VO n∞ 04 aprile 2013_Aprile 2013

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VITAOSPEDALIERA
Rivista mensile dei Fatebenefratelli della Provincia Romana
POSTE ITALIANE S.p.A. - SPED. IN ABBONAMENTO POSTALE - D.L. 353/2003 (Conv. in L. 27/02/2004 N° 46) Art. 1, Comma 2 - DCB ROMA
ANNO LXVIII - N° 04
APRILE 2013
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La gioia dei Fatebenefratelli
per la nomina di un Papa che
predilige i bisognosi e i malati
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EDITORIALE
S O M M A R I O
RUBRICHE
4
...ed è subito sera
5
Problemi etici della ricerca
sulle cellule staminali
6
Il saccheggio/2
7
La leadership invisibile
8
Prevenzione e gestione della
mucosite da chemio nei bambini
9
Le metastasi ossee da carcinoma:
un problema di rilievo da risolvere
10
Dal contrasto tra medici e giuristi,
il termine dottore indicherà
per antonomasia “il medico”
XXXI – Deontologia e nascita della
“Condotta medica” nel Basso Medioevo
11
Schegge Giandidiane N. 37c
Fra Eldy L. de Castro, nostro primo Diacono
15
Una medaglia d’oro
per fra Benedetto Vernò
16
Chi crede in Gesù Cristo
ha la vita eterna!
17
Le Ematurie
18
Presentazione progetto:
“Sulla strada di Cricchio”
DALLE NOSTRE CASE
19
Centro direzionale
Novità nella gestione logistica dei farmaci
e dei presidi nel magazzino/farmacia
20
Ospedale Sacro Cuore
di Gesù - Benevento
Festa di san Giovanni di Dio
21
Ospedale Buon Consiglio - Napoli
Festività di san Giovanni di Dio
L’Équipe urologica del Buon Consiglio
al congresso nazionale di Endourologia
22
Ospedale Buccheri La Ferla - Palermo
Progetto Aida, una delegazione
Italo-tunisina visita l’ospedale
La Via Crucis vivente nei viali dell’ospedale
23
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VITA OSPEDALIERA
Rivista mensile dei Fatebenefratelli della Provincia Romana
ANNO LXVII
Sped.abb.postale Gr. III-70%- Reg.Trib. Roma: n. 537/2000 del 13/12/2000
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Di Camillo
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Finito di stampare: aprile 2013
In copertina: In Piazza san Pietro la mattina del 19
marzo c’erano 200 disabili: il Papa, appena vistone
uno, è sceso di macchina per andarlo a baciare.
FRANCESCO, NOSTRO PAPA
PERCHÉ VESCOVO DI ROMA
C
i siamo rallegrati tutti quando la sera del 13 marzo, dopo appena cinque votazioni, i Cardinali ci hanno donato il nuovo Papa. Forse noi italiani un po’ di più,
perché figlio d’emigranti italiani e perché è stato il primo a prendere il nome di
Francesco, che noi italiani amiamo definire campanilisticamente “il più italiano dei
Santi”. Ma noi romani ancora un po’ di più, perché fin dalle sue prime parole dalla
Loggia centrale della Basilica di san Pietro egli ha voluto porre l’accento sul suo legame prioritario con la città di Roma.
Vi confido che nel pomeriggio del 13 marzo, mentre seguivo in diretta l’incontro del
direttore della Sala Stampa della Santa Sede, p. Federico Lombardi, con i giornalisti
di tutto il mondo, m’era assai piaciuta la risposta a un giornalista messicano che gli faceva notare come su un miliardo e duecento milioni di cattolici sparsi in tutto il mondo, ben il 49,4% vive nel continente Americano, rappresentato però nel Conclave da
una minuscola pattuglia di porporati; la risposta era stata che la Chiesa in questi ultimi tempi ha ampliato sempre più la composizione etnica del Collegio Cardinalizio, non
però in base al numero dei fedeli, ma in base al principio di veder rappresentate quante più nazioni possibili, non importa se con pochi fedeli. Ottima risposta, ma mi sono
rammaricato che non avesse aggiunto che il Papa è tale in quanto è vescovo di Roma.
All’inizio fu perciò il popolo romano ad eleggere il Papa e se poi si restrinse il voto ai
cardinali, significatamente si volle però legarli a Roma col dare a ognuno di loro la titolarità di una delle parrocchie romane. Non per nulla il primo atto pubblico del nuovo Papa è l’affacciarsi dalla Loggia per salutare in piazza i romani, che col loro applauso annuiscono alla sua nomina.
Ogni mio rammarico è però svanito quando, poche ore dopo, il Papa nel suo primo
indirizzo di saluto dalla Loggia ha dato ripetuto risalto al suo sentirsi vescovo di Roma: “Voi sapete che il dovere del Conclave era di dare un vescovo a Roma. Sembra
che i miei fratelli cardinali sono andati a prenderlo quasi alla fine del mondo, ma siamo qui. Vi ringrazio dell’accoglienza. La comunità diocesana di Roma ha il suo vescovo: grazie! E prima di tutto, vorrei fare una preghiera per il nostro vescovo emerito, Benedetto XVI. Preghiamo tutti insieme per lui, perché il Signore lo benedica e la
Madonna lo custodisca”. Notare che egli ha nominato Benedetto XVI non come Papa emerito, ma come “nostro vescovo emerito”, parlando cioè come vescovo romano
in sintonia con i romani che erano in piazza. Naturalmente, il mondo intero è presente al suo cuore, però il punto di partenza siamo noi romani, come ben risalta da queste
sue frasi successive, con un’innovativa richiesta finale, davvero toccante perché svela
quanto lui si senta pastoralmente legato al gregge romano: “E adesso, incominciamo
questo cammino: vescovo e popolo. Questo cammino della Chiesa di Roma che è quella che presiede nella carità tutte le Chiese. Un cammino di fratellanza, di amore, di fiducia tra noi. Preghiamo sempre per noi: l’uno per l’altro. Preghiamo per tutto il mondo, perché ci sia una grande fratellanza. Vi auguro che questo cammino di Chiesa, che
oggi incominciamo e nel quale mi aiuterà il mio cardinale vicario, qui presente, sia
fruttuoso per l’evangelizzazione di questa città tanto bella! E adesso vorrei dare la benedizione, ma prima vi chiedo un favore: prima che il vescovo benedica il popolo, vi
chiedo che voi preghiate il Signore perché mi benedica: la preghiera del popolo che
chiede la benedizione per il suo vescovo”.
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CHIESA E SALUTE
...ED È SUBITO SERA
Fra Elia Tripaldi sac. o.h.
F
in dai tempi remoti l’uomo ha avvertito la paura di invecchiare per
i cambiamenti fisici che si manifestano accompagnati da un progressivo decadimento dell’organismo, sia anche per una serie di disturbi e di malattie legati all’età. Questa è una fase della vita in cui bisogna anche confrontarsi con una serie di perdite: perdita della
salute, del ruolo sociale, dell’autonomia, della casa, del coniuge, ... La vecchiaia consiste in quella che noi chiamiamo la “terza età” con diverse e particolari esigenze di vita, fisiche, psicologiche e spirituali.
“L’anzianità” – ha sottolineato l’emerito Benedetto XVI – “costituisce l’ultima tappa del nostro pellegrinaggio terreno, che ha fasi distinte, ognuna con
proprie luci e proprie ombre”1. Le luci e
le ombre, cui si riferisce l’emerito Pontefice, sono costituite da tutti quegli interrogativi presenti in questa ultima tappa dell’esistenza: che senso ha la vita, la
malattia, la lotta per difenderla, il coraggio, la pazienza, le cure palliative, l’eutanasia... “Con queste domande – continua l’emerito Pontefice – “deve misurarsi chi è chiamato ad accompagnare gli
anziani ammalati, specialmente quando
sembrano non avere più possibilità di
guarigione”2.
Salvatore Quasimodo, poeta italiano
del secolo scorso, premio Nobel per la
letteratura, con poche magistrali pennellate descrive la vita dell’uomo che si
sente al centro del mondo, eppure è solo con se stesso, individuo:
“Ognuno sta solo sul cuor della terra
trafitto da un raggio di sole:
ed é subito sera”.
Egli vede la luce, ne è trafitto come
una freccia che penetra il cuore, come
4
un’illusione, giacché questo raggio di
sole è brevissimo: subito viene la notte
e finisce tutto nella vita dell’uomo. È
una delle tante riflessioni sull’uomo
d’oggi e di ieri, sul senso dell’esistenza
così breve e fugace, anche se la vita si è
prolungata, ma non sempre gli si è prolungata la gioia di vivere. Questo concetto ci richiama uno dei personaggi dei
libri sapienziali della Bibbia, Giobbe,
che nella sua sofferenza sente anche il
silenzio di Dio come una tappa verso
una rivelazione più piena della sua presenza e una conoscenza più completa
dell’uomo. Egli riflette che “Homo natus de muliere, brevi vivens tempore, repletur multis miseriis”, “L’uomo, nato
da donna, ha vita breve e piena d’inquietudine” (14,1). La brevità è una delle caratteristiche della vita umana a cui
Dio ha imposto un limite invalicabile.
Ma il racconto di Giobbe termina precisando che “Giobbe morì, vecchio e sazio di giorni” (42,17), ossia ebbe una
lunga vita come segno della benedizione di Dio.
Peraltro è sottolineare che oggi la nota sentenza dello scrittore latino Publio
Terenzio: “Senectus ipsa est morbus”,
“La vecchiaia è per se stessa una malattia”, non sempre corrisponde a realtà, non sempre gli anziani sono necessariamente malati dal momento che
molti di essi vanno ancora stimati e valorizzati per la loro vivacità, esperienza
e sapienza in una società sempre più anziana. Essi sono capaci di essere ancora attivi e collaborativi nell’ambiente in
cui si è svolta la propria esistenza: la famiglia, la comunità ecclesiale e civile.
Il divertimento può essere sostituito
dall’amicizia, dalla preghiera, dalla meditazione e dallo sviluppo della loro spiritualità. Il verbo “invecchiare” in latino si traduce con senescere . Se spezziamo il tempo presente senescit con se
nescit, ossia che ci si invecchia senza
imparare a conoscerci, ciò non è saggio
ed è segno di ignoranza.
“La persona anziana non deve essere
considerata prima di tutto, oggetto di
cura e di attenzione pastorale caritativa,
quanto piuttosto un soggetto e un protagonista potenziale dell’azione pastorale”3 e chiedersi quanto ancora Dio
vuole dall’anziano dopo quanto ha già
realizzato nella sua vita: “Insegnaci[Signore]a contare i nostri giorni e acquisteremo un cuore saggio” (Sal 90,12).
La vera sapienza dell’uomo e dell’anziano in particolare consiste nel mettere al giusto posto l’onnipotenza di Dio
e la capacità di amare e di essere amato, e non solo commiserato e compatito. La vecchiaia è il momento culminante della vita umana perché – come
ricorda il Salmo - “nella vecchiaia daranno ancora frutti” (92,15) e saranno
in grado di proclamare la bontà e la rettitudine di Dio alla gioventù spesso distratta e spensierata.
_________________
Dolentium Hominum, n. 67, 2008, p. 7
Idem, p.7
3
PETRINI M., Anziano, in “Dizionario di Teologia Pastorale” Camilliane
1997, p. 83
1
2
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BIOETICA
PROBLEMI ETICI DELLA RICERCA
SULLE CELLULE STAMINALI
Raffaele Sinno
L
’attuale dibattito giuridico circa
l’impiego di cellule staminali in
pazienti pediatrici, con malattie
rare, ha riavviato una discussione mai
sopita sul loro valido uso scientifico e i
rispettivi dilemmi etici. È noto che il
confronto bioetico si è soffermato a lungo sulla questione della liceità, o meno,
della produzione di embrioni con lo
scopo di utilizzare cellule staminali in
diverse applicazioni biotecnologiche.
Per cellule staminali si devono intendere delle unità biologiche indifferenziate
che possono replicarsi, e dare origine
sia a una nuova cellula staminale, oppure essere capaci di differenziarsi in
differenti linee cellulari, da quelle cerebrali, cardiache o epidermiche. Dopo la
fecondazione dell’ovocellula da parte
dello spermatozoo, avviene un processo di specializzazione biologica, tale da
generare cellule che sono in grado di
svolgere specifiche funzioni e non altre.
Fino allo stadio della morula, ovvero
una struttura di circa otto blastomeri,
tutte le cellule sono totipotenti, nel senso che se vengono separate possono,
ognuna di esse, dare origine a un individuo geneticamente identico. Dalla
morula, vale a dire a sedici blastomeri,
le cellule perdono progressivamente la
loro totipotenza, e diventano pluripotenti, ossia capaci di dare origine a diverse linee cellulari, ma non a tutte. In
seguito quando si formeranno i tre foglietti embrionali (endoderma, mesoderma, ectoderma), le cellule staminali
diverranno multipotenti, cioè formeranno esclusivamente cellule di quello
specifico foglietto embrionale. Questa
suddivisione in totipotenti, pluripotenti
e multipotenti è di fondamentale importanza per comprendere il concetto
che esse possono essere prelevate dall’embrione, direttamente da feti soprannumerari prodotti con le tecniche di fecondazione in vitro, oppure dal sangue
del cordone ombelicale o direttamente
dall’adulto.
Questa riflessione non si prefigge lo
scopo di riconfermare la validità scientifica e clinica del prelievo delle cellule
staminali adulte o di quelle del cordone
ombelicale, al contrario si prefigge di
far emergere gli aspetti negativi sociali
del metodo Stamina. Si tratta di una tecnica sperimentata e messa in atto dal
prof Davide Vannoni1, che prevede l’infusione di cellule staminali mesenchimali. Tale pratica consiste nel prelievo
di una striscia di alcuni millimetri di osso dal donatore, con successivo isolamento delle cellule staminali, le quali in
seguito possono essere infuse per via
endovenosa, oppure iniettate direttamente nel rachide lombare. Questa metodica, non convalidata scientificamente, è stata utilizzata su settanta pazienti,
con la possibilità dell’uso compassionevole, e ha ripresentato gli stessi dubbi del noto caso della terapia Di Bella.
In questi giorni, non senza accese polemiche, sono riprese le infusioni a Sofia
una bambina di tre anni affetta da leucodistrofia metacromatica, una grave
malattia neurodegenerativa. L’autoriz-
zazione è stata concessa dal ministro
della salute Renato Balduzzi, previo
consenso informato e autorizzazione
del comitato bioetico degli Ospedali Civili di Brescia, e ha posto una fondamentale questione etica: è lecito che una
terapia, non conforme alle regole della
sperimentazione, possa essere negata,
qualora vi sia una forte domanda da parte dei cittadini coinvolti? In quale modo è possibile disciplinare il rapporto tra
richieste individuali e la difesa della salute collettiva? Una prima riflessione
etica concerne il rapporto tra ricerca
scientifica e norma biogiuridica, entro i
limiti del principio di beneficialità e di
giustizia. È opportuno chiarire un punto irrinunciabile: ogni procedura terapeutica deve necessariamente essere
sempre sottoposta a una sua validazione internazionale, per evitarne una delegittimazione scientifica, e ottenere il
contrario di ciò che ci si prefigge. Un
secondo aspetto concerne l’uso del
principio di precauzione nelle applicazioni sociali di una scoperta scientifica.
In effetti, non è opportuno accettare tutto ciò che l’opinione pubblica attende
dalla tecnoscienza, poiché spesso il sensazionalismo operativo cela intenti non
propriamente benefici. Un ulteriore
punto di discussione riguarda la richiesta sollevata da diversi ricercatori di conoscere i dati della ricerca di questo metodo. Non è consentito, in nessun modo
e per nessuna ragione, trincerarsi in una
presunta unicità delle procedure, sottacendo o manipolando i risultati. In definitiva le terapie con le cellule staminali rappresenteranno il futuro della
biomedicina, ciò nonostante esse: ”Dovranno essere condotte su di una solida
base scientifica e validate secondo i
parametri della ricerca medica internazionale”2.
_________________
Davide Vannoni non è un medico. Insegna Psicologia della comunicazione
nell’Università di Udine
2
Lettera aperta contro la decisione di
proseguire la somministrazione di cellule staminali con il metodo Stamina cit.
in “Repubblica”, 15.03.2013, p.28
1
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SOLIDARIETÀ TRA I POPOLI
IL SACCHEGGIO/2
Simone Bocchetta
S
econdo gli autori del volume che
già abbiamo iniziato ad analizzare
(Ugo Mattei e Laura Nader, Il saccheggio. Regime di legalità e trasformazioni globali, Bruno Mondadori, Milano-Torino 2010), la de-politicizzazione
del diritto, trasformato in “tecnologia
universale” implementabile da specifici
addetti, in particolare i grandi studi legali “usati” dalle corporation come agenzie
di sviluppo in base a una concezione imperiale del diritto internazionale, promuove un ulteriore strabismo nel rapporto con gli Stati extraoccidentali (cfr Medio Oriente islamico e Cina): «Questi sono oggetto di un’interessata e caricaturale “valutazione”, non lontana, a esempio,
dalla lettura che Max Weber dava del qadi (il giudice islamico) che si affiderebbe
a giudizi informali nell’amministrazione
della giustizia. Il risultato è una forma di
“orientalismo giuridico”, a cui tuttavia
occorre sottrarre una prospettiva di relativismo assoluto. Gli altri assetti sociali
risulterebbero dunque privi di un vero sistema giuridico, bisognosi di un intervento di civilizzazione, che dovrebbe
concretizzarsi nell’esportazione (legittimando guerre, genocidi, saccheggi… di
cui Afghanistan e Iraq sono solo l’ultimo
esempio) del modello giuridico e politico occidentale, dimenticando, tra l’altro,
che ogni formazione sociale ha una sua
specificità storica (e non storicistica),
presentandosi come un “tutto strutturato”
da cui non è lecito tagliare delle parti (ritenute inefficienti o anti-moderne secondo la suddetta scala valoriale) e sperare di
innestarne delle nuove senza generare
conflitti incontrollabili»1.
L’intento degli autori consiste dunque
nel decostruire il rapporto alienato tra
regime di legalità e democrazia – concatenando il primo con il dominio politico perpetrato dall’Occidente –, e nel
6
far emergere la parzialità del rule of law
egemone (equivalente all’ordine unipolare incentrato sugli Usa), la funzione legittimante che ha svolto, e tutt’ora ricopre, nel determinare il saccheggio dalla
fase coloniale a quella post-coloniale. In
effetti la decolonizzazione non ha modificato i rapporti asimmetrici tra “centro”
e “periferia”: il prestigio di cui gode il
sistema giuridico euro-americano, imitato e introdotto consensualmente dai
paesi “recettori” e, soprattutto, le politiche “condizionali” di aggiustamento
strutturale, beffardamente ribattezzate
di “sviluppo partecipato”, cioè la richiesta di apertura unilaterale dei loro territori al mercato e il contestuale ridimensionamento di un ruolo attivo dello Stato in ambito economico, sono i principali dispositivi che rendono nominale
la condizione post-coloniale e “vuota”
la sovranità che vi si esercita: «Nella
struttura di un sistema neocoloniale il
miraggio dell’efficienza e un’apparenza
di regime di legalità sono i fattori che oggi legittimano il saccheggio, ruolo svolto precedentemente dalle navi da guerra
e da un sistema giuridico apertamente
discriminatorio» (p. 33).
La duplicità e contraddittorietà del rule
of law rimane, comunque, come un dato strutturale: capace di produrre contropoteri a cui i “colonizzatori” rispondono con un’attenuazione del ricorso in
contraddittorio attraverso dispositivi come l’Alternative dispute resolution
(Adr) e l’appello alla costruzione di una
società più armoniosa. In particolare, secondo gli autori, nella successione dal
colonialismo europeo all’affermazione
dell’egemonia americana sono state
prodotte strategie di dominio diversificate e complesse con finalità precise:
dalla dottrina Monroe che ha sottomesso l’America Latina agli Usa (sino a pro-
durre il sostegno diretto alle dittature fasciste), all’azione del movimento law
and development che ha alimentato il
“bisogno” di un regime di legalità da
esportare – enfatizzando la diffusione e
specializzazione di professionisti del diritto intesi come ingegneri sociali operanti in un sistema, quello americano,
decentralizzato e organizzato per proteggere i diritti di proprietà –, il risultato si è sempre condensato principalmente in pratiche di saccheggio corrispondenti all’apertura di mercati e alla
produzione di profitti per le grandi corporation. Un ruolo fondamentale è stato
giocato dall’identificazione di economia (capitalistica) e diritto liberale tramite la nozione (pseudo) oggettiva di efficienza che li congiungerebbe.
È evidente, ammettono Mattei e Nader,
che senza una discontinuità culturale e
politica diffusa e strutturata non si potrà
porre fine al “saccheggio”, né vi è possibilità di successo senza riconsiderare
criticamente il fantasmagorico “regno
dell’individuo”, accecato, nelle esigue
porzioni di mondo “privilegiate”, dall’insostenibile circolo consumistico, in
fuga dall’alterità e dalle condizioni “naturali” della sua esistenza. In tal senso
una rilettura di Spinoza nella misura in
cui nell’Ethica ha pensato una “strategia
di affermazione amorosa della moltitudine” asserendo che “la soggettività è
data nella misura in cui si scopre funzione di una rete complessa di legami
che ci fa vivere nell’ottica dell’interdipendenza, nella consapevolezza del limite e nella potenzialità di un’esistenza
condivisa” (Di Benedetto 2009), equivale alla riscoperta di una “risorsa occidentale” oltremodo rimossa, la cui
potenza ci pare che sia ancora tutta da
dispiegare2.
_________________
GIROMETTI A., recensione sulla rivista
on line «Storia e futuro. Rivista di storia e storiografia», n. 23, giugno 2010:
http://www.storiaefuturo.com/it/numer
o_23/scaffale/4_milano-torino_bruno—mondatori_-2010~1352.html
2
Cfr ibid., passim
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LEADERSHIP SOLIDALE
LA LEADERSHIP INVISIBILE
Luigi Rugiero
L
’invisibilità non ha goduto in
passato di buona fama. Nella
mitologia classica era una prerogativa discrezionale degli dei, che se
ne avvalevano per fini non sempre lodevoli.
Nel secolo XIX Griffin, l’uomo invisibile protagonista dell’opera di
H.G. Wells, ci trasmette le tappe di un
doloroso percorso comportamentale:
sfiducia nella società, solitudine, delirio di onnipotenza. Griffin potrebbe
rappresentare secondo Wells l’archetipo di un leader problematico, se invisibile nell’esercizio di un potere eccessivo.
Oggi in effetti – giacché se ne vedono i risultati ma non i responsabili –
esistono situazioni nelle quali la leadership reale è invisibile, ma non assente, all’interno e all’esterno dell’organizzazione di riferimento. Peraltro,
quando agisce entro limiti legittimi e
senza fini manipolatori, la leadership
invisibile può rispondere talvolta a
esigenze-motivazioni reali del tipo:
gole aree (Fig.1):
A) Area della motivazione soggettiva e della modalità nascosta, caratterizzata da elementi di natura
psicologica;
scono la visibilità, ovvero “mascherata”, perché mimetizzata con
rappresentazione di alterità);
■ trasparente (perché dotata di
comportamenti impliciti ed espliciti che si lasciano attraversare dall’osservazione di terzi senza incidere sulla loro percezione di leading, come esemplificato nel quarto stadio della leadership situazionale, quello della delega, con il leader trasparente ma non assente).
In ciascun tipo e modalità ognuno
può liberamente identificare punti di
forza e debolezza specifici e distintivi
della leadership invisibile, che offrono spunti di riflessione sia sulle sin-
B) Area della motivazione soggettiva e della modalità trasparente,
caratterizzata da elementi di natura culturale;
C) Area della motivazione oggettiva e della modalità trasparente, caratterizzata da elementi di natura
funzionale;
D) Area della motivazione oggettiva e della modalità nascosta, caratterizzata da elementi di natura ambientale;
sia sulle aree miste, determinate dalla sovrapposizione e combinazione sinergica di motivazioni e modalità diverse, dove l’uso della grafica (bianco,
punteggiato, tratteggiato, nero) evidenzia livelli crescenti di invisibilità.
■ soggettivo (per modestia, fastidio e rifiuto verso gli aspetti espliciti-formali dello status pubblico
di leader e della responsabilità connessa);
■ oggettivo (per aspetti organizzativi che suggeriscono l’affidamento della leadership visibile a ruoli
meglio posizionati, esercitando in
modo consulenziale e ufficioso la
“leadership alterius”);
e realizzarsi in modalità-condizione:
■ nascosta (“rizomatosa”, perché
coperta da barriere che ne impedi-
Fig. 1 - Motivazione e Modalità come fattori di “Aree di invisibilità”
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SANITÀ
PREVENZIONE E GESTIONE
DELLA MUCOSITE DA CHEMIO
NEI BAMBINI
Mariangela Roccu
N
onostante, in età infantile, il
trattamento delle patologie
neoplastiche sia divenuto altamente efficace, con tassi di sopravvivenza superiori al 70% [Gatta set al.,
2002], rimane, purtroppo, associato a
vari effetti secondari, tra i quali le complicanze orali che avvengono durante e
dopo il trattamento antineoplastico; sono comuni e causano dolore e difficoltà alla deglutizione e fonazione, riducendo la capacità di alimentazione del
soggetto sì da ridurre in maniera considerevole la qualità di vita.
Le problematiche più frequenti sono
mucositi, cambiamenti del gusto, xerostomia, infezioni opportunistiche, dolore e sanguinamento.
La cavità orale, infatti, funge da reservoir di una serie di microorganismi che,
nel caso di un’immunosoppressione
causata da linfomi o da trattamenti chemioterapici, permette lo sviluppo di infezioni opportuniste (Marrone t al.,
2000; Graber et al., 2001; Lark et al.,
2001).
Il processo etiopatogenetico delle mucositi è multifattoriale, correlato al
cambiamento dell’ecologia della flora
microbica, al mutamento della proliferazione in vari tipi cellulari, alla risposta immunitaria. La natura e il grado di
severità delle mucositi in un determinato paziente, varia a seconda del regime
di terapia applicato (combinazione di
radio e chemioterapia, dosaggio, durata
e sequenza).
Alcune caratteristiche del soggetto come l’età, il sesso, lo stato nutrizionale,
l’igiene orale, la produzione di saliva, il
corredo genetico, possono influenzare
l’esordio e la gravità della mucosite. Si
è visto che nei bambini il rischio di svi-
8
luppare mucosite è più alto rispetto agli
adulti.
Una revisione sistematica Cochrane
pubblicata nell’aprile 2006, si è posta lo
scopo di valutare l’efficacia di alcuni
metodi come a esempio gli sciacqui con
benzidamina (Tantum), l’adozione di
protocolli per l’igiene orale o l’uso di
fosfato di calcio, miele, povidone, zinco solfato e pezzetti di ghiaccio da tenere in bocca.
Per misurare il grado di stomatite, negli studi sono stati presi in considerazione alcune variabili cliniche: cambiamento visibile dello stato della mucosa
orale, dolore, incapacità ad assumere cibi solidi. Per la valutazione sono state
usate delle scale da 0 (normale) a 4 (grave) secondo le indicazioni dell’OMS.
Gli autori, dopo aver esaminato tutti
gli studi sull’argomento e scartato i meno attendibili, hanno concluso che sono
sufficientemente fondati solo quelli che
riguardano 4 metodi: 3 di essi (aminofosfine, antibiotici e enzimi idrolitici,
per le loro proprietà analgesiche e antinfiammatorie); un metodo riguarda i
piccoli pazienti a cui viene somministrato il 5-fluorouracile e consiste nel
far tenere dei pezzetti di ghiaccio in
bocca durante la somministrazione in
bolo del farmaco. Il razionale su cui
questo intervento si basa è che la vasocostrizione locale rallenterebbe la diffusione del farmaco alle cellule della
mucosa orale, riducendo il suo effetto
citotossico locale. Sulla base di questa
revisione sistematica si può dunque affermare che far succhiare ai pazienti dei
pezzetti di ghiaccio durante la somministrazione di terapia antiblastica con 5fluoracile è efficace nel ridurre il rischio
di stomatite. Questo metodo si applica
solo in casi di somministrazione in bo-
lo del farmaco (circa 30 minuti) e non
in caso di somministrazione che richiede un lasso di tempo prolungato.
La maggior parte degli interventi proposti sia per la prevenzione, sia per il
trattamento sono stati studiati solo su
pochi casi, non ci sono interventi per i
quali l’efficacia è stata dimostrata in
modo definitivo.
È importante saper individuare e valutare i pazienti a rischio di mucosite e
sviluppare strategie educative per i diversi bisogni del paziente, educando il
personale sanitario, i genitori, i bambini quando in grado di comprendere, sull’importanza di una visita odontoiatrica
prima dell’inizio della terapia e sul
mantenimento di un buon livello di igiene orale e alimentare attraverso un equilibrato apporto di liquidi, proteine e vitamine, con cibi tiepidi e morbidi.
Il miglioramento della qualità delle
cure va inteso, pertanto, come la garanzia del massimo grado delle possibilità
di guarigione, riducendo al minimo gli
effetti collaterali, anche a distanza (“late effects”), proprio nell’ottica di preservare una crescita per quanto possibile “normale” all’individuo in età evolutiva che si ammala di tumore.
Il concetto di “Qualità della Vita” presente e futura dei pazienti e della loro
famiglia, proposto dall’OMS, insiste
sugli aspetti di soggettività e multi-dimensionalità del benessere della persona e si declina negli attuali processi di
“cure” e “care”, considerandone gli ambiti bio-psico-sociali e assistenziali.
· VO n° 04 aprile 2013_Aprile 2013 03/04/13 10.22 Pagina 9
LE METASTASI OSSEE
DA CARCINOMA: UN PROBLEMA
DI RILIEVO DA RISOLVERE
Resezioni in blocco dell’area metastatica più osteosintesi rinforzata con
cemento (fig.2), protesi modulari da
Antonio Piscopo
L
o scheletro è la terza sede più
frequente di metastasi da carcinoma dopo polmone e fegato. I
tumori primitivi della prostata, mammella, rene, polmone e tiroide, in ordine di incidenza, sono le neoplasie che
più frequentemente metastatizzano lo
scheletro.
Dati epidemiologici americani (American Cancer Society) dimostrano che su
1,4 milioni di nuovi casi di carcinoma all’anno, circa la metà riguarda tumori con
spiccata tendenza a dare metastasi ossee.
Tutti questi dati stanno a dimostrare
che la dizione di “metastasi ossee da
carcinoma“ cela un capitolo di primaria
importanza in chirurgia ortopedica, sia
per il numero di pazienti, sia per le difficoltà tecniche e gestionali.
La gestione chirurgica del paziente affetto da metastasi dello scheletro è tecnicamente complessa e multidisciplinare; in essa vanno presi in considerazione svariati fattori come età, sede della
metastasi e aspettativa di vita; è multidisciplinare perché coinvolge numerose figure professionali come l’oncologo, il radiologo, l’anestesista, l’ortopedico, il neurochirurgo, il radioterapista.
Gli obbiettivi principali del trattamento sono:
• la prevenzione delle fratture patologiche delle ossa lunghe;
• il trattamento delle fratture patologiche;
• la prevenzione e la cura della compressione midollare;
• il controllo del dolore;
• una qualità di vita il più possibile
adeguata.
In altri termini, gli obbiettivi del trattamento sono quelli di offrire al paziente una cura individuale adeguata evitando interventi insufficienti o eccessivamente aggressivi.
Trattamenti di tipo palliativi vengono
riservati a pazienti con aspettative di vita limitata, al contrario, trattamenti più
aggressivi e adatti a durare nel tempo,
vengono riservati a pazienti con buona
prognosi.
L’osteosintesi di stabilizzazione delle
ossa lunghe è uno dei più classici esempi di trattamento di tipo palliativo, trova indicazione sia in caso di fratture patologiche sia in caso di “impending
fractures” degli arti (fig.1).
Fig. 1: impending fracture da k mammario trattata
con osteosintesi endomidollare
Fig. 2: lesione ripetitiva da K renale
trattata con resezione in blocco
+ osteosintesi rinforzata con cemento
grande resezione o impianti compositi
(fig.3) sono alcune delle tipologie di
trattamento riservati a pazienti con miglior prognosi.
Il trattamento chirurgico delle metastasi ossee da carcinoma, oggi rappresenta un problema sanitario e sociale di
rilievo per la collettività in considerazione del numero di pazienti e della
complessità dei trattamenti.
È grazie a tecniche chirurgiche sempre
più raffinate che un numero crescente di
pazienti vengono arruolati, tutto ciò
crea notevoli problemi di ingorgo alle
già affollate Unità Operative di Ortopedia e Traumatologia, senza calcolare la
inevitabile ricaduta sui costi di gestione
in un momento particolarmente difficile per la sanità pubblica. Ritengo che in
un futuro la chirurgia ortopedica oncologica debba assumere sempre più una
autonomia a se stante.
Fig. 3: estesa lesione ripetitiva da K mammario trattata con resezione in
blocco e impianto protesico da grande resezione
9
· VO n° 04 aprile 2013_Aprile 2013 03/04/13 10.22 Pagina 10
IL CAMMINO DELLA MEDICINA
DAL CONTRASTO TRA MEDICI
E GIURISTI, IL TERMINE
DOTTORE INDICHERÀ PER
ANTONOMASIA “IL MEDICO ”
XXXI – Deontologia e nascita della “Condotta medica”
nel Basso Medioevo
Fabio Liguori
L
a Scuola Medica Salernitana
non aveva avuto un vero carattere universitario, e le università che nel Medioevo progressivamente
sorgono in Europa sono inizialmente
dominate da giuristi.
Tra i fondatori dell’università di Bologna (1080), il Magister giurista Irnerio
(vissuto tra il 1050 e il 1125: poco si sa
della sua probabile origine germanica)
aveva riscoperto il Codice giustinianeo
(dal nome di Giustiniano Imperatore romano d’Oriente, raccolta di leggi del
534 d.C.), dando inizio a un razionale
Diritto europeo basato sul Diritto Romano. Irnerio porterà in auge anche altre arti liberali (dialettica, matematica,
fisica, musica, astronomia, geometria),
tanto da innalzare quell’università ad Alma Mater Studiorum. Ma è solo nel 1219
che, per merito di papa Onorio III e per
la prima volta in Italia, a Bologna viene
ufficialmente introdotto l’insegnamento
della medicina. Le materie relative, e il
metodo di studio, saranno (purtroppo)
ancora quelli del “Maestro di Pergamo”
(Galeno, II-III sec. d.C.)! Ed altrettanto
lontana sarà la rivoluzione che solo nel
(1219) Bologna, primi corsi di medicina
10
Rinascimento porterà il “galenismo” alla definitiva cancellazione.
“Dottore” era l’antica denominazione
con cui si appellavano i celebri professori dell’Università di Bologna. Ancor
prima, il titolo soleva indicare una persona dotta nelle varie discipline. È con
l’istituzione dell’insegnamento di medicina che il termine acquisterà il significato specifico di medico che tuttora
conserva, anche se ciò fu causa di accesi contrasti tra medici e giuristi gelosi
delle loro prerogative (soli a considerarsi veri doctores).
Nella formula del giuramento ereditata dalla Scuola Salernitana, e fondata sui
principi d’Ippocrate, il neo-dottore si
obbligava a essere ossequiente agli Statuti della corporazione, a non insegnare
cose false, a non pretendere mercede dai
poveri, a indirizzare quanti avesse in cura verso i Sacramenti di penitenza, a non
accordarsi illecitamente con farmacisti,
e a non somministrare sostanze velenose o abortive. Il comportamento del medico doveva essere onesto e confacente
alla sua dignità, tanto da essere multato
chi pubblicamente avesse sparlato di altro collega. Nell’assumere il malato in
cura, il medico doveva per prima cosa
informarsi se fosse stato in precedenza
visitato da altri, e nelle malattie gravi
aveva l’obbligo di chiamare a consulto
altro medico o chirurgo. In compenso, il
medico era esonerato dal servizio militare e dal pagare certe gabelle. In alcune città era inoltre vincolato alla denuncia di ferite gravi o morti violente di cui
fosse venuto a conoscenza, mentre in al-
tre la querela spettava alla famiglia del
soggetto colpito.
Una particolare istituzione risalente al
XII secolo (Firenze, Bologna) sarà la
cosiddetta Condotta medica, termine
che discende da condurre un medico,
cioè reclutarlo al servizio e al soldo del
Comune. Il medico “comunale”, oltre al
compito di curare senza diretto compenso malati e feriti poveri o militari,
aveva anche quello di sorvegliare che
fossero rispettate le leggi sanitarie e
igieniche. Non di rado sorgevano vivaci polemiche e controversie fra Comuni
che si contendevano medici reputati per
la loro abilità, anche perché i “condotti” dovevano assistere i carcerati e, in alcune città, erano persino chiamati a torturare alcuni imputati.
Il medico: “Dottore” per antonomasia
Tra le tappe dello stentato cammino
della medicina nel Basso Medioevo, sole a meritare citazione saranno:
- 1249, la comparsa in Europa (e in
Cina) dei primi occhiali con lenti per
presbiti;
- 1316, grazie al permesso di sezionare i cadaveri, il medico Mondino
de’ Liuzzi di Bologna, detto il principe dell’Anatomia, ne scrive il primo libro;
- 1365, il medico francese Giovanni
di Borgogna scrive un trattato sulla
“malattia epidemica della peste nera” del 1348.
Sul piano igienico-sanitario saranno
proprio le pestilenze a caratterizzare il
Medioevo.
· VO n° 04 aprile 2013_Aprile 2013 03/04/13 10.22 Pagina 11
Schegge Giandidiane N. 37c
Fra Eldy L. de Castr o
nostr o primo Diacono
Questo ritardo di quattro secoli è
da imputare inizialmente ad un
pregiudizio razziale, risalente ai
primi tempi del dominio coloniale
spagnolo. La Spagna col Trattato
di Tordesillas del 1494 si assunse
l’impegno della diffusione della fede cattolica nelle nuove terre scoperte da Cristoforo Colombo e
pertanto pagò per secoli il viaggio
dei missionari, che erano quasi
sempre frati, e la costruzione degli
edifici di culto. In Messico già nel
1536 fu aperto un Seminario per le
vocazioni sacerdotali native, ma
questo tentativo di formare un clero locale si concluse con il più
completo fallimento, sicché nacque la convinzione che gli indigeni non erano in grado di assumersi gli impegni legati alla consacrazione sacerdotale e tanto meno
quelli legati alla Professione dei
Voti in un Istituto Religioso.
Quando dal Messico iniziò la diffusione della fede anche nelle Fi-
Dopo che nel 1898 subentrò al
dominio coloniale spagnolo quello statunitense, il Papa acconsentì
a sostituire i Vescovi spagnoli con
altri di lingua inglese e, in più, accadde che spontaneamente una
gran parte dei frati spagnoli se ne
tornò in patria, sicché il loro posto
fu preso da missionari provenienti
da vari Istituti di altre nazioni che,
non avendo ereditato pregiudizi,
accettarono vocazioni religiose e
sacerdotali senza dar alcun peso all’etnia, sicché oggi frati, sacerdoti
e vescovi sono quasi tutti filippini
e vi sono perfino tre cardinali. I
L’abbraccio con fra Bartolomeo
chiari risultati positivi della maggior apertura mentale dei nuovi
Istituti Religiosi convinsero anche
gli altri Istituti presenti dal tempo
spagnolo a infine accantonare gli
antichi pregiudizi etnici.
Venendo al caso specifico dei Fatebenefratelli, va anzitutto detto
che siamo un Ordine laico, ma fin
dall’approvazione dataci nel 1572
da San Pio V ci fu concesso di avere qualche frate sacerdote che potesse fungere da cappellano nei nostri Ospedali. Quando nel 1611
iniziammo il nostro apostolato
nelle Filippine, tra i confratelli
spagnoli che vennero missionari
in questo lembo d’Asia v’erano anche dei sacerdoti e anzi, per invogliarli a venirvi, fra Alonso de Jesus y Ortega, che fu alla guida del
Ramo Spagnolo del nostro Ordine
dal 1735, annoverò fra le prime sue
iniziative quella di gratificarli con
il titolo onorifico di Padre della
Provincia, che in Spagna era dato
solo a chi era stato Provinciale.
Ovviamente, i nostri frati spagnoli condividevano il citato pregiudizio nei confronti dei nativi di pura etnia filippina e mai li ammisero ai Voti e al sacerdozio. L’ultimo
frate del tempo spagnolo morì nel
1888 e purtroppo San Benedetto
Menni, pur provandoci ripetutamente, non ottenne mai a Madrid
il permesso dalle autorità governative di inviare a Manila frati della
risorta Provincia Spagnola, sicché
solamente nel 1988 l’Ordine, per
iniziativa della Provincia Romana,
è tornato nelle Filippine, dove ha
ammesso senza remore vocazioni
F. G. M. : Schegge Giandidiane. N. 37c - Fra Eldy L. de Castro nostro primo diacono
U
lippine, tale pregiudizio era ormai
radicato e mai gli Istituti Religiosi
ammisero i nativi di etnia filippina alla Professione dei Voti, ma al
massimo li accettavano come
Oblati, ossia senza impegno di Voti e perciò liberi d’andarsene in
qualsiasi momento. Qualche rara
eccezione fu fatta nel Seminario
Vescovile, ma i preti diocesani di
pura etnia filippina furono rari fino agli inizi dell’Ottocento e relegati sempre in incarichi secondari.
173
n po’ come la ciliegina che
va a completare la simbolica torta celebrante il XXV
del ritorno del nostro Ordine a
Manila, abbiamo avuto la gioia lo
scorso 8 marzo, in coincidenza con
la festa del nostro Fondatore San
Giovanni di Dio, di vedere infine
un nostro confratello filippino, per
la prima volta nel corso dei quattro secoli trascorsi dal nostro arrivo in tale nazione, accedere al Diaconato, al quale poi seguirà, nel rispetto dell’intervallo di almeno sei
mesi richiesto dal diritto canonico, il Presbiterato.
· VO n° 04 aprile 2013_Aprile 2013 03/04/13 10.22 Pagina 12
la buona idea, per rendere più efficienti le registrazioni catastali,
d’obbligare tutti i nativi privi di
cognome a sceglierne uno da una
lista d’oltre 60.000 sia spagnoli, sia
filippini e sia cinesi, sicché i più ne
scelsero uno spagnolo, come ben
appare sfogliando gli elenchi telefonici.
La sig.ra Umali nella prima Lettura
174
F. G. M. : Schegge Giandidiane. N. 37c - Fra Eldy L. de Castro nostro primo diacono
native sia alla Professione Religiosa, sia anche al sacerdozio. Questo
nostro ritorno dopo ben un secolo
di assenza, sommato ai tre secoli
iniziali di chiusura mentale, spiega
perché a Manila siamo dovuti arrivare al 1990 per avere infine le
prime ammissioni ai Voti di Novizi di etnia filippina e al 2013 per
avere il primo diacono, fra Ildefonso L. de Castro; e non induca in
errore il suo cognome spagnolo,
che non è dovuto al fatto di essere
un creolo, ossia un discendente di
quei pochi spagnoli – in media erano appena un cinquemila nei secoli dell’era coloniale – che s’insediarono nelle Filippine, oppure un
sangue misto, ma il suo cognome è
dovuto al fatto che nel novembre
1849 il Governatore Generale,
Narciso Clavería, giusto un mese
prima di dimettersi per motivi di
salute e tornarsene in patria, ebbe
L’ordinazione diaconale di fra Eldy
quanti sogni aveva concepito, ma
di cui volle rispettare il desiderio
di consacrarsi al Signore, manifestato al terminare la Scuola Secondaria.
Eldy, come per brevità usammo
chiamarlo fin dal primo momento,
deve il suo nome di battesimo alla
tipica usanza spagnola di scegliere
il nome del Santo del giorno, che
nel suo caso fu Sant’Ildefonso, per
esser nato il 23 gennaio 1973 a Bislig, che è nelle Filippine la città
sita più a oriente d’ogni altra, ossia
quella che si protende di più sul
Pacifico. Bislig è sita nella grande
isola meridionale di Mindanao e fa
parte della Provincia di Surigao
del Sur, al pari di Lianga, che è do-
Primo in tempi recenti a farsi promotore del ritorno del nostro Ordine a Manila fu l’indimenticabile
suo presule, card. Jaime L. Sin, che
a Roma perorò personalmente la
richiesta ai nostri confratelli della
Farmacia Vaticana, che ne dettero
notizia alla Provincia Aragonese,
la quale però non poté sul momento accoglierla perché impegnata nella
recente fondazione di
Lunsar, in
Sierra Leone. In data
23 settembre 1985 il
card. Sin di
nuovo inviò
una richiesta scritta, Fra Eldy prostrato al suolo durante il canto delle Litanie dei Santi
alla quale
questa volta, grazie all’iniziativa di ve Eldy finì le Elementari nel
fra Francesco Gillen, provò a dar- 1986, che aveva però iniziato a
gli ascolto il Superiore della Pro- San Francisco, nella contigua Provincia Romana, fra Pietro Cicinel- vincia di Agusan del Sur, dove seli, che venne in loco a studiarne la guì anche la Scuola Secondaria e
fattibilità col cardinale nel marzo conseguì il diploma nel 1990,
1987 e poi concordò con lui, in un avendovi come insegnante Evelyn
incontro successivo del seguente Felipe, coordinatrice anche del
ottobre, che i primi confratelli giornalino di classe, il cui comitaavrebbero preso in consegna a fine to di redazione si riuniva spesso in
marzo 1988 l’edificio di Quiapo, casa sua; ne faceva parte Eldy, che
offertoci in uso gratuito ventenna- v’era accolto come uno di famiglia,
le dalla Diocesi di Manila.
tanto da nascerne una profonda
amicizia, tuttora viva. Fu proprio
Fu in tale edificio di Quiapo che in quella Scuola che egli conobbe
lunedì 4 giugno 1990 bussò alla le Suore Ospedaliere del S. Cuore
nostra porta il giovane Ildefonso, di Gesù, venute per una campagna
accompagnato dal suo papà, che vocazionale, e intuì che Dio lo
aveva tre figlie femmine e questo chiamava a consacrarsi a Lui nel
solo maschio, sul quale chissà servizio ai malati ed ai bisognosi,
· VO n° 04 aprile 2013_Aprile 2013 03/04/13 10.22 Pagina 13
Nella processione d’ingresso è
d’uso che il nuovo diacono sia accompagnato dai genitori, ma in
questo caso c’era sì il suo papà, ma
non la mamma, morta l’anno scorso, sicché il suo posto è stato preso
dalla sua insegnante nelle Secondarie, che tanto contribuì a formare il carattere di fra Eldy.
Ha assistito il vescovo come cerimoniere p. Ricky Villar o.s.a. e i
concelebranti sono stati il Vicario
Diocesano per i Religiosi, p. James
T. Ferry m.m., il Priore di Perugia,
fra Bartolomeo Coladonato, don
Gerardo De Corso, parroco di Pietradefusi (Av), p. Austin Cadiz
o.s.b., p. Dominic Denina m.m.h.c.,
p. Henry Matriano m.m.h.c., don
Ronnie dela Cruz e il nostro cap-
pellano don Paul Tran Xuan Lam;
hanno servito all’altare sia i cinque
diaconi Jun Arvic Bello, fra Philip
Ramos a. m., fra Randolf Dayandayan o.s.a., fra Junbim Torres
o.s.a., fra Geoffrey Eborda o.s.a.,
sia, quali chierichetti, gli Aspiranti portati dal citato loro Maestro,
p. Denina. Dall’ambone laterale
fra Gerardo G. Mortera ha da commentatore aiutato i fedeli a seguire il Rito, che è stato animato dai
canti del minuscolo ma ben affiatato trio corale della Comunità,
diretto dal seminarista Alex Cruz.
Ha proclamato la prima lettura la
signora Rebecca C. Umali che, co-
F. G. M. : Schegge Giandidiane. N. 37c - Fra Eldy L. de Castro nostro primo diacono
Fra Eldy incensando i fedeli
175
quattro anni ci fu di
grande aiuto nella cura spirituale dei candidati e le
cui doti interiori trovarono giusto riconoscimento
Il vescovo con i concelebranti
con l’ordisicché si fece dare dalle Suore il nazione episcopale nel 2002 e la
nomina a presule di Taytay nonnostro indirizzo di Manila.
ché, da parte nostra, con il conceDopo adeguato discernimento, dergli nel 2006 l’affiliazione al noprotrattosi per un quinquennio, fu stro Ordine, da lui vissuta con tanammesso ai Voti Temporanei l’8 ta partecipazione che a tutt’oggi ha
marzo 1995 e ai Voti Solenni il 7 una stanza fissa nel nostro Conottobre 2000. Completò la propria vento, dove sempre alloggia le
preparazione professionale presso molte volte che viene a Manila.
l’Istituto San Juan de Letran, che i Pertanto fu assai volentieri lui a
Domenicani hanno in Intramuros, conferire a fra Eldy nella nostra
e v’ottenne nel 2004 il Baccellie- Cappella di Manila il Lettorato il
rato in Psicologia. Nel 2008 termi- 31 gennaio 2012 e poi l’Accolitanò a Quezon City dai Verbiti il cor- to il seguente 2 febbraio.
so di Filosofia e nel 2011 a Manila
A conferirgli il diaconato è stato
nella celebre Università Santo Tomas dei Domenicani finì il Baccel- invece mons. Nereo P. Odchimar,
lierato in Sacra Teologia, conferi- vescovo di Tandag e che resse la
togli cum Laude. Parallelamente ai Parrocchia di San Vincenzo de
suoi studi, fra Eldy s’è notevolmen- Paoli nel quartiere di Mangagoy a
te prodigato in Delegazione in suc- Bislig, quando vi viveva fra Eldy.
cessivi incarichi di formazione del- La cerimonia s’è svolta nel primo
le future leve del nostro Ordine, pomeriggio dell’8 marzo, festa del
nonché di Superiore locale e, ora, nostro Fondatore ma anche ottavo
anniversario dei Voti emessi da fra
di Delegato Provinciale.
Eldy. Vi hanno assistito alcune
Quando fra Eldy entrò da noi, no- centinaia di amici, collaboratori e
stro valente cappellano era don pazienti, nonché un bel gruppo di
Edgardo S. Juanich, che per oltre colleghi di studio sicché, per far
spazio a tutti, il Rito s’è
svolto nel
più capiente
Santuario
del Santo
Volto, che è
proprio di
fronte al nostro edificio
Fra Eldy col papà, l’ex sua insegnante e i confratelli
di Quiapo.
· VO n° 04 aprile 2013_Aprile 2013 03/04/13 10.22 Pagina 14
me affettuosa madre di quattro figli, fin dal 1996 mise a frutto la sua
tenerezza materna con il prodigarsi quale volontaria con i nostri
bambini disabili di Amadeo, tanto
da meritarsi di ricevere il 6 dicembre 2003 dalle mani di fra Brian
O’Donnell, allora Superiore Generale, il diploma di affiliazione al
nostro Ordine. Ha guidato il canto del Salmo Responsoriale il nostro prepostulante Genesi B. De
Guzman ed ha proclamato la seconda lettura fra Giovanni di Dio
C. Acosta, Priore di Amadeo.
176
F. G. M. : Schegge Giandidiane. N. 37c - Fra Eldy L. de Castro nostro primo diacono
Dopo il Vangelo, proclamato dal
diacono Torres, fra Eldy è stato
chiamato all’altare e il Superiore
della Provincia Romana, fra Pietro
Cicinelli, recatosi all’ambone, ha
ufficialmente chiesto al vescovo di
procedere all’ordinazione, dando
fede che per unanime parere il confratello ne aveva i requisiti. In risposta, il vescovo ne ha verificato
determinazione e consapevolezza
facendogli precise domande e ne ha
ricevuto promessa di rispettare gli
impegni del diaconato. Ha fatto seguito l’invocazione corale a tutti i
santi, ai quali fra Eldy, prostrato in
terra, ha chiesto celeste aiuto.
Dopo le Litanie, fra Eldy si è inginocchiato ai piedi del vescovo,
che ha steso le mani su di lui e lo
ha ordinato diacono. Poi, aiutato
dal papà e dall’antica maestra, ha
indossato la dalmatica e la stola ed
è tornato ai piedi del vescovo, che
gli ha consegnato l’Evangelario.
Terminata la cerimonia e prima di
riprendere il Rito Eucaristico, il
vescovo ha offerto il bacio di pace
al nuovo diacono e così hanno fatto con lui i diaconi e i congiunti.
Al termine della Messa fra Eldy
ha rivolto dall’ambone un saluto a
tutti gli intervenuti, di cui diamo
una sintesi. Ha iniziato col rievocare quando a 34 anni, avendo speso metà della sua vita nell’Ordine,
in cui era entrato a 17 anni, prese
la decisione di dir di sì all’invito al
sacerdozio, ipotizzatogli più e più
volte e infine accolto dopo lungo
discernimento e in piena libertà,
sicché al diaconato c’è arrivato a
quarant’anni, che è quando si usa
dire comincia davvero la vita; nel
ritiro precedente l’ordinazione ha
potuto però rendersi conto che
con essa non è un ripartire da zero,
quanto invece un vivere più a fondo il carisma ospedaliero, che ha
caratterizzato i ventitré anni già
trascorsi nell’Ordine.
Fra Eldy ha poi ringraziato il suo
Provinciale e tutti i confratelli della Delegazione per il sostegno e la
fiducia che gli hanno sempre accordato. Essendo il primo nelle Filippine ad essere ordinato, non vi
ha potuto avere altri confratelli
preti come punto di riferimento,
però grazie ad alcuni preziosi soggiorni in Australia e in Irlanda ha
potuto apprendere molto dai sacerdoti che operano in tali Province.
Gli sarebbe
piaciuto
averli presenti alla cerimonia, però
certo gli sono
stati vicino
pregando.
Fra Eldy con i suoi parenti e amici
Un sentito
grazie, unito
alla richiesta
Fra Eldy leggendo il saluto finale
di continuare a pregare per lui,
l’ha rivolto al vescovo che ha affrontato il lungo viaggio fino a
Manila; al sempre disponibile p.
Ferry, che lo ha spiritualmente
preparato all’ordinazione; a tutti i
sacerdoti concelebranti; a quanti
hanno servito all’altare e al coro,
debuttante ma riuscitissimo; ai tre
compagni di studio presenti, p.
Denina, fra Dayandayan e suor
Marose Cruza, che puntualmente
gli passarono i loro appunti ogni
volta che gli impegni comunitari
gli impedirono d’essere in classe;
alla Famiglia Ospedaliera, formata da collaboratori, volontari, benefattori e Suore Ospedaliere del
Sacro Cuore di Gesù.
Venato di commozione il grazie
per le persone care: il suo papà Joven, che è stato per lui come “vento sotto le ali”; la mamma Susana,
scomparsa da un anno, ma di cui
mai dimenticherà le premure; le
tre sorelle, di continuo sostegno
con il loro gioioso affetto; l’insegnante Evelyn Felipe e il marito
Sanny, che hanno sempre incoraggiato la sua vocazione.
Ultimo ma più importante grazie
quello rivolto a Dio, che lo ha chiamato alla vita religiosa e poi accolto tra i suoi ministri ed a Cui di tutto cuore ha chiesto la grazia della
fedeltà nell’amarLo e servirLo nei
fratelli, in spirito d’Ospitalità.
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“I L M E L O G R A N O ”
UNA MEDAGLIA D’ORO PER
FRA BENEDETTO VERNÒ
Fra Giuseppe Magliozzi o.h.
L
o scorso autunno a Granada il
Museo de los Pisa ha pubblicato
la traduzione spagnola, curata da
fra José Luis Muñoz Martínez, d’uno
dei più accurati manuali di Storia del
nostro Ordine, quello pubblicato a Roma nel 1969 da fra Gabriele Russotto
col titolo “San Giovanni di Dio e il suo
Ordine Ospedaliero”. Nel verificarne
con vivo compiacimento l’accurata traduzione, la mia attenzione è stata attirata da una sezione del secondo volume,
nella quale sono tracciati i profili dei 26
frati medici più noti e mi sono meravigliato che non vi comparisse fra Benedetto Vernò, che nel quasi mezzo millennio di vita del nostro Ordine fu apprezzato più d’ogni altro per la sua competenza medica.
Per la verità, fra Russotto precisa che
tra i 26 non ha incluso quelli cui dedica
spazio in altre sezioni e, infatti, di fra
Vernò parla poi sia a proposito della sua
elezione a Generale nel 1837, dove cita
l’entusiastico giudizio del Perotti, che
nel 1867 lo definì “uno di quei geni sublimi, che di rado Dio concede alla ter-
La traduzione del manuale di Russotto
ra”, sia a proposito dell’epidemia romana di colera nel 1837, per la quale riporta o riassume vari documenti dell’epoca. Poiché però ho notato che per brevità citava solo tre righe della lettera di
conferimento della medaglia d’oro assegnatagli per precisa volontà del Papa,
m’è sembrato giusto riprodurla qui per
intero, anche perché, portando la data
del 29 aprile 1838, ne ricorre questo mese il 175° anniversario. Questo il testo
che, su “espresso comando del Papa”,
firmò il card. Giuseppe Antonio Sala,
che dal 1836 presiedeva la Commissione Straordinaria di Pubblica Incolumità:
“Avendo la Santità di Nostro Signore
concepito il nobile e clementissimo pensiero di onorare col distintivo di un’apposita Medaglia tutti quei benemeriti
soggetti che prestarono con zelo la caritatevole opera loro nelle circostanze
dolorosissime del morbo cholerico, da
cui venne colpita questa Capitale, non
poteva sfuggire che la Paternità Vostra
Reverendissima agli altri titoli accoppiò pur quello di essere stato aggregato alla Commissione Straordinaria di
pubblica incolumità. Le viene perciò
destinata in segno del Pontificio gradimento la medaglia d’oro, che il sottoscritto Cardinale Presidente gode d’inviarle per espresso comando di Sua
Santità, compiacendosi ad un tempo di
ripetersi con sentimenti di verace stima.
Affezionatissimo Servitore
G. A. Card. Sala”
Nello sfogliare in Archivio il carteggio
su questa epidemia romana ho notato, in
una lettera del card. Sala al Vernò del 31
dicembre 1837, l’elogio per “la prontezza alla quale la Paternità Vostra al
primo annuncio del grave pericolo recossi a Roma di volo conducendovi in
ajuto vari de’ suoi Religiosi stanziati in
Toscana”. Quell’accenno alla Toscana
Fra Benedetto Vernò (1784-1858)
mi ha fatto ricordare un recente bel libro in formato stragrande, pubblicato a
Firenze lo scorso novembre da Edizioni Polistampa col titolo “Settecento anni di storia. San Giovanni di Dio, un
ospedale da non dimenticare”. Curato
da Enrico Ghidetti e Esther Diana con il
contributo di una dozzina d’altri esperti, offre una completa descrizione del
nostro antico Ospedale di Firenze e una
pregevole documentazione iconografica, tra cui un ritratto del Vernò, che qui
riproduco e che è assai più espressivo di
quello conservato a Roma nella nostra
Curia Generalizia, probabilmente perché eseguito dal vivo durante una delle
sue frequenti visite a Firenze.
Il libro sull’antico nostro Ospedale
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· VO n° 04 aprile 2013_Aprile 2013 03/04/13 10.22 Pagina 16
ANIMAZIONE GIOVANILE
CHI CREDE IN GESU CRISTO
HA LA VITA ETERNA!
Fra Massimo Scribano, o.h.
L
’Anno liturgico ha il suo culmine nel Triduo Pasquale, dove
facciamo memoria della Passione, Morte e Resurrezione di nostro Signore Gesù Cristo. In questo tempo forte, noi cristiani siamo chiamati a seguire le orme del Redentore. Vivendo a
stretto contatto con la sofferenza, ti accorgi che tanta gente è bisognosa di conforto e sostegno spirituale, e per questo
motivo ringrazio Dio di avermi donato
la vocazione ospedaliera. La sofferenza
vissuta fuori dalla fede diventa disperazione, viceversa si trasforma in speranza. Solo con Cristo possiamo affrontare
le prove che la vita ci riserva.
Il tempo quaresimale prepara il nostro
cuore per custodire la bellezza del messaggio e lo stile di vita di Cristo: “siate
misericordiosi come il Padre vostro è
misericordioso” (Lc 6,36). Il Figlio di
Dio ci ha presentato la figura del Padre
come un papà che ha tenerezza e bontà
per il suo popolo, nonostante la nostra
durezza di cuore. Ma nel nome della sua
misericordia, noi dobbiamo impegnarci
a seguire Gesù Via, Verità e Vita. Papa
Francesco in una delle sue ultime omelie ha dichiarato di non avere paura della tenerezza e della bontà. Noi purtroppo, lasciatemi passare il termine, abbiamo vergogna di presentarci agli altri come il Padre ci ha indicato: mitezza e
umiltà di cuore.
San Giovanni di Dio, ha incarnato bene il messaggio del Vangelo ai suoi seguaci. “Se guardassimo alla misericordia di Dio, non cesseremmo mai di fare
il bene tutte le volte che se ne offre la
possibilità. Infatti quando per amor di
Dio, passiamo ai poveri ciò che egli
stesso ha dato a noi, ci promette il centuplo nella beatitudine eterna (san Giovanni di Dio). Il nostro amato Fondatore abbraccia il Vangelo e lo rende visibile, testimoniando la carità e la miseri-
16
cordia di Dio. I gesti, le parole e la sua
vita sono un linguaggio che arriva diritto al cuore delle persone, tanto da dargli aiuti materiali e finanziari per portare avanti l’opera che il Signore gli aveva messo nel cuore.
Il tempo pasquale è un tempo di grazia per la nostra vita spirituale, perché
la nostra missione e la nostra fede devono proiettare nella società odierna, il
cambiamento radicale della nostra esistenza, alla luce del Vangelo che è sempre attuale. Seguire Cristo vuol dire seguirlo nella via della Passione e Morte,
per poi risorgere a vita nuova come egli
ci ha promesso. Il transitare nelle prove
della vita risulta difficile e incomprensibile per molti di noi: ma due sono le
possibilità per affrontarle, o la disperazione o la speranza nel Gesù misericordioso che non ci abbandona mai. Dobbiamo essere uomini di speranza per poter dare agli uomini la certezza che Cristo ha vinto la morte per sempre.
Dopo il tempo quaresimale, caratterizzato dal digiuno e dalla penitenza,
siamo chiamati a sollevarci per continuare il cammino che Dio ha tracciato
per ognuno di noi. Consapevoli che noi
siamo cristiani, imitiamo il nostro Salvatore. Bisogna evangelizzare e annunciare che Cristo è risorto dai morti e Dio
infatti ha tanto amato il mondo da dare
il suo Figlio unigenito, perché chiunque
crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna (Gv 3,16). Ecco la nostra mèta: la vita eterna. Dio ci ha preparato un
posto, affinché noi possiamo stare con
Lui per l’eternità.
Vi segnalo i prossimi appuntamenti
estivi:
Esperienza di Servizio: 22 – 30 giugno
2013; 18 – 24 agosto 2013 a Genzano
di Roma presso l’Istituto san Giovanni
di Dio – Fatebenefratelli.
L’Équipe vocazionale svolge inoltre
servizio di discernimento personale per
giovani o persone che sentono una chiamata speciale alla Vita Consacrata nei
Fatebenefratelli e per questo potete contattare i seguenti recapiti:
mail: [email protected]
sito web: www.pastoralegiovanilefbf.it
tel: 091.479377 – cell. 3382509061
Auguro una serena Pasqua e un fruttuoso cammino spirituale per seguire
fedelmente il Cristo risorto.
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PA G I N E D I M E D I C I N A
LE EMATURIE
Franco Luigi Spampinato
P
er Ematuria s’intende la presenza
di sangue nelle urine. Tale presenza può essere rilevata con il semplice esame ispettivo quando è di entità
tale da colorare le urine con varie tonalità di rosso e dal punto di vista clinico viene classificata come ematuria macroscopica. Se invece è di scarsa entità e quindi rilevabile solamente con l’esame microscopico delle urine, viene classificata
come ematuria microscopica.
La perdita di sangue dagli orifici naturali provoca sempre nei Pazienti ansia,
agitazione, preoccupazione. Se l’ematuria macroscopica, con la sua evidenza
clinica, genera nel Paziente tale stress
psicologico e lo spinge di conseguenza a
effettuare gli accertamenti clinici del caso, l’ematuria microscopica risulta molto più insidiosa, in quanto non viene rilevata dal Paziente, con conseguente ritardo nell’esecuzione degli esami necessari a determinarne la causa.
L’Ematuria nelle sue forme di presentazione, sia macroscopica che microscopica, è bene sottolinearlo, è un sintomo
che non va mai trascurato. Tale sintomo
è una spia ben precisa che indica che a livello dell’apparato urinario c’è comunque una situazione patologica.
È bene tenere presente che alcuni farmaci, come a esempio la Rifampicina, il Metronidazolo, i composti di vitamina B e altri ancora, possono alterare il colore delle
urine. In particolare, il Metronidazolo e la
Rifampicina possono far assumere al colore delle urine tonalità variate di rosso.
Anche i farmaci Antiaggreganti e Anticoagulanti possono provocare Ematuria.
Tuttavia, anche in questo caso, vanno eseguite tutte le indagini necessarie per stabilire se tali sostanze siano fattori concausali agenti su situazioni patologiche presenti ma fino a quel momento asintomatiche.
Poiché praticamente tutte le malattie
dell’apparato urinario e alcune malattie
generali di interesse internistico possono
causare Ematuria, è bene collocare questo sintomo nel contesto clinico generale del Paziente esaminato.
Per quanto riguarda le patologie urinarie di interesse urologico, è bene stabilire se l’Ematuria è preceduta, accompagnata o seguita da altri sintomi o se compare come unico sintomo.
A titolo esemplificativo sarà opportuno
citare alcune condizioni cliniche patologiche. Il rilievo di un’Ematuria macroscopica, ma più spesso microscopica, in
un Paziente giovane che presenta dolori
addominali sospetti per colica renale, potrà indirizzare la diagnosi verso una sospetta calcolosi urinaria.
Un’Ematuria macroscopica, con coaguli grossolani, accompagnata o non da disturbi minzionali, in un Paziente di mezza
età o anziano, indirizzerà la diagnosi verso un sospetto tumore vescicale.
Un altro tipo di Ematuria, definita dagli Urologi “capricciosa“ perché tende a
comparire e a scomparire irregolarmente, dovrà far sospettare la presenza di un
tumore renale.
Nel caso di Ematuria con associati sintomi quali febbre, dolori e difficoltà alla
minzione medesima, in un Paziente di
età superiore a 50 anni, si dovrà sospettare un’infezione urinaria in presenza di
ipertrofia prostatica, eventualmente associata a carcinoma prostatico e a tumore vescicale.
L’Ematuria può essere presente nei
bambini e nei giovani. In primo luogo è
necessario escludere la presenza di tumori e malformazioni dell’apparato uri-
nario, tenendo presente che queste ultime, hanno una percentuale significativa
nel contesto di tutte le malformazioni
dell’età pediatrica. Inoltre, se nei Pazienti giovani l’Ematuria si accompagna
a sintomi generali quali precedenti tonsilliti, febbre, edemi, insufficienza renale, si dovrà pensare alla presenza di processi infiammatori delle strutture renali
deputate alla filtrazione ed elaborazione
dell’urina. Tali condizioni patologiche
sono definite Glomerulonefriti.
Anche condizioni patologiche generali
che determinano un deficit nei processi
di coagulazione, come le Linfoemopatie
o le Patologie Oncologiche, soprattutto
in corso di chemioterapia, possono determinare Ematuria.
Fortunatamente non sempre le Ematurie sono il sintomo di patologie gravi. Infatti, nelle Pazienti giovani che spesso
sono soggette a infezione delle basse vie
urinarie da E. Coli, batterio che più facilmente degli altri può provocare Ematuria, tale sintomo spesso si accompagna
all’intensa sintomatologia cistitica provocata da tale tipo di infezione. È comunque da ricordare che nella pratica
clinica esistono rari tipi di ematuria di
cui, nonostante esaurienti indagini effettuate, non si riesce a individuarne la causa. La letteratura corrente ipotizza che in
tali casi possano essere presenti micro
malformazioni vascolari patologiche a
livello renale.
In caso di Ematuria, vanno eseguite sistematicamente tutte le indagini disponibili, soprattutto quelle per Immagini
(Ecografia, TAC, RMN ) e Operative Endourologiche, per chiarire esaurientemente le cause del sintomo.
La terapia è ovviamente rivolta alla causa che ha generato l’Ematuria e quindi, a
seconda delle situazioni, dovrà essere
medica o chirurgica.
Per concludere, è opportuno citare quello che in Urologia è un accettato aforisma: “l’Ematuria, fino a prova contraria
e documentata, può nascondere un tumore”.
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A.F.Ma.L .
PRESENTAZIONE PROGETTO:
“SULLA STRADA DI CRICCHIO”
Ornella Fosco
I
n Senegal molte donne si rifiutano di
portare i propri figli mentalmente
disabili sui mezzi pubblici; le famiglie nascondono i bambini che soffrono
di disturbi mentali o neurologici, e alcuni genitori addirittura li disconoscono.
Secondo le ultime statistiche dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, dal
2004, 13,4 milioni di persone in Africa
sono state colpite da disturbi depressivi
unipolari, 7,7 milioni di epilessia, 2,7
milioni da disturbi affettivi bipolari e
2,1 milioni da schizofrenia. Nella società senegalese avere un figlio affetto
da disturbi mentali costituisce uno stigma; è credenza comune che sia una maledizione, una punizione divina per infedeltà della madre del bambino al marito. Non c’è assistenza sufficiente e le
strutture per queste persone mentalmente disabili sono precarie. Dal punto
di vista sanitario, la malattia mentale
non è considerata prioritaria e curabile.
È in questo contesto che l’AFMaL, su
specifica richiesta di aiuto da parte del
Centro per la Salute Mentale “DalalXel” dei Fatebenefratelli di Thies in Se-
18
negal, specializzato nella cura e nell’assistenza di malattie mentali, intende
rafforzare le capacità del centro con risorse proprie derivanti da campagne di
raccolta fondi, insieme alla collaborazione di professionisti volontari della
Divisione di Neurologia dell’Ospedale
san Pietro Fatebenefratelli di Roma.
Il progetto è intitolato ad Alexandra,
una giovane collega dei medici neurologi italiani scomparsa recentemente.
Tutti, amici e parenti, la chiamavano affettuosamente “Cricchio”. Lavorava
presso l’Ospedale Bambin Gesù di Roma e ha partecipato a missioni umanitarie in Vietnam e Cambogia con l’équipe di cardiologia.
Il progetto ha come obiettivo primario
quello di ridurre le barriere verso il trattamento e la cura delle malattie mentali,
accrescendo la consapevolezza della frequenza dei disturbi mentali, della loro curabilità, dei processi di guarigione e dei
diritti umani dei bambini e degli adulti.
In particolare, il progetto interverrà in
tre ambiti specifici:
- medico-sanitario: è prevista la
presenza attiva di 1 medico specialista in neurologia, 1 tecnico di neurofisiopatologia. L’équipe effettuerà
due missioni all’anno per la durata
di 15 giorni circa;
- formativo: è prevista la valorizzazione delle risorse umane locali
(medici, non medici, psicologi, infermieri, assistenti sociali, educatori), attraverso attività di formazione
diretta al personale locale (training
on the job), come l’aggiornamento
nell’ambito diagnostico (elettroencefalografia, elettromiografia e potenziali evocati, ecc.);
- educazione e assistenza alla comunità/famiglia in cui il malato
mentale è inserito: campagne di
sensibilizzazione e di educazione
sulla salute mentale, al fine di ridurre lo stigma, la discriminazione, le
barriere al trattamento e alla cura,
coinvolgendo direttamente la comunità, le famiglie e le scuole.
La prima missione è programmata per
marzo prossimo.
Cammina insieme a noi ….“sulla strada di Cricchio”
IBAN IT86L0100503340000000001770
Oppure fai la tua donazione on line:
www.afmal.org
· VO n° 04 aprile 2013_Aprile 2013 03/04/13 10.22 Pagina 19
CENTRO DIREZIONALE
NOVITÀ NELLA GESTIONE
LOGISTICA DEI FARMACI
E DEI PRESIDI
NEL MAGAZZINO/FARMACIA
Paolo Porfiri e Fabio Fatello Orsini
Direzione Organizzazione e Sistemi
carrelli, sulla base delle
richieste pervenute dai
reparti;
U
n’esigenza da sempre molto
sentita nei nostri Ospedali è
quella della corretta gestione
contabile dei materiali sanitari presso
le Farmacie Centrali e, di conseguenza,
presso i diversi Reparti e Servizi.
Con l’avvento della nuova versione
della procedura GEMA (Gestione
Materiali) si sono poste le basi per sperimentare presso le Farmacie Centrali
alcune modalità innovative volte a
razionalizzare il processo logistico e a
fornire la base per rendere più efficiente la gestione dei materiali presso tutta
la struttura ospedaliera.
A tal proposito, presso la Farmacia
Centrale dell’Ospedale san Pietro, è
stata avviata da alcuni mesi una nuova
modalità di gestione che prevede
importanti cambiamenti rispetto alla
precedente. Tra le principali novità
introdotte si segnalano:
-
-
-
l’etichettatura tramite codice a
barre dei farmaci e dei presidi per
lotto, scadenza e allocazione. Tale
etichettatura viene effettuata dagli
operatori della Farmacia al momento della consegna dei materiali da
parte dei fornitori;
la riorganizzazione degli armadi e
degli scaffali (gestione completa
dell’allocazione) per permettere lo
stoccaggio dei vari prodotti suddivisi per lotto e scadenza tramite le
apposite etichette;
l’introduzione di computer portatili
come supporto per gli operatori
durante la fase di preparazione dei
-
l’utilizzo di palmari wireless
per la cattura dei codici a
barre dei prodotti, nella fase
di preparazione dei carrelli.
Tali palmari permettono la
cattura del codice a barre,
identificando così il prodotto e il suo lotto/scadenza,
mostrando le quantità richieste dal
reparto e permettendo di digitare
direttamente le quantità consegnate.
Questa nuova modalità di gestione ha
portato cambiamenti importanti nell’operatività del personale della Farmacia,
cambiando il flusso logico e consentendo l’eliminazione della fase di registrazione successiva del materiale consegnato. In questo modo l’allineamento delle giacenze è in tempo reale consentendo anche di individuare immediatamente eventuali anomalie.
Il gruppo di lavoro della Farmacia
e scaffali e una gestione più attenta
delle giacenze, dei lotti e delle scadenze dei prodotti.
Tale nuova modalità ha limitato di
fatto fin da subito l’insorgenza di errori di registrazione, ottimizzando il
tempo di lavoro grazie all’unificazione
delle fasi di preparazione del carrello
ed evasione informatica delle richieste.
Il progetto è stato inoltre particolarmente complesso in quanto ha comportato, a fianco di cambiamenti operativi,
anche soluzioni tecnologiche innovative: gestione completa della rete wireless in Farmacia, etichettatura dei prodotti tramite barcode, cattura dei codici
barcode con palmari wireless, utilizzo
di portatili wireless.
Certamente è stato importante il contributo del personale della Farmacia
nell’adozione di questa nuova modalità
di lavoro che ha prodotto, come primo
effetto positivo, una allocazione più
precisa dei materiali nei diversi armadi
L’utilizzo del palmare
19
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OSPEDALE SACRO CUORE DI GESÙ - BENEVENTO
FESTA DI SAN GIOVANNI DI DIO
Iride Dello Iacono
P
receduta dalle celebrazioni nei
reparti e dal Triduo, nei giorni 57 marzo, nella Parrocchia di santa Maria di Costantinopoli, l’8 marzo si
è celebrata a Benevento la festa del fondatore dell’Ordine dei Fatebenefratelli,
san Giovanni di Dio.
Alle ore 10,30, sempre nella Chiesa di
santa Maria di Costantinopoli, si è svolta la solenne concelebrazione, presieduta dal nostro arcivescovo, mons. Andrea
Mugione, e la presenza del vicario generale e parroco mons. Pompilio, del provinciale dei Frati Minori, P. Sabino, e il
guardiano P. Filippo, del superiore fra
Angelico, del vicario episcopale per la
pastorale mons. Abramo e parecchi altri,
e autorità civili e militari della città di Benevento. Durante l’omelia l’Arcivescovo ha tratteggiato la figura del Santo che,
dopo una vita avventurosa, dedita dapprima alla pastorizia, quindi all’attività
militaresca e al lavoro di libraio, in seguito all’ascolto di una predica di san
Giovanni d’Avila, si orientò totalmente
alla carità e all’amore verso Dio. Egli si
privò di tutto e cominciò a mendicare per
le vie di Granada, rivolgendo ai passanti
la frase che sarebbe divenuta l’emblema
di una nuova benemerita istituzione “Fa-
te (del) bene, fratelli… ”. La carità che la
gente gli faceva fu spartita tra i più bisognosi ma gli abitanti di Granada lo considerarono pazzo e lo fecero rinchiudere
in manicomio, laddove Giovanni di Dio
si rese conto dei metodi brutali impiegati per la cura dei malati di mente. Non appena si liberò da quell’inferno fondò, con
l’aiuto dei benefattori, un suo ospedale in
cui, oltre alla cura del corpo, veniva curato lo spirito dei malati. Morì l’8 marzo
del 1550, il giorno del suo compleanno,
dopo una vita dedita pienamente al sostegno della povertà e della sofferenza, a
soli cinquantacinque anni, in ginocchio
davanti al Crocifisso. Fu canonizzato nel
1690 dal Papa Alessandro VIII.
Mons. Mugione ha ravvicinato la figura del Santo all’immagine del “Buon
Samaritano” e un particolare accento è
stato posto al concetto di “misericordia
divina”, cui deve volgere lo sguardo
chiunque si avvicini alla sofferenza altrui, compenetrandosi in essa, attraverso la donazione di se stessi, l’ascolto e,
soprattutto, l’amore.
La Santa Messa è stata animata dalla
corale di Foglianise diretta da Selene
Pedicini e, particolarmente significati-
I concelebranti
20
Mons. Mugione con fra Angelico
e il sindaco Fausto Pepe
va, è stata la tradizionale offerta dei ceri votivi a san Giovanni di Dio, a nome
della città, da parte del sindaco, ing.Fausto Pepe, e per i Fatebenefratelli, da fra
Angelico.
Alle ore 18.00, nella Chiesa dell’Ospedale, dopo la celebrazione dei Vespri, la processione e il bacio della reliquia del Santo in tutti i reparti dell’ospedale. Questo momento è risultato
particolarmente suggestivo, animato da
canti del coro della struttura sanitaria, e
la preghiera del Rosario. Il superiore,
fra Angelico, si è avvicinato a ogni ammalato e a tutti i parenti e visitatori. Un
clima di profonda commozione e di intensa partecipazione ha coinvolto i numerosi presenti, profondamente accomunati dalla sensazione di appartenenza alla grande Famiglia ospedaliera dei
Fatebenefratelli.
Le vie della santità sono infinite e lo
dimostra la vicenda terrena di questo
straordinario Santo, modello di vita per
gli operatori sanitari che debbono tendere a un percorso di accettazione della
sofferenza, che non si compendi esclusivamente nell’offerta dell’aiuto fisico e
psicologico all’ammalato, bensì anche
nella valorizzazione di quell’azione
compenetrata della grazia divina.
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OSPEDALE BUON CONSIGLIO - NAPOLI
FESTIVITÀ DI
SAN GIOVANNI
DI DIO
Maria Pinto
L
a Santa Messa per la festa di san
Giovanni di Dio è stata presieduta da p. Giacomo Caprara, provinciale dei Padri Vocazionisti, con fra
Agostino Esposito, provinciale dei Frati Minori della Provincia del Sacro Cuore di Napoli, dai cappellani fra Giacinto
M. Caronia dei Frati Minori, e p. Giuseppe, da poco tempo nella nostra struttura, da p. Vittorio Missori, parroco della Parrocchia di san Vincenzo Pallotti, p.
Vincenzo Pelella, vocazionista e p.
Montalbano, barnabita. Dal Vangelo secondo Luca, il messaggio del Buon Samaritano pronto a prendersi cura dell’altro nel momento del bisogno. Ogni
anno, il messaggio del nostro Fondatore, viene riproposto con una lettura personale da una figura pastorale diversa
che trasmette il suo modo di leggere
questo messaggio e farlo rinascere nella
vita di ogni giorno. Ciò che san Giovanni di Dio ci ha sempre trasmesso, e sembra retorica ripetere che noi viviamo e
respiriamo questo carisma ogni giorno,
cambiando la figura e la sua lettura sembra rivivere sotto una nuova forma, dicendoci sempre qualcosa di nuovo.
Che san Giovanni di Dio sia stato un
uomo che ha vissuto in pieno il suo tempo con varie vicissitudini personali e
tante attività intraprese, come lavorare
presso un fattore o fare il libraio, e soprattutto come precursore dell’organizzazione etico morale dell’ospedale è
noto a tutti, ma la presentazione di questo santo attraverso le parole di p. Giacomo ci ha portato a rivisitare l’amore
e la dedizione completa della sua persona alla sofferenza del mondo, spingendoci a vivere con maggiore intensità la vita quotidiana e il lavoro secondo
il suo carisma e con la sua grande umiltà. A questo messaggio si è unito quello del nostro superiore
fra Alberto, il quale ha voluto
esprimere i più sentiti ringraziamenti a tutti i presenti a cominciare dai Sacerdoti celebranti, e a tutti i Collaboratori.
L
Come consuetudine dopo la messa un
piccolo rinfresco nell’area bar come
momento di condivisione.
“Desidero ringraziare ognuno di voi esortando a vivere la
gioia della Famiglia di san
Giovanni di Dio. Egli si annullò per servire la Chiesa, visse
L’ÉQUIPE UROLOGICA
DEL BUON CONSIGLIO
AL CONGRESSO NAZIONALE
DI ENDOUROLOGIA
’équipe urologica diretta dal dr
Imperatore e formata dai dottori
S. Di Meo, R. Buonopane e M.
Creta esegue comunemente interventi
chirurgici disostruttivi per iperplasia
prostatica benigna e dedica particolare
attenzione ad effettuare controlli periodici anche dopo la risoluzione dei sintomi. L’intervento disostruttivo non ri-
un’esistenza dedita ai poveri, dobbiamo cercare di imitare e seguire, essere
come lui testimoni della ospitalità divenendo dei buoni samaritani. Le difficoltà fanno parte della vita, per san
Giovanni di Dio non furono un ostacolo, la fiducia in Gesù Cristo lo tiene fermo nella fede e nella sua azione. Viviamo una crisi mondiale che ha ripercussioni sulle nostre opere ma non dobbiamo perdere la speranza, anzi rafforzare la famiglia e avvalerci delle qualità
e delle potenzialità di quanti ne fanno
parte. Abbiamo un grande compito: rinnovare le nostre vite e la Famiglia ospedaliera”.
duce infatti il rischio di carcinoma prostatico. Presso l’Ospedale sono stati
trattati numerosi pazienti con anamnesi
di pregressa chirurgia prostatica affetti
da carcinoma prostatico. Interessanti risultati in merito sono stati presentati al
Congresso Nazionale della Società Italiana di Endourologia tenutosi a Modena dal 28 Febbraio al 2 Marzo 2013. Il
lavoro ha confrontato i risultati dell’intervento di prostatectomia radicale laparoscopica e perineale in soggetti con
anamnesi di chirurgia prostatica dimostrando come entrambi gli interventi
possano essere eseguiti con sicurezza
ed efficacia sia oncologica che funzionale. Il lavoro dei nostri urologi apre
nuove prospettive per i pazienti affetti
da carcinoma prostatico. “Un’équipe
urologica deve poter offrire tutte le possibili alternative terapeutiche al paziente affetto da carcinoma prostatico precisa il dr V. Imperatore -. In centri
con esperienza in chirurgia prostatica
laparoscopica e perineale il paziente
con storia di pregressa chirurgia prostatica può avere migliori opportunità
terapeutiche nel rispetto sia degli obiettivi oncologici che funzionali”.
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O S P E D A L E B U C C H E R I L A F E R L A - PA L E R M O
PROGETTO AIDA, UNA
DELEGAZIONE ITALO – TUNISINA
VISITA L’OSPEDALE
Cettina Sorrenti
U
no degli obiettivi del progetto
Aida (Auto-immunità: diagnosi), è quello di migliorare
gli studi e le diagnosi - in alcune strutture sanitarie della Sicilia e della Tunisia - delle malattie autoimmuni come il
diabete mellito, la celiachia, la sclerosi
multipla, l’ipotiroidismo, attraverso
l’instal-lazione di un sistema informatico di acquisizione di immagini e dati
che consentirà analisi precise e precoci sui pazienti.
2013. Capofila del progetto è l’Università di Palermo, il Polo didattico di
Agrigento, in partenariato con il Centro Pasteur di Tunisi, l’Ospedale Charles Nicolle, l’Università El Manar di
Tunisi e il Ministero della Salute del
paese nordafricano. Dal versante italiano altri partner sono l’Assessorato
regionale alla Sanità, la Provincia di
Agrigento, gli Ospedali Civico e Buccheri La Ferla di Palermo, l’Asp di
Trapani.
Il progetto è stato presentato a Palermo e finanziato nell’ambito del programma Italia-Tunisia Enpi 2007-
Il progetto si avvale di nuovi ricercatori reclutati tra i migliori giovani provenienti dalla formazione universitaria
LA VIA CRUCIS VIVENTE
NEI VIALI DELL’OSPEDALE
T
ra i Riti della Settimana Santa, la
Via Crucis Vivente è uno dei momenti più suggestivi ed emozionanti, cui si possa assistere. Anche quest’anno si è svolta in Ospedale la terza
edizione della Via Crucis Vivente, organizzata dalla Cappellania Ospedaliera.
La Passione di Cristo, è stata interpretata all’incirca da 80 partecipanti che
hanno recitato tutti rigorosamente dal
vivo: medici, amministrativi, tecnici,
operai, volontari del Servizio Civile, fedeli che frequentano la chiesa. La Passione di Cristo ha avuto inizio sul sagrato della Chiesa dove è stata realizzata l’Ultima Cena. Nello stesso luogo sono state realizzate la Crocifissione e la
Resurrezione; mentre, le altre scene:
dalla condanna del Sinedrio, all’inappellabile verdetto che ha condannato a
morte Cristo e alla Via Crucis, si sono
svolti nei viali dell’Ospedale.
22
La rappresentazione è riuscita a fondersi con l’eternità della parole e del messaggio cristiano. Ogni anno la
rappresentazione si arricchisce di nuovi particolari e tutto
è curato con passione e dedizione. “La sacra rappresentazione che andiamo a rivivere
- ha introdotto il superiore
dell’Ospedale, fra Luigi Gagliardotto - è la memoria di
ciò che è avvenuto a un uomo,
il Figlio di Dio a favore dell’umanità di tutti i tempi, per
dare senso alla vita dell’uomo. La Via Crucis ha certamente un valore spirituale ma
da questo punto di vista assume anche una connotazione
sociale, quella di stimolare gli
animi e di spingerli alla riflessione.”
di Palermo e Tunisi, affiancati dall’esperienza di un team internazionale
composto da fisici, ingegneri, informatici, medici e biologi. Ha una durata di
30 mesi e presenta obiettivi ambiziosi
e complessi: maggiore cooperazione
per le politiche sanitarie tra la Sicilia e
la Tunisia; implementazione di un database di metadati relativo al test IFI
per le Malattie Auto-Immuni; applicazione di un sistema esperto per supportare le diagnosi e gli studi epidemiologici.
Mercoledì 6 marzo 2013, nell’ambito dello stesso progetto, una delegazione italo-tunisina si è recata presso l’Unità Operativa Complessa di Patologia
Clinica del nostro Ospedale, che è Centro di riferimento per l’autoimmunità
nella Regione Sicilia ed è uno dei maggiori punti di accesso dell’Isola per volume di prestazioni ed esperienze in
questo settore.
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MISSIONI FILIPPINE
NEWSLETTER
CAMPO SCUOLA
A Manila all’alba del 15 marzo una comitiva di oltre cinquanta persone tra
alunni, parenti, insegnanti e studenti tirocinanti ha lasciato la nostra Scuola per
l’Infanzia Disabile per prender parte in
Amadeo al Campo Scuola che vi ha organizzato l’altra analoga Scuola per
Disabili, che abbiamo lì.
I Campi Scuola, con il loro variegato
programma, danno modo sia agli alunni, sia ai genitori e agli insegnanti di
avere non solo una pausa distensiva ma
anche di socializzare tra loro; e in più,
per gli adulti, di avere momenti di confronto sulle sfide da affrontare per valorizzare i talenti dei disabili.
TELENOVELLA
La sera di San Giuseppe alcuni amici
ci hanno chiamato a Manila per dirci che
avevano visto in televisione la statua di
San Riccardo Pampuri che abbiamo nella nostra Cappella; e la sera dopo ci hanno chiamato di nuovo per aver visto il
nostro inconfondibile tabernacolo a forma di melograno con una gran croce in
cima. Le due sequenze facevano parte
di una telenovella mandata in onda dal
canale ABS-CBN dal 4 febbraio col titolo “Juan de la Cruz” e che sta avendo un’alta percentuale d’ascolto, vicina
al 40%.
La spiegazione è semplice: per girare
alcune scene d’ambiente ospedaliero la
regia ha noleggiato per varie ore il nostro Poliambulatorio, che nessuno ha riconosciuto, ma per alcune sequenze si è
avvalso anche della nostra Cappella.
PREMIAZIONI SCOLASTICHE
Poiché la primavera nelle Filippine è
la stagione più afosa, coincide con essa
la chiusura delle Scuole e perciò già il
22 marzo abbiamo chiuso l’anno con la
tradizionale premiazione dei nostri
alunni disabili. A Manila la cerimonia
ha avuto luogo il mattino e quest’anno
è toccato a Marc N. Jonas, che indossava gloriosamente tocco e toga per aver
conseguito il certificato di superamento
della Scuola dell’Infanzia, leggere l’indirizzo di saluto ai presenti.
Ad Amadeo la premiazione c’è stata
invece di pomeriggio, per permettere ai
Confratelli di Manila di presenziare con
quelli di Amadeo alla simpatica consegna di una pioggia di medaglie, che ha
reso felice non solo i premiati, ma anche parenti e docenti.
Dopo la chiusura per vacanze delle nostre due Scuole, il corpo docente di entrambe ha profittato per riunirsi dal 24
al 26 marzo in Amadeo per elaborare insieme i programmi di riabilitazione da
attivare nel prossimo anno scolastico, in
modo che già da aprile sia possibile
aprire le iscrizioni.
A BASECO IL RADUNO OPEN
Manila: il saluto letto da un alunno
Sabato 23 marzo l’usuale iniziativa
mensile di radunare gli anziani poveri,
indicata con la sigla Open (acronimo di
Older People Encounter), s’è svolta
non da noi a Quiapo, ma nel rione Ba-
Amadeo: premiazione di una spastica
seco, sorto in un lembo di terra strappato al mare per darvi ricetto a famiglie
senza casa. Purtroppo non vi esistono
ancora servizi di trasporto pubblico, sicché un bel gruppetto che riuscì nello
scorso incontro di dicembre a venire da
noi a Quiapo, ci chiese se qualche volta
potevamo organizzarlo da loro, il che è
stato fatto questo mese.
Al raduno erano presenti 150 anziani e
alla ben imbandita tavolata e alle varie
iniziative ricreativo-assistenziali della
giornata hanno provveduto non solo i
Confratelli e le Suore Ospedaliere del Sacro Cuore di Gesù, ma anche un gruppo
di 26 studenti dell’University of East, che
per raggiungere il così mal collegato rione hanno noleggiato due furgoncini.
TRE VOLTE VENTICINQUE
Il 25 marzo la Comunità di Manila ha
festeggiato i 75 anni di fra Giuseppe,
trascorsi in tre fasi d’identica durata: 25
anni in famiglia; 25 anni come membro
dell’Ordine, quasi sempre a Roma; 25
anni come missionario nelle Filippine.
Solamente Iddio sa se ci sarà una quarta differente fase, molto probabilmente
più breve, e da che cosa contrassegnata,
ma fra Giuseppe ha serenamente confidato che s’affida al Signore, che sa quel
che fa e l’utile che ce ne può venire, anche nelle eventuali prove.
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· VO n° 04 aprile 2013_Aprile 2013 03/04/13 10.22 Pagina 24
I FATEBENEFRATELLI
ITALIANI NEL MONDO
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San Giovanni di Dio
Via Pilastroni 4 - Cap 25125
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Milano: Via San Vittore 12 - Cap 20123
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Centro Sant’Ambrogio
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