrina la N proposta che ci arriva dalla Germania nella quale si invita a multare i genitori con figli che combinano pasticci a scuola. Se un minorenne marina le lezioni, se fa il prepotente, se rubacchia e distrugge, dovrebbe pagare, in tutti i sensi, la famiglia. Sento già qualcuno bofonchiare mentre legge la notizia. Fate tutti i gestacci che volete, regalatemi titoli e insulti, ma ribadirò fino alla nausea che vanno snidati i genitori, soprattutto i padri, perché da decenni sono lontani da ogni impegno educativo all’interno del nucleo familiare. Non si possono lasciare solo e sempre alle mamme compiti nei quali anche i padri dovrebbero sentirsi seriamente coinvolti. Don Antonio Mazzi Il «buonismo cattolico» davanti all’integralismo del Corano ’autore riconosce e ringrazia la direzione LCorriere del settimanale diocesano di Aosta «Il della Valle d’Aosta» per avergli data la possibilità di collaborare con alcuni articoli. Non è però d’accordo riguardo la preferenza data a scritti inerenti altre confessioni religiose, soprattutto all’Islam. Un giornale cattolico dovrebbe in primo luogo aiutare i lettori, spiegare qual è la realtà oggettiva di una religione diversa dalla nostra. Per affrontare le tematiche del Corano bisogna avere il coraggio di vederle con gli occhi di un islamico, non con quelli del buonista cristiano. Il Corano, come asserisce il profeta, non può essere interpretato con un cuore diverso da quello arabo. Il Corano è «integralista». L’uomo non può modificare le sue parole, i suoi significati. Ebbene, la mia constatazione riguardo al commento alle sure del settimanale diocesano, è che questo è sviluppato da una mente non islamica. Manca cioè il coraggio di dire il REALE per timore di OFFENDERE i musulmani. Questa debolezza è anche la maggiore accusa che ci viene fatta dai VERI islamici. «Nei paesi dove l’islam è maggioritario Una giovane inneggia al Corano e a Maometto. sono vittime i credenti di altre religioni; in Arabia Saudita il culto cristiano è interdetto. Chi viene trovato con una Bibbia viene immediatamente incarcerato». Queste sono parole del Papa espresse l’11 gennaio 1999 al Corpo Diplomatico rappresentante 160 paesi riuniti in Vaticano. Il commento a questa affermazione è apparsa su «Civiltà Cattolica», il mensile edito dalla Compagnia di Gesù (numeri 3566, 3568 e 3570 del 1999). I musulmani nel mondo sono in continua espansione, hanno superato come numero i cattolici: sono oltre un miliardo e 200 milioni. La fertilità delle donne arabe è di circa 6 figli ciascuna, contro quelle occidentali che sono invece orientate verso la crescita zero... I musulmani NON rispettano i diritti di libertà di cambiare credo o religione. Per chi lascia la fede islamica è contemplata la pena di morte! Dove sta la reciprocità? Chi è veramente razzista? In Piemonte e in Valle d’Aosta sono in aumento i matrimoni misti. Sono però sempre i cattolici ad abiurare la loro fede cristiana. Una parte di colpa ce l’hanno alcuni giornali cattolici che diffondono «la bellezza dell’Islam; l’ecumenismo cristiano deve accogliere questa religione; bisogna essere buoni». Michel Barin C., da Missioni Consolata, 2006 45 06 MA-giu-2007-impag(6) 18-05-2007 12:02 Pagina 46 Santità educativa A cura del Gruppo di Filatelia Religiosa “Don Pietro Ceresa” Filatelia religiosa I missionari Saveriani I n occasione dei 500 anni dalla nascita di San Francesco Saverio (1506-1552) i Missionari Saveriani di Cantù hanno promosso, con la collaborazione del Circolo “Canturium” una mostra filatelica sull’Asia e in particolare sull’Indonesia, nella quale sono state esposte anche collezioni presentate dal nostro Gruppo “Don Ceresa”. Francesco de Jesu y Xavier è nato nella Navarra (Spagna) e si trasferisce alla Sorbona di Parigi per gli studi. Lì ha come compagni Pietro Favre e Ignazio di Lojola. Diventa sacerdote a Venezia nel 1537 e parte missionario verso l’Oriente nel 1541, a 35 anni. Dalla colonia portoghese di Goa, dove aveva approdato, per 10 anni visse in continuo movimento: dall’India, all’arcipelago delle Molucche, l’Indonesia, il Giappone, varie isole del Pacifico. Il suo sogno era la Cina, ma si fermò a 150 km da Canton, dove si ammalò e morì a 46 anni, dopo aver battezzato almeno 30.000 convertiti. Il sogno mancato di Saverio fu avverato dal beato mons. Conforti, vescovo di Parma, dove fondò i Missionari Saveriani, che spiccarono il volo per la Cina nel 1895. Francesco Saverio, canonizzato nel 1662, è stato dichiarato Patrono dell’Oriente e, con Santa Teresa del Bambino Gesù, patrono universale delle Missioni Cattoliche. Le Poste dell’Italia hanno emesso un bel francobollo commemorativo (unitamente a quello per Sant’Ignazio), mentre quelle del Vaticano hanno emesso una serie di tre francobolli per ricordare il “giubileo Ignaziano, Saveriano e Favriano”. “100 anni di vita per una speranza viva” Centenario salesiani in Ravenna A lla presenza delle massime autorità: Arcivescovo, Prefetto, Questore, Sindaco è stato ricordato l’arrivo a Ravenna dei primi salesiani nel lon46 tano 1907. Con la benedizione della statua all’ingresso dell’Opera e della pianta di ulivo nonché l’accensione del “Braciere del centenario” sono iniziati i festeggiamenti che dureranno tutto l’anno e coinvolgeranno tutta la Città. Una lunga serie di conferenze e tavole rotonde “i martedì di Sant’Apollinare”, tenute da esperti sul tema “La speranza educativa”, verranno proposte durante tutto l’anno, nei vari teatri cittadini, l’anno del centenario si chiuderà il 31 dicembre. Per l’occasione sono state edite due cartoline con un bel annullo postale commemorativo. 70º anniversario della Scuola San Giovanni Bosco di Ginosa D ue cartoline con disegni degli allievi della Scuo la Statale San Giovanni Bosco di Ginosa (Taranto) sono state prodotte ed utilizzate per l’annullo filatelico del prof. Petro D’Amelio, per ricordare il 70º anniversario della Scuola. Nata nel 1936, è stata la prima costruita nel Comune nel periodo fascista; la sua storia è confluita in un volume realizzato dagli alunni con il contributo degli insegnanti. In occasione dell’avvio dell’anno celebrativo si è svolta una lezione di filatelia tenuta dal presidente del Circolo Filatelico di Massafra. Angelo Siro 06 MA-giu-2007-impag(6) 18-05-2007 10:30 Pagina 47 Si sta completando l’ultimo lotto di lavori per il restauro della nostra Basilica. Le foto testimoniano l’avanzamento dei lavori e la loro urgente necessità. Foto galleria del restauro, sul sito www.donbosco-torino.it Per le tue offerte a favore del Santuario di Maria Ausiliatrice di Torino: 1) Con Bonifico bancario: Direzione Generale Opere Don Bosco - Basilica Maria Ausiliatrice Banca Popolare di Sondrio - Agenzia 2 - Roma - c/c n. 000008000/27 - ABI 05696 - CAB 03202 2) Con Conto Corrente Postale: Ccp n. 214106 Direzione Opere Don Bosco - Via Maria Ausiliatrice 32 - 10152 Torino Specificando nella causale: “Restauro Basilica” 47 06 MA-giu-2007-impag(6) 18-05-2007 13:28 Pagina 48 AVVISO PER IL PORTALETTERE In caso di MANCATO RECAPITO inviare a: TORINO CMP NORD per la restituzione al mittente - C.M.S. Via Maria Ausiliatrice, 32 - 10152 Torino il quale si impegna a pagare la relativa tassa. MENSILE - ANNO XXVIII - N° 6 - GIUGNO 2007 Abbonamento annuo: € 12,00 • Amico € 15,00 • Sostenitore € 20,00 • Europa € 13,00 • Extraeuropei € 17,00 • Un numero € 1,20 Spediz. in abbon. postale - Pubbl. inf. 45% SOMMARIO ➡ ➲ FOTO DI COPERTINA: Sacerdote vero ed eterno, egli istituì il rito del sacrificio perenne; a Te per primo si offrì vittima di salvezza, e comandò a noi di perpetuare l’offerta in sua memoria. Il suo corpo per noi immolato è nostro cibo e ci dà forza, il suo sangue per noi versato è la bevanda che ci redime da ogni colpa. (I Prefazio dell’Eucaristia) L’Ultima Cena, Philippe de Champaigne (1602-1674), Louvre, Parigi. Altre foto: Archivio Rivista - Archivio Dimensioni Nuove - Centro Documentazione Mariana - Redazione ADMA - Teofilo Molaro - Guerrino Pera - Andreas Lothar - Mario Notario - Valerio Bocci - Antonio Saglia. Direttore: Giuseppe Pelizza – Vice Direttore e Archivio Rivista: Mario Scudu Diffusione e amministrazione: Teofilo Molaro – Direttore responsabile: Sergio Giordani Registrazione al Tribunale di Torino n. 2954 del 21-4-1980 Stampa: Scuola Grafica Salesiana - Torino – Grafica e impaginazione: S.G.S.-TO - Giuseppe Ricci Corrispondenza: Rivista Maria Ausiliatrice, Via Maria Ausiliatrice 32 - 10152 Torino Telefoni: centralino 011.52.24.222 - rivista 011.52.24.203 - Fax 011.52.24.677 Abbonamento: ccp n. 21059100 intestato a Sant. M. Ausiliatrice, Via M. Ausiliatrice 32 - 10152 Torino E-mail: [email protected] - Sito Internet: www.donbosco-torino.it di una splendida ... - La pa2 L’eco P gina del Rettore - S Consacrati nell’amore 4 Editoriale - G P del pane della vita - Ge6 sùIl mistero racconta il Padre - M. G del Re 10 Preghiera XVI I Salmi - B politica senza Dio? 12 Una D B Incontri - M il pane necessario 14 Cristo V Vita liturgica - L Don Bosco e l’amorevolezza 17 Studio - V C di Lione 20 Sant’Ireneo S Un mese un Santo - M Musica Sacra 26 LaMusica C e Fede - F rinnova la Fam. Salesiana 29 Maria L’Adma nel mondo - S. V ERGIO IUSEPPE ELLINI ELIZZA ALIZZI ENEDETTO ARCO E ERNARDINIS ORENZO ITTORIO ILLAR ASTAGNA ARIO RANCO CUDU AREGLIO e pensieri 33 Esempi M S del Triveneto/17 - San34 Santuari tuari mariani/74 - C S La Madonna della Corona - Ca36 lendario mariano - M M antichi - Centro di Do38 Manoscritti cumentaz. Mariana - M M per il crocifisso 40 Martire Santi di ieri e di oggi - P R e libertà 42 Vita Meditazione - A R e avvenimenti 44 Notizie M S educativa 46 Santità Filatelia religiosa - A S Aiuta la Basilica di Don Bosco 47 Immagini del restauro ARIO CUDU RISTINA ARIO ICCARDI ORRA ARIO ORRA AOLO NTONIO ARIO ISSO UDONI CUDU NGELO IRO IOTTI ✃ Se non siete ancora abbonati a questa rivista e desiderate riceverla in saggio gratuito per tre mesi o se siete già abbonati e desiderate farla conoscere a qualche persona di vostra conoscenza, ritagliate questo tagliando e spedite in busta affrancata con € 0,60 al seguente indirizzo: Rivista Maria Ausiliatrice - Via Maria Ausiliatrice, 32 - 10152 Torino ❖ Favorite inviare in saggio gratuito per tre mesi la Rivista “Maria Ausiliatrice”, al seguente indirizzo: COGNOME E NOME __________________________________________________________________________________ VIA ___________________________________________________________________________ N. _____________ CAP ______________ CITTÀ ______________________________________________________ PROV. __________ Ringrazio. FIRMA _________________________________________________________________________ I dati forniti dal Cliente saranno inseriti negli archivi elettronici e cartacei della Rivista Maria Ausiliatrice e sono obbligatori per adempiere all’ordine. I dati non verranno diffusi né comunicati a terzi, salvo gli adempimenti di legge, e saranno utilizzati esclusivamente dalla rivista, anche per finalità di promozione della stessa. Il Cliente può esercitare i diritti di cui all’art. 7 D. Lgs 196/03 “Codice della Privacy” rivolgendosi al titolare del trattamento: Rivista Maria Ausiliatrice, con sede in Torino, Via Maria Ausiliatrice, 32 - 10152. Al medesimo soggetto vanno proposti gli eventuali reclami ai sensi del D. Lgs. 185/99.