Temi per la legalità
Transcript
Temi per la legalità
T EM I PER LA LEGALITÀ di Donatella Ferranti Interventi in Aula alla Camera dei deputati nella XVI Legislatura Prefazione di Virginio Rognoni In copertina una riproduzione della carta Giustizia dei tarocchi di Emanuele Luzzati Provvedimenti urgenti per le sedi disagiate degli uffici giudiziari Alla mia famiglia 1 Discorsi parlamentari Donatella Ferranti, deputato, è capogruppo del Partito Democratico nella Commissione Giustizia, componente della Giunta per le autorizzazioni a procedere, del Comitato parlamentare per i procedimenti d’accusa e componente supplente del Collegio d’appello, organo giurisdizionale della Camera dei deputati. Magistrato, è eletta per la prima volta il 22 aprile 2008 nella circoscrizione XVI (Lazio 2). 2 Provvedimenti urgenti per le sedi disagiate degli uffici giudiziari temi per la legalità Interventi in Aula alla Camera dei deputati di Donatella Ferranti Prefazione di Virginio Rognoni 3 Discorsi parlamentari Per la pubblicazione di questa raccolta di interventi ringrazio Roberto Traversa, Angelo Summa, Clelia Tanda, Mattia Morandi, Marco Orefici e Sandra Giangreco del Gruppo del Partito Democratico della Camera dei deputati. 4 Provvedimenti urgenti per le sedi disagiate degli uffici giudiziari Indice Prefazione. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9 di Virginio Rognoni Introduzione. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13 di Donatella Ferranti Interventi in Aula alla Camera dei deputati leggi ad personam Lodo Alfano. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21 Legittimo impedimento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 23 Intercettazioni (prima lettura). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 29 Intercettazioni (seconda lettura) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 52 Scudo fiscale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 57 Processo breve.. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 63 5 Discorsi parlamentari sicurezza Emergenza rifiuti in Campania . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 79 Pacchetto sicurezza. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 87 Rito abbreviato .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 95 Filtro in Cassazione (prima lettura) . . . . . . . . . . . . . . . 101 Filtro in Cassazione (seconda lettura) . . . . . . . . . . . . . 105 funzionalità Sedi disagiate degli uffici giudiziari (2008). . . . . . . . . . . . 111 Sedi disagiate degli uffici giudiziari (2010). . . . . . . . . . . . 121 Legge finanziaria 2010 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 133 Mille-proroghe.. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 137 Stato della giustizia 2010. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 145 mafia Agenzia antimafia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 163 6 Competenza sui reati di grave allarme sociale . . . . . . . . 173 Piano antimafia. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 181 Provvedimenti urgenti per le sedi disagiate degli uffici giudiziari diritti della persona Violenza sessuale e stalking. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 187 Disposizioni in materia di violenza sessuale. . . . . . . . . 199 Omofobia e discriminazione sessuale. . . . . . . . . . . . . . 209 Pedo-pornografia Protezione dei minori contro lo sfruttamento e l’abuso sessuale. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 215 Riconoscimento dei figli naturali . . . . . . . . . . . . . . . . . . 219 7 Discorsi parlamentari 8 Prefazione Prefazione di Virginio Rognoni Questa raccolta di alcuni interventi che l’onorevole Donatella Ferranti ha fatto nell’Aula di Montecitorio in questa sua prima legislatura è la testimonianza di una forte e vissuta passione civile. «C’è un filo rosso – dice Donatella Ferranti nella sua introduzione – che ha tenuto insieme prima il magistrato ed ora il deputato nella mia esperienza professionale: è il rigoroso rispetto, non solo formale, dei principi costituzionali che attengono ai diritti fondamentali della persona ed in particolare all’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge». Quella sottolineatura – «rispetto non solo formale» – mi pare sia proprio la cifra della personalità della Ferranti: il magistrato, ieri, che nella Costituzione ha visto la sua armatura e ne ha compreso i valori d’insieme; il deputato, oggi, che svolge il compito alto della politica in conformità a quei valori medesimi: affrontare con intelligenza ed apertura i problemi del Paese, riflettere sulle sue povertà e le sue risorse, prospettare soluzioni, avanzare proposte, richiamare quelle virtù repubblicane che fanno riscoprire il gusto della cittadinanza, combattere l’indifferenza e l’opacità dei comportamenti. In Donatella, naturalmente, per il suo passato di magistrato, arricchito dalla validissima esperienza di Segretario Generale del Consiglio superiore della magistratura, la “narrazione”, si direbbe, della storia del Paese e del suo futuro è declinata prevalentemente sui temi della giustizia e delle garanzie di libertà dei cittadini. Sono gli articoli 2 e 3 della Costituzione – splendidi per la forza persuasiva che danno ai principi enunciati e agli obbiettivi che indicano («La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo… È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli… che impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese») sono questi articoli – così, con buone ragioni, mi piace di pensare – la 9 Introduzione di Donatella Ferranti spinta ideale della Ferranti, ciò che muove i suoi passi nella difficile e tormentata attività parlamentare. Basta dare uno sguardo ad alcuni dei temi qui raccolti per averne la prova. L’intervento critico nei confronti dei pubblici poteri sulla disastrosa situazione della Campania coi rifiuti nelle strade di Napoli. Il tema della sicurezza e la denuncia del “voto muscolare” che si manifesta nell’azione di governo. Il sistema carcerario e l’indubbia regressione nella tutela dei diritti fondamentali che, a valle, una certa politica della giustizia inevitabilmente produce. Il rapporto fra politica e magistratura che viene esasperato nei suoi elementi di criticità, per giustificare misure inaccettabili che intaccano l’ordinamento giurisdizionale previsto dalla Costituzione e l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge. La funzionalità del sistema giudiziario, considerata, in alcuni interventi, in via generale e, in altri, con riferimento a specifici meccanismi processuali; tutti temi trattati con rigore e competenza. E, così, vari interventi sulle problematiche della violenza, con particolare riguardo alla protezione dei minori contro lo sfruttamento e l’abuso sessuale. Tralasciando altri temi su cui la Ferranti è intervenuta, qui giustamente raccolti, non va dimenticato l’intervento sul “Piano straordinario contro le mafie”, che testimonia la sua grande e preoccupata attenzione verso una ingiuria criminosa, macchina infernale di corruzione e inquinamento diffusi. Contro questa criminalità non sono certo d’aiuto altalenanti progetti governativi in tema di intercettazioni telefoniche che la Ferranti fermamente denuncia, non diversamente dal tentativo di modificare il rapporto fra Ufficio del Pubblico ministero e attività di polizia, svuotando, di fatto, la netta prescrizione costituzionale secondo la quale «l’autorità giudiziaria dispone direttamente della polizia giudiziaria». Da sottolineare anche l’intervento sulla «amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata». Qui la Ferranti si allinea decisamente con chi vede nella sottrazione della “roba” alla mafia il colpo più duro che può essere inflitto al potere mafioso; attenzione, allora, aggiunge la Ferranti, se, per meccanismi e procedure discutibili, quali la vendita all’asta del bene confiscato, la mafia non ne torni in possesso; sarebbe forse peggio della fuga dal carcere del capo mafioso che vi è detenuto. 10 Prefazione Ecco i temi su cui, fra altri ancora, la Ferranti si è impegnata nell’Aula parlamentare. Temi per la legalità, come la stessa Ferranti ha voluto presentarli, ed è proprio così. La legalità, il principio di legalità come presupposto indiscusso dello Stato di diritto, come «sentimento e coscienza delle regole», delle regole tutte cui non può sottrarsi neppure la “sovranità popolare”, che deve essere, appunto, esercitata nelle forme e nei limiti della Costituzione. Che sia questo un principio cardine del nostro sistema è fuori di dubbio; che tutti lo ricordino è un’altra questione. Proprio per questo, è giusto che dalle Aule del Parlamento – massima espressione della sovranità popolare – salgano voci e moniti come questa pacata ed esemplare riflessione di Donatella Ferranti. 11 Introduzione di Donatella Ferranti 12 Temi per la legalità Introduzione di Donatella Ferranti Nel marzo 2008, quando accettai la candidatura alle elezioni politiche, non mi fu facile abbandonare il ruolo di magistrato, esercitato per oltre venticinque anni; e, allora, non immaginavo quanto i temi della giustizia o, meglio, dei rapporti della giustizia con il Potere e non certo del miglioramento del servizio ai cittadini, avrebbero attratto, oltre ogni misura, attenzioni ed energie. In questi anni il Governo e la sua maggioranza parlamentare hanno imposto priorità artificiose, con lo sguardo rivolto non agli interessi collettivi ma a quelli personali e privati di pochi, per non dire del solo presidente del Consiglio. Come principale partito dell’opposizione abbiamo contrastato, facendo ricorso a tutte le legittime risorse della dialettica parlamentare, la deriva “privatistica” dell’azione politica della maggioranza di Governo. Anche alla Camera dei deputati, e specificamente entro la Commissione Giustizia dove ho ricoperto l’incarico di capogruppo del Pd, l’opposizione ha lavorato duramente in difesa dei diritti di tutti. Non sempre la nostra fatica e il nostro impegno hanno avuto visibilità, sono riusciti a varcare la soglia del “Palazzo”; ed è per questa ragione che, a metà circa della Legislatura, ho deciso di raccogliere e pubblicare alcuni dei miei interventi parlamentari, con la speranza che possano costituire uno spunto di riflessione. Il filo rosso che unisce il prima (il magistrato) ed il dopo (il deputato) della mia esperienza professionale è il rigoroso rispetto, convinto e non solo formale, dei principi costituzionali che attengono ai diritti fondamentali della persona, primo fra tutti l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge. Lungo questa direttrice mi sono mossa contrastando iniziative governative e di maggioranza improntate a logiche emergenziali, votate alla propaganda e lontane da obiettivi di organica razionalità. Penso al modo con cui si è affrontato il delicato tema della sicurezza; penso ai cosiddetti “pacchetti sicurezza” dei Ministri Maroni e Alfano, in cui si sono affastellate norme penali, sostanziali e processuali, che hanno modificato in maniera frammentaria e disorganica parti significative dell’ordinamento. Una legislazione, questa, che ha mirato a “mostrare i 13 Introduzione di Donatella Ferranti muscoli” ma non a risolvere i problemi, a conquistare il consenso emotivo della pubblica opinione, senza porre mano alle grandi questioni delle necessarie riforme strutturali, dall’effettività della sanzione al rafforzamento delle politiche di prevenzione, di informazione e formazione. Politiche della sicurezza miopi, che accentuano la disuguaglianza, alimentano l’emarginazione sociale di intere categorie di persone, a cui si negano diritti e che sono inevitabilmente spinte verso l’illegalità. Intanto, il sovraffollamento carcerario ha raggiunto proporzioni drammatiche, conseguenza soprattutto delle politiche securitarie che hanno prodotto leggi ‘riempicarcere’. Il carcere ha smarrito ogni pur labile pretesa rieducativa e di reinserimento sociale e si atteggia esclusivamente come fattore di svilimento dei diritti della persona, potenziando indiretti effetti criminogeni. La Corte europea dei diritti dell’uomo ha più volte ricordato che il buon funzionamento del sistema carcerario nel rispetto dei diritti dei detenuti è il più importante indicatore del grado di civiltà e democrazia di un Paese. Su questo drammatico versante la maggioranza di Governo si è sottratta al doveroso impegno di una seria programmazione legislativa per restituire, al sistema penitenziario e giudiziario, efficienza e funzionalità; ha invece intrapreso una pericolosa azione di ridimensionamento della magistratura in nome di un “riequilibrio” dei rapporti con la Politica che sarebbe stato incrinato dall’esperienza di Tangentopoli, trascurando così, se non addirittura violando, i principi costituzionali che delineano la giurisdizione come fattore di garanzia dei diritti e delle libertà. Così, il cosiddetto “lodo Alfano” prima e la legge sul “legittimo impedimento” dopo avevano il malcelato fine di introdurre surrettiziamente immunità e privilegi per il Presidente del Consiglio, aprendo la breccia per la reintroduzione nel sistema dell’immunità parlamentare, eliminata nel 1993! Ma non è attraverso questa strada, per la cattiva prova che l’immunità parlamentare ha dato nel recente passato, che si può recuperare la necessaria tensione etica nella vita pubblica, unico vero antidoto a degenerazioni illiberali del potere. Non ignoro che la giustizia, l’amministrazione della giustizia, necessita di riforme: in particolare, l’estenuante lunghezza dei processi causa alti costi, non solo economici, ai cittadini e al Paese tutto, nonostante l’impegno di magistrati e personale amministrativo nella carenza di mezzi e di risorse. Ed è per questa ragione che la maggioranza di Governo è poli14 Temi per la legalità ticamente responsabile di fronte al Paese, per non aver voluto affrontare i veri nodi della giustizia, intervenendo, come sarebbe stato necessario e urgente, per la semplificazione delle forme processuali e, al contempo, potenziando e ammodernando l’organizzazione giudiziaria. Oltre i “tagli lineari” che si sono susseguiti nei bilanci annuali dello Stato, nessuna iniziativa è stata intrapresa dal Ministro della Giustizia per l’ottimizzazione delle risorse e dell’organizzazione degli uffici giudiziari; ed anche i progetti di informatizzazione si sono ridotti alle più modeste dimensioni della digitalizzazione di atti e nella posta certificata, peraltro realizzata solo in alcune sedi ed ancora in via sperimentale . Sul terreno della riforma costituzionale, definita “epocale” dal ministro Alfano, i contenuti delle proposte sono preoccupanti, perché mettono in serio pericolo l’obbligatorietà dell’azione penale e l’autonomia e l’indipendenza della magistratura, primaria garanzia dell’uguaglianza dei cittadini. Per non parlare poi della riforma delle intercettazioni telefoniche, sorta con la precisa finalità, nemmeno tanto occulta, di ridurre drasticamente il ricorso degli inquirenti a questo essenziale mezzo di ricerca della prova per il contrato del crimine, e di mortificare il diritto di informazione e all’informazione. E tanto in un contesto di grande espansione delle attività illecite e in presenza, come è stato denunciato dal Procuratore generale della Corte dei conti, di livelli di corruzione molto alti, che rappresentano una patologia dilagante nella pubblica amministrazione. Il Governo, invece di potenziare l’azione di contrasto alla criminalità, nega le necessarie risorse materiali e personali alle Forze di polizia e alla magistratura inquirente; e, per completare un quadro paradossale, promuove leggi di irragionevole riduzione dei termini di prescrizione dei reati, che consegnerebbero al macero anni e anni di fatica investigativa e di lavoro nei tribunali. Io non ho formule taumaturgiche per uscire dalla grave crisi istituzionale. Però, come ha scritto Valerio Onida, il rapporto tra politica e giurisdizione può essere recuperato allentando il conflitto e la tensione, con la volontà, oltre che la lealtà reciproca, di attuare i principi costituzionali: il ceto politico deve allontanare da sé la “tentazione” di porre mano ai problemi della giustizia limitando l’autonomia e l’indipendenza della magistratura. I magistrati, dal canto loro, devono rafforzare la consapevolezza che la propria fonte di legittimazione è “nei compiti ad essi affidati di salvaguardia dei diritti e delle regole costituite e nei requisiti di competenza e di indipendenza che essi debbono possedere”. 15 Introduzione di Donatella Ferranti 16 Temi per la legalità Interventi alla Camera dei deputati 17 Introduzione di Donatella Ferranti 18 Temi per la legalità Leggi ad personam 19 Introduzione di Donatella Ferranti 20 Seduta n. 32 di giovedì 10 luglio 2008 Lodo Alfano Esame degli articoli Signor Presidente, onorevoli colleghi, questa mattina ho ascoltato con attenzione gli interventi dei colleghi della maggioranza, sperando di individuare un filo conduttore che mi portasse a capire qual è stato realmente lo spirito del provvedimento che si sta per approvare, e che francamente lede vari principi della nostra Costituzione e del nostro ordinamento democratico. In realtà vorrei rilevare che negli interventi della maggioranza vi sono delle forti contraddizioni. C’è chi, in maniera molto più diretta, fa un chiaro riferimento all’interesse alla sospensione del processo penale che pende a carico del Presidente del Consiglio. C’è chi cerca di riportare gli interventi dell’Aula, di quest’Aula che rappresenta il popolo italiano, a dei principi più alti e parla quindi di riflessione in tema di sistema della politica, di sistema della giustizia. Ma queste stesse contraddizioni le abbiamo vissute in Commissione giustizia. È qui presente il Ministro Alfano, che ha presentato alla Commissione giustizia riunita il programma dei lavori del suo Ministero e non ricordo, Ministro, che lei nell’illustrare il programma abbia mai detto che di lì a poco sarebbe stato il padre di questo lodo, il lodo Alfano. Ha parlato di un programma per la giustizia, per l’efficienza della giustizia, senza tagli; anzi, ha detto che avrebbe fermamente lottato per aver più mezzi, perché ovviamente la giustizia ne ha bisogno. Ma non ha mai parlato del vero programma. Ha parlato di riforma dei codici, ha detto che avremmo riformato il codice penale e il codice civile, ha fatto un larvato riferimento a una riforma, comunque a una revisione della disciplina delle intercettazioni, ma non ha mai parlato del vero programma, quello che ci siamo trovati addosso in Commissione giustizia, quello che serviva a risolvere non i problemi della giustizia, ma i problemi giudiziari delle alte cariche dello Stato. Anzi, rettifico, perché rispetto chi ricopre alte cariche dello Stato, il Presidente la Repubblica, il Pre- Legge n. 124 del 23 luglio 2008 - Disposizioni in materia di sospensione del processo penale nei confronti delle alte cariche dello Stato 21 Temi per la legalità sidente della Camera, il Presidente del Senato, che non hanno pendenze giudiziarie. In realtà si volevano risolvere i problemi giudiziari del Presidente del Consiglio. Ci siamo trovati quindi in un mese a far fronte ai colpi di una decretazione d’urgenza, dell’inserimento in Aula dei due emendamenti «salvapremier», del contingentamento di tempi per approvare il disegno di legge in esame, che è stato portato soltanto ieri all’esame della Commissione. Avete ottenuto il vostro mandato elettorale sulla base di un programma in cui parlavate di sicurezza dei cittadini, di funzionamento della giustizia, del maggior potere d’acquisto dei salari degli italiani: mai, invece, nel programma o nei vari dibattiti che avete fatto in campagna elettorale, avete parlato delle pendenze del Presidente del Consiglio. Eppure, agite come se la maggioranza che avete ottenuto (senza rappresentare la realtà dei vostri scopi) vi autorizzasse a creare un privilegio assoluto per i governanti, in spregio dei principi costituzionali. Oggi si sta compiendo un grave attacco alla Costituzione, e credo che molti ne siano consapevoli, inclusi alcuni di voi della maggioranza: si introduce infatti un privilegio perso- 22 nale, violando la pari efficacia formale delle leggi e proponendo una disciplina incoerente. Per giustificare ciò, è stata utilizzata impropriamente – anche da parte di colleghi che hanno svolto il mio stesso mestiere prima di fare il deputato – una sentenza della Corte costituzionale: e questa è una cosa grave, poiché tutti sappiamo leggere ed interpretare una sentenza della Corte. Si è infatti letta ad uso e consumo personale una sentenza che non avallava assolutamente una legge come quella al nostro esame. La Corte costituzionale ha infatti considerato solo in via generale una possibilità di comparazione dei valori al fine di un sereno svolgimento dell’attività governativa. Ma il prestigio delle istituzioni è assicurato non già da espedienti tecnici, quali sono le norme che ritardano la celebrazione dei processi, ma dal valore e dagli ideali perseguiti, dal disinteresse personale, dalla probità dei governanti, dal loro rigore morale e dalla loro intelligenza politica. Chiedo, pertanto, in conclusione che venga approvato questo emendamento, il quale almeno evita la sospensione in presenza di processi concernenti reati gravi (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico). Legittimo impedimento Seduta n. 272 di lunedì 25 gennaio 2010 Legittimo impedimento Discussione sulle linee generali Credo sia utile rammentare quale sia la disciplina attuale del legittimo impedimento a comparire, una norma che, per l’appunto, riguarda e garantisce la partecipazione dell’imputato al suo processo. In realtà, già oggi la disciplina che è stata introdotta con il nuovo codice di procedura penale del 1989 prevede che il giudice, anche d’ufficio, sospende o rinvia il dibattimento quando risulta che l’assenza sia dovuta o quando appare probabile che sia dovuta a caso fortuito, forza maggiore o altro legittimo impedimento. La novità del 1988 fu proprio quella della non necessità di prova assoluta di esistenza: è sufficiente la semplice probabilità dell’impedimento, ove questo sia assoluto. Con la proposta in esame come si vuole stravolgere questo sistema, che è già un sistema di ampia e sufficiente garanzia dell’imputato a partecipare giustamente al suo processo? Individuando ipotesi astratte di legittimo impedimento legate all’assolvimento concomitante di funzioni istituzionali quale Pre- sidente del Consiglio o Ministro che, per la loro genericità e il riferimento all’attività politica, preparatoria, di Governo, conseguente, o comunque connessa, fanno sì che in realtà vi sia un automatismo rispetto alla deduzione del legittimo impedimento, ossia dell’impedimento, rispetto all’andamento del processo. In realtà, questa materia non è nuova: è già stata valutata dalla Corte costituzionale, che, nel risolvere dei conflitti di attribuzione, si è già espressa nell’individuare quali sono i limiti per il legislatore. I limiti sono proprio quelli - disse la Corte costituzionale in quelle sentenze del 2001 e del 2003 - che non si può individuare una soluzione automatica che fa poi derivare come un automatismo necessario il legittimo impedimento e, quindi, sospende il processo penale. Proprio la giurisprudenza della Corte costituzionale, infatti, ha valorizzato un altro elemento critico che si cercò all’epoca di individuare proprio con riferimento al legittimo impedimento governativo e parlamentare. Nella Legge n. 51 del 7 aprile 2010 - Disposizioni in materia di impedimento a comparire in udienza (abrogata con il referendum del giugno 2011, Gazzetta Ufficiale n. 167 del 20/07/2010) 23 Temi per la legalità sentenza del 2001, infatti, proprio in relazione alla regola che suggeriva la Camera dei deputati all’epoca - mi pare che si riferisse al caso Previti - di configurare come legittimo impedimento la partecipazione del parlamentare alle sole votazioni in Assemblea, la Corte affermò che tale regola acquisirebbe sempre una impropria valenza derogatoria del diritto comune. Il punto è che l’introduzione di una norma astratta, generalmente derogatoria delle regole processuali comuni che valgono per tutti i cittadini, rischia di creare una ingiustificata disparità di trattamento tra imputati titolari di cariche istituzionali e imputati che non lo siano. Nell’assetto costituzionale vigente non ci possono essere garanzie che differenzino la posizione degli imputati tra di loro a seconda che siano o meno titolari di cariche costituzionali se non attraverso il riferimento al testo costituzionale che oggi è costituito dal nostro articolo 68, reduce tra l’altro da una modifica e da un referendum su questo punto che ha ridotto o comunque individuato quali sono le prerogative costituzionali dei parlamentari e, quindi, anche degli uomini di Governo. Per questi ultimi, poi, esiste una particolare disciplina che riguarda i reati funzionali, ovvero commessi nell’esercizio delle loro funzioni, per cui esiste la giurisdizione del tribunale dei ministri. 24 Quindi, qualsiasi deroga alla regola di comune rispetto della giurisdizione andrebbe perlomeno prevista con legge costituzionale e tra l’altro senza andare a ricercare lontano nel tempo l’individuazione di quelle sentenze che stabilirono i conflitti abbiamo avuto una sentenza recente, quella che ha dichiarato incostituzionale il lodo Alfano - la n. 262 del 2009 -, che ha ribadito gli stessi concetti. Questo testo di legge - sul quale, qualora non venga modificato, possiamo sin da ora annunciare il nostro voto contrario - sostanzialmente crea quell’automatismo che non può essere accolto in un principio di compatibilità del sistema. Diverso è se la qualificazione dell’azione governativa come legittimo impedimento processuale venga a sottostare ad una valutazione nel caso concreto del giudice che ha il governo e la responsabilità del processo. Infatti, se in altri procedimenti legislativi (che, come abbiamo visto, hanno avuto un iter abbastanza travagliato, ma comunque concluso nell’ambito del Senato, il cosiddetto provvedimento riconducibile alla nozione di processo breve, o comunque processo di ragionevole durata) vediamo come venga valorizzata la responsabilità del giudice nella conduzione del processo e, quindi, anche nell’assicurare dei tempi alla giustizia, in questo caso si deroga incoerentemente a tutto quello che Legittimo impedimento di là è stato detto. Infatti, in questo caso il giudice è soltanto passivamente un notaio di avvenimenti che riguardano e si formano fuori dal processo. Possono addirittura derivare da comportamenti unilaterali di chi è titolare della funzione pubblica, che governa i tempi dei suoi impegni molte volte e che, quindi, determinerebbe immediatamente il governo anche dei tempi processuali, anzi della sospensione automatica e senza contraddittorio alcuno dell’attività processuale. Quindi non si può ricorrere, come accade nella proposta concreta, a formule vaghe e onnicomprensive in cui si parla anche per i ministri di attività inerenti alle funzioni istituzionali o politiche comunque regolate o facenti riferimento a delle norme generali che non tipizzano, perché non può essere tipizzata l’attività di Governo. L’attività di Governo può essere tipizzata in alcune sue forme, ad esempio nel caso della riunione di un Consiglio dei ministri, ma in tante altre diventa qualcosa che non può essere stretto entro dei paletti così stringenti, ma deve essere qualcosa che si adatta e si conforma alle esigenze dell’amministrazione. Quindi, in quanto tale non può essere tipizzata in maniera generale e astratta e deve essere valutata in concreto dal giudice nel contraddittorio delle parti, perché un processo ha delle parti: oltre all’imputato c’è il pubblico ministero e la parte civile. Se lo scopo fosse quello di assicurare la possibilità di difendersi personalmente nel processo, senza pregiudicare il compimento di attività connesse all’ufficio, nella legge si dovrebbe trovare un adeguato contemperamento di queste esigenze. Se invece, come viene anche ammesso e sbandierato, si intende tutelare la funzione istituzionale evitando la necessità di difendersi nel processo, perché esso può turbare - come si dice nella relazione e nella premessa - lo svolgimento dell’attività connessa alla carica, allora la strada non è quella della modifica della norma processuale del codice di procedura penale. Ciò vuol dire ammettere che l’impedimento deve valere a tempo indeterminato, cosa che in realtà provoca una sospensione del processo e quindi la via non può essere quella della modifica della legge ordinaria, ma deve essere necessariamente quella della legge costituzionale. Il tutto, come dicevo, sempre attraverso un contraddittorio con le altre parti. Questa legge è talmente fatta su misura di due processi, dove non mi risulta che si siano costituite delle parti civili, che in realtà non si prova nemmeno a pensarci. Si formula una norma generale e astratta, sia pure con una premessa che la riconduce ad una specifica esigenza quasi palesata, e poi d’altro canto si introduce un mostro giuridico che fa venir meno qualsiasi principio del contraddittorio. Il 25 Temi per la legalità principio del contraddittorio è tanto richiamato da tutti, sia al Governo che nel Parlamento, come un principio basilare che deve essere effettivamente garantito, ma poi non si tengono in nessun conto i costi materiali e umani che derivano dalle udienze che dovrebbero perciò essere limitate allo stretto indispensabile: è il giudice che ne dovrebbe tener conto nella valutazione concreta. Non si tiene conto del sacrificio dei diritti delle altre parti, anche della parte pubblica che rappresenta lo Stato nell’esercizio della sua potestà punitiva. In conclusione, ritengo che l’esigenza di permettere l’esercizio di funzioni pubbliche da parte di un componente di un organo costituzionale, delle Camere parlamentari o di una carica pubblica o governativa che sia imputato in un processo, consentendo il regolare e integro svolgimento delle stesse funzioni - mi permetto di rappresentarlo a tutti, ma credo che tutti quanti voi già lo sappiate - è già pacificamente considerata come causa di possibile legittimo impedimento, valutata nel caso concreto dal giudice, che dà luogo al rinvio dell’udienza. In tal senso è dominante la prassi giudiziaria, la giurisprudenza dei giudici comuni e della Corte costituzionale. Quindi l’affermazione contenuta nelle premesse del testo della legge appare inutile e demagogica, ed è volta in realtà a giustificare all’opinione pubblica un’inutile legge ad personam. 26 Il principio base da seguire, infatti, se si vuole assolvere al ruolo di legislatore e se questo legislatore non deve solo e soltanto perseguire gli interessi di un singolo, è sempre quello del bilanciamento tra contrapposte esigenze: da un lato, vi è l’interesse all’effettivo esercizio della funzione giurisdizionale attraverso la celebrazione del processo, dall’altro, vi è l’interesse al continuativo e regolare svolgimento delle funzioni pubbliche, specie se facenti capo ad organi costituzionali. Questa disciplina che si vuole introdurre è l’ennesimo tentativo di piegare le regole del sistema alle esigenze processuali di una sola persona, poiché stabilisce a priori e in modo vincolante che la titolarità e l’esercizio di funzioni costituiscono sempre legittimo impedimento per tutta la durata della carica pubblica, per lunghi periodi di tempo predeterminati, prescindendo da qualsiasi valutazione del caso concreto, prescindendo dall’effettiva connessione di quell’impedimento, di quell’impegno all’esercizio della funzione di Governo. Si traduce in una vera e propria prerogativa di titolari di cariche pubbliche, diretta a proteggerne lo status e la funzione, realizza una deroga al normale esercizio della funzione giurisdizionale che solo il legislatore costituzionale può eventualmente stabilire. Tutto questo mentre il Paese attraversa una crisi difficilissima e nessun progetto Legittimo impedimento organico di riforma per la giustizia è stato di fatto elaborato né sottoposto all’esame parlamentare. Mi avvio a concludere, Presidente. Un’altra riflessione mi è d’obbligo perché siamo all’ennesimo provvedimento ad personam che si colloca in una gincana di provvedimenti sapientemente dosati nei tempi e nei percorsi di discussione in Commissione e in Assemblea, tra Camera e Senato, ora accelerati, ora rallentati, con uno spreco di tempo, di energie, di risorse pubbliche in Parlamento e con l’unico, ossessivo scopo di sospendere i processi in corso di cui abbiamo parlato tante volte. Lascia perplessi, e devo dire personalmente sconcertati, il fatto che molte intelligenze politiche si sforzino di trovare comunque una giu- stificazione alla reintroduzione di una immunità parlamentare che, partendo dalle contingenti pendenze penali del Presidente del Consiglio, viene individuata come la condizione necessaria per restituire alla politica la forza e la capacità decisionale perduta. Credo, però, che noi tutti dobbiamo stare attenti a ciò che agli occhi di molti cittadini si pone come un ulteriore privilegio per la classe politica, un venir meno del principio di eguaglianza dei cittadini dinanzi alla legge in nome di una funzionalità di Governo, quasi che il voto popolare sia una sorta di purificazione da tutti i peccati, anche di natura penale, e come se, una volta eletti, rendesse il rappresentante del popolo una sorta di princeps legibus solutus. 27 Temi per la legalità 28 Intercettazioni - prima lettura Seduta n. 138 di lunedì 23 febbraio 2009 Intercettazioni telefoniche (prima lettura) Discussione sulle linee generali, intervento del relatore di minoranza Abbiamo ritenuto necessario presentare una nostra proposta, un nostro articolato che rappresenta una linea coerente di contemperamento delle esigenze di razionalizzazione del ricorso alle intercettazioni e la tutela delle parti da improprie diffusioni di dati non rilevanti per il procedimento con quelle di non compressione delle esigenze di garantire efficaci e tempestivi interventi di repressione nell’immediatezza della commissione dei reati o nella permanenza dell’azione criminosa o dei suoi effetti; il tutto senza pregiudizio nei confronti di intere categorie di operatori della giustizia, senza voler attuare interventi punitivi, senza lesioni irreparabili del principio costituzionale di informare e essere informati, ribadito di recente nella sentenza del 2007 della Corte Europea dei diritti umani (affaire Depuis). L’esigenza di rivedere il sistema delle intercettazioni parte da alcuni episodi gravi - che hanno originato veri e propri scandali - di pubblicazione indiscriminata del contenuto delle conversazioni ed intercettazioni, nell’ambito di procedimenti penali ancora in corso di indagine; dall’osservazione delle statistiche secondo le quali l’Italia sarebbe il paese almeno in Europa - con il maggior numero di intercettazioni effettuate; dal lievitare dei costi per le captazioni, sempre più insostenibili, soprattutto in un paese che riduce annualmente i fondi per l’amministrazione della giustizia. Anche se nel valutare questi ultimi dati sarebbe forse opportuno tenere a mente alcune specificità del nostro paese: come per esempio il fatto che da noi non è consentito all’Esecutivo intercettare in via autonoma, sicché anche le intercettazioni preventive richiedono pur sempre l’autorizzazione della magistratura. Il che fra l’altro comporta che tutte le intercettazioni vengano alla luce e possano essere registrate, mentre nei numeri delle intercettazioni di altri Paesi (l’Inghilterra ne è l’esempio più ecla- AC 1415 Disegno di legge - Norme in materia di intercettazioni telefoniche, telematiche e ambientali. Modifica della disciplina in materia di astensione del giudice e degli atti di indagine. Integrazione della disciplina sulla responsabilità amministrativa delle persone giuridiche 29 Temi per la legalità tante) si sconta un numero «occulto» di intercettazioni, compiute all’insaputa delle statistiche ufficiali e della conoscenza della collettività. Le intercettazioni telefoniche sono sicuramente uno strumento d’indagine insidioso, particolarmente invasivo, ma proprio per questo a volte efficacissimo e insostituibile. Le intercettazioni proprio perché implicano una lesione della libertà degli individui alla segretezza delle comunicazioni, una libertà direttamente e rigorosamente tutelata dall’articolo 15 della Costituzione, che ne subordina la restrizione sia alla riserva di legge quanto alla riserva di giurisdizione, in termini ancora più rigidi di quanto stabilito per la libertà personale, sono comunque uno strumento d’indagine insostituibile e questo è un dato che troppo spesso sembra non essere sufficientemente valorizzato; così come è insostituibile il diritto-dovere della stampa di poter informare sulle inchieste penali, sul modo in cui la giustizia viene concretamente amministrata, specie nei casi più sensibili. Sennonché l’impressione è che la proposta del Governo abbia ecceduto proprio nella protezione della libertà delle comunicazioni, quasi ignorando che vi sono interessi con essa confliggenti, interessi degni di valore, anche costituzionale, che non possono essere del tutto sacrificati. L’articolo 2 infatti modifica gli ar30 ticoli 114 e 115 del codice di procedura penale, relativi al divieto di pubblicazione di atti di indagine; in particolare il comma 1 sostituisce il comma 2 dell’articolo 114 del codice di procedura penale relativo al divieto di pubblicazione, anche parziale degli atti di indagine, anche se non più coperti dal segreto, fino a che non siano concluse le indagini preliminari ovvero fino all’udienza preliminare. Un black out informativo, si è sostenuto in più occasioni, nel dibattito in Commissione che costituisce un ritorno al passato: l’articolo 164 del codice di procedura penale del 1930 vietava infatti di pubblicare gli atti di istruzione fino alla chiusura della stessa. A differenza di quanto previsto dalla normativa vigente prima della conclusione delle indagini preliminari secondo la proposta del Governo non sarà più possibile conoscere del contenuto degli atti di indagine e tanto meno del contenuto di conversazioni telefoniche oggetto di intercettazioni, siano o meno rilevanti per le indagini. La norma in sostanza ha eliminato la distinzione tra atto e contenuto dello stesso, con una conseguenza assai pesante sull’esercizio del diritto fondamentale quale è il diritto di cronaca, che viene ad essere in modo sproporzionato compresso sia sotto il profilo temporale che sostanziale, riguardando anche gli atti non più coperti da segreto istruttorio. Intercettazioni - prima lettura Gli emendamenti presentati dal gruppo di opposizione del PD, respinti in Commissione giustizia, e ripresentati in aula così come la nostra proposta di minoranza, sono tutti volti a consentire che una volta caduto il segreto di indagine sia possibile la pubblicazione del contenuto dell’atto di indagine, stabilendo invece che per le intercettazioni il divieto cada al momento in cui si sia proceduto allo stralcio e cioè quando il giudice abbia nel contraddittorio delle parti, provveduto alla selezione delle conversazioni rilevanti per il procedimento; mentre è stato ribadito con forza il divieto di pubblicazione con riferimento alle intercettazioni irrilevanti. Si è cercato cioè un approccio non monodimensionale come quello che invece caratterizza la proposta del Governo in tutti i suoi aspetti, sia nella versione originaria che in quella successiva all’emendamento presentato alla Commissione giustizia, che ha inciso significativamente sui presupposti delle intercettazioni, realizzando in nome della protezione della libertà della segretezza un’eccessiva compressione della concorrente esigenza di repressione del reato. Una riflessione specifica meritano infatti i ripensamenti della maggioranza in tema di presupposti per l’intercettazione. Nella proposta iniziale si prevedeva che le intercettazioni fossero con- sentite per un novero di reati molto ridotto rispetto a quanto non sia previsto oggi. Rimaneva la possibilità di intercettare i delitti dolosi contro la pubblica amministrazione puniti con cinque o più anni di reclusione - pur con i molti dubbi pubblicamente esternati - ma si innalzava significativamente la soglia generale di intercettabilità - delitti non colposi per i quali è prevista la pena dell’ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a dieci anni di reclusione. In pratica, una significativa riduzione dei reati intercettabili, che è stata immediatamente criticata - che abbiamo immediatamente criticato - perché alcuni gravi reati contro la libertà personale e contro il patrimonio, puniti con la reclusione superiore ai cinque anni restavano esclusi, come il sequestro di persona, come l’usura, la ricettazione, oltre ad altri gravi reati: lo sfruttamento della prostituzione, l’associazione per delinquere, eccetera. Ma, soprattutto, si operava una selezione dei reati senza tenere conto delle loro caratteristiche strutturali e dell’utilità e necessità dell’intercettazione rispetto ad alcuni di essi; ci sono reati infatti per i quali l’intercettazione è un mezzo praticamente insostituibile: basti pensare a tutti i reati che si concretano in una societas o in un pactum sceleris. Era una soluzione priva di ragionevolezza che deprimeva in modo ingiustificato l’esigenza di prevenire e con31 Temi per la legalità trastare i reati gravi, che è pure una esigenza di rilievo costituzionale (che mi pare trovi emersione soprattutto nell’articolo 112 della Costituzione) in nome di un generico richiamo ai principi della tutela del cittadino a vedere «tutelata la loro riservatezza soprattutto quando estranei al procedimento», che troviamo espressa nella relazione illustrativa al disegno di legge governativo. Con il testo oggi in aula il Governo ha fatto un’altra marcia indietro sui reati intercettabili, si è tornati alla formulazione del codice attuale contenuta nell’articolo 266, comma 1, ma in compenso si è stabilito che le intercettazioni sono consentite solo quando vi siano gravi indizi di colpevolezza e non - come accade invece oggi - in presenza di gravi indizi di reato: cioè, mentre stando al codice odierno per intercettare basta che vi sia una prova certa che un reato grave è stato commesso, se il disegno di legge governativo diventerà legge sarà necessario che il pubblico ministero abbia raccolto non solo prove dell’esistenza del reato (cosiddetta prova generica), ma anche prove che quel reato sia stato commesso da una certa persona. Questa soluzione però non muta la sostanza del problema, anzi forse la aggrava. Perché non si comprende che senso abbia consentire al pubblico ministero di intercettare quando ormai la sua indagine ha raggiunto un tale livello di avanzamento da es32 sere prossima alla conclusione. Che bisogno ha di intercettare un pubblico ministero che abbia già raccolto numerose ed incisive prove a carico di una persona? Quale finalità processuale può avere in mente un pubblico ministero che chieda di intercettare quando può già sostenere l’accusa in giudizio? Che ragione può avere per intercettare un pubblico ministero che abbia già in mano gli elementi per chiedere ed ottenere la custodia cautelare nei confronti di una persona? La sostanza mi pare sia chiara: dietro l’innalzamento del requisito dei gravi indizi - da indizi di reato ad indizi soggettivati di colpevolezza - si cela una sorta di veto all’intercettazione. Togliere questo mezzo di ricerca della prova al pubblico ministero proprio nelle circostanze in cui sarebbe più utile, cioè per scoprire i colpevoli ignoti di un reato, e viceversa concederlo quando ormai l’indagine ha fatto il suo corso, quando si sono già raccolte prove che attestano la colpevolezza di una persona, significa in sostanza escludere che si possa intercettare. Vi è poi il problema del cosiddetto doppio binario: per i delitti previsti dall’articolo 51, comma 3-bis e 3-quater del codice di procedura penale. Il presupposto per l’intercettazione è che vi siano sufficienti indizi di reato e vi è la possibilità di effettuare le intercettazioni cosiddette ambientali Intercettazioni - prima lettura anche se non vi sono motivi per ritenere che si stia svolgendo l’attività criminosa nel luogo in cui si realizza la captazione. Non si tratta in realtà di una grande conquista, come invece è stata sbandierato dalla maggioranza, in quanto il regime che oggi è in vigore, previsto dall’articolo 13 del decreto-legge 13 maggio 1991 n. 152 convertito in legge 12 luglio 1991, n. 203, in vigore, già lo prevede ed è stato abrogato dall’articolo 16 del disegno di legge n. 1415 (cosiddetto Alfano). A questo punto ritengo sia evidente come la proposta formulata dalla maggioranza di introdurre il requisito dei gravi indizi di colpevolezza sembra incorrere in un grave equivoco, perché confonde i presupposti necessari per intercettare con la quantità di bersagli intercettabili, con la quantità di utenze e luoghi che possono essere posti sotto captazione. Si continua ad avere l’impressione che si continui a sovrapporre il problema dei presupposti delle intercettazioni con quello delle utenze intercettabili. Ma un conto è determinare il momento dell’indagine in cui ci si possa servire del mezzo captativo, le condizioni al cui ricorrere le intercettazioni possano essere disposte. Altro conto è invece cercare di limitare il numero dei bersagli, l’ambito dei soggetti intercettabili, per impedire la cosiddetta intercettazione generale o a strascico. Resta il fatto che, se l’obiettivo è quello di ridurre le lesioni della segretezza e della privacy che non siano compensate dal «ritorno» di una qualche utilità processuale, mi pare illogico alzare la soglia dei presupposti; limitare l’ambito degli apparecchi o dei luoghi intercettabili, richiedendo uno stretto collegamento funzionale con l’indagine e una rigorosa ed autonoma motivazione del giudice - senza incidere sui presupposti (e quindi mantenendo i gravi indizi di reato) - è la soluzione più ragionevole ed adeguata a garantire quel contemperamento di interessi di rilevanza costituzionale - esigenze della riservatezza ed efficacia della risposta repressiva ed esigenze del processo - che sembravano dover costituire la motivazione dell’intervento riformatore. In questo senso va la nostra proposta e in particolare l’articolo 4 dell’articolato di minoranza del Partito Democratico. Eguale discorso vale per le intercettazioni ambientali. Anche qui la disciplina proposta si spinge, per tutelare la libertà delle comunicazioni, sino a rendere più arduo il compimento di intercettazioni ambientali. Si prevede infatti che il presupposto legato al fondato motivo che, nel luogo intercettato, si stia compiendo l’attività criminosa valga per tutte le operazioni e non solo per quelle compiute nel domicilio, con l’eccezione riferita ai delitti di cui all’articolo 51 del codice di procedu33 Temi per la legalità ra penale di cui ho già parlato per i quali vi è stato un intervento riparatore, dell’ultima ora. Ma anche qui la protezione della libertà di comunicazione è gratuitamente estremizzata: perché il requisito del fondato motivo che nel luogo intercettato si stia svolgendo l’attività criminosa era stato pensato dal legislatore del 1988 non tanto per proteggere le comunicazioni, quanto per proteggere in modo specifico il domicilio. La ratio era questa: se faccio un’intercettazione, telefonica o ambientale, ho bisogno dei presupposti previsti dall’articolo 267 (titolo di reato, gravi indizi, indispensabilità); se però nell’intercettare violo anche la libertà di domicilio allora è necessario che ricorra un presupposto aggiuntivo, concepito proprio - ed in via esclusiva - per proteggere il domicilio, il requisito del fondato motivo che sul luogo si stia svolgendo l’attività criminosa. La proposta della maggioranza in pratica estende una garanzia che era stata pensata in via esclusiva per il domicilio a tutte le ipotesi di intercettazioni ambientali per reati non di mafia e terrorismo; ed anche qui si stenta a comprenderne la ragione, ma il risultato è un ispessimento delle garanzie richieste per tutte le intercettazioni ambientali. Per quale ragione per intercettare con una microspia in un ristorante dovrebbero essere richieste più cautele di quando si intercetta il telefono di 34 una persona? In che modo un’intercettazione ambientale compiuta in luogo pubblico è da considerare più pericolosa di un’intercettazione telefonica o telematica? Si prendano poi le regole sulla proroga. Il testo del Governo prevedeva originariamente una durata delle intercettazioni di quindici giorni, prorogabile sino ad un termine massimo di tre mesi. L’emendamento del Governo ha innovato sul punto: ora la durata è di 30 giorni, prorogabile di quindici giorni per non più di due volte. Dunque, adesso il termine massimo, inderogabile, per intercettare sarebbe di sessanta giorni. Qui la protezione della segretezza delle comunicazioni ha partorito un limite rigido, incomprimibile, un argine invalicabile dinnanzi a cui le esigenze d’indagine devono sempre e comunque arrestarsi. In qualche ipotesi potrà essere ragionevole, in altri casi rappresenterà un grosso freno alle investigazioni, perché due mesi potrebbero essere un tempo troppo esiguo per raccogliere gli elementi utili, specie quando le inchieste siano complesse ed articolate, con molti indagati. La previsione di un limite rigido, non derogabile, rischia di sacrificare troppo le esigenze di repressione dei reati. Infatti, su questo punto nella nostra proposta, pur tenendo conto dell’importanza di evitare intercettazioni infinite, sine die, abbiamo previsto che le proroghe sia- Intercettazioni - prima lettura no possibili solo a condizioni molto rigorose, solo qualora siano emersi elementi nuovi rispetto a quelli in forza dei quali l’autorizzazione era stata concessa. Inoltre, nella proposta del Governo si equiparano alle intercettazioni operazioni che non ledono direttamente la libertà costituzionale ex articolo 15 della Costituzione: l’acquisizione di tabulati e tutte le operazioni di videoripresa sono equiparate infatti ad un’intercettazione. Anche qui, nell’ottica di proteggere la segretezza delle comunicazioni si fa di tutta l’erba un fascio. Non c’è una profonda differenza fra captare un dialogo e acquisire lo stampato delle telefonate in uscita e in entrata da un’utenza? Nel primo caso ascolto esattamente quello che due persone si comunicano riservatamente, penetro nel profondo della loro intimità. Nel secondo caso, invece, non si lede direttamente la segretezza delle comunicazioni, per il semplice fatto che il contenuto delle comunicazioni non viene affatto carpito e la conversazione resta di esclusiva conoscenza dei dialoganti. Che poi si sia talora abusato del ricorso ai tabulati, questo non elide la sostanza del problema: l’acquisizione di tabulati non incrina la libertà tutelata dall’articolo 15 della Costituzione, semmai i problemi scaturiscono dall’uso distorto, non legittimo, che in ogni caso riguarda altri piani di valutazione dei soggetti cui sono attribuibili tali comportamenti. Tra l’altro solo pochi mesi fa il Governo ha innovato la disciplina relativa all’acquisizione dei tabulati, riscrivendo in gran parte l’articolo 132 del codice della privacy (decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196) e attribuendo al pubblico ministero il potere di acquisire per mezzo del suo decreto i dati di traffico telefonico e telematico. La proposta del Partito Democratico prevede che durante le indagini preliminari, i dati di traffico siano acquisiti con decreto motivato del giudice, salvo i casi di urgenza dal pubblico ministero (comma 1), che il difensore possa richiederne l’acquisizione direttamente al fornitore del servizio ai sensi dell’articolo 391-quater (comma 2), senza però intervenire sull’innalzamento dei presupposti. Discorso simile per le videoriprese. Sappiamo che nel nostro ordinamento processuale c’è una lacuna, perché non è prevista una disciplina ad hoc di questo mezzo di ricerca della prova. Questo ha dato origine ad una serie di interventi giurisprudenziali che hanno cercato di fissare le coordinate di base della materia. Così, possiamo ormai dire di disporre di qualche punto fermo. Che una videoripresa, se non cattura comportamenti comunicativi, non equivalga ad un’intercettazione è stato autorevolmente affermato dalla Corte costituzionale (Corte costituzionale n. 135 del 2002): per quale ragione allora per compierla 35 Temi per la legalità dovrebbero sussistere tutte le garanzie delle intercettazioni? Questa equiparazione alle intercettazioni di operazioni (tabulati e videoriprese) che non hanno una diretta incidenza sulla libertà costituzionale di segretezza delle comunicazioni, comporta un innalzamento di garanzie non giustificato dal tipo di attività che si compie e, contemporaneamente, rende più ardue le investigazioni, le ostacola in barba a tutti i principi sbandierati di sicurezza per i cittadini. Sul piano dell’esecuzione delle operazioni, tre sono gli snodi principali presi di mira dalle proposte di riforma legislativa: la disciplina degli impianti predisposti alla registrazione e all’ascolto delle intercettazioni; la istituzione di un archivio riservato; la disciplina dello stralcio delle comunicazioni irrilevanti. La disciplina del progetto di legge del Partito Democratico è quella che unisce più organicamente i tre punti. Si prevede infatti che le operazioni di registrazione delle intercettazioni avvengano per mezzo di impianti installati presso le procure generali o distrettuali (articolo 268, comma 3), con possibile dislocazione aliunde dell’ascolto. A questo punto i verbali e le registrazioni sono immediatamente inseriti nell’archivio riservato (articolo 268, comma 3-ter). Dall’archivio riservato, cui hanno accesso esclusivo i soggetti del procedimen36 to, le intercettazioni potranno uscire solo se giudicate rilevanti da una delle parti (pubblico ministero o difensori) o dal giudice. In particolare si stabilisce che, al termine delle operazioni di intercettazione, il pubblico ministero debba depositare i verbali e le registrazioni delle intercettazioni che ritiene rilevanti e, contestualmente, inviare avviso al difensore affinché si rechi presso l’archivio riservato e faccia altrettanto, ossia, selezioni le conversazioni che reputa rilevanti dal suo punto di vista (articolo 268-bis, commi 1-4): all’esito di queste attività si terrà l’udienza di stralcio, in cui il giudice disporrà l’acquisizione delle conversazioni che ritenga rilevanti (articolo 268-bis, comma 5) e che saranno poi trascritte da un perito (articolo 268-ter). Anche nel corso delle indagini preliminari, quando ancora le operazioni siano in corso (e quindi prima del deposito ai sensi dell’articolo 268bis), il pubblico ministero e il giudice possono servirsi processualmente delle conversazioni già captate, ma solo di quelle strettamente rilevanti (articolo 268-quater). Dunque, si inverte il meccanismo implicito nell’attuale disciplina: in linea di principio, solo le intercettazioni rilevanti dovrebbero essere inserite fra le «carte» del procedimento, mentre quelle irrilevanti resterebbero «al sicuro» nell’archivio Intercettazioni - prima lettura riservato (articolo 268-bis, comma 6), così assicurandosi in partenza una forte tutela alla riservatezza dei terzi coinvolti. Il progetto del Governo è alquanto simile su molti aspetti, ma complessivamente meno coerente. Anch’esso istituisce l’archivio riservato (articolo 268, comma 1). Anche qui si prevede che la registrazione delle conversazioni venga compiuta con impianti situati presso le procure generali (non anche distrettuali), con possibile dislocazione dell’ascolto presso gli uffici di polizia giudiziaria delegati (articolo 268, comma 3). Si mantiene, però, la regola per cui, al termine delle operazioni (salvo proroghe autorizzate), il pubblico ministero deve depositare i verbali e le registrazioni di tutte le conversazioni in segreteria, dando avviso al difensore che può prenderne visione (articolo 268, commi 4-6). Dunque, passano dalla segreteria del pubblico ministero tutte le intercettazioni, come già accade ora. Dopo che il difensore ha preso cognizione (senza diritto di prendere copia) delle intercettazioni, si tiene l’udienza di stralcio, che nel progetto del Governo viene resa indefettibile e rafforzata sul piano delle garanzie partecipative rispetto alle norme attuali (articolo 268, commi 6-bis, 6-ter). Le conversazioni selezionate in sede di stralcio saranno poi trascritte, sempre che il giudice lo ritenga necessario ai fini della decisione da assumere (articolo 268 comma 7). Sebbene istituisca l’archivio riservato, il progetto del Governo non fonde questa creazione con il meccanismo di stralcio: lo stralcio resta ispirato alle regole odierne, salvo come si diceva - un irrobustimento sul piano dell’udienza. Pertanto: le intercettazioni escono tutte dall’archivio riservato per transitare nella segreteria del pubblico ministero (a prescindere dalla loro rilevanza, che ancora deve essere giudicata); le intercettazioni saranno acquisite al procedimento, salvo che non siano espressamente escluse per manifesta irrilevanza o per essere vietate dalla legge. Qual è insomma la differenza fra la prospettiva della maggioranza e quella dell’opposizione? Il testo della maggioranza è animato da una sorta di esasperata protezione della segretezza delle comunicazioni, e finisce così per appiattirsi unicamente sulla protezione di quella libertà, estremizzandola irragionevolmente, sino al punto da ignorare ogni istanza confliggente, comprimendola in un angolo. Il progetto presentato dall’opposizione, così come gli emendamenti che abbiamo avanzato, si fanno invece carico di una visione, per così dire, più complessa, più ampia: l’idea è quella di proiettare la tutela della libertà della segretezza delle comu37 Temi per la legalità nicazioni all’interno di un articolato sistema costituzionale di valori e di farsi carico del bilanciamento di interesse. Insomma, proteggere la libertà di segretezza delle comunicazioni, ma senza atteggiamenti punitivi nei confronti di altri valori eventualmente confliggenti: il valore della repressione dei reati, il valore della libertà di stampa e del diritto di essere informati. È su questa linea che abbiamo incalzato e continueremo a incalzare il Governo perché ripieghi su soluzioni più ragionevoli, nell’interesse di tutti i cittadini. Il punto di partenza è l’idea che il numero delle intercettazioni sia da ridurre. La risposta è restringere i presupposti. Seduta n. 144 di mercoledì 11 marzo 2009 Esame di pregiudiziali Signor Presidente, nella nostra questione pregiudiziale di costituzionalità abbiamo illustrato tutte le nostre motivazioni di contrarietà alla Costituzione del provvedimento in esame. Le soluzioni che ha proposto il disegno di legge Alfano alle problematiche dei rapporti tra processo penale e informazione, tra diritto alla riservatezza ed efficacia della repressione penale, obbligatorietà dell’azione penale e sicurezza dei cittadini, sono irragionevoli e contrastano con i principi fondamentali della Costituzione. La fondatezza e la gravità delle questioni sollevate dall’opposizione del Partito Democratico in tutti i lavori di Commissione è avvalorata dalle vicende travagliate di questo testo che, uscito con urgenza dalla Commissione e calendarizzato per la di38 scussione generale, ancora aspetta di essere esaminato. Nel frattempo assistiamo a dichiarazioni alla stampa che annunciano modifiche, temperamenti e ripensamenti, ma ad oggi non sappiamo ancora quale sia il testo e il contenuto vero di tali ripensamenti. Andiamo ai punti di maggior rilievo e di impatto per la contrarietà alla Costituzione. Per l’indebita equiparazione del regime relativo agli atti coperti da segreto a quelli degli atti non più coperti da segreto, una parte significativa della fase delle indagini preliminari risulterà sottoposta ad un regime di divieto di pubblicazione, anche per riassunto, con evidente compressione dei valori riconducibili all’articolo 21 della Costituzione, il che può significare che ai cittadini verrebbe vietato di sapere il contenuto delle Intercettazioni - prima lettura indagini, se non a distanza di molto tempo dall’inchiesta: 18 mesi, due anni, forse anche di più. Nessuno ha mai negato che era necessario intervenire sulla disciplina della divulgabilità degli atti di indagine, ma per risolvere questa esigenza bastava affermare che le conversazioni intercettate restassero segrete finché il giudice non avesse selezionato, in contraddittorio con le parti, quelle rilevanti e confinare in un archivio segreto, con divieto permanente di divulgazione, quelle irrilevanti. Non c’era bisogno di intervenire pesantemente sull’articolo 114 del codice di procedura penale, con norme culturalmente e politicamente regressive, che riportano al codice Rocco, che non possono dirsi ispirate alla tutela della privacy, perché vi è il diritto dei cittadini ad essere informati e, quindi, vi è il diritto di cui all’articolo 21 della Costituzione. Veniamo poi ad altre abnormità, veniamo alle riprese visive: tutte le riprese visive e non soltanto quelle effettuate di nascosto in luoghi garantiti dalla tutela del domicilio sono state equiparate alle intercettazioni di conversazioni e comunicazioni. Questo non si confronta con il fatto che le riprese visive non sono di per sé destinate ad intercettare conversazioni. Ne conseguono ripercussioni ed un effetto irrazionale assai pericoloso: sebbene la polizia possa appostarsi per strada, seppure con estrema difficoltà operativa e rischio personale, ad osservare un’abitazione sospetta per verificare chi vi si rechi, non potrà predisporre un apparato di ripresa delle circostanze, perché dovrà prima verificare se quello rientra nell’elenco dei reati, se sussistono gravi indizi di colpevolezza, se c’è un giudice collegiale disposto ad autorizzare. Sull’altro punto, i gravi indizi di colpevolezza che sostituiscono i gravi indizi di reato, è diffusa forse l’ignoranza e la non conoscenza della differenza esistente tra indizi di reato e indizi di colpevolezza; è bene chiarirlo, forse siamo ancora in tempo: gli indizi di reato indicano che un reato è stato un commesso (esempio: c’è un morto sulla strada con un pugnale infisso sul petto o vi è una donna che denuncia di essere stata stuprata). Gli indizi di colpevolezza, invece, richiedono che un reato sia commesso da qualcuno specificamente, che a lui sia attribuibile e che, quindi, vi sia un colpevole. Questi sono gli stessi presupposti che sono richiesti per una visura della libertà personale. Il concetto di gravi indizi di colpevolezza indica, quindi, la sussistenza di un quadro definito di elementi di accusa che convergono su un soggetto, ascrivendogli la responsabilità di un fatto criminoso. 39 Temi per la legalità È irrazionale parificare ed equiparare questo quadro indiziario, richiederlo come fa il cosiddetto disegno di legge Alfano, in modo irragionevole, per l’autorizzazione ad utilizzare un mezzo di ricerca della prova, qual è l’intercettazione telefonica. Esigere per le intercettazioni telefoniche questi gravi indizi significa veramente svilire, snaturare, ostacolare ed impedire la ricerca della prova per accertare i reati. Un pubblico ministero potrà richiedere l’intercettazione telefonica solo per avere riscontri di una ricostruzione accusatoria già effettuata. Vi invito a riflettere: la lesione di un diritto, come quelli della libertà e della segretezza delle comunicazioni, viene ad essere sacrificato quando, ormai, non c’è più bisogno e non è più indispensabile. Non vi è proporzione tra il mezzo ed il fine, in quanto il pubblico ministero sarà autorizzato ad intercettare, quando abbia già individuato un colpevole e dovrà individuare degli elementi in più, soltanto, quindi, quando quella finalità sia stata già raggiunta. Stiamo facendo - state facendo - un regalo alla criminalità, tanto più grave nei casi in cui sono ignoti gli autori dei reati, per il quale il cosiddetto disegno di legge Alfano prevede una disciplina gravemente incostituzionale, in contrasto con gli articoli 3 e 12 della Costituzione. Esso, infatti, subordina l’autorizzazione alla richiesta della parte offesa, per le sole utenze, e nella disponibilità della stessa. 40 Mi chiedo: nei casi di stupro, di furto in abitazioni, di incendio doloso di un bosco, di una rapina, di un’estorsione, di un omicidio, in cui sono ignoti gli autori dei delitti, chi attiverà gli inquirenti? Quale utilità vi potrà essere nell’intercettare l’utenza della vittima, della persona offesa che, magari, è deceduta, ammesso che sia disponibile, che non sia impaurita, che sia tecnicamente individuabile? Si privatizzano le indagini, si denuncia al potere-dovere dello Stato di perseguire i reati ed individuare colpevoli. Vi è un paradosso: questo disegno di legge è stato elaborato da quelle forze politiche che nel programma elettorale e di Governo hanno posto, tra le priorità, l’ordinato svolgimento della società civile e la sicurezza dei cittadini. Signor Ministro, non è sufficiente aver pensato a un doppio binario, tanto più irragionevole e contrastante con i principi costituzionali degli articoli 3 e 112 della Costituzione. Infatti, il dato di comune esperienza, dichiarato autorevolmente, più volte, nell’audizione in Commissione, è che spesso le indagini di criminalità organizzata nascono da intercettazioni condotte con riferimento alla criminalità comune (penso ai reati di droga, di riciclaggio, di usura). Pertanto, se si andrà avanti con questa impostazione voluta dal cosiddetto disegno di legge Alfano, è necessario essere consapevoli che Intercettazioni - prima lettura si ostacoleranno e si renderanno più difficili le indagini e l’utilizzo delle intercettazioni per i reati satellite e che, in realtà, in questo modo, si impedirà l’individuazione delle associazioni di criminalità organizzata, che si alimentano dei profitti e dei proventi illeciti della criminalità comune. Mi appello veramente al senso delle istituzioni e al senso di responsabilità di ciascuno dei parlamentari nei confronti del proprio elettorato, affinché con il proprio voto consapevole sanciscano l’illegittimità costituzionale di questo testo. È necessario tornare indietro e pensare ad un testo che sia rispettoso dei principi costituzionali. Abbiamo bisogno di una riforma della normativa che regoli le intercettazioni. La società tutta ed i cittadini chiedono che vengano emanate norme rispettose delle regole e dei valori della Costituzione, che sappiano realizzare un giusto ed equilibrato contemperamento degli interessi in gioco e che non siano un regalo alla criminalità organizzata e alla criminalità comune (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico). Seduta n. 185 di mercoledì 10 giugno 2009 Proposte emendative e questione di fiducia Signor Presidente, questa fiducia posta ieri dal Governo è sicuramente un atto di sfiducia nei confronti dell’istituzione parlamentare, del Parlamento. Non è una forzatura leggerla così, anche per i tempi e le modalità con cui è stata annunciata la questione di fiducia. Ricordiamo che prima delle elezioni, quando si doveva discutere e far votare in Parlamento il «pacchetto sicurezza», il Ministro Alfano, a seguito della pressione del Ministro dell’interno con riferimento a quel pacchetto, ottenne già allora dal Consiglio dei Ministri l’autorizzazione preventiva a porre la fiducia sulle intercettazioni. Si tratta quindi di una «fiducia barattata» - mi passerete il termine - nel momento in cui si parlava di altra fiducia, ed era necessario prima delle elezioni europee ed amministrative portare a casa il risultato delle ronde e degli altri provvedimenti riguardanti l’immigrazione che ancora destano tante angosce e tante perplessità in tutti (sono sicura anche nei parlamentari del centrodestra). Si aveva paura dei voti segreti e in quel contesto, con un do ut des, si è prevista la possibilità di annunciare questo voto di fiducia, in tal modo stroncando il dibattito in Aula e quello svolto in Commissione. Mi dispiace dirlo perché in Commissione il dibattito c’è stato - sono presenti la relatrice e il rappresentante del Governo - e abbiamo svolto le 41 Temi per la legalità audizioni, ma le abbiamo svolte su un altro testo, sul primo testo Alfano, non su quello giunto in Aula, varato successivamente dalla Commissione. L’iter in Commissione è stato lungo, perché questo disegno ha avuto accelerazioni e fermi a seconda degli indirizzi e dei momenti più o meno «felici», anche da parte della stampa e della magistratura con riferimento ad inchieste nei confronti di appartenenti all’ambiente politico. In quel momento, nella fase del confronto tipico in sede di Commissione giustizia, quando abbiamo sentito gli avvocati, i magistrati, le forze dell’ordine e tutti coloro che potevano fornire un contributo, si ragionava sulla vecchia formulazione che aveva tolto di mezzo alcuni reati intercettabili e aveva posto il limite, dai dieci anni in su, per poter intercettare. In quella sede c’è stata la presa d’atto, anche da parte di alcune forze della maggioranza, del fatto che, in pratica, alcuni reati gravi non erano più intercettabili. In quel primo disegno di legge si era forse dato respiro all’indirizzo, rappresentato anche più volte demagogicamente dal Presidente del Consiglio, secondo il quale dovevano essere intercettati soltanto i reati di mafia: entrerò nel merito di tali reati di mafia e verificheremo poi se tali espressioni siano soltanto vuote di significato, tendenti a colpire l’opinione pubblica, o anche in realtà 42 capaci di produrre un grave arresto nella persecuzione dei reati. Il mio intervento è teso a lasciare, in un’Aula semivuota, una testimonianza che dovrà servire nel tempo per capire il danno che si sta compiendo nei confronti del Paese, dei cittadini, delle forze di polizia, della magistratura tutta attraverso una compressione del potere di investigazione, che sicuramente l’opposizione non ha voluto. Questo era un testo che doveva essere completato e articolato in Commissione. L’avevamo detto anche quando è stato votato, perché era un testo che era andato cambiando, come dicevo prima. Ad un certo punto, dopo le audizioni, senza tenerne conto, il primo testo è stato modificato, ne è stata modificata la filosofia. Infatti, come dicevo in precedenza, alcune forze della maggioranza non potevano ritornare nei propri territori e dire che non si perseguivano più certi reati seppure gravi. Nel frattempo, infatti, l’opposizione aveva reso noti all’opinione pubblica i reati che erano fuori del limite dei dieci anni per i quali l’intercettazione non era consentita: come si poteva spiegare alla gente che non era più possibile perseguire una rapina, anche non aggravata, un furto in abitazione, una violenza carnale e quant’altro? Dunque, il testo in esame che ha una sua filosofia politica e un suo indirizzo politico, come tutti i testi legi- Intercettazioni - prima lettura slativi, per essere perfezionato aveva bisogno di essere meditato, doveva essere raffrontato, anche se poi poteva non essere del tutto condiviso. Prima di entrare in queste aule, durante la mia prima esperienza da magistrato e, ancor prima, da studentessa universitaria di giurisprudenza, mi figuravo il legislatore, e quindi anche l’interpretazione della volontà dello stesso, come un’attività di alto valore istituzionale e rappresentativo. Devo dire - non è uno sfogo ma una testimonianza - che sono veramente preoccupata per quando si dovranno interpretare i lavori parlamentari, si dovrà verificare cosa sia successo nell’ambito della maggioranza, quale sia stato l’indirizzo del Governo, l’indirizzo del Presidente del Consiglio; in realtà, lo spirito è che non si devono più fare le intercettazioni. Questa è la filosofia del provvedimento in esame: non lo contrabbandiamo per una tutela della privacy. Qui siamo tra persone che sanno leggere le carte, che sanno leggere gli atti e sanno interpretare le norme. Per tutelare la privacy, per tutelare i cittadini onesti dalla diffusione di telefonate e di intercettazioni, anche recitate in televisione e negli spettacoli di informazione, riguardanti terzi o amiche o amici del presunto indagato e comunque persone estranee alle indagini, non vi era bisogno di impedire le indagini, ma soltanto di emanare norme che tutelassero in maniera particolare la riservatezza e la segretezza delle intercettazioni. Erano sufficienti poche norme. Questa è la verità. Non possiamo camuffarla affermando che questo provvedimento mira a tutelare la riservatezza perché in realtà esso non realizza, se non in parte, quella finalità e vi spiegherò il motivo. Poiché, concluse le intercettazioni, tutte venivano sottoposte ad un filtro immediato di rilevanza e, quindi, al giudice e al deposito e, pertanto, alla conoscenza di occhi estranei (gli uffici sono composti da persone), nella proposta preparata dall’opposizione, che, peraltro, proveniva da un testo condiviso della precedente legislatura, si prevedeva di portare di fronte al giudice soltanto quelle rilevanti, fermo restando (così prevedeva la nostra proposta, condivisa dall’attuale maggioranza nella precedente legislatura) che le altre intercettazioni dovevano essere riservate, chiuse in un archivio segreto, segrete e conoscibili soltanto da parte dei difensori o dall’indagato che poteva andare ad ascoltarle. In questa proposta, tanto contrabbandata per la tutela della riservatezza e della segretezza, non cambia niente rispetto all’attuale possibilità di conoscere anche da parte di estranei o di personaggi «curiosi», che hanno la disponibilità del fascicolo nel muoversi da un ufficio ad un altro. Non cambia nulla, perché verranno depositate tutte le inter43 Temi per la legalità cettazioni, quindi anche quelle non rilevanti, anche quelle che riguardano soggetti estranei: tutto cammina verso l’ufficio del giudice per il deposito. E tutto ciò, sapendo quale sia la struttura della nostra organizzazione giudiziaria e che non vi sono gli armadi, che gli uffici non sono nelle stesse sedi, che in alcuni uffici procura e tribunale sono in posti diversi: vogliamo scordarci com’è la situazione reale delle nostre «città giudiziarie»? Dunque, tutto camminerà e potrà essere conosciuto anche quello che non è rilevante ed è privato. Però il nostro legislatore è stato «avveduto», perché ha tempestato il cammino di tutti (giornalisti, impiegati, pubblico ministero, in qualche modo anche difensori) di una serie di ostacoli e di minacce di reato. Infatti, ho imparato in questa Aula che la filosofia di tutti i provvedimenti che stiamo varando da un anno a questa parte nella materia della giustizia è quella di aumentare le incriminazioni penali, aumentare la minaccia della sanzione penale, aumentare le figure di reato e poi avere la «coscienza» tranquilla. Non si pensa a realizzare una struttura, l’effettività di un archivio che consenta di dire - questa è la proposta approvata l’altra legislatura in Commissione - che «esce solo quello che è rilevante»; se poi vi è qualche altra cosa che il giudice o il difensore ritiene rilevante lo estra44 pola dall’archivio, da quell’archivio segreto che sta in un solo luogo, senza spostamenti di sorta, cosicché in quell’archivio vi potranno essere le telefonate riservate, di terzi estranei, di persone che possono fare notizia solo come gossip, ma che non riguardano le indagini. Per tutto questo bastavano tre o quattro norme, invece si è del tutto soppiantato l’impianto dell’intercettazione telefonica. L’intercettazione telefonica è prevista dalla nostra Costituzione come mezzo invasivo delle comunicazioni, perché ovviamente vi è il diritto e la libertà delle comunicazioni e questa privacy può essere interrotta solo - dice la Costituzione - da un provvedimento dell’autorità giudiziaria, sulla base dei casi previsti dalla legge. Questa libertà delle comunicazioni è forte quanto la libertà personale. Faccio un discorso molto semplice: se noi dobbiamo invadere la sfera della privacy della comunicazione delle persone, dobbiamo avere un buon motivo, un motivo eccellente, un motivo di grande rilievo e quindi quel motivo non può che essere la ricerca della prova del reato, la ricerca dell’autore del reato. Ecco perché la legge prevedeva che fossero necessari gravi indizi di reato: è stato commesso un omicidio, sono ignoti gli autori, la polizia brancola nel buio perché non vi sono possibilità di individuare altri elementi di colpevolezza nei confronti degli autori Intercettazioni - prima lettura del reato, si fanno le prime indagini, è necessario mettere sotto controllo alcune utenze, vi sono gravi indizi di reato, il giudice valuta e autorizza. Questo non sarà più possibile, perché sono state scelte tre vie, tre sono i binari, non due. Un binario riguarda i reati contro ignoti, che sostanzialmente sono reati di cui non si conoscono tutti gli autori. Per quei reati - è sconcertante, se non ridicolo - non è consentita l’intercettazione telefonica, se non su richiesta della persona offesa. La persona offesa da un reato potrà chiedere di mettere sotto controllo la propria utenza o la propria casa, come intercettazione ambientale. Iniziamo, dunque, a formulare alcune ipotesi. Nel caso di un omicidio, la parte offesa è morta, pertanto la richiesta spetterà ai congiunti prossimi, che potrebbero essere addirittura, in alcuni casi, gli autori del reato. Vi sarà mai la richiesta da parte dell’eventuale autore del reato di mettere sotto controllo la propria utenza? Non vi sarà mai. E anche se vi fosse, potrebbe non essere sufficiente, perché quell’utenza, magari, non sarà utilizzata. Vi è stata una grande concessione, dopo le battaglie che abbiamo cercato di portare avanti con i nostri piccoli mezzi, visto che lo strumento della comunicazione televisiva, è sostanzialmente monopolizzato. Abbiamo cercato di far capire il problema ed è stato «partorito il topolino». Si è detto, infatti che, in questi casi, al pubblico ministero è stato concesso di richiedere i tabulati telefonici, al solo fine - attenzione, pubblico ministero non ti muovere dal recinto, stai attento, non indagare, lasciamo che la criminalità aumenti - di identificare le persone presenti sul luogo del reato o nelle immediate vicinanze. I tabulati telefonici dovrebbero servire a questo. Chi ha previsto queste norme non ha mai svolto un giorno di indagini, oppure peggio, se lo ha fatto, sa come impedire le indagini. È una cosa gravissima, che ricadrà nella responsabilità assoluta di chi ha voluto questo testo, di chi ha voluto porre la questione di fiducia, di chi non ha voluto tentare un dialogo, anche con la stessa maggioranza, su specifici punti, che avrebbe potuto anche portare, nel caso di espressione di un voto segreto, ad un voto libero, senza condizionamenti né ordini di scuderia. Questo è uno dei punti cardine su cui si regge anche la sicurezza del nostro Stato. Il primo binario è, dunque, quello dei reati contro ignoti. In secondo luogo, vi è il binario dei reati cosiddetti comuni. Quando si parla di reati comuni sembra che si parli di piccoli fatti, ma non è così. Fra i reati comuni vi sono reati di rapina, violenza carnale, usura, reati ambientali, omicidio. Sono tutti reati che non rientrano in senso stretto nelle previsioni degli articoli 416-bis 45 Temi per la legalità e 630 del codice penale (cioè, sequestro a scopo di estorsione, reati di tratta e altri che ruotano attorno a reati di quel genere), ma possono alimentare la mafia. Tutto il resto, anche il tanto «desiderato», contrabbandato reato di stalking non è inserito tra quelli intercettabili. In questo caso, do pubblicamente atto alla presidente della Commissione, che, a titolo personale (da quanto ho capito), era favorevole all’introduzione della mia proposta emendativa, e, quindi, apprezzo la sua onestà intellettuale ma, purtroppo, devo, altresì, prendere atto della sua impotenza nel far presente alcune esigenze alla sua maggioranza. Pertanto, la Ministra Carfagna che va sbandierando in giro di essere stata lei a volere l’introduzione, finalmente, della tutela delle donne dalle minacce e dalle violenze, che hanno troppo spesso anche preceduto, in casi noti purtroppo, l’omicidio della vittima, deve sapere che se vi fosse stata l’intercettazione, quelle morti si potevano evitare. Attenzione: quando non esisteva quel reato, non si poteva mettere sotto controllo il telefono. Oggi, che vi era l’opportunità di inserirlo, quel reato non c’è, non è stato evidenziato: quindi il Governo ha fatto uno slogan, un cartellone che serve per andare in giro a mostrarlo, ma poi non offre gli strumenti per reprimere quei gravi fatti. È come quando dicono di proteggere le forze 46 di polizia e non si danno loro le automobili, i soldi per pagare la benzina o gli straordinari, mentre si mandano mille militari in più sulle strade soltanto per far vedere che ci sono militari presso le stazioni, quando costoro non sono formati professionalmente per difendere e prevenire reati. Ognuno ha la sua formazione. Sarebbe come mandare un medico del pronto soccorso in procura della Repubblica. Non saprebbe fare quello che fa un magistrato e viceversa. Ognuno deve fare il suo in un Paese moderno e farlo con professionalità. Ecco, questo è quindi l’altro binario, quello dei reati comuni che ho elencato. Tra i reati comuni vi sono anche la concussione e la corruzione. Parliamone, abbiamo il coraggio di parlarne, perché è tutto lì il punto: tra quei reati comuni ci sono anche quelli contro la pubblica amministrazione. Per essi, a questo punto, non si vuole più che il magistrato, avuta notizia di un reato che è stato commesso, intercetti, ma si vuole che prima ci siano gli evidenti indizi di colpevolezza e cioè che già sia stato individuato l’autore del reato. Una volta individuato l’autore del reato e che ci sono addirittura indizi evidenti, vuol dire che è stata già raggiunta la prova. Sulla base di quegli indizi evidenti si può emettere un mandato di cattura, un’ordinanza di custodia cautelare, disporre la reclusione in carcere o la detenzione domiciliare, una misura interdittiva, rinviare a giudizio. Intercettazioni - prima lettura A che cosa serve - ecco che torno al punto di partenza - a quel punto, invadere la sfera della libertà delle comunicazioni di una persona? Per una verifica? Ma l’intercettazione è un mezzo eccezionale e invasivo della privacy che deve aiutare a ricercare la prova del reato, non a fare da contorno, a imbellettare le prove di un pubblico ministero. In realtà, non si tratta di una questione tecnico-giuridica ma politica: non si vuole che i magistrati del pubblico ministero, ancora indipendenti e appartenenti all’unico ordine della magistratura, perseguano certi tipi di reato. Quindi, si è dovuto, in qualche modo, chiudere un occhio anche di fronte agli altri reati, che forse non interessavano molto e che potevano anche restare. Ma come avrebbe spiegato la maggioranza che soltanto la corruzione e la concussione restavano fuori? Era troppo grossa, non poteva e ha scelto quindi questa strada. A questo punto, però, il Ministro Maroni mi deve spiegare una dichiarazione abbastanza importante e impegnativa che ha reso prima delle elezioni. Maroni si è esposto, ha detto che la legge sulle intercettazioni, così com’è, rende difficile l’uso di uno strumento anzi, questo lo ha detto Pietro Grasso, capo della Procura nazionale antimafia - fondamentale per la lotta a certe forme di criminalità organizzata (parleremo anche di questa parte). Maroni aveva dichiarato, prima delle elezioni di aver ricevuto dal procuratore nazionale antimafia una serie di proposte che gli parevano tutte molto ragionevoli e che quindi voleva inserire nel provvedimento. Il punto, ha spiegato ai cronisti, «è che bisogna trovare il giusto equilibrio, è il dovere, da parte nostra, di garantire gli strumenti di indagine delle procure antimafia, che oggi ci sono e sono molto efficaci». In altri termini, rimarca Maroni, facendo proprie le parole di Grasso, le indagini non partono quasi mai con l’attribuzione dell’articolo 416-bis, dell’associazione cioè di tipo mafioso, ma da un reato comune - ricordiamo quei reati comuni per cui non si può più intercettare quando c’è un reato, bisogna invece aspettare che si scoprano gli autori del reato - che alla fine diventa reato mafioso. Maroni si era impegnato dicendo che, se si fosse convinto ad operare in un certo modo piuttosto che in un altro, questione di fiducia o no, comunque avrebbe deciso di fare in un certo modo e, tuttavia, non lo ha fatto, non ha avuto la forza di farlo. Peraltro, io non credevo che l’avrebbe fatto perché, dopo avere ottenuto la fiducia su quel pacchetto sicurezza che gridava vendetta al cuore ed alla pancia di tanti esponenti, anche della maggioranza, del PdL, ovviamente in cambio ha dovuto cedere di fronte a qualcosa. Non so come farà la Lega a giustificarlo quando rientra nel «suo» territorio, come farà a 47 Temi per la legalità giustificare che non si potranno più perseguire certi tipi di reato, reati comuni, la commissione dei quali è molto frequente nel nord Italia. Mi riferisco ai reati come l’associazione a delinquere semplice ed altri reati tipici sintomi della criminalità organizzata. Parliamo poi di mafia. Vogliamo parlare anche della lotta alla mafia che sta sbandierando ai quattro venti il Ministro Alfano? Si dice che si vuole combattere la mafia e, allora, mentre per i reati cosiddetti comuni è stato previsto un ostacolo, per i reati di stampo mafioso ci si accontenta dei «sufficienti indizi di reato». Questa norma è in procinto di essere abrogata; l’articolo 13 è abrogato dal maxiemendamento proposto dal Governo. Ecco perché Grasso l’ha detto in tutte le lingue, è venuto in Commissione, ha depositato documenti, ha fatto dichiarazioni alla stampa: quando si commettono dei reati, a meno che non si tratti di un omicidio «targato» mafia, non c’è un’etichetta, non c’è scritto sulla fronte del reo «sono mafioso», «sono un corollario di un’associazione a delinquere». Si parte spesso da un reato comune di usura, di estorsione, di traffico di stupefacenti o di sfruttamento della prostituzione per arrivare, tramite intercettazioni anche ambientali, al reato principe dell’associazione mafiosa e ad individuarne gli autori. A parte la violazione di tutti i principi di uguaglianza e ragionevolezza delle norme, di quel famoso legislatore che tanto li affascinava da giovani, rispetto all’attuale regime si fa un passo indietro perché si prevedono per l’intercettazione sufficienti indizi di reato per i reati di associazione a delinquere ex articolo 416bis del codice penale ed altri quali, ad esempio, il sequestro a scopo di estorsione di cui all’articolo 630, la tratta, la riduzione in schiavitù e qualche altro reato della stessa area, ma si sopprime l’articolo 13 della legge: mi riferisco al decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito dalla legge 12 luglio 1991, n. 203. L’articolo 13 prevede che il regime dei sufficienti indizi di reato valga anche per i reati comuni di criminalità organizzata e in quell’ambito possono oggi rientrare, domani non più, reati comuni. 48 Questo non sarà più possibile nonostante le parole, sempre le stesse, che il Ministro Alfano ripete da otto mesi, da un anno. Quindi, nonostante si dica che sono state varate norme contro la mafia, questo non è vero. Esse sono norme di facciata che legano mani e piedi alla polizia e soprattutto all’autorità giudiziaria e al pubblico ministero e non consentono di arrivare a individuare e ad utilizzare questo strumento, così come legano mani e piedi alla stampa. Intercettazioni - prima lettura Infatti, nonostante ci sia stata da ultimo un’apertura da parte della Commissione dopo, anche lì, forti rimostranze da parte dell’opposizione e di tutta la categoria dei giornalisti affinché, nel corso delle indagini, quando un fatto ormai è ostensibile alla difesa ne sia possibile la pubblicazione anche per contenuto (quindi se ne dia notizia per contenuto o riassunto alla pubblica opinione), in realtà permane una serie di ostacoli. esiste un reato economico, nemmeno il falso in bilancio, per cui è prevista una pena così alta), dovranno esercitare un’influenza e necessariamente avere il controllo sul direttore o sul giornalista; quindi, si avrà un’altra strettoia in cui verranno incanalati la libertà dell’informazione ed il diritto di cronaca. Essa è data dalla serie di incriminazioni previste, dalla cavillosa distinzione tra contenuto e riassunto, dal permanere di una responsabilità pecuniaria onerosissima nei confronti degli editori per il solo fatto che il giornalista abbia contravvenuto (si tratta, infatti, di una contravvenzione) al divieto di pubblicare atti che non doveva. Ricordo che il diritto di cronaca e la libertà di informazione sono sanciti dalla nostra Costituzione (che ne doveva costituire un baluardo) e che essi dovevano trovare in questa sede un contemperamento. Attendevamo la discussione in Aula (sia pur con tempi contingentati), di questo provvedimento e non ci vengano a dire che gli emendamenti dell’opposizione o le eventuali nostre discussioni avrebbero portato via tempo perché si tratta di una menzogna. Si deve, inoltre, considerare che il giornalista dovrà avere il codice di procedura alla mano perché dovrà capire se un atto è stato depositato o meno, se si tratti di un’ordinanza o di una richiesta, e dovrà essere sicuramente un giornalista che abbia sostenuto vari esami di giurisprudenza e magari abbia anche il titolo di avvocato. Infatti, i tempi erano contingentati, perché la maggioranza ha fatto discutere questo provvedimento tre mesi fa per l’urgenza, sottraendolo all’esame della Commissione (dove vi sarebbe stato bisogno di una ulteriore discussione) per contingentare i tempi. Quindi, avevamo un tempo ben definito e non ne avremmo portato via dell’altro, né prodotto lungaggini. Solo in tal caso si muoverà bene, ma a quel punto si tratterà di un giornalista imbavagliato perché gli editori, che rischiano delle pene altissime (superiori a quelle previste per i gravi reati economici, nel senso che non Il provvedimento in esame poteva essere varato con un vaglio attento, ragionando ancora su alcune norme che sono pericolose perché costituiscono una lesione gravissima del diritto di cronaca, del diritto di in49 Temi per la legalità formazione, del diritto di compiere le indagini, del diritto alla sicurezza ed anche del diritto alla riservatezza, perché la riservatezza non si protegge bendando o incappuciando i giudici e i pubblici ministeri e imbavagliando i giornalisti. Questo non è un modo della democrazia, ma 50 fa prefigurare ben altro e mi auguro che le forze di maggioranza, quelle attente e sensibili a certe problematiche, siano accorte e difendano anche loro questi valori che credo siano comuni alla gran parte dei cittadini italiani (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico). Intercettazioni - seconda lettura Seduta n. 362 di venerdì 30 luglio 2010 Intercettazioni telefoniche (seconda letura) Discussione sulle linee generali Signor Presidente, questo disegno di legge ha avuto una storia travagliata: è qui alla Camera in terza lettura e, indubbiamente, nella relazione della presidente Bongiorno, relatrice del provvedimento, abbiamo visto quale percorso, soprattutto in Commissione giustizia alla Camera, questo disegno di legge abbia avuto proprio per cercare di attutire in qualche modo danni che sembravano irreparabili. Sicuramente, da parte nostra c’è anche un apprezzamento, non solo per il lavoro della presidente, per come è stato diretto il lavoro in Commissione, ma anche nei confronti dei colleghi insieme ai quali abbiamo cercato di riportare questo testo a un percorso che possa essere discutibile, anche se noi non condividiamo le premesse dalle quali questo disegno di legge è mosso. Ho ripreso anche i lavori derivati da una Commissione di inchiesta di qualche anno fa, e che ha portato al Senato all’approvazione di un docu- mento finale, in cui si indicava quali erano gli ambiti di intervento indispensabili nell’ambito delle intercettazioni telefoniche. Certamente in quella Commissione di inchiesta, in quella indagine conoscitiva che portò all’approvazione di questo documento finale il 29 novembre 2006, quindi non molto tempo fa (un’analisi che fu molto approfondita e ragionata) e che fu approvato all’unanimità, nessuna limitazione era prevista per le intercettazioni telefoniche come strumento investigativo, né come possibilità di conoscenza di fatti di rilievo pubblico, sia pure nell’ambito di un’indagine penale. In prima lettura alla Camera il disegno di legge Alfano, addirittura era partito attraverso l’enucleazione di una serie di reati per i quali soltanto era necessario utilizzare le intercettazioni telefoniche per poi passare agli evidenti indizi di colpevolezza, per poi successivamente passare ancora ai gravi indizi di colpevolezza AC 1415-C Disegno di legge - Norme in materia di intercettazioni telefoniche, telematiche e ambientali. Modifica della disciplina in materia di astensione del giudice e degli atti di indagine. Integrazione della disciplina sulla responsabilità amministrativa delle persone giuridiche (in discussione alla Camera in seconda lettura) 51 Temi per la legalità e così, sul lato della pubblicabilità delle intercettazioni telefoniche, a quel blackout informativo totale fino all’udienza preliminare. Tutti questi aspetti che permanevano ed erano nel testo del Senato garantivano un adeguato contemperamento delle esigenze investigative, del dirittodovere dello Stato di reprimere e accertare reati, con il cosiddetto diritto alla riservatezza, con il diritto tutelato dall’articolo 21 della Costituzione e dall’articolo 11 della Carta di Nizza, dei cittadini a essere informati sui fatti di interesse pubblico. In uno Stato democratico l’informazione non solo è legittima; il controllo democratico da parte dei cittadini è un modo attraverso cui le istituzioni crescono e si avvalgono anche di quella forza e incisività che arrivano proprio dalla trasparenza. La stessa cosa, tra l’altro, vale per la giurisdizione, perché è un modo attraverso il quale - esaurita la fase delle indagini segrete - anche la pubblica opinione e i cittadini possono controllare l’esercizio della giurisdizione. Vedevamo con forte criticità il testo arrivato dal Senato, tuttavia sia pure in terza lettura - alcune di quelle criticità sono state superate grazie ad una convergenza di sforzi che, anche se hanno preso le mosse da spunti ideologici diversi, hanno cercato di temperare le divergenze. Ma le criticità a nostro avviso, non sono completamente superate, così 52 che questo disegno di legge, che si trova ad essere corretto in più fasi, in più punti e in più percorsi, ha ancora nella base un’impostazione errata, un vizio di origine, che nasce proprio da quella compressione dell’intercettazione telefonica, come mezzo di ricerca della prova, e del diritto di informazione come diritto di informare sui fatti di rilievo pubblico e di interesse generale. Correzioni rilevanti vi sono state. Dobbiamo dare atto del lavoro importante che è stato fatto e che ha visto anche il Partito Democratico protagonista, basti ricordare una delle questioni fondamentali che sono state risolte quale quella della cosiddetta udienza filtro, dell’udienza stralcio. Ha ricordato la presidente e relatrice l’apporto costruttivo da parte delle opposizioni nella individuazione di un momento, l’udienza filtro, in cui si realizzi un contemperamento efficace e risolutivo tra segretezza delle indagini, diritto alla riservatezza, per quello che non attiene alle indagini, e pubblicabilità, invece, di quello che è un fatto che attiene al processo ma che, in quanto tale, è ostensibile perché rilevante per le indagini. Permangono, tuttavia, ulteriori elementi di criticità, che soprattutto attengono all’utilizzo di questo strumento di indagine. Infatti, abbiamo visto alla base di questo provvedimento non tanto la Intercettazioni - seconda lettura ricerca volta a eliminare le slabbrature del sistema, le prassi che possono essere state, alcune volte, non ortodosse al cento per cento, e, quindi, abbiano cercato di individuare dei percorsi anche motivazionali che possano creare quel rigore di utilizzo di un mezzo di ricerca della prova che è invasivo, molto invasivo, ma che, alcune volte, è assolutamente indispensabile e non sostituibile, se si vuole, effettivamente, perseguire il fine ultimo che è quello della ricerca della prova per l’accertamento dei reati. Lo stesso costituente prevede la possibilità di utilizzo, e prevede la garanzia nel fatto che è necessaria l’autorizzazione dell’autorità giudiziaria, a differenza di un altro mezzo parimenti invasivo, come le perquisizioni, che possono essere svolte - sia pure in casi particolari ed eccezionali - dalla polizia giudiziaria d’iniziativa. Non vi era bisogno, quindi - per correggere delle prassi applicative che possono essere state, alcune volte, fuorvianti rispetto al percorso ortodosso - di creare una struttura e individuare un giudice collegiale distrettuale di riferimento per l’autorizzazione alle intercettazioni telefoniche, e non solo, ma per le proroghe, le convalide d’urgenza e le autorizzazioni per i tabulati telefonici. Questo rappresenta un punto molto critico, per il quale abbiamo riscontrato una chiusura totale da parte del Governo e della maggio- ranza, perché si dice la collegialità garantisce di più rispetto al singolo giudice. Stiamo forse dimenticando che il singolo giudice emette l’ordinanza di custodia cautelare? Il singolo giudice pronuncia sentenze di condanna e commina addirittura l’ergastolo nel giudizio abbreviato. Mentre qui si vuole addirittura scomodare un giudice collegiale distrettuale quando, signor Ministro, lei che si occupa ed è responsabile dell’organizzazione giudiziaria, conosce benissimo le difficoltà operative e attuative che ci sono nella previsione di un qualcosa che è irrealizzabile. È irrealizzabile e, tra l’altro, superfluo, perché l’intercettazione telefonica ha bisogno di una immediata risposta da parte del giudice che, in quanto tale, vaglia gli elementi che gli vengono forniti dal pubblico ministero e questo voler andare verso un giudice collegiale distrettuale è un atto sostanzialmente di sfiducia nei confronti della magistratura. Poc’anzi, proprio oggi, abbiamo ricordato insieme magistrati che sono caduti facendo il loro dovere e, quando mi riferivo nel mio brevissimo intervento alla memoria del giudice Rocco Chinnici al pericolo di delegittimazione della magistratura, che rappresenta uno dei poteri dello Stato, volevo sottolineare che essa arriva anche tramite questo tipo di leggi, con le quali, infatti, si diffonde una strisciante idea di sfiducia nei 53 Temi per la legalità confronti del giudice monocratico, in quanto potrebbe essere appiattito nei confronti del pubblico ministero. Il problema non si risolve mettendo di mezzo il giudice collegiale distrettuale, ma individuando percorsi motivazionali che siano rigorosi e quindi verificabili da parte del pubblico ministero e della difesa. C’è incoerenza da parte di chi porta avanti questo disegno di legge perché, da un lato, si vuole passare per garantisti (e quindi per coloro che in qualche modo portano avanti ad ogni costo questo sistema nuovo in cui tutto viene fatto scomodando un giudice collegiale distrettuale), ma dall’altro non si riconoscono i diritti minimi della difesa che, invece, noi abbiamo sottolineato laddove, per esempio, si vieta alle parti (e quindi alla difesa) di avere copia dei decreti dei verbali delle registrazioni durante le indagini. Si realizza un vulnus a un diritto costituzionale fondamentale. Come vedono, signor Ministro, signori rappresentanti della maggioranza e relatrice, non vogliamo privilegiare una parte rispetto all’altra, ma vogliamo che attraverso lo strumento dell’intercettazione telefonica sia consentito, legittimamente (attraverso appunto un uso legittimo) e dove necessario, accertare i reati. In questo excursus dei punti che sono rimasti sicuramente scoperti (si tratta di nervi scoperti importanti 54 che non possono essere trascurati) c’è anche il discorso che riguarda i tabulati telefonici. Lo accennava prima il collega Di Pietro: è una cosa assolutamente irragionevole parificare l’intercettazione di una comunicazione telefonica all’acquisizione di un tabulato. Il problema del tabulato e della riservatezza dei dati è qualcosa che riguarda il fatto che i dati non escano fuori dal processo. È quello il problema che riguarda i tabulati che, quindi, vanno trattati come tutti i documenti che, tra l’altro, appartengono alla segretezza delle indagini fino alla chiusura delle stesse. Invece, il tabulato dev’essere utilizzato nell’immediatezza dei fatti senza preconcetti nei presupposti di utilizzo (ossia limitatamente ad alcuni reati soltanto e addirittura con quei paletti che riguardano le intercettazioni telefoniche). È incongruo impedire al processo di acquisirli tutte le volte in cui siano utili all’investigazione. Infatti, i tabulati presentano a volte grandissima utilità investigativa proprio per scoprire un reato addirittura nell’attività prodromica all’intercettazione telefonica. Si possono trarre dati del traffico transitato su una cella telefonica al fine di individuare gli autori del reato e le persone presenti sul luogo di un rapimento o di un omicidio. Quindi, i paletti che avete messo e che avete allentato solo con rife- Intercettazioni - seconda lettura rimento al giudice competente ad autorizzare l’acquisizione (cioè il giudice monocratico, anziché quello collegiale distrettuale) sono incongrui, irragionevoli, non hanno nessuna giustificazione e ci fanno dire che, in realtà, tutto il programma di questo disegno di legge non è orientato ad una finalità di sicurezza effettiva dei cittadini. Vi è un altro punto che ci interessa particolarmente sottolineare: l’abrogazione dell’articolo 13 della «legge Falcone». Noi su questo aspetto ci siamo battuti e ci batteremo in maniera tenace, come è nostra abitudine. È vero - lo riconosco - che in sede di emendamenti, anche da parte dell’onorevole Costa, è stato corretto il testo del Senato e, quindi, tra i reati affidati al «doppio binario» sono stati inseriti alcuni reati che stanno nel novero dell’articolo 407, comma 2, lettera a), del codice di procedura penale. Ma tale articolo riguarda solo alcuni reati cui faceva riferimento l’articolo 13 della «legge Falcone», che appunto comprendeva tutti i delitti di criminalità organizzata. Tali delitti non sono solo quelli di mafia, ma anche e soprattutto quelli in cui un gruppo di criminali (tre o più persone) si associano, si organizzano e costituiscono una base operativa per commettere una serie di reati, che possono essere l’usura, i reati contro la pubblica amministrazione, bancarotta, sfruttamento della prostituzione, eccetera. Quando c’è una rete criminale - ecco da dove nasce l’articolo 13 della legge n. 203 del 1991 («legge Falcone») - bisogna rafforzare gli strumenti dello Stato per la lotta alla criminalità. Se la criminalità è sicuramente quella organizzata mafiosa, c’è una base di criminalità ancora più diffusa e difficile da estirpare. Su questo punto - signor Ministro, oggi lei è presente -, noi faremo una battaglia che abbiamo già iniziato e la faremo fino in fondo, anche per la memoria di un giudice siciliano, tra l’altro suo conterraneo, il giudice Falcone. Non possiamo, infatti, consentire che venga abrogato l’articolo 13 citato e non sostituito da una norma che ne riproduce il contenuto. Nei nostri emendamenti - avremo modo e tempo per illustrarli - abbiamo ripreso quel contenuto e pretendiamo che in qualche modo il Governo e la maggioranza se ne facciano carico, perché altrimenti le battaglie di lotta alla criminalità di cui si fa in qualche modo vanto il Governo non corrispondono alla realtà dei fatti. Per condurre tale lotta, occorre dare ai giudici, ai magistrati e alle forze di polizia degli strumenti che debbono essere esercitati legittimamente. Togliere quegli strumenti nel presupposto e nella convinzione che vengano esercitati in maniera non legittima, vuol dire avere sfiducia in una parte di un potere dello Stato, che è costituita dalla magistratura e dalle forze dell’ordine. Ciò significa 55 Temi per la legalità minare la credibilità dello Stato e delle nostre istituzioni repubblicane. È questo il punto che ci vede contrari a questo disegno di legge, nonostante i miglioramenti di cui ci siamo fatti carico, anche votando un emendamento del Governo che, pure se perfettibile, dà tuttavia un segnale errato, perché impone agli inquirenti una discovery nel momento stesso in cui si dispongono atti a sorpresa, quali ispezioni, perquisizioni e sequestri (su questo ci soffermeremo quando sarà il momento) per i quali possano esservi intercettazioni in corso che devono rimanere segrete. Dunque, anche su quell’aspetto 56 ci siamo fatti carico degli elementi positivi, ma non possiamo condividere la filosofia di un disegno di legge che è volto sostanzialmente a spuntare le armi di investigazione. La criminalità si perfeziona, diventa sempre maggiormente incisiva e diffusa anche negli apparati dello Stato e il Parlamento non può varare leggi che consentano alla criminalità di ingrandirsi, di diventare più forte e sempre più arrogante e di vestirsi di colletti bianchi, perché questo è contrario ai nostri principi e a ciò che vogliono i cittadini italiani (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico). Scudo fiscale Seduta n. 221 di lunedì 28 settembre 2009 Scudo fiscale Discussione sulle linee generali Signor Presidente, onorevoli colleghi, il decreto-legge che ci apprestiamo a convertire ha avuto la sua formale origine dalla necessità e dall’urgenza di chiarire la portata di alcune disposizioni del decretolegge n. 78 e 2009, in relazione, in particolare, all’applicazione dello scudo fiscale varato a luglio. Infatti il decreto-legge n. 103 del 2009, nella versione approvata dal Consiglio dei ministri chiarisce che dall’ambito applicativo dello scudo fiscale rimangono esclusi i procedimenti in corso alla data di entrata in vigore nella legge di conversione del citato decreto-legge. Il Governo ha parlato, quindi, di interventi necessari e doverosi per evitare delle conseguenze negative che derivano dall’applicazione di alcune norme previste da quel decreto-legge discusso poco prima della pausa estiva. In realtà, tanti di quegli argomenti che vediamo oggi qui riproposti erano già stati segnalati e dibattuti a suo tempo nelle Commissioni e in Aula, quando si parlò della conversione di quel decreto-legge. È stato già effi- cacemente detto che il Parlamento è quindi ormai costretto a trattare e a ritornare su questioni che erano già state decise, attraverso la forma del decreto-legge esaminato per la conversione che in pratica coglie l’occasione per introdurre disposizioni che erano state sostanzialmente già allontanate e su cui tutto il Parlamento si era già pronunciato. Ricordo - lo ha già detto in apertura di discussione generale il collega Fluvi - come sostanzialmente in Commissione all’epoca in prima battuta furono già esaminate quelle cause di non punibilità che oggi in maniera surrettizia vengono reintrodotte. C’è da interrogarsi sul fatto che, nel momento in cui stanno emergendo le gravissime conseguenze della crisi occupazionale ed economica, il Governo non solo non è in grado di presentare alcun progetto di politica economica di ampio respiro, ma si concentra e disperde le proprie energie e risorse mettendo a punto, con lo strumento dello scudo fiscale e delle modifiche introdotte poi con l’emendamento al Senato del Legge n. 141 del 3 ottobre 2009 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 3 agosto 2009, n. 103, recante disposizioni correttive del decreto-legge anticrisi n. 78 del 2009 57 Temi per la legalità senatore Fleres, una disciplina che oggettivamente è la negazione della legalità, del rispetto dei principi fondamentali che regolano la materia tributaria, con conseguenti effetti negativi nel campo del diritto penale dell’economia. Premiare chi non ha rispettato le regole per battere cassa e ottenere la copertura finanziaria per predisporre quella che è stata chiamata una finanziaria leggera, non solo significa dare un segnale molto forte e chiaro di favore a chi ha operato scorrettamente nel campo economico, ma significa soprattutto stabilire e confortare il principio che alla fine la fa franca chi è più furbo ed abile ad aggirare le norme che si ispirano al principio contributivo che sta alla base della nostra Carta costituzionale e che rappresenta uno dei principi cardine del nostro sistema democratico e della convivenza civile. In tal modo la logica che ne esce rafforzata è che i ricchi evasori, quelli che hanno sottratto capitali e risorse all’economia nazionale e allo sviluppo del Paese, ora non solo con il pagamento di un’esigua tassa (del 5 per cento) eviteranno le sanzioni relative alle violazioni tributarie, ma saranno esonerati dall’applicazione delle sanzioni penali in materia societaria. Alla luce delle sollecitazioni avanzate dal Presidente della Repubblica nel luglio scorso, in realtà noi dell’opposizione (forse ci contraddistingue l’ingenuità e la fiducia e il senso del58 le istituzioni che ci fa andare avanti comunque) tutto pensavamo tranne di trovarci di fronte ad un decretolegge che andasse a modificare in maniera peggiorativa quel provvedimento che era stato tanto discusso e aveva ricevuto critiche specifiche, tanto da dovere richiedere, contestualmente alla firma, anche un correttivo, un intervento che riportasse le regole (soprattutto con riferimento agli interventi che riguardavano la Corte dei conti). Invece il Governo ha colto l’occasione per modificare le disposizioni sullo scudo fiscale, ampliando oggettivamente e soggettivamente la portata della misura e così trasformandola di fatto - è stato già detto, ma lo ripeto con convinzione - in un’amnistia mascherata. Così ha preso forma un nuovo strumento, esteso anche alle società partecipate e collegate all’estero, che introduce la non punibilità di una serie di reati societari (a cominciare dal falso in bilancio) ed elimina per le condotte che portano al rimpatrio di capitali l’obbligo della denuncie delle operazioni sospette, in un momento particolarmente delicato di contrasto al terrorismo internazionale e alla criminalità organizzata, quella che si occupa ed esercita la propria attività prevalentemente proprio attraverso le attività finanziarie illegali. Le dinamiche parlamentari risultano compromesse. Ci troviamo qui a cercare di opporci e a far valere Scudo fiscale la nostra voce, a far capire a chi ci ascolta, soprattutto ai cittadini che ci ascoltano fuori, come questa norma incida in maniera grave sulle norme di contrasto al crimine organizzato, su quelle misure di cui spesso la maggioranza si riempie la bocca, attribuendo questo aspetto di legalità alla sua azione di Governo. Questa è la domanda: come si raccorda la norma introdotta, che esclude l’obbligo di denuncia di un’operazione sospetta, con gli obiettivi di legalità e sicurezza sbandierati dal Governo? Viene vanificata tutta la normativa sul contrasto ai patrimoni mafiosi, in particolare la disposizione che riguarda l’elusione dell’articolo 41 del decreto legislativo n. 231 del 2007, concernente la segnalazione di operazioni sospette in materia di antiriciclaggio e finanziamento del terrorismo. Inoltre, poiché tale decreto legislativo è volto a recepire due direttive comunitarie, sarà un’altra occasione che di fatto pone l’Italia fuori dall’Europa, in palese contrasto con la nuova etica finanziaria di cui il Governo si è fatto promotore a parole nel corso di questa crisi. Di fatto uno strumento come lo scudo fiscale finisce per inibire le misure di allarme sul riciclaggio, ed è importante riuscire a farlo capire fuori (sono convinta che gli appartenenti alla maggioranza già lo sanno) perché i proventi di gravi delitti finiscono per mimetizzarsi nella massa dei soldi che rientrano. Riesce poi difficile per l’intermediario o il consulente finanziario scriminare tra il riciclaggio che nasca da reati tributari o false comunicazioni sociali e il riciclaggio che abbia come propria fonte o proprio presupposto altri gravi reati, quali le estorsioni, il traffico di stupefacenti, la tratta di esseri umani, lo sfruttamento della prostituzione, la corruzione. Infatti, in Commissione giustizia ci è stato detto che l’esonero dalla segnalazione riguarda soltanto i reati che vengono ad essere non punibili e, quindi, il reato di omessa dichiarazione o di dichiarazione infedele e il reato di falso in bilancio e quelli connessi, non i reati che stanno a monte del riciclaggio. Ma il denaro non ha una sottoscrizione, non è contraddistinto in determinate forme perché proviene dal riciclaggio o perché è soltanto frutto di un’evasione fiscale, ma si qualifica in relazione a certe modalità, per cui costituisce una scorta all’estero che deve rientrare. Ciò che ci viene proposto e che ci viene chiesto di votare è stato definito un’amnistia, che coprirà non soltanto i reati tributari e l’azione contabile, ma anche i reati di riciclaggio e quindi anche le scorte che possono servire a finanziare illecitamente il terrorismo. È bene ricordare in quest’Aula che gli effetti del rimpatrio e della regolarizzazione dei capitali detenuti illecitamente all’estero sono stati profondamente modificati nel corso dell’esame al Senato. Inizialmente, 59 Temi per la legalità infatti, l’operazione di emersione comportava effetti limitati, anche se gravi, e riferiti soltanto all’infedele ed omessa dichiarazione dei redditi disciplinata dal decreto legislativo n. 74 del 2000. Le modifiche apportate al Senato, dopo che è stato presentato in Consiglio dei Ministri il decretolegge, hanno ampliato in maniera irragionevole e iniqua la rosa dei reati connessi per i quali è esclusa la punibilità. Non è soltanto per un amore illustrativo che ve li menzionerò, ma perché rimanga stigmatizzato quali sono i comportamenti che beneficeranno di questa impunità. Oltre alle fattispecie di reato di falsità in atti, che sono previste addirittura dal codice penale, vi sono inoltre dichiarazioni fraudolente ai fini dell’imposta dei redditi e dell’IVA mediante fatture e altri documenti per operazioni inesistenti, delitti per i quali è prevista la reclusione da un anno e mezzo a sei anni; dichiarazioni fraudolente mediante l’artifizio di artifici contabili, delitti per i quali è prevista la reclusione da un anno e mezzo a sei anni; occultazione e distruzione di documenti finalizzate all’evasione; false comunicazioni sociali, il cosiddetto falso in bilancio, disciplinato dal codice civile, ma per il quale è prevista una reclusione massima di sei anni in caso di gravi danni ai risparmiatori. Dunque, da questa elencazione noi capiamo come vi siano gravi profili di irragionevolezza ed iniquità fiscale in questa disciplina, irragio60 nevolezza ed iniquità fiscale che si traducono in una profonda iniquità sociale, che mina le basi della democrazia ed i principi di eguaglianza sostanziale e di legalità sanciti dalla nostra Carta costituzionale. Chi agisce, rispettando la legge difficilmente riesce a mantenere i propri livelli di produttività e le numerose e toccanti proteste dei lavoratori che si sono svolte in questi ultimi tempi dimostrano quanto sia alto il livello di tensione sociale di fronte ad un Governo che non ha un progetto economico di ampio respiro e soprattutto non tiene conto delle esigenze dei lavoratori a reddito fisso, delle piccole e medie imprese, di artigiani, di liberi professionisti onesti che rispettano le regole e vivono sulla propria pelle e quella dei loro familiari gli effetti negativi di questa crisi. Di fronte a questo, la risposta del Governo con quell’emendamento approvato al Senato che oggi e in questi giorni si dovrà approvare in aula qui alla Camera è quella di premiare chi non rispetta le regole, chi ha evaso ai danni della collettività tutta e di non punire chi ha falsamente rappresentato, con artifizi contabili e manovre fraudolente, le situazioni economiche societarie. Tutto ciò vuol dire fare un danno alla società democratica tutta, significa abbassare il livello di legalità e di etica dell’economia con l’appoggio dello Stato. Perché un imprenditore in difficoltà dovrebbe ostinarsi a pagare le tasse, Scudo fiscale a fare i bilanci veritieri e trasparenti, quando chi viola le regole viene addirittura premiato? Questo è il messaggio che vogliamo far passare ai cittadini, alle nuove generazioni, a chi si avvia al mondo dell’imprenditoria e del lavoro? Sappiamo tutti che non vi era bisogno di prevedere l’ampliamento delle aree di impunità penali per consentire il rientro di capitali all’estero, perché era stata già prevista un’imposta straordinaria di importo non pesante, quindi appetibile, ed era stato già previsto a luglio l’effetto estintivo degli illeciti penali che costituivano l’essenza di quella esportazione all’estero. Il volere a tutti i costi inserire anche questi reati come la frode fiscale perpetrata attraverso fatturazioni false per operazioni inesistenti o come quella di false comunicazioni sociali in danno di soci creditori o che abbiano comportato grave nocumento ai risparmiatori, vuol dire violare ogni canone di ragionevolezza e coerenza; vuol dire creare sacche di impunità del tutto arbitrarie rimesse a fattori occasionali, che cozzano contro il principio di legalità, con le regole e l’interesse pubblico alla trasparenza e alla correttezza del mercato; vuol dire autorizzare e legalizzare la cosiddetta costituzione di fondi neri, utilizzati notoriamente come provvista per la corruzione; vuol dire voler violare la convenzione OCSE sulla lotta alla corruzione di pubblici ufficiali stranieri nelle operazioni eco- nomiche internazionali. I condoni fiscali non sono mai giusti e in virtù di questo c’è sempre una parte che subisce ed un’altra parte che approfitta della situazione; di regola, premiando chi ha evaso e mortificando chi ha rispettato la legge si incentivano i comportamenti fraudolenti. Ma i capitali esportati all’estero sono risorse sottratte alla comunità, a quella comunità che aspetta di vedersi ridurre le tasse e che le paga diligentemente ogni anno, ogni mese e che non beneficerà minimamente di tale condono. In più, questi condoni - e lo sappiamo tutti sulla nostra pelle - sono inefficaci, lo abbiamo sperimentato già: si tratta solo di risorse una tantum e la cui destinazione è ancora ignota e su questo punto addirittura il servizio bilancio della Camera ha chiesto spiegazioni relativamente alla sfasatura che esiste tra le previste entrate (dicembre 2009) e le intenzioni di spesa da effettuarsi nel 2010. Quindi, si chiedono addirittura delucidazioni, delucidazioni che non sono arrivate e che fanno ancora di più capire che la finalità, in realtà, è quella di fare dei regali e mi riferisco al provvedimento sulle intercettazioni o altre misure varate. Si tratta di regali nei confronti della criminalità più pericolosa, quella più organizzata, quella che utilizza strumenti artificiosi, quella che non si scopre con le indagini investigative alla vecchia maniera, a cui qualcuno vorrebbe tanto ritornare. 61 Temi per la legalità Quella che utilizza società, prestanomi, falsi in bilancio, intermediari e teste di legno e che quindi fa male a tutto il Paese. Lo scudo fiscale offre tutta una serie di garanzie a prezzi stracciati in materia di anonimato, di esiguo ammontare dell’imposta e di impunità per una serie di reati. Gli altri Paesi si sono ben guardati dall’adottare simili misure. Essi lo hanno fatto sempre salvaguardando la coerenza rispetto a quello che il Governo di ciascun Paese intende perseguire sotto il profilo della repressione dei reati e quindi anche della valorizzazione dell’etica fiscale. Gli effetti che deriveranno dall’approvazione di questo provvedimento saranno nefasti per la lotta all’evasione fiscale, al riciclaggio e alla criminalità organizzata e non solo il Governo ma purtroppo lo Stato italiano tutto continuerà a perdere credibilità di fronte ai cittadini e all’Europa. Non venite poi a dirci che non lo abbiamo sostenuto, non venite poi a dire o a pensare, successivamente all’approvazione del provvedimento in esame, che c’è chi non applica le leggi, che i giudici non applicano le leggi o che addirittura si permettono di interpretarle. Sotto questo profilo sono state affermate delle cose gravissime da un Ministro di questa Repubblica, cose che gli studenti del primo anno di giurisprudenza imparano quando preparano il primo esame, quello di istituzioni di diritto privato o di diritto costituzionale. Il compito di un 62 giurista è quello di interpretare la legge perché essa va applicata e ho sentito dire - voglio dirlo in quest’Aula - da un rappresentante della Lega, nel corso di una trasmissione radiofonica, che, in realtà, i giudici devono limitarsi ad applicare le leggi, mentre l’interpretazione spetta al Parlamento. Mi auguro che chi ha espresso queste parole (si trattava di una trasmissione in onda su RaiNews24) lo abbia fatto solo per ignoranza e non perché veramente pensa che esse possano rappresentare un indirizzo politico del suo partito e di questo Governo. Ciò vorrebbe dire far passare un messaggio diretto a tutti i cittadini, ai giovani e a tutti coloro che si avviano verso un’attività che, come quella della magistratura, dell’avvocatura o del notariato, ruota intorno all’interpretazione della legge. Vorrebbe dire insegnare qualcosa di sbagliato e ritengo che nessuna attività politica possa mai legittimare ad ingannare i cittadini. Deve esserci sempre un indirizzo diretto verso una finalità istituzionale. Sotto questo punto di vista, anche questo rappresenta un inganno verso i cittadini. È bene ripensarci. Voglio confidare che questo emendamento scompaia e che questo testo venga rivisto dalla maggioranza, che il Governo dia finalmente un segnale di coerenza e di rispetto dei principi fondamentali del nostro Stato. Vorrei che ciò non continuasse ad essere un’utopia (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico). Processo breve Seduta n. 453 di lunedì 28 marzo 2011 processo breve Discussione sulle linee generali Il testo del progetto di legge n. 3137, approvato dal Senato in data 20 gennaio 2010, prevedeva norme volte a realizzare una durata maggiormente ragionevole dei processi. Significativamente modificato rispetto al testo inizialmente presentato al Senato, il punto qualificante di quella proposta era senz’altro la nuova disciplina sulla sentenza di proscioglimento per durata ragionevole del processo, contenuta nell’articolo 5 del progetto. Un meccanismo volto a stabilire l’estinzione anticipata del processo, con assoluzione dell’imputato che vi sia sottoposto, quando il processo si fosse protratto per un tempo irragionevole, calcolato in relazione a ciascun grado del procedimento (primo grado, secondo grado, giudizio di cassazione, eventuale giudizio di rinvio). Un sistema costruito secondo una progressiva riduzione dei tempi di espletamento man mano che si avanza nei gradi del processo: più lungo per il primo grado, intermedio per l’appello, più breve per la cassazione. Il punto critico fondamentale era dato dalla coesistenza fra la prescrizione prevista dal codice penale, che rimaneva inalterata nella sua struttura, e la nuova disciplina della durata massima del processo. Quando il processo avesse avuto inizio, continuavano a decorrere i termini di prescrizione del reato, cui si aggiungevano ora i tempi di durata massima di ciascuna fase. Questo accavallarsi di limiti cronologici dentro il processo era ed è nefasto, poiché di fatto continuava a rendere conveniente per le parti assumere un contegno dilatorio, improntato a prolungare la durata del processo. Anzi, la sovrapposizione di due distinte gabbie cronologiche al processo amplificava la convenienza alla dilazione: poiché se anche non si riuscisse a sforare il termine di fase, il tempo guadagnato gioverebbe comunque per cercare di guadagnare la prescrizione del reato. Non vi era alcuna ragione per questo accavallarsi di discipline, che finiva AC 3137 - Misure per la tutela del cittadino contro la durata indeterminata dei processi, in attuazione dell’articolo 111 della Costituzione e dell’articolo 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (approvata dal Senato, in discussione alla Camera) 63 Temi per la legalità solo per rendere il processo più intricato e complicato. La soluzione coerente doveva essere quella di armonizzare le regole sulla durata del processo con le norme sulla prescrizione dei reati, stabilendo che queste ultime cessino definitivamente di applicarsi quantomeno dal momento in cui viene esercitata l’azione penale. Non solo si deve dire che la disciplina era ed è (per quello che oggi è l’articolo 5) eccessivamente rigida, poiché i termini sono fissi; una rigidità che contrasta con le stesse indicazioni della Corte europea dei diritti dell’uomo, ma non si predispone alcun meccanismo che contrasti con questa rigidità. Manca qualsiasi sistema che consenta di recuperare in un segmento processuale il tempo risparmiato in una fase precedente: un processo che giungesse con massima celerità alle soglie della cassazione, ma che poi si protraesse in questa fase per un tempo superiore ad un anno e sei mesi finiva per estinguersi anche se, complessivamente riguardato, non può essere ritenuto un processo irragionevolmente lungo. Nei termini previsti per il giudizio d’appello e di Cassazione rientra pure la fase di redazione della sentenza del grado precedente e di decorso del termine per impugnare, con l’effetto di ridurre ulteriormente il tempo utile per il valido espletamento del giudizio d’impugnazione. 64 La logica di tempi tarati essenzialmente per gravità del reato desta non poche perplessità, posto che la complessità dell’accertamento può non coincidere affatto con la gravità del reato perseguito. Ma che non si trattasse di una normativa volta ad assicurare la ragionevole durata dei processi per i cittadini veniva confermato dall’articolo 9, la cosiddetta transitoria, rivelatrice dell’abitudine di coniare norme ad personam. Non servono molte parole per osservare come questa norma confliggeva con la ragionevolezza e con la parità di trattamento dei cittadini. Essa si applicava ai processi in corso solo quando si trattava di procedimenti per reati commessi anteriormente al 2 maggio 2006 e puniti con pena inferiore a dieci anni. Già questa è una prima singolare disparità di trattamento. Di più, la norma transitoria concerne solo la durata dei processi di primo grado, non anche nei gradi successivi. Infine, essa prevede termini di durata del processo di primo grado più brevi di quanto previsto nella disciplina generale dell’articolo 5: due soli anni, invece di tre. Un coacervo di disparità di trattamento che, in quanto tali, suonavano difficilmente giustificabili all’interno di un giudizio di costituzionalità. Invero la prescrizione, se vista nella sua eccezionalità e straordinarietà, può funzionare come agente terapeu- Processo breve tico, perché può sollecitare efficienza e rigore organizzativo. Tutti abbiamo sottolineato però che la prescrizione processuale o sostanziale è un agente patogeno, non terapeutico per il processo, se non è vista come un esito assolutamente raro e straordinario. Essa induce infatti le difese a premialità di fatto, scoraggia quindi le premialità trasparenti e legali dei riti alternativi, laddove l’accusatorio può funzionare in quanto funzionano i reati alternativi, ma, se non funzionano gli alternativi, non funzionerà neppure questa scelta di fondo del rito accusatorio. Essa incentiva inoltre tecniche dilatorie, implementa oltre ogni misura le impugnazioni in vista di quell’esito proscioglitivo. Non è stato inserito alcun contrappeso alla prescrizione abbreviata. Tali contrappesi dovevano consistere innanzitutto nello sterilizzare la prescrizione del reato dopo l’esercizio dell’azione penale, perché la nostra disciplina della prescrizione di tipo sostanziale del reato non ha uguali in nessuna altra parte del mondo. Nel resto del mondo lo Stato che decide di esercitare l’azione penale attraverso i suoi organi non si vede prescritto il reato per il quale procede perché ha mostrato la volontà di voler procedere in ordine a quello. Sarebbe stato necessario irrobustire fortemente le premialità negoziali con misure larghe e trasparenti all’interno dei riti alternativi; prevedere rigorose preclusioni endoprocessuali in tema di competenza e di invalidità degli atti; semplificare avvisi, comunicazioni e notificazioni a parti e difensori; eliminare radicalmente come pretende anche la Corte europea dei diritti dell’uomo il giudizio contumaciale a favore dell’istituto dell’assenza consapevole e informata dell’imputato; prevedere casi di inammissibilità de plano delle impugnazioni manifestamente infondate o aspecifiche; ridurre le impugnazioni incidentali. Tener conto della particolare complessità della ricostruzione probatoria del fatto o della pluralità degli imputati e delle imputazioni, come ci dice la giurisprudenza della Corte europea; rafforzare i poteri della persona offesa come vittima del reato dentro il processo; enunciare il dovere di lealtà processuale delle parti nel processo; prevedere fattispecie tassative di sospensione dei termini di fase in ogni caso oggettivo e non imputabile al resto delle attività processuali. In difetto dei contrappesi, la prescrizione funziona solo come agente patogeno e può comportare il rischio del collasso e della perdita di autorevolezza della giurisdizione penale, programmando una fine scontata, quindi non più straordinaria e eccezionale ma ordinaria e tipica del processo penale per il mero decorso del tempo. 65 Temi per la legalità Quella che, se razionalmente organizzata, dovrebbe essere una conclusione straordinaria ed eccezionale, perché fallisce la funzione primaria della funzione cognitiva dell’accertamento e della ricostruzione probatoria dei fatti, perché c’è la sconfitta dell’ansia di verità delle vittime del reato e di giustizia della collettività, della comunità di riferimento, viene invece disciplinata come uno dei tipici e ordinari esiti proscioglitivi, e l’imputato avrà ben diritto di tendere a questo esito nel momento in cui lo si pone nello sfondo. Aumenta ulteriormente la distanza della nostra disciplina rispetto all’apparato di tutela riconosciuto dalle fonti convenzionali e sovranazionali alla vittima del reato, alla persona fisica che ha subìto il pregiudizio da quelle violazioni del diritto penale riconosciuto da uno Stato membro. Avremmo potuto comprendere una rivisitazione della prescrizione sistematica, inserita in un complesso di interventi processuali e organizzativi o per funzionamento, sarebbe stato necessario incidere sull’insufficienza drammatica del personale amministrativo dal punto di vista qualitativo e quantitativo, perché il personale amministrativo di cancelleria della giustizia oggi è a esaurimento, perché negli ultimi quindici anni non sono stati banditi concorsi ed è stata diminuita di oltre un terzo la forza lavoro negli uffici giudiziari, che risultano per 66 giunta sprovvisti delle più moderne specializzazioni. Sarebbe stato necessario inoltre considerare l’esigenza di semplificazione e informatizzazione di tutti i servizi di comunicazione e notificazione, il sovraccarico della domanda di giustizia penale, il sovradimensionamento della classe forense, con un numero di avvocati assolutamente spropositato rispetto al numero degli abitanti di questo Paese e anche se comparati con qualunque altro Paese europeo. Ricordo che il 17 novembre 2010 il Comitato dei Ministri e quindi anche il nostro Ministro al Consiglio d’Europa ha approvato la raccomandazione Raccomandazione CM/ Rec(2010)12, su indipendenza, efficacia e responsabilità dei giudici. Essa raccomanda ai Governi degli Stati membri di fornire ai giudici mezzi per svolgere le loro funzioni in conformità a queste disposizioni: «L’efficacia dei giudici e dei sistemi giudiziari è una condizione necessaria per la tutela dei diritti di ogni persona. L’efficacia sta nell’emettere decisioni di qualità entro un termine ragionevole e sulla base di un apprezzamento equo delle circostanze. Spetta alle autorità responsabili per l’organizzazione e il funzionamento del sistema giudiziario creare le condizioni che consentano ai giudici di svolgere la loro missione e raggiungere l’efficacia. Processo breve Ogni Stato deve assegnare ai tribunali risorse, strutture e attrezzature adeguate, che consentano loro di operare in conformità delle esigenze di cui all’articolo 6 della convenzione e per consentire ai giudici di lavorare in modo efficace. Ai tribunali deve essere assegnato un numero sufficiente di giudici e di personale di supporto adeguatamente qualificato». tali per una corretta impostazione del problema del processo breve. Il principio di efficienza e di giusta durata del processo deve essere contemperato con gli altri valori costituzionalmente protetti, che sono quelli del giusto processo, del diritto di difesa dell’imputato, della tutela delle vittime del reato specie se vulnerabili, della funzione cognitiva di ricerca della verità del processo penale, dell’obbligo di motivazione delle decisioni dei giudici. Il giudice Zagrebelsky ebbe occasione di rilevare che non è irrilevante il fatto che la procedura si sia sviluppata attraverso varie fasi e attraverso vari gradi, ma la durata del procedimento in una fase o grado non è mai stata presa in considerazione di per sé, tanto che non esiste una giurisprudenza relativa alla durata del procedimento di primo grado o alla durata del procedimento in grado di appello. Occorre fare i conti con quella che la citata raccomandazione del novembre 2010 del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa chiama «esigenza di qualità e serietà della giurisdizione penale». È verosimile prevedere che l’attuale articolato normativo così come è strutturato non supererà indenne lo scoglio dello scrutinio di costituzionalità, né quello di coerenza con i princìpi della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Il giudice Zagrebelsky, nell’illustrare le linee fondamentali della giurisprudenza della Corte di Strasburgo sull’argomento, evidenziò alcuni punti che a me sembrano fondamen- In particolare la Corte di Strasburgo, nel valutare la ragionevole durata di una procedura è portata a commisurare i tempi necessari con riferimento all’esecuzione della decisione giudiziaria finale e non allo svolgersi del processo nelle sue diverse fasi o nei suoi diversi gradi. Qualunque durata prefissata in astratto vista da Strasburgo potrebbe rivelarsi in concreto eccessiva o troppo breve. La ragionevole durata è solo un aspetto dell’efficienza e quindi della competitività del sistema giustizia, per cui pensare di ingabbiare la decisione del giudice in tempi rigidi e predeterminati, non trova riscontro in nessun Paese europeo, tanto meno nella giurisprudenza della Corte di Strasburgo che semmai dice il contrario. Per le vittime del reato esiste poi una specifica decisione quadro del Consiglio dei Ministri dell’Unione 67 Temi per la legalità europea del 15 marzo 2001, che mira a realizzare a trecentosessanta gradi un sistema articolato di misure di assistenza alle vittime del reato prima, durante e dopo il procedimento penale, individuando uno standard minimo di diritti che ogni Stato deve garantire alle vittime del reato. Per dare concreta attuazione a questa finalità con riferimento alle vittime del reato, il Ministro della giustizia provvide a istituire nell’aprile del 2001 una Commissione di studio sui problemi e sul sostegno da dare alle vittime dei reati; ma il progetto elaborato dalla Commissione nei termini prefissati, non ha avuto attuazione, poiché non si sono trovati i finanziamenti necessari a renderlo concretamente operativo. È indubitabile che qualunque persona responsabile si deve porre il problema della ragionevole durata dei processi sotto due ordini di profili, innanzitutto quello dei tantissimi processi che in un modo o nell’altro finiscono con la prescrizione ed è doveroso riflettere sulle condanne subìte dall’Italia per violazione del diritto alla ragionevole durata del processo. Ma quale è la soluzione? Non certo quella prospettata negli emendamenti del relatore Paniz, che è tanto semplicistica quanto incauta e quasi sembra irridere le voci disperate che si sono levate dagli uffici giudiziari, che hanno denunciato dati significativi e allarmanti; ad esempio il pro68 curatore Generale Maddalena ha segnalato nel suo intervento all’ultima inaugurazione dell’anno giudiziario che a Torino nell’ultimo anno sono finiti in prescrizione (comprendendo le archiviazioni per prescrizione, che non superano neanche la fase delle indagini preliminari e quelle tra indagini preliminari, udienza preliminare, primo grado e appello), complessivamente 10.000 processi. Che cosa si fa nella nuova versione del processo breve? Si riduce il termine massimo della prescrizione del reato, ma solo per gli incensurati che, quale che sia il reato commesso, avranno la sicurezza che il loro reato si estinguerà prima di quello del correo che magari precedentemente ha commesso un reato di lieve entità. A prescindere dalla scelta di politica criminale che contrasta addirittura con le indicazioni contenute nel pacchetto sicurezza, il fatto di far scaturire dall’incensuratezza un particolare beneficio, è già di per sé contraddittorio con la natura delle potestà punitiva e contrasta con le esigenze general-preventive del diritto penale e non ha nulla a che vedere con il principio della durata ragionevole del processo. L’istituto della prescrizione era già stato oggetto di un recente intervento legislativo: la legge n. 251 del 2005 (ex Cirielli) non solo ha lasciato irrisolti i nodi più rilevanti in punto di interferenza tra disciplina sostanzia- Processo breve le dell’estinzione del reato e tempi processuali, ma ha anche aggravato gli effetti indiretti, e non per questo meno significativi, che la prescrizione oggi è capace di produrre proprio nel senso di un allungamento della durata degli accertamenti. Ciò perché la rimodulazione del tempo della prescrizione, che per vasti settori di fattispecie penali anche gravi è stato sensibilmente ridotto, non ha tenuto conto delle effettive capacità del sistema giudiziario di smaltire il rilevante carico di lavoro e del comprensibile atteggiamento difensivo del ricorso a strumenti dilatori del processo per «ottenere», male che vada, la pronuncia di estinzione. L’ulteriore riduzione del termine massimo di prescrizione (da un quarto del massimo edittale ad un massimo del sesto edittale) non fa altro che aggravare le difficoltà del sistema giustizia e aumentare il numero dei processi che quotidianamente si estinguono. Per i reati che sono puniti con pena nel massimo non superiore a sei anni il termine complessivo di prescrizione si riduce di 6 mesi (da 7 anni e mezzo a 7 anni). Per i reati che sono puniti con una pena di dieci anni, il termine complessivo di prescrizione scende da dodici anni e mezzo a undici anni e otto mesi (10 mesi in meno di prima). Per i reati che sono puniti con una pena di dodici anni, il termine com- plessivo di prescrizione scende da quindici anni a quattordici anni (un anno in meno di prima). Per i reati che sono puniti con una pena di venti anni, il termine complessivo di prescrizione si riduce di oltre un anno (da venticinque anni a ventitré anni e quattro mesi). Potrebbero sembrare riduzioni non clamorose ma esse operano su termini di prescrizione che già ora sono - a seguito delle «sforbiciate» alla prescrizione imposte dalla legge Cirielli - troppo brevi per le potenzialità effettive del sistema giustizia, specie per i reati minori. Per l’ennesima volta, quindi, le esigenze della giustizia penale - che sarebbero quelle di un allungamento dei termini massimi di prescrizione - vengono sacrificate a quelle del singolo. Si deve per di più aggiungere che la differenziazione dei termini di prescrizione fra imputati incensurati e non (o, meglio, fra imputati dichiarati recidivi e non) solleva non pochi dubbi di legittimità costituzionale, poiché gli interessi che la prescrizione mira a tutelare non paiono mutare, in qualità o in intensità, a seconda che l’imputato sia o meno recidivo. Un altro aspetto non secondario deriva dalla condanna che la Corte europea dei diritti dell’uomo ha inflitto all’Italia in relazione al diritto di ogni persona a che la sua causa sia esaminata entro un termine ragionevole (in termini, Corte EDU, 69 Temi per la legalità sentenze nn. 36813/97, 64890/01, 64699/01, 65102/01. Si veda anche la sentenza della Corte di Strasburgo in data 5 luglio 2007, Locatelli c. Italia). La Corte di Strasburgo ha considerato il tempo impiegato, nell’ambito dei giudizi celebrati in Italia, per esaminare il merito della causa; ed ha affermato la responsabilità dello Stato discendente dalla violazione dell’articolo 6, paragrafo 1, della Convenzione EDU. La Corte ha pure posto a carico dello Stato italiano una liquidazione supplementare rispetto a quella riconosciuta dalle Corti d’Appello nel quadro della Legge Pinto, ritenendo che detta previsione non fornisca una riparazione equa del ritardo subito. Non sembra allora che la giurisprudenza della Corte di Strasburgo, così sinteticamente richiamata, legittimi in alcun modo l’introduzione di termini accorciati di prescrizione del reato di corruzione sanzionati con l’estinzione dello stesso reato; cioè a dire la previsione di un meccanismo che ostacola l’accertamento sul merito della questione dedotta in giudizio. Invero, il diritto consacrato dall’articolo 6 della Convenzione, e prima di essa dagli articoli 24 e 111 della nostra Costituzione, è anzitutto che il processo ci sia e che sia un processo che si concluda con una decisione di merito. In secondo luogo che sia un processo di durata non irragionevole ed improntato agli 70 altri principi descritti dalla norma costituzionale. Si osserva, inoltre, che le nuove norme proposte in tema di prescrizione sembrano pure confliggere con le previsioni promananti da fonti sovranazionali di origine pattizia, recentemente recepite dallo Stato italiano. Ci si riferisce, in particolare, alla Convenzione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite contro la corruzione, adottata dall’Assemblea generale dell’ONU il 31 ottobre 2003 con risoluzione n. 58/4, firmata dallo Stato italiano il 9 dicembre 2003 (La Convenzione contro la corruzione alla quale si fa riferimento nel testo è pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 14 agosto 2009, n. 188). La predetta Convezione è stata ratificata dall’Italia con Legge 3 agosto 2009, n. 116. L’articolo 2 della citata legge n. 116 del 2009 stabilisce invero espressamente che «Piena ed intera esecuzione è data alla Convenzione» ONU contro la corruzione. La Convenzione raccomanda il rafforzamento, da parte degli Stati firmatari, delle misure sostanziali e processuali volte a prevenire e combattere la corruzione in modo sempre più efficace. Non vi è dubbio, pertanto, che rientrano nell’ambito della Convenzione anche le figure di reato individuate dagli Stati aderenti al fine di contrastare il fenomeno corruttivo. Con riguardo all’Italia, vengono pertanto in rilievo i delitti Processo breve contro la pubblica amministrazione di cui al Libro Secondo, Titolo II, del codice penale, delitti per i quali la pena edittale è, in numerosi casi, inferiore a dieci anni di reclusione e che perciò astrattamente rientrano nella previsione di modifica dei termini di prescrizione. Tanto premesso, si osserva che l’articolo 29 della Convenzione ONU contro la corruzione, stabilisce che «... ciascuno Stato Parte fissa, nell’ambito del proprio diritto interno, un lungo termine di prescrizione entro il quale i procedimenti possono essere avviati per uno dei reati stabiliti conformemente alla presente Convenzione». La previsione risente ovviamente dell’ambiente di common law in cui la Convenzione stessa è maturata ove, come sopra si è rilevato, l’esercizio dell’azione penale mediante l’instaurazione del giudizio preclude l’ulteriore corso della prescrizione del reato. Tanto chiarito, non appare revocabile in dubbio che la ratio della disposizione sia quella di garantire l’effettiva celebrazione dei processi in materia di corruzione. Rafforza il convincimento rilevare che l’articolo 30 della Convenzione in esame raccomanda agli Stati di adottare le misure necessarie al fine di «ricercare, perseguire e giudicare effettivamente» i responsabili di fatti corruttivi (articolo 30, comma II). L’articolo in commento invita poi gli Stati ad adoperarsi affinché i relativi procedimenti giudiziari si svolgano in modo tale da «ottimizzare l’efficacia di misure di individuazione e di repressione di tali reati» (articolo 30, comma 3). Orbene, la previsione della estinzione anticipata del reato - che ben può riguardare anche i delitti di corruzione, come sopra chiarito - quale effetto automatico derivante dal decorso di predeterminati limiti temporali, sembra allora porsi in netto contrasto con i principi sanciti dalla richiamata Convenzione contro la corruzione, ai quali l’azione degli Stati firmatari dovrebbe ispirarsi. Infine, una specifica menzione deve essere riservata al rapporto redatto dal Gruppo di Stati contro la corruzione che agisce nell’ambito del Consiglio d’Europa (GRECO) (Joint First and Second Round Evaluation Report on Italy, adottato in data 2 luglio 2009 dal Group of States against corruption (GRECO) del Consiglio d’Europa), che ha recentemente valutato le politiche anticorruzione poste in essere dall’Italia. Il rapporto adottato il 2 luglio 2009 si sofferma sul dato relativo alla eccessiva durata dei processi, sottolineando il fatto che in Italia i processi per corruzione sovente non arrivino ad una decisione di merito, in considerazione del maturare del termine di prescrizione del reato, prima di una pronuncia definitiva. Nel Rapporto (PAR 54) si osserva che detta 71 Temi per la legalità evenienza scardina l’efficienza e la credibilità del diritto penale, poiché in tali casi, pur in presenza di un forte quadro probatorio, il giudice deve pronunciare il non luogo a procedere per estinzione del reato. Ed il predetto rapporto si conclude con una raccomandazione all’Italia, ove si auspica l’individuazione di soluzioni che consentano di addivenire ad una pronuncia di merito, in un tempo ragionevole. Questa proposta di legge costituirà l’ennesima prova di una volontà di un Governo che non ha tra le sue priorità una giustizia efficiente, trasparente ed effettiva per il cittadino. Seduta n. 455 di mercoledì 30 marzo 2011 Esame di pregiudiziali Signor Presidente, siamo ancora qui davanti all’ennesimo provvedimento legislativo, coniato per gli interessi del Presidente del Consiglio, che presenta vizi di costituzionalità di fondo. Non vorrei fare la Cassandra, perché francamente avevamo formulato gli stessi rilievi anche con riferimento alla legge sul legittimo impedimento e al lodo Alfano e li ribadiamo oggi: siamo ancora in tempo per rivedere questa strategia perdente, che provoca lo sconquasso della giustizia e del processo penale e che stravolge la nozione di prescrizione del reato contenuta nel codice penale. La prescrizione estingue il reato perché si pone come limite al potere dello Stato di punire perché è trascorso tanto di quel tempo da far venir meno l’interesse alla pena ed è una garanzia per l’imputato ad un processo che non sia interminabile. Ma nel nostro sistema già questa maggioranza nel 2005 era intervenuta accorciando in 72 maniera irragionevole i termini della prescrizione con la riforma «ex Cirielli». Già quindi oggi molto spesso si arriva all’estinzione del reato per prescrizione non perché ci sia stata l’inerzia o la stasi investigativa o processuale: si arriva alla prescrizione proprio nei processi più complessi, dove c’è stato più impegno per le parti e si distrugge spesso la mole di lavoro compiuta, con uno spreco di risorse, una dissipazione di denaro, un tradimento delle aspettative delle vittime e una violazione della decisione quadro del 2001, che tutela a tutto tondo la vittima del reato. La prescrizione introdotta dalla legge ex Cirielli non solo aveva ridotto in maniera rilevante i tempi della prescrizione, ma aveva già individuato dei tempi crescenti per i recidivi reiterati e per i delinquenti abituali: una manifestazione già quella di un diritto diseguale, di un regime del doppio binario che questa proposta aggrava Processo breve in maniera esorbitante e rende del tutto irragionevole, in totale spregio del principio di uguaglianza. Il paradosso è stato ulteriormente accentuato perché per arrivare alla prescrizione di un processo - il processo che sta a cuore a voi -, si è accentuata la disuguaglianza tra i cittadini «normali»: più tempo per giudicare i pregiudicati, più tempo per chi ha commesso anche un solo reato - anche di lieve entità, il cosiddetto recidivo semplice - e meno tempo invece per i cosiddetti incensurati, senza contare che l’incensurato può avere più processi pendenti e magari avere avuto un ruolo determinante proprio in quel processo che si va ad estinguere prima degli altri; oppure può aver avuto un ruolo defatigante e dilatorio nell’ambito del processo e si potrebbe trattare dello stesso incensurato per il quale il pacchetto sicurezza portato avanti dal Ministro Maroni nel 2008 e approvato da questo Parlamento in caso di condanna impedirebbe, in base alla stessa incensuratezza, di meritare le attenuanti generiche. Quindi, non sapete più dove andare a trovare le scorciatoie per il Presidente del Consiglio e siete in contraddizione con voi stessi, anzi devo dire che alla figura ben nota del pregiudicato si affiancherà quella del «pluriprescritto», in grado di vantare una fedina penale punita, una nuova verginità ogni volta che si avvia un nuovo processo e che ha già bene- ficiato di altre estinzioni abbreviate di processi precedenti. Questa linea contrasta e contraddice la potestà punitiva e le esigenze generali e preventive del diritto penale. Rimaniamo senza parole nei confronti di una Lega Nord Padania a parole così attenta alla sicurezza dei cittadini, ma che poi nei fatti non riesce a frenare questo precipizio processuale. Siffatta soluzione legislativa lesiva del diritto di uguaglianza è fonte di una ingiustificata disparità di trattamento e la differenza non è ragionevole perché non è ancorata a nessun fattore oggettivo, ma solo a quello soggettivo e casuale del certificato penale che non riporta condanne passate in giudicato, che di per sé non può avere alcun rilievo ai fini dell’interesse dello Stato a punire e ad andare in fondo all’accertamento della verità processuale e quindi anche dell’innocenza. C’è di più, questo provvedimento contrasta anche con l’articolo 111 della Costituzione sul giusto processo e sulla sua durata ragionevole, tant’è vero che nel Comitato dei nove il relatore si è ben affrettato a proporre un emendamento che modifichi il testo del provvedimento all’esame dell’Aula, proprio perché quel richiamo al giusto processo e all’articolo 111 implica che ci sia una credibilità della giurisdizione agli occhi dei cittadini, mentre abbreviare i termini della prescrizione agevola invece la ricerca programmata del 73 Temi per la legalità prolungamento del processo penale, è ostacolo alla realizzazione e all’utilizzo dei riti abbreviati, è ostacolo alla realizzazione di una ragionevole durata del giusto processo che vuol dire tendere e mirare a una pronuncia di merito. Non è vero che questa norma accorcia i termini già prossimi a scadere nel primo grado, perché in realtà in questo modo si penalizzano in maniera irragionevole e in contrasto con la Costituzione - oltre che con l’articolo 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali - proprio le vittime. Le vittime, infatti, o meglio la parte lesa costituita ha un interesse specifico a che ci sia una pronuncia di merito di primo grado, perché da lì trae la legittimazione a portare avanti la sua posizione processuale nei gradi successivi e, quindi, a vedere risarcita la propria offesa al bene che viene tutelato. Invece, accorciando i termini della prescrizione massima, qui non si tiene conto della complessità del processo, dell’imputazione, di quante vittime si sono costituite, ma si continua a dare un privilegio a chi, il cosiddetto incensurato, magari immeritevole, successivamente ha anche delle attenuanti generiche. Per l’ennesima volta, le esigenze della giustizia penale, quindi le esigenze 74 dei cittadini, vengono sacrificate a quelle di una singola persona. Il diritto consacrato dall’articolo 6 della Convenzione dei diritti umani, e prima ancora dagli articoli 24 e 111 della Costituzione, vuole che un processo ci sia e che si arrivi ad una decisione che sia di innocenza o di colpevolezza e non che si taglino inopinatamente i processi, che si realizzi una scorciatoia che in realtà butterà al macero tanti processi in primo grado già fissati, tenendo conto di quella ragionevole durata che era fissata da una legge già emanata da questo Parlamento. Invece, lavorando quasi come fosse un’amnistia, ma senza neanche i canoni delle maggioranze qualificate previste da questo Parlamento, si arriverà alla fine a porre nel nulla, per un solo processo, migliaia di processi che invece stanno completando il proprio corso. Credo che su questo dovreste riflettere tutti e cercare di non avere sempre i paraocchi e i paraorecchie, ma di avere un atteggiamento ragionevole, cancellando questo provvedimento, ritirandolo definitivamente, non limitandovi a cambiare il titolo, perché la vergogna che c’è dentro rimane e non è possibile ricomporla con un titolo rifatto, che tra l’altro è una falsità in se stesso (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico). Processo breve Questione sospensiva La Camera, premesso che: l’eventuale approvazione dell’A. C. 3137, recante «Misure contro la durata indeterminata dei processi», il cosiddetto «processo breve», determinerebbe gravissime conseguenze sul sistema giudiziario, portando all’estinzione immediata di centinaia di processi in corso; la proposta di legge in esame, infatti, agisce nuovamente sulla prescrizione, peggiorando ulteriormente i già gravissimi effetti causati dalla legge cosiddetta «ex Cirielli», la n. 251 del 2005; lo scorso 10 marzo, il Consiglio dei Ministri, appositamente convocato, ha approvato all’unanimità, su proposta del Presidente del Consiglio, Berlusconi, e del Ministro della giu- stizia, Alfano, un disegno di legge costituzionale per una riforma della giustizia, definito una riforma «epocale» che modifica il Titolo IV della Costituzione, che assumerebbe la nuova denominazione de «La Giustizia», del quale però ad oggi non vi è traccia in Parlamento; dunque, mentre da un lato si vagheggia di una «riforma epocale del sistema giustizia», dall’altro si introducono norme di impatto devastante per il nostro sistema giudiziario, delibera di sospendere l’esame dell’atto Camera n. 3137-A per un periodo di due anni. n. 1. Franceschini, Ventura, Maran, Villecco Calipari, Amici, Bressa, Ferranti, Zaccaria, Boccia, Lenzi, Quartiani, Giachetti, Rosato. 75 Temi per la legalità Questione pregiudiziale di costituzionalità La Camera, premesso che: la proposta di legge in esame ridefinisce il regime della prescrizione, peraltro nel solco degli indirizzi di politica legislativa contenuti nella legge n. 251 del 2005 (c.d. ex Cirielli) già in violazione di fondamentali princìpi costituzionali; l’articolo 3, introduce modifiche all’articolo 161 del codice penale, sostituendone il comma 2 con il seguente: «Salvo che si proceda per i reati di cui all’articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, del codice di procedura penale, in nessun caso l’interruzione della prescrizione può comportare l’aumento di più di un sesto del tempo necessario a prescrivere, di un quarto nel caso di cui all’articolo 99, primo comma, della metà nei casi di cui all’articolo 99, secondo comma, di due terzi nel caso di cui all’articolo 99, quarto comma, e del doppio nei casi di cui agli articoli 102, 103 e 105»; tale norma riduce da un quarto ad un sesto l’aumento automatico della prescrizione, ma soltanto per gli incensurati e per i processi di primo grado; siffatta riduzione del termine massimo di prescrizione avrà inevitabilmente ricadute sul funzionamento del sistema giudiziario, incremen76 tando il numero dei processi destinati a svolgersi inutiliter (già oggi aumentati rispetto al passato per effetto della legge n. 251 del 2005), dato che i termini di prescrizione appaiono troppo brevi per consentire il dispiegamento delle potenzialità effettive del sistema giudiziario, in particolare per i reati con pena edittale stabilita nel massimo fino a sei anni (tra i quali rientrano molti dei reati contro la pubblica amministrazione come la corruzione e i reati societari); determina un incentivo a pratiche dilatorie di per sé antitetiche alla ragionevole durata del processo e nel contempo - contraddittoriamente addirittura premia siffatte pratiche dilatorie, contraddicendo così i principi basilari del giusto processo di cui all’articolo 111 della Costituzione, che è tale in quanto contempera le esigenze della difesa della persona accusata con quelle della pubblica accusa; nel caso della riduzione da un quarto ad un sesto dell’aumento automatico della prescrizione soltanto per gli incensurati si introduce una differenziazione di trattamento sulla base di caratteristiche soggettive degli individui, su presunzioni attinenti all’incensuratezza, senza che sussistano ragionevoli motivi per differenziare la disciplina della prescrizione rispetto a chi ha avuto già una Processo breve sola condanna, ledendo in tal modo il principio di eguaglianza/ragionevolezza di cui all’articolo 3 della Costituzione: gli interessi che l’istituto della prescrizione mira a tutelare non mutano difatti, in qualità o in intensità, a seconda che l’imputato sia o meno recidivo «semplice»; far scaturire dall’incensuratezza un particolare beneficio è già di per sé contraddittorio con la natura della potestà punitiva e contrasta con le esigenze generali-preventive del diritto penale; la violazione del principio di eguaglianza/ragionevolezza di cui all’articolo 3 della Costituzione è dunque netta e chiara, poiché la proposta di legge in esame introduce discipline differenziate in materia di prescrizione sulla base di caratteristiche soggettive degli individui, nel caso specifico su presunzioni attinenti all’incensuratezza, che già da tempo la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittime; il medesimo presupposto alla base dell’applicazione della riduzione dell’aumento massimo previsto del termine di prescrizione del reato (e, cioè l’essere incensurati), può essere già oggi preso in considerazione dal giudice nell’ambito delle valutazioni connesse alla concessione della circostanza delle attenuanti generiche, ed è tale dunque anche da giustificare una diminuzione della pena: ciò costituisce quindi un ulteriore elemento di irragionevolezza (intesa questa volta come illogicità della norma in rapporto ad altre norme dell’ordinamento); tra l’altro con il decreto-legge 23 maggio 2008, n. 92, convertito dalla legge n. 125 del 24 luglio 2008, recante Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica, il legislatore ha stabilito che «l’assenza di precedenti condanne per altri reati a carico del condannato (cioè l’incensuratezza formale) non può essere, per ciò solo, posta a fondamento della concessione delle attenuanti generiche»; ora lo stesso legislatore, all’articolo 3 della proposta di legge in esame afferma che l’incensuratezza, per ciò solo, impone una prescrizione più breve del reato; infine la legge 3 agosto 2009, n. 116, recante la ratifica della Convenzione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) contro la corruzione, adottata dall’Assemblea generale dell’ONU il 31 ottobre 2003 a Merida, impone agli Stati firmatari il rafforzamento delle misure sostanziali e processuali volte a prevenire e combattere la corruzione in modo sempre più efficace, chiedendo di «ricercare, perseguire e giudicare effettivamente» i responsabili di fatti corruttivi e di adoperarsi perché i relativi procedimenti giudiziari si svolgano in modo tale da «ottimizzare l’efficacia di misure di individuazione e di repressione di 77 Temi per la legalità tale reati» e prevedendo che «ciascuno Stato Parte fissi, nell’ambito del proprio diritto interno, un lungo termine di prescrizione entro il quale i procedimenti» per i reati previsti dalla Convenzione «possono essere avviati», 78 delibera di non procedere all’esame dell’atto Camera n. 3137-A. n. 3. Franceschini, Ventura, Maran, Villecco Calipari, Amici, Bressa, Ferranti, Zaccaria, Boccia, Lenzi, Quartiani, Giachetti, Rosato. Emergenza rifiuti in Campania Sicurezza 79 Temi per la legalità 80 Emergenza rifiuti in Campania Seduta n. 17 di lunedì 16 giugno 2008 Emergenza rifiuti in Campania Discussione sulle linee generali Signor Presidente, onorevoli deputati, il decreto-legge che stiamo esaminando in sede di conversione reca sicuramente misure straordinarie per fronteggiare l’emergenza nel settore dello smaltimento dei rifiuti nella regione Campania e si inquadra in una situazione urgente, come hanno detto tutti quelli che mi hanno preceduto, che interessa il territorio della Campania e che impone di porvi rimedio rapidamente e con decisione, per riportare quella regione in una situazione propria di un Paese civile, superando così i rilevantissimi disagi per le popolazioni, il danno per l’immagine del Paese tutto e le ripercussioni negative sull’economia, con particolare riferimento al settore dell’agricoltura e a quello turistico. Riteniamo, però, altrettanto fermamente - lo ha detto chi mi ha preceduto del Partito Democratico - che l’adozione di interventi legislativi eccezionali e temporanei non debba essere la strada, che purtroppo sembra che il Governo voglia perseguire, per derogare al rigoroso rispetto dei principi costituzionali e delle regole ordinamentali che ne costituiscono l’attuazione. In realtà, il decreto-legge contiene un gruppo sostanzioso di norme che sconvolgono l’assetto organizzativo degli uffici giudiziari (mi occuperò proprio di questa parte in quanto capogruppo alla Commissione giustizia del Partito Democratico), e introducono una disciplina processuale speciale, con una vigenza temporalmente limitata connessa alla situazione di emergenza, che non può trovare giustificazioni nemmeno sotto il profilo di quelle esigenze di efficacia e di funzionalità dell’esercizio della giurisdizione che tanto vengono sbandierate. Mi riferisco, in particolare, all’attribuzione in via esclusiva al procuratore della Repubblica di Napoli delle funzioni di pubblico ministero delle indagini preliminari per i reati in tema di gestione di rifiuti e per quelli connessi relativi alla regione Campania, anche in deroga a tutti Legge n. 123 del 14 luglio 2008 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 23 maggio 2008, n. 90, recante misure straordinarie per fronteggiare l’emergenza nel settore dello smaltimento dei rifiuti nella regione Campania e ulteriori disposizioni di protezione civile 81 Temi per la legalità principi organizzativi di cui al decreto legislativo sull’ordinamento giudiziario del 20 febbraio 2006, n. 106, recentemente approvato; all’attribuzione poi ad un giudice non meglio precisato, giudice collegiale, magistrati del tribunale di Napoli, della competenza a procedere alle misure cautelari personali e reali, alla sottrazione al pubblico ministero e alla polizia giudiziaria di un sequestro preventivo di urgenza che invece dovrebbe, appunto, essere consentito laddove vi sia urgenza e di provvedere come in caso di situazioni di emergenza; consistenti deroghe tutte con efficacia limitata nel tempo e nel territorio (quindi solo la regione Campania) che derogano ai principi fondamentali dell’ordinamento, dell’organizzazione giudiziaria e del sistema processuale penale, e che di fatto, come dicevo poc’anzi, non rispondono nemmeno a quelle esigenze di immediatezza e di efficacia dell’attività di intervento urgente che l’intervento del Governo deve e dice di tener presenti. In via transitoria il decreto prevede inoltre che le nuove norme derogatorie si applichino in via retroattiva anche ai procedimenti pendenti in fase di indagine, che dovranno pertanto essere tutti trasmessi, anzi già sono in fase di trasmissione, entro dieci giorni alla procura della Repubblica, al GIP, al GUP competenti in base alle nuove regole. E anche al termine della stato di emergenza, dopo la 82 cessazione dell’efficacia delle norme eccezionali, continueranno in realtà ad applicarsi ai procedimenti relativi ai fatti connessi sotto il vigore delle stesse. Dal punto di vista dell’organizzazione giudiziaria, dell’efficacia ed efficienza del sistema giustizia già tanto gravemente in crisi, le norme del decreto in esame, in particolare l’articolo 3, creano una sorta di superprocuratore a Napoli, con competenza per un’unica materia, quella della gestione dei rifiuti, estesa alla regione anche nel territorio di un diverso distretto, Salerno, svincolata quindi dall’ordinario criterio di ripartizione delle competenze sul territorio, che non solo pone seri dubbi di costituzionalità riguardo alla compatibilità delle deroghe alle competenze territoriali dei pubblici ministeri, dei GIP, rispetto agli articoli 25, primo comma, e 102, secondo comma, della Costituzione, che prevedono appunto il divieto di sottrazione al giudice naturale e il divieto di istituire giudici straordinari e giudici speciali, ma si pone in contrasto anche col profilo della tanto auspicata - per lo meno così nei programmi - efficienza dell’azione giudiziaria, e con la soluzione immediata del problema rifiuti a Napoli. A meno che non sia sottesa un’altra filosofia, quella di scegliersi il pubblico ministero, e quindi di scegliersi il giudice, e quindi di sottrarre alcuni indagini ad alcuni magistrati Emergenza rifiuti in Campania anziché ad altri; ma non vogliamo credere che questo sia veramente l’intento. Pensiamo solo alle conseguenze inevitabili (e vogliamo sollecitare che a questo pensino anche il Governo e il relatore) dell’intasamento dell’attività degli uffici giudiziari della procura del tribunale di Napoli, che ad oggi, dall’entrata in vigore del decreto-legge, si trova a gestire la trasmissione di mille procedimenti per competenza delle singole sedi del territorio campano. In realtà, se le finalità del Governo sono quelle di garantire un’efficace azione repressiva attraverso la previsione di un’azione unitaria della direzione di contrasto giudiziario alle attività illecite connesse alla gestione dei rifiuti, allora si può ricorrere, senza sconvolgere il sistema, mantenendosi garanti delle sue regole, all’istituto della competenza delle procure distrettuali, che già da tempo sono istituite presso i tribunali del capoluogo, appunto Napoli e Salerno in Campania, competenti a svolgere le funzioni di indagini preliminari nel giudizio di primo grado in relazione a procedimenti addirittura di criminalità organizzata, terrorismo, reati di criminalità informatica. E così si può prevedere, come accade nei procedimenti di criminalità organizzata e di terrorismo, che le funzioni di giudice per le indagini preliminari siano esercitate da un magistrato del tribunale del capoluogo nel cui ambito ha sede il giudice competente, senza inventare una figura di giudice a composizione collegiale a Napoli destinata ad operare solo per le misure cautelari in tema di gestione dei rifiuti, mediante una disciplina del tutto carente, che non esplicita nemmeno se contro quelle misure è poi esperibile il riesame, l’appello, e dinanzi a quale organo. La problematica delle garanzie in tema di libertà ed esercizio del potere coercitivo, onorevoli colleghi e signor Presidente, involge in realtà linee di fondo dell’intero sistema processuale penale, e non può essere certo affrontata in un provvedimento la cui logica è l’emergenza, l’eccezionalità e la temporaneità, con il rischio di sconvolgere il sistema. Le disposizioni che introducono, modificano, escludono alcune condotte delittuose, di cui agli articoli 2 e 3, sono inoltre generiche. Abbiamo constatato che è stato recepito un emendamento che riguardava i reati da cosiddetto danno ambientale, perché ci si è accorti che si sarebbe invasa la procura della Repubblica di Napoli con una serie di reati che nulla hanno a che fare con la gestione dei rifiuti. Ma quella dei reati riguardanti la gestione dei rifiuti è una definizione talmente lata, larga e non rispettosa del principio di determinatezza delle fattispecie di reato che non solo presenta dubbi di co83 Temi per la legalità stituzionalità, ma appare gravemente ingestibile, proprio perché quelli che devono essere individuati sono i reati di gestione dei rifiuti connessi alla particolare emergenza, e quindi non tutta una serie di reati bagatellari che pure stanno invadendo la procura della Repubblica di Napoli, dal momento che i magistrati, a seguito di un’individuazione così lata, hanno trasmesso nei dieci giorni tutti i procedimenti che riguardavano la gestione dei rifiuti. In particolare, se si intende perseguire il risultato di far fronte alla straordinaria gravità del contesto socio-economico ed ambientale derivante da una situazione di emergenza in atto, collegata al mancato smaltimento dei rifiuti e suscettibile di compromettere gravemente i diritti fondamentali delle popolazioni della regione Campania, bisogna evitare di allargare i margini di incertezza e definire con sufficiente determinazione i reati riferiti alla gestione dei rifiuti, i quali radicano la competenza speciale ed esercitano la forza attrattiva in sede distrettuale, e ciò al fine di evitare questioni e conflitti di competenza e trasferimenti di competenza di reati di minore rilevanza commessi nelle varie sedi del territorio campano, che nulla hanno a che vedere con la problematica della gestione dei rifiuti. Altro punto di forte criticità è costituito dall’articolo 4, che devolve al giudice amministrativo tout court la giurisdizione su tutte le controversie 84 attinenti la gestione dei rifiuti e l’installazione delle discariche - dilatando irragionevolmente per l’intero territorio nazionale la competenza del giudice amministrativo - anche qualora siano denunciate lesioni dei diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione. Tra l’altro, la Corte costituzionale, nella recente pronuncia n. 191 del 2006, aveva chiarito che la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo si può giustificare in relazione ai principi costituzionali degli articoli 24 e 111 della Costituzione (che, ovviamente, mirano a concentrare dinanzi ad un unico giudice l’intera tutela del cittadino rispetto alle modalità di esercizio della funzione pubblica), e può riguardare anche i comportamenti della pubblica amministrazione che causano danno ingiusto, ma solo se siano collegati all’esercizio, anche se illegittimo, di un pubblico potere, mentre essa non si giustifica, né è compatibile con i principi costituzionali, quando la pubblica amministrazione non abbia esercitato in concreto il potere che la legge attribuisce per la cura dell’interesse pubblico, e quindi quando ci troviamo di fronte a comportamenti, sia pure della pubblica amministrazione, posti in essere in carenza di potere o in via di mero fatto. In tali casi, non possiamo accettare norme che derogano, come dicevo poc’anzi, a principi cardine del Emergenza rifiuti in Campania nostro ordinamento. E ciò senza citare l’articolo 4, secondo comma, che introduce in via transitoria una procedura anomala di caducazione di tutti i provvedimenti d’urgenza adottati dal giudice ordinario e una convalida, una conferma, da parte del giudice amministrativo entro termini perentori che non si sa chi deve attivare, in quali termini e secondo quali procedure. Si crea una confusione e un caos di rimessa nei confronti dei cittadini o di chi ha ottenuto quei provvedimenti cautelari che non possono sostanzialmente essere inseriti in un decreto di questo genere, né sono compatibili con esso. Per non parlare del potere attribuito al Ministero della giustizia di redistribuire i magistrati in servizio al fine di potenziare gli uffici di Napoli: verosimilmente, ci si è resi conto del caos organizzativo che si sarebbe creato a Napoli e allora, quasi si trattasse di prefetti, si attribuisce al Ministro della giustizia un potere che non è suo, perché la Costituzione attribuisce tale potere al Consiglio superiore della magistratura, organo di autogoverno della magistratura, cui spettano in via esclusiva le assunzioni, le assegnazioni e i trasferimenti dei magistrati. Il Ministro è competente solo nella distribuzione dei posti in organico - non nella redistribuzione dei magistrati - e del personale amministrativo. Pertanto l’articolo 3, comma 7, non presenta alcun si- gnificato, se non quello apparente di dare una risposta - ma si tratta di una risposta meramente apparente, che non può legittimare provvedimenti conseguenti - a un carico abnorme di lavoro che l’ufficio della procura di Napoli e il suo procuratore capo, dominus assoluto di tali procedimenti, verrebbero a trovarsi. Per tali motivi il Partito Democratico ha perseguito una linea costruttiva, che ha già manifestato apertamente in Commissione, proponendo una serie di emendamenti, nonché un parere condizionato in Commissione giustizia, affinché se ne tenesse conto nel contenuto delle osservazioni del parere di maggioranza. Tali emendamenti avrebbero consentito al provvedimento in esame di rimanere nell’ambito e nel rispetto rigoroso dei principi fondamentali, sia pure con una forzatura del sistema, perché le procure distrettuali non sono competenti in materia di reati di gestione dei rifiuti, ma lo diverrebbero solo per la regione Campania e nell’attuale momento di emergenza, se questa è la logica di un coordinamento di indagini. Gli emendamenti che abbiamo proposto non sono stati tuttavia recepiti e non hanno trovato accoglimento, se non in minima e irrilevante parte (il relatore ha accettato che nell’articolo 3, comma 1, si facesse riferimento non solo ai delitti tentati ma anche a quelli consumati, così come da noi proposto, ma non siamo andati oltre). 85 Temi per la legalità Pertanto, tali emendamenti sono stati riproposti in Assemblea, e riguardano l’articolo 2 e, soprattutto, gli articoli 3 e 4, e sicuramente il loro 86 accoglimento, o meno, costituirà la motivazione principale in grado di condizionare l’orientamento del voto del gruppo del Partito Democratico. Pacchetto sicurezza Seduta n. 33 di venerdì 11 luglio 2008 Pacchetto sicurezza Discussione sulle linee generali Signor Presidente, questo decreto, che ha avuto sicuramente una storia travagliata ed un iter parlamentare molto contorto, pone, cercando di risolverlo, almeno nelle premesse, il grave problema della sicurezza. Si è detto in campagna elettorale, in queste aule, nelle Commissioni competenti - e di ciò sono ampiamente convinta - che il problema della sicurezza non è né di destra né di sinistra, ma è un problema della cittadinanza tutta. Tuttavia, le metodologie, le soluzioni e i percorsi da individuare per risolvere il problema della sicurezza sicuramente rivelano una propria specifica impostazione ideologica e politica. Questo decreto nasce con alcune contraddizioni che derivano proprio dal fatto che, in parte, il provvedimento in esame copia e riprende in maniera pedissequa schemi normativi e specifiche norme contenute già nel pacchetto sicurezza presentato dal Governo Prodi (tali aspetti sono facilmente confrontabili e individuabili) e che hanno una certa linea. Mi riferisco alle norme che riguardano le soluzioni individuate in materia di confisca, sequestro e deposito dei beni sequestrati, misure che risolvono e semplificano le relative procedure. Mi riferisco alla norma che elimina il patteggiamento in appello, che sostanzialmente aveva svuotato di contenuto i riti semplificati del codice di procedura penale riformato nel 1989. Mi riferisco altresì all’individuazione di momenti in cui si dà priorità alla scelta del rito, in particolare del rito direttissimo e immediato, che aveva ed ha una sua logica nel tentativo di individuare forme di accelerazione della celebrazione dei processi. Inoltre, mi riferisco a disposizioni orientate verso forme più efficaci di lotta alla criminalità organizzata, anche in materia di misure di prevenzione. Vi è, inoltre, un’altra norma importante, ugualmente prevista nel pacchetto sicurezza del Governo Prodi, che concerne l’innalzamento delle pene, sanzioni amministrative e misure come la confisca, in caso di guida in stato di ebbrezza o sotto Legge n. 125 del 24 luglio 2008 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 23 maggio 2008, n. 92, recante misure urgenti in materia di sicurezza pubblica 87 Temi per la legalità l’effetto di sostanze stupefacenti. Mi riferisco, inoltre, al grave problema, per cui vi è il relativo innalzamento delle pene, con un’attenzione particolare anche sul piano processuale e penale, concernente i fatti dolorosi vissuti nel Paese derivanti dagli infortuni sul lavoro. Tutto ciò ha una sua coerenza e, nella fretta di dare una risposta al Paese, tanto propagandata anche nel corso del campagna elettorale, vengono mutuate misure che avevano una loro filosofia e si inserivano in un loro contesto. Invece, successivamente, si sono evidenziate le ideologie di fondo, assolutamente divergenti. Infatti, per dare una risposta al problema della clandestinità e alle forme di criminalità ad essa collegate, si riduce il limite massimo delle pene previste in sede di condanna per emettere le misure di sicurezza dell’espulsione e dell’allontanamento (da dieci anni si passa a due anni). E, fin qui, anche questa disposizione può avere una sua filosofia, ma in questa e nell’altra disposizione che costituisce una novità assoluta, l’aggravante prevista nell’articolo 61 del codice penale dopo il numero 11, si prescinde da qualsiasi accertamento della pericolosità sociale. Tale disciplina rappresenta l’anticamera a ciò che sarà nel disegno di legge il reato di clandestinità, il reato di ingresso del clandestino. Su questo punto ci si allontana molto dai principi che sono posti alla base del nostro sentire. 88 Ho ascoltato interventi in Assemblea che mi hanno veramente sconcertato: l’intervento dell’onorevole Buonanno ma anche il penultimo, quello dell’onorevole Santelli, laddove ha impostato il problema affermando che non possiamo essere buoni ma che dobbiamo essere comunque cattivi, perché i clandestini stanno invadendo il nostro territorio. Ma non si tratta di essere buoni. Non vogliamo un falso buonismo, ma vogliamo che, comunque, anche nei confronti degli stranieri, anche nei confronti degli extracomunitari, si verifichi quell’accertamento della pericolosità sociale che costituisce il presupposto dell’espulsione. Non ci si può fondare sulla mera irregolarità, sul mero trovarsi nel territorio dello Stato italiano magari per una sopravvenuta irregolarità. Infatti l’aggravante che si vuole prevedere introducendo il numero 11-bis all’articolo 61 del codice penale, non fa riferimento soltanto ad alcune ipotesi, come noi vorremmo prevedere tramite gli emendamenti che abbiamo presentato anche in Commissione ma che ci sono stati respinti (erano stati analogamente presentati al Senato, ma anche lì sono stati respinti). Vorremmo che vi fosse un momento di riflessione, che vi fosse una civiltà vera da cui conseguirebbe la considerazione che irregolare non è uguale a delinquente; pertanto la va- Pacchetto sicurezza lutazione di pericolosità e, quindi, di un’indole incline a commettere reati, può essere ricavata dal fatto di aver ricevuto un ordine di espulsione e di allontanamento che è stato poi contravvenuto. In queste condizioni, nei confronti del soggetto può essere espressa una valutazione di pericolosità sociale che può giustificare sostanzialmente l’applicazione di quel tipo di aggravante. Pertanto, su questi punti chiave vi è una differenza di impostazione politica che distingue la destra dalla sinistra, in quanto quest’ultima è comunque attenta al valore della dignità dell’uomo e della persona. Qui oggi, in Assemblea, anche se nulla ha a che fare con ciò di cui stiamo parlando, ho sentito tante parole spese con riferimento alla misura, adottata dal Ministro dell’interno, riguardante le impronte ai bambini rom, ma mi esonero dal parlare su argomenti che non riguardano il decreto-legge in materia di sicurezza pubblica. In ogni caso, l’unico cenno che voglio fare anche in quella materia, è la mancanza di qualsiasi collegamento tra misure che sono sostanzialmente riferibili ad una volontaria sottoposizione, come accade nell’ipotesi in cui un cittadino extracomunitario chieda un passaporto, a cui si riferisce il regolamento comunitario, e quelle per cui è necessario procedere all’identificazione, perché non vi sono elementi di identificazione, non ad interventi «a tappeto» per razza ed etnia. In merito agli indirizzi che provengono dall’Europa, non possiamo chiuderci nel nostro mondo ristretto e pensare di non avere riferimenti rispetto a quanto accade presso gli organi della Comunità europea e quelli della giustizia europea. Non possiamo pensare di chiudere le frontiere e restare fuori da ogni valutazione. Se una valutazione negativa c’è stata, vuol dire che l’Italia sta ponendo in essere misure, indirizzi ed orientamenti che contrastano non solo con i suoi principi costituzionali, ma anche con i principi dell’ordinamento base degli Stati d’Europa: ciò dovrebbe bastare per far riflettere su quale percorso ci stiamo avviando. Che questo provvedimento contenga momenti di schizofrenia, di contrasto e di contraddittorietà interna gravissimi lo abbiamo visto con l’inserimento degli articoli 2-bis e 2-ter, che nulla hanno a che fare con il contesto della sicurezza e con un intervento normativo immediato attraverso la predisposizione di misure urgenti che doveva costituire la premessa del decreto-legge. La storia di questi giorni ci ha poi spiegato bene qual è la vera finalità degli articoli 2-bis e 2-ter. D’altro canto, la pecca di questo decreto, sotto il profilo della sicurezza (ce lo ha anche detto e lo abbiamo capito dalla sua dichiarazione in Commissione, il Capo della polizia) deriva dal fatto che, anche se veramente i gruppi politici padri di 89 Temi per la legalità questo decreto mirano a rendere effettiva l’espulsione, la cacciata degli stranieri che abbiano commesso reati nel territorio italiano, restituendo sicurezza agli italiani, questo strumento non risolve nulla. Lo vedremo poi nei fatti concreti. Il decreto in esame non risolve nulla, perché prevede un meccanismo di grande aggravio del sistema giudiziario, individuando forme attraverso le quali il problema sicurezza viene addossato alla magistratura, quella magistratura che è tanto scomoda per certi tipi di procedimenti, che è tanto scomoda quando si vanno a toccare certe personalità, ma che invece poi serve quando bisogna fare pulizia di cittadini o di stranieri che non contano: è allora che si vanno ad ingolfare le aule di tribunale e gli uffici delle procure della Repubblica. Tutto il pacchetto sicurezza all’esame non prevede nulla, né in termini di prevenzione, né in termini di reale efficacia di quelle misure di espulsione, quelle che sono state predisposte dall’autorità giudiziaria e che devono essere eseguite. Non vi sono misure o interventi in questo senso; vi sono soltanto ulteriori aggravi al sistema giustizia che è già al collasso perché è senza mezzi, senza uomini, perché vengono ridotti gli strumenti, perché vengono offese continuamente l’autonomia e il prestigio della magistratura. Però, dai medesimi magistrati si pretende che risolvano il problema della sicu90 rezza. Il problema non verrà risolto, perché il nodo della sicurezza non si risolve nelle aule giudiziarie, bensì aumentando i contingenti delle forze di polizia ossia la presenza delle forze di polizia sul territorio; né si risolve militarizzando l’Italia, perché la formazione e le finalità con cui sono impiegati questi corpi militari e le forze di polizia, giudiziaria e di sicurezza, sono diverse rispetto a ciò per cui sono destinati. Ciò è tanto vero che nel corso di un’audizione presso la Commissione giustizia del Capo di stato maggiore, questi ha affermato che occorrerà destinare risorse economiche e di personale alla formazione del personale delle Forze armate chiamato a svolgere attività di sicurezza e di prevenzione e attività di polizia giudiziaria. Si tratta, quindi, di un dispendio di forze, di energie e di risorse che avrebbero dovuto essere destinate, invece, alla polizia giudiziaria, cioè alla Polizia di Stato, alla Guardia di finanza e ai Carabinieri, deputati a tale funzione e formati per svolgerla. Rilevando la diversa metodologia di intervento a seconda della politica e di chi la fa, occorreva però dare questa apparenza, far vedere i militari sul territorio alla gente che ha votato e a cui si è promesso che si sarebbe risolto il problema della sicurezza, che tuttavia certamente non verrà risolto. Pacchetto sicurezza Nel contesto del decreto-legge in discussione, che nasce per determinati fini, ad un certo punto vengono introdotti dall’Assemblea del Senato due emendamenti che con esso nulla hanno a che fare. Tali emendamenti denotano, anche in questo caso, quale sia la filosofia del Governo e i principi che da questo vengono alacremente fatti propri. Nelle aule delle Commissioni giustizia e affari costituzionali abbiamo vissuto ore molto intense quando, a un certo punto, vi è stata un’inversione di rotta e ci si è resi conto del contenuto degli articoli 2-bis e 2-ter (che tutti ben conoscono e che sono stati già ampiamente illustrati, per cui non mi ci soffermerò oltre). Tali disposizioni sono state scritte in fretta e con una finalità precisa, laddove il legiferare non è più un modo di pensare agli interessi generali attraverso norme generali ed astratte, ma avviene per scopi diversi, quelli personali del Capo del Governo. Non è una mia affermazione, ma è lo stesso Capo del Governo ad aver dichiarato che quella norma serviva a bloccare il processo pendente a suo carico a Milano, processo giunto già al termine e rispetto al quale egli nutriva, evidentemente, qualche paura in ordine al fatto che l’esito potesse non essergli favorevole (ma in ogni caso sono previsti tre gradi di giudizio, quindi non si poteva mai sapere). Si individuano tempi irragionevoli sospendendo i processi, qualunque sia la fase cui fossero giunti e qualunque sia stato il dispendio di energie processuali, di personale, di testi e di impatto. Si prescinde anche dal principio posto a fondamento della riforma del processo penale, quello dell’oralità e dell’immediatezza del processo penale; esso è stato del tutto annullato dall’articolo 2-ter nel momento in cui si prevede la sospensione, quale che sia la fase, dei processi riguardanti reati commessi prima del 30 giugno 2002, non connessi alla criminalità organizzata e per i quali sia prevista una pena successiva non superiore ai dieci anni. Allo stesso modo, l’articolo 2-bis (e ciò è ancora più grave) incide sulla obbligatorietà dell’azione penale, quindi su un principio costituzionale che non è stato modificato. Ieri, nel corso dell’esame del cosiddetto lodo Alfano, si è discusso molto se, per approvare quel lodo, fosse necessaria una legge costituzionale, oppure se bastasse una legge ordinaria. Ovviamente, è prevalsa - abbiamo visto l’esito - la seconda teoria; vedremo, in prosieguo, cosa dirà la Corte costituzionale. Ma un punto è certo: l’articolo 112 della Costituzione è ancora in vita; purtroppo - c’è qualcuno che la pensa così - è ancora in vita e dobbiamo, quindi, rispettarlo. Quel principio non può essere disatteso in maniera categorica, laddo91 Temi per la legalità ve, all’articolo 2-bis, si prevede che ci saranno dei processi che avranno priorità assoluta. Quali sono questi processi? Sono quelli celebrati in tutti i tribunali concernenti la criminalità organizzata, la tratta degli schiavi e degli esseri umani (benissimo, sono sicuramente di grande impatto e allarme sociale), quelli per i quali è prevista una pena superiore ai dieci anni di reclusione, e quelli che riguardano gli infortuni sul lavoro. Ad un certo punto, forse, grazie ai puntuali riferimenti messi in campo dall’opposizione, che hanno fatto riflettere, si è avuto un impatto con la realtà sociale. Come faceva la Lega a spiegare ai propri elettori che rimanevano fuori dalle priorità del Governo tantissimi reati di quella che noi chiamiamo microcriminalità (in realtà, più che di microcriminalità, bisognerebbe parlare di criminalità che riguarda la vita quotidiana di ciascun cittadino italiano)? Come facevano a spiegare politicamente che rimanevano fuori il furto in abitazione, lo scippo, l’incendio dei boschi, le violenze carnali, tutti i reati di corruzione? Come si faceva a spiegare agli italiani che, per approvare una norma salva Premier, nella fretta di presentare un emendamento, si era, sostanzialmente, trasfuso il testo dell’articolo 2-ter, che la stessa premessa era stata copiata nel testo dell’articolo 2-bis, 92 e, quindi, rimanevano fuori anche gli omicidi colposi commessi per guida in stato di ebbrezza o sotto l’effetto di stupefacenti, che lo stesso decreto-legge definisce di grave allarme sociale? Vediamo bene qual è stato il comportamento gravissimo, dal punto di vista della responsabilità politica, da parte del partito della maggioranza. Qual è stato il comportamento, nell’aula della Commissione, da parte della maggioranza? È stato quello di un dialogo costruttivo, che sempre viene auspicato e ribadito? Si è tenuto conto e si sono accolti gli emendamenti dell’opposizione? No, c’è stato un «no» fino all’ultimo, anche quando, in Commissione, il gruppo del Partito Democratico ha chiesto un rinvio dell’esame, in attesa di leggere il testo degli emendamenti, che poi sono stati annunciati dal partito della maggioranza allorché si è aperta la via del lodo Alfano. Quello è stato il momento - ritengo - di maggiore attacco ai principi democratici e alla Costituzione che si sia potuto vivere; ci vede molto tristi come cittadini, non solo come deputati, perché, in quel momento, c’è stata la prova provata che tutto ciò non aveva riguardo al bene della collettività, alla sicurezza, alla premessa di questo decreto-legge, ma si aveva soltanto la finalità di dover trovare una scorciatoia, un espediente, una possibilità per sospendere quel processo. Pacchetto sicurezza Si sono, allora, architettate due norme, che non avevano una loro coerenza, incoerenti con le altre norme e con tutto quello che era stato detto in campagna elettorale e promesso ai cittadini. Perché al cittadino non si potrà mai spiegare che, per salvare Berlusconi dal suo processo, chi è entrato in un’abitazione e ha sottratto dei beni non rientra nelle priorità, non può più essere processato! Lasciamo perdere quei processi che venivano sospesi, che sono vecchi e fra i quali quelli di grave allarme sociale forse non erano nemmeno così tanti: mi preoccupo di quello che è stato il messaggio che questa maggioranza è stata in grado di confezionare in pochissime ore, pur di salvaguardare l’interesse particolare di una sola persona! In ordine a tale questione ritengo che qualunque deputato, di destra o di sinistra, che siede in Aula, debba riflettere in maniera approfondita, perché sta tradendo il mandato conferito dagli elettori, sta tradendo i principi cardine del nostro Stato democratico. Dentro di me sono fiduciosa del fatto che, a parte alcuni, molti colleghi della maggioranza abbiano dei principi base simili e, a volte, coincidenti con quelli appartenenti anche all’opposizione; solo che, forse, non c’è la forza, non c’è la capacità, non c’è il senso critico di dire: no, oltre un certo limite, alcune cose non sono tollerabili. Da parte del Partito Democratico non solo sono state rilevate queste violazioni, ma a un certo punto sono stati proposti emendamenti che portavano a rivedere il giudizio di allarme sociale concernente alcune fattispecie delittuose, e inoltre ad avanzare una proposta in concreto in ordine alla possibilità di programmazione dell’udienza e dei processi che gravitano su un ufficio giudiziario. Tutti noi siamo consapevoli del collasso, tutti noi siamo consapevoli che alcuni uffici giudiziari non riescono a dare giustizia in tempi ragionevoli. E una giustizia lenta è sicuramente una giustizia denegata: ne siamo tutti consapevoli e siamo tutti d’accordo. Il problema è sempre di metodo, concerne il modo in cui si risolve la problematica. Speriamo di non dover assistere ad ulteriori colpi di mano, che mettono in grave crisi tutto lo Stato, perché non si può pensare di approvare riforme attraverso colpi continui alla Costituzione. Ritengo che sia inutile celebrare i sessant’anni della Costituzione e organizzare cerimonie in cui si tributano ad essa riconoscimenti quando poi proprio in quest’Aula, proprio nelle Aule della Camera e del Senato, del Parlamento che è il massimo rappresentante della volontà popolare, si consentono delle lesioni e delle ferite così profonde nei suoi confronti. Abbiamo preso atto delle modifiche presentate oggi dal sottosegretario 93 Temi per la legalità di Stato per la giustizia, annunciate appunto nella riunione della Commissione di lunedì; le valuteremo 94 attentamente, esprimendo il nostro parere nel Comitato dei diciotto di quel giorno. Rito abbreviato Seduta n. 436 di giovedì 17 febbraio 2011 Rito abbreviato Dichiarazione di voto finale Signor Presidente, ho ascoltato le dichiarazioni di voto, soprattutto del collega della Lega e del collega Di Pietro, e proprio a queste affermazioni apodittiche voglio rispondere, anticipando il voto contrario del Partito Democratico. Ci dobbiamo chiedere quale sia la finalità di questo provvedimento, che il collega Reguzzoni ha definito di impronta leghista. Mi dispiace per il collega Di Pietro, che invece si sente partecipe di questo provvedimento. In realtà, esso non serve alle premesse per cui si vuole dire che è stato elaborato, ma ha due finalità, che non possiamo condividere. L’una è quella di dare una facciata di rigore apparente al Governo, che per ora avrebbe potuto vantare soltanto la legge sullo stalking, che noi abbiamo votato favorevolmente perché è una legge a cui credevamo. Noi ci comportiamo così - questo per rispondere al collega Di Pietro - ovvero, quando crediamo nei testi che sono in Aula, votiamo favorevolmente e non strumentalizziamo nulla: questa è la storia della nostra posizione è ed è documentata anche dagli atti della Commissione oltre che di quest’Aula. Quindi, a cosa serve il provvedimento in esame? Da un lato serve a dare questa apparenza, questo messaggio, queste parole vuote da sbandierare nei comizi: abbiamo tolto il rito abbreviato per l’ergastolo! Dall’altro lato, invece, serve ad evitare che poi le persone e i cittadini in qualche modo si dimentichino che invece in Commissione giustizia da una parte si mostra la faccia dura e dall’altra si cerca di portare al macero migliaia di processi con il cosiddetto processo breve. E questa è la finalità politica: la ripulitura di un’immagine che è gravemente offuscata non solo dal Presidente del Consiglio, ma dalla politica della giustizia inconsistente che hanno portato avanti questo Governo e questa maggioranza, mentre questo provvedimento non serve alle finalità a cui si dice essere volto. I colleghi dicono: noi vogliamo che chi ha sciolto nell’acido un bambino AC 668 e abbinate - Modifica all’articolo 442 del codice di procedura penale. Inapplicabilità del giudizio abbreviato ai delitti puniti con la pena dell’ergastolo (Approvato alla Camera il 17 febbraio 2011. Trasmesso al Senato) 95 Temi per la legalità abbia la pena dell’ergastolo, e quindi vogliamo togliere il rito abbreviato. Allora, questi colleghi stanno dando delle notizie false al popolo e noi vogliamo ribadire proprio questo. Infatti, oggi con il rito abbreviato, che spiegheremo poi in cosa consiste certamente qui in molti lo sanno già, ma lo hanno evidentemente dimenticato ed anche il collega Di Pietro ha dimenticato le norme del codice di procedura penale, perché forse è da troppo tempo in politica - per un reato per cui è previsto l’ergastolo si può dare l’ergastolo o concedere uno sconto di pena sino a trenta anni, quindi si possono infliggere pene che siano efficaci, certe e celeri. Il rito abbreviato infatti consente e consiste in una scelta, ovvero un diritto dell’imputato che a un certo punto accetti le prove presentate dall’accusa. L’imputato in pratica dice: rinuncio al processo lungo, rinuncio alle prove in dibattimento e accetto le prove dell’accusa. A questo punto lo Stato procede per tutti i reati e da qui discende l’irragionevolezza e il vulnus che vi sarà, dal punto di vista della Corte costituzionale, su questo provvedimento: lo Stato non può scegliere per quali reati prevedere il rito abbreviato e per quali no. È, infatti, signor sottosegretario, lo stesso vulnus che riguardava il reato di cui all’articolo 416-bis del codice penale e che riguarda tutti i reati che sono i cosiddetti puniti in astratto con l’ergastolo. 96 Inoltre, questa scelta impedisce un rito che dà anche alle vittime una giustizia immediata, più celere, in cui si eliminano passaggi inevitabilmente lunghi, perché la formazione della prova al dibattimento, di fronte ad una corte d’assise, è un qualcosa di lungo ed è nella fisiologia del processo. Ecco perché i padri, intendo coloro che hanno rivisto il codice di procedura penale nel 1989, a fianco al processo ordinario, costoso, perché impegnativo (processo lungo, dibattimentale, dove si deve recuperare tutta la prova formale al dibattimento), hanno previsto dei giudizi come il patteggiamento, il rito abbreviato, il rito immediato, il procedimento che si conclude con il decreto. Quindi, si tratta di una falsa informazione che io vi dimostro tale, perché voglio che rimanga agli atti quando poi interverranno i giudizi della Corte costituzionale e saranno sollevati davanti ai vari giudici dai vari imputati. Questa falsa rappresentazione di un risultato, oggi, da parte del Parlamento, deriva dal fatto che, con il gioco delle attenuanti generiche e con un giudizio senza rito abbreviato, già per quei gravissimi reati dei quali parlava l’onorevole Reguzzoni ovvero l’omicidio del bambino sciolto nell’acido - quanto ci può essere di più atroce - ove vengano concesse delle attenuanti eventualmente generiche o il risarcimento del danno, già senza il rito abbreviato si va a finire Rito abbreviato a pene inferiori a ventiquattro anni e che possono scendere fino a venti anni. Questa è la normativa, questo è lo stato della giustizia, questa è la norma in vigore! Cosa ha fatto, dunque, il Partito Democratico, caro onorevole Di Pietro? Non si è opposto a qualsiasi modifica al riguardo. Ha fornito un adeguato apporto costruttivo in sede di Commissione affermando che, se vogliamo delle pene più adeguate a fatti gravissimi, dobbiamo incidere sotto due profili: in primo luogo, è opportuno portare questi reati gravissimi di fronte a un giudice collegiale e non al giudice unico, per il quale è più pesante il fardello di una condanna che incide così gravemente sulla vita di una persona; in secondo luogo, occorre cercare di ridurre attraverso il cumulo delle attenuanti generiche, delle altre attenuanti e della diminuente del rito, lo sconto di pena in presenza di reati per i quali il giudice, allo stato degli atti, valuta se occorre comminare l’ergastolo. Questa strada era stata segnata anche dalla Corte costituzionale, che aveva già vagliato l’esclusione dell’ergastolo dal rito abbreviato e indicato che il legislatore era libero di valutare l’entità della sanzione ma non l’esclusione della possibilità di accedere al rito, anche perché ad esso si accede in astratto, sulla base di una contestazione. Ci sono stati poi, da parte degli avvocati del partito del Popolo della Libertà, di chi pratica le aule di giustizia e ha anche propri assistiti e imputati da dover difendere, i tentativi, in ogni caso, di recuperare la riduzione della pena a fine processo. Allora vi chiedo: quale coerenza mostrate rispetto a un processo lungo che si celebrerà e che impegnerà risorse e che poi, alla fine, porterà comunque alla riduzione di un terzo della pena? Ciò è incoerente, schizofrenico e inadeguato rispetto a un sistema giudiziario, quello del diritto penale processuale, che doveva essere valutato nella sua globalità, tanto è vero che queste nostre parole non valgono soltanto in quanto impegno o programma politico. C’è stata una commissione di riforma del codice di procedura penale che ha lasciato le sue tracce agli atti una volta conclusi i lavori; una commissione composta da professori universitari di tutte le varie estrazioni, avvocati e magistrati. In quella sede - la commissione Riccio - fu individuata la soluzione per i reati puniti con l’ergastolo, non escludendo il rito abbreviato ma dando la possibilità al giudice collegiale distrettuale di decidere con più ponderatezza e adeguatezza perché il problema non è il rito ma il calcolo delle attenuanti generiche, del risarcimento danni e quant’altro. Non vogliamo assumerci tale responsabilità, non vogliamo sotto97 Temi per la legalità scrivere con voi un provvedimento che è soltanto demagogico e che non ha le finalità che erano previste e che potevano essere in qualche modo condivise, prevedendo una pena non finalizzata in qualche modo anche al recupero del condannato. Ciò contrasta con i nostri principi e con la 98 nostra politica. Non dobbiamo fare demagogia sulla pelle di qualcuno. Vogliamo che la giustizia funzioni e questo provvedimento non porta assolutamente alcun miglioramento. (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico). Rito abbreviato Funzionalità della giustizia 99 Temi per la legalità 100 Filtro in Cassazione Seduta n. 58 di mercoledì 1° ottobre 2008 Filtro in Cassazione (prima lettura) Testo integrale della dichiarazione di voto II Governo ha proposto una radicale modifica del giudizio civile di Cassazione utilizzando lo strumento di un emendamento dell’ultima ora ad un disegno di legge che riguarda tutt’altra materia, significativamente intitolato «Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria». In coerenza con i suoi contenuti principali, il disegno di legge è stato proposto, come primo firmatario, dal Ministro dell’economia e delle finanze, mentre il Ministro della giustizia vi figura come l’ultimo dei numerosi proponenti. Queste valutazioni non vogliono essere mera critica ma vogliono evidenziare come non si è voluto tener conto della necessità di un confronto preventivo tra le forze politiche, la cultura giuridica e gli operatori della giustizia. L’attività parlamentare è stata compressa, pilotata da una regia esterna che risponde a logiche di governo del tutto estranee ad un sistema democratico. Si resta sconcertati davanti al fatto che venga dettata una disciplina che stravolge radicalmente l’istituto della cassazione senza che al riguardo sia dato spazio ad un dibattito partecipato e approfondito; sordi a qualsiasi apporto costruttivo e ragionevole. La norma di cui viene proposta l’introduzione non ha infatti nulla a che fare con il principio del contraddittorio, con il principio della parità delle parti, con il principio della terzietà ed imparzialità del giudice. L’attinenza con il principio di ragionevole durata è poi solo apparente ed è destinata ad essere contraddetta dalla realtà degli effetti della disposizione, che sarebbero tutt’altro che acceleratori. Per quanto infine riguarda il settimo comma dell’articolo 111 della Costituzione, la norma proposta, lungi dal costituirne attuazione, appare porsi in evidente contrasto con il dettato costituzionale, che stabilisce la ricorribilità in Cassazione per violazione di legge di tutte le sentenze. E sembra ovvio che - a meno di legittimare interpretazioni elusive del dettato costituzionale - il Legge n. 69 del 18 giugno 2009 - Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile 101 Temi per la legalità diritto costituzionale di proporre ricorso per violazione di legge implica il diritto costituzionale di vederselo deciso con una pronunzia che dica se la violazione di legge vi è stata o no. Il proposto articolo 360-bis stabilisce le ipotesi in presenza delle quali il ricorso per Cassazione «è dichiarato ammissibile». Si tratta di una formulazione quanto meno sorprendente e inusitata e della quale sembra non siano stati valutati i significati e gli effetti. Così come è scritta, infatti, la norma stabilisce che nelle ipotesi da essa descritte il ricorso è sempre ammissibile, ma non dice (o quanto meno non lo dice chiaramente e impegnativamente) che è ammissibile soltanto in tali ipotesi. Nulla quindi viene detto espressamente circa i ricorsi rispetto ai quali non ricorrano le condizioni elencate dalla norma. Poiché la norma non detta alcun criterio per stabilire la sorte ad essi riservata ne deriva necessariamente o che la norma deve essere interpretata nel senso che al di fuori delle ipotesi previste dal novello articolo 360-bis il ricorso è sempre inammissibile, oppure che esso può essere dichiarato ammissibile o inammissibile a seconda dei casi. Ma si tratterebbe necessariamente di una decisione non discrezionale ma arbitraria, perché non regolata neppure indirettamente dalla legge che non detta al riguardo alcun criterio. 102 Ciò detto per i ricorsi che non rientrano nelle ipotesi previste dal novello articolo 360-bis, deve essere rilevato che la formulazione è caratterizzata da una pericolosa indeterminatezza, mentre nel suo complesso appare da rilevare che la norma costituisce un inutile, pericoloso ed imperfetto doppione dell’attuale procedimento di cui all’articolo 375 e 380-bis del codice di procedura civile. Già ora, infatti, il ricorso viene deciso in camera di consiglio con pronunzia di manifesta infondatezza se la sentenza impugnata appare conforme agli indirizzi della giurisprudenza della Cassazione e il ricorrente non propone nuovi ed idonei argomenti per indurre ad un mutamento di giurisprudenza. Dalla formulazione della disposizione sembrerebbe peraltro essere prefigurato un carattere vincolante dei precedenti della Corte di cassazione rimesso ad una valutazione della stessa ispirata a meri criteri di opportunità. Per ottenere che la Corte riesamini una questione non è sufficiente proporre nuovi e persuasivi argomenti a sostegno di essa, ma è necessario che i tre giudici ai quali è rimessa la verifica di ammissibilità ritengano che la Corte debba pronunziarsi, senza che la norma dica nulla sui criteri in base ai quali essi debbono fare tale valutazione. Si tratterebbe di una innovazione che, così formulata, è contraria alla tradizione giuridica italiana e all’ordinamento Filtro in Cassazione costituzionale ed in particolare al settimo comma dell’articolo 111 che consacra il diritto a proporre ricorso per cassazione contro ogni sentenza in caso di violazione di legge. Vi è poi da sottolineare anche che tra i ricorsi da dichiarare ammissibili non è compreso il ricorso che, pur non denunciando il contrasto tra la sentenza impugnata e i principi di diritto affermati dalla giurisprudenza della Corte di cassazione, denunci però, magari fondatamente, il contrasto tra la sentenza impugnata e una norma di legge in vigore (o magari denunzi che la sentenza impugnata ha fatto applicazione di una norma di legge abrogata). È escluso dal novero delle ipotesi di ammissibilità anche il ricorso che denunzi vizio o mancanza della motivazione: una innovazione che potrebbe anche essere considerata da alcuni salutare, ma sembra evidente che essa - soprattutto se attuata in termini così trancianti - avrebbe bisogno di un dibattito più ponderato e più attento e costruttivo. Tra le ipotesi espresse di ammissibilità vi è poi quella che si riferisce al caso in cui venga lamentata la violazione dei principi regolatori del giusto processo. Resta quindi escluso, dalle ipotesi di ammissibilità, il ricorso che denunzi una violazione di legge sostanziale o magari una violazione dei principi di diritto sostanziale o che proponga una questione giuridica sostanziale che rivesta una specifica importanza per la giustizia e la legalità della decisione. La verifica di ammissibilità - che dovrebbe essere operata per tutti i ricorsi per Cassazione - sarebbe effettuata da un collegio formato da tre magistrati. La decisione - di ammissibilità o di inammissibilità - è adottata a seguito di procedimento in camera di consiglio per il quale la norma rinvia alla disciplina di cui all’articolo 380-bis: rispetto alla disciplina attuale quale vive secondo le innovazioni organizzative che la Cassazione si è data non vi è alcun risparmio in termini di efficienza procedurale. La decisione ha la forma dell’ordinanza e non può essere impugnata. La norma proposta non specifica quali siano i rapporti tra il nuovo articolo 360-bis e l’articolo 360. Non è chiarito con precisione neppure quali siano i rapporti tra il nuovo istituto processuale e il procedimento camerale di cui all’articolo 375 del codice di procedura civile di recente modificato. Par di capire che il relatore designato alla verifica dell’ammissibilità debba anche delibare se sussistono altre cause di inammissibilità ovvero ipotesi di manifesta fondatezza o infondatezza del ricorso, ma non è chiaro se tale delibazione sia prevista anche per i ricorsi dichiarati ammissibili. 103 Temi per la legalità Tutti eravamo e siamo consapevoli della assoluta necessità di affrontare con misure realmente efficaci il problema del sovraccarico di lavoro che oggi grava sulla Corte e sui suoi magistrati. L’esigenza di «filtri» o di altri sistemi di deflazione è comunemente e profondamente sentita come condizione essenziale per salvare la Corte di cassazione dal precipitare di una crisi che appare poter divenire irreversibile. Si tratta peraltro di un tema di riforma estremamente delicato, che coinvolge direttamente uno dei cardini essenziali della funzione giurisdizionale e del suo ruolo costituzionale. Era necessario quindi che i propositi di riforma si realizzassero attraverso un impegno di studio ponderato e saggio, di confronto culturale aperto e trasparente, tale da coinvolgere non solo la magistratura tutta ed in particolare quella di legittimità, ma anche l’Avvocatura e gli studiosi 104 del processo e dell’ordinamento costituzionale. Gli interventi di riforma sono certamente urgentissimi, ma la Cassazione ed il giudizio di legittimità non possono essere il terreno per improvvisazioni estemporanee destinate a non poter giovarsi di un adeguato controllo parlamentare vero e +approfondito a causa dell’inserimento delle proposte di riforma in una discussione parlamentare incentrata su altri temi cruciali dinanzi a Commissioni competenti per altre materie. Non possiamo avallare nessuna riforma che non sia attuativa bensì elusiva del dettato costituzionale: non si può con legge ordinaria mediante un giudizio di ammissibilità come quello articolato dal Governo aggirare l’ostacolo del principio costituzionale secondo cui tutte le sentenze sono ricorribili per Cassazione per violazione di legge. Filtro in Cassazione (seconda lettura) Seduta n. 165 di giovedì 23 aprile 2009 Filtro in Cassazione (seconda lettura) Discussione sulle linee generali Signor Presidente, i colleghi che mi hanno preceduto hanno già tracciato sostanzialmente la linea del Partito Democratico con riferimento al provvedimento legislativo in esame. Mi limiterò ad esaminare la parte che attiene più strettamente alla competenza della Commissione giustizia. È un provvedimento che torna alla Camera in seconda lettura, di cui abbiamo in più sedi - in Aula, in prima lettura, in Commissione giustizia anche di recente e nelle Commissioni che ci hanno ospitato dandoci spazio adeguato - contestato il fatto che, nell’ambito di un provvedimento collegato alla finanziaria, si sia pensato di fare una riforma del processo civile. Anzi, questo disegno di legge ritorna con il titolo: «Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, nonché in materia di processo civile». Sappiamo bene che quest’ultima aggiunta è stata fatta con un emendamento presentato in Aula dal Ministro Alfano. Purtroppo, noi riteniamo che si sia persa l’occasione per una riforma organica del processo civile, una riforma che questo Governo aveva trovato già delineata in una proposta dell’ufficio legislativo, coordinata - lo voglio qui ricordare - dal capo dello stesso ufficio legislativo, dottor Manzo, deceduto molto prematuramente, cui avevano lavorato tante persone, che avevano raccolto una serie di esigenze, che sento qui rimarcare non solo da noi dell’opposizione, ma dalla maggioranza, che però non possono essere e rimanere soltanto affermazioni. Nemmeno questa volta si è intervenuti in quella maniera organica e completa che ci si aspetta da quando vi è un grido di allarme e di dolore così forte da parte della giustizia. Ma si è intervenuti quasi come se quello della giustizia fosse un cantiere sempre aperto (ora si sta parlando della giustizia civile), nel quale si opera con interventi episodici, altre volte più complessi e articolati, che però non sembrano dare la giusta importanza e trasparenza ad una visione strategica degli obiettivi da conseguire e ad un disegno organico da realizzare, con la conseguenza che l’interprete, quel giudice che tante volte viene criticato Legge n. 69 del 18 giugno 2009 - Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile 105 Temi per la legalità per l’applicazione della legge, è costretto a rincorrere le mutevoli scelte legislative, per tentare di ridare unità a questo sistema. Questo è un compito che deve svolgere il legislatore. Non si può parlare di un intervento di riforma del processo civile, quando si sono innestati, invece, alcuni momenti che sicuramente - mi dirà chi ha proposto queste norme - stavano in quel disegno complessivo, più organico. Ma quando si tolgono delle parti da un disegno più ampio, non vuol dire che quelle parti portino poi a un funzionamento più celere; è un modo di rincorrere un obiettivo, senza però raggiungerlo realmente. Questo è stato un modo di operare che noi avevamo segnalato qui alla Camera, ma le nostre critiche sono rimaste inascoltate, perché al Senato, come è stato rimarcato poc’anzi, mi riporto anche all’intervento dell’onorevole Zaccaria, in realtà si sono aggiunti altri tronconi. Si è aggiunta una delega per la riforma del processo amministrativo e una per la riforma del processo civile. Ma era questa la sede per realizzare una delega per la semplificazione dei riti civili (articolo 55)? È stata considerata la critica venuta da tutto il mondo forense, che in realtà, quando ha visto un altro rito, quello della cognizione sommaria, ha gridato all’allarme per l’ulteriore istituzione di un altro rito. 106 Dunque, a questo punto, anziché parlare di un disegno organico separato, di fronte alla Commissione competente, si inserisce al Senato, in un provvedimento legislativo assegnato alla competenza delle Commissioni affari costituzionali e giustizia, una delega per la semplificazione dei riti civili. Si tratta, però, di una delega che, anche in questo caso, rende palese l’assoluta genericità dei principi e dei criteri direttivi, tale da impedire che la delega possa esplicarsi con significativa efficacia. Le lacune che caratterizzano la norma sotto questo profilo sono, infatti, tali da restringere l’opera del legislatore delegato in modo non coerente con le esigenze che pur la norma si propone di soddisfare. In ogni caso ciò accada il provvedimento è tale da esporre le norme delegate a censure di legittimità costituzionale. Ma è giusto, è istituzionale, vale la pena di farlo, disseminare, cioè, il processo di queste mine a tempo, le pronunce della Corte costituzionale, come è avvenuto per il processo societario, per le disposizioni riguardanti le sezioni specializzate per la proprietà industriale e intellettuale? Ma esporre il processo a queste mine a tempo vuol dire rallentare i processi e non dare quella certezza che, invece, è il bene primario che il legislatore ordinario deve garantire alla disciplina del processo. Prima di parlare dell’articolo 48, che è poi uno dei temi centrali del- Filtro in Cassazione (seconda lettura) la nostra discussione, volevo fare un accenno a una norma. Spero che da parte del Governo e della relatrice per la I Commissione vi sia un’attenzione speciale e specifica su questo articolo 46, che è stato introdotto al Senato. Si parla tanto di competitività, di un momento anche finanziariamente particolare per questo Stato italiano, che ha risorse limitate e tante finalità importanti da affrontare, e poi si pensa di attribuire alla competenza del giudice del pace le domande aventi ad oggetto la richiesta di condanna dell’INPS, dell’INAIL e di altri enti previdenziali o assistenziali per il pagamento di interessi e rivalutazioni sulle prestazioni pagate in ritardo. Potrebbe apparire una misura razionale, ma non lo è; si tratta di controverse seriali, estremamente semplici e «bagatellari», che non danno nulla di più al cittadino - perché, in realtà, è importante che il cittadino abbia la pensione, e che questa sia rivalutata e riqualificata dall’INPS e dall’INAIL - e che metteranno a terra le finanze dell’INPS. Il Governo dovrebbe tener conto di questo, perché si tratta di cause che, per la loro stragrande maggioranza, non corrispondono ad alcun reale bisogno di giustizia dei cittadini. I cittadini, infatti, se ricevono la pensione o l’indennizzo con qualche mese di ritardo, a tutto pensano fuorché a pretendere la piccola somma ad essi dovuta per interessi e rivalutazione. Invece, facciamo sì che si affidi a un giudice di pace, senza aver fatto alcuna riforma, peraltro, di tale giudice, un’ulteriore competenza (si tratta di giudici che, peraltro, sono pagati a sentenza); svincoliamo, quindi, quella causa dalla causa principale, che è presso il giudice del lavoro, e aumentiamo il contenzioso per una cosa che poi non risolve e non è certamente in linea con questa finalità che sempre tengo presente: sviluppo economico, semplificazione e competitività. Ma arriviamo, poi, al tanto famigerato articolo 48: il Senato ha approvato con poche modificazioni il testo contenuto nel disegno di legge già varato dalla Camera. Siamo riusciti a far presenziare a una seduta delle Commissioni riunite una serie di interlocutori, che si erano poi espressi in più documenti, a cui, peraltro, il Senato era stato sordo. Devo dare atto alla relatrice per la I Commissione, ad entrambi i relatori, ai presidenti delle Commissioni di aver fatto ciò, sia pure in un provvedimento che dava poco spazio alla giustizia (la previsione nel titolo di disposizioni in materia di processo civile è stata soltanto inserita all’ultimo momento); in realtà, conteneva tante norme. Siamo finalmente riusciti a dar voce a quegli organismi, tanti organismi, che avevano tutti rappresentato e manifestato una motivata preoccupazione per lo stravolgimento delle funzioni della corte di legittimità che 107 Temi per la legalità la riforma provocava, che quell’articolo provocava, per i suoi riflessi ordinamentali e per i suoi aspetti di legittimità costituzionale. Il problema nasceva dalla formulazione di quell’articolo e da tutto quello che di discrezionale e di arbitrario vi era dietro quella dichiarazione di inammissibilità. Addirittura, un ricorso proposto in conformità alle forme e ai termini stabiliti dalla legge, che denunziava una violazione di legge, poteva essere dichiarato inammissibile, in contrasto con l’articolo 111 della Costituzione. È vero infatti (mi riferisco al comma 7) quello che diceva poc’anzi l’onorevole Vannucci: tutti conosciamo la splendida e accurata relazione svolta dal primo Presidente della Corte di cassazione, ma per arrivare a raggiungere un obiettivo bisogna anche stare attenti a non eliminare quelle garanzie di uno Stato democratico che tanto faticosamente sono state poste alla base della Carta costituzionale, che ancora è vigente e che ha dei valori da preservare. Tra l’altro, poi, il sistema che veniva descritto dall’articolo 48 (parlo al passato, perché attualmente l’articolo 48 è stato sostanzialmente soppresso attraverso un emendamento del relatore, votato all’unanimità nelle Commissioni riunite) si è provato, si è documentato e si è detto in queste audizioni che non avrebbe portato i risultati positivi in termini di deflazione del lavoro della Corte che si au108 spicavano. La decisione sull’ammissibilità del ricorso e sul fatto che la Corte debba o meno decidere il ricorso (dietro ogni ricorso vi è una persona e, quindi, bisogna pensare che vi sono degli interessi, che non sono nel campo penale, ma sono comunque interessi nel campo delle controversie civili, che sono di pari dignità) era rimessa alla valutazione di un collegio formato da tre magistrati, senza che si fosse precisato come gli stessi venissero nominati; per tale valutazione quel testo di legge non dettava alcuna direttiva né alcun criterio, perché si trattava di una decisione arbitraria: la formula legislativa che è stata usata era la seguente: «questione sulla quale la Corte (quel collegio di tre giudici) ritiene di pronunciarsi per confermare o mutare il proprio orientamento». In base a che cosa? In base a quali parametri e a quali riferimenti oggettivi verificabili? Noi ci fidiamo dei giudici, ma i giudici devono poter essere controllati attraverso le loro decisioni: non criticati e basta, ma verificati. La giurisdizione deve essere verificata attraverso la produzione delle sentenze, che devono essere motivate per dare conto delle ragioni dei giudici. È quindi vero che nella relazione di inaugurazione dell’anno giudiziario il primo Presidente si era espresso nel senso che l’introduzione di quel filtro doveva mantenersi secondo il testo che era stato previsto dal Governo, senza alcuna modifica; e ciò Filtro in Cassazione (seconda lettura) aveva fatto il Senato, perché, secondo quella relazione, a questo punto la Corte non sarebbe stata oberata più di questioni bagatellari per l’intero sistema giustizia e avrebbe potuto svolgere così più «da dentro» il suo ruolo di indirizzo, migliorando i tempi dei processi e dando certezza degli indirizzi. Ritengo che queste parole mirassero alla finalità, ma non era questo lo strumento, perché non era legato ad un sistema dove un rilevantissimo beneficio fosse ricollegabile a strumenti rimessi ad una piena discrezionalità. Tra l’altro, perché si parlava di quel filtro di limitazione delle cause bagatellari? In realtà, a differenza di quanto viene effettuato in altri ordinamenti, nel sistema previsto dall’articolo 48 non c’era alcun riferimento né al valore né alla materia della controversia relativamente al quale potesse essere proposto il ricorso; e quindi che cosa si intende per «bagatellare»? «Bagatellare» è qualcosa che è contrario alle pronunce della Corte di cassazione, alcune pronunce o che la Corte non vuole mutare? Occorreva allora evitare ad ogni costo il rischio di confondere i mezzi con il fine, e in questo caso il fine non è quello di introdurre un filtro purchessia all’accesso in Cassazione, ma di trovare il modo di farla funzionare al meglio, senza ledere le garanzie costituzionali. In quest’ottica, abbiamo colto la sensibilità e l’intelligenza politica di alcuni esponenti della maggioranza, ovviamente in primis della relatrice, che si sono resi conto che ci si stava mettendo sulla una via che era senza ritorno. Accorgersi che perseverare su un errore diventa diabolico è sintomo di maturità e di senso istituzionale. Questo filtro - e concludo, signor Presidente - sicuramente non è il massimo di quello che si poteva avere e non è il testo migliore che potevamo avere, perché per elaborare un testo ottimo bisogna disporre di una proposta legislativa autonoma, che venga approfondita con i dovuti tempi. Sicuramente non si possono fare miracoli, ma sicuramente si è cercato di individuare uno strumento oggettivo e dei criteri oggettivi attraverso cui la Corte possa operare tramite una sezione composta mediante meccanismi ugualmente ben individuabili. Questo significa avviare un percorso di semplificazione e di razionalizzazione e cercare di liberare la Corte da pesi inutili, senza violare le regole costituzionali e senza disattendere le domande di giustizia dei cittadini. Ci auguriamo, però, che questo modo di intervenire sulla giustizia a pezzi, a frammenti, a segmenti si fermi qui e che si faccia finalmente un discorso completo e adeguato (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico). 109 Temi per la legalità 110 Sedi disagiate degli uffici giudiziari (2008) Seduta n. 70 di mercoledì 22 ottobre 2008 Sedi disagiate degli uffici giudiziari (2008) Esame di pregiudiziali Signor Presidente, noi del Partito Democratico condividiamo sostanzialmente nel merito i rilievi illustrati dall’onorevole Palomba e descritti nel documento dell’Italia dei Valori, ma riteniamo che le questioni poste (sono tante le questioni che riguardano il merito di questo provvedimento) non vadano affrontate in sede di pregiudiziale di costituzionalità, bensì attraverso - speriamo - un approfondito dibattito parlamentare, nelle sedi proprie della Commissione e dell’Aula. Riteniamo, infatti, che i piani di intervento debbano essere differenziati. Nel provvedimento legislativo in esame più che di violazione di norme e principi costituzionali si coglie, infatti, per alcune disposizioni, in particolare per quella che prevede la secca abrogazione dell’articolo 36 del decreto legislativo 5 aprile 2006, n. 160, frutto di un emendamento della maggioranza in Aula al Senato, una sostanziale incoerenza e disomogeneità con il resto del disegno di legge. Infatti, il disegno di legge di conversione del decreto-legge 16 settembre 2008, n. 143, è ispirato e dedicato a interventi urgenti in materia di funzionalità del sistema giudiziario e, in particolare, all’individuazione di strumenti idonei a garantire la copertura di sedi cosiddette disagiate degli uffici giudiziari, che normalmente si trovano al sud e nelle isole, ma che ora non sono più situate soltanto lì. Sappiamo, ad esempio, che sarà sicuramente considerata sede disagiata, per essere rimasta scoperta per ben due volte - è riportato in varie pubblicazioni - una sede del nord come Brescia, dove vi sono nove posti di sostituto tuttora scoperti. Pertanto, quell’emendamento presentato in Aula all’ultimo momento ha soppresso una norma che ragionevolmente aveva bilanciato diversi interessi in gioco e che prevedeva che, seppur attraverso una ricostruzione della carriera, coloro che a seguito di una sentenza di proscioglimento erano rientrati in servizio, ma superavano i 75 anni, non avrebbero più Legge n. 181 del 13 novembre 2008 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 16 settembre 2008, n. 143, recante interventi urgenti in materia di funzionalità del sistema giudiziario 111 Temi per la legalità potuto aspirare alla copertura delle funzioni direttive più alte. Invece, in Aula è stato approvato un emendamento dell’ultima ora e, ripetendo quanto già detto dall’onorevole Palomba, quell’emendamento ha un nome e un cognome nella sua finalità, ma non ha nulla a che vedere con l’esigenza di primario interesse di efficienza e funzionalità degli uffici giudiziari che il disegno di legge si propone. Ma confidiamo. Noi del Partito Democratico vogliamo ugualmente confidare che un dibattito costruttivo nella sede propria, la Commissione giustizia, possa far addivenire la maggioranza ad un logico ripensamento, per evitare che provvedimenti legislativi caratterizzati, comunque, dallo sforzo di individuare soluzioni di miglioramento del servizio giustizia siano anche essi, questa volta, etichettati come strumenti per l’inserimento di provvedimenti ad personam, contrari a tutte le normative relative al pubblico impiego. Anche l’altra questione, quella del Fondo unico della giustizia e delle sue modalità di gestione, non è affrontata, in questi interventi che si sono ripetuti e soprattutto con quello che è in discussione, in maniera coerente perché più che violazione di principi costituzionali, in realtà si deve parlare della mancanza di un disegno organico. Infatti, la ripartizione delle somme che derivano dalla giustizia non sono esattamen112 te quantificate né quantificabili e vengono destinate genericamente, per non meno di un terzo, al Ministero della giustizia e al Ministero dell’interno e le altre alle entrate del bilancio. È forte la discrezionalità nella distribuzione delle somme - sia pur temperata con qualche sforzo al Senato - che viene attribuita al Presidente del Consiglio, che diventa, così, assoluto arbitro di decidere nel caso di urgenti necessità derivanti da circostanze gravi ed eccezionali del Ministero dell’interno e di quello della giustizia. Inoltre, va rimarcata l’assenza dell’individuazione di specifici investimenti sul terreno dell’organizzazione, dell’informatica e della valorizzazione del personale dell’amministrazione del Ministero della giustizia, che è sempre più trascurato e compresso nei tagli dell’organico a causa della riduzione della spesa pubblica. Ma questi e altri punti del disegno di legge riteniamo - noi del Partito Democratico - siano questioni che debbano essere approfondite e discusse in un confronto costruttivo, teso a migliorare e a rendere coerente ed efficace il testo rispetto alle premesse e alle finalità che sono proprie e che sono state assunte dal Governo per giustificare l’intervento urgente relativo alla funzionalità del sistema giudiziario. Per questi motivi, concludo, signor Presidente, dichiaro il nostro voto di astensione. Sedi disagiate degli uffici giudiziari (2008) Seduta n. 77 di lunedì 3 novembre 2008 Discussione sulle linee generali Signor Presidente, considerati gli interventi approfonditi che hanno svolto i colleghi che mi hanno preceduto, e che ringrazio per la disamina così accorta, cercherò di essere molto sintetica, cercando di apportare, se possibile, qualche ulteriore elemento di valutazione. Confidiamo ancora, infatti, che il Governo in qualche modo voglia veramente tener conto dell’apporto costruttivo che l’opposizione ha sempre cercato di dare dall’inizio di questa legislatura. Credo che il decreto-legge, per come era nato, non fosse poi una rivoluzione copernicana. Sicuramente esso cercava di rivedere alcune storture dell’applicazione della legge 4 maggio 1998, n. 133, concernente la copertura degli uffici sedi disagiate, la quale non aveva sostanzialmente funzionato, se non per il fatto che alcuni magistrati di prima nomina avessero prescelto quelle sedi, in quanto tale scelta comportava una via assolutamente privilegiata per il ritorno, poi, nelle sedi di provenienza. Ciò aveva creato molto malumore anche tra gli altri magistrati, anche perché non vi erano soltanto benefici di aumento di punteggio, ma - come ho detto prima - ciò costituiva una vera e propria via di privilegio che, in qualche modo, comunque, i magistrati presso le sedi disagiate rivendicavano, per aver compiuto quella scelta di vita e di lavoro che doveva essere apprezzata. Questo provvedimento nasce, quindi, con una rivisitazione dei criteri, ma non voglio ripetere le critiche che abbiamo fatto, laddove, appunto, riteniamo che la definizione di sede disagiata non debba essere sganciata del tutto dalla territorialità e anche dal valore ponderato degli affari civili e penali che gravano sull’ufficio, così come non si deve fare riferimento a un dato solamente numerico, anche perché le nostre circoscrizioni giudiziarie non hanno ancora quella razionalità a cui, in ogni caso, aspiriamo. Tuttavia, quello che, a mio avviso, rende carente questo decreto-legge è il fatto che esso non si pone come una soluzione di emergenza residuale, quale dovrebbe essere a fronte di un sistema che prevede come logica la copertura senza il ricorso a incentivi economici, ad aumenti di punteggio in quanto tali e a trasferimenti coatti come ordinari. Si tratta di una situazione che, poi, da eccezionale diventa fisiologica, laddove vi è quel divieto normativo che impone di non considerare le nuove leve, le nuove energie della magistratura come capaci e idonee a ricoprire quelle sedi. Ecco allora che quel sistema diventa inidoneo e insufficiente. 113 Temi per la legalità Tale sistema poteva infatti andare bene ove previsto, sia pur con dei correttivi che avevamo proposto in Commissione, in casi eccezionali. Invece, considerati i numerosi vuoti di organico, il fatto che non si possano, soprattutto in uffici di procura e di giudice monocratico, assegnare magistrati di prima nomina, determina un notevole numero di posti che sono privi di aspiranti. Ho provato anche a seguire la logica che ci suggeriva il sottosegretario: guardate che non si tratta (così rispondeva ad alcuni onorevoli che provengono da sedi o regioni dove alto è il livello di criminalità organizzata e dove si lamenta la riduzione di magistrati e altresì che non venga considerata sufficientemente la condizione di sede disagiata con criminalità organizzata) di coprire i posti delle direzioni distrettuali antimafia (DDA). Non si tratta di coprire quelle sedi: infatti, è verificabile che le DDA, costituite presso il tribunale del capoluogo di distretto, normalmente hanno delle vacanze limitate; sono anche posti appetibili, nei quali si svolgono processi di un certo livello e si trovano in capoluoghi di provincia o di regione, e dunque si tratta di sedi, anche di vita, appetibili (parliamo non soltanto di uffici giudiziari, ma anche di contesti territoriali). Ebbene, seguendo quella logica, vediamo che ci sono, in tutta Italia, varie sedi, di uffici della procura soprattutto, particolarmente al sud, al centro-sud ma alcune anche al nord, 114 che rimangono scoperte (nonostante i concorsi ordinari di tramutamento dei posti da parte dei magistrati più anziani), in quanto prive di aspiranti. Infatti, un magistrato che va avanti con la carriera, ad un certo punto si forma dei centri di vita, di affetti e di interessi che è disposto a cambiare, come tutti i funzionari dello Stato, per delle motivazioni che sono aspirazioni professionali, territoriali, di miglioramento di vita e di sistema. Signor sottosegretario, anche se ho minore esperienza della sua, senza dubbio ho comunque vissuto dall’interno i problemi della magistratura e francamente non riesco a comprendere quale elemento razionale di buona amministrazione impedisca ai magistrati di prima nomina di ricoprire quelle sedi. Non si tratta infatti di sedi che richiedono l’esperienza necessaria ai processi di alta criminalità organizzata. Ma si tratta di sedi che sono disagiate perché logisticamente non sono ben collegate, o per altri motivi che non stiamo qui ad elencare, perché sono tanti. Si tratta, per esempio, di Mantova, Brescia (Brescia ha nove posti di procura della Repubblica non coperti nell’ultimo concorso, dove nessuno vuole andare), Caltanissetta, Enna, Gela, Nicosia Larino, Catania ed altri. È vero che si tratta di una norma dell’ordinamento giudiziario, ma come nel caso di altre norme il legislatore va avanti, non rimane arroccato a determinate previsioni soltan- Sedi disagiate degli uffici giudiziari (2008) to perché, in quel momento storico, anche il centrosinistra ha ritenuto di dover aderire ad un certo progetto (anche perché si trattava di mettere una pezza - scusate il termine - ad una riforma precedente che era ancor più dannosa). Mi si deve spiegare allora se esistono altre amministrazioni dello Stato in cui ci sono funzioni di responsabilità che incidono sui beni fondamentali della persona nelle quali non vengono ammessi a lavorare i giovani di prima nomina. Voglio capire se un medico, solo perché è appena laureato, appena specializzato, perché ha appena effettuato il suo tirocinio, non va messo al pronto soccorso dovendo aspettare che abbia quattro, cinque o sei anni di esperienza perché possa venire a contatto con un bene fondamentale qual è la salute della persona. Tanto più - e questo stato già detto ampiamente, mi pare lo abbia detto l’onorevole Cavallaro nel suo intervento, e quindi lo ripeto soltanto come punto di riferimento - perché un pubblico ministero non ha poteri diretti sulla libertà della persona. È un argomentare demagogico che, alla fine, però, porterà a risultati molto negativi sul nostro sistema. Un pubblico ministero al massimo può chiedere una misura cautelare: ha un potere inferiore a quello di un ufficiale di polizia giudiziaria e quindi ad un appartenente alla guardia di finanza, alla polizia ed ai carabinieri che, invece, possono arrestare in flagranza di reato e che possono effettuare un provvedimento immediato. Non credo che le forze dell’ordine non mandino, in sedi come Enna, Gela, Forlì, Bergamo e le altre che ho indicato prima, i loro vincitori di concorsi in quanto ritengano necessario che prima debbano passare quattro o cinque anni. Allora, si tratta di un falso problema che è appartenuto ad una logica laddove ai giudici ragazzini si è voluto attribuire il fatto che certe inchieste siano state portate avanti con più celerità, con più ardore oppure, magari, anche in solitudine perché i capi non hanno fatto il loro dovere. Ma questo non c’entra niente: si tratta di casi isolati che non giustificano tale argomentazione. Non si può andare per casi singoli, una amministrazione pubblica non può regolare e governare avendo come riferimento il singolo caso ad personam (mi riferisco quindi anche all’altra norma introdotta in Aula al Senato). Dobbiamo pensare all’interesse generale, alla situazione generale. Conoscendo l’esperienza e la ragionevolezza del sottosegretario lo invito a farsi interprete e portavoce di quest’esame e di verificare se, ad esempio, ad un prefetto di prima nomina sia impedito andare in una sede quale una di quelle che ho indicato poc’anzi. Che siano altri i timori! Mi sorgono alcune domande sostanzialmente perché i magistrati di prima nomina non sono più i giovani magistrati che siamo stati noi, 115 Temi per la legalità un tempo, quando si accedeva alla magistratura subito dopo la laurea. Ormai abbiamo giovani magistrati di trenta, trentadue, trentatré, trentacinque anni, che non sono più giovanissimi ed hanno un’esperienza. Vogliamo guardarci intorno anche negli altri ordinamenti? La Germania, ad esempio, ha risolto il problema individuando una possibilità di co-assegnazione per un certo periodo di tempo, di determinati magistrati di prima nomina magari con altri sostituti più anziani. Questa è una, ma le soluzioni possono essere tante, ad esempio si potrebbe modificare il tirocinio, ma non questa preclusione! Il Partito Democratico ha suggerito un emendamento che non vuole eliminare del tutto quella norma, ma vuole dare un suggerimento che porti a un miglioramento del funzionalità della giustizia. Infatti, 350 posti sono stati assegnati dall’ultimo concorso i cui vincitori stanno già facendo il tirocinio, altri 350 posti saranno assegnati quando, tra poco, finiranno gli orali; per altri 500 si svolgeranno le prove il 16 novembre. Abbiamo, quindi, una platea di circa mille persone e dove verranno mandate? Verranno mandate nei posti in cui faranno concorrenza ai magistrati più anziani che si vedranno poi trasferiti con delle modalità quasi militaresche. Non entro nell’ambito dei criteri che saranno oggetto di emendamenti e già sono stati ogget116 to di puntuali critiche da parte degli onorevoli del Partito Democratico. Ad ogni modo questo decreto-legge non esprime una ragionevolezza di intenti come avrebbe potuto fare modificando la legge 4 maggio 1998, n. 133 ed aprendo ad una soluzione che fosse logica, ragionevole e di buon andamento dell’amministrazione. Esso, infatti, non segue proprio questa logica. Il sottosegretario mi scuserà se insisto su questo punto. Non la segue! Ho avuto modo di andare dietro a tutta la polemica e all’approfondimento in ordine alla questione dei magistrati fuori ruolo e francamente non capisco questa norma e l’apertura che è stata proposta. Infatti, è vero sottosegretario Caliendo, che avete giustamente indicato un limite massimo, che anzi il Governo ha portato da 230 a 200 in sede di emendamento al Senato il numero massimo dei magistrati fuori ruolo quando, invece, lei sostiene che attualmente sono 236. Non dimentichiamoci che sono 236 e di questo problema ho vissuto, passo a passo, le vicende nel mio precedente lavoro, che ho svolto sino allo scorso aprile, e faccio presente che sono 236 perché nella precedente legislatura il tetto, in un certo momento, nei vari passaggi che si sono susseguiti nella modifica alla legge sull’ordinamento giudiziario, il tetto massimo, che era 200 più 30, era venuto meno. Pertanto, a questo punto l’organo di autogoverno si era Sedi disagiate degli uffici giudiziari (2008) dato un proprio limite ed aveva anche individuato delle categorie cercando, appunto, di limitare il tetto massimo. Tuttavia, da un lato si stabilisce un tetto massimo, ma dall’altro si compie un’apertura enorme per una serie di categorie. Infatti, l’unica ad essere stabilita per legge è quella del Consiglio superiore della magistratura, perché la legge 24 marzo 1958, n. 195, determina espressamente quanti sono i magistrati della segreteria, quanti dell’ufficio studi e documentazione e quanti presso il segretario generale ed il suo vice. Ripeto, si tratta dell’unica legge! Per il resto non viene indicato un numero e la Corte costituzionale e la Presidenza della Repubblica sono esonerate e senza l’indicazione di un numero. Pertanto, mancando il numero, di conseguenza non vi è un tetto. Quindi, si tratta di un limite che non viene indicato. Capisco che l’alto organo, l’alto vertice dell’organo imponga di affermare che non desideriamo indicarlo. È una scelta politica e infatti lei avrà notato, signor sottosegretario, che il Partito Democratico, su questo punto, non ha presentato emendamenti, perché ci rendiamo conto che si tratta di una scelta politica, di politica legislativa, così come è una scelta di politica legislativa non aver indicato, per quelle stesse categorie, compresi i magistrati del Consiglio superiore della magistratura che pure avevano un termine di legge, il tetto massimo di permanenza fuori ruolo. Pertanto, per gli altri magistrati sono dieci anni. Invece, per tutta questa altra categoria, fuori del tetto numerico, non vengono nemmeno indicati gli anni. Questo si rileva addirittura delle schede preparate dal Servizio studi della Camera, il cui lavoro apprezzo sempre di più per l’estrema imparzialità e puntualità. Ma non solo! Vi è anche una carenza di raccordo con la norma dell’ordinamento giudiziario, che faceva riferimento ai dieci anni. Siamo in presenza di una mancanza di raccordo, perché sostanzialmente la norma contenuta nella legge 30 luglio 2007, n. 111, stabiliva che da allora in poi - fu un fatto di portata gravissima tutto ciò che era successo nel passato non importava più. Un magistrato poteva anche essere fuori ruolo da venti anni e dagli elenchi che lei ha portato, signor sottosegretario, vi sono magistrati fuori ruolo dal 1979, dal 1980 e dal 1992. Insomma, penso che siamo d’accordo nell’affermare che vi sono magistrati che sono fuori ruolo da una vita. A questo punto, con la legge n. 111 del 2007, abbiamo provveduto ad un «azzeramento». Ma adesso li «azzeriamo» nuovamente, perché decorrono altri dieci anni. GIACOMO CALIENDO, Sottosegretario di Stato per la giustizia. No! 117 Temi per la legalità DONATELLA FERRANTI. Non vi è il raccordo. Se tale raccordo è venuto meno, perché è stato fatto questo? Perché il CSM, nel frattempo, aveva emanato una circolare e questo è quanto dice il CSM. Non è vero che il CSM ha espresso parere favorevole. Non ha espresso un parere contrario, ma ha svolto dei rilievi critici e forse si è attenuto a quello che è più il suo compito, in base alle attribuzioni del Consiglio superiore della magistratura, indicate dall’articolo 10 della legge n. 195 del 1958. Ha fornito al Ministro della giustizia rilievi che non sono stati tenuti in alcun conto. Il Consiglio superiore della magistratura ha fatto presente che con questa normativa, che concerne la destinazione dei magistrati a funzioni non giudiziarie, inserita all’interno di un decreto-legge che riguarda la funzionalità del sistema giudiziario, le sedi disagiate, i trasferimenti coattivi e l’età dei magistrati da un lato si stringe, perché si attribuiscono incentivi economici che però nessuno utilizzerà per andare in certi sedi e di questo ne riparleremo tra un po’. Dall’altro lato, si estendono le maglie e non si tiene conto di quel suggerimento che il CSM aveva dato sulla necessità di cercare di far rientrare gente che sta fuori ruolo da vent’anni e di recuperarla al sistema giudiziario. Non c’è nessuna norma in questo senso e nessun tentativo in tal senso. L’altro Governo qualche 118 tentativo (anche soltanto del Ministro) sporadico e difficile l’aveva fatto, mentre qui, in pratica, si dà la licenza a ricominciare. Lei sa meglio di me, perché conosce benissimo nomi e cognomi e quant’altro, che ci sono persone che stanno fuori ruolo da anni: allora diciamo che questi magistrati ormai fanno altro. Però, allora non andiamo a penalizzare chi è vincitore di concorso, chi ha fatto fior di esami, chi ha speso una vita per entrare in magistratura, chi è formato con quindici mesi di tirocinio (generale e specializzato) per andare a fare il magistrato perché non si tratta di un ragazzino. Forse si teme che i giovani siano più liberi da sovrastrutture, da condizionamenti, ma sono la parte più vera e più autonoma della magistratura. È questo che non condividiamo e non il fatto che non ci sia stata da parte del Governo una presa d’atto che qualcosa bisogna fare per le sedi che comunque rimarranno disagiate. Magari, come è stato suggerito, anche dall’intervento dell’onorevole Melis, è necessario prevedere un contingentamento e fare in modo che non vi siano tutti giovani in una procura del sud o del nord cosiddetta disagiata, ma nemmeno che vi sia tutta gente che ci va soltanto per una motivazione economica. Avrei paura di un magistrato che va in una sede a fare la procura della Repubblica solo perché gli danno 2 mila euro in più. Non si fa il magistrato per guada- Sedi disagiate degli uffici giudiziari (2008) gnare. Nessuno di noi ha scelto questa strada per guadagnare. Infatti, un giovane che ha trenta-trentadue anni, è bravo e ha vinto un concorso in magistratura guadagna di più a fare l’avvocato. Allora quell’incentivo economico e anche di carriera (quel punto in più) potrà risolvere in parte il problema - di quello do atto - ma si tratta solo di una strada e non dell’unica. Però, per non fare procure soltanto di giovani (giustamente sperduti o soli) si dovrebbe contingentare prevedendo (non so) di andare a coprire il 50 per cento (un posto su due), come si è sempre fatto, anche ai sui tempi, sottosegretario, e anche ai miei. Sono entrata in magistratura quando non era un concorso di secondo grado come adesso. Adesso è un concorso di secondo grado. Vorrei capire se ai magistrati amministrativi impediscono di andare in determinate sedi. Credo che anche loro andranno nelle sedi disagiate e non credo che il magistrato amministrativo di prima nomina venga al TAR del Lazio. Quindi, bisogna capire, così come sul fondo giustizia, se veramente si ha a cuore che il servizio giustizia vada avanti, oppure se si vogliono offrire degli strumenti di apparente funzionalità. Infatti, chi è dentro al sistema capisce che si tratta solo di uno degli strumenti, ma non dell’unico strumento di razionalizzazione del sistema. Inoltre, sempre per parlare di contraddizioni, come può lei, sottosegretario, con la coerenza che l’ha contraddistinta per tutta la sua carriera, non condividere un nostro emendamento che chiede la soppressione di quel comma 8-bis dell’articolo 1, introdotto in maniera subdola in Aula al Senato? Che non ci si venga a dire che il Senato lo ha votato: non avranno valutato a fondo quello che è stato presentato come un adeguamento ad una sentenza della Corte costituzionale perché è falso. Infatti, chiunque la legga la sentenza della Corte costituzionale che è stata richiamata dai senatori al Senato, sa che non c’entra nulla con la norma in questione. Quella sentenza riguardava il fatto che bisognava ammettere al concorso per direttivi anche chi, avendo optato per i 75 anni, aveva superato i 70, ma sempre nell’ambito dei 75. Quindi, al Senato è stata portata in Aula una norma di soppressione motivandola come adeguamento alla giurisprudenza della Corte costituzionale, ma ciò è falso. Si tratta di una argomentazione falsa! Quindi, non c’è nessuna contraddittorietà da parte del Partito Democratico in questa avversione nei confronti di questo decreto-legge, dal momento che contiene ancora, a parte degli strumenti che non riteniamo del tutto adeguati, soprattutto la disposizione che è un affronto per una democrazia vera, poiché inserisce in un decreto119 Temi per la legalità legge dedicato alle sedi disagiate la norma per consentire a Carnevale di fare la domanda per diventare primo presidente della Corte di Cassazione quando il primo presidente attuale tra un anno, un anno e mezzo - andrà in pensione. Essendo prima stato chiesto questo, tale norma ha massimo due-tre destinatari, dai miei ricordi di quanti hanno beneficiato del rientro dopo. Non è una norma generale ed astratta, ma particolare. Voglio credere che tutti noi - quindi maggioranza e opposizione - non possiamo avallare che in questo Parlamento si facciano delle norme che abbiano dei nomi e cognomi. Poi, lo scudo che ci si vuole fare per cui questa norma non conta nulla, che poi sarà il CSM a valutare se abilitare Tizio o Caio a fare il pri- 120 mo presidente, è veramente una cosa puerile, indegna di parlamentari. Penso che non dobbiamo vedere quali sono le conseguenze, ma se questa norma è razionale. Qui altri prima hanno meglio di me spiegato come questa norma non ha razionalità, ragionevolezza, coerenza con tutto il sistema dell’amministrazione e, quindi, non si può per i magistrati parlare in un modo e magari - da parte del Ministro Brunetta - per i pubblici impiegati parlare in un altro. Quindi, occorre avere una coerenza e voglio credere, fino a che non si voterà questo provvedimento, che altri insieme a noi abbiano questa mia stessa coerenza, essendoci dei valori che comunque ci accomunano (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico). Sedi disagiate degli uffici giudiziari (2010) Seduta n. 264 di martedì 12 gennaio 2010 Sedi disagiate degli uffici giudiziari (2010) Esame di pregiudiziali Signor Presidente, anche noi abbiamo ritenuto di non proporre la pregiudiziale di costituzionalità, non perché in qualche modo non percepiamo le linee di fondo che ha voluto esporre l’Italia dei Valori, ma perché abbiamo ritenuto che fosse più adeguata a questo provvedimento una linea di confronto e di dibattito nel merito delle scelte governative adottate, per l’appunto, con questo decreto-legge, n. 193 del 29 dicembre 2009, intitolato «Interventi urgenti in materia di funzionalità del sistema giudiziario». Anche perché - questo spiegherà anche il nostro voto di astensione questo decreto-legge non riguarda soltanto la copertura dei posti vacanti negli uffici giudiziari, ma riguarda un’altra importante scadenza, ovvero la proroga dei magistrati onorari che sono scaduti il 31 dicembre 2009 (quelli in servizio: giudici onorari e viceprocuratori onorari), che, in attesa di una definitiva riforma della magistratura onoraria, anch’essa urgente ed essenziale allo svolgimento razionale del nostro sistema della giustizia, non poteva non essere oggetto di una proroga da parte del Governo. Inoltre, questo decreto-legge, da ciò deriva questa nostra maturata convinzione di non proporre la questione pregiudiziale, riguarda anche le finalità inerenti il completamento del sistema di digitalizzazione della giustizia di cui parleremo in Commissione. Il decreto-legge si fa carico dell’esigenza della copertura delle sedi disagiate. Vi è ormai un problema urgentissimo: la scopertura degli uffici giudiziari di procura, scopertura che si riscontra soprattutto nelle aree meridionali, ma non solo (la cosiddetta desertificazione degli uffici di procura). Si tratta di un problema per il quale, tra l’altro, abbiamo proposto al Ministro qualche tempo fa, prima dell’estate, una specifica interrogazione a risposta immediata. Con questo provvedimento il Governo devo dire - ha il coraggio di fare un passo indietro rispetto a quella norma introdotta con il decreto-legge 16 settembre 2008, n. 143, conver- Legge n. 24 del 22 febbraio 2010 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 29 dicembre 2009, n. 193, recante interventi urgenti in materia di funzionalità del sistema giudiziario 121 Temi per la legalità tito dalla legge 13 novembre 2008, n. 181, che aveva coniato un sistema basato su alcune sedi disagiate ed altre a copertura immediata e sugli incentivi economici. Si rende conto del fallimento di quel sistema, che noi avevamo tra l’altro previsto in quest’Aula e per questo avevamo più volte richiamato il Governo stesso ad una modifica. Aumenta, e quindi potenzia, l’istituto del trasferimento d’ufficio che già esiste nella nostra normativa (è stato previsto dalla legge del 1998), fa riferimento ad un numero maggiore di sedi, 80, fino a 150 magistrati. Finché ci si rende conto di questo aumento, nulla quaestio. È un problema sul quale lavoreremo e ci auguriamo che il Governo e la maggioranza tengano conto di questa nostra posizione, perché dobbiamo lavorare in Commissione ed in Assemblea per modificare queste scelte di potenziamento di tale sistema parallelo al trasferimento di ufficio, che potreb- be andare a scardinare quel principio costituzionale della inamovibilità della magistratura come principio cardine così fissato dall’articolo 107 della Costituzione, che è derogabile - dice la Corte costituzionale - solo per ragioni contingenti volte ad assicurare la continuità e la prontezza della funzione giurisdizionale, ma che non può essere un sistema che poi, attraverso una serie di proroghe, va a regime. Deve essere un sistema che in qualche modo deve essere comunque cambiato. Quindi, noi lavoreremo e siamo convinti che vadano individuate una serie di criticità, perché non comprendiamo quali sono il passo e la finalità verso i quali il Governo sta andando. Quindi, vogliamo evitare che con questo decreto-legge sostanzialmente si cerchi di tirare una coperta troppo corta, non rimuovendo la causa principale che è quella delle impossibilità di destinare i magistrati di prima nomina alle sedi di procura. Seduta n. 271 di venerdì 22 gennaio 2010 Discussione sulle linee generali Signor Presidente, i colleghi del Partito democratico che mi hanno preceduto hanno ampiamente svolto i temi sostanziali contenuti nel decreto-legge in esame, del quale si sta svolgendo la discussione sulle linee generali e che rappresenta la punta dell’iceberg del problema giustizia. Purtrop122 po, alle problematiche della giustizia si cerca di ovviare con provvedimenti di urgenza che, come tutti i provvedimenti di urgenza, sia pur predisposti con tutte le ottime intenzioni che possono essere alla base di qualsiasi Governo, hanno però il limite di non risolvere il problema alla radice. Sedi disagiate degli uffici giudiziari (2010) Il provvedimento d’urgenza in esame, come è già stato affermato, nasce sostanzialmente per rivedere un provvedimento del Governo che, nel 2008, aveva affrontato con certe modalità il cosiddetto problema delle sedi disagiate, in particolare degli uffici di procura. Disagiate sono le sedi che hanno, in termini di organico, una scopertura maggiore ad una certa percentuale e non in quanto geograficamente disagiate. In esse vi è sempre qualcosa in movimento: a seguito di pensionamenti, scoperture o a mancate richieste, che riguardano i trasferimenti ordinari, in queste sedi, che possono essere al sud (come avviene di solito, in prevalenza), ma anche al nord, il funzionamento delle stesse è messo in crisi. Vi sono anche procure del nord in cui vi è solo una persona, il procuratore capo. Nel 2008 - qui eravamo più o meno sempre le solite persone, in quanto il problema è sempre stato affrontato dalla Commissione giustizia - il Governo era intervenuto prevedendo una serie di incentivi economici e di carriera per far sì che quelle sedi cosiddette disagiate - individuate dal Ministro e dal CSM in quanto gravemente scoperte - potessero essere appetibili per trasferimenti cosiddetti d’ufficio, ma con il consenso, a disponibilità, non manu militari. Tale intervento modificava criteri già vigenti in base alla legge n. 133 del 1998. Il trasferimento d’ufficio in sedi disagiate, quindi, è stato sempre previsto dall’ordinamento giudiziario. Quando si dice in giro che i magistrati sono inamovibili e godono di una condizione di privilegio rispetto ad altri funzionari dello Stato si dice cosa non vera. Quel trasferimento d’ufficio già esisteva. È stato modificato, perché le cose evolvono, dal Governo di questa legislatura ed è stato previsto un sistema di incentivi economici, come dicevo prima, e di carriera, che al Governo sembravano appetibili per far sì che in realtà ci fosse una mobilità d’ufficio, ma con il consenso, perché c’erano dei vantaggi che venivano rappresentati, delle utilità. Noi all’epoca - ho rivisto proprio ieri il dibattito in Aula - dicemmo che ci opponevamo a quello strumento. Ciò non perché vogliamo tutelare i privilegi di caste o di corporazioni o perché siamo retrogradi, come in maniera molto semplicistica qualcuno ha voluto sottolineare, pur di fronte ad un’opposizione che continuamente dà prova di spirito costruttivo e di voglia di dare il proprio apporto alla maggioranza. Quella volta dicemmo - e abbiamo avuto ragione - che quel sistema non avrebbe funzionato, ma non perché i magistrati non avrebbero preso al balzo la possibilità di avere quella parte di stipendio in più o dei privilegi di carriera rispetto agli altri, ma per come è strutturato l’ordinamento giudiziario attuale, reduce da una riforma che avete va123 Temi per la legalità rato nella precedente legislatura, ma che ha origine dall’elaborazione del Ministro Castelli, quindi è una riforma che in parte viene dal Governo di centrodestra. Quella riforma fece una scelta e di fatto, avendo precluso la possibilità che all’esito di un concorso si andasse a coprire anche le sedi degli uffici di procura, quindi che magistrati freschi di prima nomina andassero a coprire quegli uffici, si è impedito che quegli uffici fossero ricoperti. Quindi, si erano create delle vacanze così gravi che ad esse non si poteva sopperire con un trasferimento, sia pure a domanda, ma cosiddetto d’ufficio e su incentivazione. I dati sono stati anche riportati nel parere del Consiglio superiore della magistratura che li ha analizzati e il sottosegretario ne è a conoscenza, ovviamente nell’ambito della sua attività. I concorsi, che il CSM ha bandito d’intesa con il Ministro, hanno portato ad una parziale copertura, quindi ci sono stati magistrati che hanno utilizzato quel percorso incentivante previsto dal Governo. Dunque, non è vero che sono sedi sgradite ai magistrati, perché quelle sedi in parte sono state ricoperte. Però purtroppo - il Governo lo sa - in base ai divieti e alle incompatibilità che ci sono anche di tramutamenti nell’ambito del distretto o fuori distretto tra giudice e pubbli124 co ministero, divieti giusti, quell’incentivo non ha potuto funzionare al 100 per cento. Tuttavia, noi già all’epoca, data l’eccezionalità, abbiamo suggerito di sospendere l’efficacia di quella norma che riguardava il divieto di utilizzazione delle nuove forze ai fini della copertura, perché dal 2008 avevano già preso servizio i vincitori di due concorsi mi pare, sicuramente i vincitori di uno di essi. Quindi, questo problema, se avessimo seguito all’epoca la nostra linea, che avevamo tenuto con grande generosità e voglia di collaborare con il Governo, sarebbe già stato risolto. Infatti, sostanzialmente a noi opposizione del Partito Democratico - qui lo voglio dire pubblicamente, affinché rimanga agli atti della Camera - non interessa lo sfascio della giustizia. Noi vogliamo che si costruisca qualcosa di positivo per la giustizia e per i cittadini. Quindi, il problema è che le riforme vanno confrontate e fatte con un sistema di contemperamento delle varie esigenze. Ecco che quella volta questo contemperamento non è stato accolto. Questa volta devo dare atto al Governo, in particolare al sottosegretario Caliendo, e al relatore, che, tra l’altro, viene anch’egli dalla magistratura e conosce perfettamente le problematiche sottostanti, che in Commissione giustizia vi è stata questa convergenza, per cercare di mediare. Sedi disagiate degli uffici giudiziari (2010) Ovviamente, non è stata accolta tutta la nostra proposta - è nelle cose, nella fisiologia del dibattito - però è stato accolto il principio per cui, se la necessità del nostro Paese è di fornire degli strumenti immediati per far sì che gli uffici di procura funzionino e che vi sia una lotta alla criminalità comune e organizzata, e quindi i giudici possano esercitare la giurisdizione e si attui il principio di obbligatorietà dell’azione penale, la cosa immediata da fare è, e ci siamo arrivati (il testo giunto in Assemblea è già diverso rispetto a quello iniziale), prevedere una deroga per i vincitori di un concorso che immediatamente hanno già assunto le funzioni e che potranno assumere le funzioni nelle sedi cosiddette disagiate, sulla percentuale individuata dal Governo, su cui dovrà decidere il Consiglio superiore della magistratura, della scopertura del 30 per cento. Già a novembre di quest’anno - non bisognerà aspettare il 2014 - tali sedi potranno avere magistrati titolari formati, vigorosi e vogliosi di dare un contributo allo Stato, che potranno coprire tutte le sedi disagiate, perché il concorso già comprende oltre 300 persone. Faccio subito una riflessione, che sottopongo al Governo e al relatore: a questo punto, quel nuovo conio di trasferimento d’ufficio di autorità lo chiamo di autorità per distinguerlo da quello con il consenso, sono sempre due tipi di trasferimento d’uffi- cio - che senso ha prevederlo fino al 2014, poiché è rimasta la norma? Che senso ha? È giusto rivedere le modalità per sopperire a delle esigenze imprescindibili di funzionamento della giurisdizione, e quindi è giusto prevedere e disciplinare un tipo di trasferimento d’ufficio. Non siamo retrogradi, non siamo ancorati a dei privilegi di una categoria che possono andare a danno dei cittadini, mai! Sollecito il Governo e il relatore ad una nuova formulazione di quel trasferimento d’ufficio, che il Governo aveva previsto e coniato prima di addivenire a questa nuova formulazione, che consente l’immediata copertura a novembre 2010; a tale data vi sarà l’assegnazione delle sedi e a luglio 2011, poiché il tirocinio mirato dura sei mesi, questo esercito di persone si recherà in tali sedi. Perché dobbiamo lasciare quella norma fino al 2014? Questo è il mio primo interrogativo e la mia prima problematica, che pongo in maniera molto distesa e con la massima collaborazione. Ovviamente, su questo presenteremo degli emendamenti, ma le soluzioni non le dobbiamo trovare noi; noi avanziamo delle proposte, poi la soluzione la troveranno il Governo, il relatore, la maggioranza, speriamo d’intesa con le opposizioni. Per l’altro problema che è stato accennato, voglio rivolgermi al Gover125 Temi per la legalità no, perché si faccia interprete anche nei confronti del Ministro, proprio perché vogliamo dare una mano perché il sistema funzioni; non vogliamo lo sfascio delle procure della Repubblica, perché sappiamo che quei luoghi sono il pronto soccorso del male e della giustizia nei confronti dei cittadini e delle vittime di reato. È come se chiudessimo i pronti soccorsi, che sono il filtro per andare negli altri reparti. Mi chiedo allora: giacché il periodo di tirocinio è fissato con decreto del Ministro, sentito ovviamente il CSM, perché non si pensa di far fare ai magistrati che andranno a ricoprire le sedi di prima nomina, a seguito del concorso del 2009, come si è stabilito con un emendamento formulato d’intesa tra opposizione e Governo, il tirocinio mirato (cioè l’ultima parte in cui si vanno a formare) presso le sedi cosiddette disagiate, cioè presso gli uffici di procura? Si tratta di un’iniziativa che può assumere il Governo! Si avrebbe allora un’anticipazione della copertura delle sedi non a luglio 2011, ma a ottobre, novembre, dicembre 2010. Se la norma del trasferimento coatto è dunque soltanto un segnale, per cui si vuole comunque dare una risposta a chi, nell’ambito della maggioranza (ma non sono poi tutti, perché nell’ambito della maggioranza c’è gente che come noi crede nel funzionamento effettivo della giustizia), ha «sete» di dare colpi all’autonomia 126 ed indipendenza della magistratura, allora è un conto, e non arriveremo mai a rivedere quella norma: basta saperlo, ognuno poi sa fino a che punto l’opposizione può anche «spingere», o comunque può rappresentare le istanze della sua parte. Se si tratta, invece, di una norma che aveva un senso, essendo stata motivata, così come leggo nella relazione del decreto-legge firmato dal Capo dello Stato, con la necessità di sopperire ad un’esigenza effettiva di continuità della funzione giurisdizionale, e quindi anche con un riconoscimento dell’unità della magistratura nell’organo inquirente e giudicante; se la verità è quella che noi leggiamo, credo allora che tale norma comunque vada rivista, che ne vada rivista la durata; comunque, si può anche cercare di perfezionare un po’ il trasferimento d’ufficio, riportandolo nell’ambito non di un «mostrare i muscoli», ma di una funzionalità effettiva. Verificherà il Governo che noi, sotto questo profilo, abbiamo abbandonato alcuni emendamenti, li ritireremo, proprio perché c’è una volontà di andare avanti, non di andare indietro. Vorrei trattare ancora due punti: la digitalizzazione, e la questione della Scuola superiore della magistratura; una modifica alle competenze della Scuola superiore della magistratura è stata introdotta con un emendamento del Governo, non faceva quindi parte del decreto-legge. Sedi disagiate degli uffici giudiziari (2010) Sotto il profilo della digitalizzazione, noi siamo ovviamente favorevoli a tutte le misure che concretamente porteranno a migliorare il servizio, ad accelerare i tempi, ad evitare attività cartacee inutili. Credo che su questo punto il Governo abbia come interlocutore il Ministro, ed il Ministro ha poi come interlocutore, anche consultivo, il Consiglio superiore della magistratura, che con un parere segnala quali sono le problematiche; l’opposizione ha poi cercato anche da parte sua autonomamente di segnalarle nell’immediato. La digitalizzazione dovrebbe comportare la sostituzione delle forme di notificazione cartacea con obbligatorie forme di notifica, tranne che per l’imputato, per tutte le altre parti, con la posta elettronica certificata; si fissa poi il termine di 60 giorni e si impone ai capi degli uffici di dare immediata attuazione a tale norma. E guai a chi non ne dà immediata attuazione! Vi è anzi una responsabilità del capo dell’ufficio. Mi permetto di rappresentare che, in realtà, tutto questo meccanismo ha bisogno di risorse economiche e di personale: quando infatti si dovrà fare la scannerizzazione di un documento affinché esso possa essere informatizzato, chi farà appunto la scannerizzazione, registrandosi una carenza di organico gravissima? Si dovrà quindi ricorrere alla collaborazione del personale ausiliario con il sostegno dell’ufficiale di polizia giudiziaria, che magari operano presso gli uffici delle procure della Repubblica o presso le sedi, per il penale, del giudice per le indagini preliminari o del GUP. In qualche modo, ciò che abbiamo criticato non è l’idea di proseguire in questa modernizzazione della giustizia (è evidente, infatti, che non si lavora più con penna e calamaio), ma il fatto che tutto questo viene realizzato senza aver prima previsto una riorganizzazione degli uffici. È come se uno uscisse di casa ben curato dopo il parrucchiere, ma poi magari si accorgesse di avere le scarpe bucate: si tratta di un minimo di buona amministrazione! Quindi abbiamo detto che non vi era, a nostro avviso, la necessità di adottare al riguardo un decreto-legge, ma comunque, anche volendo intervenire attraverso un decreto-legge, abbiamo chiesto al Ministro di tenere conto delle buone prassi che già esistono e del processo telematico che lui stesso ha realizzato. Proseguendo un lavoro che era iniziato con il Governo di centrosinistra, esso è stato infatti portato a termine in alcune sedi e si sta applicando con riferimento al decreto ingiuntivo e ad altre procedure, come le notifiche (la sede di Milano, ad esempio, è a regime già da quest’estate), ma secondo una procedura diversa da quella che viene prevista con il presente decreto-legge. 127 Temi per la legalità Ciò che si è fatto finora verrà dunque buttato al macero: sembra quasi che vi sia un desiderio di ricominciare sempre da capo, pur sapendo quanti sono i costi dell’informatizzazione e quale mondo operi nel settore degli appalti ed in tutto il comparto dei servizi dell’informatica. Allora vi chiedo: se si è sperimentato che in alcune sedi il processo telematico già funziona secondo certi moduli, perché non si prosegue in quella maniera? Perché non si operano gli aggiustamenti su quel punto? Perché non se ne tiene conto attraverso un monitoraggio di ciò che va e di ciò che non va, sentendo gli operatori interessati compresi gli avvocati, perché anche per gli avvocati vi sarà la necessità immediata di disporre di una casella di posta certificata? Ma voi sapete che negli uffici giudiziari la casella di posta certificata ce l’ha soltanto il presidente e il dirigente amministrativo, l’alto grado, mentre non esiste per gli altri uffici? La casella di posta certificata è qualcosa per la cui realizzazione occorrono non sessanta giorni ma anni, affinché tutto il sistema cambi. Anche su questo punto ci siamo permessi in sede di discussione - e presenteremo su tale punto degli emendamenti, non certo soppressivi - di suggerire l’inserimento di forme di consultazione, perché la democrazia è fatta di consultazione e non di provvedimenti imposti soltanto per far ve128 dere che si è fatto sulla carta qualcosa che poi però bisogna realizzare! L’altro punto riguarda la Scuola superiore della magistratura, che nel 2006 rappresentò un fiore all’occhiello della riforma dell’ordinamento giudiziario. In realtà, lo Stato italiano per la prima volta si poneva in linea con altri Paesi come la Spagna e la Francia (la Scuola superiore francese, l’École, è una delle prime scuole ad aver dato il massimo del proprio apporto nella formazione dei magistrati). Ma devo dire che in questo campo la IX commissione composta di personale che, come potete capire, è irrisorio rispetto a quello che potrà essere una scuola ha realizzato da circa un ventennio nell’ambito del Consiglio superiore della magistratura un’attività continua di formazione dei magistrati di prima nomina e di formazione dei magistrati ordinari, tanto che fa parte di una rete europea di formazione e che la presidenza ha assunto il Consiglio superiore della magistratura come organo di riferimento dei Paesi europei. Questo per dire che non si parte da zero, eppure la Scuola superiore della magistratura istituita nel 2006, siamo nel 2010, non è ancora decollata. Vi è una serie di problematiche e di interessi sottostanti su dove e in quale sedi istituire le scuole. Abbiamo visto che il Ministro Castelli, prima di dimettersi, individuò Bergamo come una delle tre sedi, e che Sedi disagiate degli uffici giudiziari (2010) il Ministro Mastella ha individuato Benevento e al riguardo sono stati varati i relativi decreti. Per quanto riguarda la terza sede non so se il procedimento si sta concludendo a favore di Roma o di Firenze, ma la cosa importante è che la Scuola e il suo comitato direttivo comincino ad operare. La scuola della magistratura in Francia non ha tante sedi per i magistrati delle varie parti del Paese, pur essendo la Francia più grande dell’Italia; vi è una sola sede per gli uditori, i magistrati di prima nomina, e una per i magistrati anziani. In Italia, invece, signor Presidente, si vogliono istituire delle sedi, dove far confluire i magistrati, che divideranno l’Italia in tre parti, mentre l’interscambio delle esperienze è la linfa della scuola e della formazione. Il Governo ha introdotto un emendamento nell’ultima fase - non voglio dire nell’ultima ora perché è stato presentato in Commissione in questa settimana - che vuole reintrodurre ciò che - lo dico anche alla collega Samperi che era relatrice alla Camera del testo sull’ordinamento giudiziario nella precedente legislatura - era stato abrogato della legge n. 111 del 2007. Da parte del Governo, con un emendamento introdotto nel decreto-legge (credo vi sia anche una questione di ammissibilità), si introduce una norma che in sé fa capire dove si vuole andare a parare. Il comitato direttivo della Scuola superiore è composto da membri nominati dal Ministro e dal Consiglio superiore della magistratura, e presieduto dal componente nominato dal Ministro. Questa norma, reintroducendo una norma che era stato abrogata da questo Parlamento, prevede che, all’esito dei corsi di valutazione dei dirigenti, il comitato direttivo della Scuola, contravvenendo a ciò che prevede la Carta costituzionale, farà la nota di valutazione dell’idoneità a coprire il posto di dirigente, di cui terrà conto il Ministro nel concerto, e che andrà ad incidere direttamente, perché prelude anche alla possibilità di accesso al concorso da dirigente. Si reintroduce, quindi, con una confusione di ruoli, una vecchia norma: chi fa la formazione, farà anche la valutazione di idoneità. Credo che in tutti i percorsi formativi, fornire degli elementi di informazione sulla partecipazione sia una cosa diversa. La nota valutativa è un qualcosa che in realtà fa entrare, attraverso un decreto-legge, una modifica non di poco conto, anzi di grave incidenza, sulla nomina dei direttivi da parte della V commissione, presieduta dal Capo dello Stato, con il concerto del Ministro, e si tratta dell’unica commissione del CSM ad efficacia esterna. Si stravolge il sistema delle nomine. Non siamo retrogradi, vorremmo però che su questo punto ci fosse un dibattito che non sia limitato alla conversione di un decreto-legge. Credo che il Parlamento, che ha abrogato quella valutazione che pro129 Temi per la legalità veniva da una precedente formulazione, abbia il diritto di affrontare queste problematiche con dei tempi e delle modalità di dibattito diverse rispetto all’urgenza di un decretolegge che, tra l’altro, regola una materia estranea a quella originaria del provvedimento stesso. Si tratta di uno degli altri aspetti essenziali della formulazione del provvedimento all’esame dell’Assemblea, e su tale aspetto il confronto non può cessare, anzi occorre approfondire il dibattito. Non possiamo pensare che, attraverso questo strumento, si vada ad incidere surrettiziamente su un modello che concerne elementi di valutazione (che possono essere dati da una scuola di formazione che, peraltro, ancora non esiste), elementi di valutazione che devono riguardare un capo dell’ufficio e devono essere rapportati alla capacità di organizzazione. Ma il capo dell’ufficio giudiziario non deve fare soltanto il manager, deve sapere anche dirigere tale ufficio, quindi deve esercitare la giurisdizione (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico). Seduta n. 278 di giovedì 4 febbraio 2010 Dichiarazione di voto finale Signor Presidente, onorevoli colleghi, signori del Governo, questo decreto quando è approdato in Commissione giustizia sembrava ancora una volta nato sotto sfavorevoli auspici, pervaso come era in alcune parti da una logica, permettetemi di dire, quasi punitiva. Infatti, dopo il fallimento del recente analogo intervento legislativo, la legge n. 181 del 2008, che aveva puntato sul trasferimento d’ufficio nelle sedi disagiate sulla base di incentivi economici e di carriera; si era posto l’obiettivo di realizzare comunque la copertura delle sedi, laddove le scoperture di organico arrivavano ormai quasi all’80 per cento, attraverso il trasferimento 130 cosiddetto coatto, volto a realizzare d’autorità il trasferimento di giovani magistrati soprattutto, quelli che avevano superato la prima o la seconda valutazione, quindi con massimo otto anni di anzianità, strappati al loro ufficio prevalentemente giudicante, civile o penale, per andare a ricoprire gli uffici di procura individuati a copertura immediata, magari in regioni limitrofe. In realtà, il sistema del trasferimento coatto, sia pur previsto in questo decreto in via transitoria fino al 2014, non risolveva secondo noi, e non può risolvere, i problemi di una coperta troppo corta: ci sono mille posti in meno ricoperti che derivano, non Sedi disagiate degli uffici giudiziari (2010) dalla miopia di questo Governo, ma dal fatto che negli anni 2001 e 2002 vi è stato il blocco dei concorsi, e quindi ciò è dovuto all’altro Governo di centrodestra. Inoltre, a fronte del divieto per i magistrati giovani di ricoprire le funzioni requirenti si è creato questo vuoto presso gli uffici di procura. Così come un’altra causa che doveva essere prevista è il percorso tendenzialmente distinto tra giudici e pubblici ministeri tracciato dalla legge n. 111 del 2007 sul nuovo ordinamento giudiziario. Si sono andate acuendo le rilevanti carenze d’organico proprio nelle procure con scoperture più forti, soprattutto al sud e nelle isole, ma anche al nord, che minano di fatto il sistema dell’obbligatorietà dell’azione penale e che danno l’impressione - anzi, è la realtà - di una giustizia denegata. Il Governo, quindi, nell’originaria versione del decreto aveva pensato di risolvere il problema aumentando le sedi disagiate a 80 e aumentando il numero dei magistrati trasferiti d’ufficio a 150. Con la proposta che le opposizioni si sono fatte carico di presentare al Governo si è offerta la possibilità di una soluzione immediata ed efficace, positiva: attingere immediatamente alle risorse umane dei vincitori di concorso già in servizio. Orgogliosamente noi delle opposizioni tutte diciamo che l’articolo 3-bis di questo decreto è il frutto di quanto da noi suggerito al Governo e che il Governo con intelligenza ha saputo far proprio, utilizzando anche l’ulteriore testo della nostra proposta di legge, quella che il Partito Democratico proponeva, come la normativa a regime che prevede un affiancamento dei magistrati giovani da parte di quelli più anziani, i procuratori della Repubblica e i procuratori aggiunti, almeno nella prima fase di avvio del loro percorso professionale di esercizio della giurisdizione. L’altro punto che è stato oggetto di dibattito, e che ha portato ad un risultato di mediazione condivisibile, è quello riguardante la Scuola superiore della magistratura. Il Governo, con un emendamento non presente nel testo originario, nell’ambito delle competenze della Scuola superiore di cui da tempo si attende l’avvio, aveva previsto che, accanto alla formazione di magistrati per gli incarichi direttivi di primo e secondo grado, il comitato direttivo esprimesse anche un giudizio di idoneità al conferimento degli incarichi. Si trattava, dunque, di una norma in chiaro contrasto con l’articolo 105 della Costituzione in quanto atto valutativo che incide sullo stato dei magistrati ai fini della promozione e del trasferimento. L’emendamento formulato dal Governo è stato suggerito dal nostro gruppo in Commissione giustizia, e per questo ringrazio tutti i colleghi della Commissione, proprio all’esito di un’audizione di componenti del 131 Temi per la legalità tavolo tecnico fra CSM e Ministero, audizione per la quale ringrazio la sensibilità della presidente, onorevole Bongiorno. Questa Commissione evidenziava, appunto, ieri, l’anomalia di una sovrapposizione tra formazione e valutazione, sulla quale si era già espresso il CSM in una seduta straordinaria, con un ordine del giorno firmato, e quindi avallato, anche dal Capo dello Stato. È dunque con orgoglio che possiamo dire che attraverso un voto condivisibile si è arrivati a far sì che quella norma fosse formulata in un modo compatibile con il decreto costituzionale. Tale formulazione, però, al contempo, comunque assicura garanzia e fa sì che restino inalterati e intatti i poteri di autogoverno tracciati dalla nostra Costituzione. Avviandomi alla conclusione, sottolineo, però, che continuano ad esserci degli aspetti critici. Mi riferisco, in particolare, alle problematiche connesse alla digitalizzazione, all’inadeguatezza degli organici del personale che dovrà provvedere alla stessa, nonché alle carenze di mezzi e di risorse informatiche derivanti dai tagli di spesa al settore giustizia, ai tagli delle piante organiche che è avvenuto in forza dell’articolo 74 della legge n. 133 del 2008. A fronte di una scopertura del 20 per cento infatti, improvvisamente, quelle piante 132 organiche - parlo del personale della giustizia - sono diventate, attraverso quel taglio, a pieno regime. Quindi, signori del Governo, signori della maggioranza, il nostro voto favorevole a questo provvedimento è più che altro il frutto del rilievo che vogliamo dare al positivo confronto su aspetti essenziali del funzionamento della giustizia, ma è anche un importante atto di fiducia per il futuro ed ha un forte significato simbolico. Dopo una pagina così nera, scritta ieri, in cui si è approvata una legge dichiaratamente ad personam, quella sul legittimo impedimento, ci auguriamo che il problema della giustizia esca dall’emergenza, dai condizionamenti e dai pregiudizi ideologici. Auspichiamo che si pensi ad una valorizzazione e ad una distribuzione razionale delle risorse, che si esca dalla logica dei decreti-legge contenitori e si persegua la finalità di una giustizia che tenga conto di tutti gli operatori della giustizia e delle esigenze dei cittadini. Vogliamo un servizio efficiente ed efficace e quindi interventi normativi che siano esenti da insidie a quel principio di indipendenza della giurisdizione che è poi la garanzia del principio di uguaglianza di tutti i cittadini (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico). Legge finanziaria 2010 Seduta n. 255 di mercoledì 9 dicembre 2009 legge finanziaria 2010 Discussione sulle linee generali Signor Presidente, noi sappiamo che la tutela giurisdizionale costituisce uno strumento imprescindibile per assicurare ai cittadini la garanzia e la piena attuazione dei loro diritti non solo in sede penale ma anche in ambito civile, tributario e amministrativo. Un sistema giudiziario efficace però si deve basare in primo luogo su risorse umane, economicofinanziarie adeguate e idonee per un effettivo miglioramento della qualità dell’amministrazione della giustizia. Questo se si vuole veramente che l’efficienza del sistema giudiziario contribuisca poi a quella promozione dello sviluppo economico del Paese tanto desiderato da tutti, favorendone la competitività e l’attitudine ad attrarre investimenti internazionali anche in virtù di procedure giurisdizionali capaci di garantire adeguatamente l’attuazione degli obblighi contrattuali. Si era molto parlato in questi ultimi tempi, a giustificare ed a legittimare in qualche modo la presentazione di disegni di legge sul cosiddetto processo breve, dello stanziamento di maggiori risorse ne- cessarie al miglioramento e al funzionamento del sistema giudiziario. In realtà, però, si è trattato ancora una volta di promesse: a fronte di tagli veri ci sono gli spiccioli che dovrebbero derivare dalle entrate relative allo scudo fiscale nella parte destinata alla giustizia. Nell’elenco di quel comma 240 dell’articolo 2 si finanzia infatti anche il Fondo unico giustizia, il fondo per le spese correnti per l’amministrazione della giustizia, fondo che fu istituito e finanziato nella prima legge finanziaria del Governo Prodi con 200 milioni di euro. Tuttavia, non è prevista in alcun modo la quota di finanziamento per la giustizia da decidere con futuro decreto del Presidente del Consiglio dei ministri ma ci si trova comunque di fronte ad una cifra del tutto irrilevante. Infatti sono in tutto solo quest’anno 181 milioni che vanno divisi tra una ventina di interventi nelle più varie materie. Lascia ancor più perplessi che addirittura i risparmi di spesa introdotti dal comma 211 dell’articolo 2, che riguarda la gratuità del rilascio di Legge n. 191 del 23 dicembre 2009 - Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2010) 133 Temi per la legalità informazioni sul traffico telefonico in materia di spese di giustizia e nuove modalità di pubblicazione delle sentenze di condanna, non andranno direttamente alla giustizia, ma confluiranno anche essi al Fondo per le esigenze urgenti e indifferibili che poi, previo decreto del Ministero dell’economia e delle finanze di concerto con il Ministero della giustizia, verranno destinati forse chissà quando e in quale percentuale. Inoltre l’aspetto grave politicamente è che non solo per quanto riguarda la giustizia i cittadini non hanno avuto nulla dal punto di vista delle riforme, ma da un anno e mezzo si va discutendo nelle Commissioni giustizia di Camera e Senato soltanto di provvedimenti ad personam e, addirittura, si va cercando un incremento e un ampliamento dei fondi aumentando l’entità del contributo unificato, vale a dire la tassa sui processi. Come per dire: caro cittadino, pagati quel poco di giustizia in più che in qualche modo cercheremo di fare, forse pagatela da solo. Chi abbiamo gravato? Abbiamo gravato quei cittadini che attiveranno alcuni processi esecutivi mobiliari che prima erano gratuiti, se di valore inferiore a 2.500 euro e il processo cautelare d’urgenza attivato in corso di causa. Abbiamo soprattutto gravato i giudizi di lavoro di fronte alla Corte di cassazione. Si introduce una tassa odiosa, una tassa che colpisce le fasce più esposte alla 134 crisi. Una norma che ricadrà pressoché esclusivamente sui lavoratori dipendenti, sui pensionati, sugli invalidi che dovranno sin d’ora in poi pagare per poter agire in giudizio per la tutela dei propri diritti. E pensare che la nostra Repubblica è fondata sul diritto al lavoro. Ma la realtà di queste promesse è che il Ministero della giustizia per il 2010 ha avuto un taglio di oltre 349 milioni di euro, con una diminuzione rispetto alle previsioni della legge di assestamento pari al 4,7 per cento. Riduzione tanto più significativa e suscettibile di determinare un forte decremento dello standard qualitativo dell’amministrazione della giustizia, se non addirittura la paralisi ove si consideri che a tale missione sono ricondotti quattro programmi cruciali per la funzionalità della giustizia e quindi anche della sicurezza della tutela dei cittadini, come quelli dell’amministrazione penitenziaria, giustizia civile e penale, giustizia minorile, edilizia giudiziaria, penitenziaria e minorile. Il più fortemente penalizzato è proprio il programma di giustizia penale e civile che subirà 430 milioni di tagli di euro in meno. Ma - sto per terminare signor Presidente - la cosa ancora più grottesca è che di fronte ai tanti proclami di lotta alla mafia si va a cercare di recuperare per fare cassa vendendo i beni confiscati alla mafia, andando contro quello che fu un percorso condiviso raggiunto nel 1996 che Legge finanziaria 2010 approvò all’unanimità proprio il divieto della vendita dei beni immobili confiscati. Infatti, l’aspetto più innovativo di quella legge, che fu condivisa e che adesso si sta tradendo, era che i beni acquisiti dalla mafia dovevano essere destinati, anche in modo emblematico e simbolico, all’utilità pubblica e agli enti locali. Cosa si fa, invece, con l’emendamento presentato dal relatore durante la notte? Si dà un contentino - e concludo, signor Presidente - nel senso di stabilire delle priorità per le Forze armate e per le forze di polizia. Si tratta di una cosa veramente grottesca. L’ente locale interessato all’acquisizione di un immobile non potrà acquisire quel bene, così oneroso nella sua destinazione, assegnato alla pubblica utilità, ma dovrà comprarlo, pagandolo lo stesso prezzo offerto dal privato che si sia aggiudicato il bene attraverso l’asta pubblica. La foglia di fico è trasparente: l’intento legislativo è solo di fare cassa con i beni confiscati, mediante la loro restituzione a pagamento alle orga- nizzazioni criminali cui erano stati sottratti con fatica. Questo è solo un contentino, un modo per mettere polvere sugli occhi a quelle forze di polizia che, insieme alla magistratura, tutti i giorni, lavorano e ottengono risultati di cui, poi, il Governo si va fregiando. Questa è una cosa che non possiamo assolutamente condividere. Sappiate, tra l’altro, che le Forze armate e le forze di polizia, mediante le cooperative, potranno esercitare l’opzione di acquisto solo in casi di vendita di intere lottizzazioni di immobili, oppure di intere palazzine, che, di solito, non sono oggetto di confisca, mentre non potranno esercitarla in casi di vendita di appartamenti singoli. Ma la percentuale di confisca alla mafia di lottizzazioni o intere palazzine è minima! È quindi è minima la possibilità di esercitare quei diritti di prelazione. Ciò a conferma delle aleatorietà della promessa. Questo è quanto il Governo sta facendo per la lotta alla criminalità organizzata (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico). 135 Temi per la legalità 136 Mille-proroghe Seduta n. 288 di martedì 23 febbraio 2010 Mille-proroghe Discussione sulle linee generali Signor Presidente, siamo qui a discutere del cosiddetto decreto-legge milleproroghe che, in quanto tale, comincia ad essere un termometro dello stato di salute del sistema pubblico. Si pongono, in realtà, da parte del Governo obiettivi non raggiungibili e, comunque, declamati come già raggiunti sulla base soltanto di provvedimenti che vengono approvati, ma che poi non vengono attuati completamente o riforme dell’amministrazione che poi non si è in grado di realizzare in tempi certi. A questo punto, si interviene con il milleproroghe, ossia con leggi di proroga che spostano in avanti l’attuazione di quei provvedimenti, alcuni dei quali erano appunto essenziali proprio per l’attuazione di quelle riforme per una nuova visione dell’amministrazione dello Stato. Con quale provvedimento? Con un provvedimento, appunto, che è sempre quello della decretazione d’urgenza che altera lo schema fisiologico del rapporto tra Governo e Parlamento e che, in realtà, rivela una sconfitta dello Stato perché interviene ad alterare quelle regole che lo Stato stesso si è dato in precedenti provvedimenti legislativi. Si tratta di un provvedimento con un contenuto eterogeneo, una sorta di minestrone di norme che, in realtà, incide in settori dell’ordinamento non omogenei. Si tratta di norme non collaudate, né razionalizzate e di cui, alcune volte, è difficile anche capire quale sia la spinta di fondo, se non magari il tener conto di interessi particolari che all’ultima ora emergono e che assumono poi l’efficacia di un’ulteriore norma del milleproroghe. Dunque, questo provvedimento corregge, integra, completa e contraddice altri provvedimenti legislativi. Esso proroga indefinitamente i termini la cui scadenza è stata più volte rinviata. Penso, per esempio, in questo momento alla proroga riguardante il divieto degli arbitrati, che di proroga in proroga, non è mai entrato in vigore. Adesso si dice che si sta aspettando l’attuazione di una direttiva che farà in modo che l’arbitrato, (è un atto del Governo in esame presso la Commissione giustizia), dovrà essere l’alternativa o, anzi, il canale privilegiato per il Legge n. 25 del 26 febbraio 2010 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 30 dicembre 2009, n. 194, recante proroga di termini previsti da disposizioni legislative 137 Temi per la legalità contenzioso riguardante gli appalti pubblici. A questo proposito - apro una parentesi - non si tiene conto di quello che ci dice anche l’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture che ha denunciato pubblicamente - anche tramite una relazione che è stata depositata in Commissione - che, in realtà, in tutte le decisioni o, meglio, nel 95 per cento delle decisioni riguardanti gli arbitrati cosiddetti liberi, la parte soccombente è la pubblica amministrazione.Tanto è vero che (dico questo per evidenziare le contraddizioni intrinseche e continue presenti nei provvedimenti) nell’ultimo provvedimento riguardante i rifiuti ed anche la Protezione civile - di questo si è anche fregiato come qualcosa di importante il sottosegretario Bertolaso - per quanto riguarda quel settore soltanto si sospendevano gli arbitrati in corso e addirittura si dichiaravano nulle le clausole compromissorie che fossero state inserite con riferimento al settore medesimo poi gestito in via straordinaria dal Dipartimento della protezione civile. È un controsenso. Nel caso citato, si è detto che l’arbitrato è costoso e come è stato affermato pubblicamente, per abbassare i costi che gravano sui cittadini si è pensato di bloccarlo. Infatti, chi paga le spese dell’arbitrato che sono a carico dell’amministrazione pubblica soccombente e che vedono sempre l’amministrazione come 138 soccombente? I cittadini, ecco perché è facile attraverso il gioco della reiterazione degli incarichi arrivare a soluzioni che in qualche modo incidono sulla spesa pubblica. Cominciamo a razionalizzare quelle spese, cominciamo a razionalizzare le spese per le consulenze, non variamo norme per operare, in via generale, una riduzione - ricordo un provvedimento legislativo in questo senso circa la riduzione delle consulenze che può conferire l’amministrazione - e poi invece, quando abbiamo i canali dell’urgenza (che non sono solo quelli delle calamità naturali, ma anche quelli delle opere dei grandi eventi), riapriamo la distribuzione a pioggia degli incentivi. C’è una contraddittorietà nei provvedimenti che vengono presentati: da un lato, vi sono proclami per procedere verso le riforme dello Stato, il contenimento dei costi, la meritocrazia, la razionalizzazione, la digitalizzazione e quindi tutto quello che conduce verso un’amministrazione moderna, ma, dall’altro, con provvedimenti quale quello in discussione, si prevedono norme che sostanzialmente spostano in avanti l’entrata in vigore di certe riforme o, comunque, ne precedono la proroga e l’attuazione per riforme che in realtà non verranno mai alla luce per come sono state conformate. In quel momento vengono contraddetti anche i proclami elettorali ed i successivi proclami Mille-proroghe sull’azione di governo laddove ci si vanta di avere realizzato, ad esempio, la digitalizzazione dell’amministrazione dello Stato in generale. In seguito, vedremo alcune norme che in questo provvedimento fanno slittare tale riforma nella sua effettiva realizzazione e norme che invece non verranno mai alla luce. I decreti-legge milleproroghe vanno razionalizzati ed utilizzati in realtà solo laddove necessari ed urgenti per prorogare quello che è necessario prorogare, non quello che, attraverso le proroghe all’interno di una decretazione d’urgenza, diventa in realtà la normalizzazione del legiferare e quindi anche dell’azione di governo. Ciò è tanto vero che poi vi sono rubriche che non hanno coerenza con il contenuto delle norme, vi sono addirittura introduzioni di sanatorie disciplinari per condotte già avvenute e quelle che si verificheranno in futuro (mi riferisco alla norma che riguarda l’utilizzazione da parte di studi odontoiatrici di collaboratori che non hanno la qualifica professionale). Questo si realizza attraverso un provvedimento che è così ampio e così eterogeneo che andrebbe analizzato ed approfondito nei suoi meandri, e che invece è arrivato in Aula per la discussione sostanzialmente tredici giorni prima della decadenza, nella stessa settimana in cui sono in discussione altri provvedimenti di grande spessore, impatto e rilevanza esterna, quale quello sulla Protezio- ne civile e i rifiuti che abbiamo discusso la scorsa settimana. Infatti, preliminarmente penso che non sia superfluo fare una disamina dei temi oggetto delle proroghe, proprio per confermare quella contraddittorietà dell’azione di governo, quella incoerenza continua che ritroviamo nei proclami - consentitemi questa parentesi - dei provvedimenti anticorruzione; mentre, appena vi saranno state le elezioni regionali, si andrà avanti al galoppo con la riforma sulle intercettazioni telefoniche che impedirà di fatto la lotta alla corruzione. Questa è la massima incoerenza che ci fa porre una domanda? Perché dopo le elezioni regionali? Se è una cosa in cui il Governo crede fermamente, se fa bene alla riservatezza delle indagini e dei cittadini, se fa bene all’efficacia dell’amministrazione della giustizia, perché farla dopo le regionali? Perché tutto deve accadere dopo le elezioni regionali? Forse perché davanti all’opinione pubblica può costituire un grave vulnus allo Stato democratico? È inutile parlare di strumenti che devono porre fine ad una piaga non solo morale e di etica pubblica - quella della corruzione dei pubblici funzionari, dei magistrati e degli uomini dello Stato - ma che è anche un costo. Voglio evidenziare il profilo economico, perché siamo in un momento di grave crisi economica, con tagli continui alle risorse per i servizi che servono 139 Temi per la legalità ai cittadini: la scuola, la sanità, la giustizia. Lo abbiamo visto con le cifre che sono state divulgate da chi ne ha la disponibilità, non dall’opposizione, ma dal presidente della Corte dei conti: tali cifre danno la dimensione di quanto la corruzione incida sui costi dello Stato e dei servizi pubblici. Infatti, poi gli imprenditori corrotti o comunque oggetto di concussione da parte dei pubblici amministratori faranno gravare quei soldi che hanno pagato sui costi delle opere pubbliche e in definitiva questi costi poi li pagheranno i cittadini. Questa incoerenza continua la vediamo anche in questi piccoli flash di questo mille proroghe in cui ci si infila di tutto. Un esempio di incoerenza lo troviamo nell’articolo 1, al comma 5, con la proroga al 31 dicembre 2010 del termine a decorrere del quale è consentito l’accesso ai servizi in rete delle pubbliche amministrazioni tramite le carte d’identità elettronica e la carta nazionale di servizi, restando precluso l’accesso ai predetti servizi. Che cosa si fa? Si sposta in avanti un servizio di accesso che può costituire anche un risparmio in termini di risorse, intanto al 2010, ma sicuramente questo termine sarà prorogato anche l’anno prossimo: così non entrerà mai in vigore questo servizio, perché in realtà non c’è la volontà di effettuare una vera riforma della pubblica amministrazione con un servizio imparziale, trasparente, improntato a sistemi di economicità, come previsto 140 dall’articolo 97 della Costituzione. Magari si dice: «abbiamo adottato, avrete...» anche con le pubblicità in televisione da parte della Presidenza del Consiglio o dei Ministeri competenti, ma, in realtà, si spostano i termini in avanti. Allo stesso modo, si posticipa dal 2010 al 2011 il termine per la piena operatività del sistema telematico di trasmissione delle comunicazioni dei sostituti di imposta a fini fiscali e contributivi, previa sperimentazione con modalità che devono essere definite di concerto tra Agenzia delle entrate e l’Istituto nazionale della previdenza sociale. Poi si estendono in avanti alcune piccole sanatorie fiscali che riguardavano il 2008 e che sono state prorogate anche al 2009. E poi, più avanti, per esempio, sono contenta che si proroghino al 31 gennaio 2012 i contratti di lavoro a tempo determinato dei dipendenti della Consob in servizio alla data di entrata in vigore del disegno di legge di conversione in esame. Quando c’è qualcosa che porta lavoro, immagino che dietro questi contratti di lavoro a tempo determinato vi siano tanti giovani che progettano loro vita, che non hanno futuro, e quindi sono contenta che vi sia questa proroga al 2012 (perlomeno, per altri due anni sono a posto). Ma mi chiedo: un Governo responsabile, che voglia essere tale, un Governo della Repubblica italiana, possibile che non abbia riguardo ri- Mille-proroghe spetto a quel contratto, a quell’amministrazione, a quell’Authority, a quel comparto e non sia in grado di verificare quali sono le amministrazioni che si avvalgono di contratti a tempo determinato, per quali di esse sia razionale la proroga, quali contratti a tempo determinato debbano essere trasformati in contratti a tempo indeterminato oppure, se non possano essere trasformati, quali concorsi si possano fare? Quand’è che si comincia a lavorare e a realizzare qualcosa che abbia una sua razionalità, senza procedere, invece, soltanto per segnalazioni? Infatti, dietro queste proroghe, e ne troverò altre, vi sono delle forze: forze contrattuali, politiche, di chi ha ottenuto una proroga. E chi non ha avuto questa forza contrattuale (parlo di forza contrattuale perché voglio dargli comunque una definizione che abbia un suo prestigio)? E chi non è riuscito ad inserire qui la sua posizione, e ho dei casi precisi e concreti di rilevanza pubblica, è perché non ha forza contrattuale. In realtà, ciò serve a pochi, a degli emarginati, a persone che non hanno questa forza, come ho detto prima. Il Governo deve dare rilievo e forza soltanto con riferimento ad interessi particolari o si comincia a parlare e pensare in termini generali, e si abbandona, finalmente, lo schema delle leggi ad personam? Infatti, vi sono le leggi ad personam, che servono al Presidente del Consiglio e a qualche suo amico, e poi vi sono le norme di proroga ad personam, che servono solo ad alcune categorie o ad alcuni precisi soggetti ben individuabili. È questo che non va, è questo che non possiamo accettare nell’ambito di un provvedimento così eterogeneo, dove un insieme di interessi vengono confusi, pensando che magari, nel complesso, non si evidenzino anche gli interessi particolari, non generali, che sono al di là di quelle norme. Per esempio, l’articolo 1, comma 23-duodecies, porta da tre a sei anni la durata in carica dei membri della Commissione di garanzia dell’attuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali. Per carità, pure questa è una norma che avrà la sua funzionalità, ma vogliamo vedere quanto durano in carica gli altri componenti delle altre authority? Vogliamo vedere qual è il periodo fisiologico che può essere più consono? Vogliamo fare qualcosa che abbia una sua razionalità? Oppure, in questo caso, si prolunga la durata in carica da tre a sei anni e siamo a posto, e magari chi è in carica è contento perché non è soggetto a scadenza tra tre anni. Ma una delle cose che mi lascia sconvolta, è che nella legge finanziaria, tra i provvedimenti di autofinanziamento che erano stati evidenziati, vi era proprio quello del pagamento dei contributi unificati che doveva gravare sui cittadini in relazione ai 141 Temi per la legalità giudizi di lavoro davanti alla Corte di Cassazione. Credo che chiunque abbia frequentato l’Aula si ricorderà la battaglia dell’opposizione per eliminare tale norma: abbiamo presentato specifici emendamenti sul punto, che svuotavano sostanzialmente di contenuto, e davano un significato diverso al giudizio in causa del lavoratore nei confronti del datore di lavoro. È una cosa storica, è dal 1973 che il giudizio di lavoro, proprio perché la parte che attiva tale giudizio è comunque una parte debole, doveva essere gratuito. In quel provvedimento si impose come forma di autofinanziamento interno (interno nel senso che grava poi sui cittadini che usufruiscono del servizio giustizia, e sui lavoratori in particolare che attivavano le cause di ricorso per Cassazione) quel contributo. Non fu accettato nessuno dei nostri emendamenti, e ora che cosa si fa? Si mantiene fino al 31 dicembre l’esenzione del pagamento, si proroga l’entrata in vigore. Quella è una norma sbagliata: anziché accedere all’emendamento dell’opposizione in un dibattito costruttivo tra maggioranza ed opposizione, che tenga conto delle esigenze che siano anche di coerenza del sistema, non si è accettato alcunché, e si è fatto vedere che ad un certo punto vi sarebbero stati anche quegli introiti ad alimentare il fondo giustizia; mentre oggi ovviamente non si ha il coraggio, ci si deve esporre, vi sono i sindacati, e quindi si pro142 roga. Questa è un’altra delle pecche particolari, che non hanno senso nel provvedimento in esame. Prima parlavo di quelle categorie di lavoratori, di dipendenti pubblici che non hanno avuto la forza contrattuale di ottenere la proroga dell’utilizzazione della graduatoria di vincitori del concorso, che non hanno ottenuto la proroga di contratti a tempo determinato, che non hanno ottenuto di essere menzionati. E chi sono? Sono il personale dell’amministrazione giudiziaria, e in particolare il personale civile dell’amministrazione penitenziaria. Essi, nonostante vi sia un concorso bandito nel 2003, finanziato per 397 posti di educatori penitenziari, con piante organiche scoperte, stanno ancora aspettando di essere assunti: ne è stata assunta solo una parte. Inoltre, vi è un taglio posto dall’articolo 2, comma 8-bis, che sostanzialmente prevede un ulteriore processo di razionalizzazione organizzativa delle amministrazioni pubbliche, esclude la Presidenza del Consiglio, e quindi obbliga le amministrazioni statali a compiere un’ulteriore riduzione (già vi è stata col decreto-legge n. 112 del 2008) in misura non inferiore al 10 per cento delle piante organiche. L’articolo 2, comma 8-quinquies, pone poi delle esclusioni. In esse si fa riferimento al personale amministrativo operante presso gli uffici giudiziari (un’esclusione tra l’altro introdotta solo con un emendamento Mille-proroghe del Senato); poi il Dipartimento della protezione civile (ma in quell’amministrazione il personale era stato addirittura aumentato nel precedente provvedimento); le Autorità di bacino di rilievo nazionale, il Corpo della polizia penitenziaria, i magistrati, l’Agenzia italiana del farmaco, le Forze armate, il Corpo nazionale vigili del fuoco, eccetera. Guardando le esclusioni, non si fa riferimento e non vi rientra innanzi tutto il personale amministrativo del Ministero della giustizia; che non è solo quello del Ministero, ma quello che fa riferimento all’assistenza dei minori (giustizia minorile, assistenti sociali), e a quanti si occupano del trattamento penitenziario, gli educatori presso le carceri. Pertanto, una pianta organica in cui è presente un educatore ogni mille detenuti - sulla base di questo articolo, qualora non venga emendato (ma noi abbiamo presentato una proposta emendativa sul punto) - dovrebbe essere ulteriormente ridotta; una volta che poi si sono ridotte le piante organiche si fa presto a dire che sono coperte, nel senso che si riduce sulla carta e poi si dice che si provvederà alla copertura. Il 12 gennaio del 2010 abbiamo assistito all’approvazione di alcune mozioni - che sono state sostanzialmente condivise dall’Assemblea - in base alle quali il Governo si è impegnato in questo senso in ordine a specifici punti, e non solo con riferimento all’edilizia carceraria (in quell’occa- sione si era anzi sostenuto di rivedere la ristrutturazione dell’esistente prima e di realizzare poi un piano organizzato e razionale, ma di questo già abbiamo discusso ed avremo modo di discuterne ancora in altre sedi). Nelle mozioni presentate dal Partito Democratico, dall’Italia dei Valori, dal Popolo della Libertà e dell’Unione di Centro era contenuto anche un impegno preciso con cui si chiedeva di adeguare le piante organiche non solo del Corpo della polizia penitenziaria, cosa che non è avvenuta se non attraverso soltanto proclami. Si parla infatti di 2 mila assunzioni quando in realtà già i pensionamenti sono superiori in termini fisici alle unità che si dovranno assumere, tuttavia aspettiamo che dai proclami e dalle parole si passi ai fatti: ma almeno, in quel caso il proclama c’è stato, in questo caso invece non c’è stato nemmeno il proclama. Quando voi parlate di carcere a misura d’uomo o quando ci si riempie la bocca di un trattamento di rieducazione mi domando: tramite chi vogliamo realizzare questo trattamento rieducativo in carcere? Vogliamo veramente dar voce, attraverso la polizia penitenziaria, a quell’ufficio di accoglienza? Sappiamo che un conto sono le mansioni della polizia penitenziaria - che sono, sicuramente, funzioni di sorveglianza, di osservazione ed anche di vicinanza al detenuto - diverso è 143 Temi per la legalità invece il ruolo degli educatori e degli psicologi in vista dell’attuazione dell’articolo 27 della Costituzione. Ma i vincitori del concorso del 2003 non vengono assunti e neppure si utilizza la graduatoria dei vincitori per coprire la pianta organica, né con riferimento agli educatori né con riferimento agli psicologi. Al contrario, questo provvedimento omnibus offriva un’occasione a tale riguardo, se solo vi fosse stata la volontà e l’attenzione nei confronti di queste categorie che non hanno forza contrattuale. Eppure vi era stato un impegno che tra l’altro è stato ribadito, in qualche modo, anche al Senato dal sottosegretario Caliendo nel corso dell’esame di una mozione analoga che il Senato ha discusso in materia carceraria; ma alle parole non seguono mai i fatti. Ad esempio, invece, in una disposizione del decreto-legge in conversione si trova la proroga fino al 31 dicembre del 2010 del concorso pubblico per esami del 2004 a 28 posti di direttore antincendio, posizione C2, in precedenza prorogato al 31 dicembre 2009. Così come ha ricevuto attenzione questa categoria di vincitori del concorso (ed è giusto), perché non ha avuto altrettanta attenzione la categoria dei vincitori di quel concorso? Non ci venite allora a raccontare che in realtà si vuole un carcere che sia un posto dove la gente sconta la pena certa, ma al tempo stesso prepara a ritornare nella vita civile un cittadino che possa in qualche modo esse144 re reintegrato, se poi abbiamo uno psicologo ogni mille persone ed un educatore ogni mille detenuti. Questa era un’occasione per prestare fede a quegli impegni, trattando gli educatori penitenziari, il personale della amministrazione giudiziaria e della giustizia, non da privilegiati, ma al pari di altre categorie nei confronti delle quali si è avuta attenzione. Credo che non si possa andare avanti in questo percorso, perché poi, necessariamente, questa ripetizione dei decreti d’urgenza che prevedono «un minestrone», sia quando vengono varati e sia per come progrediscono nelle discussioni in Aula, rappresenta un qualcosa che alla fine - voi lo sapete meglio di me - depotenzia il ruolo del Parlamento e incide sull’equilibrio del sistema. Sono «carrozzoni» questi provvedimenti che non hanno la possibilità di avere alcun approfondimento. Sono delle scorciatoie che hanno contenuti eterogenei, che creano un tessuto normativo fluido, instabile, in evidente contrasto con la qualità della legislazione, con la certezza del diritto e con la stabilità del sistema giuridico. Signor Presidente, onorevoli colleghi, mi auguro che questa sia l’ultima fattispecie di decreto-legge che va ad incidere su tanti diritti, e su tante posizioni, in maniera confusa, eterogenea, non adeguata al sistema che ci aspettiamo di poter realizzare (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico) Stato della Giustizia 2010 Seduta n. 420 di mercoledì 19 gennaio 2011 Stato della Giustizia 2010 Dichiarazione di voto Signor Presidente, signor Ministro, il nostro voto contrario, a differenza di quello che lei un po’ provocatoriamente ha detto poc’anzi, non prescinderà dalla sua relazione e terrà conto proprio della sua comunicazione al Parlamento. Comunicazione che ci ha fortemente deluso proprio perché attraverso una apparente e forzata quadratura dei numeri ha omesso di analizzare le cause vere del malessere della giustizia italiana, di indicare soluzioni chiare e competenti e i suoi risultati sono assolutamente inesistenti. La giustizia civile italiana soffre incontestabilmente di un’eccessiva dilatazione dei tempi, ma lei cosa fa? Si è limitato a cantare vittoria perché le pendenze civili sono aumentate un po’ meno dell’anno scorso e ha addirittura ritenuto di accreditare questo apparente risultato alla riforma del processo civile, da lei propagandata, e alla quasi completa, a suo dire, informatizzazione degli uffici giudiziari. È grave, signor Ministro, che lei dica in Parlamento - e quindi ai cittadini - cose non vere. Con la legge 18 giugno 2009, n. 69, lei in realtà ha introdotto solo un ulteriore rito processuale rispetto a quello di cognizione sommaria. Si è trattato di un intervento disorganico e asistematico, mentre continua a ritardare quella che potrebbe essere l’unica via da percorrere, ossia l’unificazione e la semplificazione dei riti per avvicinarci a quello che è il sistema europeo. A causa delle numerose criticità a cui il Governo è rimasto Comunicazioni del Ministro della giustizia sull´amministrazione della giustizia, ai sensi dell´articolo 86 del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, come modificato dall´articolo 2, comma 29, della legge 25 luglio 2005, n. 150 (Entro il ventesimo giorno dalla data di inizio di ciascun anno giudiziario, il Ministro della giustizia rende comunicazioni alle Camere sull’amministrazione della giustizia nel precedente anno nonché sugli interventi da adottare ai sensi dell’articolo 110 della Costituzione e sugli orientamenti e i programmi legislativi del Governo in materia di giustizia per l’anno in corso) 145 Temi per la legalità sordo, la media conciliazione, finalizzata ad avere effetti deflattivi tanto propagandati, sarà un boomerang e aumenteranno i tempi e i costi del contenzioso e le spese che il cittadino dovrà affrontare quotidianamente. La verità, signor Ministro, è che nella gran parte degli uffici giudiziari, nonostante i problemi progressivamente crescenti a causa della carenza del personale, dei trasferimenti, dei pensionamenti cui non segue la copertura del posto lasciato vacante e del blocco delle assunzioni, si riesce ad andare avanti non per merito delle sue riforme, che non ci sono state, ma per l’impegno costante, per la dedizione e lo spirito di servizio di tutti gli operatori della giustizia, con costi umani e sacrifici personali che non possono e non devono sopperire all’inerzia e all’inadeguatezza degli interventi governativi. Vogliamo parlare delle cosiddette innovazioni tecnologiche e informatiche? Lei, esattamente un anno fa, annunciava l’entrata in vigore del processo telematico in tutto il territorio nazionale, a completamento della digitalizzazione della giustizia. La sua è stata, in questa materia, una politica di mera propaganda e di annunci, in totale assenza di trasparenza. Oggi la situazione è preoccupante e il panorama nazionale è quello di una dotazione di strumenti obsoleti, di assenza di programmazione, di scelte di spesa non oculate, dell’utilizzo di programmi e di 146 sistemi che spesso non parlano tra di loro. Ci si chiede, proprio per la trasparenza dei conti, quale destinazione concreta hanno avuto i 90 milioni di euro di investimenti e i 12 milioni di euro l’anno a regime di spese correnti che erano oggetto del Protocollo d’intesa del 26 novembre 2008 tra il Ministro per l’innovazione e la pubblica amministrazione e il Ministro della giustizia. In realtà, il processo civile telematico per i decreti ingiuntivi si svolge in meno di venti tribunali, le notifiche telematiche sono effettuate in meno di dieci uffici, mentre il valore legale di memorie e provvedimenti del giudice avviene solo a Milano. Inoltre, ci ha sconcertato il fatto, Ministro, che lei ha omesso di affrontare la seria questione delle scoperture degli organici e della desertificazione degli uffici di procura. Si è limitato a dire che sta bandendo concorsi annuali perché deve recuperare il blocco dei concorsi dovuto, per tutta la durata del suo ufficio, al Ministro Castelli. Ma questa misura non è sufficiente, perché lei non ha parlato dei vari decreti-legge, a proposito dei trasferimenti d’ufficio, che sono stati assolutamente inadeguati a coprire quegli organici. Non si è limitato e ha omesso qualsiasi analisi finalizzata a un intervento ponderato che agisca a rimuovere quel divieto di assegnazione dei magistrati di prima nomina, ormai non più giudici ragazzini, che affrontano un concor- Stato della Giustizia 2010 so di secondo grado e un tirocinio di due anni. È strano, signor Ministro, perché lei questo lo ha promesso di fronte all’Associazione nazionale magistrati per ottenere, quel giorno, l’applauso dei magistrati. Tuttavia, nelle sue comunicazioni non lo ha più affermato né si è più impegnato, nonostante queste proposte siano state presentate in Commissione e sono in corso di discussione. Su questo punto, così come sugli altri, lei non ha individuato nessun programma come, ad esempio, la revisione della distribuzione degli uffici giudiziari e delle piante organiche degli uffici. Noi - ricordo già le precedenti dichiarazioni dell’onorevole Tenaglia, dell’onorevole Orlando nei due anni di legislatura passati - abbiamo già dato la nostra disponibilità sul punto. Si tratta di un argomento spinoso e non rinviabile, che deve essere assolutamente affrontato con gradualità e razionalità. Quindi, questo punto relativo alla revisione delle circoscrizioni e alla razionalizzazione delle risorse - mi rivolgo all’onorevole Contento - deve essere affrontato prima di parlare di riforme premiali da dare agli uffici giudiziari perché prima bisogna mettere in grado tutti gli uffici di poter funzionare dal nord al sud, altrimenti di quale premialità si può parlare? Lei, signor Ministro ha fatto una grave ulteriore mancanza e omissione - e ne è consapevole - per quanto riguarda il sistema carcerario: un anno fa ha deliberato lo stato di emergenza per l’anno 2010, ha conferito poteri straordinari al direttore del DAP. In questo 2010, rispetto al piano di attuazione del Piano carceri, finanziato per 600 milioni di euro, non è stato realizzato nessuno degli obiettivi. Già sappiamo - non c’è bisogno che glielo dica - quanti sono i detenuti presenti rispetto a quelli di cui il regolamento prevede la copertura. Per quanto riguarda gli interventi di edilizia penitenziaria abbiamo presentato varie interrogazioni per avere risposte specifiche, richieste di dettaglio, di linee portanti, programmatiche e di attuazione e non c’è stato mai risposto, né dal capo dell’amministrazione penitenziaria, né da lei, nella sua comunicazione e oggi veniamo a sapere da lei che, rispetto ai quarantasette padiglioni previsti nel Piano carceri un anno fa, forse adesso sono in corso di progettazione soltanto venti. Nulla ci dice rispetto alle carceri che non possono essere consegnate per la carenza di personale della polizia giudiziaria e del personale civile. Nessun riferimento all’adeguamento delle piante organiche del personale di polizia penitenziaria, alla figura degli educatori, degli assistenti sociali, degli psicologi, né alla necessità di ripensare la pena detentiva breve, soprattutto per reati non gravi o di media gravità, a favore di misure alternative erogate dallo stesso giudice per superare realmente il problema del sovraffollamento carcerario. Senza parlare poi 147 Temi per la legalità - ma già sono intervenuti su questo punto tutti i miei colleghi nella discussione sulle linee generali - degli altri problemi scottanti della magistratura onoraria, della riforma delle professioni che è ferma e che presenta vari punti critici e che comunque è una mancata promessa ancora non realizzata. Per i giudici onorari, il suo massimo sforzo si è esaurito prevedendo un’ulteriore proroga nel cosiddetto decreto milleproroghe, quindi ancora uno sforzo di rendere stabile la precarietà e anche di prevedere un ruolo inferiore in confronto alla magistratura ordinaria, in contrasto con i principi della nostra Costituzione. Andiamo a vedere, caro Ministro ho cercato di capirlo - il perché del fallimento della sua politica di Governo. È il frutto di disinteresse, di negligenza, di incapacità o ci sono altre cause concomitanti? Il dato storico e politico è che il suo attivismo propositivo in Parlamento in realtà si è modulato a seconda delle esigenze di ripresa o meno dei processi contro il Presidente del Consiglio. Voglio ricordare - perché ho fisse queste tappe nella mia mente - il provvedimento «blocca-processi», con l’emendamento inserito nel primo pacchetto sicurezza, del luglio 2008, poi ritirato per presentare subito dopo il lodo Alfano, dichiarato incostituzionale, e poi le altre misure legislative ad personam, che hanno distratto il lavoro del legislatore, impegnato inutilmente - mi avvio alla conclusione, signor 148 Presidente - per tante sedute. Ricordo il processo breve, la sospensione del legittimo impedimento, il lodo Alfano incostituzionale, la legge sulle intercettazioni telefoniche, la presentazione dell’atto Senato n. 1440 sulla riforma del processo penale. È troppo comodo scaricare la mancata realizzazione dei suoi impegni di governo sulle opposizioni o sulla magistratura politicizzata. Perché non è vero che noi non vogliamo fare le riforme, in particolare la riforma della giustizia. La risoluzione presentata oggi e la nostra vita in Parlamento parlano chiaro, segnano in maniera trasparente la nostra rotta, è la vostra che è confusa, contraddittoria, distante dai problemi veri dei cittadini e soprattutto dalla volontà di risolverli, perché siete troppo impegnati - lei e la sua maggioranza, signor Ministro, ne avete dato prova più volte - a difendere gli interessi processuali del Premier, ad articolare l’agenda di Governo in relazione appunto ad altre priorità che non sono quelle dei cittadini. Noi vogliamo una riforma della giustizia moderna, efficace, di qualità, che realizzi a pieno le garanzie costituzionali, i diritti fondamentali dei cittadini, rendendo effettivo il garantismo dell’innocente, delle vittime, non il garantismo dell’impunità come avete fatto e continuate a fare ad ogni costo, contro ogni logica e ragionevolezza (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico). Stato della Giustiziadel 2010 Il testo della risoluzione del Gruppo PD La risoluzione del PD sullo stato della giustizia 2010 La Camera, udite le comunicazioni del ministro della giustizia sull’amministrazione della giustizia, ai sensi dell’articolo 86 del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, come modificato dall’articolo 2, comma 29, della legge 25 luglio 2005, n. 150, premesso che: le suddette comunicazioni rappresentano un atto importante, un’assunzione di responsabilità in termini di definizione programmatica della futura politica in tema di amministrazione della giustizia, e che vanno esaminate attentamente da parte del Parlamento; la garanzia del diritto dei cittadini alla sicurezza presuppone necessariamente - oltre all’efficienza dell’azione delle Forze dell’ordine cui vanno assicurati i mezzi indispensabili per il loro operato - un sistema giudiziario efficace, per la cui realizzazione è necessario stanziare in via prioritaria risorse adeguate e idonee per garantire un concreto miglioramento della qualità dell’amministrazione della giustizia e l’effettività dei diritti; a) per quanto riguarda la giustizia civile: va affrontata quella vera e propria ipoteca sulla competitività economico-internazionale rappresentata dal cattivo funzionamento della giustizia civile, causa dell’inadeguata tutela del credito, della difficoltà ad investire nel nostro Paese, dell’incertezza dei rapporti tra privati, del protrarsi di conflitti familiari, talvolta drammatici; a fronte della crescente domanda di giustizia civile la risposta non può essere quella data dalla legge 18 giugno 2009, n. 69 che ha introdotto un ulteriore rito processuale - quello di cognizione sommaria - in aggiunta ai venti già esistenti e che, in quanto tale, non è stato in grado di incidere significativamente sull’efficacia del sistema. Né può essere una soluzione quella di affidare a una categoria di nuovo conio, i cosiddetti «ausiliari del giudice» (appartenenti a categorie professionali in pensione o onorarie), funzioni sostanzialmente decisorie, così come si è tentato di fare con un emendamento alla manovra finanziaria del luglio scorso, poi ritirato il 9 luglio 2010, solo a seguito delle pesanti critiche delle forze di opposizione e di tutti gli operatori della giustizia. Non risolvono i problemi anche gli interventi normativi improvvisati, privi di un adeguato grado di coordinamento, basati sulla logica dell’emergenza e tesi, in buona sostanza, a scardinare i caratteri costitutivi e sistematici della giurisdizione civile; 149 Temi per la legalità è necessario, invece, attraverso il confronto con i gruppi di opposizione, portare avanti un effettivo percorso di razionalizzazione e semplificazione dell’attività processuale civile, capace di far fronte tanto allo smaltimento dell’arretrato quanto ai nuovi flussi di contenzioso, rifuggendo però da logiche emergenziali e di rottamazione e affrontando una riforma di sistema capace di assicurare la ragionevole durata dei processi, con la garanzia però della speditezza, concentrazione e accuratezza nella trattazione di tutte le cause; il gruppo del Partito Democratico auspica che il Governo, in colpevole ritardo, come emerge anche dallo odierne comunicazioni del ministro, porti presto alla discussione delle Camere i decreti legislativi di attuazione della delega contenuta nella legge n. 69 del 2009 tenendo conto dei princìpi fondamentali di qualità ed efficienza del processo civile; d’altro canto, solo un processo forte e funzionante avrebbe potuto valorizzare e garantire risultati all’istituto della mediazione e conciliazione che entrerà a breve in vigore, in attuazione della delega esercitata dal Governo conferita dall’articolo 60 della legge n. 69 del 2009 e che presenta aspetti e contenuti in parte contrastanti con lo scopo steso della delega. Infatti, così come è stato configurato, l’istituto della media conciliazione tende a puntare su fi150 gure ed organismi che impongono soluzioni anziché aiutare le parti a pervenire ad una composizione del conflitto che aiuti a ricostituire la qualità del legame sociale; proprio a causa delle numerose criticità, che il gruppo del Partito Democratico aveva già evidenziato nel parere alternativo allo schema di decreto legislativo di cui sopra e a cui il Governo è rimasto sostanzialmente sordo, la mediazione finalizzata alla conciliazione non avrà quegli effetti deflattivi tanto propagandati dal ministro e creerà, anzi, un’ulteriore allungamento dei tempi o dei costi del contenzioso ordinario per il cittadino che chiede, invece, risposte effettive di giustizia; sarebbe ragionevole, pertanto, un invio della entrata in vigore del decreto legislativo sulla media conciliazione, richiesto, peraltro, da tutta l’Avvocatura in considerazione del mancato reperimento delle risorse organizzative, delle aule presso i tribunali e dell’esiguo numero dei conciliatori; b) per quanto riguarda le innovazioni tecnologiche e informatiche: lo stato della digitalizzazione della giustizia ad un anno dalle dichiarazioni rese dal ministro al Parlamento è, senza dubbio, negativo. Esattamente un anno fa, infatti, il ministro annunciava l’entrata in vigore del processo telematico, a completamento della digitalizzazione dalla giustizia, con La risoluzione del PD sulloStato statodella dellaGiustizia giustizia2010 2010 l’applicazione dell’informatica a tutti gli atti del processo, civile e penale. In particolare, annunciava come immediatamente applicabili - e dunque già applicate - le comunicazioni e le notificazioni telematiche tra gli uffici giudiziari e gli avvocati e, salvo che per le notifiche agli imputati, la possibilità di usare la posta elettronica certificata. Ad oggi, invece, la situazione è a dir poco preoccupante: il panorama nazionale è quello della dotazione di strumenti obsoleti, di assenza di programmazione di scelte di spesa oculate e a lungo termine dell’utilizzo di programmi e sistemi che spesso non colloquiano tra di loro, mentre è carente una politica di potenziamento, formazione e valorizzazione della professionalità del personale degli uffici giudiziari. L’anno si è quindi aperto con un’emergenza, proprio in quel settore che doveva essere l’avanguardia tecnologica per un miglioramento dell’efficienza del settore giustizia. In particolare, l’assenza di adeguate risorse finanziarie sull’esercizio 2011, frutto anche della politica del tagli lineari di questo Governo, ha causato il blocco dell’assistenza ai servizi informatici nei primi giorni del 2011. Tale blocco avrebbe potuto causare la paralisi degli uffici giudiziari e del sistema con conseguente chiusura dei tribunali e, dunque, innanzitutto, il blocco dell’attività processuale. Alla sospensione dell’assistenza informatica è stata data solo una soluzione temporanea attraverso una variazione di bilancio che ha spostato risorse per 5,1 milioni di euro da destinare al finanziamento, delle spese di gestione, funzionamento e sviluppo del sistema informativo di assistenza tecnica, stornate in misura pari ad 1.140.620 euro dal capitolo n. 1515, relativo ai consumi intermedi del Ministero della giustizia e i restanti 3.359,380 euro reperiti, invece, dal capitolo di bilancio n. 1451, avente più ampia portata rispetto al precedente capitolo in quanto comprensivo di voci distinte, tra cui i trasferimenti d’ufficio del personale, le spese per la formazione del personale, le spese per l’acquisto di cancelleria, oltre ai rimborsi a pubbliche amministrazioni per il personale comandato. Il Governo ha proceduto con una variazione di bilancio a danno di altri capitoli che avevano già subito dei tagli dalle precedenti manovre, trovando ancora una volta una soluzione provvisoria e improvvisata. È infatti noto che negli uffici giudiziari spesso le più elementari necessità di cancelleria vengono sopperite anche e soprattutto dalla buona volontà degli operatori e del personale giudiziario. Fino ad ora, il ministro della giustizia ha portato avanti solo una politica fatta di annunci e le comunicazioni odierne rivelano l’assenza di informazioni chiare e una scarsa consapevolezza della situazione esistente; la realtà è che il Governo non ha stanziato e non stanzia risorse sufficienti per portare avanti la digitalizzazione 151 Temi per la legalità ed il processo civile telematico in modo omogeneo su tutto il territorio nazionale, anzi proprio il processo telematico pare sfumare nei più modesti obiettivi, peraltro ancora ipotetici, della posta certificata e della mera digitalizzazione degli atti; la scarsità delle risorse rischia di rallentare l’informatizzazione dei procedimenti civili, penali, amministrativi e di prevenzione, necessaria per assicurare la qualità complessiva del «servizio giustizia», come è imposto, peraltro, dalle crescenti esigenze di cooperazione internazionale. Compatibilmente con le esigenze di finanza pubblica, il Governo avrebbe dovuto adottare iniziative normative e programmatiche volte a garantire adeguati finanziamenti al Ministero della giustizia nell’informatica giudiziaria, nella formazione e incentivazione economica e professionale del personale dell’amministrazione della giustizia; c) per quanto riguarda il Fondo unico giustizia: è da due anni che il Fondo unico giustizia viene continuamente richiamato in tutti gli interventi del ministro della Giustizia e del ministro dell’interno come la fonte e la riserva sostanziosa di impegno per risolvere i problemi delle risorse riguardanti sia le forze di polizia, sia l’organizzazione giudiziaria. Si è parlato, negli annunci stampa, di cifre che vanno da uno a due milioni 152 di euro. In realtà, nella recente risposta data dal sottosegretario alla Presidenza del Consiglio sen. Carlo Giovanardi all’interpellanza urgente n. 2-00878 a prima firma dell’onorevole Ferranti, si legge « (...) le risorse del Fondo unico giustizia, provenienti dai sequestri, prese in considerazione per l’utilizzo ai sensi del comma 7 dell’articolo 2 del decretolegge n. 143 del 2008, sono quelle ammontanti, a fine 2009, a 631,4 milioni di euro, così come affermato dal Ministero dell’economia e delle finanze. Il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 29 aprile 2010 aveva stabilito le percentuali di riparto delle risorse nella misura del 50 per cento al Ministero dell’interno e del 50 per cento al Ministero della giustizia. Il predetto decreto è stato restituito alla Corte dei conti con osservazioni e, in data 28 settembre 2010, il Ministero dell’economia e delle finanze ha inviato alla Corte dei conti i necessari chiarimenti. Da notizie riferite il 1o dicembre, ieri, dal ministro dell’economia si rileva che è pervenuto al suddetto dicastero il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri in questione a seguito delle osservazioni della Corte dei conti, in cui si stabiliscono le percentuali delle quote delle risorse intestate al Fondo unico giustizia al 31 dicembre 2010. Tali percentuali, rispetto a quelle previste nel decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 29 aprile, sono state modi- La risoluzione del PD sulloStato statodella dellaGiustizia giustizia2010 2010 ficate nei seguenti termini per accogliere le osservazioni della Corte dei conti del 28 settembre 2010: il 49 per cento al Ministero dell’interno per la tutela della sicurezza pubblica e del soccorso pubblico, il 49 per cento al Ministero della giustizia per assicurare il funzionamento degli uffici giudiziari ed altri servizi istituzionali, nonché per assicurare la copertura degli oneri connessi all’applicazione del decreto legislativo n. 28 del 4 marzo 2010 sulla mediazione civile; in particolare l’articolo 17 del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, attuativo della legge 18 giugno 2009, n. 69, in materia di risorse, regime tributario e indennità, ha previsto un onere, a valere sulla quota spettante al Ministero della giustizia, del riparto del Fondo unico giustizia di 5,9 milioni di euro per l’anno 2010 e 7,018 milioni di euro per l’anno 2011, conseguenti alle esenzioni dall’imposta di bollo e di registro dei verbali di conciliazione. Per ciò che attiene, invece, alla copertura delle agevolazioni fiscali previste, consistenti nel riconoscimento di un credito di imposta regolato dall’articolo 20 del citato decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, è stato misurato un onere massimo di 62,4 milioni di euro. Le somme valutate sono da ritenersi indicative e prudenzialmente stimate in eccesso in quanto, ai sensi del comma 2 dell’articolo 20 del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, l’ammontare delle risorse del Fondo unico giustizia di spettanza del Ministero della giustizia, da destinare alle agevolazioni fiscali, verrà stabilito a decorrere dall’anno 2011 con decreto del ministro della giustizia da emanarsi entro il 30 aprile di ciascun anno (...) »; di fatto, ad oggi, non risulta assegnato al Ministero della giustizia alcunché nonostante il ministro Alfano, già nelle Comunicazioni alle Camere del gennaio 2010, sostenesse come fossero confluiti nel FUG oltre 1.59 miliardi di euro, nell’ambito del quale evidenziava come disponibili per la riassegnazione pro quota al Ministero della giustizia 631,4 milioni di euro; d) per quanto riguarda il sistema carcerario: l’attuale condizione delle carceri italiane contraddice radicalmente l’intento del recupero del reo delineato nella Carta fondamentale. Le condizioni di sovraffollamento sono oramai un dato notorio e con esso la politica, la società civile, la magistratura, ma - soprattutto - i detenuti si trovano a convivere ogni giorno in modo drammatico. Tra i molti sintomi di disagio, non si può non segnalare che il tasso di suicidi riscontrabile in carcere è di gran lunga superiore a quello registrato tra tutta la popolazione residente in Italia; nelle comunicazioni sull’amministrazione della giustizia del gennaio 2010, il ministro della giustizia 153 Temi per la legalità aveva affermato di aver chiesto la deliberazione, da parte del Consiglio dei ministri, dello stato di emergenza per tutto l’anno 2010, al fine di «provvedere ad interventi strutturali di medio e lungo periodo, che consentano di rispettare il precetto dell’articolo 7 della Costituzione, secondo il quale le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato». Tale stato di emergenza è stato ulteriormente prorogato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri dell’11 gennaio 2011 (comunicato n. 121 della Presidenza del Consiglio). Dal suddetto stato di emergenza derivano, secondo quanto dichiarato dal ministro lo scorso gennaio 2010 tre «pilastri» fondamentali: il primo riguarda gli interventi di edilizia penitenziaria per la costruzione di 47 nuovi padiglioni e successivamente di otto nuovi istituti, che aumenterebbero di 21.709 unità i posti, arrivando ad un totale di 80 mila, per la cui realizzazione sono stati stanziati 500 milioni di euro nella Legge finanziaria 2010 e 100 milioni del bilancio della Giustizia; il secondo riguarda gli interventi normativi che introdurrebbero misure deflattive, introducendo la possibilità della detenzione domiciliare per chi deve scontare un anno di pena residua e la messa alla prova delle persone imputabili per reati fino a tre anni; il terzo, infine, prevede l’assunzione 154 di 2000 nuovi agenti di Polizia penitenziaria; per quanto riguarda gli interventi di edilizia penitenziaria, allo stato attuale, nonostante le ripetute richieste formalizzate in Commissione Giustizia, né il ministro della giustizia, né il Capo dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, hanno mai fornito risposte specifiche alla richiesta di illustrazione dei dettagli delle linee portanti, programmatiche e di attuazione del Piano di interventi; dell’assunzione dei 2000 agenti di polizia carceraria non vi è traccia; dal punto di vista normativo, vi è stata solo l’approvazione della Legge 26 novembre 2010, n. 199 «Disposizioni relative all’esecuzione presso il domicilio delle pene detentive non superiori ad un anno», che ha potuto concludere il suo iter parlamentare grazie al forte senso di responsabilità e al concreto contributo del gruppo del Partito Democratico in Commissione giustizia ma che, comunque, si pone come intervento emergenziale, addirittura temporaneo, e sicuramente non risolutore dell’angosciante problema del sovraffollamento carcerario e della certezza della pena; diversi e sicuramente più incisivi sono gli obiettivi programmatici che si pone il gruppo del Partito Democratico. In particolare, occorre: un intervento complessivo sistematico volto ad ampliare la tipologia delle La risoluzione del PD sulloStato statodella dellaGiustizia giustizia2010 2010 misure alternative alla pena detentiva, specificatamente supportate da progetti professionalmente strutturati volti al reinserimento sociale, con una particolare attenzione alle sorti delle vittime dei reati; è necessario: adeguare le piante organiche riferite al personale di polizia penitenziaria e alle figure degli educatori, degli assistenti sociali e degli psicologi, avviando un nuovo piano di assunzioni (almeno 1000 unità per queste ultime figure professionali), che garantisca le risorse umane e professionali necessarie all’attivazione delle nuove strutture penitenziarie; ripensare il modello unico di istituto penitenziario attuale, posto che i detenuti per i quali si esige un elevato regime di sicurezza non raggiungono le 10 mila unità mentre per gli altri detenuti, anche quelli di media sicurezza, la permanenza in cella come situazione normale di vita quotidiana ha come unico risultato l’abbrutimento della persona umana. La fruizione di spazi comuni, magari con il supporto di braccialetti elettronici effettivamente funzionanti, l’inserimento in un’organizzazione modulare che preveda interventi mirati, condurrebbero finalmente a superare la dimensione del carcere come luogo insalubre, patogeno, dove l’ozio e la promiscuità prevalgono sui trattamenti di concreto recupero e rieducativi; un intervento complessivo volto a organizzare e prevedere una diversa strategia di ingresso per gli autori di reati di medio-bassa gravità; rivedere le preclusioni imposte dalla Legge cosiddetta «ex Cirielli» e dai recenti «Pacchetti sicurezza»; prevedere l’accesso alla detenzione domiciliare negli ultimi due anni di pena per i recidivi reiterati, ripristinando la competenza a valutare la effettiva pericolosità sociale dei condannati in capo alla magistratura di sorveglianza, le cui piante organiche dovranno, ovviamente, essere rafforzate dal punto di vista numerico al fine di consentire, anche attraverso la messa a punto di nuovi strumenti normativi, di svolgere a pieno il proprio ruolo e di gestire attraverso adeguati percorsi di conoscenza il flusso di ingressi in carcere; e) per quanto riguarda le misure organizzative essenziali: l’introduzione del giudice unico di primo grado, prevedendo la fusione di tribunali e preture, ha comportato un modesto ma comunque primo recupero di efficienza, giacché i tribunali sotto-dimensionati sono divenuti circa il 72 per cento del totale. Attualmente, le principali funzioni giudiziarie sono svolte da sette tipologie di uffici giudiziari e cioè da 848 uffici del giudice di pace, da 165 tribunali e relative procure, da 220 sezioni distaccate di tribunale, da 29 tribunali per i minorenni, da 29 corti d’appello (di cui 3 sezioni distaccate) e relative procure generali, dalla Corte di Cassazione e relativa 155 Temi per la legalità Procura Generale e dal Tribunale superiore delle acque pubbliche. Attraverso degli studi si è accertato che quando le dimensioni degli uffici giudiziari divengono troppe elevate (impiegando un numero di magistrati superiore a 80), si riscontra una perdita di efficienza legata al sovradimensionamento. Tale perdita, tuttavia, appare di gran lunga inferiore a quella che si registra nel caso inverso di eccessivo sottodimensionamento (la prima riforma decisiva per recuperare efficienza e razionalità al sistema giustizia è la riorganizzazione della geografia giudiziaria intesa non come occasione di risparmio in termini economici e di un più razionale impiego delle risorse umane, professionali e finanziarie disponibili, ma anche quale occasione per una valorizzazione degli uffici giudiziari di dimensioni ottimali sotto il profilo delle effettive possibilità di scambio e di confronto continuo, abbreviazione dei tempi, maggiore tempestività nella risposte ai cittadini). Attraverso una nuova e più funzionale distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari saranno incisivi anche tutti quegli interventi inerenti l’organizzazione e il supporto all’attività giudiziaria, affinché nelle aule di giustizia i processi si possano svolgere in modo ordinato, con l’assistenza dovuta, in forme dignitose per tutti i protagonisti, con sistemi di documentazione degli atti che non siano ripetutamente messi 156 in forse dai tagli alle risorse economiche. Il Consiglio Superiore della Magistratura ha approvato nella seduta straordinaria dell’11 gennaio 2010 una risoluzione proposta dalla sesta Commissione concernente la revisione delle circoscrizioni giudiziarie che sottopone al ministro della giustizia le seguenti conclusioni, «il Consiglio Superiore della Magistratura, nell’ottica di una leale collaborazione istituzionale, ritiene doveroso segnalare al ministro della giustizia l’assoluta ed imprescindibile necessità di attivare una proposta legislativa diretta a rivedere le circoscrizioni giudiziarie. La riorganizzazione delle circoscrizioni giudiziarie costituisce, infatti, a parare del CSM, lo strumento indefettibile per realizzare un sistema moderno ed efficiente di amministrazione della giurisdizione, che sia in grado di fornire la dovuta risposta di merito alle istanze di giustizia, nel rispetto di tempi ragionevoli di durata del processo, nella consapevolezza che il ritardo nel giungere alla decisione si risolve in un diniego di giustizia»; è, quindi, assolutamente urgente che il Governo: assuma un’iniziativa normativa volta a prevedere una riorganizzazione delle circoscrizioni giudiziarie al fine di predisporre una disciplina che consenta di garantire le esigenze di efficienza, qualità ed eguale trattamento dei diritti dei cittadini nelle diverse aree geografiche del Paese e una redistribuzio- La risoluzione del PD sulloStato statodella dellaGiustizia giustizia2010 2010 ne razionale del carico del lavoro e delle risorse umane ed economiche; realizzi il conseguente adeguamento della pianta organica del personale giudiziario, prevedendo procedure urgenti di copertura dei posti vacanti, di attuazione al cosiddetto ufficio del processo, condiviso da tutte le categorie di operatori della giustizia (avvocati, magistrati, personale della giustizia), che rappresenta una misura organizzativa essenziale per garantire lo svolgimento efficiente, efficace e qualitativamente adeguato, delle attività correlate e di supporto all’esercizio della giurisdizione; contribuisca all’approvazione della modifica legislativa in corso di discussione in Commissione giustizia, A.C. 2984 «Modifica all’articolo 13 del decreto legislativo 5 aprile 2006, n. 160, in materia di attribuzione delle funzioni ai magistrati ordinari al termine del tirocinio», in quota opposizione, tesa a eliminare il divieto per i magistrati ordinari di prima nomina ad essere destinati alle funzioni di PM e giudice monocratico, e quindi a risolvere il problema della copertura delle sedi disagiate presso gli uffici di procura; f) per quanto riguarda la magistratura onoraria: il ministro della giustizia, nelle comunicazioni del gennaio 2010, aveva annunciato un disegno di legge di riforma della magistratura onoraria che, ad oggi, non è mai stato presentato; si profila, anzi, la ormai consueta prorogatio del mandato dei giudici di pace, la terza succedutasi dall’esordio del magistrato di prossimità e, così come avvenuto in precedenza (decreto-legge n. 115 del 2005), la dilazione dell’incarico sarà operata con decretazione di urgenza; la situazione appare ancor più paradossale con riferimento alle figure del m.o.t. (g.o.t. e v.p.o.) il cui mandato (solo originariamente triennale) ha «costretto» il legislatore a reiterate proroghe, quasi tutte adottate con decreti di fine d’anno; la riorganizzazione del sistema della giustizia onoraria deve necessariamente passare attraverso l’attribuzione di compiti e ruoli ben definiti alla magistratura onoraria, anche in considerazione della circostanza che l’incremento della domanda di giustizia si accompagna ad una progressiva differenziazione delle esigenze alle quali deve essere preordinata la risposta giudiziaria. Si tratta, quindi, di identificare compiutamente un numero congruo di controversie che possono essere adeguatamente soddisfatte attraverso procedure semplificate, nelle quali l’apprezzamento delle circostanze di fatto deve essere preminente rispetto ai problemi tecnico-giuridici ed il giudice deve svolgere un ruolo prevalentemente di mediazione e conciliazione. La scelta, sul piano costituzionale, rinviene una solida base nell’articolo 106, secondo comma, della Costi157 Temi per la legalità tuzione, il quale stabilendo che «la legge sull’ordinamento giudiziario può ammettere la nomina, anche elettiva, di magistrati onorari per tutte le funzioni attribuite a giudici singoli», esprime una chiara e precisa opzione della Costituzione in favore del ricorso alla figura del giudice onorario, che va rettamente intesa ed adeguatamente realizzata. La sua realizzazione determinerebbe inoltre la possibilità di eliminare le figure di giudici onorari presso gli uffici del giudice professionale (diverse, ovviamente, da quelle riconducibili all’articolo 102, secondo comma, della Costituzione), che hanno giustamente sollevato reiterate proteste da parte del ceto forense e non contribuiscono all’immagine dell’imparzialità. La magistratura onoraria non deve essere appiattita su quella professionale; non va considerata un minus rispetto a quest’ultima, occorrendo invece valorizzarne la specificità per modellare una peculiare figura del giudice onorario, delle procedure che egli è chiamato ad applicare, della tipologia delle decisioni che è chiamato a rendere, che occorre siano improntate dal criterio della semplificazione e da una particolare attenzione alle differenti esigenze presenti nelle diverse parti del territorio nazionale; occorre rimodulare le figure di giudici onorati attuali; ridisegnare la competenza del giudici di pace nella materia civile; modificare i requisiti 158 di nomina del giudice di pace, conformandoli rispetto alle esigenze poste dalla sua definizione quale, essenzialmente, giudice di equità; «staccare» più nettamente la figura dei giudici di pace rispetto alla magistratura professionale, provvedendo alla definizione della sua figura in termini di autonomia e specificità rispetto a quella del giudice professionale che consenta di superare l’attuale precarietà; g) per quanto riguarda la corruzione e il principio di legalità: di fronte alla rilevanza e alla diffusione del fenomeno corruttivo, più volte denunciato dal procuratore generale della Corte dei conti come una delle cause del dissesto economico del Paese ed evidenziato, nel rapporto sull’Italia, dal gruppo contro la corruzione del Consiglio d’Europa (Greco) pubblicato nell’ottobre 2009, come «fenomeno corrente e generalizzato che tocca numerosi settori di attività in particolare l’edilizia, l’immobiliare il trattamento dei rifiuti, gli appalti pubblici ed il settore della sanità», il Governo non ha assunto alcuna iniziativa concreta, a parte quella contenuta nella Legge delega per il Codice antimafia sulla tracciabilità dei finanziamenti pubblici, per la cui approvazione il gruppo PD si è fortemente battuto. Il Parlamento è stato infatti occupato, per gran parte dei primi tre anni di legislatura, ad approvare leggi ad personam: il La risoluzione del PD sulloStato statodella dellaGiustizia giustizia2010 2010 primo «lodo Alfano», la legge sul legittimo impedimento, il processo breve, le intercettazioni telefoniche, il «lodo Alfano» costituzionale. L’unico provvedimento che è riuscito ad approvare in questa materia è stato la ratifica delle Convenzione civile sulla corruzione fatta a Strasburgo il 4 novembre 1999, mentre ancora sono in corso di esame nelle Commissioni II e III del Senato, le proposte di ratifica della Convenzione penale sulla corruzione; h) per quanto riguarda le professioni: occorre valorizzare le nuove professioni e regolare in forma innovativa, adeguata ai sistemi europei, quelle ordinistiche, garantendo una competizione leale tra professionisti ed una tutela a favore dei consumatori e dei cittadini della qualità delle prestazioni professionali; è necessario garantire ai professionisti sistemi previdenziali ed assistenziali adeguati; va consentito ai giovani un accesso alla professione basato sul merito e alle donne va garantita la piena parità nell’esercizio dell’attività professionale; occorre consentire ai professionisti di accedere ai benefici ed alle misure di sostegno previsti per le attività economiche commerciali, industriali e del terziario; è necessario offrire misure concrete di sostegno all’innovazione, alla ricerca ed alla crescita dell’occupazione anche in questo settore; bisogna incoraggiare l’approvazione di un moderno assetto della professione forense, basato sull’accesso fondato sul merito, sulla formazione permanente, sulle specializzazioni e su regole deontologiche rigorosamente garantita da un sistema disciplinare imparziale; sempre a proposito di quella forense occorre favorire l’autodeterminazione della categoria e la sua partecipazione attiva all’amministrazione della giustizia come soggetto di rilevanza costituzionale; infine è importante sostenere e promuovere la crescita delle associazioni professionali; non le approva. (6-00058) «Franceschini, Ventura, Maran, Villecco Calipari, Ferranti, Andrea Orlando, Amici, Boccia, Lenzi, Quartiani, Giachetti, Rosato, Capano, Cavallaro, Ciriello, Concia, Cuperlo, Melis, Picierno, Rossomando, Samperi, Tenaglia, Tidei, Touadi». 159 Temi per la legalità 160 Stato della Giustizia 2010 Mafia 161 Temi per la legalità 162 Agenzia antimafia Seduta n. 295 di lunedì 8 marzo 2010 Agenzia antimafia Discussione sulle linee generali Signor Presidente, onorevoli colleghi, questo decreto-legge del 4 febbraio 2010 è intervenuto su una materia delicatissima, ovvero l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati; esso ha, senza dubbio, un ruolo determinante per realizzare il fine ultimo della normativa sulle misure patrimoniali antimafia, perché mira a sottrarre definitivamente i beni di provenienza illecita al circuito economico di origine per inserirli in un altro, esente da condizionamenti criminali. Ecco, forse - e ne abbiamo avuto contezza qui anche dalla sicuramente apprezzabile relazione dei relatori - questo provvedimento, come tanti altri, non doveva essere adottato con un decreto-legge. Ciò infatti ha fatto sì che noi oggi stiamo discutendo su un testo il quale verosimilmente non sarà quello su cui in realtà si dovrà poi votare in Assemblea. Perché? Perché questi provvedimenti, che non nascono come funghi, ma nascono da elaborazioni portate avanti per anni da associazioni, da propo- ste di legge della sinistra e del Partito Democratico, che le ha depositate sia alla Camera che al Senato, hanno bisogno di maturazione, di approfondimenti, di limature, per evitare che si crei una struttura, una scatola vuota, che magari serve solo a poter dire: abbiamo costituito l’Agenzia dei beni confiscati, senza preoccuparsi se funzionerà o no. Stiamo parlando cioè di qualcosa che è già operativo, in forza dell’efficacia del decreto-legge, ma che in realtà non lo è perché questa struttura, così com’è, non è in grado di funzionare e, soprattutto, di risolvere quei problemi a cui hanno fatto riferimento i relatori e a cui ho sentito fare riferimento pure dai rappresentanti della maggioranza, da ultimo anche l’esponente della Lega. Siamo qui in un momento istituzionale delicatissimo per dare anche questa volta - come abbiamo già fatto nelle Commissioni e come faremo presso il Comitato dei diciotto e in Assemblea - il nostro apporto costruttivo nel merito, tenendo però Legge n. 50 del 31 marzo 2010 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 4 febbraio 2010, n. 4, recante istituzione dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata 163 Temi per la legalità presente che questi provvedimenti devono avere un contesto adeguato e non possono servire soltanto per mettere una medaglietta sulla giacca: devono cioè riuscire a funzionare e tanto ne siamo convinti che i nostri emendamenti, la nostra attività nelle Commissioni e la richiesta puntuale e determinata di audizioni hanno fatto sì che vi sia da parte della maggioranza e dei relatori (il Governo sul punto non lo abbiamo ancora sentito pronunciarsi), la volontà di tener conto di alcuni suggerimenti che proprio quel confronto nelle Commissioni ha portato. Dobbiamo infatti fare in modo di sapere dove si colloca questo provvedimento, in quale contesto. Nel campo dei provvedimenti che qualificano la lotta alla mafia sicuramente è stata fondamentale la legge n. 109 del 1996 che fu introdotta come normativa unica nel suo genere nel panorama internazionale, finalizzata alla restituzione alla collettività di patrimoni delle organizzazioni criminali attraverso il loro riutilizzo sociale, produttivo e pubblico. Si è trattato di una scelta di fondamentale importanza, non solo sul piano dell’azione di contrasto del sistema di potere e degli strumenti di condizionamento propri delle organizzazioni criminali, ma anche dello sviluppo dell’economia di vaste zone del territorio nazionale. Tuttavia, nella fase applicativa quella legge non è apparsa sufficiente a 164 risolvere le molteplici problematiche sottese alla gestione, alla destinazione, all’utilizzo dei beni confiscati alla mafia. Tra i fattori di crisi ricordo: l’estrema lunghezza dei tempi intercorrenti tra la confisca definitiva e il provvedimento di destinazione, il degrado dei patrimoni, la perdita di competitività e il rischio di fallimento di imprese sottoposte a sequestro, il diseguale livello di professionalità degli amministratori giudiziari; da più parti si è quindi segnalata da tempo la necessità di una «cabina di regia nazionale» che orientasse l’azione delle istituzioni verso un utilizzo effettivo dei beni. La verifica delle criticità è importante per appurare poi se questo decreto-legge, nel testo che oggi è all’esame dell’Assemblea, sia idoneo a risolverle. Le criticità maggiori sono state rappresentate sicuramente dal coinvolgimento di vari soggetti pubblici (Agenzia del demanio, prefetture, amministrazioni statali, enti pubblici e territoriali, soggetti privati, amministrazione giudiziaria) e da una serie di questioni non definite legislativamente quali, ad esempio, la sorte delle ipoteche iscritte sui beni immobili in epoca precedente al sequestro o le mancate risorse finanziarie necessarie per finanziare alcuni progetti. Tutto ciò a fronte di un impegno enorme delle forze di polizia e della magistratura che risulta dai dati: di 8.933 beni immobili confiscati solo Agenzia antimafia 5.400 sono stati destinati e 4.738 effettivamente consegnati (l’86 per cento è stato destinato agli enti locali per finalità sociali, il restante 14 per cento allo Stato per fini istituzionali), per non parlare poi delle aziende di cui solo l’11 per cento è stato destinato alla vendita e all’affitto, mentre il restante 89 per cento è andato in liquidazione. Sono stati destinati comunque a 480 comuni un numero di 3.796 beni immobili, di cui il 47 per cento utilizzati. Sono dati importanti perché testimoniano l’impegno, pur nella farraginosità delle procedure, pur nella difficoltà di acquisire effettivamente la prova che quei beni sono lo strumento o comunque il provento o comunque sono destinati nell’ambito della criminalità organizzata. Senza niente togliere al Ministro Maroni e a chi ha voluto dire che soltanto il Ministro Maroni è riuscito in questa impresa, non ci dobbiamo dimenticare che la proposta di istituire l’Agenzia è stata avanzata dall’associazione «Libera nomi e numeri contro le mafie» dal 2006. La proposta è stata oggetto di dibattito e di specifiche proposte di legge del Partito Democratico alla Camera e al Senato. L’istituzione di tale Agenzia risulta, inoltre, dai lavori della Commissione parlamentare approvati all’unanimità il 27 novembre 2007 e nella relazione del 2009 del commissario straordinario per i beni confiscati, Antonio Maruccia. Tutte le proposte deline- ano l’Agenzia quale soggetto che si occupa della gestione durante tutto l’iter della vicenda del bene, ma che nella fase del sequestro giudiziario si pone al servizio dell’autorità giudiziaria per l’amministrazione e la proficua gestione, mentre nella fase della confisca definitiva gestisce il bene sino all’adozione del provvedimento di destinazione. Dunque ho identificato adesso i punti critici che non hanno permesso la destinazione totale di tutti quei beni confiscati, di tutti gli immobili e delle aziende frutto del grande impegno e sacrificio di tutto un gruppo di azione che è dato dalle forze dell’ordine e dalla magistratura. Bisogna fare in modo, però, che dall’esperienza applicativa si giunga a un provvedimento che sia veramente funzionale alla lotta alla criminalità organizzata e non sia soltanto una medaglia. Vorremmo che i provvedimenti che escono da questo Parlamento servano a fare un passo avanti e non a dire di aver combattuto la lotta alla criminalità organizzata e magari poi di fatto ci troviamo di fronte a strumenti ancora più farraginosi di prima. Guardiamo, quindi, all’esperienza positiva applicativa, cioè ai casi in cui il giudice della prevenzione ha potuto giovarsi di quel patrimonio di informazioni e conoscitivo che scaturisce da quel rapporto fiduciario e continuativo con l’amministratore giudiziario. In molti casi lo scambio costante di informazioni, l’efficace 165 Temi per la legalità interazione tra l’organo giurisdizionale e l’amministratore, che invece con questo decreto-legge viene spezzato, hanno rappresentato una vera e propria carta vincente non solo per sottrarre realmente il patrimonio alla disponibilità del soggetto preposto o delle persone a lui legate, ma per estendere le misure di prevenzione ad ulteriori beni prima ignoti. Infatti per comprendere effettivamente le dinamiche economiche relazionali presenti nelle imprese in sequestro, per evidenziare i collegamenti operativi in ambienti mafiosi, per costruire una solida piattaforma probatoria che regga anche in relazione alla decisione sulla confisca, non possiamo addivenire ad un progetto, quale quello delineato in questo decreto-legge forse troppo. Non bisogna dimenticare quali erano gli effetti positivi dell’instaurazione di un dialogo diretto, continuo, anche informale in queste zone particolari. Ma che cosa ci aspettiamo da una relazione dell’amministratore giudiziario che secondo questo testo dovrebbe passare tramite l’Agenzia e poi essere trasmessa trimestralmente al giudice? Che cosa ci aspettiamo soprattutto nelle prime fasi così delicate affinché quel procedimento di prevenzione o quel sequestro penale vada a buon fine? Siamo riusciti, anche grazie alla sensibilità dei relatori, a far permeare questi elementi e questo patrimonio conoscitivo attraverso audizioni svol166 tesi con velocità, con una presa di coscienza da parte di tutti noi di quanto fosse importante far in modo che fosse emanato un provvedimento funzionale allo scopo e non soltanto uno slogan: abbiamo dato vita all’Agenzia per i beni confiscati alla mafia. Quindi, come si legge nella relazione, tra le finalità del decreto-legge in oggetto vi è il tentativo di accorpare in un unico organo tutte le fasi, si pecca, tra virgolette, di superbia, perché non si tiene conto delle esperienze positive che si sono verificate. Solo con il confronto parlamentare con l’apertura che, in questo senso, mi auguro vi sarà da parte di tutta la maggioranza e con l’impegno costante e continuo, comunque, e ad ogni costo, dell’opposizione - forse potrà uscire da questo Parlamento un provvedimento che costituisce l’Agenzia per i beni confiscati alla mafia, che non sia soltanto un modo per fregiarsi di un titolo di merito. Sicuramente è positiva la parte del provvedimento in cui si prevede il trasferimento all’Agenzia delle competenze del prefetto in materia di destinazione dei beni confiscati, nonché la regolazione dei rapporti tra l’Agenzia del demanio per l’amministrazione e la custodia dei beni. Infatti, si cerca di accorciare le distanze e di evitare la burocratizzazione delle procedure, che hanno portato ad un rallentamento dell’ultima fase, che arriva fino alla programmazione della destinazione del bene. Agenzia antimafia Vediamo come viene composta l’Agenzia. Si tratta di un ente pubblico, posto sotto la vigilanza del Ministero dell’interno, che avrà la propria sede a Reggio Calabria. Anche con riferimento a questo aspetto, non abbiamo presentato proposte emendative specifiche, tuttavia teniamo presente che nel decreto-legge in oggetto è prevista anche la possibilità di istituire delle sedi secondarie, perché, in ogni caso, il raccordo dovrà essere su tutto il territorio. L’ente si avvale di alcuni organi: il consiglio direttivo e il collegio dei revisori. Riteniamo che nel consiglio direttivo possano esservi anche altre rappresentanze, proprio perché l’Agenzia ha scopi che riguardano sia l’autorità giudiziaria e, quindi, la fase prettamente giudiziaria, sia la fase susseguente e, quindi, il rapporto specifico che vi è anche con gli enti territoriali. Sicuramente sarà importante che l’Agenzia in discussione raccolga tutti gli elementi informativi sullo stato dei procedimenti di prevenzione penale e i dati di interesse relativi ai beni confiscati e sequestrati, insieme all’analisi finalizzata alla progressiva programmazione dell’assegnazione e della destinazione dei beni in vista della confisca. Con riguardo, ad esempio, alla modalità di svolgimento dei compiti affidati al nuovo organismo, l’articolo 3, comma 2, del decreto-legge in discussione stabilisce che «l’Agenzia provvede all’amministrazione dei beni sequestrati e confiscati e addotta i provvedimenti di destinazione dei beni confiscati per le prioritarie finalità istituzionali e sociali, secondo le modalità indicate dalla legge 31 maggio 1965 n. 575». Tanti e molteplici sono i compiti dell’Agenzia, che potrà avvalersi di soggetti esterni, e potrà e dovrà avere rapporti con l’autorità amministrativa. Ciò, da un lato, lascia un po’ perplessi, dall’altro lato, ci costringe a verificare soluzioni che non facciano divenire questa Agenzia soltanto un punto di riferimento di raccolta delle informazioni, e conferimenti di incarichi, essendo un ente «a struttura leggera». In realtà, per il collegamento con l’amministrazione dei beni sequestrati e confiscati, essa si avvale, e dovrà avvalersi, delle prefetture territorialmente competenti; si avvarrà anche dell’Agenzia del demanio per l’amministrazione e la custodia dei beni. Ma qual è il punto debole, il punto di mera apparenza di questa costruzione: l’Agenzia - che alla fine, consta soltanto di trenta persone perché è stata congegnata come un ente a struttura leggera - in realtà potrà anzi dovrà farsi coadiuvare, per le amministrazioni dei beni confiscati, da tecnici o altre persone retribuite. Dunque, che facciamo? L’enorme mole dei compiti affidati all’Agenzia potrà essere espletata soltanto con il ricorso ad altra autorità amministrativa o tecnici esterni. 167 Temi per la legalità Se dovessimo rimanere fermi all’attuale formulazione del testo, che cosa avremmo? Avremmo il sequestro, l’intervento dell’autorità giudiziaria e la subitanea immissione in possesso da parte dell’Agenzia, la quale, però, non sarebbe in grado di gestire direttamente e, quindi, non vi sarebbe quel risparmio di tempo e di denaro che viene palesato come la finalità, come l’uovo di Colombo del provvedimento legislativo. In realtà, vi è un ulteriore passaggio: vi è un’Agenzia che deve nominare l’amministratore giudiziario. Si dice che bisogna creare un unico centro decisionale, che bisogna sollevare la magistratura da una serie di incombenze essenzialmente amministrative, che bisogna fare in modo che si esca da un’emergenza gestionale dei beni sequestrati e che, tra l’altro, si vogliono effettuare risparmi in termini di costi e di tempo: in realtà, questa struttura, così come è stata congegnata, non è in grado di funzionare e di risolvere quei problemi, di cui ho parlato nella prima parte del mio intervento, che hanno consentito la completa efficacia, di quell’intuizione geniale e grandiosa - introdotta con la legge n. 109 del 1996 - consistente nell’aggressione della criminalità organizzata nel suo punto più vivo, ossia la parte economica dei patrimoni. Pertanto, il nuovo intervento legislativo così com’è, è destinato a non funzionare, se non addiverrà a 168 quelle correzioni - da noi proposte negli emendamenti e che verificheremo nel Comitato dei diciotto - finalizzate ripristinare quel rapporto diretto, imprescindibile e necessario dell’amministratore con l’autorità giudiziaria, e con l’Agenzia: questi tre organi, infatti, devono cooperare, ognuno nei propri ruoli, per poter fruire al meglio ognuno delle rispettive competenze e del proprio patrimonio di conoscenza. Solo così questo testo potrà funzionare: e ciò sarà possibile solo grazie all’apporto dell’opposizione, oltre che all’intelligenza dei relatori e, speriamo, del Governo. Infatti, la scelta di realizzare questo provvedimento mediante un decreto-legge, se non vi fosse stata la nostra tenacia, la nostra volontà di non far comunque uscire dal Parlamento (anche se non siamo noi al Governo) un testo che non funziona, avrebbe portato ad istituire un’altra scatola vuota. Questo era il rischio principale: speriamo di riuscire ad evitarlo veramente. Su questa linea, si orienta ed è condizionato anche il nostro voto, la condivisione da parte nostra del provvedimento, che ovviamente sosteniamo nella sua idea di fondo, l’Agenzia, trattandosi di un istituto per cui ci siamo battuti da tempo. Non sono stati il Ministro Maroni o il Ministero dell’interno a coniarlo, ma hanno tenuto conto di una serie di elaborazioni e hanno fatto bene, ma nella fretta di mettersi una me- Agenzia antimafia daglia al petto hanno costruito qualcosa che è rischiosissimo. Si pensi al fatto che un amministratore giudiziario rimarrebbe solo di fronte ad alcuni rapporti e alcune pressioni che può subire durante il suo intervento - soprattutto nella prima fase, quando il provvedimento non è definitivo o comunque non si trova già in una fase avanzata - con una serie di rapporti scritti e cartacei che non risolvono le problematiche, soprattutto di quel tipo e in quei contesti. L’altro punto importante è quello che riguarda la procedura di vendita degli immobili e dei beni confiscati oggetto di un ulteriore recente intervento legislativo. Ho sentito le indicazioni che vengono dal relatore, l’onorevole Contento, e mi sembra che, sostanzialmente, il testo delle sue proposte tenga conto delle nostre indicazioni, sebbene saremo in grado di capirlo meglio solo quando potremo leggere le modifiche. A tale riguardo, devo avanzare anche un’altra nota critica. La norma ora in vigore, l’articolo 2-decies della legge 31 maggio 1965, n. 575, afferma che la destinazione dei beni immobili e dei beni aziendali è effettuata con provvedimento del direttore dell’Agenzia, previa delibera del consiglio direttivo, entro il termine di novanta giorni dalla comunicazione del provvedimento definitivo, prorogabile di ulteriori novanta giorni in caso di relazioni particolarmente complesse. Ove non sia possibile effettuare la destinazione al trasferimento entro i termini previsti, fermo restando il parere del prefetto e della provincia interessati, si può andare alla vendita. Se il divieto di vendita era l’elemento qualificante della disciplina del 1996, quello più innovativo che, oltre ad una efficacia diretta nell’acquisizione del patrimonio, aveva anche un significato dimostrativo rispetto alla società civile, certamente questa norma, che abbiamo già criticato perché contrastante con lo spirito della lotta alla criminalità organizzata, in questo testo non ha più ragione di essere così com’è. Se andiamo a «coniare» un’agenzia che attraverso la contrazione dei tempi entra immediatamente nel possesso dei beni sequestrati, come possiamo pensare e giustificare che per lungaggini burocratiche, cioè per effetto del passaggio di centottanta giorni possa poi addivenire alla vendita? Si tratta di un’altra delle superficialità di chi, nella fretta di propinare con un decreto-legge un testo che andava adeguatamente approfondito, ha fatto in modo che non ci fosse questo raccordo. Al contrario, questo raccordo dobbiamo volerlo con tutte le nostre forze; dobbiamo volere un organismo, l’Agenzia, che, in quanto tale, in quanto collabora con il giudice sin dall’inizio affiancandolo e in quanto già inizia a predisporre e a proporre programmi di utilizzo del bene, non avrà alcuna necessità di far decorrere centottan169 Temi per la legalità ta giorni per giustificare la vendita all’asta dei beni confiscati. Pertanto, quello che è anche stato evidenziato in sede di audizioni, ma su cui ci siamo battuti da mesi, è di prevedere la vendita solo in casi oggettivamente eccezionali, laddove in maniera documentata l’Agenzia - e questa volta effettivamente, individuando un soggetto responsabile - possa documentare che si sia dinanzi a un bene che non può essere utilizzato in termini di destinazione sociale e pubblica. In questi casi si deve poi intervenire in modo tale che vi sia anche il parere vincolante del prefetto. Su questo punto mi rivolgo all’onorevole Contento, auspicando che il parere del prefetto sia vincolante e che non si stabilisca solo di sentire il prefetto obbligatoriamente. Insomma, si deve fare in modo che il parere del prefetto sia vincolante sulla decisione finale. Il prefetto, come oggi ho sentito con piacere dalle parole dell’onorevole Contento, deve avere come riferimento non solo la ricerca di tutti i legami che possono essere ostativi alla vendita di quel bene o, comunque, alla sua assegnazione a chi si manifesta come acquirente, ma deve anche svolgere, dato che ne ha i poteri, delle indagini in ordine all’impiego dei capitali per l’acquisto. Proprio chi ha operato per anni nell’ambito dei procedimenti di 170 prevenzione ha sottolineato in sede di audizioni quanto sia importante che questi beni non siano venduti all’asta, perché l’asta, con il ribasso, può provocare il reinserimento di quei beni tramite soggetti nella disponibilità della criminalità organizzata. Se ciò accadesse diverrebbe poi tutto difficilissimo e sarebbe una sconfitta enorme nei confronti del contesto sociale, economico e politico e, quindi, sarebbe una vittoria della mafia. Mi sembra di aver capito dalla relazione dei relatori che il Governo sembra ben disposto ad accogliere le nostre proposte e emendative e che si intende riferirsi a una vendita a prezzo di mercato o, comunque, a delle modalità di vendita che possano garantire concretamente che non vi sia il reimpiego di denaro sporco. Non dobbiamo avallare alcun modo subdolo, che agevoli la criminalità a rientrare in possesso di quel patrimonio confiscato che è il frutto che tanto lavoro, tante energie, tanto denaro pubblico e tante aspettative. Infatti, ogni procedimento di sequestro e di confisca vi sono delle persone che hanno investito la loro vita, anche mettendola a rischio nella lotta alla criminalità. Credo, quindi, che tutti i nostri sforzi debbano cercare di fare in modo che questo provvedimento sia un passo ulteriore, definitivo, concreto e funzionale per arrivare a un risultato che Agenzia antimafia possa garantire che effettivamente tutto il Parlamento, senza distinzioni, voglia veramente realizzare uno strumento efficace all’apprensione dei beni e che possa contribuire alla sconfitta definitiva della criminalità organizzata. Questo può essere uno dei modi. Ve ne sono altri, che conosciamo tutti, ma sicuramente questo, ossia quello dei patrimoni e dei beni confiscati alla mafia, è sicuramente uno degli strumenti più importanti e più incisivi (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico). 171 Temi per la legalità 172 Competenza sui reati di grave allarme sociale Seduta n. 302 di martedì 30 marzo 2010 Competenza sui reati di grave allarme sociale Discussione sulle linee generali Signor Presidente, onorevoli colleghi, rappresentante del Governo, il decreto-legge del 12 febbraio 2010, n 10, emanato dal Governo, ha cercato di porre rimedio alle conseguenze che si erano determinate in tema di competenza dei procedimenti per reati di associazione mafiosa a seguito delle modifiche apportate all’articolo 416-bis dalla legge n. 251 del 2005, dalla cosiddetta legge ex Cirielli. Quest’ultima infatti, innalzando le pene previste all’articolo 416-bis, in particolare quelle riservate ai promotori, ai capi e agli organizzatori dell’associazione armata, ha fissato il limite massimo edittale della pena a 24 anni di reclusione: limiti coincidenti con quelli fissati dall’articolo 5, comma 1, lettera a) del codice di procedura penale, prima della modifica del decreto-legge, per identificare il criterio quantitativo di appartenenza alla competenza della Corte di assise. Per quattro anni, gli effetti indiretti della modifica legislativa sono rimasti sopiti, fino a che la questio- ne non è stata portata di fronte alla Corte di Cassazione da un conflitto di competenza sollevato dalla Corte di assise di Catania, a seguito della trasmissione degli atti da parte del tribunale di Catania, dichiaratosi incompetente. La Corte, nella sentenza del gennaio 2010 che ha segnalato anche il relatore, la n. 4964, ha affermato che, qualora la consumazione del reato di cui sopra si fosse protratta oltre l’entrata in vigore della legge Cirielli, trattandosi di reato permanente associativo, doveva essere giudicato dal giudice di competenza superiore, cioè la Corte di assise; venendo così attratto anche il delitto di partecipazione, necessariamente connesso a quello commesso di rango primario. La puntualizzazione di tale principio interpretativo da parte della Corte ha fatto emergere gli effetti devastanti a catena che potevano derivare con riferimento a procedimenti relativi ad associazione di tipo mafioso pendenti in dibattimento dinanzi al tribunale per reati la cui consumazio- Legge n. 52 del 6 aprile 2010 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 12 febbraio 2010, n. 10, recante disposizioni urgenti in ordine alla competenza per procedimenti penali a carico di autori di reati di grave allarme sociale 173 Temi per la legalità ne si era protratta dopo il dicembre 2005, con il rischio di dover interrompere la loro celebrazione per la dedotta incompetenza del giudice, peraltro rilevabile d’ufficio; con il rischio, anche per i processi pendenti in secondo grado di legittimità, di regressione processuale, tale da incidere anche sui termini custodiali ed il conseguente azzeramento di gravi processi per mafia. Ma il decreto-legge, di cui stiamo discutendo in sede di conversione, non si è limitato, ricorrendone i presupposti di necessità ed urgenza, ad ovviare sul piano normativo alle conseguenze negative processuali che nei confronti della lotta alla criminalità organizzata si sarebbero realizzate, ma ha approfittato per introdurre in maniera assolutamente disorganica un’altra parte del disegno di legge n. 1440 che era in corso di esame al Senato: l’articolo 1, riguardante l’ampliamento della competenza della Corte di assise a tutti i reati la cui cognizione nella fase di indagine appartiene alla procura distrettuale. Ancora una volta, con il solito metodo di procedere ad interventi settoriali, non ragionati, non valutati e a costo zero, senza tener conto che un aumento della competenza per materia della Corte di assise significa aumentare il numero delle sezioni, e in assenza di correttivi degli organici non può che determinare un’ulteriore dilatazione dei tempi processuali, per di più con 174 riferimento a delitti di particolare gravità, e in palese violazione del tanto richiamato principio della durata ragionevole dei processi. Inoltre, la natura specialistica dell’indagine preliminare delle risorse investigative, insieme alla complessa valutazione del materiale probatorio sottoposto al giudicante, e alla complessità tecnico-giuridica delle questioni processuali, privilegia la giurisdizione del giudice togato, ed è estranea al giudice popolare, indicato per la valutazione di fatto, per i giudizi di qualità del reato, del reo, sulla quantificazione della pena; con il rischio, per i giudici popolari, di essere di fatto emarginati dal circuito decisionale, affidato completamente ai due giudici professionali che compongono la Corte. Infine, le giurie popolari sono maggiormente esposte nelle regioni a più alta densità di criminalità organizzata, che non sono necessariamente quelle del sud, a condizionamenti e ad intimidazioni, ed uguale rischio deriva dalla proliferazione di procedimenti a carico di cellule terroristiche internazionali, i cui dati ufficiali pongono l’Italia al primo posto tra i Paesi occidentali per il numero dei processi celebrati contro il terrorismo al-qaedista, e ciò rafforza i profili di incolumità e sicurezza delle Corti, che sarebbe bene non trascurare. Così come non è da trascurare che l’incremento delle pendenze dinanzi alla Corte di assise porterà ad uno Competenza sui reati di grave allarme sociale sforzo anche economico, oltre che organizzativo, non previsto e non considerato dal Ministero della giustizia, anche perché l’articolo 65 del decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002 ha determinato un aumento delle indennità spettanti ai giudici popolari. È il solito modo di concepire le riforme sulla giustizia come interventi estemporanei, provocatori, che dimostrano in realtà il disinteresse per la giustizia, quasi il gusto di provocarne il definitivo affossamento. In ogni Paese in cui vi sono giurie e corti con giudici popolari vi è una ben precisa distinzione di ruoli: la giuria giudica il fatto circa la responsabilità o meno dell’imputato, il giudice decide il quantum della pena, risolve le questioni tecniche, fornisce il resoconto tecnico della decisione (e le sentenze di quei giudici sono immediatamente esecutive e non soggette all’appello dinanzi alle altre giurie popolari); in Italia la Corte di assise è un ibrido e, per sua natura, residuale, se si pensa - come ha sottolineato anche in Senato il senatore D’Ambrosio - che vi è ancora l’anacronistica distinzione tra il titolo di studio richiesto al giudice popolare di primo e a quello di secondo grado. Tutte queste critiche sono state affrontate in maniera approfondita al Senato dal gruppo del Partito Democratico e dalle altre forze di opposizione e il testo licenziato dal Senato è stato sicuramente migliorato, ma non ha superato tutte le preoccupazioni di disarmonia con il sistema. In particolare, l’articolo 1, comma 1, che ha modificato l’articolo 5 del codice di procedura penale, interviene in tema di competenza per la materia della Corte di assise ed incide conseguentemente sulla competenza residuale del tribunale. Il testo del comma 1 trasmesso dal Senato prevede la sostituzione integrale della lettera a) e l’inserimento di una lettera d-bis), esclude dalla competenza della Corte di assise i delitti comunque aggravati di associazione di tipo mafioso anche straniero ed inscrive poi tra le competenze della Corte di assise il sequestro di persona a scopo di estorsione. In più, con la lettera d-bis) affidate a tale Corte altre competenze inizialmente non previste, ossia i reati di recente istituzione di cui agli articoli 600, 601, 602 del codice penale, vale a dire quelli che attengono alla riduzione in schiavitù e alla tratta di esseri umani, perché - si afferma essi costituiscono reati spregevoli che suscitano forte allarme sociale ed ineriscono alla libertà della persona e all’autodeterminazione della stessa; in più, sono state affidate l’associazione a delinquere diretta a commettere taluno dei delitti di cui sopra (ovvero di cui agli articoli 600, 601 e 602 del codice penale, e di cui all’articolo 12 comma, 3-bis, del testo unico dell’immigrazione riguar175 Temi per la legalità dante appunto ipotesi aggravate di favoreggiamento della prostituzione) nonché i delitti con finalità di terrorismo, sempre che per tali delitti sia stabilita la pena della reclusione non inferiore nel massimo a dieci anni. Ma andiamo a verificare che cosa cambia in realtà perché, mentre adesso per il profilo della pena (quei 24 anni di cui abbiamo parlato all’inizio) già rientrano nella competenza della Corte di assise gli articoli 600, comma 3 (riduzione in schiavitù aggravata), 601, comma 2 (tratta di persone) e 602, comma 2 (acquisto e alienazione di schiavi), in base a questa novella vi sarà la traslazione di una serie di procedimenti che, da una tabella che è stata allegata ad una relazione presentata dalla procura nazionale antimafia al Senato, prevedrà solo per quegli articoli una serie di ulteriori evenienze non considerate anche a livello organizzativo, come ho detto prima, di circa 400 procedimenti iscritti e di iscrizioni pendenti per oltre 2 mila procedimenti. Così come a nostro avviso, ciò è stato anche segnalato nella discussione al Senato, è una misura irragionevole e meramente ad effetto propagandistico la trasmissione alla competenza della Corte di assise dell’associazione a delinquere semplice connessa all’immigrazione clandestina, laddove il provvedimento nasce e si qualifica per escludere la cognizione proprio del giudice popolare della 176 Corte di assise per l’associazione mafiosa comunque aggravata ed anche straniera. Senza contare gli effetti che possono derivare da quella vis attractiva verso il giudice popolare, prevista dall’articolo 15 del codice penale, dei delitti meno gravi: proprio l’associazione finalizzata all’immigrazione clandestina, rispetto ai delitti più gravi quali l’associazione mafiosa, potrà determinare quindi che la competenza trasmigri a quella Corte di assise cui si è voluto ovviare nelle finalità apparentemente dichiarate di questo provvedimento. È ovvio che alla fine limando l’articolo 1, lettera b), con l’aggiunta della lettera d-bis, che inizialmente prevedeva la traslazione ai giudici popolari della Corte d’assise di tutti i provvedimenti di competenza della procura distrettuale, è rimasto come «contentino» che si è voluto dare proprio per una questione propagandistica e non da un punto di vista organizzativo e ponderato. Prima di fare delle riforme bisogna avere la visione di quello che si va a realizzare sul sistema per non sfasciarlo e per non produrre ulteriori effetti devastanti. Si è detto anche al Senato da parte di tutti gli esponenti dell’opposizione che, se si doveva rivedere la competenza della Corte di assise (questo decreto doveva mirare ad eliminare soltanto gli effetti negativi Competenza sui reati di grave allarme sociale conseguenti all’inasprimento della pena derivato dalla legge Cirielli, che aveva prodotto quegli effetti in corso d’opera), questa doveva essere rivista all’interno di un sistema complessivo organico che tenesse conto di tutti quegli aspetti che ho segnalato all’inizio del mio intervento, laddove si fa riferimento alla peculiarità della nostra Corte di assise che è un giudice ibrido, in cui i giudici popolari sono allo stesso livello di quelli togati e dove, peraltro, per questioni tecniche e giuridiche, il giudice togato avrà una preponderanza (saranno solo due i giudici togati). Inoltre, la Corte d’assise sarà maggiormente esposta a tutti quei fattori di intimidazione che possono proprio derivare da una valutazione dei reati associativi. Si esclude dalla competenza della Corte di assise il reato di associazione mafiosa, anche straniera, e invece si reintroduce, soltanto per dare una visibilità popolare e propagandistica, l’associazione finalizzata all’immigrazione clandestina. Questa modifica apportata dal Senato è rimasta incongruente anche per il fatto che potremmo avere dei reati meno gravi che attraggono, poiché sono di competenza del giudice superiore in Corte d’assise, anche quei reati che sono stati invece individuati e che costituiscono la finalità primaria di questo provvedimento presso il tribunale. Avremmo, quindi, l’annullamento degli effetti di questo provvedimento. Per questo motivo abbiamo presentato i nostri emendamenti (sono soltanto tre) che vanno nella direzione conforme a quella che era la ratio di questo decreto-legge. Cominciamo a varare i decreti-legge riferendoci ai presupposti della decretazione: la necessità e l’urgenza di intervenire in una materia. Lasciamo alle Commissioni referenti, e alle Aule parlamentari, di provvedere alle riforme e, quindi, anche alle modifiche di competenza legislativa, con la cognizione, con il tempo, e con gli approfondimenti necessari a realizzare riforme che abbiano un impatto sul sistema. Voglio capire chi gestirà questi 400 procedimenti (pendenti alla data dell’audizione del viceprocuratore antimafia nel 2000), già iscritti in base agli articoli 600, 601, 602 del codice penale, considerato che le Corti di assise hanno un numero limitato di istituzioni. Corti di assise che, inoltre, come è stato sottolineato - credo che sia una cosa importante - richiedono come titolo di studio per l’accesso al primo grado la terza media inferiore (superiore soltanto per la Corte d’appello). Tutto ciò è anacronistico e, comunque, non può reggere l’impatto di valutazioni di particolare rilevanza. Vi sono poi altre disposizioni che ci sembrano transitorie e che forse non sono state particolarmente meditate dal Governo. 177 Temi per la legalità Infatti l’articolo 1, comma 2, prevede l’applicabilità di nuovi criteri di ripartizione di competenza tra tribunale e Corte d’assise anche a procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del decreto-legge, ma non proprio alla data di entrata in vigore del decreto o con riferimento alla legge di conversione (come normalmente è previsto anche nelle disposizioni generali), bensì limitatamente ai casi in cui al 30 giugno 2010 (dopo ben oltre quattro mesi dall’entrata in vigore non solo del decreto ma anche della legge di conversione) non sia stata esercitata l’azione penale da parte del pubblico ministero. È una norma che contrasta con il principio del giudice naturale precostituito e che non è motivata. Noi abbiamo anche cercato di valutare se nella relazione, nelle premesse da parte del Governo, vi fosse una motivazione di carattere generale che potesse in qualche modo giustificare tale individuazione dell’entrata in vigore, che crea un differimento e rimette l’individuazione del giudice naturale a qualcosa che avviene dopo l’entrata in vigore del provvedimento, mentre sappiamo tutti che il principio del giudice precostituito significa che l’organo giudicante deve essere individuato in base alle regole di competenza prima che il reato venga commesso. Si tratta di un principio - che peraltro la stessa maggioranza ha più volte contestato e messo in discussione 178 - che rimette alla discrezionalità del pubblico ministero, mediante la scelta del tempo di esercizio dell’azione penale, l’individuazione del giudice competente entro una data, priva di qualsiasi giustificazione logica, successiva all’entrata in vigore della legge di conversione. A proposito di tale questione abbiamo presentato un emendamento, uno dei tre da noi proposti. Noi condividiamo la ratio originaria del provvedimento in esame, ma - come hanno sottolineato anche i colleghi del Senato, durante i lavori in Commissione, in Aula e fino alle dichiarazioni finali - rimangono dei punti critici, che non sono stati superati e che potevano benissimo esserlo. L’articolo 2, che deroga alla regola generale per i procedimenti in corso e che rappresenta l’individuazione primaria dell’esistenza di questo decreto, eccepisce la regola generale prima citata (la data di entrata in vigore del decreto-legge) relativamente ai delitti comunque aggravati di cui all’articolo 416-bis del codice penale, prevedendo la competenza del tribunale anche nelle ipotesi in cui è stata esercitata l’azione penale, salvo che prima della suddetta data sia stato dichiarato aperto il dibattimento di fronte alla Corte d’assise. Mi permetto di rappresentare che sicuramente - come giustifica la relazione illustrativa - tale disposizione è stata bene inserita in relazione al Competenza sui reati di grave allarme sociale rischio concreto dell’annullamento di tanti dibattimenti complessi (quindi relativi a complesse indagini) incardinati presso i tribunali, e a quello della scadenza dei termini di custodia cautelare a seguito della sentenza della Cassazione dell’8 febbraio 2010. In realtà questa finalità andava presa in considerazione relativamente al momento in cui si instaura il dibattimento, perché sappiamo tutti che, dal punto di vista processuale, tra la dichiarazione di apertura del dibattimento e l’inizio della procedura dinanzi al giudice presso il quale si è incardinato il giudizio di primo grado possono esserci delle udienze, quindi delle attività preliminari che non sarebbero salvate. L’articolo 492, cui fa riferimento nella relazione illustrativa il relatore, stabilisce infatti che la dichiarazione di apertura del dibattimento abbia luogo dopo la costituzione delle parti e la trattazione delle questioni preliminari. Chiunque frequenta un’aula di giustizia sa che nei processi più complessi questi adempimenti preliminari possono protrarsi anche per diverse udienze. Credo sia necessario un intervento correttivo e in questo senso deve andare un contributo ulteriore. Questo decreto-legge, posto in essere non per ampliare la competenza della Corte d’assise (come poi è stato utilizzato, ma in maniera ridotta grazie all’intervento dell’opposizione al Senato), è stato coniato proprio per evitare l’effetto devastante di annullamenti di processi già incardinati. Pertanto, se questa è la ratio primaria, deve essere previsto che i procedimenti siano bene incardinati presso il tribunale, pur essendo variata la competenza; laddove, invece, siano stati incardinati presso la corte d’assise, a questo punto, sicuramente, si deve fare riferimento all’instaurazione. Questo è il contributo che il Partito Democratico ha voluto esplicitare. Auspichiamo che il Governo tenga conto di queste indicazioni per poter condividere appieno un provvedimento di urgenza che è stato adottato con finalità, sicuramente, condivisibili (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico). 179 Temi per la legalità 180 Piano antimafia Seduta n. 328 di mercoledì 26 maggio 2010 Piano antimafia Discussione sulle linee generali Signor Presidente, i temi oggetto di questa legge delega sono sicuramente molto complessi, anche il titolo è molto impegnativo: piano straordinario contro le mafie. Forse avremmo preferito poter trattare questa materia attraverso l’esame di una proposta di legge articolata - più che una legge delega - e quindi chiara, delimitata nei contenuti e nelle finalità. Sarebbe stata sicuramente una scelta più appropriata, anche perché dal Parlamento, con il voto del Parlamento sarebbe uscita una proposta, una normativa immediatamente applicabile. Comunque non ci siamo tirati indietro, il Partito Democratico in Commissione giustizia - anche con tempi veramente poco ampi, data la materia e l’ampiezza dei filoni su cui si intende intervenire - ha cercato di mantenere la propria condotta, che è stata illustrata da tutti i colleghi che sono intervenuti, di cercare di rafforzare gli strumenti di lotta integrata alla mafia. Questo soprattutto sul fronte patrimoniale, prevedendo, in particolare - e questa è una delle finalità di cui ulteriormente chiediamo al Governo e al relatore di farsi carico - l’attuazione di quei provvedimenti di cooperazione giudiziaria stabiliti dall’Unione europea che ancora dal 2005, dal 2006 risultano inattuati, rafforzando poi quei poteri di indagine e di coordinamento dell’autorità giudiziaria, con la specializzazione anche delle squadre investigative, che costituisce, a nostro avviso, uno dei momenti culminanti della lotta effettiva alla criminalità organizzata. Una lotta alla criminalità organizzata che deve tendere anche a rimuovere e a individuare ogni intestazione fittizia o di comodo dei patrimoni. Occorre in particolare cercare di andare verso un modulo procedimentale, quello delle misure di prevenzione, personali o patrimoniali, che tenga conto della peculiarità di questo particolare strumento processuale. Tale procedimento, se da un lato non può non tener conto dei diritti della difesa e quindi del giusto processo, deve saper incidere però in modo diretto, definitivo, sostanziale Legge n. 136 del 13 agosto 2010 - Piano straordinario contro le mafie, nonché delega al Governo in materia di normativa antimafia 181 Temi per la legalità sui beni, sulle persone, sulla libertà di iniziativa economica di cui la criminalità organizzata si avvale per scardinare i principi del nostro ordine costituito. Di qui una necessità assoluta, un passo che ancora deve essere fatto: ci attendiamo che ci sia un’attenzione specifica da parte del Governo e del relatore in questi termini, di riconoscere la necessità che le misure di prevenzione personale e patrimoniale possano essere applicate indipendentemente, in maniera disgiunta, anche a prescindere dall’attualità mi riferisco alle misure patrimoniali - della pericolosità sociale del proposto, come peraltro affermato anche nel cosiddetto pacchetto sicurezza del 2008 e non coordinato con una normativa (articolo 2-ter della legge n. 565 del 1997) che è ancora in vigore. Questo perché questo disegno di legge delega si propone un’idea ambiziosa; non soltanto fare un coordinamento di norme esistenti, ma innovare e in qualche modo coordinare queste norme che possano essere finalmente non un susseguirsi di interventi immediati ed urgenti, ma un complesso coordinato, uno strumento efficace nelle mani degli operatori. Un altro punto che vorrei sottolineare come qualificante, e che dev’essere in qualche modo recepito anche nella nostra indicazione al Governo, riguarda il fatto che, se si sono voluti prevedere dei termini all’efficacia 182 del sequestro (mi riferisco alle misure di prevenzione patrimoniale), tali termini, che possono avere una loro logica, devono tenere conto della complessità degli accertamenti. Infatti, affinché tali termini siano efficaci, vi è la necessità - laddove vi sia un intervento complesso, quale ad esempio un accertamento peritale o bancario - di sospendere in qualche modo il decorso di quel termine veloce, altrimenti è inutile intervenire e la lotta alla criminalità diventa soltanto uno slogan. Al contrario, noi ci siamo adoperati e stiamo cercando di lavorare affinché, da questo disegno di legge, derivi uno strumento - speriamo e ci auguriamo condiviso - di effettiva lotta alla criminalità organizzata. Inoltre, anche in raccordo con il provvedimento che ha istituito l’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, riteniamo che sia il momento di qualificare cosa sia il «terzo in buona fede», ossia colui che è terzo in buona fede rispetto ad un patrimonio confiscato. Ciò consentirebbe poi all’Agenzia - che si fa amministratore e che deve destinare quel bene alla pubblica utilità - di destinare effettivamente quel bene, di liberarlo dai vincoli che ad esso sono stati posti, ma che non sono stati posti in buona fede, né senza colpa: sono vincoli di garanzia (parliamo anche di vincoli bancari), che Piano antimafia non si potevano non conoscere e per i quali non si poteva non sapere che si trattava di un’attività illecita e che costituiva il frutto e l’impiego di un’attività criminale. Su questo punto chiediamo che vi sia una parola importante e chiara nella legge delega. Come dicevo prima, avremmo preferito una normativa immediatamente precettiva, ma a questo punto pretendiamo che ci sia una direttiva chiara e certa da parte del legislatore delegante. Questo è un aspetto sicuramente qualificante. Un momento altrettanto qualificante - che ha avuto il nostro apporto e il nostro favore - riguarda la tracciabilità dei flussi del finanziamento pubblico. Riteniamo che una strategia organizzata e rigorosa debba essere accompagnata da un principio di trasparenza del procedimento di erogazione e gestione del pubblico finanziamento e, quindi, anche del progetto finanziato. Dev’essere chiaro il principio di tracciabilità dei flussi di spesa, così come dev’essere messa a punto - e in questo senso abbiamo lavorato in Commissione - una strategia di controllo e monitoraggio, unitamente a strategie di contrasto all’uso illecito del sistema finanziario, di prevenzione dell’infiltrazione mafiosa nel sistema economico e finanziario. Vi è, dunque, un’esigenza di trasparenza rafforzata, che si è concretizzata - anche a seguito delle proposte emendative presentate dal Partito Democratico e recepite dal Governo - in una obbligatorietà di pagamenti attraverso le forme del bonifico, dei pagamenti telematici, su conti correnti cosiddetti dedicati, che consentono di realizzare un effettivo censimento degli strumenti finanziari delle imprese. Vorremmo qualcosa di più: che nell’individuazione delle sanzioni, la sanzione amministrativa pecuniaria avesse una capacità di disincentivare la violazione di questi principi di trasparenza. In tal senso, ci siamo spesi e confidiamo nell’accoglimento da parte del Governo affinché il reintegro dei conti correnti dedicati - effettuato venendo meno a questi princípi di trasparenza, senza l’utilizzo del codice del conto corrente dedicato, abbia una sanzione che non sia irrisoria e che, quindi, consenta di avere quell’efficacia di deterrenza tale per cui non si debba poi ricorrere alla solita previsione penale, con aggravio soltanto del carico giudiziario, senza poi risolvere il problema in concreto. L’altro punto qualificante, già approfondito dai colleghi che sono intervenuti precedentemente, riguarda la delega alla semplificazione per rendere più penetranti i controlli effettivi riguardanti l’infiltrazione mafiosa nelle imprese. Ci siamo adoperati affinché in questo articolo 2, alla lettera a), laddove si parla di disposizioni in materia di docu183 Temi per la legalità mentazione antimafia in riferimento all’aggiornamento e semplificazione, ci sia un richiamo espresso alla lettera d) dove si prevede di rendere più penetranti ed effettivi i controlli e le informazioni prefettizie sulle infiltrazioni mafiose; non soltanto sulla ditta appaltatrice (che ha assunto il lavoro), ma su tutto quell’indotto dei lavori pubblici che è il settore più sensibile a rischio mafioso e, quindi, agevolmente penetrabile. Abbiamo presentato una proposta emendativa specifica che impone delle liste presso le prefetture riguardanti le imprese di trasporto, il movimento terra, il trasporto di rifiuti in discarica, la fornitura e il trasporto di calcestruzzo, di bitume, di materiale proveniente da cave per inerti e di materiale da cava di prestito per movimento terra, i noli a caldo, a freddo e i servizi di guardia nei cantieri. Ci è stato detto che, forse, un’elencazione così rigida, in un disegno di legge di delega, avrebbe potuto pregiudicare l’effettività della normativa. Su questo punto c’è un impegno effettivo del Governo affinché, con un ordine del giorno, si tenga conto, nel regolamento che verrà adottato (con decreto dei Ministri dell’interno, giustizia, infrastrutture e dello sviluppo economico), di queste diverse tipologie di attività suscettibili di infiltrazione mafiosa. Credo che, anche quando l’attuale riferimento al valore dell’opera cui è subordinato il certificato antimafia 184 che per gli appalti di lavori pubblici è la soglia europea, ed è molto alta, ciò non consenta di fatto, la garanzia dell’effettività dei controlli. Confidiamo che, grazie a questa delega e ai provvedimenti che ad essa faranno seguito, i criteri di semplificazione - a prescindere dai limiti di valore - vengano esattamente intesi nel senso di creare strumenti effettivi di controllo che garantiscano l’ente pubblico che concede l’appalto, ma, soprattutto, le imprese che vanno ad investire in settori ed aree soggette a rischio di infiltrazioni mafiose. Si è detto che questo disegno di legge, per come si pone nel titolo e per come si è cercato di esaminare in Commissione, potrebbe rappresentare un contributo significativo all’interruzione di un percorso che, fino ad ora, in realtà non è stato molto chiaro: infatti, la lotta alla criminalità organizzata non si esercita soltanto approvando delle norme slogan, bensì individuando delle norme di precetto che rappresentino sostanzialmente una lotta all’espandersi di una criminalità che ha i suoi gangli in tutta la società civile. Allora ci auguriamo che questo possa rappresentare un fatto interruttivo, concreto rispetto ad alcuni provvedimenti, tra i quali quello vergognoso sullo scudo fiscale concernente il ritorno dei capitali dall’estero e la non punibilità dei reati connessi di frode fiscale e di Piano antimafia falso in bilancio -, le ordinanze urgenti - adottate in deroga prima per le grandi opere e adesso per il fantomatico piano carceri - e il disegno di legge in esame al Senato sulle intercettazioni telefoniche. Se veramente si vuole dare un segnale concreto alla lotta alla criminalità, per quanto riguarda i reati contro la mafia non basta individuare nei «sufficienti indizi di reato» il presupposto delle intercettazioni e dire che in tal modo abbiamo dato il segnale della lotta alla criminalità organizzata, perché sappiamo che la lotta alla criminalità organizzata parte dall’accertamento dei «reati satelliti», di quei reati che alimentano, nutrono la mafia. Quindi il percorso ad ostacoli che è stato creato al Senato, e che è ancor più grave di quello che era stato creato alla Camera, non farà che indebolire gli strumenti effettivi di lotta. Ci auguriamo che questo provvedimento, attraverso cui dovrà essere trovata una soluzione anche al problema dell’autoriciclaggio (argomento già affrontato dalla collega Garavini), sia accompagnato da un comportamento coerente riguardo agli altri disegni di legge presentati, in particolare quello sulle intercettazioni telefoniche. Altrimenti, apporsi delle medaglie grazie ai risultati ottenuti sino ad oggi dalle forze dell’ordine e dalla magistratura inquirente che applica la normativa per fortuna ancora in vigore in tema di indagini e intercettazioni telefoniche, vuol dire non saper comprendere veramente la realtà, anzi non voler contrastare quel fenomeno di criminalità organizzata che ha assunto dei toni così ampi, così alti, così incisivi nella nostra società da mettere a repentaglio anche la nostra economia (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico). 185 Temi per la legalità 186 Violenza sessuale e stalking Diritti della persona 187 Temi per la legalità 188 Violenza sessuale e stalking Seduta n. 155 di lunedì 30 marzo 2009 Violenza sessuale e stalking Discussione sulle linee generali Signor Presidente, per il mio inserimento nell’elenco degli iscritti a parlare in discussione, ho avuto modo di ascoltare tutti i colleghi che mi hanno preceduto e anche da parte dei colleghi della maggioranza vi sono state puntualizzazioni sicuramente coerenti con il provvedimento che si è qui a discutere, mentre altre francamente non sono state altrettanto condivisibili, perché forse dettate più da una filosofia politica in quanto tale (ma demagogica, direi) che dalla considerazione del merito del provvedimento in esame. Siamo qui a discutere della conversione in legge del decreto legge n. 11 del 2009, che ha ad oggetto l’entrata in vigore, in via appunto anticipata, delle disposizioni per il contrasto alla violenza sessuale contenute nel disegno di legge in materia di sicurezza, l’atto Camera 2180, già approvato al Senato e attualmente all’esame della Camera, in discussione presso le Commissioni riunite I e II (Affari costituzionali e Giustizia), nonché le norme contenute nel disegno di legge in materia di atti persecutori (si tratta in questo caso di un provvedimento che, già approvato dalla Camera, è ora all’esame della Commissione giustizia al Senato). Il decreto-legge in esame, in realtà, costituisce l’occasione per prolungare il periodo massimo di trattenimento dello straniero nei centri di permanenza, identificazione e di espulsione da sessanta a centoottanta giorni e per realizzare un piano di controllo del territorio attraverso volontari della sicurezza. Realizza poi un’anticipazione soltanto al 31 marzo, anziché al 30 aprile, della possibilità di nuove assunzioni per le forze di polizia e i vigili del fuoco, per un ammontare di 100 milioni di euro circa e poi anticipa - la prima, appunto, delle intese anche con il Ministro della giustizia e il Ministro dell’economia - l’attribuzione al Ministero dell’interno, nel limite di 100 milioni per il 2009, delle somme oggetto di confisca, che sono state disciplinate in quel Fondo unico di giustizia e, nei limiti di 3 milioni, Legge n. 38 del 23 aprile 2009 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 23 febbraio 2009, n. 11, recante misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori 189 Temi per la legalità per il Fondo nazionale contro la violenza sessuale. Ma a tal proposito vi è da ricordare - perché è sempre bene cercare di ricordare un po’ il passato - che quel fondo aveva per il 2008 una dotazione di 20 milioni di euro destinata ad un piano contro la violenza alle donne, istituito dalla legge finanziaria per il 2008, finalizzato alla prevenzione, all’informazione, alla sensibilizzazione, al sostegno, a case rifugio, a centri. Quel fondo è stato prima azzerato, poi ripristinato, poi nella formulazione del bilancio annuale e pluriennale non è stato mai rifinanziato per il 2009, quindi adesso si fa una misura tampone e si reintroducono soltanto pochi soldi, 3 milioni a fronte di quei 20 milioni che dovevano essere lo stanziamento e l’aiuto vero contro la violenza, non soltanto intesa come possibilità di reprimere, ma anche di prevenire e aiutare le vittime. Vi è poi questo pout pourri di norme: la previsione che il sindaco, d’intesa con il prefetto, possa avvalersi, per il controllo della sicurezza urbana e per l’individuazione di situazioni di disagio sociale, di associazioni di volontariato, di cittadini non armati - ho sentito anche qui dire: «per fortuna» - costituiti in via prioritaria da ex appartenenti alle forze di polizia e i cui requisiti, gli ambiti operativi, l’iscrizione e le modalità saranno poi stabiliti con decreto ministeriale, peraltro fuori da qualsiasi controllo 190 parlamentare. Inoltre, in contrapposizione a quanto, poi, sarà scritto in un disegno di legge che dobbiamo ancora discutere, che era considerato urgente, ma la cui discussione parlamentare viene ritardata continuamente (mi riferisco al provvedimento concernente le intercettazioni), nel decreto-legge in esame si autorizzano i comuni, ai fini della tutela della sicurezza urbana, all’impiego della videosorveglianza nei luoghi pubblici o aperti al pubblico, anche con la possibilità di conservare i dati fino a sette giorni, o anche di più in caso di necessità. Anche in questo caso, si è agito in maniera molto vaga ed alquanto discrezionale e i limiti sono stati anche evidenziati presso le Commissioni di riferimento come non adeguati per il rispetto della normativa. Il Governo ha giustificato questo decreto-legge con la straordinaria urgenza di assicurare la tutela della sicurezza della collettività, a fronte della crescita degli episodi collegati alla violenza sessuale, attraverso norme che - si dice - sono, finalmente, poste a contrastare tali fenomeni, per una più concreta tutela delle vittime dei reati. Si introduce la disciplina degli atti persecutori in forma organica, un’efficace disciplina dell’espulsione e del respingimento degli immigrati e un più articolato controllo del territorio. In realtà, queste sono dichiarazioni unilaterali, tra l’altro, smentite poi, dall’anali- Violenza sessuale e stalking si sistematica delle norme che sono introdotte. Quindi, quando ci è stato detto che abbiamo fatto una contestazione di metodo, inizialmente in Commissione giustizia anche con toni forti e risentiti, è perché, in questo pout pourri di norme, con riferimento ad alcune, è stato inopinatamente interrotto l’iter parlamentare di approvazione. Mi riferisco, in particolare, all’introduzione del reato di stalking, di nuovo conio, della cui necessità ed urgenza eravamo tutti consapevoli e a cui tutti abbiamo contribuito. Con riferimento ad esso, forse, era sufficiente contingentare i tempi al Senato: in questo modo, sarebbe stato già legge dello Stato, senza ricorrere allo strumento del decreto-legge, che, poi, deve essere convertito in legge e passare per l’esame delle Camere. Pertanto, mi sento di dire, perché oggettivamente risulta dai calendari della Commissione giustizia - la relatrice Lussana, che stimo e che ha manifestato un forte impegno nella materia, non potrà contraddirmi -, che l’iter del testo sulla violenza sessuale, che modificava in maniera sistematica le norme e che doveva essere discusso - infatti, era stato già predisposto un testo unificato e dovevano essere votati soltanto gli emendamenti (ricordo che il loro esame era stato fissato per i primi del mese precedente) - è stato rallentato attraverso la discussione del decreto-legge in oggetto. Quindi, si dice, come premessa, che sono in crescita i delitti di violenza sessuale. In realtà, forse, vi è stata - e dico, per fortuna - solo una crescita mediatica. Le statistiche confermano la riduzione numerica degli episodi di aggressione sessuale, anche se, certamente, ogni singolo comportamento di violenza sessuale è sufficiente, da solo, a polarizzare l’attenzione del legislatore, degli investigatori, della magistratura, dei servizi sociali, a richiamare interventi che consentano una maggiore protezione della vittima, nella vicenda giudiziaria e, fuori, nel contesto sociale. È chiaro, infatti, che dietro un solo episodio di violenza - ne siamo consapevoli e lo condividiamo, non abbiamo bisogno di lezioni da parte di nessuno - si pregiudica, per lo più irreparabilmente, il percorso di vita della vittima. Tuttavia, i rimedi non possono certo trovare spazio in un decreto-legge come questo, in cui si realizza, ancora una volta, quello che stiamo contestando a questo Governo, per una serie di provvedimenti, soprattutto in materia di giustizia e sicurezza: interventi frammentari che non risolvono il problema. Infatti, il problema della violenza, in genere, non si risolve con un mero inasprimento delle pene o prevedendo l’obbligatorietà della misura cautelare in carcere. Ciò è tanto vero - e anche l’onorevole Costa, nella serietà del suo impegno di capogruppo in Commissione, me 191 Temi per la legalità ne darà atto - che proprio dal Popolo delle Libertà sono venute le esigenze di mitigare le automaticità delle norme introdotte da questo decreto-legge che partono da una presunzione di pericolosità sociale dell’autore del reato - nate in riferimento ai delitti di criminalità organizzata e qui applicate automaticamente al violentatore - e che non consentono al giudice di modulare la possibilità di adattare le misure al caso concreto. Su quel punto noi non abbiamo presentato proposte emendative, voi della maggioranza sì. Mi dirà l’onorevole Lussana (a ragione) che è vero che la modifica dell’articolo 275, comma 3, del codice di procedura penale, che ha portato a questa presunzione di pericolosità e all’automaticità dell’applicazione della misura cautelare della traduzione in carcere, al Senato era stata votata anche dal Partito Democratico nell’ambito dell’esame del cosiddetto «pacchetto sicurezza», ma essa doveva essere adeguatamente ponderata alla Camera nella sua coerenza sistematica, valutata nel quadro di quel provvedimento che si stava votando in un testo unificato e soprattutto coordinata con il testo sulla violenza sessuale che, come dicevo poco fa, sarebbe stato in dirittura d’arrivo se non fosse intervenuto questo decreto-legge. Avremmo avuto una riforma dei reati di violenza sessuale e non l’anticipazione dell’entrata in vigore del 192 reato di stalking che era stato già approvato e di una norma, quella relativa alla misura cautelare per il violentatore. Questa misura non risolve i problemi e tutti voi lo sapete e ne siete convinti quanto me. Quelle norme dovevano essere valutate complessivamente rispetto ad altre - di cui non vi è traccia in questo provvedimento - che sono in grado di percepire l’aspetto di prevenzione, di efficace contrasto, di formazione culturale e di recupero umano e psicologico della vittima. Le avevamo attese, queste norme; erano state scartate nell’ambito della discussione sullo stalking sostenendo che sarebbero essere valutate quando in sede di modifica della normativa in materia di violenza sessuale. Ma mentre si stava arrivando alla conclusione di quel percorso - grazie anche alla sensibilità dei promotori, del relatore e di tutta la Commissione -, vi è stata questa battuta d’arresto e, anche qui, nulla si prevede se non quei 3 milioni di cui parlavo inizialmente attribuiti ai fondi per i centri, che sicuramente non sono sufficienti e che, comunque, non valorizzano un programma di intervento organico, perché in tutti i settori c’è forse l’intenzione, ma per la fretta di dare una risposta all’emotività popolare mancano la presa in carico delle problematiche, lo studio delle cause e la volontà di risolvere i problemi con modalità adeguate. Violenza sessuale e stalking Il decreto-legge pone una soluzione affrettata, che in definitiva è solo demagogica. Infatti, già in base alla legge in vigore da prima della emanazione del decreto-legge - questo è un punto su cui forse altri colleghi non hanno potuto soffermarsi adeguatamente, ma che vorrei rappresentare perché sia completo l’esame da parte di noi tutti - i colpevoli di violenza sessuale non possono accedere ai benefici penitenziari, a meno che non si possa escludere il collegamento con la criminalità organizzata. Era già previsto dall’articolo 656 del codice di procedura civile che l’ordine di carcerazione dovesse essere scontato in carcere, escludendo, quindi, la detenzione domiciliare. Ci si riferisce ai casi di condanna definitiva che deve essere eseguita. Il decreto legge, nella finalità emotiva di rendere meno facile l’accesso ai benefici penitenziari, ha però previsto che i condannati per violenza, una volta entrati in carcere, possano chiedere quei benefici (lavoro all’esterno, permessi premio o detenzioni alternative) solo in caso di collaborazione, oppure se esclusa l’attualità del collegamento con la criminalità organizzata o se ricorra il presupposto della limitata partecipazione che rende impossibile un’utile collaborazione con la giustizia, oppure ancora se vi è stato l’integrale accertamento dei fatti e delle responsabilità. A cosa serve questa strategia riferita ai benefici penitenziari se non a dichiarare al popolo degli elettori un maggior rigore nella concessione dei benefici penitenziari quando questo non è vero? Infatti, si pone un binomio che è stato costruito per la criminalità organizzata e che fa riferimento alla collaborazione. Pensate che, in ordine alla collaborazione, la confessione degli autori dello stupro della Caffarella, per ciò stesso, comporta l’ammissione ai benefici penitenziari. Pertanto, quando vi diciamo, non per una presa di posizione, non per una critica fine a se stessa, non per una posizione che sia soltanto ideologica come voi affermate, che avete costruito una norma frettolosa, inadeguata, incapace di risolvere le problematiche che si pongono in ordine al violentatore, al reo violentatore, è perché, appunto, questa è una previsione che non risolve la problematica. La superficialità di questa scelta, l’inadeguatezza totale emerge, appunto, ove si consideri la devianza dei soggetti che compiono questi reati, che tra l’altro sono per lo più individuali. Anche quando la violenza è di gruppo, infatti, non si inserisce in una forma di criminalità organizzata, ha caratteristiche diverse, proprie, che sono legate all’autore del reato. Su questo punto è stato chiarificatore il documento acquisito a seguito delle audizioni svolte; per questo 193 Temi per la legalità ringrazio la presidente, la relatrice, i colleghi e tutti coloro che, tramite audizioni, hanno consentito l’acquisizione di elementi di valutazione ulteriore che comunque saranno utili. Infatti, anche se il decreto legge, nel suo complesso, non è da noi condiviso, per altri motivi che sono stati già enunciati da altri colleghi del Partito Democratico prima di me, comunque siamo convinti che alcune norme, per essere efficaci, devono essere orientate nel senso proprio di una finalità vera che si intenda perseguire. Nei reati sessuali la recidiva è frequente e la condotta collaborativa, quella che voi prevedete per ammettere i rei ai benefici penitenziari, la confessione, non è sintomo di ridotta pericolosità. I benefici penitenziari non possono essere congegnati sulla base di quelli previsti per la criminalità organizzata, ma devono essere concessi solo quando sia accertato, con metodologia scientificamente provata, la cessazione o la riduzione del rischio di reiterazione. Si poteva pervenire all’individuazione di protocolli concordati tra Giustizia e Sanità per lo svolgimento di percorsi e per l’individuazione dei trattamenti in aderenza anche a quelle che sono le acquisizioni tecnico-scientifiche e criminologiche nella materia. La decisione deve essere assunta dal magistrato di sorveglianza all’esito di una completa 194 e appropriata analisi di tutti gli elementi rilevanti nel caso concreto. Lo abbiamo detto in Commissione e lo ribadiamo qui: molte volte in quelle carceri, nelle carceri (tranne qualche eccezione, ad esempio abbiamo un istituto penitenziario pilota a Milano Bollate, ma l’Italia non è fatta di istituti penitenziari pilota), nella maggior parte degli istituti penitenziari, non ci sono psicologi strutturati, ma solo psicologi a convenzione che magari hanno terminato le ore e quindi il magistrato di sorveglianza si trova a dover valutare la pericolosità del soggetto, sulla base di relazioni che sono solo magari quelle degli educatori e quindi non sono adatte al soggetto. Su questo punto ci dovete dare atto che la nostra non è mai una posizione meramente ideologica, abbiamo presentato degli emendamenti che tendono a perseguire un risultato: quello di far sì che i violentatori non escano dal carcere se non hanno superato quei percorsi all’interno del carcere che siano percorsi di recupero, di riabilitazione psicologica, psichiatrica e farmacologica, tutto ciò che è necessario attraverso l’osservazione e che faccia parte del programma. Su questo noi confidiamo che relatrice e Governo facciano autocritica sapendo che quella norma è un boomerang e mi sono permessa di fare l’esempio dei rei confessi della Caffarella per dimostrarvi come quella norma potrà operare. Violenza sessuale e stalking E poi c’è un altro punto, sicuramente per noi importante, che non è vero che è stato strumentalizzato e impiegato demagogicamente, dal Partito Democratico e dall’opposizione, per contrastare delle buone pratiche che alcuni sindaci di città virtuose hanno utilizzato per poter dare voce a quel segno di solidarietà sociale. Ma non è questo ciò che si va introdurre con questa norma. Mi riferisco, appunto, all’articolo 6, che ha per oggetto la predisposizione di un piano straordinario di controllo del territorio. Il progetto è grande: da tale espressione ci si sarebbe aspettato un intervento diretto a tutelare la sicurezza pubblica, a potenziare la presenza delle forze dell’ordine, il loro necessario coordinamento, la loro capacità d’intervento, i mezzi, la formazione professionale e il numero, in un progressivo rafforzamento di quello che deve essere il controllo dello Stato sul territorio ai fini della sicurezza e della repressione e della prevenzione dei reati. E invece, in realtà, come dicevo prima, si è trattato solo di un anticipo al 31 marzo. Era necessario varare un decreto-legge per anticipare al 31 marzo la possibilità di assumere, per una spesa di cento milioni di euro, nelle forze di polizia e nel Corpo dei vigili del fuoco, il che costituisce, peraltro, un apporto davvero minimo rispetto a ciò che avverrà nel 2012, con i pensionamenti? Nel cor- so delle audizioni ci è stato detto che vi saranno circa 10 mila persone in meno, per le singole forze di polizia. Il Ministero dell’interno, per la Polizia di Stato, ha da poco bandito un concorso da 80 posti da funzionario. Queste sono le cifre. I concorsi non ci sono né vengono banditi. Ma in questo contesto si è pensato di anticipare l’accredito prima di quella concertazione che avrebbe dovuto prevedere una parte dei fondi al Ministero della giustizia, un’altra al Ministero dell’interno e una, per eventi eccezionali, alla Presidenza del Consiglio dei ministri. Pertanto, si anticipa questo Fondo al Ministero dell’interno. Una parte andrà al Fondo nazionale contro la violenza sessuale (l’ho già detto), ma non si conosce la destinazione di questi soldi perché in questo decreto-legge non è prevista. Rimane, appunto, oscura la concreta utilizzazione delle somme anticipate per la tutela della sicurezza pubblica, essendo poi i commi successivi dell’articolo 6 del provvedimento in esame tutti basati sia sulle associazioni di volontari, sia sull’impianto di sistemi di videosorveglianza nel territorio dei comuni e, forse, a questo dovrebbe essere destinata una parte della somma anticipata al Ministero dell’interno. Ma, d’altro canto, si è anche tanto declamato il fatto che proprio perché si ha rispetto per il Parlamento si sono inserite, in questo decreto-legge, nor195 Temi per la legalità me già approvate dal Senato o dalla Camera. In realtà, non è così al cento per cento perché, per esempio, proprio con riferimento a queste associazioni di volontari, le cosiddette ronde, l’articolo 6, terzo comma, costituisce uno stralcio dell’articolo 52 del decreto-legge in materia di sicurezza pubblica, approvato dal Senato, ma vi sono delle differenze. In primo luogo, la decisione di avvalersi della collaborazione tra cittadini non armati è attribuita non più, genericamente, agli enti locali, ma ai sindaci, i quali non devono più acquisire il previo parere del comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica, ma la previa intesa con il prefetto. In secondo luogo - e questo è l’aspetto che più mi preoccupa - l’ultima parte dell’articolo 52 vietava la derivazione, da queste disposizioni, di nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Questa formula è venuta meno, non è più presente. È stato sempre detto che si tratta di associazioni di volontariato che non saranno finanziate dallo Stato. In realtà, una lettura attenta di questo articolo 6 - che più si legge, più suscita grandi perplessità su come verrà attuato e su quali saranno le strumentalizzazioni nella realizzazione di queste associazioni - rivela che il sindaco si può avvalere delle associazioni iscritte all’elenco, sulla base di un controllo meramente formale dei requisiti, che saranno stabiliti da un decreto del Ministro di 196 cui non conosciamo assolutamente i presupposti. Il Parlamento non conosce e non conoscerà nulla dei requisiti. Si dice che, in via prioritaria, il sindaco si può avvalere di quelle costituite tra gli appartenenti in congedo alle forze dell’ordine e alle Forze armate. Quindi, in prima battuta, in queste associazioni si raccolgono coloro che sono andati in pensione. Si sa che gli appartenenti alle forze dell’ordine vanno in pensione presto, e quindi vengono occupati in un post-lavoro dopo la pensione, per fare da trait d’union con i colleghi delle forze di polizia in servizio. Le associazioni diverse (quindi, quelle non costituite da appartenenti in congedo) sono iscritte negli elenchi solo se non siano destinatarie a nessun titolo di risorse economiche a carico della finanza pubblica. Quindi, questo ci fa capire che quelle che in via prioritaria saranno costituite da appartenenti in congedo potranno (o forse dovranno) essere finanziate dallo Stato. Che Governo è questo che, anziché farsi carico del lavoro per le migliaia di giovani che sono senza occupazione e si trovano in situazioni di disagio nella nostra società e delle migliaia di famiglie che mantengono i giovani agli studi e per cui non si apre nulla, pensa di investire soldi dello Stato in questo modo? Evidentemente, ciò viene fatto perché i pensionati costano meno e non Violenza sessuale e stalking hanno bisogno di contributi, né di un sistema previdenziale. Quindi, in tal modo, si può realizzare questa «para-sicurezza» con associazioni di volontariato (chiamiamole di volontariato), che controllano il territorio e attraverso cui lo Stato abdica a tutto quello che è il suo dovere di controllo, di prevenzione e di sicurezza. Infatti, una persona va in pensione perché la legge prevede che a una certa età si debba esaurire il proprio compito nell’ambito di una funzione ed anche perché ci sono lavori usuranti, come quello nelle forze di polizia, che non consentono di superare i limiti di età. Dunque, si utilizzano i pensionati, anziché potenziare le forze di polizia con nuove leve, con nuove risorse e con energie professionalmente valide, dando la possibilità ai giovani di crearsi una famiglia, una casa, di avere dei figli. Questi vengono sbandierati nelle trasmissioni pubbliche televisive come obiettivi che vuole il centrodestra e che gli stanno a cuore, ma non è vero. Questo è quello a cui siamo profondamente contrari. Si tratta di soluzioni posticce, il che non vuol dire rinnegare quelle soluzioni che si sono sperimentate in alcuni comuni e che hanno portato comunque al volontariato e ad arricchire la solidarietà sociale e la cittadinanza, quello è altro. Si tratta, invece, di inserire determinate associazioni, attraverso una modalità alquanto generica, arbitraria e tutta da verificare, perché il Ministero si lascia attraverso il decreto ampie possibilità per quanto riguarda i requisiti di iscrizione, aprendo la rotta a vie diverse da quelle che dovrebbero essere di uno Stato, che proprio la destra dovrebbe avere a cuore. Allora, mentre da un lato è possibile che rivoli della finanza pubblica vadano ad alimentare associazioni di volontariato che non possono sostituire le forze di polizia, dall’altro quelle associazioni non finanziate potranno godere di finanziamenti privati e in alcune realtà potranno alimentarsi anche di finanziamenti della criminalità. Ci si dice che c’è il controllo del prefetto: ma quale controllo del prefetto? Il prefetto, attraverso le sue strutture già povere, si limiterà a verificare che quelle associazioni abbiano i requisiti formali previsti per essere iscritte, ma non sarà possibile capire quali tipi di finanziamento ci sono dietro, quale tipo di pressione potranno esercitare sul territorio, avvalendosi di poteri che gli sono conferiti da questo decreto-legge. Questa è una responsabilità che noi del Partito Democratico non vogliamo, e vogliamo che ne rimanga traccia; chi vuole veramente assumersela deve farlo per intero. Ma c’è ancora il dibattito parlamentare per rendersi conto di quali saranno 197 Temi per la legalità gli effetti e per cercare di eliminare questi effetti, perché ciò non era nell’intenzione dei proponenti, ne voglio essere certa, ma può essere 198 una deviazione molto pericolosa a cui noi non possiamo assolutamente aderire (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico). Violenza sessuale Seduta n. 197 di lunedì 6 luglio 2009 Violenza sessuale Discussione sulle linee generali Signor Presidente, dirò poche cose, che consentano di capire qual è la posizione del Partito Democratico, che è stata già illustrata dall’onorevole Rossomando in maniera esaustiva. Il mio sarà soltanto un intervento ulteriore per testimoniare la presenza e la particolare partecipazione del Partito Democratico a una proposta che è in difesa delle donne, dei minori e di tutti i soggetti deboli che subiscono una violenza sessuale e sono quindi particolarmente vulnerabili, sia per ciò che hanno subito, sia per ciò che devono attraversare nel processo di ricerca della prova, accertamento del reato e affermazione della responsabilità del colpevole. Come è stato detto dalla relatrice e dagli interventi che mi hanno preceduto, il testo che arriva in Aula ha visto una condivisione di alcuni punti, poiché ha tratto spunto da una serie di proposte pervenute dai vari gruppi parlamentari. In particolare, condividiamo sicuramente la scelta che è stata fatta relativa a un rigore non esasperato della pena per le fattispecie base, riguardanti la violenza sessuale, e soprattutto per l’individuazione e l’ulteriore specificazione delle circostanze aggravanti. Ci convince, infatti, l’aver individuato come ipotesi autonoma di aggravamento della pena, per la quale è prevista una pena autonoma rispetto al reato base, il fatto che la violenza sessuale si rivolga nei confronti di persona di cui il colpevole sia l’ascendente, il genitore adottivo o il tutore. Rientrano in queste fattispecie tutte le situazioni in cui ci si approfitta di minori, nell’ambito della famiglia e dei rapporti affettivi, creando traumi irreversibili. Ciò riguarda anche la donna in stato di gravidanza o la persona portatrice di handicap. Su questo punto, vorremmo anzi modificare il numero 7) dell’articolo 609-ter. Con riferimento alla nuova fattispecie individuata dall’articolo 609ter.1, quella cioè di molestie sessuali, noi siamo consapevoli che essa (che ovviamente ricorrerà là dove non vi sia un reato più grave) debba riguardare soltanto i casi che non rientrerebbero nel reato di violenza AC 574 e abbinate - Norme in materia di costituzione di parte civile dei comuni nei procedimenti per violenza sessuale (esame non concluso per stralcio deliberato il 14 luglio 2009) 199 Temi per la legalità sessuale, il quale - come sappiamo - nell’evoluzione che vi è stata nella giurisprudenza, riguarda fatti che implicano un contatto fisico anche in forma lieve. Laddove dunque si escluda il reato di violenza sessuale (poiché non bisogna fare un passo indietro rispetto alla storia che è stata ripercorsa anche nell’intervento che mi ha preceduto, dall’onorevole Lussana e dall’onorevole Lorenzin) e si tratti invece di atti di esibizionismo, voyeurismo, forme che - anche nelle interpretazioni della giurisprudenza più avveduta - non integrano ipotesi di violenza sessuale, ma di molestia sessuale (che comunque ha un rilievo più acceso e più rilevante, anche perché più offensivo rispetto alla semplice molestia), riteniamo che questo nuovo reato possa avere una sua credibilità e una sua valenza. A questa ipotesi, che è stata congegnata anche d’intesa con il Governo, ci siamo infatti permessi di presentare un emendamento che esplicita ancora di più il fatto che si tratta di comportamento a contenuto esplicitamente sessuale che non coinvolga la corporeità sessuale della persona offesa. Questo perché quello che compiamo è un passo in avanti solo se ci riferiamo a comportamenti che non realizzano un contatto fisico con la vittima, poiché allora questa nuova previsione rappresenta veramente un estensione (e quindi un maggior rigore sanzionatorio) rispetto all’attuale fattispecie previ200 sta dall’articolo 660, che riguarda il reato di molestia. Una tale misura non rappresenterebbe un passo avanti se, invece, sanzionasse in forma lieve quelle molestie che riguardano la sessualità fisica e che dovrebbero rientrare comunque, in ogni caso, nelle ipotesi della violenza sessuale, sia pure sottoposte al vaglio del giudice nelle ipotesi attenuate. Sicuramente positiva è la norma del provvedimento legislativo volta a precisare, e ad attribuire una maggiore responsabilità, a chi partecipa ad una violenza sessuale di gruppo. Sappiamo quanto sia odiosa, traumatica, quanto sia da reprimere e da prevenire con una fattispecie incriminatrice adeguata, la condotta di un gruppo che assale o che partecipa insieme ad un atto sessuale, anche nelle ipotesi in cui non tutti i correi partecipino materialmente. Poiché il legislatore nel concepire le fattispecie criminose deve avere riguardo a comportamenti generali ed astratti, abbiamo ritenuto opportuno in Commissione reintrodurre l’ipotesi di una partecipazione attenuata o indotta di soggetti che siano a loro volta, rispetto al gruppo, o al capo del gruppo, in una condizione di inferiorità psichica o psicologica. Ci convince, inoltre, la misura dell’aumento del termine della prescrizione, anche se non ci convince l’impianto attualmente in vigore sul termine della prescrizione; stiamo Violenza sessuale riflettendo su questo punto. In Commissione, comunque, vi è una proposta di nostra iniziativa volta proprio a non agire, come si sta facendo, con le misure cautelari personali. Non a tutti i reati si attaglia il termine di prescrizione generale previsto dalla legge del 2005, che non consente una ragionevole durata rapportata alla gravità dei reati in corso di accertamento. Siamo favorevoli, quindi, a questa previsione, ma non ci convince la metodologia. Sicuramente è positivo che da parte della relatrice Lussana vi sia stata la sensibilità di cogliere, nell’ambito delle proposte al vaglio, la possibilità di inserire degli interventi in giudizio da parte degli enti locali impegnati direttamente, o tramite i servizi del centro antiviolenze per l’assistenza alle persone offese; è stata garantita, quindi, la possibilità di intervenire in giudizio ai soggetti che sono portatori della tutela generalizzata dei soggetti vittime di violenze. È un segnale di sensibilità che tutti abbiamo condiviso. È stato previsto, inoltre, che le autorità pubbliche, ciascuna nell’ambito delle proprie competenze, promuovano campagne di sensibilizzazione e informazione sulle misure previste dalla legge in favore delle vittime dei maltrattamenti, sull’individuazione dei centri antiviolenza, e sulle competenze funzionali e assistenziali, così da creare un’informazione (molte volte proprio la conoscenza degli strumenti aiuta la vittima a venirne fuori). Non siamo assolutamente favorevoli - né possiamo dare un giudizio di modernità come quello espresso in precedenza dell’onorevole Lorenzin - all’articolo 6 che è stato introdotto con un emendamento e che riguarda l’esibizione nei mezzi di trasporto e negli esercizi pubblici, ad opera del questore, delle foto dei latitanti che hanno compiuto i delitti in questione. Per i latitanti esiste già una normativa, che prevede, per tutti latitanti, per tutti i ricercati, per tutti coloro sui quali vi siano indagini in corso e laddove l’autorità giudiziaria ne riconosca l’utilità, la possibilità di pubblicarne la foto. Quindi, si crea una norma di questo genere, laddove esiste un motivo di ordine pubblico, legato a indagini e alla sicurezza, che può essere vagliato, e questo può riguardare tutti i reati. Non dobbiamo fossilizzarci creando ulteriori binari di accertamento di reati, o norme processuali e quant’altro a seconda dei momenti e delle figure delittuose. Questa norma ha veramente un senso di non assoluta modernità (per usare la stessa espressione già utilizzata). Si tratta di un indietreggiamento nel tempo, all’epoca del far west, dove si attaccavano i manifesti con la taglia sull’uomo ricercato. Tale situazione non soltanto può portare (si pensi ai 201 Temi per la legalità mezzi pubblici e ai luoghi pubblici frequentati da anziani, minori, adolescenti) un sentimento comune di incitamento al linciaggio e all’odio, che non giova a nessuno Stato democratico, ma può anche creare nelle generazioni più fragili, perché in corso di formazione della loro personalità, stati d’animo sicuramente non adeguati. Noi abbiamo presentato un emendamento soppressivo nei confronti di questa norma (e anche correttivo) proprio perché ritengo che non si possa lasciare alla sensibilità dei questori (i quali sicuramente l’avranno, e non daranno esecuzione a questa norma, considerato che, meno male e per fortuna, dispone la possibilità di «disporre la collocazione») l’applicazione di questa disposizione, anche perché ancorata al sospetto che i soggetti si possano trovare nel territorio. È una norma veramente mal costruita, con una finalità non comprensibile. Se anche la legge in esame poteva diventare con ulteriori aggiustamenti e miglioramenti una legge condivisa (con il tentativo della maggioranza e dell’opposizione di raggiungere un obiettivo comune), essa presenta tuttavia questa impronta in cui francamente non ci riconosciamo, considerate la cultura e l’idea di sicurezza e del compito dello Stato per garantirla che abbiamo. Veniamo alla parte che ci sembra mancante. Come dicevo l’articolo 9, 202 che rivela sicuramente una sensibilità particolare e peculiare di chi ha elaborato il testo su cui abbiamo discusso, è un segnale, ma è un timido segnale, su quanto vi è da fare. Questa poteva essere un’occasione forte per cercare di investire risorse economiche per la tutela delle donne, dei minori, di tutte le vittime di atti così forti come la violenza sessuale. In questa legge in primo luogo non sono previsti (evidentemente non si sono potuti prevedere) stanziamenti di risorse. Ci risulta anche che per i centri antiviolenza non siano stati previsti quegli stanziamenti di risorse necessari per il loro funzionamento. Mi auguro che nei prossimi provvedimenti finanziari questo sia previsto, perché altrimenti mi troverò a dover constatare che mentre vi è una continua affermazione di principi sicuramente condivisibili, poi però le azioni concrete sono sostanzialmente distanti dal raggiungimento degli scopi indicati. Infatti sappiamo che affinché si realizzi un’effettiva tutela delle vittime delle violenze sessuali non è sufficiente prevedere norme incriminatrici e nemmeno prevedere un’azione informativa generica, ma è necessario avere programmi specifici, azioni concrete da finanziare e, da un lato, prevedere che si intervenga nella formazione: prendo atto che vi è una disponibilità anche da parte del Governo, come già è emerso in Commissione, ad approvare un Violenza sessuale emendamento, di cui noi come Partito Democratico siamo presentatori, nel quale si prevede una formazione specifica nelle scuole di ogni ordine e grado per creare una cultura della non violenza sessuale e quindi una cultura che non miri alla discriminazione sessuale. Questo è un aspetto sicuramente importante. Vi è poi l’altro aspetto riguardante l’attività di accertamento di questi reati e, quindi, l’intervento di tutti gli operatori che sono normalmente coinvolti e che portano alla luce questi reati, quando vengono perpetrati nei confronti di minori o donne nell’ambito della famiglia e vi sono difficoltà di accertamento oppure quando intervengono (come sta avvenendo nel caso degli episodi che si stanno ripetendo a Roma da parte di soggetti allo stato ancora ignoti che sorprendono le vittime al rientro in casa il sabato sera, a notte, nei garage) ponendo in essere una serie di comportamenti che presentano modalità operative di un certo livello e per i quali la previsione normativa non risolve la problematica. In questa sede siamo legislatori anche per cercare di trovare strumenti adeguati - a mio avviso su questo punto la legge è carente - che anzitutto devono prevedere una formazione specifica per le forze di polizia. Faccio riferimento ad uno studio effettuato dall’associazione Donne in rete contro la violenza, ONLUS che, attraverso i dati e l’esperienza acquisita dalla rete di avvocati presenti nelle varie realtà che operano nel settore della violenza domestica, ha individuato i punti carenti. Di essi alcuni riguardano l’organizzazione degli uffici giudiziari di cui parlerò; altri riguardano l’insufficiente sensibilità da parte delle forze di polizia nel momento di raccolta della denuncia per maltrattamenti in famiglia, l’insufficiente specializzazione nel raccogliere la denuncia da parte della polizia giudiziaria che non tende a stimolare una narrazione analitica da parte della vittima degli episodi di violenza abituale per la ricostruzione della vicenda; talvolta quando i fatti sono lontani nel tempo in pratica non si coglie l’aspetto necessario dell’intervento. Altre volte si verifica un mancato coordinamento tra autorità giudiziaria, polizia giudiziaria e servizi sociali. In fase di attività giudiziaria e di organizzazione degli uffici giudiziari, la particolarità del reato viene segnalata soltanto in alcuni uffici: ad esempio soltanto a Milano e a Bari esistono sezioni specializzate del tribunale che trattano i maltrattamenti e le violenze sessuali e ugualmente avviene presso la procura della Repubblica. Manca anche un’apprezzabile capacità di compiere la fase delle investigazioni e, quindi, anche i contatti con il pubblico ministero con una tempestività e secondo un protocollo di intervento che poi tutelerà la vittima successivamente. 203 Temi per la legalità Infatti, in questo campo servono moduli operativi - qui si ricollegano i nostri emendamenti, che speriamo e ci auguriamo vengano accolti -, perché noi vogliamo votare il provvedimento in esame, ma laddove vi sia il segnale che la maggioranza non si fa prendere dal fatto che una cosa non si può fare perché non è stata prevista, un’altra non si può fare perché occorre che il Ministro di competenza ci dica cosa ne pensa e via dicendo. Insomma, siamo su una strada con troppi paletti. In una materia come questa, se veramente si vuole arrivare ad un risultato, a produrre cioè qualcosa che serva alle vittime delle violenze sessuali, dobbiamo superare gli ostacoli burocratici e fare una legge che preveda protocolli di intesa tra i vari operatori interessati e una formazione adeguata di polizia giudiziaria, magistrati ordinari e magistrati onorari. Infatti, di solito poi le accuse in dibattimento - tranne in alcuni casi - vengono sostenute dai viceprocuratori onorari e questo è un altro dato che è risultato da uno studio che è stato fatto in materia. Parimenti occorre individuare all’interno dei pronto soccorso e presso le ASL unità di intervento che siano specializzate. Insomma, bisogna creare protocolli e moduli operativi che consentano, in tutto il territorio nazionale, di intervenire adeguatamente per dare il primo ascolto, per dare il primo soccorso, per acquisire 204 e conservare le tracce del reato, per accompagnare la vittima e far sì che sia possibile accertare con sicurezza e definitività la responsabilità del colpevole. Non vi è nulla di peggio per una vittima che essere esposta ad un processo nato male, che è viziato all’origine, che ha lacune investigative, perché magari vi sono lacune anche di sapere investigativo. Quella vittima così verrà colpita due volte: è ovvio che ripercorrerà comunque quel dramma, ma un conto è sapere che quel dramma viene ripercorso perché vi è poi la certezza che giustizia viene fatta, mentre è diverso quando ci si espone ad un percorso incerto e lacunoso anche per le carenze del sistema. Quindi, anche su questo aspetto ci siamo fatti carico di presentare un emendamento complesso (non nella sostanza, ma perché riguarda varie norme), che risistema e rivede in maniera organica l’incidente probatorio, con riguardo soprattutto ai minori di 14 anni, cerca di dare attuazione alla sentenza della Corte di Strasburgo che fa riferimento ai soggetti deboli, che devono essere sentiti, e quindi coglie la necessità per i minori, per le vittime di violenza, per le donne anche maggiorenni parti offese, per i minori degli anni 14 per ogni tipo di reato e per i minori infradiciottenni per i reati a sfondo sessuale, di evitare che la persona offesa sia sottoposta a continue sollecitazioni e dichiarazioni. Violenza sessuale Dunque, occorre fare in modo che il primo intervento sia quello del pubblico ministero se vi è l’urgenza o meglio, se ne sono sussistono i presupposti, del giudice. Infatti, il giudice deve raccogliere la prova con le forme dell’incidente probatorio, in modo tale che la difesa e il pubblico ministero abbiano così la possibilità di essere presenti e fare il loro controesame o l’esame incrociato, se è possibile, altrimenti l’esame protetto laddove il giudice lo ritengo opportuno. Si deve cristallizzare la prova, ma con tutte le garanzie possibili, per evitare anche che vi siano errori processuali, che poi portano ad individuare un colpevole che tale non è. Le garanzie non sono cose che si commisurano a seconda del tipo di reato, bensì esistono per tutti i cittadini e per tutti i tipi di reato e devono essere adeguate, commisurate e calibrate. Gli strumenti processuali devono essere rivisti. Vorrei accennare solamente in questa sede - vista anche la presenza del rappresentante del Governo - a quella pericolosa norma, presente in un disegno di legge governativo che è all’esame del Senato, in cui si impedisce ad un pubblico ministero, che agisce ancora a garanzia della legalità e dei diritti della vittima e dell’indagato, di ricevere una notizia di reato. Se verrà approvato quel provvedimento, pensate a cosa accadrà in processi per violenza carnale, pedofilia e quant’altro. Il pubblico ministero non potrà intervenire nell’immediatezza dei fatti perché bisognerà aspettare l’intervento della polizia giudiziaria, del maresciallo della stazione o dell’ispettore del tal commissariato. Senza nulla togliere a queste figure preziosissime di aiuto all’investigatore, ritengo che tutti - avvocati, magistrati, cittadini e politici - sappiano cogliere quanto sia importante la presenza di operatori della polizia giudiziaria, della magistratura e dell’avvocatura; quanto sia importante che tali soggetti, aiutati da psicologi ed esperti - questo è previsto anche nella nostra proposta emendativa - possano acquisire gli elementi veri, in modo da tirar fuori dalla parte offesa, attraverso una testimonianza o un riconoscimento, quella che è stata la realtà degli accadimenti; dopodiché, essi possano effettuare tutte le altre indagini di riscontro, cercando, però, di non interrompere quel processo di cicatrizzazione di una ferita che è importante si chiuda al più presto. Pertanto, noi del Partito Democratico confidiamo che il percorso che vi sarà in Aula ci porti a dire che, come auspicava l’onorevole della maggioranza, veramente si sia fatto un passo avanti. Altrimenti, ci verrà detto che, rispetto al testo attuale, che costituì una svolta storica, culturale e politica, ci siamo limitati a rivedere le pene. 205 Temi per la legalità Seduta n. 202 di martedì 14 luglio 2009 Dichiarazione di voto finale Signor Presidente, onorevoli colleghi, la discussione, prima in Commissione giustizia, poi in quest’Aula, del testo unificato sulla violenza sessuale sicuramente rappresenta una forte testimonianza dell’attenzione di questo Parlamento alla problematica dei comportamenti di violenza sessuale e delle molestie a sfondo sessuale, di cui risultano vittime milioni di donne e di minori, senza contare tutti i numerosi casi in cui le condizioni personali, socioambientali, familiari o la paura impongono di tacere. I fatti di cronaca che registrano il crescente aumento di episodi di violenza sessuale ne testimoniano l’efferatezza e costituiscono il risvolto di un’emergenza sociale che spesso si consuma nella segretezza degli ambiti familiari, lavorativi e scolastici. Deve farci riflettere il fatto che, pur dopo l’approvazione di quella legge del 1996, che comunque rappresentò un momento culturale di estrema rilevanza e che ricondusse alla sezione dedicata ai delitti contro la persona le condotte di violenza sessuale, i comportamenti punibili che ledono la sfera sessuale attualmente, dopo quindici anni, non si sono ridotti né con riguardo al numero né riguardo alla gravità. Cos’è che non ha funzionato? L’operato delle forze dell’ordine, della ma206 gistratura? In realtà, sappiamo tutti che non siamo alle prese solo con un problema di repressione o di ordine pubblico, ma di una problematica più complessa che ha radici antiche, socioculturali, di un pesante fardello che la coscienza civile si porta dietro, non essendo ancora riuscita appieno a metabolizzare il rispetto delle libertà personali, dell’inviolabilità e dignità della persona, della libertà di autodeterminazione nelle proprie scelte sessuali. In Europa, la maggior parte dei Paesi nel corso degli anni ha affrontato il complesso delle situazioni intervenendo con inasprimenti della pena, ma anche sul terreno della prevenzione, dell’educazione e del rispetto della persona. In Italia si continua ad avere un approccio settoriale: si è recentemente approvata, con il contributo di tutte le forze politiche, la legge contro gli atti persecutori, si sta discutendo il testo unificato contro la pedofilia in Commissione giustizia, si sta per votare oggi, in questo ramo del Parlamento, un testo unificato sulla violenza sessuale, ma si fa fatica a riconoscere come prioritario un piano integrato di interventi, che operi contestualmente in riferimento alle misure di informazione, sensibilizzazione e di prevenzione della violenza, dagli strumenti per il contra- Violenza sessuale sto e la repressione a quelli per la tutela e il sostegno delle vittime. Il testo che era uscito dalla Commissione era improntato prevalentemente a riconsiderare alcuni strumenti normativi di repressione, a rideterminare i minimi e i massimi della pena, a correggere alcune storture del sistema in materia di recidiva, ad integrare le previsioni carenti in tema di circostanze aggravanti, sottolineando, tra l’altro, la gravità di comportamenti commessi da chi abbia con la vittima un rapporto privilegiato, anche e soprattutto di tipo familiare, poiché tale condizione normalmente crea un affidamento con conseguente abbassamento del livello di guardia nella vittima, individuando così situazioni di particolare prevaricazione sulla persona offesa. Vi era solo un timido riconoscimento, però, delle istanze di prevenzione e tutela: l’intervento in giudizio dell’ente locale e del centro antiviolenza che presta assistenza; la prescrizione che il Ministro per le pari opportunità, avvalendosi dei suoi organi, presenti al Parlamento una relazione sull’attività di coordinamento e di attuazione delle azioni contro gli atti persecutori e gli atti di violenza sessuale; misure da parte delle autorità pubbliche per la sensibilizzazione e informazione sugli strumenti previsti a legislazione vigente in favore delle vittime di violenza. In Aula sono stati accolti alcuni dei nostri ordini del giorno che vanno in questo senso. Penso, in particolare, all’impegno del Ministro per le pari opportunità e del Ministro della giustizia di assicurare con cadenza almeno biennale la rilevazione statistica del fenomeno, al fine della progettazione e della realizzazione di efficaci politiche di contrasto. Penso all’impegno del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca di promuovere, nelle scuole e nell’ambito dei programmi scolastici, iniziative di informazione e formazione contro la violenza e la discriminazione sessuale. Penso alla promozione di protocolli di intesa ad opera delle prefetture tra i soggetti istituzionali e del volontariato, a percorsi educativi e formativi per realizzare quell’efficace sostegno delle vittime nelle diverse ma pur sempre dolorose fasi che seguono l’episodio di violenza. Certo, ci saremmo aspettati di più, e cioè degli interventi e delle aperture non solo programmatici ma di sistema, con una specifica destinazione di risorse economico-finanziarie per il funzionamento dei centri antiviolenza, per la formazione multidisciplinare interattiva degli operatori socio-sanitari della polizia giudiziaria, per l’istituzione di reti operative tra soggetti istituzionali e appartenenti al privato-sociale, che consentano di realizzare un intervento strutturato e articolato per l’effettivo sostegno della vittima. 207 Temi per la legalità Il nostro sarà un «sì» a questo provvedimento legislativo che vuole testimoniare impegno e responsabilità della politica, al di là degli schieramenti, perché è solo in questo modo che si affronta un tema così importante e carico di significato quale quello del contrasto ad ogni forma di violenza, di prevaricazione e di negazione del diritto di disporre della propria libertà sessuale. Tuttavia, si tratta di un voto favorevole che ha una valenza politica importante e che deve far riflettere la maggioranza. Questo voto è la dimostrazione che la nostra opposizione non è mai fine a se stessa o sorda rispetto ai problemi reali del Paese, ma che anzi si vuole far carico fino in fondo di questi problemi, laddove in quest’Aula ci si confronti su testi scevri da norme-manifesto o da nor- 208 me-slogan che incitano alla giustizia fai-da-te e che non risolvono concretamente i problemi della sicurezza dei cittadini. Vuole essere un voto favorevole di condivisione di un ulteriore passo verso la realizzazione di traguardi concretamente più efficaci, che ci consentano di vincere davvero la battaglia contro la violenza e tutte le forme di coartazione della libertà. In questo senso ci auguriamo che gli impegni assunti dal Governo nell’accoglimento degli ordini del giorno si traducano in azioni positive con il reperimento di fondi necessari, di risorse umane ed economiche specificatamente dedicate al contrasto della violenza e al sostegno delle vittime (Applausi dei deputati del gruppo del Partito Democratico). Omofobia Seduta n. 230 di lunedì 12 ottobre 2009 Omofobia e discriminazione sessuale Signor Presidente, molto è già stato detto e dunque nel mio intervento cercherò di tracciare un percorso che sia razionale, obiettivo, se possibile scevro da condizionamenti e che, a mio avviso, dovrebbe essere d’aiuto o comunque supportarci ed accompagnarci nell’approvazione di questo testo. Il provvedimento in esame, come è già stato detto, è volto ad introdurre nel codice penale tra le circostanze aggravanti cosiddette comuni una circostanza che si applica appunto ai reati contro la persona, in particolare ai reati che siano stati commessi in ragione dell’orientamento sessuale della vittima o al fine di discriminazione sessuale. È un testo che può sembrare poca cosa, ma che in realtà costituisce il frutto di un lungo dibattito iniziato già nella precedente legislatura e che, come è stato affermato in Commissione nella seduta del 2 ottobre scorso dal mio collega capogruppo del PdL, l’onorevole Costa, è il frutto di una sintesi tra diverse sensibilità. Discussione sulle linee generali Di più, il testo costituisce un primo passo concreto per l’attuazione delle direttive europee che con sempre maggiore forza, condannando ogni forma di omofobia, chiedono agli Stati membri di assicurare, con i vari strumenti a disposizione, l’effettiva tutela delle persone da ogni forma di violenza omofobica - che è stata definita nella risoluzione del 2006 (già ricordata dalla relatrice, onorevole Concia) come paura, avversione irrazionale nei confronti dell’omosessualità, dei gay, delle lesbiche, dei bisessuali e dei transessuali, estrinsecazione di un grave pregiudizio - e di lesione dei diritti inviolabili dell’uomo garantiti dalla Carta dei diritti fondamentali e dalla nostra Carta costituzionale. Non c’è bisogno in quest’Aula che ricordi l’articolo 2 e l’articolo 3, primo e secondo comma, della nostra Costituzione. Questo testo di legge si pone in questa linea, costituisce l’attuazione del diritto sostanziale di uguaglianza, senza discriminazione legata al sesso o all’orienta- AC 1658 / 1882 A - Modifica all’articolo 61 del codice penale, concernente l’introduzione della circostanza aggravante relativa all’orientamento o alla discriminazione sessuale (testo unico respinto il 13 ottobre 2009 a seguito dell’accoglimento della pregiudiziale di costituzionalità presentata dall’UDC) 209 Temi per la legalità mento sessuale, e realizza il dovere della Repubblica italiana, attraverso il Parlamento, di rimuovere quegli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana. È un compito che lo Stato italiano e i suoi esponenti di Governo non possono confinare nell’ambito di mere affermazioni di principio, sia pure di solidarietà, espresse di solito all’indomani dell’ennesimo episodio di violenza (come quello accaduto ieri a Roma, in via del Corso, dove una coppia di gay che passeggiava è stata aggredita senza alcun motivo) o all’esito di incontri (come quello avvenuto pochi giorni tra il Ministra Carfagna e le associazione di riferimento di omosessuali e transessuali, o quelli precedenti con donne e minori, vittime di violenza e discriminazioni). Sempre all’indomani di questi incontri vi sono grandi affermazioni e grandi promesse. Da oggi in poi vedremo quali saranno gli interventi e le posizioni concrete. Bisogna uscire dall’ambiguità, dalle assicurazioni generiche di intervento e approvare questo testo, magari migliorandolo, ma occorre finalmente dare un segnale concreto. D’altro canto, il diritto penale trova nella morale una delle più attive e potenti forze del suo dinamismo evolutivo. Da un lato, quindi, il diritto, via via, si spoglia di quei precetti, di quelle sanzioni che il progresso etico individuale e sociale rende inutili, non indispensabili al mantenimento 210 della moralità dominante; dall’altro - e questo il caso dei comportamenti omofobici in genere e di quelli legati alla discriminazione sessuale - ne acquista di nuovi, che corrispondono alle nuove esigenze di civiltà che non possono essere trascurate o relegate in un limbo. Inoltre, se è vero che non bisogna imitare con smania le legislazioni straniere, l’esame critico della legislazione comparata serve a rendere universali i fondamentali del diritto penale obiettivo, perché i denominatori comuni che uniscono le legislazioni straniere, in realtà, sono l’espressione formale di bisogni collettivi. Mi rivolgo dunque ai colleghi con i quali ho condiviso dei momenti di discussione in Commissione, in particolare ai colleghi dell’UdC: se tutte le legislazioni straniere che abbiamo valutato (in particolare, la Francia, la Gran Bretagna, il Portogallo e il Belgio) si riferiscono alla circostanza aggravante per alcuni reati o delitti commessi in ragione dell’orientamento sessuale della vittima, una ragione ci sarà. Ci sarà un comune denominatore, ormai arrivato ad essere forza di coscienza collettiva, che impedisce di insinuare il dubbio che ci stiamo avventurando su un testo di legge in sé pericoloso o dannoso per le coscienze collettive. In realtà, da un’analisi molto accurata che è stata effettuata e do- Omofobia cumentata in Commissione, risulta che l’esistenza di un’aggravante penale per motivi omofobici, e che fa propria questa nostra stessa espressione letterale, è riconosciuta da dieci Paesi membri. D’altro canto, ritengo che il legislatore debba essere mosso possibilmente da principi di coerenza. Allora, se valutiamo il pacchetto sicurezza (mi rivolgo in particolare al Governo) di recente approvazione, verifichiamo come la linea guida che ha ispirato una rilevante porzione degli interventi realizzati sul codice penale è quella di rafforzare la tutela offerta a categorie di soggetti cosiddetti deboli vittime del reato. Mi riferisco agli anziani, ai minori, attraverso le specifiche aggravanti contenute appunto nel pacchetto sicurezza. Un’aggravante che, tra l’altro, in qualche modo si avvicina proprio al nostro testo, è prevista proprio all’articolo 61, numero 11ter del codice penale che dispone: l’aver commesso un delitto contro la persona ai danni di un soggetto minore all’interno e nelle adiacenze di istituti di istruzione e di formazione è punito più gravemente. Per questi fatti è stata coniata un’aggravante perché si è ritenuto che occorresse dare - questo è l’obiettivo del legislatore - una tutela maggiore al minore nel momento in cui frequenta l’istituto scolastico. Nonostante la genericità e la non uni- vocità della formulazione normativa - credo che sia lapalissiano già dalla mera lettura della norma - nessuno si è posto il problema della determinatezza ai fini del rispetto dell’articolo 25 della Costituzione in quanto, a prescindere dal lato letterale che può sembrare sfumato e generico, in realtà è chiaro l’obiettivo del legislatore e la previsione normativa va letta dall’interprete alla luce della ratio che la informa. In questo contesto, quindi, penso che siano necessari un ripensamento e una rilettura di quel parere della I Commissione che ha previsto quale condizione addirittura la definizione della nozione di «orientamento sessuale», allorché venga immessa per la prima volta nella legislazione penale. In realtà, non è così: non solo quella nozione ha un significato univoco, che si ricava dalle fonti di diritto internazionale e comunitario, ma in realtà è già presenta da tempo nel nostro tessuto normativo. Vi è, infatti, una legislazione precisa (è stata emanata nel 2003) che riguarda proprio il divieto di indagini su opinioni e trattamenti discriminatori. Anche qui mi rivolgo ancora, con amicizia e stima, ai colleghi dell’Unione di Centro per un loro ripensamento: infatti, con il decreto legislativo del 10 settembre 2003, n. 276, è fatto divieto ai datori di lavoro, alle agenzie di lavoro e a tutti soggetti pubblici e privati di effettuare qualsiasi indagi211 Temi per la legalità ne o comunque trattamento di dati o preselezione di lavoratori, anche con loro consenso, in base alle convinzioni personali, all’affiliazione sindacale o politica, al credo religioso, al sesso e all’orientamento sessuale. Questa precisa condotta di discriminazione nel trattamento dei dati e nell’avvio al lavoro è punita da una sanzione penale che è prevista dall’articolo 30 della legge in questione. Non creiamo, anzi non ci facciamo - perché il termine creare può sembrare strumentale - dei falsi problemi. Cerchiamo di avere il coraggio di realizzare in maniera attuativa ed effettiva quel principio costituzionale che vieta le discrimi- nazioni. In realtà, questo nuovo testo, con tutte le evoluzioni sofferte di cui ha parlato la relatrice, che vi sono state in Commissione non introduce un nuovo reato di opinione, ma prevede un’aggravante penale in cui si dà rilievo soltanto a motivi discriminatori rispondenti al dettato costituzionale, a quell’articolo 3 della Costituzione che in sé ha la forza di orientare gli indirizzi del legislatore, di sostanziarne di contenuto interpretativo le clausole generali al fine di realizzare la promozione effettiva dei valori di uguaglianza all’interno della collettività (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico). Seduta n. 231 di martedì 13 ottobre 2009 Esame di pregiudiziali Signor Presidente, questo provvedimento ha avuto effettivamente un andamento che lascia sconcertati, perché basta rileggere l’iter dei lavori in Commissione e vediamo come la maggioranza si sia convogliata, con il parere del capogruppo in Commissione giustizia sia del Popolo della Libertà sia della Lega Nord Padania, oltre, ovviamente, che del Partito Democratico e dell’Italia dei Valori, per una determinatezza della fattispecie che potesse consentire di fare la sintesi delle varie sensibilità. Poi, a un certo punto, vi è stato un parere della Commissione affari co212 stituzionali che ha individuato delle perplessità riferite al fatto che il termine «orientamento sessuale», pur determinato attraverso fonti internazionali e comunitarie di immediata efficacia, sarebbe stato per la prima volta presente nel nostro sistema ordinamentale, e quindi, per la prima volta, avrebbe costituito una fattispecie penale. Di qui si aggancia una strumentale e non condivisibile questione pregiudiziale presentata dall’UdC che vorrebbe che si dichiarasse non conforme alla Costituzione per indeterminatezza della fattispecie una Omofobia circostanza aggravante che non è un’autonoma fattispecie di reato, una circostanza aggravante che ha in sé tutte le caratteristiche di determinatezza. È una strumentalizzazione perché questa fattispecie, questa circostanza, questa espressione «orientamento sessuale» la troviamo in atti che sono immediatamente efficaci nel nostro ordinamento. Non è vero e nessuno si è mai sognato di porre la questione pregiudiziale di costituzionalità quando abbiamo aderito e ratificato il famoso Trattato di Lisbona, che, proprio all’articolo 19, si esprime e fa riferimento al Parlamento affinché utilizzi tutti gli strumenti per combattere le discriminazioni fondate sul sesso, la razza, l’origine etnica, la religione, l’età e l’orientamento sessuale. Ma, ugualmente, troviamo la stessa espressione «orientamento sessuale» già nel nostro ordinamento. In esso esiste una norma, introdotta nel 2003, quindi di recente, da un decreto legislativo che riguarda la materia del lavoro, che vieta alle agenzie per il lavoro discriminazioni non soltanto per condizioni politiche, religione e credo, ma anche per l’orientamento sessuale. Infatti, questo decreto legislativo vieta alle agenzie per il lavoro e agli altri soggetti pubblici e privati indagini sulle opinioni, tra l’altro, sull’orientamento sessuale. E cosa fa questo testo? Impone una sanzione penale ai sensi dell’articolo 38 della legge n. 300 del 1970, lo Statuto dei lavoratori, e punisce, e quindi incrimina, il comportamento che discrimina e crea una situazione di sbarramento con riferimento all’orientamento sessuale. Allora, che fondamento può avere una questione pregiudiziale di costituzionalità che fa riferimento all’indeterminatezza della fattispecie? Sappiamo che non può esistere una questione pregiudiziale che non riguarda il cuore del provvedimento, l’essenza di questo testo normativo, ma che riguarda soltanto un’espressione .che deve e può essere riempita di contenuto attraverso l’interpretazione, attraverso l’affermazione del principio costituzionale di uguaglianza, che non è soltanto l’uguaglianza sostanziale, ma è anche, e soprattutto, quell’uguaglianza che deve prevedere tutte le attività di promozione rivolte a superare le differenze, la posizione dei disuguali. Questa è la lezione di vita quotidiana che dobbiamo trarre, e questo è il contesto sociale all’interno del quale valutare la questione pregiudiziale in esame. 213 Temi per la legalità 214 Protezione dei minori contro lo sfruttamento e l’abuso sessuale Seduta n. 268 di martedì 19 gennaio 2010 protezione dei minori contro lo sfruttamento e l’abuso sessuale Dichiarazione di voto finale Signor Presidente, onorevoli colleghi, questa è sicuramente una giornata importante perché assistiamo alla conclusione di un iter di un provvedimento parlamentare che riguarda lo sfruttamento e l’abuso sessuale sui minori che sono certamente tra i fatti più riprovevoli e forme di violenza tra le peggiori, perché privano il bambino della libertà e della dignità e ne pregiudicano, spesso e irrimediabilmente, il suo percorso formativo e lo sviluppo della sua personalità. Sono fatti spesso di difficile accertamento ed emersione proprio perché avvengono a volte in contesti familiari, educativi o nei cosiddetti ambienti protetti. La Convenzione adottata dal Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa a Lanzarote e sottoscritta il 7 novembre 2007 dall’Italia fa seguito a una serie di numerosi strumenti internazionali a tutela dei minori, primo fra tutti la Convenzione di New York del 1989. La Convenzione di Lanzarote affronta le tematiche dello sfruttamento e dell’abuso sessuale in maniera sistematica con una serie di misure: la protezione del minore in via anticipata, la creazione di una barriera di prevenzione, l’istituzione di autorità specializzate, interventi di controllo per prevenire e reprimere tutte le forme di sfruttamento sessuale per proteggere i minori, per diffondere più consapevolezza della problematica soprattutto tra le persone che hanno a che fare con i minori ed hanno regolare contatto con essi nel settore dell’educazione, della salute, della protezione sociale e tra le forze di polizia. Il testo che oggi si discute in Aula, per il quale preannuncio il voto favorevole del gruppo del Partito Democratico, ha avuto uno sviluppo parlamentare complesso. Trae la propria origine in realtà da varie iniziative parlamentari che recano la firma di deputati di vari gruppi, caratterizzate da un comune denominatore: AC 2326 - Ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d’Europa per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l’abuso sessuale, fatta a Lanzarote il 25 ottobre 2007, nonché norme di adeguamento dell’ordinamento interno (approvato il 19 gennaio 2010. Trasmesso al Senato) 215 Temi per la legalità l’individuazione di misure effettive di tutela dei diritti fondamentali dei minori e rivolte ad una crescita, ad un’educazione, ad uno sviluppo armonioso contro le azioni di sfruttamento sessuale e pedopornografico in qualsiasi forma realizzate. Mentre la Commissione si preparava ad optare per un testo unificato - per il Partito Democratico vi era per l’appunto la proposta di legge atto Camera 1672 a prima firma dell’onorevole Veltroni, del settembre 2008 - si è inserito il disegno di legge del Governo di ratifica della Convenzione nell’ambito del quale - devo darne atto - con un lavoro sapiente di cucitura effettuato dalla relatrice, la collega Angela Napoli, si è pervenuti ad un testo unificato ulteriormente discusso e perfezionato in sede di approvazione degli emendamenti, che tiene conto proprio del dibattito parlamentare. late più di un milione di immagini di bambini abusati e di questi solo 20 mila sono stati identificati; gli altri sono anonimi e probabilmente continueranno a subire abusi. A questa piaga sociale si tenta di dare una risposta con la nuova formulazione di reati di adescamento di minori per scopi sessuali e di pedofilia e pedopornografia culturale, che ricomprendono condotte poste in essere anche con i mezzi di comunicazione tecnologicamente più avanzati. Si tratta di uno strumento normativo che consentirà un’azione efficace di contrasto e che coinvolge la nostra unità italiana specializzata di polizia postale che quotidianamente - mi piace qui ricordarlo - raggiunge risultati di eccellenza attraverso indagini che svolge con procedure e tecnologie d’avanguardia. La linea ispiratrice di questo importante provvedimento legislativo, che ovviamente, per quanto riguarda l’Italia, non è il primo di questo genere, ma si inserisce in un contesto normativo già attento alla garanzia dell’integrità psicofisica dei minori, è quella di predisporre strumenti normativi adeguati per combattere le formule più subdole di violenza contro i minori. Si è data specifica attuazione così all’articolo 23 della Convenzione, offrendo strumenti effettivi che consentono un intervento anticipato agli organi di polizia per impedire comportamenti propedeutici ai più gravi delitti a sfondo sessuale nei confronti dei minori. Si è dato uno specifico rilievo poi al delitto di prostituzione minorile, punendo l’attività di reclutamento, favoreggiamento, gestione e organizzazione a fini di profitto. Sono noti i dati dell’UNICEF secondo cui due milioni di bambini sono utilizzati ogni anno nell’industria del sesso; sulla rete Internet sono veico- Si è previsto un particolare rigore all’applicazione delle pene accessorie derivanti dalle condanne e dal patteggiamento, così come alla con- 216 Protezione dei minori contro lo sfruttamento e l’abuso sessuale fisca del profitto anche per equivalente derivante dalla riprovevole attività illecita di sfruttamento sessuale di minori. Siamo convinti che quando ci sono i minori di mezzo sia necessario creare una rete adeguata di protezione e quindi sanzionare quei comportamenti finalizzati al delitto sessuale che intervengono su persone fragili, immature, particolarmente suggestionabili e adescabili. Si è intervenuti poi anche sul piano delle misure cautelari, pensando all’allontanamento dalla casa familiare, sul tema delle misure di prevenzione personale, prescrivendo che il giudice possa vietare l’avvicinamento a luoghi abitualmente frequentati da minori ed in tema di prevenzione antimafia con specifico riferimento alla confisca penale obbligatoria. È nato così - credo sia importante ricordarlo - un confronto parlamentare in Commissione giustizia che ha portato, anche con un nostro emendamento, alla norma sul gratuito patrocinio in deroga ai limiti di reddito delle persone offese minori vittime di violenza sessuale o di gruppo, di pedopornografia e di sfruttamento sessuale in genere. Si tratta di un testo, in conclusione, che è il frutto di un lavoro di convergenza della Commissione e del Governo, nello sforzo di introdurre disposizioni più stringenti per quanto riguarda le fattispecie incriminatrici, l’accesso alle sanzioni, l’accesso all’assistenza legale gratuita, il contrasto delle attività che incitano all’abuso e allo sfruttamento sessuale, la prevenzione, la ricerca dei colpevoli, l’assistenza affettiva e psicologica del minorenne durante il procedimento penale. Siamo consapevoli, però, che il provvedimento in discussione non servirà a risolvere in maniera definitiva, a sconfiggere in ogni modo questo riprovevole e antico fenomeno. Ma è sicuramente una parte importante di un percorso che deve essere adeguatamente monitorato e arricchito da interventi che mirino ad isolare i fattori di disagio culturale e sociale. Occorre una politica, quindi, che non sia solo di repressione penale e di inasprimento sanzionatorio, ma che valorizzi come elemento di prevenzione fondamentale la formazione degli operatori della scuola, dei centri sportivi e culturali, delle forze dell’ordine e della magistratura, dell’assistenza e il sostegno alle famiglie, affinché in ogni formazione sociale si attui quel principio costituzionale dell’articolo 2 della Costituzione, affinché quella formazione sociale, sia scuola, sia famiglia, sia luogo d’incontro, sia lo strumento e il veicolo per la formazione e lo sviluppo della personalità dei minori (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico). 217 Temi per la legalità 218 Riconoscimento dei figli naturali Seduta n. 492 di martedì 28 giugno 2011 Riconoscimento dei figli naturali Discussione sulle linee generali Signor Presidente, sicuramente questo momento, questa giornata dedicata alla discussione generale sul provvedimento sulla filiazione naturale è un momento, credo, importante sia dal punto di vista delle regole tecniche, ma soprattutto sul piano del principio della politica del diritto. È il frutto - lo possiamo dire anche con orgoglio e mi riferisco anche al ruolo sicuramente di coesione che ha svolto la relatrice, onorevole Mussolini - di un lavoro parlamentare effettuato in Commissione giustizia in un periodo pur difficile per arrivare a formule condivise, ma che hanno portato a questo testo unificato con il quale sostanzialmente si conclude un percorso. Come è stato accennato anche nel corso della relazione, si tratta di un percorso che poteva essere sicuramente risolto prima, che aveva avuto già un proprio inizio e un proprio sviluppo anche nella precedente legislatura con la proposta di legge delega dell’allora Ministro Bindi e che oggi, a metà di questa legislatura, viene in Aula con un testo in larga parte con- diviso e, auspichiamo alla fine totalmente condiviso anche all’esito dei miglioramenti che vorremmo apportare con degli emendamenti. Sicuramente si tratta di un sistema attuale ancora costruito sullo schema di un diritto ottocentesco della filiazione che è stato profondamente innovato nella direzione egalitaria con la riforma del 1975, ma che aveva bisogno di un passo ulteriore che completasse l’affermazione dell’uguaglianza fra tutti i figli indipendentemente dalla loro nascita all’interno o all’esterno del matrimonio soprattutto ai fini della parentela e, quindi, anche delle conseguenze in materia di successioni. Era necessario effettuare quella pulizia delle infinite incrostazioni che si sono accumulate nel tempo, soprattutto a seguito della menzionata riforma del 1975 e i numerosi e pregnanti interventi successivi operati dalla Corte costituzionale. Debbo dire che in questa materia, possiamo dire in maniera unanime, si sono affermate delle regole e dei principi della giurisprudenza, con interventi della Corte di Cassazio- AC 2519 e abbinate - Modifiche al codice civile in materia di riconoscimento e di successione ereditaria dei figli naturali (approvato il 30 giugno 2011 in testo unificato. Trasmesso al Senato) 219 Temi per la legalità ne e della Corte costituzionale che hanno svolto un ampio e meritorio lavoro di miglioramento e adattamento a quelle che erano le conseguenze naturali di quella riforma del 1975. Si tratta di un lavoro che ha supplito, purtroppo lo dobbiamo dire in senso critico, all’inerzia del legislatore italiano, a differenza dei legislatori dei paesi europei che negli ultimi vent’anni sono intervenuti in riforme radicali del diritto di filiazione.L’affermazione dell’uguaglianza dei figli indipendentemente dalla loro nascita all’interno o all’esterno del matrimonio è stata ripresa anche nelle decisioni della Corte europea dei diritti dell’uomo che tratteggiano come la famiglia sia l’organismo che presuppone lo sviluppo della personalità dei suoi componenti. Ne derivano una serie di corollari tra i quali sicuramente quello della tutela dei figli per se stessi, quale che sia la fonte di costituzione del legame giuridico. D’altro canto, già l’articolo 39 della nostra Costituzione della Repubblica non consente discriminazioni riguardo ai figli. L’unico punto di equilibrio va visto in relazione alla compatibilità con gli altri diritti fondamentali paritari della cosiddetta famiglia ristretta, che deve essere valutato ed è risolto in questo disegno di legge attraverso la valutazione del giudice, senza condizionamenti. Si tratta dell’unico status di filiazione che implica verità biologica e assunzioni di responsabilità. 220 Siamo riusciti attraverso un dialogo con il Governo e una presa di posizione da parte della relatrice e dei gruppi parlamentari - e anche noi del gruppo del Partito Democratico vogliamo prenderci questo merito a portare in Aula, non soltanto una delega per il Governo. Sicuramente la seconda parte dell’articolo 2 è importante in quanto realizza e può realizzare in una materia così complessa, anche tecnicamente, quel raccordo necessario con i principi generali, ma è importante anche la prima parte, nella quale viene formulato un articolato ben preciso, che soprattutto va a toccare i punti fondamentali. Infatti, con la modifica dell’articolo 74 del codice civile, in nome del principio di eguaglianza, si introduce finalmente nel diritto italiano l’equiparazione in materia di parentela e l’abbassamento a quattordici anni di età per l’assenso al proprio riconoscimento, e soprattutto con la modifica dell’articolo 315 del codice civile si prevede lo stato giuridico della filiazione, un unico stato di figlio. Tale articolo, come modificato, prevederà il diritto del figlio al mantenimento, all’educazione e all’istruzione a carico dei genitori e recepisce il principio, costantemente affermato dalla giurisprudenza in modo unanime, secondo il quale l’obbligo discende dal rapporto genetico di filiazione e non dal matrimonio, come ancora stabilisce l’articolo 147 del codice Riconoscimento dei figli naturali civile, che quindi dovrà, nell’opera sistematica di raccordo, sicuramente essere abrogato. È ormai assodato che mentre gli aspetti patrimoniali concernenti i doveri dei genitori di mantenimento e i profili economici dell’istruzione dipendono dall’aver generato un figlio, gli aspetti personali, l’educazione e i profili non strettamente patrimoniali di istruzione sono inscindibilmente legati all’esercizio della potestà genitoriale. Un altro aspetto importante, che abbiamo affrontato già in sede di Commissione - e pertanto in Aula giunge il testo come modificato dall’intervento della Commissione giustizia - è quello del nuovo terzo comma dell’articolo 315-bis sul tema dell’ascolto del minore, un obbligo di ascolto che è posto con riferimento ai minori di età pari o superiore ai dodici anni, ma che poi fa riferimento, sulla base di quanto previsto dalla Convenzione ONU sui diritti dei minori, al fatto che il minore deve essere sempre ascoltato, se capace di discernimento. Questo è un ulteriore passo rispetto alla previsione iniziale del testo base, conseguente anche all’accoglimento di un nostro emendamento. A fianco dei tradizionali doveri dei genitori nei confronti dei figli, il nuovo articolo 315-bis del codice civile contempla proprio il diritto dei figli all’assistenza morale dei genitori: il diritto di crescere con la propria famiglia, di avere rapporti con i parenti, di essere ascoltato ogni qual volta si tratti di questioni e procedure che lo riguardano e - l’ho detto in premessa - è stato aggiunto un ulteriore correttivo che demanda al giudice, senza condizionamenti o pareri di terzi, la valutazione di quella compatibilità con la famiglia ristretta prevista dal terzo comma dell’articolo 30 della nostra Costituzione. Ho già parlato della parte seconda di questo articolato, della delega al Governo, prevista nell’articolo 2, per cercare di raccordare tutte le altre disposizioni, una volta stabiliti i principi base informatori e che sostanzialmente ha tenuto conto (mentre era in corso il dibattito parlamentare sulle proposte di legge di iniziativa dei deputati Mussolini, Bindi, Palomba ed altri) di un intervento, di una delega che, a tutto tondo, aveva preparato nel frattempo il Governo, ma che - come ho già detto - ha visto anche da parte del Governo, ragionevolmente, tener conto del corso del dibattito parlamentare e della necessità che, su alcuni punti cardini e fondamentali che qualificano questo disegno di legge, ci fosse un articolato e quindi una norma immediatamente precettiva, di formazione totalmente parlamentare, che desse anche un significato più profondo a questo intervento legislativo. La delega, come è stato già detto nella relazione dell’onorevole Mussolini, prevede vari aspetti, alcuni saranno oggetto di ulteriori appro221 Temi per la legalità fondimenti e soprattutto correttivi, ci auguriamo anche in sede di emendamenti approvati dal Comitato dei nove e dall’Aula. Il punto su cui mi preme sollecitare l’attenzione dell’Aula e di tutti i gruppi è la questione affrontata nella delega alla lettera o) del comma 1 dell’articolo 2. Si tratta di un aspetto che non era stato affrontato nel disegno di delega che era stato già discusso dalla Commissione giustizia nella precedente legislatura - mi riferisco al disegno di legge d’iniziativa del Ministro Bindi - e che riguarda la nuova nozione di abbandono. Mentre la presente proposta di legge estende l’applicazione del principio di unicità dello stato di filiazione anche all’adozione - e ciò è giustissimo e ricco di implicazioni che devono essere colte a tutto tondo - riteniamo particolarmente criticabile - su questo abbiamo presentato un emendamento sia soppressivo che migliorativo - la nozione di stato di abbandono. Leggo il testo della lettera o): «Specificazione della nozione di abbandono con riguardo alla mancanza di assistenza da parte dei genitori e della famiglia che abbia determinato una situazione di irreparabile compromissione della crescita del minore», fermo restando che questa condizione non può derivare dalla condizione di indigenza dei genitori. Questa espressione contenuta nella delega che fa riferimen222 to all’irreparabile compromissione della crescita per definire la nozione di abbandono costituisce un criterio estremo che avrà un effetto perverso, non conforme all’intenzione di chi ha previsto la delega, produrrà l’effetto di ridurre drasticamente le dichiarazioni di adottabilità, circoscrivendole in gran parte soltanto al caso di bambini non riconosciuti alla nascita, e va in direzione contraria a tutta la politica del diritto in materia adottiva che ha indirizzato l’azione del legislatore e dei giudici sin dal 1967 e che ha dato ottima prova su questo punto. È soprattutto pericolosa la parola «irreparabile», meglio suonano le parole «irreversibilità» o «non transitoria», come abbiamo previsto anche in un «emendamento costruttivo», che ricorre abitualmente nei provvedimenti sullo stato di adottabilità ed è ampiamente usata. Sono infatti pervenute segnalazioni consapevoli, responsabili e significative di una partecipazione alla materia anche da parte di molti giudici minorili che sostanzialmente si rifanno a questo principio: non si può consentire che i bambini corrano i rischi di gravi danni irreparabili per essere poi adottati ed i diritti del bambino - salute, integrità fisica e psichica, istruzione devono essere tutelati nei confronti delle condotte pregiudizievoli dei genitori. I tribunali dei minori interverranno quindi - perché questo è il loro compito, lo auspichiamo e tante Riconoscimento dei figli naturali volte li critichiamo se non lo fanno - nei confronti delle condotte pregiudizievoli con strumenti di protezione che vanno dall’affidamento al servizio sociale all’allontanamento dal nucleo con inserimento in comunità o a famiglia affidataria, quindi più attiveranno gli strumenti di protezione che è loro compito attivare, meno potranno essere dichiarati adottabili i bambini per i quali invece la convivenza con i genitori è altamente pericolosa perché, dato che si sono attivati quegli strumenti, non ci potrà essere l’irreparabile compromissione della crescita. Ritengo quindi che questo sia uno dei punti su cui sicuramente dovremo trovare una via di correzione perché credo che sia una formula male utilizzata, che non può non tener conto dell’elaborazione della giurisprudenza e dell’interesse del minore.Credo che la lettera p) del comma 1 dell’articolo 2, altro aspetto importante, che è stata anch’essa corretta in sede di emendamenti e che prevede la segnalazione ai comuni da parte dei tribunali per i minorenni delle situazioni di indigenza dei nuclei familiari e richiede anche interventi di sostegno per consentire al minore di essere educato e la previsione di controlli da parte del tribunale dei minorenni in relazione alle situazioni segnalate, abbia un significato che vada oltre il suo aspetto letterale. Essa implica un rafforzamento dei principi che già sono nella legge n. 184 del 1983, un problema legato alla questione politica ed economica delle risorse che vengono destinate dallo Stato e dagli enti locali alle politiche di assistenza. Si tratta - lo sappiamo tutti - di risorse largamente inferiori ai bisogni. Si potrebbe anche immaginare, in sede di attuazione della delega, di prevedere che i tribunali per i minorenni e ordinari e le rispettive procure chiamate a prendere provvedimenti in materia di potestà possano convocare i comuni per farsi illustrare che cosa questi intendano fare, in realtà e in concreto, per porre rimedio alla situazione sociale ed economica della famiglia in cui vi è il rischio che il minore non possa avere quello sviluppo armonioso a cui ha diritto e che noi tutti dobbiamo cercare di avviare a un’effettiva realizzazione. Signor Presidente, ho tracciato gli aspetti che ci hanno visti uniti in questa battaglia e anche quelli che, a nostro avviso, devono e possono essere migliorati. Ritengo, comunque, che sia sicuramente un momento importante quello che abbiamo oggi raggiunto; un momento in cui, fuori da pregiudizi ideologici, si cerca di svolgere il ruolo effettivo del legislatore, che è quello di cogliere le istanze della società e di cercare anche di non svolgere soltanto un’attività notarile, ma di promuovere lo sviluppo, e quindi la crescita, della società attraverso l’attuazione piena dei nostri principi costituzionali. 223 Temi per la legalità 224 Settembre 2011 “C’è un filo rosso – dice Donatella Ferranti nella sua introduzione – che ha tenuto insieme prima il magistrato ed ora il deputato nella sua esperienza professionale: è il rigoroso rispetto, non solo formale, dei principi costituzionali che attengono ai diritti fondamentali della persona ed in particolare all’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge. Quella sottolineatura – rispetto non solo formale – rappresenta la cifra della personalità della Ferranti: il magistrato, ieri, che nella Costituzione ha visto la sua armatura e ne ha compreso i valori d’insieme; il deputato, oggi, che svolge il compito alto della politica in conformità a quei valori medesimi: affrontare con intelligenza ed apertura i problemi del Paese, riflettere sulle sue povertà e le sue risorse, prospettare soluzioni, avanzare proposte, richiamare quelle virtù repubblicane che fanno riscoprire il gusto della cittadinanza, combattere l’indifferenza e l’opacità dei comportamenti”. (dalla prefazione di Virginio Rognoni)