Temi per la legalità

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Temi per la legalità
T EM I PER LA
LEGALITÀ
di Donatella Ferranti
Interventi in Aula alla Camera dei deputati
nella XVI Legislatura
Prefazione di Virginio Rognoni
In copertina una riproduzione della carta Giustizia
dei tarocchi di Emanuele Luzzati
Provvedimenti urgenti per le sedi disagiate degli uffici giudiziari
Alla mia famiglia
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Discorsi parlamentari
Donatella Ferranti, deputato, è capogruppo del Partito Democratico nella Commissione Giustizia, componente della Giunta
per le autorizzazioni a procedere, del Comitato parlamentare
per i procedimenti d’accusa e componente supplente del Collegio
d’appello, organo giurisdizionale della Camera dei deputati.
Magistrato, è eletta per la prima volta il 22 aprile 2008 nella
circoscrizione XVI (Lazio 2).
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Provvedimenti urgenti per le sedi disagiate degli uffici giudiziari
temi per la legalità
Interventi in Aula alla Camera dei deputati
di
Donatella Ferranti
Prefazione
di
Virginio Rognoni
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Discorsi parlamentari
Per la pubblicazione di questa raccolta di interventi ringrazio
Roberto Traversa, Angelo Summa, Clelia Tanda, Mattia Morandi,
Marco Orefici e Sandra Giangreco del Gruppo del Partito
Democratico della Camera dei deputati.
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Provvedimenti urgenti per le sedi disagiate degli uffici giudiziari
Indice
Prefazione. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9
di Virginio Rognoni
Introduzione. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13
di Donatella Ferranti
Interventi in Aula alla Camera dei deputati
leggi ad personam
Lodo Alfano. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21
Legittimo impedimento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 23
Intercettazioni (prima lettura). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 29
Intercettazioni (seconda lettura) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 52
Scudo fiscale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 57
Processo breve.. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 63
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Discorsi parlamentari
sicurezza
Emergenza rifiuti in Campania . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 79
Pacchetto sicurezza. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 87
Rito abbreviato .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 95
Filtro in Cassazione (prima lettura) . . . . . . . . . . . . . . . 101
Filtro in Cassazione (seconda lettura) . . . . . . . . . . . . . 105
funzionalità
Sedi disagiate degli uffici giudiziari (2008). . . . . . . . . . . . 111
Sedi disagiate degli uffici giudiziari (2010). . . . . . . . . . . . 121
Legge finanziaria 2010 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 133
Mille-proroghe.. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 137
Stato della giustizia 2010. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 145
mafia
Agenzia antimafia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 163
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Competenza sui reati di grave allarme sociale . . . . . . . . 173
Piano antimafia. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 181
Provvedimenti urgenti per le sedi disagiate degli uffici giudiziari
diritti della persona
Violenza sessuale e stalking. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 187
Disposizioni in materia di violenza sessuale. . . . . . . . . 199
Omofobia e discriminazione sessuale. . . . . . . . . . . . . . 209
Pedo-pornografia
Protezione dei minori contro lo sfruttamento e l’abuso
sessuale. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 215
Riconoscimento dei figli naturali . . . . . . . . . . . . . . . . . . 219
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Discorsi parlamentari
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Prefazione
Prefazione
di Virginio Rognoni
Questa raccolta di alcuni interventi che l’onorevole Donatella Ferranti ha fatto nell’Aula di Montecitorio in questa sua prima legislatura è la testimonianza di una forte e vissuta passione civile. «C’è un
filo rosso – dice Donatella Ferranti nella sua introduzione – che ha
tenuto insieme prima il magistrato ed ora il deputato nella mia esperienza professionale: è il rigoroso rispetto, non solo formale, dei principi costituzionali che attengono ai diritti fondamentali della persona
ed in particolare all’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge».
Quella sottolineatura – «rispetto non solo formale» – mi pare sia proprio la cifra della personalità della Ferranti: il magistrato, ieri, che
nella Costituzione ha visto la sua armatura e ne ha compreso i valori
d’insieme; il deputato, oggi, che svolge il compito alto della politica
in conformità a quei valori medesimi: affrontare con intelligenza ed
apertura i problemi del Paese, riflettere sulle sue povertà e le sue
risorse, prospettare soluzioni, avanzare proposte, richiamare quelle
virtù repubblicane che fanno riscoprire il gusto della cittadinanza,
combattere l’indifferenza e l’opacità dei comportamenti.
In Donatella, naturalmente, per il suo passato di magistrato, arricchito dalla validissima esperienza di Segretario Generale del Consiglio superiore della magistratura, la “narrazione”, si direbbe, della
storia del Paese e del suo futuro è declinata prevalentemente sui temi
della giustizia e delle garanzie di libertà dei cittadini. Sono gli articoli 2 e 3 della Costituzione – splendidi per la forza persuasiva che
danno ai principi enunciati e agli obbiettivi che indicano («La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo… È compito
della Repubblica rimuovere gli ostacoli… che impediscono il pieno
sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese»)
sono questi articoli – così, con buone ragioni, mi piace di pensare – la
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Introduzione di Donatella Ferranti
spinta ideale della Ferranti, ciò che muove i suoi passi nella difficile
e tormentata attività parlamentare.
Basta dare uno sguardo ad alcuni dei temi qui raccolti per averne
la prova. L’intervento critico nei confronti dei pubblici poteri sulla
disastrosa situazione della Campania coi rifiuti nelle strade di Napoli. Il tema della sicurezza e la denuncia del “voto muscolare” che
si manifesta nell’azione di governo. Il sistema carcerario e l’indubbia regressione nella tutela dei diritti fondamentali che, a valle, una
certa politica della giustizia inevitabilmente produce. Il rapporto
fra politica e magistratura che viene esasperato nei suoi elementi di
criticità, per giustificare misure inaccettabili che intaccano l’ordinamento giurisdizionale previsto dalla Costituzione e l’uguaglianza dei
cittadini di fronte alla legge. La funzionalità del sistema giudiziario,
considerata, in alcuni interventi, in via generale e, in altri, con riferimento a specifici meccanismi processuali; tutti temi trattati con
rigore e competenza. E, così, vari interventi sulle problematiche della
violenza, con particolare riguardo alla protezione dei minori contro
lo sfruttamento e l’abuso sessuale.
Tralasciando altri temi su cui la Ferranti è intervenuta, qui giustamente raccolti, non va dimenticato l’intervento sul “Piano straordinario contro le mafie”, che testimonia la sua grande e preoccupata
attenzione verso una ingiuria criminosa, macchina infernale di corruzione e inquinamento diffusi. Contro questa criminalità non sono
certo d’aiuto altalenanti progetti governativi in tema di intercettazioni telefoniche che la Ferranti fermamente denuncia, non diversamente dal tentativo di modificare il rapporto fra Ufficio del Pubblico
ministero e attività di polizia, svuotando, di fatto, la netta prescrizione costituzionale secondo la quale «l’autorità giudiziaria dispone
direttamente della polizia giudiziaria».
Da sottolineare anche l’intervento sulla «amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata». Qui la Ferranti si allinea decisamente con chi vede nella sottrazione della “roba” alla mafia il colpo più duro che può essere inflitto
al potere mafioso; attenzione, allora, aggiunge la Ferranti, se, per
meccanismi e procedure discutibili, quali la vendita all’asta del bene
confiscato, la mafia non ne torni in possesso; sarebbe forse peggio
della fuga dal carcere del capo mafioso che vi è detenuto.
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Prefazione
Ecco i temi su cui, fra altri ancora, la Ferranti si è impegnata nell’Aula parlamentare. Temi per la legalità, come la stessa Ferranti ha voluto presentarli, ed è proprio così.
La legalità, il principio di legalità come presupposto indiscusso dello
Stato di diritto, come «sentimento e coscienza delle regole», delle regole tutte cui non può sottrarsi neppure la “sovranità popolare”, che
deve essere, appunto, esercitata nelle forme e nei limiti della Costituzione. Che sia questo un principio cardine del nostro sistema è fuori di dubbio; che tutti lo ricordino è un’altra questione. Proprio per
questo, è giusto che dalle Aule del Parlamento – massima espressione
della sovranità popolare – salgano voci e moniti come questa pacata
ed esemplare riflessione di Donatella Ferranti.
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Introduzione di Donatella Ferranti
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Temi per la legalità
Introduzione
di Donatella Ferranti
Nel marzo 2008, quando accettai la candidatura alle elezioni politiche,
non mi fu facile abbandonare il ruolo di magistrato, esercitato per oltre
venticinque anni; e, allora, non immaginavo quanto i temi della giustizia
o, meglio, dei rapporti della giustizia con il Potere e non certo del miglioramento del servizio ai cittadini, avrebbero attratto, oltre ogni misura,
attenzioni ed energie. In questi anni il Governo e la sua maggioranza
parlamentare hanno imposto priorità artificiose, con lo sguardo rivolto
non agli interessi collettivi ma a quelli personali e privati di pochi, per
non dire del solo presidente del Consiglio.
Come principale partito dell’opposizione abbiamo contrastato, facendo
ricorso a tutte le legittime risorse della dialettica parlamentare, la deriva
“privatistica” dell’azione politica della maggioranza di Governo. Anche
alla Camera dei deputati, e specificamente entro la Commissione Giustizia
dove ho ricoperto l’incarico di capogruppo del Pd, l’opposizione ha lavorato duramente in difesa dei diritti di tutti. Non sempre la nostra fatica e il
nostro impegno hanno avuto visibilità, sono riusciti a varcare la soglia del
“Palazzo”; ed è per questa ragione che, a metà circa della Legislatura, ho
deciso di raccogliere e pubblicare alcuni dei miei interventi parlamentari,
con la speranza che possano costituire uno spunto di riflessione.
Il filo rosso che unisce il prima (il magistrato) ed il dopo (il deputato)
della mia esperienza professionale è il rigoroso rispetto, convinto e non
solo formale, dei principi costituzionali che attengono ai diritti fondamentali della persona, primo fra tutti l’uguaglianza dei cittadini di fronte
alla legge. Lungo questa direttrice mi sono mossa contrastando iniziative
governative e di maggioranza improntate a logiche emergenziali, votate
alla propaganda e lontane da obiettivi di organica razionalità.
Penso al modo con cui si è affrontato il delicato tema della sicurezza;
penso ai cosiddetti “pacchetti sicurezza” dei Ministri Maroni e Alfano, in
cui si sono affastellate norme penali, sostanziali e processuali, che hanno modificato in maniera frammentaria e disorganica parti significative
dell’ordinamento. Una legislazione, questa, che ha mirato a “mostrare i
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Introduzione di Donatella Ferranti
muscoli” ma non a risolvere i problemi, a conquistare il consenso emotivo della pubblica opinione, senza porre mano alle grandi questioni delle
necessarie riforme strutturali, dall’effettività della sanzione al rafforzamento delle politiche di prevenzione, di informazione e formazione.
Politiche della sicurezza miopi, che accentuano la disuguaglianza, alimentano l’emarginazione sociale di intere categorie di persone, a cui si
negano diritti e che sono inevitabilmente spinte verso l’illegalità.
Intanto, il sovraffollamento carcerario ha raggiunto proporzioni drammatiche, conseguenza soprattutto delle politiche securitarie che hanno
prodotto leggi ‘riempicarcere’. Il carcere ha smarrito ogni pur labile pretesa rieducativa e di reinserimento sociale e si atteggia esclusivamente
come fattore di svilimento dei diritti della persona, potenziando indiretti
effetti criminogeni.
La Corte europea dei diritti dell’uomo ha più volte ricordato che il buon
funzionamento del sistema carcerario nel rispetto dei diritti dei detenuti
è il più importante indicatore del grado di civiltà e democrazia di un
Paese. Su questo drammatico versante la maggioranza di Governo si è
sottratta al doveroso impegno di una seria programmazione legislativa
per restituire, al sistema penitenziario e giudiziario, efficienza e funzionalità; ha invece intrapreso una pericolosa azione di ridimensionamento
della magistratura in nome di un “riequilibrio” dei rapporti con la Politica
che sarebbe stato incrinato dall’esperienza di Tangentopoli, trascurando
così, se non addirittura violando, i principi costituzionali che delineano
la giurisdizione come fattore di garanzia dei diritti e delle libertà.
Così, il cosiddetto “lodo Alfano” prima e la legge sul “legittimo impedimento” dopo avevano il malcelato fine di introdurre surrettiziamente
immunità e privilegi per il Presidente del Consiglio, aprendo la breccia
per la reintroduzione nel sistema dell’immunità parlamentare, eliminata
nel 1993! Ma non è attraverso questa strada, per la cattiva prova che l’immunità parlamentare ha dato nel recente passato, che si può recuperare la
necessaria tensione etica nella vita pubblica, unico vero antidoto a degenerazioni illiberali del potere.
Non ignoro che la giustizia, l’amministrazione della giustizia, necessita
di riforme: in particolare, l’estenuante lunghezza dei processi causa alti
costi, non solo economici, ai cittadini e al Paese tutto, nonostante l’impegno di magistrati e personale amministrativo nella carenza di mezzi e
di risorse. Ed è per questa ragione che la maggioranza di Governo è poli14
Temi per la legalità
ticamente responsabile di fronte al Paese, per non aver voluto affrontare
i veri nodi della giustizia, intervenendo, come sarebbe stato necessario
e urgente, per la semplificazione delle forme processuali e, al contempo,
potenziando e ammodernando l’organizzazione giudiziaria.
Oltre i “tagli lineari” che si sono susseguiti nei bilanci annuali dello Stato, nessuna iniziativa è stata intrapresa dal Ministro della Giustizia per
l’ottimizzazione delle risorse e dell’organizzazione degli uffici giudiziari;
ed anche i progetti di informatizzazione si sono ridotti alle più modeste
dimensioni della digitalizzazione di atti e nella posta certificata, peraltro
realizzata solo in alcune sedi ed ancora in via sperimentale .
Sul terreno della riforma costituzionale, definita “epocale” dal ministro Alfano, i contenuti delle proposte sono preoccupanti, perché mettono in serio
pericolo l’obbligatorietà dell’azione penale e l’autonomia e l’indipendenza
della magistratura, primaria garanzia dell’uguaglianza dei cittadini.
Per non parlare poi della riforma delle intercettazioni telefoniche, sorta con
la precisa finalità, nemmeno tanto occulta, di ridurre drasticamente il ricorso degli inquirenti a questo essenziale mezzo di ricerca della prova per
il contrato del crimine, e di mortificare il diritto di informazione e all’informazione. E tanto in un contesto di grande espansione delle attività illecite e in presenza, come è stato denunciato dal Procuratore generale della
Corte dei conti, di livelli di corruzione molto alti, che rappresentano una
patologia dilagante nella pubblica amministrazione. Il Governo, invece di
potenziare l’azione di contrasto alla criminalità, nega le necessarie risorse
materiali e personali alle Forze di polizia e alla magistratura inquirente;
e, per completare un quadro paradossale, promuove leggi di irragionevole
riduzione dei termini di prescrizione dei reati, che consegnerebbero al macero anni e anni di fatica investigativa e di lavoro nei tribunali.
Io non ho formule taumaturgiche per uscire dalla grave crisi istituzionale. Però, come ha scritto Valerio Onida, il rapporto tra politica e giurisdizione può essere recuperato allentando il conflitto e la tensione, con la
volontà, oltre che la lealtà reciproca, di attuare i principi costituzionali: il
ceto politico deve allontanare da sé la “tentazione” di porre mano ai problemi della giustizia limitando l’autonomia e l’indipendenza della magistratura. I magistrati, dal canto loro, devono rafforzare la consapevolezza
che la propria fonte di legittimazione è “nei compiti ad essi affidati di
salvaguardia dei diritti e delle regole costituite e nei requisiti di competenza e di indipendenza che essi debbono possedere”.
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Introduzione di Donatella Ferranti
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Interventi alla Camera dei deputati
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Introduzione di Donatella Ferranti
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Leggi ad personam
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Introduzione di Donatella Ferranti
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Seduta n. 32 di giovedì 10 luglio 2008
Lodo Alfano
Esame degli articoli
Signor Presidente, onorevoli colleghi, questa mattina ho ascoltato con
attenzione gli interventi dei colleghi
della maggioranza, sperando di individuare un filo conduttore che mi
portasse a capire qual è stato realmente lo spirito del provvedimento
che si sta per approvare, e che francamente lede vari principi della nostra Costituzione e del nostro ordinamento democratico.
In realtà vorrei rilevare che negli interventi della maggioranza vi sono
delle forti contraddizioni. C’è chi,
in maniera molto più diretta, fa un
chiaro riferimento all’interesse alla
sospensione del processo penale che
pende a carico del Presidente del
Consiglio. C’è chi cerca di riportare
gli interventi dell’Aula, di quest’Aula che rappresenta il popolo italiano,
a dei principi più alti e parla quindi
di riflessione in tema di sistema della
politica, di sistema della giustizia.
Ma queste stesse contraddizioni le
abbiamo vissute in Commissione
giustizia. È qui presente il Ministro Alfano, che ha presentato alla
Commissione giustizia riunita il
programma dei lavori del suo Ministero e non ricordo, Ministro, che
lei nell’illustrare il programma abbia
mai detto che di lì a poco sarebbe
stato il padre di questo lodo, il lodo
Alfano. Ha parlato di un programma
per la giustizia, per l’efficienza della
giustizia, senza tagli; anzi, ha detto
che avrebbe fermamente lottato per
aver più mezzi, perché ovviamente
la giustizia ne ha bisogno. Ma non
ha mai parlato del vero programma.
Ha parlato di riforma dei codici,
ha detto che avremmo riformato il
codice penale e il codice civile, ha
fatto un larvato riferimento a una
riforma, comunque a una revisione
della disciplina delle intercettazioni,
ma non ha mai parlato del vero programma, quello che ci siamo trovati
addosso in Commissione giustizia,
quello che serviva a risolvere non i
problemi della giustizia, ma i problemi giudiziari delle alte cariche dello
Stato. Anzi, rettifico, perché rispetto
chi ricopre alte cariche dello Stato,
il Presidente la Repubblica, il Pre-
Legge n. 124 del 23 luglio 2008 - Disposizioni in materia di sospensione del
processo penale nei confronti delle alte cariche dello Stato
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sidente della Camera, il Presidente
del Senato, che non hanno pendenze giudiziarie. In realtà si volevano
risolvere i problemi giudiziari del
Presidente del Consiglio.
Ci siamo trovati quindi in un mese
a far fronte ai colpi di una decretazione d’urgenza, dell’inserimento
in Aula dei due emendamenti «salvapremier», del contingentamento
di tempi per approvare il disegno di
legge in esame, che è stato portato
soltanto ieri all’esame della Commissione.
Avete ottenuto il vostro mandato
elettorale sulla base di un programma in cui parlavate di sicurezza dei
cittadini, di funzionamento della
giustizia, del maggior potere d’acquisto dei salari degli italiani: mai,
invece, nel programma o nei vari
dibattiti che avete fatto in campagna
elettorale, avete parlato delle pendenze del Presidente del Consiglio.
Eppure, agite come se la maggioranza che avete ottenuto (senza rappresentare la realtà dei vostri scopi) vi
autorizzasse a creare un privilegio
assoluto per i governanti, in spregio
dei principi costituzionali.
Oggi si sta compiendo un grave attacco alla Costituzione, e credo che
molti ne siano consapevoli, inclusi
alcuni di voi della maggioranza: si
introduce infatti un privilegio perso-
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nale, violando la pari efficacia formale delle leggi e proponendo una
disciplina incoerente.
Per giustificare ciò, è stata utilizzata impropriamente – anche da parte
di colleghi che hanno svolto il mio
stesso mestiere prima di fare il deputato – una sentenza della Corte
costituzionale: e questa è una cosa
grave, poiché tutti sappiamo leggere ed interpretare una sentenza
della Corte. Si è infatti letta ad uso
e consumo personale una sentenza
che non avallava assolutamente una
legge come quella al nostro esame.
La Corte costituzionale ha infatti
considerato solo in via generale una
possibilità di comparazione dei valori al fine di un sereno svolgimento
dell’attività governativa. Ma il prestigio delle istituzioni è assicurato
non già da espedienti tecnici, quali
sono le norme che ritardano la celebrazione dei processi, ma dal valore
e dagli ideali perseguiti, dal disinteresse personale, dalla probità dei
governanti, dal loro rigore morale e
dalla loro intelligenza politica.
Chiedo, pertanto, in conclusione che
venga approvato questo emendamento, il quale almeno evita la sospensione in presenza di processi concernenti reati gravi (Applausi dei deputati
del gruppo Partito Democratico).
Legittimo impedimento
Seduta n. 272 di lunedì 25 gennaio 2010
Legittimo impedimento
Discussione sulle linee generali
Credo sia utile rammentare quale
sia la disciplina attuale del legittimo impedimento a comparire, una
norma che, per l’appunto, riguarda e
garantisce la partecipazione dell’imputato al suo processo.
In realtà, già oggi la disciplina che è
stata introdotta con il nuovo codice
di procedura penale del 1989 prevede che il giudice, anche d’ufficio, sospende o rinvia il dibattimento quando risulta che l’assenza sia dovuta o
quando appare probabile che sia dovuta a caso fortuito, forza maggiore
o altro legittimo impedimento.
La novità del 1988 fu proprio quella
della non necessità di prova assoluta
di esistenza: è sufficiente la semplice probabilità dell’impedimento, ove
questo sia assoluto. Con la proposta
in esame come si vuole stravolgere
questo sistema, che è già un sistema di
ampia e sufficiente garanzia dell’imputato a partecipare giustamente al
suo processo? Individuando ipotesi
astratte di legittimo impedimento
legate all’assolvimento concomitante di funzioni istituzionali quale Pre-
sidente del Consiglio o Ministro che,
per la loro genericità e il riferimento
all’attività politica, preparatoria, di
Governo, conseguente, o comunque connessa, fanno sì che in realtà
vi sia un automatismo rispetto alla
deduzione del legittimo impedimento, ossia dell’impedimento, rispetto
all’andamento del processo.
In realtà, questa materia non è nuova:
è già stata valutata dalla Corte costituzionale, che, nel risolvere dei conflitti di attribuzione, si è già espressa
nell’individuare quali sono i limiti
per il legislatore. I limiti sono proprio quelli - disse la Corte costituzionale in quelle sentenze del 2001 e
del 2003 - che non si può individuare
una soluzione automatica che fa poi
derivare come un automatismo necessario il legittimo impedimento e,
quindi, sospende il processo penale.
Proprio la giurisprudenza della Corte
costituzionale, infatti, ha valorizzato
un altro elemento critico che si cercò
all’epoca di individuare proprio con
riferimento al legittimo impedimento governativo e parlamentare. Nella
Legge n. 51 del 7 aprile 2010 - Disposizioni in materia di impedimento a
comparire in udienza (abrogata con il referendum del giugno 2011, Gazzetta
Ufficiale n. 167 del 20/07/2010)
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sentenza del 2001, infatti, proprio
in relazione alla regola che suggeriva la Camera dei deputati all’epoca - mi pare che si riferisse al caso
Previti - di configurare come legittimo impedimento la partecipazione
del parlamentare alle sole votazioni
in Assemblea, la Corte affermò che
tale regola acquisirebbe sempre una
impropria valenza derogatoria del
diritto comune.
Il punto è che l’introduzione di una
norma astratta, generalmente derogatoria delle regole processuali
comuni che valgono per tutti i cittadini, rischia di creare una ingiustificata disparità di trattamento tra
imputati titolari di cariche istituzionali e imputati che non lo siano.
Nell’assetto costituzionale vigente non ci possono essere garanzie
che differenzino la posizione degli
imputati tra di loro a seconda che
siano o meno titolari di cariche costituzionali se non attraverso il riferimento al testo costituzionale che
oggi è costituito dal nostro articolo
68, reduce tra l’altro da una modifica e da un referendum su questo
punto che ha ridotto o comunque
individuato quali sono le prerogative costituzionali dei parlamentari e, quindi, anche degli uomini
di Governo. Per questi ultimi, poi,
esiste una particolare disciplina che
riguarda i reati funzionali, ovvero
commessi nell’esercizio delle loro
funzioni, per cui esiste la giurisdizione del tribunale dei ministri.
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Quindi, qualsiasi deroga alla regola
di comune rispetto della giurisdizione andrebbe perlomeno prevista
con legge costituzionale e tra l’altro senza andare a ricercare lontano
nel tempo l’individuazione di quelle
sentenze che stabilirono i conflitti
abbiamo avuto una sentenza recente, quella che ha dichiarato incostituzionale il lodo Alfano - la n. 262
del 2009 -, che ha ribadito gli stessi
concetti.
Questo testo di legge - sul quale,
qualora non venga modificato, possiamo sin da ora annunciare il nostro voto contrario - sostanzialmente crea quell’automatismo che non
può essere accolto in un principio
di compatibilità del sistema. Diverso è se la qualificazione dell’azione
governativa come legittimo impedimento processuale venga a sottostare ad una valutazione nel caso concreto del giudice che ha il governo e
la responsabilità del processo.
Infatti, se in altri procedimenti legislativi (che, come abbiamo visto,
hanno avuto un iter abbastanza travagliato, ma comunque concluso
nell’ambito del Senato, il cosiddetto
provvedimento riconducibile alla
nozione di processo breve, o comunque processo di ragionevole durata)
vediamo come venga valorizzata
la responsabilità del giudice nella
conduzione del processo e, quindi,
anche nell’assicurare dei tempi alla
giustizia, in questo caso si deroga
incoerentemente a tutto quello che
Legittimo impedimento
di là è stato detto. Infatti, in questo
caso il giudice è soltanto passivamente un notaio di avvenimenti che
riguardano e si formano fuori dal
processo. Possono addirittura derivare da comportamenti unilaterali
di chi è titolare della funzione pubblica, che governa i tempi dei suoi
impegni molte volte e che, quindi,
determinerebbe immediatamente il
governo anche dei tempi processuali, anzi della sospensione automatica e senza contraddittorio alcuno
dell’attività processuale.
Quindi non si può ricorrere, come
accade nella proposta concreta, a
formule vaghe e onnicomprensive in
cui si parla anche per i ministri di attività inerenti alle funzioni istituzionali o politiche comunque regolate
o facenti riferimento a delle norme
generali che non tipizzano, perché
non può essere tipizzata l’attività di
Governo. L’attività di Governo può
essere tipizzata in alcune sue forme,
ad esempio nel caso della riunione di
un Consiglio dei ministri, ma in tante altre diventa qualcosa che non può
essere stretto entro dei paletti così
stringenti, ma deve essere qualcosa
che si adatta e si conforma alle esigenze dell’amministrazione. Quindi,
in quanto tale non può essere tipizzata in maniera generale e astratta e
deve essere valutata in concreto dal
giudice nel contraddittorio delle parti, perché un processo ha delle parti:
oltre all’imputato c’è il pubblico ministero e la parte civile.
Se lo scopo fosse quello di assicurare la possibilità di difendersi personalmente nel processo, senza pregiudicare il compimento di attività
connesse all’ufficio, nella legge si
dovrebbe trovare un adeguato contemperamento di queste esigenze.
Se invece, come viene anche ammesso e sbandierato, si intende tutelare la funzione istituzionale evitando la necessità di difendersi nel
processo, perché esso può turbare
- come si dice nella relazione e nella
premessa - lo svolgimento dell’attività connessa alla carica, allora la
strada non è quella della modifica
della norma processuale del codice
di procedura penale. Ciò vuol dire
ammettere che l’impedimento deve
valere a tempo indeterminato, cosa
che in realtà provoca una sospensione del processo e quindi la via non
può essere quella della modifica della legge ordinaria, ma deve essere
necessariamente quella della legge
costituzionale. Il tutto, come dicevo,
sempre attraverso un contraddittorio
con le altre parti.
Questa legge è talmente fatta su misura di due processi, dove non mi
risulta che si siano costituite delle
parti civili, che in realtà non si prova
nemmeno a pensarci. Si formula una
norma generale e astratta, sia pure
con una premessa che la riconduce ad
una specifica esigenza quasi palesata,
e poi d’altro canto si introduce un mostro giuridico che fa venir meno qualsiasi principio del contraddittorio. Il
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Temi per la legalità
principio del contraddittorio è tanto
richiamato da tutti, sia al Governo
che nel Parlamento, come un principio basilare che deve essere effettivamente garantito, ma poi non si tengono in nessun conto i costi materiali e
umani che derivano dalle udienze che
dovrebbero perciò essere limitate allo
stretto indispensabile: è il giudice che
ne dovrebbe tener conto nella valutazione concreta. Non si tiene conto del
sacrificio dei diritti delle altre parti,
anche della parte pubblica che rappresenta lo Stato nell’esercizio della
sua potestà punitiva.
In conclusione, ritengo che l’esigenza di permettere l’esercizio di funzioni pubbliche da parte di un componente di un organo costituzionale,
delle Camere parlamentari o di una
carica pubblica o governativa che sia
imputato in un processo, consentendo il regolare e integro svolgimento
delle stesse funzioni - mi permetto
di rappresentarlo a tutti, ma credo
che tutti quanti voi già lo sappiate - è
già pacificamente considerata come
causa di possibile legittimo impedimento, valutata nel caso concreto
dal giudice, che dà luogo al rinvio
dell’udienza. In tal senso è dominante la prassi giudiziaria, la giurisprudenza dei giudici comuni e della
Corte costituzionale. Quindi l’affermazione contenuta nelle premesse
del testo della legge appare inutile
e demagogica, ed è volta in realtà
a giustificare all’opinione pubblica
un’inutile legge ad personam.
26
Il principio base da seguire, infatti, se si vuole assolvere al ruolo di
legislatore e se questo legislatore
non deve solo e soltanto perseguire
gli interessi di un singolo, è sempre
quello del bilanciamento tra contrapposte esigenze: da un lato, vi è l’interesse all’effettivo esercizio della
funzione giurisdizionale attraverso
la celebrazione del processo, dall’altro, vi è l’interesse al continuativo e
regolare svolgimento delle funzioni
pubbliche, specie se facenti capo ad
organi costituzionali.
Questa disciplina che si vuole introdurre è l’ennesimo tentativo di
piegare le regole del sistema alle
esigenze processuali di una sola persona, poiché stabilisce a priori e in
modo vincolante che la titolarità e
l’esercizio di funzioni costituiscono
sempre legittimo impedimento per
tutta la durata della carica pubblica,
per lunghi periodi di tempo predeterminati, prescindendo da qualsiasi
valutazione del caso concreto, prescindendo dall’effettiva connessione
di quell’impedimento, di quell’impegno all’esercizio della funzione
di Governo. Si traduce in una vera
e propria prerogativa di titolari di
cariche pubbliche, diretta a proteggerne lo status e la funzione, realizza una deroga al normale esercizio
della funzione giurisdizionale che
solo il legislatore costituzionale può
eventualmente stabilire. Tutto questo mentre il Paese attraversa una
crisi difficilissima e nessun progetto
Legittimo impedimento
organico di riforma per la giustizia è
stato di fatto elaborato né sottoposto
all’esame parlamentare.
Mi avvio a concludere, Presidente.
Un’altra riflessione mi è d’obbligo
perché siamo all’ennesimo provvedimento ad personam che si colloca in una gincana di provvedimenti
sapientemente dosati nei tempi e nei
percorsi di discussione in Commissione e in Assemblea, tra Camera e
Senato, ora accelerati, ora rallentati,
con uno spreco di tempo, di energie,
di risorse pubbliche in Parlamento e
con l’unico, ossessivo scopo di sospendere i processi in corso di cui
abbiamo parlato tante volte.
Lascia perplessi, e devo dire personalmente sconcertati, il fatto che
molte intelligenze politiche si sforzino di trovare comunque una giu-
stificazione alla reintroduzione di
una immunità parlamentare che,
partendo dalle contingenti pendenze
penali del Presidente del Consiglio,
viene individuata come la condizione necessaria per restituire alla politica la forza e la capacità decisionale
perduta.
Credo, però, che noi tutti dobbiamo
stare attenti a ciò che agli occhi di
molti cittadini si pone come un ulteriore privilegio per la classe politica,
un venir meno del principio di eguaglianza dei cittadini dinanzi alla
legge in nome di una funzionalità di
Governo, quasi che il voto popolare
sia una sorta di purificazione da tutti
i peccati, anche di natura penale, e
come se, una volta eletti, rendesse il
rappresentante del popolo una sorta
di princeps legibus solutus.
27
Temi per la legalità
28
Intercettazioni - prima lettura
Seduta n. 138 di lunedì 23 febbraio 2009
Intercettazioni telefoniche (prima lettura)
Discussione sulle linee generali, intervento del relatore di minoranza
Abbiamo ritenuto necessario presentare una nostra proposta, un nostro
articolato che rappresenta una linea
coerente di contemperamento delle
esigenze di razionalizzazione del ricorso alle intercettazioni e la tutela
delle parti da improprie diffusioni di
dati non rilevanti per il procedimento con quelle di non compressione
delle esigenze di garantire efficaci e
tempestivi interventi di repressione
nell’immediatezza della commissione dei reati o nella permanenza
dell’azione criminosa o dei suoi effetti; il tutto senza pregiudizio nei confronti di intere categorie di operatori
della giustizia, senza voler attuare
interventi punitivi, senza lesioni irreparabili del principio costituzionale di informare e essere informati,
ribadito di recente nella sentenza del
2007 della Corte Europea dei diritti
umani (affaire Depuis).
L’esigenza di rivedere il sistema delle intercettazioni parte da alcuni episodi gravi - che hanno originato veri
e propri scandali - di pubblicazione
indiscriminata del contenuto delle
conversazioni ed intercettazioni,
nell’ambito di procedimenti penali
ancora in corso di indagine; dall’osservazione delle statistiche secondo
le quali l’Italia sarebbe il paese almeno in Europa - con il maggior
numero di intercettazioni effettuate;
dal lievitare dei costi per le captazioni, sempre più insostenibili, soprattutto in un paese che riduce annualmente i fondi per l’amministrazione
della giustizia.
Anche se nel valutare questi ultimi
dati sarebbe forse opportuno tenere
a mente alcune specificità del nostro
paese: come per esempio il fatto che
da noi non è consentito all’Esecutivo
intercettare in via autonoma, sicché
anche le intercettazioni preventive
richiedono pur sempre l’autorizzazione della magistratura. Il che fra
l’altro comporta che tutte le intercettazioni vengano alla luce e possano
essere registrate, mentre nei numeri delle intercettazioni di altri Paesi
(l’Inghilterra ne è l’esempio più ecla-
AC 1415 Disegno di legge - Norme in materia di intercettazioni telefoniche,
telematiche e ambientali. Modifica della disciplina in materia di astensione
del giudice e degli atti di indagine. Integrazione della disciplina sulla responsabilità amministrativa delle persone giuridiche
29
Temi per la legalità
tante) si sconta un numero «occulto»
di intercettazioni, compiute all’insaputa delle statistiche ufficiali e della
conoscenza della collettività.
Le intercettazioni telefoniche sono
sicuramente uno strumento d’indagine insidioso, particolarmente invasivo, ma proprio per questo a volte
efficacissimo e insostituibile.
Le intercettazioni proprio perché implicano una lesione della libertà degli
individui alla segretezza delle comunicazioni, una libertà direttamente e
rigorosamente tutelata dall’articolo
15 della Costituzione, che ne subordina la restrizione sia alla riserva di
legge quanto alla riserva di giurisdizione, in termini ancora più rigidi di
quanto stabilito per la libertà personale, sono comunque uno strumento
d’indagine insostituibile e questo è
un dato che troppo spesso sembra
non essere sufficientemente valorizzato; così come è insostituibile il
diritto-dovere della stampa di poter
informare sulle inchieste penali, sul
modo in cui la giustizia viene concretamente amministrata, specie nei
casi più sensibili.
Sennonché l’impressione è che la
proposta del Governo abbia ecceduto proprio nella protezione della
libertà delle comunicazioni, quasi
ignorando che vi sono interessi con
essa confliggenti, interessi degni di
valore, anche costituzionale, che non
possono essere del tutto sacrificati.
L’articolo 2 infatti modifica gli ar30
ticoli 114 e 115 del codice di procedura penale, relativi al divieto di
pubblicazione di atti di indagine;
in particolare il comma 1 sostituisce il comma 2 dell’articolo 114 del
codice di procedura penale relativo
al divieto di pubblicazione, anche
parziale degli atti di indagine, anche
se non più coperti dal segreto, fino
a che non siano concluse le indagini
preliminari ovvero fino all’udienza
preliminare. Un black out informativo, si è sostenuto in più occasioni,
nel dibattito in Commissione che
costituisce un ritorno al passato:
l’articolo 164 del codice di procedura penale del 1930 vietava infatti di
pubblicare gli atti di istruzione fino
alla chiusura della stessa.
A differenza di quanto previsto dalla
normativa vigente prima della conclusione delle indagini preliminari
secondo la proposta del Governo
non sarà più possibile conoscere
del contenuto degli atti di indagine
e tanto meno del contenuto di conversazioni telefoniche oggetto di intercettazioni, siano o meno rilevanti
per le indagini.
La norma in sostanza ha eliminato la
distinzione tra atto e contenuto dello
stesso, con una conseguenza assai
pesante sull’esercizio del diritto fondamentale quale è il diritto di cronaca, che viene ad essere in modo
sproporzionato compresso sia sotto
il profilo temporale che sostanziale,
riguardando anche gli atti non più
coperti da segreto istruttorio.
Intercettazioni - prima lettura
Gli emendamenti presentati dal
gruppo di opposizione del PD, respinti in Commissione giustizia,
e ripresentati in aula così come la
nostra proposta di minoranza, sono
tutti volti a consentire che una volta caduto il segreto di indagine sia
possibile la pubblicazione del contenuto dell’atto di indagine, stabilendo
invece che per le intercettazioni il
divieto cada al momento in cui si sia
proceduto allo stralcio e cioè quando
il giudice abbia nel contraddittorio
delle parti, provveduto alla selezione delle conversazioni rilevanti per
il procedimento; mentre è stato ribadito con forza il divieto di pubblicazione con riferimento alle intercettazioni irrilevanti.
Si è cercato cioè un approccio non
monodimensionale come quello che
invece caratterizza la proposta del
Governo in tutti i suoi aspetti, sia
nella versione originaria che in quella
successiva all’emendamento presentato alla Commissione giustizia, che
ha inciso significativamente sui presupposti delle intercettazioni, realizzando in nome della protezione della
libertà della segretezza un’eccessiva
compressione della concorrente esigenza di repressione del reato.
Una riflessione specifica meritano
infatti i ripensamenti della maggioranza in tema di presupposti per l’intercettazione.
Nella proposta iniziale si prevedeva
che le intercettazioni fossero con-
sentite per un novero di reati molto
ridotto rispetto a quanto non sia previsto oggi. Rimaneva la possibilità
di intercettare i delitti dolosi contro
la pubblica amministrazione puniti
con cinque o più anni di reclusione
- pur con i molti dubbi pubblicamente esternati - ma si innalzava significativamente la soglia generale di
intercettabilità - delitti non colposi
per i quali è prevista la pena dell’ergastolo o della reclusione superiore
nel massimo a dieci anni di reclusione. In pratica, una significativa riduzione dei reati intercettabili, che è
stata immediatamente criticata - che
abbiamo immediatamente criticato
- perché alcuni gravi reati contro la
libertà personale e contro il patrimonio, puniti con la reclusione superiore ai cinque anni restavano esclusi,
come il sequestro di persona, come
l’usura, la ricettazione, oltre ad altri gravi reati: lo sfruttamento della
prostituzione, l’associazione per delinquere, eccetera.
Ma, soprattutto, si operava una selezione dei reati senza tenere conto
delle loro caratteristiche strutturali e
dell’utilità e necessità dell’intercettazione rispetto ad alcuni di essi; ci
sono reati infatti per i quali l’intercettazione è un mezzo praticamente
insostituibile: basti pensare a tutti i
reati che si concretano in una societas o in un pactum sceleris.
Era una soluzione priva di ragionevolezza che deprimeva in modo ingiustificato l’esigenza di prevenire e con31
Temi per la legalità
trastare i reati gravi, che è pure una
esigenza di rilievo costituzionale (che
mi pare trovi emersione soprattutto
nell’articolo 112 della Costituzione)
in nome di un generico richiamo ai
principi della tutela del cittadino a
vedere «tutelata la loro riservatezza
soprattutto quando estranei al procedimento», che troviamo espressa nella relazione illustrativa al disegno di
legge governativo.
Con il testo oggi in aula il Governo
ha fatto un’altra marcia indietro sui
reati intercettabili, si è tornati alla
formulazione del codice attuale contenuta nell’articolo 266, comma 1,
ma in compenso si è stabilito che le
intercettazioni sono consentite solo
quando vi siano gravi indizi di colpevolezza e non - come accade invece
oggi - in presenza di gravi indizi di
reato: cioè, mentre stando al codice
odierno per intercettare basta che vi
sia una prova certa che un reato grave è stato commesso, se il disegno
di legge governativo diventerà legge
sarà necessario che il pubblico ministero abbia raccolto non solo prove
dell’esistenza del reato (cosiddetta
prova generica), ma anche prove che
quel reato sia stato commesso da una
certa persona.
Questa soluzione però non muta la
sostanza del problema, anzi forse la
aggrava. Perché non si comprende
che senso abbia consentire al pubblico ministero di intercettare quando
ormai la sua indagine ha raggiunto
un tale livello di avanzamento da es32
sere prossima alla conclusione. Che
bisogno ha di intercettare un pubblico ministero che abbia già raccolto
numerose ed incisive prove a carico
di una persona? Quale finalità processuale può avere in mente un pubblico
ministero che chieda di intercettare
quando può già sostenere l’accusa in
giudizio? Che ragione può avere per
intercettare un pubblico ministero
che abbia già in mano gli elementi per
chiedere ed ottenere la custodia cautelare nei confronti di una persona?
La sostanza mi pare sia chiara: dietro l’innalzamento del requisito dei
gravi indizi - da indizi di reato ad
indizi soggettivati di colpevolezza
- si cela una sorta di veto all’intercettazione. Togliere questo mezzo di
ricerca della prova al pubblico ministero proprio nelle circostanze in cui
sarebbe più utile, cioè per scoprire i
colpevoli ignoti di un reato, e viceversa concederlo quando ormai l’indagine ha fatto il suo corso, quando
si sono già raccolte prove che attestano la colpevolezza di una persona, significa in sostanza escludere
che si possa intercettare.
Vi è poi il problema del cosiddetto
doppio binario: per i delitti previsti dall’articolo 51, comma 3-bis e
3-quater del codice di procedura
penale.
Il presupposto per l’intercettazione è
che vi siano sufficienti indizi di reato e vi è la possibilità di effettuare le
intercettazioni cosiddette ambientali
Intercettazioni - prima lettura
anche se non vi sono motivi per ritenere che si stia svolgendo l’attività
criminosa nel luogo in cui si realizza
la captazione. Non si tratta in realtà
di una grande conquista, come invece è stata sbandierato dalla maggioranza, in quanto il regime che oggi
è in vigore, previsto dall’articolo 13
del decreto-legge 13 maggio 1991
n. 152 convertito in legge 12 luglio
1991, n. 203, in vigore, già lo prevede ed è stato abrogato dall’articolo
16 del disegno di legge n. 1415 (cosiddetto Alfano).
A questo punto ritengo sia evidente come la proposta formulata dalla
maggioranza di introdurre il requisito dei gravi indizi di colpevolezza
sembra incorrere in un grave equivoco, perché confonde i presupposti necessari per intercettare con la
quantità di bersagli intercettabili,
con la quantità di utenze e luoghi
che possono essere posti sotto captazione. Si continua ad avere l’impressione che si continui a sovrapporre
il problema dei presupposti delle intercettazioni con quello delle utenze
intercettabili.
Ma un conto è determinare il momento dell’indagine in cui ci si possa
servire del mezzo captativo, le condizioni al cui ricorrere le intercettazioni possano essere disposte. Altro
conto è invece cercare di limitare
il numero dei bersagli, l’ambito dei
soggetti intercettabili, per impedire
la cosiddetta intercettazione generale o a strascico.
Resta il fatto che, se l’obiettivo è
quello di ridurre le lesioni della segretezza e della privacy che non siano compensate dal «ritorno» di una
qualche utilità processuale, mi pare
illogico alzare la soglia dei presupposti; limitare l’ambito degli apparecchi o dei luoghi intercettabili, richiedendo uno stretto collegamento
funzionale con l’indagine e una rigorosa ed autonoma motivazione del
giudice - senza incidere sui presupposti (e quindi mantenendo i gravi
indizi di reato) - è la soluzione più
ragionevole ed adeguata a garantire
quel contemperamento di interessi
di rilevanza costituzionale - esigenze della riservatezza ed efficacia
della risposta repressiva ed esigenze
del processo - che sembravano dover
costituire la motivazione dell’intervento riformatore.
In questo senso va la nostra proposta
e in particolare l’articolo 4 dell’articolato di minoranza del Partito Democratico. Eguale discorso vale per
le intercettazioni ambientali. Anche
qui la disciplina proposta si spinge,
per tutelare la libertà delle comunicazioni, sino a rendere più arduo
il compimento di intercettazioni
ambientali. Si prevede infatti che il
presupposto legato al fondato motivo che, nel luogo intercettato, si stia
compiendo l’attività criminosa valga
per tutte le operazioni e non solo per
quelle compiute nel domicilio, con
l’eccezione riferita ai delitti di cui
all’articolo 51 del codice di procedu33
Temi per la legalità
ra penale di cui ho già parlato per i
quali vi è stato un intervento riparatore, dell’ultima ora.
Ma anche qui la protezione della
libertà di comunicazione è gratuitamente estremizzata: perché il requisito del fondato motivo che nel
luogo intercettato si stia svolgendo
l’attività criminosa era stato pensato
dal legislatore del 1988 non tanto per
proteggere le comunicazioni, quanto per proteggere in modo specifico
il domicilio. La ratio era questa: se
faccio un’intercettazione, telefonica
o ambientale, ho bisogno dei presupposti previsti dall’articolo 267 (titolo
di reato, gravi indizi, indispensabilità); se però nell’intercettare violo
anche la libertà di domicilio allora
è necessario che ricorra un presupposto aggiuntivo, concepito proprio
- ed in via esclusiva - per proteggere
il domicilio, il requisito del fondato
motivo che sul luogo si stia svolgendo l’attività criminosa.
La proposta della maggioranza in
pratica estende una garanzia che era
stata pensata in via esclusiva per il
domicilio a tutte le ipotesi di intercettazioni ambientali per reati non
di mafia e terrorismo; ed anche qui
si stenta a comprenderne la ragione, ma il risultato è un ispessimento
delle garanzie richieste per tutte le
intercettazioni ambientali. Per quale ragione per intercettare con una
microspia in un ristorante dovrebbero essere richieste più cautele di
quando si intercetta il telefono di
34
una persona? In che modo un’intercettazione ambientale compiuta in
luogo pubblico è da considerare più
pericolosa di un’intercettazione telefonica o telematica?
Si prendano poi le regole sulla proroga. Il testo del Governo prevedeva originariamente una durata delle
intercettazioni di quindici giorni,
prorogabile sino ad un termine massimo di tre mesi. L’emendamento del
Governo ha innovato sul punto: ora
la durata è di 30 giorni, prorogabile di quindici giorni per non più di
due volte. Dunque, adesso il termine
massimo, inderogabile, per intercettare sarebbe di sessanta giorni. Qui
la protezione della segretezza delle
comunicazioni ha partorito un limite rigido, incomprimibile, un argine
invalicabile dinnanzi a cui le esigenze d’indagine devono sempre e
comunque arrestarsi. In qualche ipotesi potrà essere ragionevole, in altri
casi rappresenterà un grosso freno
alle investigazioni, perché due mesi
potrebbero essere un tempo troppo
esiguo per raccogliere gli elementi
utili, specie quando le inchieste siano complesse ed articolate, con molti indagati.
La previsione di un limite rigido,
non derogabile, rischia di sacrificare troppo le esigenze di repressione
dei reati. Infatti, su questo punto
nella nostra proposta, pur tenendo
conto dell’importanza di evitare
intercettazioni infinite, sine die, abbiamo previsto che le proroghe sia-
Intercettazioni - prima lettura
no possibili solo a condizioni molto
rigorose, solo qualora siano emersi
elementi nuovi rispetto a quelli in
forza dei quali l’autorizzazione era
stata concessa.
Inoltre, nella proposta del Governo si
equiparano alle intercettazioni operazioni che non ledono direttamente
la libertà costituzionale ex articolo
15 della Costituzione: l’acquisizione di tabulati e tutte le operazioni di
videoripresa sono equiparate infatti ad un’intercettazione. Anche qui,
nell’ottica di proteggere la segretezza delle comunicazioni si fa di tutta
l’erba un fascio. Non c’è una profonda
differenza fra captare un dialogo e
acquisire lo stampato delle telefonate in uscita e in entrata da un’utenza?
Nel primo caso ascolto esattamente
quello che due persone si comunicano riservatamente, penetro nel profondo della loro intimità. Nel secondo
caso, invece, non si lede direttamente
la segretezza delle comunicazioni,
per il semplice fatto che il contenuto
delle comunicazioni non viene affatto carpito e la conversazione resta di
esclusiva conoscenza dei dialoganti.
Che poi si sia talora abusato del ricorso ai tabulati, questo non elide la
sostanza del problema: l’acquisizione
di tabulati non incrina la libertà tutelata dall’articolo 15 della Costituzione, semmai i problemi scaturiscono
dall’uso distorto, non legittimo, che
in ogni caso riguarda altri piani di
valutazione dei soggetti cui sono attribuibili tali comportamenti.
Tra l’altro solo pochi mesi fa il Governo ha innovato la disciplina relativa all’acquisizione dei tabulati,
riscrivendo in gran parte l’articolo
132 del codice della privacy (decreto
legislativo 30 giugno 2003, n. 196)
e attribuendo al pubblico ministero
il potere di acquisire per mezzo del
suo decreto i dati di traffico telefonico e telematico.
La proposta del Partito Democratico
prevede che durante le indagini preliminari, i dati di traffico siano acquisiti con decreto motivato del giudice,
salvo i casi di urgenza dal pubblico
ministero (comma 1), che il difensore
possa richiederne l’acquisizione direttamente al fornitore del servizio ai
sensi dell’articolo 391-quater (comma 2), senza però intervenire sull’innalzamento dei presupposti.
Discorso simile per le videoriprese.
Sappiamo che nel nostro ordinamento processuale c’è una lacuna,
perché non è prevista una disciplina
ad hoc di questo mezzo di ricerca
della prova. Questo ha dato origine ad una serie di interventi giurisprudenziali che hanno cercato di
fissare le coordinate di base della
materia. Così, possiamo ormai dire
di disporre di qualche punto fermo.
Che una videoripresa, se non cattura comportamenti comunicativi,
non equivalga ad un’intercettazione
è stato autorevolmente affermato
dalla Corte costituzionale (Corte
costituzionale n. 135 del 2002): per
quale ragione allora per compierla
35
Temi per la legalità
dovrebbero sussistere tutte le garanzie delle intercettazioni?
Questa equiparazione alle intercettazioni di operazioni (tabulati e
videoriprese) che non hanno una diretta incidenza sulla libertà costituzionale di segretezza delle comunicazioni, comporta un innalzamento
di garanzie non giustificato dal tipo
di attività che si compie e, contemporaneamente, rende più ardue le
investigazioni, le ostacola in barba a
tutti i principi sbandierati di sicurezza per i cittadini.
Sul piano dell’esecuzione delle operazioni, tre sono gli snodi principali
presi di mira dalle proposte di riforma legislativa: la disciplina degli impianti predisposti alla registrazione
e all’ascolto delle intercettazioni; la
istituzione di un archivio riservato;
la disciplina dello stralcio delle comunicazioni irrilevanti.
La disciplina del progetto di legge del
Partito Democratico è quella che unisce più organicamente i tre punti.
Si prevede infatti che le operazioni
di registrazione delle intercettazioni
avvengano per mezzo di impianti installati presso le procure generali o
distrettuali (articolo 268, comma 3),
con possibile dislocazione aliunde
dell’ascolto. A questo punto i verbali
e le registrazioni sono immediatamente inseriti nell’archivio riservato
(articolo 268, comma 3-ter). Dall’archivio riservato, cui hanno accesso
esclusivo i soggetti del procedimen36
to, le intercettazioni potranno uscire solo se giudicate rilevanti da una
delle parti (pubblico ministero o difensori) o dal giudice.
In particolare si stabilisce che, al
termine delle operazioni di intercettazione, il pubblico ministero debba
depositare i verbali e le registrazioni
delle intercettazioni che ritiene rilevanti e, contestualmente, inviare
avviso al difensore affinché si rechi
presso l’archivio riservato e faccia
altrettanto, ossia, selezioni le conversazioni che reputa rilevanti dal
suo punto di vista (articolo 268-bis,
commi 1-4): all’esito di queste attività si terrà l’udienza di stralcio, in
cui il giudice disporrà l’acquisizione
delle conversazioni che ritenga rilevanti (articolo 268-bis, comma 5) e
che saranno poi trascritte da un perito (articolo 268-ter).
Anche nel corso delle indagini preliminari, quando ancora le operazioni
siano in corso (e quindi prima del
deposito ai sensi dell’articolo 268bis), il pubblico ministero e il giudice possono servirsi processualmente
delle conversazioni già captate, ma
solo di quelle strettamente rilevanti
(articolo 268-quater).
Dunque, si inverte il meccanismo
implicito nell’attuale disciplina: in
linea di principio, solo le intercettazioni rilevanti dovrebbero essere
inserite fra le «carte» del procedimento, mentre quelle irrilevanti resterebbero «al sicuro» nell’archivio
Intercettazioni - prima lettura
riservato (articolo 268-bis, comma
6), così assicurandosi in partenza
una forte tutela alla riservatezza dei
terzi coinvolti.
Il progetto del Governo è alquanto
simile su molti aspetti, ma complessivamente meno coerente. Anch’esso istituisce l’archivio riservato
(articolo 268, comma 1). Anche qui
si prevede che la registrazione delle
conversazioni venga compiuta con
impianti situati presso le procure generali (non anche distrettuali), con
possibile dislocazione dell’ascolto
presso gli uffici di polizia giudiziaria delegati (articolo 268, comma 3).
Si mantiene, però, la regola per cui,
al termine delle operazioni (salvo
proroghe autorizzate), il pubblico
ministero deve depositare i verbali
e le registrazioni di tutte le conversazioni in segreteria, dando avviso al difensore che può prenderne
visione (articolo 268, commi 4-6).
Dunque, passano dalla segreteria
del pubblico ministero tutte le intercettazioni, come già accade ora.
Dopo che il difensore ha preso cognizione (senza diritto di prendere
copia) delle intercettazioni, si tiene
l’udienza di stralcio, che nel progetto del Governo viene resa indefettibile e rafforzata sul piano delle
garanzie partecipative rispetto alle
norme attuali (articolo 268, commi
6-bis, 6-ter). Le conversazioni selezionate in sede di stralcio saranno
poi trascritte, sempre che il giudice lo ritenga necessario ai fini della
decisione da assumere (articolo 268
comma 7).
Sebbene istituisca l’archivio riservato, il progetto del Governo non
fonde questa creazione con il meccanismo di stralcio: lo stralcio resta
ispirato alle regole odierne, salvo come si diceva - un irrobustimento
sul piano dell’udienza. Pertanto: le
intercettazioni escono tutte dall’archivio riservato per transitare nella
segreteria del pubblico ministero
(a prescindere dalla loro rilevanza,
che ancora deve essere giudicata); le
intercettazioni saranno acquisite al
procedimento, salvo che non siano
espressamente escluse per manifesta
irrilevanza o per essere vietate dalla
legge.
Qual è insomma la differenza fra
la prospettiva della maggioranza e
quella dell’opposizione?
Il testo della maggioranza è animato
da una sorta di esasperata protezione
della segretezza delle comunicazioni, e finisce così per appiattirsi unicamente sulla protezione di quella
libertà, estremizzandola irragionevolmente, sino al punto da ignorare
ogni istanza confliggente, comprimendola in un angolo.
Il progetto presentato dall’opposizione, così come gli emendamenti che
abbiamo avanzato, si fanno invece
carico di una visione, per così dire,
più complessa, più ampia: l’idea è
quella di proiettare la tutela della
libertà della segretezza delle comu37
Temi per la legalità
nicazioni all’interno di un articolato
sistema costituzionale di valori e di
farsi carico del bilanciamento di interesse.
Insomma, proteggere la libertà di
segretezza delle comunicazioni, ma
senza atteggiamenti punitivi nei
confronti di altri valori eventualmente confliggenti: il valore della
repressione dei reati, il valore della
libertà di stampa e del diritto di essere informati. È su questa linea che
abbiamo incalzato e continueremo a
incalzare il Governo perché ripieghi
su soluzioni più ragionevoli, nell’interesse di tutti i cittadini.
Il punto di partenza è l’idea che il
numero delle intercettazioni sia da
ridurre. La risposta è restringere i
presupposti.
Seduta n. 144 di mercoledì 11 marzo 2009
Esame di pregiudiziali
Signor Presidente, nella nostra questione pregiudiziale di costituzionalità abbiamo illustrato tutte le nostre motivazioni di contrarietà alla
Costituzione del provvedimento in
esame.
Le soluzioni che ha proposto il disegno di legge Alfano alle problematiche dei rapporti tra processo
penale e informazione, tra diritto
alla riservatezza ed efficacia della
repressione penale, obbligatorietà
dell’azione penale e sicurezza dei
cittadini, sono irragionevoli e contrastano con i principi fondamentali
della Costituzione.
La fondatezza e la gravità delle questioni sollevate dall’opposizione del
Partito Democratico in tutti i lavori
di Commissione è avvalorata dalle
vicende travagliate di questo testo
che, uscito con urgenza dalla Commissione e calendarizzato per la di38
scussione generale, ancora aspetta di
essere esaminato.
Nel frattempo assistiamo a dichiarazioni alla stampa che annunciano
modifiche, temperamenti e ripensamenti, ma ad oggi non sappiamo ancora quale sia il testo e il contenuto
vero di tali ripensamenti. Andiamo
ai punti di maggior rilievo e di impatto per la contrarietà alla Costituzione.
Per l’indebita equiparazione del regime relativo agli atti coperti da segreto a quelli degli atti non più coperti
da segreto, una parte significativa
della fase delle indagini preliminari
risulterà sottoposta ad un regime di
divieto di pubblicazione, anche per
riassunto, con evidente compressione dei valori riconducibili all’articolo 21 della Costituzione, il che può
significare che ai cittadini verrebbe
vietato di sapere il contenuto delle
Intercettazioni - prima lettura
indagini, se non a distanza di molto
tempo dall’inchiesta: 18 mesi, due
anni, forse anche di più.
Nessuno ha mai negato che era necessario intervenire sulla disciplina della divulgabilità degli atti di
indagine, ma per risolvere questa
esigenza bastava affermare che le
conversazioni intercettate restassero
segrete finché il giudice non avesse
selezionato, in contraddittorio con
le parti, quelle rilevanti e confinare
in un archivio segreto, con divieto
permanente di divulgazione, quelle
irrilevanti.
Non c’era bisogno di intervenire
pesantemente sull’articolo 114 del
codice di procedura penale, con norme culturalmente e politicamente
regressive, che riportano al codice
Rocco, che non possono dirsi ispirate alla tutela della privacy, perché vi
è il diritto dei cittadini ad essere informati e, quindi, vi è il diritto di cui
all’articolo 21 della Costituzione.
Veniamo poi ad altre abnormità,
veniamo alle riprese visive: tutte le
riprese visive e non soltanto quelle effettuate di nascosto in luoghi
garantiti dalla tutela del domicilio
sono state equiparate alle intercettazioni di conversazioni e comunicazioni. Questo non si confronta
con il fatto che le riprese visive non
sono di per sé destinate ad intercettare conversazioni.
Ne conseguono ripercussioni ed un
effetto irrazionale assai pericoloso:
sebbene la polizia possa appostarsi per strada, seppure con estrema
difficoltà operativa e rischio personale, ad osservare un’abitazione sospetta per verificare chi vi si rechi,
non potrà predisporre un apparato di
ripresa delle circostanze, perché dovrà prima verificare se quello rientra
nell’elenco dei reati, se sussistono
gravi indizi di colpevolezza, se c’è
un giudice collegiale disposto ad autorizzare.
Sull’altro punto, i gravi indizi di
colpevolezza che sostituiscono i
gravi indizi di reato, è diffusa forse l’ignoranza e la non conoscenza
della differenza esistente tra indizi
di reato e indizi di colpevolezza; è
bene chiarirlo, forse siamo ancora in
tempo: gli indizi di reato indicano
che un reato è stato un commesso
(esempio: c’è un morto sulla strada
con un pugnale infisso sul petto o vi
è una donna che denuncia di essere
stata stuprata).
Gli indizi di colpevolezza, invece,
richiedono che un reato sia commesso da qualcuno specificamente, che
a lui sia attribuibile e che, quindi, vi
sia un colpevole. Questi sono gli stessi presupposti che sono richiesti per
una visura della libertà personale. Il
concetto di gravi indizi di colpevolezza indica, quindi, la sussistenza
di un quadro definito di elementi di
accusa che convergono su un soggetto, ascrivendogli la responsabilità di
un fatto criminoso.
39
Temi per la legalità
È irrazionale parificare ed equiparare
questo quadro indiziario, richiederlo
come fa il cosiddetto disegno di legge
Alfano, in modo irragionevole, per
l’autorizzazione ad utilizzare un mezzo di ricerca della prova, qual è l’intercettazione telefonica. Esigere per
le intercettazioni telefoniche questi
gravi indizi significa veramente svilire, snaturare, ostacolare ed impedire la ricerca della prova per accertare
i reati. Un pubblico ministero potrà
richiedere l’intercettazione telefonica
solo per avere riscontri di una ricostruzione accusatoria già effettuata.
Vi invito a riflettere: la lesione di
un diritto, come quelli della libertà
e della segretezza delle comunicazioni, viene ad essere sacrificato
quando, ormai, non c’è più bisogno
e non è più indispensabile. Non vi è
proporzione tra il mezzo ed il fine,
in quanto il pubblico ministero sarà
autorizzato ad intercettare, quando
abbia già individuato un colpevole e
dovrà individuare degli elementi in
più, soltanto, quindi, quando quella
finalità sia stata già raggiunta.
Stiamo facendo - state facendo - un
regalo alla criminalità, tanto più grave nei casi in cui sono ignoti gli autori dei reati, per il quale il cosiddetto
disegno di legge Alfano prevede una
disciplina gravemente incostituzionale, in contrasto con gli articoli 3 e 12
della Costituzione. Esso, infatti, subordina l’autorizzazione alla richiesta
della parte offesa, per le sole utenze,
e nella disponibilità della stessa.
40
Mi chiedo: nei casi di stupro, di
furto in abitazioni, di incendio doloso di un bosco, di una rapina, di
un’estorsione, di un omicidio, in cui
sono ignoti gli autori dei delitti, chi
attiverà gli inquirenti? Quale utilità vi potrà essere nell’intercettare
l’utenza della vittima, della persona
offesa che, magari, è deceduta, ammesso che sia disponibile, che non
sia impaurita, che sia tecnicamente
individuabile? Si privatizzano le indagini, si denuncia al potere-dovere
dello Stato di perseguire i reati ed
individuare colpevoli. Vi è un paradosso: questo disegno di legge è stato elaborato da quelle forze politiche
che nel programma elettorale e di
Governo hanno posto, tra le priorità,
l’ordinato svolgimento della società
civile e la sicurezza dei cittadini.
Signor Ministro, non è sufficiente
aver pensato a un doppio binario,
tanto più irragionevole e contrastante con i principi costituzionali
degli articoli 3 e 112 della Costituzione. Infatti, il dato di comune
esperienza, dichiarato autorevolmente, più volte, nell’audizione in
Commissione, è che spesso le indagini di criminalità organizzata
nascono da intercettazioni condotte con riferimento alla criminalità
comune (penso ai reati di droga, di
riciclaggio, di usura).
Pertanto, se si andrà avanti con
questa impostazione voluta dal cosiddetto disegno di legge Alfano, è
necessario essere consapevoli che
Intercettazioni - prima lettura
si ostacoleranno e si renderanno più
difficili le indagini e l’utilizzo delle intercettazioni per i reati satellite e che, in realtà, in questo modo,
si impedirà l’individuazione delle
associazioni di criminalità organizzata, che si alimentano dei profitti e
dei proventi illeciti della criminalità
comune.
Mi appello veramente al senso delle
istituzioni e al senso di responsabilità
di ciascuno dei parlamentari nei confronti del proprio elettorato, affinché
con il proprio voto consapevole sanciscano l’illegittimità costituzionale
di questo testo. È necessario tornare
indietro e pensare ad un testo che sia
rispettoso dei principi costituzionali. Abbiamo bisogno di una riforma
della normativa che regoli le intercettazioni. La società tutta ed i cittadini
chiedono che vengano emanate norme rispettose delle regole e dei valori della Costituzione, che sappiano
realizzare un giusto ed equilibrato
contemperamento degli interessi in
gioco e che non siano un regalo alla
criminalità organizzata e alla criminalità comune (Applausi dei deputati
del gruppo Partito Democratico).
Seduta n. 185 di mercoledì 10 giugno 2009
Proposte emendative e questione di fiducia
Signor Presidente, questa fiducia posta ieri dal Governo è sicuramente un
atto di sfiducia nei confronti dell’istituzione parlamentare, del Parlamento. Non è una forzatura leggerla così,
anche per i tempi e le modalità con
cui è stata annunciata la questione di
fiducia. Ricordiamo che prima delle
elezioni, quando si doveva discutere
e far votare in Parlamento il «pacchetto sicurezza», il Ministro Alfano, a seguito della pressione del Ministro dell’interno con riferimento
a quel pacchetto, ottenne già allora
dal Consiglio dei Ministri l’autorizzazione preventiva a porre la fiducia
sulle intercettazioni.
Si tratta quindi di una «fiducia barattata» - mi passerete il termine - nel
momento in cui si parlava di altra fiducia, ed era necessario prima delle
elezioni europee ed amministrative
portare a casa il risultato delle ronde
e degli altri provvedimenti riguardanti l’immigrazione che ancora
destano tante angosce e tante perplessità in tutti (sono sicura anche
nei parlamentari del centrodestra).
Si aveva paura dei voti segreti e in
quel contesto, con un do ut des, si è
prevista la possibilità di annunciare
questo voto di fiducia, in tal modo
stroncando il dibattito in Aula e
quello svolto in Commissione.
Mi dispiace dirlo perché in Commissione il dibattito c’è stato - sono presenti la relatrice e il rappresentante
del Governo - e abbiamo svolto le
41
Temi per la legalità
audizioni, ma le abbiamo svolte su
un altro testo, sul primo testo Alfano, non su quello giunto in Aula,
varato successivamente dalla Commissione.
L’iter in Commissione è stato lungo, perché questo disegno ha avuto accelerazioni e fermi a seconda
degli indirizzi e dei momenti più o
meno «felici», anche da parte della
stampa e della magistratura con riferimento ad inchieste nei confronti
di appartenenti all’ambiente politico. In quel momento, nella fase del
confronto tipico in sede di Commissione giustizia, quando abbiamo
sentito gli avvocati, i magistrati, le
forze dell’ordine e tutti coloro che
potevano fornire un contributo, si
ragionava sulla vecchia formulazione che aveva tolto di mezzo alcuni
reati intercettabili e aveva posto il
limite, dai dieci anni in su, per poter
intercettare. In quella sede c’è stata la presa d’atto, anche da parte di
alcune forze della maggioranza, del
fatto che, in pratica, alcuni reati gravi non erano più intercettabili.
In quel primo disegno di legge si
era forse dato respiro all’indirizzo,
rappresentato anche più volte demagogicamente dal Presidente del
Consiglio, secondo il quale dovevano essere intercettati soltanto i reati
di mafia: entrerò nel merito di tali
reati di mafia e verificheremo poi se
tali espressioni siano soltanto vuote di significato, tendenti a colpire
l’opinione pubblica, o anche in realtà
42
capaci di produrre un grave arresto
nella persecuzione dei reati.
Il mio intervento è teso a lasciare,
in un’Aula semivuota, una testimonianza che dovrà servire nel tempo
per capire il danno che si sta compiendo nei confronti del Paese, dei
cittadini, delle forze di polizia, della magistratura tutta attraverso una
compressione del potere di investigazione, che sicuramente l’opposizione non ha voluto.
Questo era un testo che doveva essere
completato e articolato in Commissione. L’avevamo detto anche quando è stato votato, perché era un testo
che era andato cambiando, come dicevo prima. Ad un certo punto, dopo
le audizioni, senza tenerne conto, il
primo testo è stato modificato, ne è
stata modificata la filosofia. Infatti,
come dicevo in precedenza, alcune
forze della maggioranza non potevano ritornare nei propri territori e
dire che non si perseguivano più certi reati seppure gravi. Nel frattempo,
infatti, l’opposizione aveva reso noti
all’opinione pubblica i reati che erano fuori del limite dei dieci anni per
i quali l’intercettazione non era consentita: come si poteva spiegare alla
gente che non era più possibile perseguire una rapina, anche non aggravata, un furto in abitazione, una
violenza carnale e quant’altro?
Dunque, il testo in esame che ha una
sua filosofia politica e un suo indirizzo politico, come tutti i testi legi-
Intercettazioni - prima lettura
slativi, per essere perfezionato aveva
bisogno di essere meditato, doveva
essere raffrontato, anche se poi poteva non essere del tutto condiviso. Prima di entrare in queste aule,
durante la mia prima esperienza da
magistrato e, ancor prima, da studentessa universitaria di giurisprudenza, mi figuravo il legislatore, e
quindi anche l’interpretazione della
volontà dello stesso, come un’attività
di alto valore istituzionale e rappresentativo. Devo dire - non è uno sfogo ma una testimonianza - che sono
veramente preoccupata per quando
si dovranno interpretare i lavori parlamentari, si dovrà verificare cosa
sia successo nell’ambito della maggioranza, quale sia stato l’indirizzo
del Governo, l’indirizzo del Presidente del Consiglio; in realtà, lo spirito è che non si devono più fare le
intercettazioni. Questa è la filosofia
del provvedimento in esame: non lo
contrabbandiamo per una tutela della privacy.
Qui siamo tra persone che sanno leggere le carte, che sanno leggere gli
atti e sanno interpretare le norme.
Per tutelare la privacy, per tutelare
i cittadini onesti dalla diffusione di
telefonate e di intercettazioni, anche
recitate in televisione e negli spettacoli di informazione, riguardanti
terzi o amiche o amici del presunto
indagato e comunque persone estranee alle indagini, non vi era bisogno
di impedire le indagini, ma soltanto
di emanare norme che tutelassero in
maniera particolare la riservatezza
e la segretezza delle intercettazioni.
Erano sufficienti poche norme. Questa è la verità.
Non possiamo camuffarla affermando che questo provvedimento mira
a tutelare la riservatezza perché in
realtà esso non realizza, se non in
parte, quella finalità e vi spiegherò
il motivo. Poiché, concluse le intercettazioni, tutte venivano sottoposte
ad un filtro immediato di rilevanza
e, quindi, al giudice e al deposito e,
pertanto, alla conoscenza di occhi
estranei (gli uffici sono composti da
persone), nella proposta preparata
dall’opposizione, che, peraltro, proveniva da un testo condiviso della
precedente legislatura, si prevedeva
di portare di fronte al giudice soltanto quelle rilevanti, fermo restando
(così prevedeva la nostra proposta,
condivisa dall’attuale maggioranza
nella precedente legislatura) che le
altre intercettazioni dovevano essere
riservate, chiuse in un archivio segreto, segrete e conoscibili soltanto
da parte dei difensori o dall’indagato
che poteva andare ad ascoltarle.
In questa proposta, tanto contrabbandata per la tutela della riservatezza e della segretezza, non cambia
niente rispetto all’attuale possibilità di conoscere anche da parte di
estranei o di personaggi «curiosi»,
che hanno la disponibilità del fascicolo nel muoversi da un ufficio ad
un altro. Non cambia nulla, perché
verranno depositate tutte le inter43
Temi per la legalità
cettazioni, quindi anche quelle non
rilevanti, anche quelle che riguardano soggetti estranei: tutto cammina verso l’ufficio del giudice per il
deposito. E tutto ciò, sapendo quale
sia la struttura della nostra organizzazione giudiziaria e che non vi sono
gli armadi, che gli uffici non sono
nelle stesse sedi, che in alcuni uffici procura e tribunale sono in posti
diversi: vogliamo scordarci com’è la
situazione reale delle nostre «città
giudiziarie»?
Dunque, tutto camminerà e potrà
essere conosciuto anche quello che
non è rilevante ed è privato. Però il
nostro legislatore è stato «avveduto»,
perché ha tempestato il cammino di
tutti (giornalisti, impiegati, pubblico
ministero, in qualche modo anche
difensori) di una serie di ostacoli e
di minacce di reato. Infatti, ho imparato in questa Aula che la filosofia
di tutti i provvedimenti che stiamo
varando da un anno a questa parte
nella materia della giustizia è quella di aumentare le incriminazioni
penali, aumentare la minaccia della
sanzione penale, aumentare le figure
di reato e poi avere la «coscienza»
tranquilla.
Non si pensa a realizzare una struttura, l’effettività di un archivio che
consenta di dire - questa è la proposta approvata l’altra legislatura
in Commissione - che «esce solo
quello che è rilevante»; se poi vi è
qualche altra cosa che il giudice o il
difensore ritiene rilevante lo estra44
pola dall’archivio, da quell’archivio
segreto che sta in un solo luogo, senza spostamenti di sorta, cosicché in
quell’archivio vi potranno essere le
telefonate riservate, di terzi estranei,
di persone che possono fare notizia
solo come gossip, ma che non riguardano le indagini.
Per tutto questo bastavano tre o
quattro norme, invece si è del tutto
soppiantato l’impianto dell’intercettazione telefonica. L’intercettazione
telefonica è prevista dalla nostra
Costituzione come mezzo invasivo
delle comunicazioni, perché ovviamente vi è il diritto e la libertà delle
comunicazioni e questa privacy può
essere interrotta solo - dice la Costituzione - da un provvedimento
dell’autorità giudiziaria, sulla base
dei casi previsti dalla legge. Questa
libertà delle comunicazioni è forte
quanto la libertà personale.
Faccio un discorso molto semplice:
se noi dobbiamo invadere la sfera
della privacy della comunicazione
delle persone, dobbiamo avere un
buon motivo, un motivo eccellente,
un motivo di grande rilievo e quindi quel motivo non può che essere la
ricerca della prova del reato, la ricerca dell’autore del reato. Ecco perché
la legge prevedeva che fossero necessari gravi indizi di reato: è stato
commesso un omicidio, sono ignoti gli autori, la polizia brancola nel
buio perché non vi sono possibilità
di individuare altri elementi di colpevolezza nei confronti degli autori
Intercettazioni - prima lettura
del reato, si fanno le prime indagini,
è necessario mettere sotto controllo
alcune utenze, vi sono gravi indizi di
reato, il giudice valuta e autorizza.
Questo non sarà più possibile, perché sono state scelte tre vie, tre sono
i binari, non due. Un binario riguarda i reati contro ignoti, che sostanzialmente sono reati di cui non si
conoscono tutti gli autori.
Per quei reati - è sconcertante, se non
ridicolo - non è consentita l’intercettazione telefonica, se non su richiesta della persona offesa. La persona
offesa da un reato potrà chiedere di
mettere sotto controllo la propria
utenza o la propria casa, come intercettazione ambientale.
Iniziamo, dunque, a formulare alcune ipotesi. Nel caso di un omicidio,
la parte offesa è morta, pertanto la
richiesta spetterà ai congiunti prossimi, che potrebbero essere addirittura, in alcuni casi, gli autori del
reato. Vi sarà mai la richiesta da
parte dell’eventuale autore del reato
di mettere sotto controllo la propria
utenza? Non vi sarà mai. E anche se
vi fosse, potrebbe non essere sufficiente, perché quell’utenza, magari,
non sarà utilizzata.
Vi è stata una grande concessione,
dopo le battaglie che abbiamo cercato di portare avanti con i nostri piccoli mezzi, visto che lo strumento della
comunicazione televisiva, è sostanzialmente monopolizzato. Abbiamo
cercato di far capire il problema ed
è stato «partorito il topolino». Si è
detto, infatti che, in questi casi, al
pubblico ministero è stato concesso
di richiedere i tabulati telefonici, al
solo fine - attenzione, pubblico ministero non ti muovere dal recinto, stai
attento, non indagare, lasciamo che
la criminalità aumenti - di identificare le persone presenti sul luogo del
reato o nelle immediate vicinanze. I
tabulati telefonici dovrebbero servire a questo.
Chi ha previsto queste norme non ha
mai svolto un giorno di indagini, oppure peggio, se lo ha fatto, sa come
impedire le indagini. È una cosa
gravissima, che ricadrà nella responsabilità assoluta di chi ha voluto
questo testo, di chi ha voluto porre
la questione di fiducia, di chi non
ha voluto tentare un dialogo, anche
con la stessa maggioranza, su specifici punti, che avrebbe potuto anche
portare, nel caso di espressione di un
voto segreto, ad un voto libero, senza condizionamenti né ordini di scuderia. Questo è uno dei punti cardine
su cui si regge anche la sicurezza del
nostro Stato. Il primo binario è, dunque, quello dei reati contro ignoti.
In secondo luogo, vi è il binario dei
reati cosiddetti comuni. Quando si
parla di reati comuni sembra che si
parli di piccoli fatti, ma non è così.
Fra i reati comuni vi sono reati di
rapina, violenza carnale, usura, reati
ambientali, omicidio. Sono tutti reati che non rientrano in senso stretto
nelle previsioni degli articoli 416-bis
45
Temi per la legalità
e 630 del codice penale (cioè, sequestro a scopo di estorsione, reati
di tratta e altri che ruotano attorno
a reati di quel genere), ma possono
alimentare la mafia.
Tutto il resto, anche il tanto «desiderato», contrabbandato reato di
stalking non è inserito tra quelli intercettabili. In questo caso, do pubblicamente atto alla presidente della
Commissione, che, a titolo personale
(da quanto ho capito), era favorevole
all’introduzione della mia proposta
emendativa, e, quindi, apprezzo la
sua onestà intellettuale ma, purtroppo, devo, altresì, prendere atto della
sua impotenza nel far presente alcune esigenze alla sua maggioranza.
Pertanto, la Ministra Carfagna che
va sbandierando in giro di essere
stata lei a volere l’introduzione, finalmente, della tutela delle donne
dalle minacce e dalle violenze, che
hanno troppo spesso anche preceduto, in casi noti purtroppo, l’omicidio
della vittima, deve sapere che se vi
fosse stata l’intercettazione, quelle
morti si potevano evitare. Attenzione: quando non esisteva quel reato,
non si poteva mettere sotto controllo
il telefono.
Oggi, che vi era l’opportunità di inserirlo, quel reato non c’è, non è stato evidenziato: quindi il Governo ha
fatto uno slogan, un cartellone che
serve per andare in giro a mostrarlo,
ma poi non offre gli strumenti per
reprimere quei gravi fatti. È come
quando dicono di proteggere le forze
46
di polizia e non si danno loro le automobili, i soldi per pagare la benzina
o gli straordinari, mentre si mandano mille militari in più sulle strade
soltanto per far vedere che ci sono
militari presso le stazioni, quando
costoro non sono formati professionalmente per difendere e prevenire
reati. Ognuno ha la sua formazione.
Sarebbe come mandare un medico
del pronto soccorso in procura della
Repubblica. Non saprebbe fare quello che fa un magistrato e viceversa.
Ognuno deve fare il suo in un Paese
moderno e farlo con professionalità.
Ecco, questo è quindi l’altro binario,
quello dei reati comuni che ho elencato. Tra i reati comuni vi sono anche la
concussione e la corruzione. Parliamone, abbiamo il coraggio di parlarne, perché è tutto lì il punto: tra quei
reati comuni ci sono anche quelli contro la pubblica amministrazione. Per
essi, a questo punto, non si vuole più
che il magistrato, avuta notizia di un
reato che è stato commesso, intercetti, ma si vuole che prima ci siano gli
evidenti indizi di colpevolezza e cioè
che già sia stato individuato l’autore
del reato. Una volta individuato l’autore del reato e che ci sono addirittura
indizi evidenti, vuol dire che è stata
già raggiunta la prova. Sulla base di
quegli indizi evidenti si può emettere
un mandato di cattura, un’ordinanza
di custodia cautelare, disporre la reclusione in carcere o la detenzione
domiciliare, una misura interdittiva,
rinviare a giudizio.
Intercettazioni - prima lettura
A che cosa serve - ecco che torno
al punto di partenza - a quel punto,
invadere la sfera della libertà delle
comunicazioni di una persona? Per
una verifica? Ma l’intercettazione
è un mezzo eccezionale e invasivo
della privacy che deve aiutare a ricercare la prova del reato, non a fare
da contorno, a imbellettare le prove
di un pubblico ministero.
In realtà, non si tratta di una questione tecnico-giuridica ma politica: non
si vuole che i magistrati del pubblico ministero, ancora indipendenti e
appartenenti all’unico ordine della
magistratura, perseguano certi tipi
di reato.
Quindi, si è dovuto, in qualche modo,
chiudere un occhio anche di fronte
agli altri reati, che forse non interessavano molto e che potevano anche
restare. Ma come avrebbe spiegato
la maggioranza che soltanto la corruzione e la concussione restavano
fuori? Era troppo grossa, non poteva
e ha scelto quindi questa strada.
A questo punto, però, il Ministro Maroni mi deve spiegare una dichiarazione abbastanza importante e impegnativa che ha reso prima delle elezioni.
Maroni si è esposto, ha detto che la
legge sulle intercettazioni, così com’è,
rende difficile l’uso di uno strumento anzi, questo lo ha detto Pietro Grasso,
capo della Procura nazionale antimafia - fondamentale per la lotta a certe
forme di criminalità organizzata (parleremo anche di questa parte). Maroni
aveva dichiarato, prima delle elezioni
di aver ricevuto dal procuratore nazionale antimafia una serie di proposte
che gli parevano tutte molto ragionevoli e che quindi voleva inserire nel
provvedimento. Il punto, ha spiegato
ai cronisti, «è che bisogna trovare il
giusto equilibrio, è il dovere, da parte nostra, di garantire gli strumenti di
indagine delle procure antimafia, che
oggi ci sono e sono molto efficaci». In
altri termini, rimarca Maroni, facendo
proprie le parole di Grasso, le indagini
non partono quasi mai con l’attribuzione dell’articolo 416-bis, dell’associazione cioè di tipo mafioso, ma da
un reato comune - ricordiamo quei
reati comuni per cui non si può più intercettare quando c’è un reato, bisogna
invece aspettare che si scoprano gli
autori del reato - che alla fine diventa
reato mafioso.
Maroni si era impegnato dicendo
che, se si fosse convinto ad operare
in un certo modo piuttosto che in un
altro, questione di fiducia o no, comunque avrebbe deciso di fare in un
certo modo e, tuttavia, non lo ha fatto, non ha avuto la forza di farlo.
Peraltro, io non credevo che l’avrebbe fatto perché, dopo avere ottenuto
la fiducia su quel pacchetto sicurezza che gridava vendetta al cuore ed
alla pancia di tanti esponenti, anche
della maggioranza, del PdL, ovviamente in cambio ha dovuto cedere di
fronte a qualcosa. Non so come farà
la Lega a giustificarlo quando rientra nel «suo» territorio, come farà a
47
Temi per la legalità
giustificare che non si potranno più
perseguire certi tipi di reato, reati
comuni, la commissione dei quali è
molto frequente nel nord Italia.
Mi riferisco ai reati come l’associazione a delinquere semplice ed altri
reati tipici sintomi della criminalità
organizzata.
Parliamo poi di mafia. Vogliamo
parlare anche della lotta alla mafia che sta sbandierando ai quattro
venti il Ministro Alfano? Si dice
che si vuole combattere la mafia e,
allora, mentre per i reati cosiddetti
comuni è stato previsto un ostacolo,
per i reati di stampo mafioso ci si
accontenta dei «sufficienti indizi di
reato».
Questa norma è in procinto di essere
abrogata; l’articolo 13 è abrogato dal
maxiemendamento proposto dal Governo. Ecco perché Grasso l’ha detto
in tutte le lingue, è venuto in Commissione, ha depositato documenti,
ha fatto dichiarazioni alla stampa:
quando si commettono dei reati, a
meno che non si tratti di un omicidio
«targato» mafia, non c’è un’etichetta, non c’è scritto sulla fronte del reo
«sono mafioso», «sono un corollario
di un’associazione a delinquere». Si
parte spesso da un reato comune di
usura, di estorsione, di traffico di
stupefacenti o di sfruttamento della
prostituzione per arrivare, tramite
intercettazioni anche ambientali, al
reato principe dell’associazione mafiosa e ad individuarne gli autori.
A parte la violazione di tutti i principi di uguaglianza e ragionevolezza
delle norme, di quel famoso legislatore che tanto li affascinava da giovani, rispetto all’attuale regime si fa
un passo indietro perché si prevedono per l’intercettazione sufficienti
indizi di reato per i reati di associazione a delinquere ex articolo 416bis del codice penale ed altri quali,
ad esempio, il sequestro a scopo di
estorsione di cui all’articolo 630,
la tratta, la riduzione in schiavitù e
qualche altro reato della stessa area,
ma si sopprime l’articolo 13 della
legge: mi riferisco al decreto-legge
13 maggio 1991, n. 152, convertito
dalla legge 12 luglio 1991, n. 203.
L’articolo 13 prevede che il regime
dei sufficienti indizi di reato valga
anche per i reati comuni di criminalità organizzata e in quell’ambito
possono oggi rientrare, domani non
più, reati comuni.
48
Questo non sarà più possibile nonostante le parole, sempre le stesse,
che il Ministro Alfano ripete da otto
mesi, da un anno.
Quindi, nonostante si dica che sono
state varate norme contro la mafia,
questo non è vero. Esse sono norme
di facciata che legano mani e piedi
alla polizia e soprattutto all’autorità giudiziaria e al pubblico ministero e non consentono di arrivare
a individuare e ad utilizzare questo
strumento, così come legano mani e
piedi alla stampa.
Intercettazioni - prima lettura
Infatti, nonostante ci sia stata da
ultimo un’apertura da parte della
Commissione dopo, anche lì, forti
rimostranze da parte dell’opposizione e di tutta la categoria dei giornalisti affinché, nel corso delle indagini,
quando un fatto ormai è ostensibile
alla difesa ne sia possibile la pubblicazione anche per contenuto (quindi se ne dia notizia per contenuto o
riassunto alla pubblica opinione), in
realtà permane una serie di ostacoli.
esiste un reato economico, nemmeno
il falso in bilancio, per cui è prevista
una pena così alta), dovranno esercitare un’influenza e necessariamente
avere il controllo sul direttore o sul
giornalista; quindi, si avrà un’altra
strettoia in cui verranno incanalati la
libertà dell’informazione ed il diritto
di cronaca.
Essa è data dalla serie di incriminazioni previste, dalla cavillosa distinzione tra contenuto e riassunto, dal
permanere di una responsabilità pecuniaria onerosissima nei confronti
degli editori per il solo fatto che il
giornalista abbia contravvenuto (si
tratta, infatti, di una contravvenzione) al divieto di pubblicare atti che
non doveva.
Ricordo che il diritto di cronaca e la
libertà di informazione sono sanciti dalla nostra Costituzione (che ne
doveva costituire un baluardo) e che
essi dovevano trovare in questa sede
un contemperamento. Attendevamo
la discussione in Aula (sia pur con
tempi contingentati), di questo provvedimento e non ci vengano a dire
che gli emendamenti dell’opposizione o le eventuali nostre discussioni
avrebbero portato via tempo perché
si tratta di una menzogna.
Si deve, inoltre, considerare che il
giornalista dovrà avere il codice di
procedura alla mano perché dovrà
capire se un atto è stato depositato
o meno, se si tratti di un’ordinanza
o di una richiesta, e dovrà essere sicuramente un giornalista che abbia
sostenuto vari esami di giurisprudenza e magari abbia anche il titolo
di avvocato.
Infatti, i tempi erano contingentati,
perché la maggioranza ha fatto discutere questo provvedimento tre mesi fa
per l’urgenza, sottraendolo all’esame
della Commissione (dove vi sarebbe stato bisogno di una ulteriore discussione) per contingentare i tempi.
Quindi, avevamo un tempo ben definito e non ne avremmo portato via
dell’altro, né prodotto lungaggini.
Solo in tal caso si muoverà bene, ma
a quel punto si tratterà di un giornalista imbavagliato perché gli editori,
che rischiano delle pene altissime
(superiori a quelle previste per i gravi reati economici, nel senso che non
Il provvedimento in esame poteva
essere varato con un vaglio attento,
ragionando ancora su alcune norme
che sono pericolose perché costituiscono una lesione gravissima del
diritto di cronaca, del diritto di in49
Temi per la legalità
formazione, del diritto di compiere
le indagini, del diritto alla sicurezza ed anche del diritto alla riservatezza, perché la riservatezza non si
protegge bendando o incappuciando i giudici e i pubblici ministeri e
imbavagliando i giornalisti. Questo
non è un modo della democrazia, ma
50
fa prefigurare ben altro e mi auguro
che le forze di maggioranza, quelle
attente e sensibili a certe problematiche, siano accorte e difendano anche
loro questi valori che credo siano
comuni alla gran parte dei cittadini
italiani (Applausi dei deputati del
gruppo Partito Democratico).
Intercettazioni - seconda lettura
Seduta n. 362 di venerdì 30 luglio 2010
Intercettazioni telefoniche (seconda letura)
Discussione sulle linee generali
Signor Presidente, questo disegno di
legge ha avuto una storia travagliata:
è qui alla Camera in terza lettura e,
indubbiamente, nella relazione della
presidente Bongiorno, relatrice del
provvedimento, abbiamo visto quale
percorso, soprattutto in Commissione giustizia alla Camera, questo disegno di legge abbia avuto proprio per
cercare di attutire in qualche modo
danni che sembravano irreparabili.
Sicuramente, da parte nostra c’è anche un apprezzamento, non solo per
il lavoro della presidente, per come
è stato diretto il lavoro in Commissione, ma anche nei confronti dei
colleghi insieme ai quali abbiamo
cercato di riportare questo testo a un
percorso che possa essere discutibile, anche se noi non condividiamo le
premesse dalle quali questo disegno
di legge è mosso.
Ho ripreso anche i lavori derivati
da una Commissione di inchiesta di
qualche anno fa, e che ha portato al
Senato all’approvazione di un docu-
mento finale, in cui si indicava quali
erano gli ambiti di intervento indispensabili nell’ambito delle intercettazioni telefoniche. Certamente
in quella Commissione di inchiesta,
in quella indagine conoscitiva che
portò all’approvazione di questo documento finale il 29 novembre 2006,
quindi non molto tempo fa (un’analisi
che fu molto approfondita e ragionata) e che fu approvato all’unanimità,
nessuna limitazione era prevista per
le intercettazioni telefoniche come
strumento investigativo, né come
possibilità di conoscenza di fatti di
rilievo pubblico, sia pure nell’ambito
di un’indagine penale.
In prima lettura alla Camera il disegno di legge Alfano, addirittura era
partito attraverso l’enucleazione di
una serie di reati per i quali soltanto
era necessario utilizzare le intercettazioni telefoniche per poi passare
agli evidenti indizi di colpevolezza,
per poi successivamente passare ancora ai gravi indizi di colpevolezza
AC 1415-C Disegno di legge - Norme in materia di intercettazioni telefoniche, telematiche e ambientali. Modifica della disciplina in materia di astensione del giudice e degli atti di indagine. Integrazione della disciplina sulla
responsabilità amministrativa delle persone giuridiche (in discussione alla
Camera in seconda lettura)
51
Temi per la legalità
e così, sul lato della pubblicabilità
delle intercettazioni telefoniche, a
quel blackout informativo totale fino
all’udienza preliminare. Tutti questi
aspetti che permanevano ed erano
nel testo del Senato garantivano un
adeguato contemperamento delle
esigenze investigative, del dirittodovere dello Stato di reprimere e
accertare reati, con il cosiddetto diritto alla riservatezza, con il diritto
tutelato dall’articolo 21 della Costituzione e dall’articolo 11 della Carta
di Nizza, dei cittadini a essere informati sui fatti di interesse pubblico.
In uno Stato democratico l’informazione non solo è legittima; il controllo democratico da parte dei cittadini
è un modo attraverso cui le istituzioni crescono e si avvalgono anche di
quella forza e incisività che arrivano
proprio dalla trasparenza.
La stessa cosa, tra l’altro, vale per
la giurisdizione, perché è un modo
attraverso il quale - esaurita la fase
delle indagini segrete - anche la
pubblica opinione e i cittadini possono controllare l’esercizio della
giurisdizione.
Vedevamo con forte criticità il testo arrivato dal Senato, tuttavia sia pure in terza lettura - alcune di
quelle criticità sono state superate
grazie ad una convergenza di sforzi
che, anche se hanno preso le mosse
da spunti ideologici diversi, hanno
cercato di temperare le divergenze.
Ma le criticità a nostro avviso, non
sono completamente superate, così
52
che questo disegno di legge, che si
trova ad essere corretto in più fasi,
in più punti e in più percorsi, ha
ancora nella base un’impostazione
errata, un vizio di origine, che nasce proprio da quella compressione
dell’intercettazione telefonica, come
mezzo di ricerca della prova, e del
diritto di informazione come diritto
di informare sui fatti di rilievo pubblico e di interesse generale.
Correzioni rilevanti vi sono state.
Dobbiamo dare atto del lavoro importante che è stato fatto e che ha
visto anche il Partito Democratico
protagonista, basti ricordare una
delle questioni fondamentali che
sono state risolte quale quella della
cosiddetta udienza filtro, dell’udienza stralcio. Ha ricordato la presidente e relatrice l’apporto costruttivo da
parte delle opposizioni nella individuazione di un momento, l’udienza
filtro, in cui si realizzi un contemperamento efficace e risolutivo tra
segretezza delle indagini, diritto alla
riservatezza, per quello che non attiene alle indagini, e pubblicabilità,
invece, di quello che è un fatto che
attiene al processo ma che, in quanto tale, è ostensibile perché rilevante
per le indagini.
Permangono, tuttavia, ulteriori elementi di criticità, che soprattutto
attengono all’utilizzo di questo strumento di indagine.
Infatti, abbiamo visto alla base di
questo provvedimento non tanto la
Intercettazioni - seconda lettura
ricerca volta a eliminare le slabbrature del sistema, le prassi che possono essere state, alcune volte, non
ortodosse al cento per cento, e, quindi, abbiano cercato di individuare
dei percorsi anche motivazionali che
possano creare quel rigore di utilizzo di un mezzo di ricerca della prova
che è invasivo, molto invasivo, ma
che, alcune volte, è assolutamente
indispensabile e non sostituibile, se
si vuole, effettivamente, perseguire
il fine ultimo che è quello della ricerca della prova per l’accertamento dei
reati. Lo stesso costituente prevede
la possibilità di utilizzo, e prevede
la garanzia nel fatto che è necessaria l’autorizzazione dell’autorità
giudiziaria, a differenza di un altro
mezzo parimenti invasivo, come le
perquisizioni, che possono essere
svolte - sia pure in casi particolari ed
eccezionali - dalla polizia giudiziaria d’iniziativa.
Non vi era bisogno, quindi - per correggere delle prassi applicative che
possono essere state, alcune volte,
fuorvianti rispetto al percorso ortodosso - di creare una struttura e
individuare un giudice collegiale
distrettuale di riferimento per l’autorizzazione alle intercettazioni
telefoniche, e non solo, ma per le
proroghe, le convalide d’urgenza e
le autorizzazioni per i tabulati telefonici. Questo rappresenta un punto
molto critico, per il quale abbiamo
riscontrato una chiusura totale da
parte del Governo e della maggio-
ranza, perché si dice la collegialità
garantisce di più rispetto al singolo
giudice. Stiamo forse dimenticando
che il singolo giudice emette l’ordinanza di custodia cautelare?
Il singolo giudice pronuncia sentenze
di condanna e commina addirittura
l’ergastolo nel giudizio abbreviato.
Mentre qui si vuole addirittura scomodare un giudice collegiale distrettuale quando, signor Ministro, lei che
si occupa ed è responsabile dell’organizzazione giudiziaria, conosce
benissimo le difficoltà operative e
attuative che ci sono nella previsione
di un qualcosa che è irrealizzabile.
È irrealizzabile e, tra l’altro, superfluo, perché l’intercettazione telefonica ha bisogno di una immediata
risposta da parte del giudice che, in
quanto tale, vaglia gli elementi che
gli vengono forniti dal pubblico ministero e questo voler andare verso
un giudice collegiale distrettuale è
un atto sostanzialmente di sfiducia
nei confronti della magistratura.
Poc’anzi, proprio oggi, abbiamo ricordato insieme magistrati che sono
caduti facendo il loro dovere e, quando mi riferivo nel mio brevissimo
intervento alla memoria del giudice
Rocco Chinnici al pericolo di delegittimazione della magistratura,
che rappresenta uno dei poteri dello
Stato, volevo sottolineare che essa
arriva anche tramite questo tipo di
leggi, con le quali, infatti, si diffonde una strisciante idea di sfiducia nei
53
Temi per la legalità
confronti del giudice monocratico, in
quanto potrebbe essere appiattito nei
confronti del pubblico ministero. Il
problema non si risolve mettendo di
mezzo il giudice collegiale distrettuale, ma individuando percorsi motivazionali che siano rigorosi e quindi
verificabili da parte del pubblico ministero e della difesa.
C’è incoerenza da parte di chi porta
avanti questo disegno di legge perché, da un lato, si vuole passare per
garantisti (e quindi per coloro che
in qualche modo portano avanti ad
ogni costo questo sistema nuovo in
cui tutto viene fatto scomodando un
giudice collegiale distrettuale), ma
dall’altro non si riconoscono i diritti
minimi della difesa che, invece, noi
abbiamo sottolineato laddove, per
esempio, si vieta alle parti (e quindi
alla difesa) di avere copia dei decreti
dei verbali delle registrazioni durante le indagini.
Si realizza un vulnus a un diritto
costituzionale fondamentale. Come
vedono, signor Ministro, signori
rappresentanti della maggioranza e
relatrice, non vogliamo privilegiare
una parte rispetto all’altra, ma vogliamo che attraverso lo strumento
dell’intercettazione telefonica sia
consentito, legittimamente (attraverso appunto un uso legittimo) e dove
necessario, accertare i reati.
In questo excursus dei punti che
sono rimasti sicuramente scoperti
(si tratta di nervi scoperti importanti
54
che non possono essere trascurati)
c’è anche il discorso che riguarda
i tabulati telefonici. Lo accennava
prima il collega Di Pietro: è una cosa
assolutamente irragionevole parificare l’intercettazione di una comunicazione telefonica all’acquisizione di
un tabulato. Il problema del tabulato
e della riservatezza dei dati è qualcosa che riguarda il fatto che i dati non
escano fuori dal processo. È quello il
problema che riguarda i tabulati che,
quindi, vanno trattati come tutti i
documenti che, tra l’altro, appartengono alla segretezza delle indagini
fino alla chiusura delle stesse.
Invece, il tabulato dev’essere utilizzato nell’immediatezza dei fatti senza preconcetti nei presupposti di utilizzo (ossia limitatamente ad alcuni
reati soltanto e addirittura con quei
paletti che riguardano le intercettazioni telefoniche).
È incongruo impedire al processo
di acquisirli tutte le volte in cui siano utili all’investigazione. Infatti, i
tabulati presentano a volte grandissima utilità investigativa proprio
per scoprire un reato addirittura
nell’attività prodromica all’intercettazione telefonica. Si possono trarre dati del traffico transitato su una
cella telefonica al fine di individuare gli autori del reato e le persone
presenti sul luogo di un rapimento o
di un omicidio.
Quindi, i paletti che avete messo e
che avete allentato solo con rife-
Intercettazioni - seconda lettura
rimento al giudice competente ad
autorizzare l’acquisizione (cioè il
giudice monocratico, anziché quello
collegiale distrettuale) sono incongrui, irragionevoli, non hanno nessuna giustificazione e ci fanno dire
che, in realtà, tutto il programma di
questo disegno di legge non è orientato ad una finalità di sicurezza effettiva dei cittadini.
Vi è un altro punto che ci interessa
particolarmente sottolineare: l’abrogazione dell’articolo 13 della «legge
Falcone». Noi su questo aspetto ci
siamo battuti e ci batteremo in maniera tenace, come è nostra abitudine. È vero - lo riconosco - che in
sede di emendamenti, anche da parte
dell’onorevole Costa, è stato corretto
il testo del Senato e, quindi, tra i reati affidati al «doppio binario» sono
stati inseriti alcuni reati che stanno
nel novero dell’articolo 407, comma
2, lettera a), del codice di procedura
penale. Ma tale articolo riguarda solo
alcuni reati cui faceva riferimento
l’articolo 13 della «legge Falcone»,
che appunto comprendeva tutti i delitti di criminalità organizzata.
Tali delitti non sono solo quelli di
mafia, ma anche e soprattutto quelli
in cui un gruppo di criminali (tre o
più persone) si associano, si organizzano e costituiscono una base operativa per commettere una serie di reati, che possono essere l’usura, i reati
contro la pubblica amministrazione,
bancarotta, sfruttamento della prostituzione, eccetera.
Quando c’è una rete criminale - ecco
da dove nasce l’articolo 13 della legge n. 203 del 1991 («legge Falcone»)
- bisogna rafforzare gli strumenti
dello Stato per la lotta alla criminalità. Se la criminalità è sicuramente
quella organizzata mafiosa, c’è una
base di criminalità ancora più diffusa e difficile da estirpare. Su questo
punto - signor Ministro, oggi lei è
presente -, noi faremo una battaglia
che abbiamo già iniziato e la faremo
fino in fondo, anche per la memoria
di un giudice siciliano, tra l’altro suo
conterraneo, il giudice Falcone. Non
possiamo, infatti, consentire che
venga abrogato l’articolo 13 citato e
non sostituito da una norma che ne
riproduce il contenuto.
Nei nostri emendamenti - avremo
modo e tempo per illustrarli - abbiamo ripreso quel contenuto e pretendiamo che in qualche modo il Governo e la maggioranza se ne facciano
carico, perché altrimenti le battaglie
di lotta alla criminalità di cui si fa
in qualche modo vanto il Governo
non corrispondono alla realtà dei
fatti. Per condurre tale lotta, occorre
dare ai giudici, ai magistrati e alle
forze di polizia degli strumenti che
debbono essere esercitati legittimamente. Togliere quegli strumenti nel
presupposto e nella convinzione che
vengano esercitati in maniera non
legittima, vuol dire avere sfiducia in
una parte di un potere dello Stato,
che è costituita dalla magistratura e
dalle forze dell’ordine. Ciò significa
55
Temi per la legalità
minare la credibilità dello Stato e
delle nostre istituzioni repubblicane.
È questo il punto che ci vede contrari a questo disegno di legge, nonostante i miglioramenti di cui ci
siamo fatti carico, anche votando un
emendamento del Governo che, pure
se perfettibile, dà tuttavia un segnale
errato, perché impone agli inquirenti una discovery nel momento stesso
in cui si dispongono atti a sorpresa,
quali ispezioni, perquisizioni e sequestri (su questo ci soffermeremo
quando sarà il momento) per i quali
possano esservi intercettazioni in
corso che devono rimanere segrete. Dunque, anche su quell’aspetto
56
ci siamo fatti carico degli elementi
positivi, ma non possiamo condividere la filosofia di un disegno di
legge che è volto sostanzialmente a
spuntare le armi di investigazione.
La criminalità si perfeziona, diventa
sempre maggiormente incisiva e diffusa anche negli apparati dello Stato
e il Parlamento non può varare leggi
che consentano alla criminalità di
ingrandirsi, di diventare più forte e
sempre più arrogante e di vestirsi di
colletti bianchi, perché questo è contrario ai nostri principi e a ciò che
vogliono i cittadini italiani (Applausi dei deputati del gruppo Partito
Democratico).
Scudo fiscale
Seduta n. 221 di lunedì 28 settembre 2009
Scudo fiscale
Discussione sulle linee generali
Signor Presidente, onorevoli colleghi, il decreto-legge che ci apprestiamo a convertire ha avuto la sua
formale origine dalla necessità e
dall’urgenza di chiarire la portata
di alcune disposizioni del decretolegge n. 78 e 2009, in relazione, in
particolare, all’applicazione dello
scudo fiscale varato a luglio. Infatti
il decreto-legge n. 103 del 2009, nella versione approvata dal Consiglio
dei ministri chiarisce che dall’ambito applicativo dello scudo fiscale
rimangono esclusi i procedimenti in
corso alla data di entrata in vigore
nella legge di conversione del citato
decreto-legge. Il Governo ha parlato,
quindi, di interventi necessari e doverosi per evitare delle conseguenze
negative che derivano dall’applicazione di alcune norme previste da
quel decreto-legge discusso poco
prima della pausa estiva.
In realtà, tanti di quegli argomenti
che vediamo oggi qui riproposti erano già stati segnalati e dibattuti a suo
tempo nelle Commissioni e in Aula,
quando si parlò della conversione di
quel decreto-legge. È stato già effi-
cacemente detto che il Parlamento è
quindi ormai costretto a trattare e a
ritornare su questioni che erano già
state decise, attraverso la forma del
decreto-legge esaminato per la conversione che in pratica coglie l’occasione per introdurre disposizioni che
erano state sostanzialmente già allontanate e su cui tutto il Parlamento
si era già pronunciato.
Ricordo - lo ha già detto in apertura di discussione generale il collega Fluvi - come sostanzialmente
in Commissione all’epoca in prima
battuta furono già esaminate quelle
cause di non punibilità che oggi in
maniera surrettizia vengono reintrodotte. C’è da interrogarsi sul
fatto che, nel momento in cui stanno emergendo le gravissime conseguenze della crisi occupazionale ed
economica, il Governo non solo non
è in grado di presentare alcun progetto di politica economica di ampio
respiro, ma si concentra e disperde le
proprie energie e risorse mettendo a
punto, con lo strumento dello scudo
fiscale e delle modifiche introdotte
poi con l’emendamento al Senato del
Legge n. 141 del 3 ottobre 2009 - Conversione in legge, con modificazioni,
del decreto-legge 3 agosto 2009, n. 103, recante disposizioni correttive del
decreto-legge anticrisi n. 78 del 2009
57
Temi per la legalità
senatore Fleres, una disciplina che
oggettivamente è la negazione della
legalità, del rispetto dei principi fondamentali che regolano la materia
tributaria, con conseguenti effetti
negativi nel campo del diritto penale
dell’economia.
Premiare chi non ha rispettato le regole per battere cassa e ottenere la
copertura finanziaria per predisporre
quella che è stata chiamata una finanziaria leggera, non solo significa dare
un segnale molto forte e chiaro di favore a chi ha operato scorrettamente
nel campo economico, ma significa
soprattutto stabilire e confortare il
principio che alla fine la fa franca
chi è più furbo ed abile ad aggirare
le norme che si ispirano al principio
contributivo che sta alla base della nostra Carta costituzionale e che
rappresenta uno dei principi cardine
del nostro sistema democratico e della convivenza civile. In tal modo la
logica che ne esce rafforzata è che i
ricchi evasori, quelli che hanno sottratto capitali e risorse all’economia
nazionale e allo sviluppo del Paese,
ora non solo con il pagamento di
un’esigua tassa (del 5 per cento) eviteranno le sanzioni relative alle violazioni tributarie, ma saranno esonerati
dall’applicazione delle sanzioni penali in materia societaria.
Alla luce delle sollecitazioni avanzate dal Presidente della Repubblica
nel luglio scorso, in realtà noi dell’opposizione (forse ci contraddistingue
l’ingenuità e la fiducia e il senso del58
le istituzioni che ci fa andare avanti
comunque) tutto pensavamo tranne
di trovarci di fronte ad un decretolegge che andasse a modificare in
maniera peggiorativa quel provvedimento che era stato tanto discusso
e aveva ricevuto critiche specifiche,
tanto da dovere richiedere, contestualmente alla firma, anche un correttivo, un intervento che riportasse
le regole (soprattutto con riferimento agli interventi che riguardavano
la Corte dei conti).
Invece il Governo ha colto l’occasione per modificare le disposizioni sullo scudo fiscale, ampliando
oggettivamente e soggettivamente
la portata della misura e così trasformandola di fatto - è stato già
detto, ma lo ripeto con convinzione
- in un’amnistia mascherata. Così ha
preso forma un nuovo strumento,
esteso anche alle società partecipate
e collegate all’estero, che introduce
la non punibilità di una serie di reati
societari (a cominciare dal falso in
bilancio) ed elimina per le condotte
che portano al rimpatrio di capitali
l’obbligo della denuncie delle operazioni sospette, in un momento particolarmente delicato di contrasto al
terrorismo internazionale e alla criminalità organizzata, quella che si
occupa ed esercita la propria attività
prevalentemente proprio attraverso
le attività finanziarie illegali.
Le dinamiche parlamentari risultano compromesse. Ci troviamo qui
a cercare di opporci e a far valere
Scudo fiscale
la nostra voce, a far capire a chi ci
ascolta, soprattutto ai cittadini che ci
ascoltano fuori, come questa norma
incida in maniera grave sulle norme
di contrasto al crimine organizzato, su quelle misure di cui spesso la
maggioranza si riempie la bocca, attribuendo questo aspetto di legalità
alla sua azione di Governo. Questa
è la domanda: come si raccorda la
norma introdotta, che esclude l’obbligo di denuncia di un’operazione
sospetta, con gli obiettivi di legalità
e sicurezza sbandierati dal Governo?
Viene vanificata tutta la normativa
sul contrasto ai patrimoni mafiosi,
in particolare la disposizione che riguarda l’elusione dell’articolo 41 del
decreto legislativo n. 231 del 2007,
concernente la segnalazione di operazioni sospette in materia di antiriciclaggio e finanziamento del terrorismo. Inoltre, poiché tale decreto
legislativo è volto a recepire due
direttive comunitarie, sarà un’altra
occasione che di fatto pone l’Italia
fuori dall’Europa, in palese contrasto con la nuova etica finanziaria di
cui il Governo si è fatto promotore a
parole nel corso di questa crisi.
Di fatto uno strumento come lo scudo fiscale finisce per inibire le misure di allarme sul riciclaggio, ed
è importante riuscire a farlo capire
fuori (sono convinta che gli appartenenti alla maggioranza già lo sanno)
perché i proventi di gravi delitti finiscono per mimetizzarsi nella massa
dei soldi che rientrano.
Riesce poi difficile per l’intermediario o il consulente finanziario scriminare tra il riciclaggio che nasca da
reati tributari o false comunicazioni
sociali e il riciclaggio che abbia come
propria fonte o proprio presupposto
altri gravi reati, quali le estorsioni,
il traffico di stupefacenti, la tratta di
esseri umani, lo sfruttamento della
prostituzione, la corruzione. Infatti,
in Commissione giustizia ci è stato
detto che l’esonero dalla segnalazione riguarda soltanto i reati che vengono ad essere non punibili e, quindi, il reato di omessa dichiarazione
o di dichiarazione infedele e il reato
di falso in bilancio e quelli connessi, non i reati che stanno a monte del
riciclaggio. Ma il denaro non ha una
sottoscrizione, non è contraddistinto
in determinate forme perché proviene dal riciclaggio o perché è soltanto
frutto di un’evasione fiscale, ma si
qualifica in relazione a certe modalità, per cui costituisce una scorta
all’estero che deve rientrare.
Ciò che ci viene proposto e che ci viene chiesto di votare è stato definito
un’amnistia, che coprirà non soltanto
i reati tributari e l’azione contabile,
ma anche i reati di riciclaggio e quindi anche le scorte che possono servire
a finanziare illecitamente il terrorismo. È bene ricordare in quest’Aula
che gli effetti del rimpatrio e della
regolarizzazione dei capitali detenuti illecitamente all’estero sono stati
profondamente modificati nel corso
dell’esame al Senato. Inizialmente,
59
Temi per la legalità
infatti, l’operazione di emersione
comportava effetti limitati, anche se
gravi, e riferiti soltanto all’infedele
ed omessa dichiarazione dei redditi
disciplinata dal decreto legislativo n.
74 del 2000. Le modifiche apportate
al Senato, dopo che è stato presentato
in Consiglio dei Ministri il decretolegge, hanno ampliato in maniera irragionevole e iniqua la rosa dei reati
connessi per i quali è esclusa la punibilità. Non è soltanto per un amore
illustrativo che ve li menzionerò, ma
perché rimanga stigmatizzato quali
sono i comportamenti che beneficeranno di questa impunità. Oltre alle
fattispecie di reato di falsità in atti,
che sono previste addirittura dal codice penale, vi sono inoltre dichiarazioni fraudolente ai fini dell’imposta dei
redditi e dell’IVA mediante fatture e
altri documenti per operazioni inesistenti, delitti per i quali è prevista la
reclusione da un anno e mezzo a sei
anni; dichiarazioni fraudolente mediante l’artifizio di artifici contabili,
delitti per i quali è prevista la reclusione da un anno e mezzo a sei anni;
occultazione e distruzione di documenti finalizzate all’evasione; false
comunicazioni sociali, il cosiddetto
falso in bilancio, disciplinato dal codice civile, ma per il quale è prevista
una reclusione massima di sei anni in
caso di gravi danni ai risparmiatori.
Dunque, da questa elencazione noi
capiamo come vi siano gravi profili di irragionevolezza ed iniquità
fiscale in questa disciplina, irragio60
nevolezza ed iniquità fiscale che si
traducono in una profonda iniquità
sociale, che mina le basi della democrazia ed i principi di eguaglianza
sostanziale e di legalità sanciti dalla nostra Carta costituzionale. Chi
agisce, rispettando la legge difficilmente riesce a mantenere i propri
livelli di produttività e le numerose e
toccanti proteste dei lavoratori che si
sono svolte in questi ultimi tempi dimostrano quanto sia alto il livello di
tensione sociale di fronte ad un Governo che non ha un progetto economico di ampio respiro e soprattutto
non tiene conto delle esigenze dei lavoratori a reddito fisso, delle piccole
e medie imprese, di artigiani, di liberi professionisti onesti che rispettano le regole e vivono sulla propria
pelle e quella dei loro familiari gli
effetti negativi di questa crisi.
Di fronte a questo, la risposta del
Governo con quell’emendamento approvato al Senato che oggi e in questi
giorni si dovrà approvare in aula qui
alla Camera è quella di premiare chi
non rispetta le regole, chi ha evaso ai
danni della collettività tutta e di non
punire chi ha falsamente rappresentato, con artifizi contabili e manovre
fraudolente, le situazioni economiche societarie. Tutto ciò vuol dire
fare un danno alla società democratica tutta, significa abbassare il livello di legalità e di etica dell’economia
con l’appoggio dello Stato.
Perché un imprenditore in difficoltà
dovrebbe ostinarsi a pagare le tasse,
Scudo fiscale
a fare i bilanci veritieri e trasparenti, quando chi viola le regole viene
addirittura premiato? Questo è il
messaggio che vogliamo far passare
ai cittadini, alle nuove generazioni,
a chi si avvia al mondo dell’imprenditoria e del lavoro? Sappiamo tutti
che non vi era bisogno di prevedere
l’ampliamento delle aree di impunità
penali per consentire il rientro di capitali all’estero, perché era stata già
prevista un’imposta straordinaria di
importo non pesante, quindi appetibile, ed era stato già previsto a luglio
l’effetto estintivo degli illeciti penali
che costituivano l’essenza di quella esportazione all’estero. Il volere
a tutti i costi inserire anche questi
reati come la frode fiscale perpetrata attraverso fatturazioni false per
operazioni inesistenti o come quella di false comunicazioni sociali in
danno di soci creditori o che abbiano comportato grave nocumento ai
risparmiatori, vuol dire violare ogni
canone di ragionevolezza e coerenza; vuol dire creare sacche di impunità del tutto arbitrarie rimesse a fattori occasionali, che cozzano contro
il principio di legalità, con le regole
e l’interesse pubblico alla trasparenza e alla correttezza del mercato;
vuol dire autorizzare e legalizzare la
cosiddetta costituzione di fondi neri,
utilizzati notoriamente come provvista per la corruzione; vuol dire voler
violare la convenzione OCSE sulla
lotta alla corruzione di pubblici ufficiali stranieri nelle operazioni eco-
nomiche internazionali. I condoni
fiscali non sono mai giusti e in virtù
di questo c’è sempre una parte che
subisce ed un’altra parte che approfitta della situazione; di regola, premiando chi ha evaso e mortificando
chi ha rispettato la legge si incentivano i comportamenti fraudolenti. Ma i capitali esportati all’estero
sono risorse sottratte alla comunità,
a quella comunità che aspetta di vedersi ridurre le tasse e che le paga diligentemente ogni anno, ogni mese e
che non beneficerà minimamente di
tale condono. In più, questi condoni - e lo sappiamo tutti sulla nostra
pelle - sono inefficaci, lo abbiamo
sperimentato già: si tratta solo di risorse una tantum e la cui destinazione è ancora ignota e su questo punto
addirittura il servizio bilancio della
Camera ha chiesto spiegazioni relativamente alla sfasatura che esiste tra
le previste entrate (dicembre 2009) e
le intenzioni di spesa da effettuarsi
nel 2010. Quindi, si chiedono addirittura delucidazioni, delucidazioni
che non sono arrivate e che fanno
ancora di più capire che la finalità,
in realtà, è quella di fare dei regali e
mi riferisco al provvedimento sulle
intercettazioni o altre misure varate.
Si tratta di regali nei confronti della
criminalità più pericolosa, quella più
organizzata, quella che utilizza strumenti artificiosi, quella che non si
scopre con le indagini investigative
alla vecchia maniera, a cui qualcuno
vorrebbe tanto ritornare.
61
Temi per la legalità
Quella che utilizza società, prestanomi, falsi in bilancio, intermediari e
teste di legno e che quindi fa male a
tutto il Paese. Lo scudo fiscale offre
tutta una serie di garanzie a prezzi
stracciati in materia di anonimato,
di esiguo ammontare dell’imposta
e di impunità per una serie di reati.
Gli altri Paesi si sono ben guardati
dall’adottare simili misure. Essi lo
hanno fatto sempre salvaguardando la coerenza rispetto a quello che
il Governo di ciascun Paese intende
perseguire sotto il profilo della repressione dei reati e quindi anche della valorizzazione dell’etica fiscale.
Gli effetti che deriveranno dall’approvazione di questo provvedimento saranno nefasti per la lotta all’evasione
fiscale, al riciclaggio e alla criminalità organizzata e non solo il Governo
ma purtroppo lo Stato italiano tutto
continuerà a perdere credibilità di
fronte ai cittadini e all’Europa. Non
venite poi a dirci che non lo abbiamo
sostenuto, non venite poi a dire o a
pensare, successivamente all’approvazione del provvedimento in esame,
che c’è chi non applica le leggi, che i
giudici non applicano le leggi o che
addirittura si permettono di interpretarle. Sotto questo profilo sono state
affermate delle cose gravissime da
un Ministro di questa Repubblica,
cose che gli studenti del primo anno
di giurisprudenza imparano quando
preparano il primo esame, quello di
istituzioni di diritto privato o di diritto costituzionale. Il compito di un
62
giurista è quello di interpretare la
legge perché essa va applicata e ho
sentito dire - voglio dirlo in quest’Aula - da un rappresentante della Lega,
nel corso di una trasmissione radiofonica, che, in realtà, i giudici devono
limitarsi ad applicare le leggi, mentre
l’interpretazione spetta al Parlamento. Mi auguro che chi ha espresso
queste parole (si trattava di una trasmissione in onda su RaiNews24) lo
abbia fatto solo per ignoranza e non
perché veramente pensa che esse possano rappresentare un indirizzo politico del suo partito e di questo Governo. Ciò vorrebbe dire far passare un
messaggio diretto a tutti i cittadini, ai
giovani e a tutti coloro che si avviano verso un’attività che, come quella
della magistratura, dell’avvocatura
o del notariato, ruota intorno all’interpretazione della legge. Vorrebbe
dire insegnare qualcosa di sbagliato
e ritengo che nessuna attività politica
possa mai legittimare ad ingannare i
cittadini. Deve esserci sempre un indirizzo diretto verso una finalità istituzionale. Sotto questo punto di vista,
anche questo rappresenta un inganno
verso i cittadini. È bene ripensarci.
Voglio confidare che questo emendamento scompaia e che questo testo
venga rivisto dalla maggioranza, che
il Governo dia finalmente un segnale
di coerenza e di rispetto dei principi
fondamentali del nostro Stato. Vorrei che ciò non continuasse ad essere
un’utopia (Applausi dei deputati del
gruppo Partito Democratico).
Processo breve
Seduta n. 453 di lunedì 28 marzo 2011
processo breve
Discussione sulle linee generali
Il testo del progetto di legge n. 3137,
approvato dal Senato in data 20 gennaio 2010, prevedeva norme volte a
realizzare una durata maggiormente
ragionevole dei processi. Significativamente modificato rispetto al testo
inizialmente presentato al Senato, il
punto qualificante di quella proposta era senz’altro la nuova disciplina
sulla sentenza di proscioglimento per
durata ragionevole del processo, contenuta nell’articolo 5 del progetto.
Un meccanismo volto a stabilire
l’estinzione anticipata del processo,
con assoluzione dell’imputato che vi
sia sottoposto, quando il processo si
fosse protratto per un tempo irragionevole, calcolato in relazione a ciascun grado del procedimento (primo
grado, secondo grado, giudizio di
cassazione, eventuale giudizio di
rinvio). Un sistema costruito secondo una progressiva riduzione dei
tempi di espletamento man mano
che si avanza nei gradi del processo: più lungo per il primo grado,
intermedio per l’appello, più breve
per la cassazione.
Il punto critico fondamentale era
dato dalla coesistenza fra la prescrizione prevista dal codice penale, che
rimaneva inalterata nella sua struttura, e la nuova disciplina della durata massima del processo.
Quando il processo avesse avuto inizio, continuavano a decorrere i termini di prescrizione del reato, cui si
aggiungevano ora i tempi di durata
massima di ciascuna fase.
Questo accavallarsi di limiti cronologici dentro il processo era ed è
nefasto, poiché di fatto continuava
a rendere conveniente per le parti
assumere un contegno dilatorio, improntato a prolungare la durata del
processo. Anzi, la sovrapposizione
di due distinte gabbie cronologiche al
processo amplificava la convenienza
alla dilazione: poiché se anche non si
riuscisse a sforare il termine di fase,
il tempo guadagnato gioverebbe comunque per cercare di guadagnare
la prescrizione del reato.
Non vi era alcuna ragione per questo
accavallarsi di discipline, che finiva
AC 3137 - Misure per la tutela del cittadino contro la durata indeterminata
dei processi, in attuazione dell’articolo 111 della Costituzione e dell’articolo
6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle
libertà fondamentali (approvata dal Senato, in discussione alla Camera)
63
Temi per la legalità
solo per rendere il processo più intricato e complicato.
La soluzione coerente doveva essere
quella di armonizzare le regole sulla durata del processo con le norme
sulla prescrizione dei reati, stabilendo che queste ultime cessino definitivamente di applicarsi quantomeno
dal momento in cui viene esercitata
l’azione penale.
Non solo si deve dire che la disciplina era ed è (per quello che oggi
è l’articolo 5) eccessivamente rigida,
poiché i termini sono fissi; una rigidità che contrasta con le stesse indicazioni della Corte europea dei diritti dell’uomo, ma non si predispone
alcun meccanismo che contrasti con
questa rigidità. Manca qualsiasi sistema che consenta di recuperare in
un segmento processuale il tempo risparmiato in una fase precedente: un
processo che giungesse con massima
celerità alle soglie della cassazione,
ma che poi si protraesse in questa
fase per un tempo superiore ad un
anno e sei mesi finiva per estinguersi
anche se, complessivamente riguardato, non può essere ritenuto un processo irragionevolmente lungo. Nei
termini previsti per il giudizio d’appello e di Cassazione rientra pure la
fase di redazione della sentenza del
grado precedente e di decorso del
termine per impugnare, con l’effetto di ridurre ulteriormente il tempo
utile per il valido espletamento del
giudizio d’impugnazione.
64
La logica di tempi tarati essenzialmente per gravità del reato desta non
poche perplessità, posto che la complessità dell’accertamento può non
coincidere affatto con la gravità del
reato perseguito.
Ma che non si trattasse di una normativa volta ad assicurare la ragionevole durata dei processi per i cittadini veniva confermato dall’articolo
9, la cosiddetta transitoria, rivelatrice dell’abitudine di coniare norme
ad personam.
Non servono molte parole per osservare come questa norma confliggeva
con la ragionevolezza e con la parità
di trattamento dei cittadini. Essa si
applicava ai processi in corso solo
quando si trattava di procedimenti
per reati commessi anteriormente
al 2 maggio 2006 e puniti con pena
inferiore a dieci anni. Già questa è
una prima singolare disparità di trattamento. Di più, la norma transitoria
concerne solo la durata dei processi
di primo grado, non anche nei gradi
successivi. Infine, essa prevede termini di durata del processo di primo
grado più brevi di quanto previsto
nella disciplina generale dell’articolo 5: due soli anni, invece di tre. Un
coacervo di disparità di trattamento
che, in quanto tali, suonavano difficilmente giustificabili all’interno di
un giudizio di costituzionalità.
Invero la prescrizione, se vista nella
sua eccezionalità e straordinarietà,
può funzionare come agente terapeu-
Processo breve
tico, perché può sollecitare efficienza
e rigore organizzativo. Tutti abbiamo
sottolineato però che la prescrizione
processuale o sostanziale è un agente
patogeno, non terapeutico per il processo, se non è vista come un esito
assolutamente raro e straordinario.
Essa induce infatti le difese a premialità di fatto, scoraggia quindi le
premialità trasparenti e legali dei
riti alternativi, laddove l’accusatorio
può funzionare in quanto funzionano i reati alternativi, ma, se non funzionano gli alternativi, non funzionerà neppure questa scelta di fondo
del rito accusatorio.
Essa incentiva inoltre tecniche dilatorie, implementa oltre ogni misura
le impugnazioni in vista di quell’esito proscioglitivo.
Non è stato inserito alcun contrappeso alla prescrizione abbreviata.
Tali contrappesi dovevano consistere
innanzitutto nello sterilizzare la prescrizione del reato dopo l’esercizio
dell’azione penale, perché la nostra
disciplina della prescrizione di tipo
sostanziale del reato non ha uguali
in nessuna altra parte del mondo.
Nel resto del mondo lo Stato che
decide di esercitare l’azione penale
attraverso i suoi organi non si vede
prescritto il reato per il quale procede perché ha mostrato la volontà di
voler procedere in ordine a quello.
Sarebbe stato necessario irrobustire
fortemente le premialità negoziali con misure larghe e trasparenti
all’interno dei riti alternativi; prevedere rigorose preclusioni endoprocessuali in tema di competenza e
di invalidità degli atti; semplificare
avvisi, comunicazioni e notificazioni a parti e difensori; eliminare radicalmente come pretende anche la
Corte europea dei diritti dell’uomo
il giudizio contumaciale a favore
dell’istituto dell’assenza consapevole e informata dell’imputato; prevedere casi di inammissibilità de plano
delle impugnazioni manifestamente
infondate o aspecifiche; ridurre le
impugnazioni incidentali.
Tener conto della particolare complessità della ricostruzione probatoria del fatto o della pluralità degli
imputati e delle imputazioni, come
ci dice la giurisprudenza della Corte europea; rafforzare i poteri della
persona offesa come vittima del
reato dentro il processo; enunciare
il dovere di lealtà processuale delle
parti nel processo; prevedere fattispecie tassative di sospensione dei
termini di fase in ogni caso oggettivo e non imputabile al resto delle
attività processuali.
In difetto dei contrappesi, la prescrizione funziona solo come agente
patogeno e può comportare il rischio
del collasso e della perdita di autorevolezza della giurisdizione penale,
programmando una fine scontata,
quindi non più straordinaria e eccezionale ma ordinaria e tipica del
processo penale per il mero decorso
del tempo.
65
Temi per la legalità
Quella che, se razionalmente organizzata, dovrebbe essere una conclusione straordinaria ed eccezionale,
perché fallisce la funzione primaria
della funzione cognitiva dell’accertamento e della ricostruzione probatoria dei fatti, perché c’è la sconfitta
dell’ansia di verità delle vittime del
reato e di giustizia della collettività,
della comunità di riferimento, viene
invece disciplinata come uno dei tipici e ordinari esiti proscioglitivi, e
l’imputato avrà ben diritto di tendere
a questo esito nel momento in cui lo
si pone nello sfondo.
Aumenta ulteriormente la distanza
della nostra disciplina rispetto all’apparato di tutela riconosciuto dalle
fonti convenzionali e sovranazionali
alla vittima del reato, alla persona
fisica che ha subìto il pregiudizio da
quelle violazioni del diritto penale
riconosciuto da uno Stato membro.
Avremmo potuto comprendere una
rivisitazione della prescrizione sistematica, inserita in un complesso di interventi processuali e organizzativi o per funzionamento,
sarebbe stato necessario incidere
sull’insufficienza drammatica del
personale amministrativo dal punto
di vista qualitativo e quantitativo,
perché il personale amministrativo
di cancelleria della giustizia oggi è
a esaurimento, perché negli ultimi
quindici anni non sono stati banditi concorsi ed è stata diminuita di
oltre un terzo la forza lavoro negli
uffici giudiziari, che risultano per
66
giunta sprovvisti delle più moderne
specializzazioni.
Sarebbe stato necessario inoltre
considerare l’esigenza di semplificazione e informatizzazione di tutti i
servizi di comunicazione e notificazione, il sovraccarico della domanda
di giustizia penale, il sovradimensionamento della classe forense, con un
numero di avvocati assolutamente
spropositato rispetto al numero degli
abitanti di questo Paese e anche se
comparati con qualunque altro Paese
europeo.
Ricordo che il 17 novembre 2010 il
Comitato dei Ministri e quindi anche il nostro Ministro al Consiglio
d’Europa ha approvato la raccomandazione Raccomandazione CM/
Rec(2010)12, su indipendenza, efficacia e responsabilità dei giudici.
Essa raccomanda ai Governi degli
Stati membri di fornire ai giudici
mezzi per svolgere le loro funzioni
in conformità a queste disposizioni:
«L’efficacia dei giudici e dei sistemi
giudiziari è una condizione necessaria per la tutela dei diritti di ogni
persona. L’efficacia sta nell’emettere
decisioni di qualità entro un termine
ragionevole e sulla base di un apprezzamento equo delle circostanze.
Spetta alle autorità responsabili per
l’organizzazione e il funzionamento
del sistema giudiziario creare le condizioni che consentano ai giudici di
svolgere la loro missione e raggiungere l’efficacia.
Processo breve
Ogni Stato deve assegnare ai tribunali risorse, strutture e attrezzature adeguate, che consentano loro di operare
in conformità delle esigenze di cui
all’articolo 6 della convenzione e per
consentire ai giudici di lavorare in
modo efficace. Ai tribunali deve essere assegnato un numero sufficiente
di giudici e di personale di supporto
adeguatamente qualificato».
tali per una corretta impostazione
del problema del processo breve.
Il principio di efficienza e di giusta durata del processo deve essere
contemperato con gli altri valori costituzionalmente protetti, che sono
quelli del giusto processo, del diritto
di difesa dell’imputato, della tutela delle vittime del reato specie se
vulnerabili, della funzione cognitiva
di ricerca della verità del processo
penale, dell’obbligo di motivazione
delle decisioni dei giudici.
Il giudice Zagrebelsky ebbe occasione di rilevare che non è irrilevante il
fatto che la procedura si sia sviluppata attraverso varie fasi e attraverso
vari gradi, ma la durata del procedimento in una fase o grado non è
mai stata presa in considerazione di
per sé, tanto che non esiste una giurisprudenza relativa alla durata del
procedimento di primo grado o alla
durata del procedimento in grado di
appello.
Occorre fare i conti con quella che la
citata raccomandazione del novembre 2010 del Comitato dei ministri del
Consiglio d’Europa chiama «esigenza di qualità e serietà della giurisdizione penale». È verosimile prevedere che l’attuale articolato normativo
così come è strutturato non supererà
indenne lo scoglio dello scrutinio di
costituzionalità, né quello di coerenza con i princìpi della Convenzione
europea dei diritti dell’uomo.
Il giudice Zagrebelsky, nell’illustrare le linee fondamentali della giurisprudenza della Corte di Strasburgo
sull’argomento, evidenziò alcuni
punti che a me sembrano fondamen-
In particolare la Corte di Strasburgo,
nel valutare la ragionevole durata di
una procedura è portata a commisurare i tempi necessari con riferimento all’esecuzione della decisione
giudiziaria finale e non allo svolgersi
del processo nelle sue diverse fasi o
nei suoi diversi gradi.
Qualunque durata prefissata in
astratto vista da Strasburgo potrebbe rivelarsi in concreto eccessiva o
troppo breve. La ragionevole durata
è solo un aspetto dell’efficienza e
quindi della competitività del sistema giustizia, per cui pensare di ingabbiare la decisione del giudice in
tempi rigidi e predeterminati, non
trova riscontro in nessun Paese europeo, tanto meno nella giurisprudenza della Corte di Strasburgo che
semmai dice il contrario.
Per le vittime del reato esiste poi
una specifica decisione quadro del
Consiglio dei Ministri dell’Unione
67
Temi per la legalità
europea del 15 marzo 2001, che mira
a realizzare a trecentosessanta gradi un sistema articolato di misure di
assistenza alle vittime del reato prima, durante e dopo il procedimento
penale, individuando uno standard
minimo di diritti che ogni Stato deve
garantire alle vittime del reato.
Per dare concreta attuazione a questa finalità con riferimento alle vittime del reato, il Ministro della giustizia provvide a istituire nell’aprile
del 2001 una Commissione di studio
sui problemi e sul sostegno da dare
alle vittime dei reati; ma il progetto elaborato dalla Commissione nei
termini prefissati, non ha avuto attuazione, poiché non si sono trovati
i finanziamenti necessari a renderlo
concretamente operativo.
È indubitabile che qualunque persona
responsabile si deve porre il problema
della ragionevole durata dei processi
sotto due ordini di profili, innanzitutto quello dei tantissimi processi che
in un modo o nell’altro finiscono con
la prescrizione ed è doveroso riflettere sulle condanne subìte dall’Italia
per violazione del diritto alla ragionevole durata del processo.
Ma quale è la soluzione? Non certo
quella prospettata negli emendamenti del relatore Paniz, che è tanto
semplicistica quanto incauta e quasi
sembra irridere le voci disperate che
si sono levate dagli uffici giudiziari,
che hanno denunciato dati significativi e allarmanti; ad esempio il pro68
curatore Generale Maddalena ha segnalato nel suo intervento all’ultima
inaugurazione dell’anno giudiziario
che a Torino nell’ultimo anno sono
finiti in prescrizione (comprendendo le archiviazioni per prescrizione,
che non superano neanche la fase
delle indagini preliminari e quelle
tra indagini preliminari, udienza
preliminare, primo grado e appello),
complessivamente 10.000 processi.
Che cosa si fa nella nuova versione
del processo breve? Si riduce il termine massimo della prescrizione del
reato, ma solo per gli incensurati
che, quale che sia il reato commesso,
avranno la sicurezza che il loro reato
si estinguerà prima di quello del correo che magari precedentemente ha
commesso un reato di lieve entità.
A prescindere dalla scelta di politica criminale che contrasta addirittura con le indicazioni contenute
nel pacchetto sicurezza, il fatto di
far scaturire dall’incensuratezza un
particolare beneficio, è già di per sé
contraddittorio con la natura delle potestà punitiva e contrasta con
le esigenze general-preventive del
diritto penale e non ha nulla a che
vedere con il principio della durata
ragionevole del processo.
L’istituto della prescrizione era già
stato oggetto di un recente intervento legislativo: la legge n. 251 del 2005
(ex Cirielli) non solo ha lasciato irrisolti i nodi più rilevanti in punto di
interferenza tra disciplina sostanzia-
Processo breve
le dell’estinzione del reato e tempi
processuali, ma ha anche aggravato
gli effetti indiretti, e non per questo
meno significativi, che la prescrizione oggi è capace di produrre proprio
nel senso di un allungamento della
durata degli accertamenti. Ciò perché la rimodulazione del tempo della prescrizione, che per vasti settori
di fattispecie penali anche gravi è
stato sensibilmente ridotto, non ha
tenuto conto delle effettive capacità
del sistema giudiziario di smaltire il
rilevante carico di lavoro e del comprensibile atteggiamento difensivo
del ricorso a strumenti dilatori del
processo per «ottenere», male che
vada, la pronuncia di estinzione.
L’ulteriore riduzione del termine massimo di prescrizione (da un
quarto del massimo edittale ad un
massimo del sesto edittale) non fa
altro che aggravare le difficoltà del
sistema giustizia e aumentare il numero dei processi che quotidianamente si estinguono.
Per i reati che sono puniti con pena
nel massimo non superiore a sei anni
il termine complessivo di prescrizione si riduce di 6 mesi (da 7 anni e
mezzo a 7 anni).
Per i reati che sono puniti con una
pena di dieci anni, il termine complessivo di prescrizione scende da dodici anni e mezzo a undici anni e otto
mesi (10 mesi in meno di prima).
Per i reati che sono puniti con una
pena di dodici anni, il termine com-
plessivo di prescrizione scende da
quindici anni a quattordici anni (un
anno in meno di prima).
Per i reati che sono puniti con una
pena di venti anni, il termine complessivo di prescrizione si riduce di
oltre un anno (da venticinque anni a
ventitré anni e quattro mesi).
Potrebbero sembrare riduzioni non
clamorose ma esse operano su termini di prescrizione che già ora
sono - a seguito delle «sforbiciate»
alla prescrizione imposte dalla legge
Cirielli - troppo brevi per le potenzialità effettive del sistema giustizia,
specie per i reati minori. Per l’ennesima volta, quindi, le esigenze della giustizia penale - che sarebbero
quelle di un allungamento dei termini massimi di prescrizione - vengono
sacrificate a quelle del singolo.
Si deve per di più aggiungere che la
differenziazione dei termini di prescrizione fra imputati incensurati e
non (o, meglio, fra imputati dichiarati recidivi e non) solleva non pochi
dubbi di legittimità costituzionale,
poiché gli interessi che la prescrizione mira a tutelare non paiono mutare, in qualità o in intensità, a seconda
che l’imputato sia o meno recidivo.
Un altro aspetto non secondario
deriva dalla condanna che la Corte
europea dei diritti dell’uomo ha inflitto all’Italia in relazione al diritto
di ogni persona a che la sua causa
sia esaminata entro un termine ragionevole (in termini, Corte EDU,
69
Temi per la legalità
sentenze nn. 36813/97, 64890/01,
64699/01, 65102/01. Si veda anche
la sentenza della Corte di Strasburgo in data 5 luglio 2007, Locatelli
c. Italia).
La Corte di Strasburgo ha considerato il tempo impiegato, nell’ambito dei
giudizi celebrati in Italia, per esaminare il merito della causa; ed ha affermato la responsabilità dello Stato
discendente dalla violazione dell’articolo 6, paragrafo 1, della Convenzione EDU. La Corte ha pure posto
a carico dello Stato italiano una liquidazione supplementare rispetto a
quella riconosciuta dalle Corti d’Appello nel quadro della Legge Pinto,
ritenendo che detta previsione non
fornisca una riparazione equa del
ritardo subito.
Non sembra allora che la giurisprudenza della Corte di Strasburgo, così
sinteticamente richiamata, legittimi
in alcun modo l’introduzione di termini accorciati di prescrizione del
reato di corruzione sanzionati con
l’estinzione dello stesso reato; cioè
a dire la previsione di un meccanismo che ostacola l’accertamento
sul merito della questione dedotta
in giudizio. Invero, il diritto consacrato dall’articolo 6 della Convenzione, e prima di essa dagli articoli
24 e 111 della nostra Costituzione, è
anzitutto che il processo ci sia e che
sia un processo che si concluda con
una decisione di merito. In secondo
luogo che sia un processo di durata
non irragionevole ed improntato agli
70
altri principi descritti dalla norma
costituzionale.
Si osserva, inoltre, che le nuove norme proposte in tema di prescrizione
sembrano pure confliggere con le
previsioni promananti da fonti sovranazionali di origine pattizia, recentemente recepite dallo Stato italiano. Ci si riferisce, in particolare,
alla Convenzione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite contro la
corruzione, adottata dall’Assemblea
generale dell’ONU il 31 ottobre 2003
con risoluzione n. 58/4, firmata dallo
Stato italiano il 9 dicembre 2003 (La
Convenzione contro la corruzione
alla quale si fa riferimento nel testo
è pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
14 agosto 2009, n. 188).
La predetta Convezione è stata ratificata dall’Italia con Legge 3 agosto
2009, n. 116. L’articolo 2 della citata
legge n. 116 del 2009 stabilisce invero espressamente che «Piena ed intera esecuzione è data alla Convenzione» ONU contro la corruzione.
La Convenzione raccomanda il rafforzamento, da parte degli Stati firmatari, delle misure sostanziali e
processuali volte a prevenire e combattere la corruzione in modo sempre più efficace. Non vi è dubbio,
pertanto, che rientrano nell’ambito
della Convenzione anche le figure di
reato individuate dagli Stati aderenti al fine di contrastare il fenomeno
corruttivo. Con riguardo all’Italia,
vengono pertanto in rilievo i delitti
Processo breve
contro la pubblica amministrazione
di cui al Libro Secondo, Titolo II,
del codice penale, delitti per i quali
la pena edittale è, in numerosi casi,
inferiore a dieci anni di reclusione e
che perciò astrattamente rientrano
nella previsione di modifica dei termini di prescrizione.
Tanto premesso, si osserva che l’articolo 29 della Convenzione ONU
contro la corruzione, stabilisce
che «... ciascuno Stato Parte fissa,
nell’ambito del proprio diritto interno, un lungo termine di prescrizione entro il quale i procedimenti
possono essere avviati per uno dei
reati stabiliti conformemente alla
presente Convenzione». La previsione risente ovviamente dell’ambiente
di common law in cui la Convenzione stessa è maturata ove, come sopra
si è rilevato, l’esercizio dell’azione
penale mediante l’instaurazione del
giudizio preclude l’ulteriore corso
della prescrizione del reato. Tanto
chiarito, non appare revocabile in
dubbio che la ratio della disposizione sia quella di garantire l’effettiva
celebrazione dei processi in materia
di corruzione.
Rafforza il convincimento rilevare
che l’articolo 30 della Convenzione
in esame raccomanda agli Stati di
adottare le misure necessarie al fine
di «ricercare, perseguire e giudicare
effettivamente» i responsabili di fatti corruttivi (articolo 30, comma II).
L’articolo in commento invita poi gli
Stati ad adoperarsi affinché i relativi
procedimenti giudiziari si svolgano
in modo tale da «ottimizzare l’efficacia di misure di individuazione e
di repressione di tali reati» (articolo
30, comma 3).
Orbene, la previsione della estinzione anticipata del reato - che ben può
riguardare anche i delitti di corruzione, come sopra chiarito - quale
effetto automatico derivante dal decorso di predeterminati limiti temporali, sembra allora porsi in netto
contrasto con i principi sanciti dalla
richiamata Convenzione contro la
corruzione, ai quali l’azione degli
Stati firmatari dovrebbe ispirarsi.
Infine, una specifica menzione deve
essere riservata al rapporto redatto
dal Gruppo di Stati contro la corruzione che agisce nell’ambito del
Consiglio d’Europa (GRECO) (Joint
First and Second Round Evaluation
Report on Italy, adottato in data 2 luglio 2009 dal Group of States against
corruption (GRECO) del Consiglio
d’Europa), che ha recentemente valutato le politiche anticorruzione poste in essere dall’Italia.
Il rapporto adottato il 2 luglio 2009
si sofferma sul dato relativo alla eccessiva durata dei processi, sottolineando il fatto che in Italia i processi
per corruzione sovente non arrivino
ad una decisione di merito, in considerazione del maturare del termine
di prescrizione del reato, prima di
una pronuncia definitiva. Nel Rapporto (PAR 54) si osserva che detta
71
Temi per la legalità
evenienza scardina l’efficienza e la
credibilità del diritto penale, poiché
in tali casi, pur in presenza di un forte quadro probatorio, il giudice deve
pronunciare il non luogo a procedere
per estinzione del reato. Ed il predetto rapporto si conclude con una
raccomandazione all’Italia, ove si
auspica l’individuazione di soluzioni
che consentano di addivenire ad una
pronuncia di merito, in un tempo ragionevole.
Questa proposta di legge costituirà
l’ennesima prova di una volontà di
un Governo che non ha tra le sue
priorità una giustizia efficiente, trasparente ed effettiva per il cittadino.
Seduta n. 455 di mercoledì 30 marzo 2011
Esame di pregiudiziali
Signor Presidente, siamo ancora qui
davanti all’ennesimo provvedimento
legislativo, coniato per gli interessi
del Presidente del Consiglio, che presenta vizi di costituzionalità di fondo.
Non vorrei fare la Cassandra, perché
francamente avevamo formulato gli
stessi rilievi anche con riferimento
alla legge sul legittimo impedimento
e al lodo Alfano e li ribadiamo oggi:
siamo ancora in tempo per rivedere
questa strategia perdente, che provoca lo sconquasso della giustizia e
del processo penale e che stravolge
la nozione di prescrizione del reato
contenuta nel codice penale.
La prescrizione estingue il reato perché si pone come limite al potere dello Stato di punire perché è trascorso
tanto di quel tempo da far venir meno
l’interesse alla pena ed è una garanzia per l’imputato ad un processo che
non sia interminabile. Ma nel nostro
sistema già questa maggioranza nel
2005 era intervenuta accorciando in
72
maniera irragionevole i termini della
prescrizione con la riforma «ex Cirielli». Già quindi oggi molto spesso
si arriva all’estinzione del reato per
prescrizione non perché ci sia stata
l’inerzia o la stasi investigativa o
processuale: si arriva alla prescrizione proprio nei processi più complessi, dove c’è stato più impegno per le
parti e si distrugge spesso la mole di
lavoro compiuta, con uno spreco di
risorse, una dissipazione di denaro,
un tradimento delle aspettative delle
vittime e una violazione della decisione quadro del 2001, che tutela a
tutto tondo la vittima del reato.
La prescrizione introdotta dalla legge
ex Cirielli non solo aveva ridotto in
maniera rilevante i tempi della prescrizione, ma aveva già individuato
dei tempi crescenti per i recidivi reiterati e per i delinquenti abituali: una
manifestazione già quella di un diritto diseguale, di un regime del doppio
binario che questa proposta aggrava
Processo breve
in maniera esorbitante e rende del
tutto irragionevole, in totale spregio
del principio di uguaglianza.
Il paradosso è stato ulteriormente accentuato perché per arrivare
alla prescrizione di un processo - il
processo che sta a cuore a voi -, si
è accentuata la disuguaglianza tra i
cittadini «normali»: più tempo per
giudicare i pregiudicati, più tempo
per chi ha commesso anche un solo
reato - anche di lieve entità, il cosiddetto recidivo semplice - e meno
tempo invece per i cosiddetti incensurati, senza contare che l’incensurato può avere più processi pendenti
e magari avere avuto un ruolo determinante proprio in quel processo che
si va ad estinguere prima degli altri;
oppure può aver avuto un ruolo defatigante e dilatorio nell’ambito del
processo e si potrebbe trattare dello
stesso incensurato per il quale il pacchetto sicurezza portato avanti dal
Ministro Maroni nel 2008 e approvato da questo Parlamento in caso di
condanna impedirebbe, in base alla
stessa incensuratezza, di meritare le
attenuanti generiche.
Quindi, non sapete più dove andare
a trovare le scorciatoie per il Presidente del Consiglio e siete in contraddizione con voi stessi, anzi devo
dire che alla figura ben nota del pregiudicato si affiancherà quella del
«pluriprescritto», in grado di vantare
una fedina penale punita, una nuova
verginità ogni volta che si avvia un
nuovo processo e che ha già bene-
ficiato di altre estinzioni abbreviate
di processi precedenti. Questa linea
contrasta e contraddice la potestà
punitiva e le esigenze generali e preventive del diritto penale. Rimaniamo senza parole nei confronti di una
Lega Nord Padania a parole così attenta alla sicurezza dei cittadini, ma
che poi nei fatti non riesce a frenare
questo precipizio processuale.
Siffatta soluzione legislativa lesiva
del diritto di uguaglianza è fonte di
una ingiustificata disparità di trattamento e la differenza non è ragionevole perché non è ancorata a nessun
fattore oggettivo, ma solo a quello
soggettivo e casuale del certificato penale che non riporta condanne
passate in giudicato, che di per sé
non può avere alcun rilievo ai fini
dell’interesse dello Stato a punire e
ad andare in fondo all’accertamento
della verità processuale e quindi anche dell’innocenza.
C’è di più, questo provvedimento
contrasta anche con l’articolo 111
della Costituzione sul giusto processo e sulla sua durata ragionevole, tant’è vero che nel Comitato dei
nove il relatore si è ben affrettato a
proporre un emendamento che modifichi il testo del provvedimento
all’esame dell’Aula, proprio perché
quel richiamo al giusto processo e
all’articolo 111 implica che ci sia una
credibilità della giurisdizione agli
occhi dei cittadini, mentre abbreviare i termini della prescrizione agevola invece la ricerca programmata del
73
Temi per la legalità
prolungamento del processo penale,
è ostacolo alla realizzazione e all’utilizzo dei riti abbreviati, è ostacolo
alla realizzazione di una ragionevole
durata del giusto processo che vuol
dire tendere e mirare a una pronuncia
di merito.
Non è vero che questa norma accorcia i termini già prossimi a scadere
nel primo grado, perché in realtà in
questo modo si penalizzano in maniera irragionevole e in contrasto con
la Costituzione - oltre che con l’articolo 6 della Convenzione europea
per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali - proprio le vittime.
Le vittime, infatti, o meglio la parte
lesa costituita ha un interesse specifico a che ci sia una pronuncia di
merito di primo grado, perché da lì
trae la legittimazione a portare avanti la sua posizione processuale nei
gradi successivi e, quindi, a vedere
risarcita la propria offesa al bene che
viene tutelato. Invece, accorciando i
termini della prescrizione massima,
qui non si tiene conto della complessità del processo, dell’imputazione,
di quante vittime si sono costituite,
ma si continua a dare un privilegio a
chi, il cosiddetto incensurato, magari immeritevole, successivamente ha
anche delle attenuanti generiche. Per
l’ennesima volta, le esigenze della
giustizia penale, quindi le esigenze
74
dei cittadini, vengono sacrificate a
quelle di una singola persona.
Il diritto consacrato dall’articolo 6
della Convenzione dei diritti umani, e prima ancora dagli articoli 24 e
111 della Costituzione, vuole che un
processo ci sia e che si arrivi ad una
decisione che sia di innocenza o di
colpevolezza e non che si taglino inopinatamente i processi, che si realizzi
una scorciatoia che in realtà butterà
al macero tanti processi in primo grado già fissati, tenendo conto di quella ragionevole durata che era fissata
da una legge già emanata da questo
Parlamento. Invece, lavorando quasi
come fosse un’amnistia, ma senza
neanche i canoni delle maggioranze
qualificate previste da questo Parlamento, si arriverà alla fine a porre nel
nulla, per un solo processo, migliaia
di processi che invece stanno completando il proprio corso.
Credo che su questo dovreste riflettere tutti e cercare di non avere sempre
i paraocchi e i paraorecchie, ma di
avere un atteggiamento ragionevole,
cancellando questo provvedimento,
ritirandolo definitivamente, non limitandovi a cambiare il titolo, perché la
vergogna che c’è dentro rimane e non
è possibile ricomporla con un titolo
rifatto, che tra l’altro è una falsità in
se stesso (Applausi dei deputati del
gruppo Partito Democratico).
Processo breve
Questione sospensiva
La Camera,
premesso che:
l’eventuale approvazione dell’A. C.
3137, recante «Misure contro la durata indeterminata dei processi», il
cosiddetto «processo breve», determinerebbe gravissime conseguenze
sul sistema giudiziario, portando
all’estinzione immediata di centinaia
di processi in corso;
la proposta di legge in esame, infatti,
agisce nuovamente sulla prescrizione, peggiorando ulteriormente i già
gravissimi effetti causati dalla legge
cosiddetta «ex Cirielli», la n. 251 del
2005;
lo scorso 10 marzo, il Consiglio dei
Ministri, appositamente convocato,
ha approvato all’unanimità, su proposta del Presidente del Consiglio,
Berlusconi, e del Ministro della giu-
stizia, Alfano, un disegno di legge
costituzionale per una riforma della
giustizia, definito una riforma «epocale» che modifica il Titolo IV della Costituzione, che assumerebbe la
nuova denominazione de «La Giustizia», del quale però ad oggi non vi è
traccia in Parlamento;
dunque, mentre da un lato si vagheggia di una «riforma epocale del sistema giustizia», dall’altro si introducono norme di impatto devastante per il
nostro sistema giudiziario,
delibera
di sospendere l’esame dell’atto Camera n. 3137-A per un periodo di
due anni.
n. 1. Franceschini, Ventura, Maran,
Villecco Calipari, Amici, Bressa,
Ferranti, Zaccaria, Boccia, Lenzi,
Quartiani, Giachetti, Rosato.
75
Temi per la legalità
Questione pregiudiziale di costituzionalità
La Camera,
premesso che:
la proposta di legge in esame ridefinisce il regime della prescrizione,
peraltro nel solco degli indirizzi di
politica legislativa contenuti nella
legge n. 251 del 2005 (c.d. ex Cirielli) già in violazione di fondamentali
princìpi costituzionali;
l’articolo 3, introduce modifiche
all’articolo 161 del codice penale,
sostituendone il comma 2 con il seguente: «Salvo che si proceda per
i reati di cui all’articolo 51, commi
3-bis e 3-quater, del codice di procedura penale, in nessun caso l’interruzione della prescrizione può comportare l’aumento di più di un sesto
del tempo necessario a prescrivere,
di un quarto nel caso di cui all’articolo 99, primo comma, della metà
nei casi di cui all’articolo 99, secondo comma, di due terzi nel caso di
cui all’articolo 99, quarto comma, e
del doppio nei casi di cui agli articoli
102, 103 e 105»;
tale norma riduce da un quarto ad
un sesto l’aumento automatico della prescrizione, ma soltanto per gli
incensurati e per i processi di primo
grado;
siffatta riduzione del termine massimo di prescrizione avrà inevitabilmente ricadute sul funzionamento
del sistema giudiziario, incremen76
tando il numero dei processi destinati a svolgersi inutiliter (già oggi
aumentati rispetto al passato per
effetto della legge n. 251 del 2005),
dato che i termini di prescrizione appaiono troppo brevi per consentire
il dispiegamento delle potenzialità
effettive del sistema giudiziario, in
particolare per i reati con pena edittale stabilita nel massimo fino a sei
anni (tra i quali rientrano molti dei
reati contro la pubblica amministrazione come la corruzione e i reati
societari);
determina un incentivo a pratiche
dilatorie di per sé antitetiche alla ragionevole durata del processo e nel
contempo - contraddittoriamente addirittura premia siffatte pratiche
dilatorie, contraddicendo così i principi basilari del giusto processo di cui
all’articolo 111 della Costituzione, che
è tale in quanto contempera le esigenze della difesa della persona accusata
con quelle della pubblica accusa;
nel caso della riduzione da un quarto
ad un sesto dell’aumento automatico
della prescrizione soltanto per gli incensurati si introduce una differenziazione di trattamento sulla base
di caratteristiche soggettive degli
individui, su presunzioni attinenti
all’incensuratezza, senza che sussistano ragionevoli motivi per differenziare la disciplina della prescrizione rispetto a chi ha avuto già una
Processo breve
sola condanna, ledendo in tal modo
il principio di eguaglianza/ragionevolezza di cui all’articolo 3 della Costituzione: gli interessi che l’istituto
della prescrizione mira a tutelare
non mutano difatti, in qualità o in
intensità, a seconda che l’imputato
sia o meno recidivo «semplice»;
far scaturire dall’incensuratezza un
particolare beneficio è già di per sé
contraddittorio con la natura della
potestà punitiva e contrasta con le
esigenze generali-preventive del diritto penale;
la violazione del principio di eguaglianza/ragionevolezza di cui all’articolo 3 della Costituzione è dunque
netta e chiara, poiché la proposta di
legge in esame introduce discipline
differenziate in materia di prescrizione sulla base di caratteristiche
soggettive degli individui, nel caso
specifico su presunzioni attinenti
all’incensuratezza, che già da tempo
la Corte Costituzionale ha dichiarato
illegittime;
il medesimo presupposto alla base
dell’applicazione della riduzione
dell’aumento massimo previsto del
termine di prescrizione del reato (e,
cioè l’essere incensurati), può essere
già oggi preso in considerazione dal
giudice nell’ambito delle valutazioni
connesse alla concessione della circostanza delle attenuanti generiche,
ed è tale dunque anche da giustificare una diminuzione della pena:
ciò costituisce quindi un ulteriore
elemento di irragionevolezza (intesa questa volta come illogicità della
norma in rapporto ad altre norme
dell’ordinamento);
tra l’altro con il decreto-legge 23
maggio 2008, n. 92, convertito dalla legge n. 125 del 24 luglio 2008,
recante Misure urgenti in materia di
sicurezza pubblica, il legislatore ha
stabilito che «l’assenza di precedenti
condanne per altri reati a carico del
condannato (cioè l’incensuratezza
formale) non può essere, per ciò solo,
posta a fondamento della concessione delle attenuanti generiche»;
ora lo stesso legislatore, all’articolo
3 della proposta di legge in esame
afferma che l’incensuratezza, per
ciò solo, impone una prescrizione
più breve del reato;
infine la legge 3 agosto 2009, n. 116,
recante la ratifica della Convenzione
dell’Organizzazione delle Nazioni
Unite (ONU) contro la corruzione,
adottata dall’Assemblea generale
dell’ONU il 31 ottobre 2003 a Merida, impone agli Stati firmatari il
rafforzamento delle misure sostanziali e processuali volte a prevenire
e combattere la corruzione in modo
sempre più efficace, chiedendo di
«ricercare, perseguire e giudicare effettivamente» i responsabili
di fatti corruttivi e di adoperarsi
perché i relativi procedimenti giudiziari si svolgano in modo tale da
«ottimizzare l’efficacia di misure di
individuazione e di repressione di
77
Temi per la legalità
tale reati» e prevedendo che «ciascuno Stato Parte fissi, nell’ambito
del proprio diritto interno, un lungo
termine di prescrizione entro il quale i procedimenti» per i reati previsti
dalla Convenzione «possono essere
avviati»,
78
delibera
di non procedere all’esame dell’atto
Camera n. 3137-A.
n. 3. Franceschini, Ventura, Maran,
Villecco Calipari, Amici, Bressa,
Ferranti, Zaccaria, Boccia, Lenzi,
Quartiani, Giachetti, Rosato.
Emergenza rifiuti in Campania
Sicurezza
79
Temi per la legalità
80
Emergenza rifiuti in Campania
Seduta n. 17 di lunedì 16 giugno 2008
Emergenza rifiuti in Campania
Discussione sulle linee generali
Signor Presidente, onorevoli deputati, il decreto-legge che stiamo
esaminando in sede di conversione
reca sicuramente misure straordinarie per fronteggiare l’emergenza nel
settore dello smaltimento dei rifiuti
nella regione Campania e si inquadra in una situazione urgente, come
hanno detto tutti quelli che mi hanno
preceduto, che interessa il territorio
della Campania e che impone di porvi rimedio rapidamente e con decisione, per riportare quella regione in
una situazione propria di un Paese
civile, superando così i rilevantissimi disagi per le popolazioni, il danno per l’immagine del Paese tutto
e le ripercussioni negative sull’economia, con particolare riferimento
al settore dell’agricoltura e a quello
turistico.
Riteniamo, però, altrettanto fermamente - lo ha detto chi mi ha preceduto del Partito Democratico - che
l’adozione di interventi legislativi
eccezionali e temporanei non debba
essere la strada, che purtroppo sembra che il Governo voglia perseguire,
per derogare al rigoroso rispetto dei
principi costituzionali e delle regole
ordinamentali che ne costituiscono
l’attuazione.
In realtà, il decreto-legge contiene
un gruppo sostanzioso di norme che
sconvolgono l’assetto organizzativo
degli uffici giudiziari (mi occuperò
proprio di questa parte in quanto
capogruppo alla Commissione giustizia del Partito Democratico), e
introducono una disciplina processuale speciale, con una vigenza temporalmente limitata connessa alla situazione di emergenza, che non può
trovare giustificazioni nemmeno
sotto il profilo di quelle esigenze di
efficacia e di funzionalità dell’esercizio della giurisdizione che tanto
vengono sbandierate.
Mi riferisco, in particolare, all’attribuzione in via esclusiva al procuratore della Repubblica di Napoli
delle funzioni di pubblico ministero
delle indagini preliminari per i reati in tema di gestione di rifiuti e per
quelli connessi relativi alla regione
Campania, anche in deroga a tutti
Legge n. 123 del 14 luglio 2008 - Conversione in legge, con modificazioni,
del decreto-legge 23 maggio 2008, n. 90, recante misure straordinarie per
fronteggiare l’emergenza nel settore dello smaltimento dei rifiuti nella regione Campania e ulteriori disposizioni di protezione civile
81
Temi per la legalità
principi organizzativi di cui al decreto legislativo sull’ordinamento
giudiziario del 20 febbraio 2006, n.
106, recentemente approvato; all’attribuzione poi ad un giudice non
meglio precisato, giudice collegiale,
magistrati del tribunale di Napoli,
della competenza a procedere alle
misure cautelari personali e reali,
alla sottrazione al pubblico ministero e alla polizia giudiziaria di un
sequestro preventivo di urgenza che
invece dovrebbe, appunto, essere
consentito laddove vi sia urgenza e
di provvedere come in caso di situazioni di emergenza; consistenti deroghe tutte con efficacia limitata nel
tempo e nel territorio (quindi solo
la regione Campania) che derogano
ai principi fondamentali dell’ordinamento, dell’organizzazione giudiziaria e del sistema processuale
penale, e che di fatto, come dicevo
poc’anzi, non rispondono nemmeno
a quelle esigenze di immediatezza e
di efficacia dell’attività di intervento
urgente che l’intervento del Governo
deve e dice di tener presenti.
In via transitoria il decreto prevede
inoltre che le nuove norme derogatorie si applichino in via retroattiva anche ai procedimenti pendenti in fase
di indagine, che dovranno pertanto
essere tutti trasmessi, anzi già sono
in fase di trasmissione, entro dieci
giorni alla procura della Repubblica,
al GIP, al GUP competenti in base
alle nuove regole. E anche al termine della stato di emergenza, dopo la
82
cessazione dell’efficacia delle norme
eccezionali, continueranno in realtà
ad applicarsi ai procedimenti relativi
ai fatti connessi sotto il vigore delle
stesse.
Dal punto di vista dell’organizzazione giudiziaria, dell’efficacia ed efficienza del sistema giustizia già tanto
gravemente in crisi, le norme del decreto in esame, in particolare l’articolo 3, creano una sorta di superprocuratore a Napoli, con competenza
per un’unica materia, quella della
gestione dei rifiuti, estesa alla regione anche nel territorio di un diverso
distretto, Salerno, svincolata quindi
dall’ordinario criterio di ripartizione
delle competenze sul territorio, che
non solo pone seri dubbi di costituzionalità riguardo alla compatibilità
delle deroghe alle competenze territoriali dei pubblici ministeri, dei
GIP, rispetto agli articoli 25, primo
comma, e 102, secondo comma,
della Costituzione, che prevedono
appunto il divieto di sottrazione al
giudice naturale e il divieto di istituire giudici straordinari e giudici speciali, ma si pone in contrasto anche
col profilo della tanto auspicata - per
lo meno così nei programmi - efficienza dell’azione giudiziaria, e con
la soluzione immediata del problema
rifiuti a Napoli.
A meno che non sia sottesa un’altra
filosofia, quella di scegliersi il pubblico ministero, e quindi di scegliersi il giudice, e quindi di sottrarre
alcuni indagini ad alcuni magistrati
Emergenza rifiuti in Campania
anziché ad altri; ma non vogliamo
credere che questo sia veramente
l’intento.
Pensiamo solo alle conseguenze inevitabili (e vogliamo sollecitare che a
questo pensino anche il Governo e
il relatore) dell’intasamento dell’attività degli uffici giudiziari della
procura del tribunale di Napoli, che
ad oggi, dall’entrata in vigore del
decreto-legge, si trova a gestire la
trasmissione di mille procedimenti
per competenza delle singole sedi
del territorio campano.
In realtà, se le finalità del Governo
sono quelle di garantire un’efficace
azione repressiva attraverso la previsione di un’azione unitaria della direzione di contrasto giudiziario alle
attività illecite connesse alla gestione dei rifiuti, allora si può ricorrere,
senza sconvolgere il sistema, mantenendosi garanti delle sue regole,
all’istituto della competenza delle
procure distrettuali, che già da tempo sono istituite presso i tribunali del
capoluogo, appunto Napoli e Salerno
in Campania, competenti a svolgere
le funzioni di indagini preliminari
nel giudizio di primo grado in relazione a procedimenti addirittura di
criminalità organizzata, terrorismo,
reati di criminalità informatica.
E così si può prevedere, come accade nei procedimenti di criminalità
organizzata e di terrorismo, che le
funzioni di giudice per le indagini
preliminari siano esercitate da un
magistrato del tribunale del capoluogo nel cui ambito ha sede il giudice competente, senza inventare
una figura di giudice a composizione collegiale a Napoli destinata ad
operare solo per le misure cautelari
in tema di gestione dei rifiuti, mediante una disciplina del tutto carente, che non esplicita nemmeno
se contro quelle misure è poi esperibile il riesame, l’appello, e dinanzi
a quale organo.
La problematica delle garanzie in
tema di libertà ed esercizio del potere coercitivo, onorevoli colleghi e
signor Presidente, involge in realtà
linee di fondo dell’intero sistema
processuale penale, e non può essere
certo affrontata in un provvedimento la cui logica è l’emergenza, l’eccezionalità e la temporaneità, con il
rischio di sconvolgere il sistema.
Le disposizioni che introducono,
modificano, escludono alcune condotte delittuose, di cui agli articoli
2 e 3, sono inoltre generiche. Abbiamo constatato che è stato recepito un
emendamento che riguardava i reati da cosiddetto danno ambientale,
perché ci si è accorti che si sarebbe
invasa la procura della Repubblica
di Napoli con una serie di reati che
nulla hanno a che fare con la gestione dei rifiuti. Ma quella dei reati riguardanti la gestione dei rifiuti è una
definizione talmente lata, larga e
non rispettosa del principio di determinatezza delle fattispecie di reato
che non solo presenta dubbi di co83
Temi per la legalità
stituzionalità, ma appare gravemente ingestibile, proprio perché quelli
che devono essere individuati sono i
reati di gestione dei rifiuti connessi
alla particolare emergenza, e quindi
non tutta una serie di reati bagatellari che pure stanno invadendo la procura della Repubblica di Napoli, dal
momento che i magistrati, a seguito
di un’individuazione così lata, hanno trasmesso nei dieci giorni tutti i
procedimenti che riguardavano la
gestione dei rifiuti.
In particolare, se si intende perseguire
il risultato di far fronte alla straordinaria gravità del contesto socio-economico ed ambientale derivante da
una situazione di emergenza in atto,
collegata al mancato smaltimento dei
rifiuti e suscettibile di compromettere gravemente i diritti fondamentali
delle popolazioni della regione Campania, bisogna evitare di allargare i
margini di incertezza e definire con
sufficiente determinazione i reati riferiti alla gestione dei rifiuti, i quali
radicano la competenza speciale ed
esercitano la forza attrattiva in sede
distrettuale, e ciò al fine di evitare
questioni e conflitti di competenza e
trasferimenti di competenza di reati
di minore rilevanza commessi nelle
varie sedi del territorio campano, che
nulla hanno a che vedere con la problematica della gestione dei rifiuti.
Altro punto di forte criticità è costituito dall’articolo 4, che devolve al
giudice amministrativo tout court la
giurisdizione su tutte le controversie
84
attinenti la gestione dei rifiuti e l’installazione delle discariche - dilatando irragionevolmente per l’intero
territorio nazionale la competenza
del giudice amministrativo - anche
qualora siano denunciate lesioni dei
diritti fondamentali tutelati dalla
Costituzione.
Tra l’altro, la Corte costituzionale,
nella recente pronuncia n. 191 del
2006, aveva chiarito che la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo si può giustificare in
relazione ai principi costituzionali
degli articoli 24 e 111 della Costituzione (che, ovviamente, mirano
a concentrare dinanzi ad un unico
giudice l’intera tutela del cittadino
rispetto alle modalità di esercizio
della funzione pubblica), e può riguardare anche i comportamenti
della pubblica amministrazione che
causano danno ingiusto, ma solo se
siano collegati all’esercizio, anche
se illegittimo, di un pubblico potere, mentre essa non si giustifica, né
è compatibile con i principi costituzionali, quando la pubblica amministrazione non abbia esercitato in
concreto il potere che la legge attribuisce per la cura dell’interesse pubblico, e quindi quando ci troviamo
di fronte a comportamenti, sia pure
della pubblica amministrazione, posti in essere in carenza di potere o in
via di mero fatto.
In tali casi, non possiamo accettare
norme che derogano, come dicevo poc’anzi, a principi cardine del
Emergenza rifiuti in Campania
nostro ordinamento. E ciò senza
citare l’articolo 4, secondo comma,
che introduce in via transitoria una
procedura anomala di caducazione
di tutti i provvedimenti d’urgenza
adottati dal giudice ordinario e una
convalida, una conferma, da parte
del giudice amministrativo entro
termini perentori che non si sa chi
deve attivare, in quali termini e secondo quali procedure.
Si crea una confusione e un caos di
rimessa nei confronti dei cittadini
o di chi ha ottenuto quei provvedimenti cautelari che non possono sostanzialmente essere inseriti in un
decreto di questo genere, né sono
compatibili con esso.
Per non parlare del potere attribuito
al Ministero della giustizia di redistribuire i magistrati in servizio al
fine di potenziare gli uffici di Napoli: verosimilmente, ci si è resi conto
del caos organizzativo che si sarebbe
creato a Napoli e allora, quasi si trattasse di prefetti, si attribuisce al Ministro della giustizia un potere che
non è suo, perché la Costituzione attribuisce tale potere al Consiglio superiore della magistratura, organo di
autogoverno della magistratura, cui
spettano in via esclusiva le assunzioni, le assegnazioni e i trasferimenti
dei magistrati. Il Ministro è competente solo nella distribuzione dei posti in organico - non nella redistribuzione dei magistrati - e del personale
amministrativo. Pertanto l’articolo
3, comma 7, non presenta alcun si-
gnificato, se non quello apparente di
dare una risposta - ma si tratta di una
risposta meramente apparente, che
non può legittimare provvedimenti
conseguenti - a un carico abnorme di
lavoro che l’ufficio della procura di
Napoli e il suo procuratore capo, dominus assoluto di tali procedimenti,
verrebbero a trovarsi.
Per tali motivi il Partito Democratico
ha perseguito una linea costruttiva,
che ha già manifestato apertamente
in Commissione, proponendo una
serie di emendamenti, nonché un
parere condizionato in Commissione giustizia, affinché se ne tenesse
conto nel contenuto delle osservazioni del parere di maggioranza. Tali
emendamenti avrebbero consentito
al provvedimento in esame di rimanere nell’ambito e nel rispetto rigoroso dei principi fondamentali, sia
pure con una forzatura del sistema,
perché le procure distrettuali non
sono competenti in materia di reati
di gestione dei rifiuti, ma lo diverrebbero solo per la regione Campania e
nell’attuale momento di emergenza,
se questa è la logica di un coordinamento di indagini. Gli emendamenti
che abbiamo proposto non sono stati
tuttavia recepiti e non hanno trovato accoglimento, se non in minima
e irrilevante parte (il relatore ha accettato che nell’articolo 3, comma
1, si facesse riferimento non solo ai
delitti tentati ma anche a quelli consumati, così come da noi proposto,
ma non siamo andati oltre).
85
Temi per la legalità
Pertanto, tali emendamenti sono stati riproposti in Assemblea, e riguardano l’articolo 2 e, soprattutto, gli
articoli 3 e 4, e sicuramente il loro
86
accoglimento, o meno, costituirà la
motivazione principale in grado di
condizionare l’orientamento del voto
del gruppo del Partito Democratico.
Pacchetto sicurezza
Seduta n. 33 di venerdì 11 luglio 2008
Pacchetto sicurezza
Discussione sulle linee generali
Signor Presidente, questo decreto,
che ha avuto sicuramente una storia
travagliata ed un iter parlamentare
molto contorto, pone, cercando di
risolverlo, almeno nelle premesse,
il grave problema della sicurezza.
Si è detto in campagna elettorale,
in queste aule, nelle Commissioni
competenti - e di ciò sono ampiamente convinta - che il problema
della sicurezza non è né di destra né
di sinistra, ma è un problema della
cittadinanza tutta. Tuttavia, le metodologie, le soluzioni e i percorsi da
individuare per risolvere il problema
della sicurezza sicuramente rivelano
una propria specifica impostazione
ideologica e politica.
Questo decreto nasce con alcune
contraddizioni che derivano proprio
dal fatto che, in parte, il provvedimento in esame copia e riprende in
maniera pedissequa schemi normativi e specifiche norme contenute già
nel pacchetto sicurezza presentato
dal Governo Prodi (tali aspetti sono
facilmente confrontabili e individuabili) e che hanno una certa linea.
Mi riferisco alle norme che riguardano le soluzioni individuate in materia di confisca, sequestro e deposito dei beni sequestrati, misure che
risolvono e semplificano le relative
procedure. Mi riferisco alla norma
che elimina il patteggiamento in
appello, che sostanzialmente aveva
svuotato di contenuto i riti semplificati del codice di procedura penale
riformato nel 1989. Mi riferisco altresì all’individuazione di momenti
in cui si dà priorità alla scelta del
rito, in particolare del rito direttissimo e immediato, che aveva ed ha
una sua logica nel tentativo di individuare forme di accelerazione della
celebrazione dei processi. Inoltre,
mi riferisco a disposizioni orientate
verso forme più efficaci di lotta alla
criminalità organizzata, anche in
materia di misure di prevenzione.
Vi è, inoltre, un’altra norma importante, ugualmente prevista nel
pacchetto sicurezza del Governo
Prodi, che concerne l’innalzamento
delle pene, sanzioni amministrative
e misure come la confisca, in caso
di guida in stato di ebbrezza o sotto
Legge n. 125 del 24 luglio 2008 - Conversione in legge, con modificazioni,
del decreto-legge 23 maggio 2008, n. 92, recante misure urgenti in materia
di sicurezza pubblica
87
Temi per la legalità
l’effetto di sostanze stupefacenti. Mi
riferisco, inoltre, al grave problema,
per cui vi è il relativo innalzamento
delle pene, con un’attenzione particolare anche sul piano processuale e
penale, concernente i fatti dolorosi
vissuti nel Paese derivanti dagli infortuni sul lavoro.
Tutto ciò ha una sua coerenza e,
nella fretta di dare una risposta al
Paese, tanto propagandata anche nel
corso del campagna elettorale, vengono mutuate misure che avevano
una loro filosofia e si inserivano in
un loro contesto. Invece, successivamente, si sono evidenziate le ideologie di fondo, assolutamente divergenti. Infatti, per dare una risposta
al problema della clandestinità e alle
forme di criminalità ad essa collegate, si riduce il limite massimo delle
pene previste in sede di condanna
per emettere le misure di sicurezza
dell’espulsione e dell’allontanamento
(da dieci anni si passa a due anni).
E, fin qui, anche questa disposizione può avere una sua filosofia, ma in
questa e nell’altra disposizione che
costituisce una novità assoluta, l’aggravante prevista nell’articolo 61 del
codice penale dopo il numero 11, si
prescinde da qualsiasi accertamento
della pericolosità sociale. Tale disciplina rappresenta l’anticamera a ciò
che sarà nel disegno di legge il reato
di clandestinità, il reato di ingresso
del clandestino. Su questo punto ci si
allontana molto dai principi che sono
posti alla base del nostro sentire.
88
Ho ascoltato interventi in Assemblea
che mi hanno veramente sconcertato: l’intervento dell’onorevole Buonanno ma anche il penultimo, quello
dell’onorevole Santelli, laddove ha
impostato il problema affermando
che non possiamo essere buoni ma
che dobbiamo essere comunque cattivi, perché i clandestini stanno invadendo il nostro territorio. Ma non
si tratta di essere buoni.
Non vogliamo un falso buonismo,
ma vogliamo che, comunque, anche
nei confronti degli stranieri, anche
nei confronti degli extracomunitari,
si verifichi quell’accertamento della
pericolosità sociale che costituisce il
presupposto dell’espulsione. Non ci
si può fondare sulla mera irregolarità, sul mero trovarsi nel territorio
dello Stato italiano magari per una
sopravvenuta irregolarità.
Infatti l’aggravante che si vuole
prevedere introducendo il numero
11-bis all’articolo 61 del codice penale, non fa riferimento soltanto ad
alcune ipotesi, come noi vorremmo
prevedere tramite gli emendamenti che abbiamo presentato anche in
Commissione ma che ci sono stati
respinti (erano stati analogamente presentati al Senato, ma anche lì
sono stati respinti).
Vorremmo che vi fosse un momento di riflessione, che vi fosse una
civiltà vera da cui conseguirebbe la
considerazione che irregolare non è
uguale a delinquente; pertanto la va-
Pacchetto sicurezza
lutazione di pericolosità e, quindi, di
un’indole incline a commettere reati,
può essere ricavata dal fatto di aver
ricevuto un ordine di espulsione e di
allontanamento che è stato poi contravvenuto. In queste condizioni, nei
confronti del soggetto può essere
espressa una valutazione di pericolosità sociale che può giustificare sostanzialmente l’applicazione di quel
tipo di aggravante.
Pertanto, su questi punti chiave vi
è una differenza di impostazione
politica che distingue la destra dalla sinistra, in quanto quest’ultima è
comunque attenta al valore della dignità dell’uomo e della persona. Qui
oggi, in Assemblea, anche se nulla ha
a che fare con ciò di cui stiamo parlando, ho sentito tante parole spese
con riferimento alla misura, adottata
dal Ministro dell’interno, riguardante le impronte ai bambini rom, ma
mi esonero dal parlare su argomenti
che non riguardano il decreto-legge
in materia di sicurezza pubblica. In
ogni caso, l’unico cenno che voglio
fare anche in quella materia, è la
mancanza di qualsiasi collegamento
tra misure che sono sostanzialmente
riferibili ad una volontaria sottoposizione, come accade nell’ipotesi in cui
un cittadino extracomunitario chieda
un passaporto, a cui si riferisce il regolamento comunitario, e quelle per
cui è necessario procedere all’identificazione, perché non vi sono elementi di identificazione, non ad interventi
«a tappeto» per razza ed etnia.
In merito agli indirizzi che provengono dall’Europa, non possiamo
chiuderci nel nostro mondo ristretto
e pensare di non avere riferimenti rispetto a quanto accade presso gli organi della Comunità europea e quelli
della giustizia europea. Non possiamo pensare di chiudere le frontiere
e restare fuori da ogni valutazione.
Se una valutazione negativa c’è stata, vuol dire che l’Italia sta ponendo
in essere misure, indirizzi ed orientamenti che contrastano non solo
con i suoi principi costituzionali,
ma anche con i principi dell’ordinamento base degli Stati d’Europa: ciò
dovrebbe bastare per far riflettere su
quale percorso ci stiamo avviando.
Che questo provvedimento contenga momenti di schizofrenia, di contrasto e di contraddittorietà interna
gravissimi lo abbiamo visto con
l’inserimento degli articoli 2-bis e
2-ter, che nulla hanno a che fare con
il contesto della sicurezza e con un
intervento normativo immediato attraverso la predisposizione di misure
urgenti che doveva costituire la premessa del decreto-legge. La storia di
questi giorni ci ha poi spiegato bene
qual è la vera finalità degli articoli
2-bis e 2-ter.
D’altro canto, la pecca di questo decreto, sotto il profilo della sicurezza
(ce lo ha anche detto e lo abbiamo
capito dalla sua dichiarazione in
Commissione, il Capo della polizia) deriva dal fatto che, anche se
veramente i gruppi politici padri di
89
Temi per la legalità
questo decreto mirano a rendere effettiva l’espulsione, la cacciata degli
stranieri che abbiano commesso reati nel territorio italiano, restituendo
sicurezza agli italiani, questo strumento non risolve nulla. Lo vedremo
poi nei fatti concreti.
Il decreto in esame non risolve nulla, perché prevede un meccanismo
di grande aggravio del sistema giudiziario, individuando forme attraverso le quali il problema sicurezza
viene addossato alla magistratura,
quella magistratura che è tanto scomoda per certi tipi di procedimenti,
che è tanto scomoda quando si vanno a toccare certe personalità, ma
che invece poi serve quando bisogna
fare pulizia di cittadini o di stranieri
che non contano: è allora che si vanno ad ingolfare le aule di tribunale e
gli uffici delle procure della Repubblica. Tutto il pacchetto sicurezza
all’esame non prevede nulla, né in
termini di prevenzione, né in termini di reale efficacia di quelle misure
di espulsione, quelle che sono state
predisposte dall’autorità giudiziaria
e che devono essere eseguite. Non
vi sono misure o interventi in questo senso; vi sono soltanto ulteriori
aggravi al sistema giustizia che è
già al collasso perché è senza mezzi,
senza uomini, perché vengono ridotti gli strumenti, perché vengono
offese continuamente l’autonomia e
il prestigio della magistratura. Però,
dai medesimi magistrati si pretende
che risolvano il problema della sicu90
rezza. Il problema non verrà risolto,
perché il nodo della sicurezza non si
risolve nelle aule giudiziarie, bensì
aumentando i contingenti delle forze
di polizia ossia la presenza delle forze di polizia sul territorio; né si risolve militarizzando l’Italia, perché
la formazione e le finalità con cui
sono impiegati questi corpi militari
e le forze di polizia, giudiziaria e di
sicurezza, sono diverse rispetto a ciò
per cui sono destinati.
Ciò è tanto vero che nel corso di
un’audizione presso la Commissione
giustizia del Capo di stato maggiore,
questi ha affermato che occorrerà
destinare risorse economiche e di
personale alla formazione del personale delle Forze armate chiamato a svolgere attività di sicurezza e
di prevenzione e attività di polizia
giudiziaria. Si tratta, quindi, di un
dispendio di forze, di energie e di
risorse che avrebbero dovuto essere
destinate, invece, alla polizia giudiziaria, cioè alla Polizia di Stato, alla
Guardia di finanza e ai Carabinieri,
deputati a tale funzione e formati
per svolgerla.
Rilevando la diversa metodologia di
intervento a seconda della politica e
di chi la fa, occorreva però dare questa apparenza, far vedere i militari
sul territorio alla gente che ha votato
e a cui si è promesso che si sarebbe
risolto il problema della sicurezza,
che tuttavia certamente non verrà
risolto.
Pacchetto sicurezza
Nel contesto del decreto-legge in
discussione, che nasce per determinati fini, ad un certo punto vengono
introdotti dall’Assemblea del Senato
due emendamenti che con esso nulla
hanno a che fare. Tali emendamenti denotano, anche in questo caso,
quale sia la filosofia del Governo e i
principi che da questo vengono alacremente fatti propri.
Nelle aule delle Commissioni giustizia e affari costituzionali abbiamo
vissuto ore molto intense quando, a
un certo punto, vi è stata un’inversione di rotta e ci si è resi conto del
contenuto degli articoli 2-bis e 2-ter
(che tutti ben conoscono e che sono
stati già ampiamente illustrati, per
cui non mi ci soffermerò oltre). Tali
disposizioni sono state scritte in
fretta e con una finalità precisa, laddove il legiferare non è più un modo
di pensare agli interessi generali attraverso norme generali ed astratte,
ma avviene per scopi diversi, quelli
personali del Capo del Governo.
Non è una mia affermazione, ma è
lo stesso Capo del Governo ad aver
dichiarato che quella norma serviva a bloccare il processo pendente
a suo carico a Milano, processo
giunto già al termine e rispetto al
quale egli nutriva, evidentemente,
qualche paura in ordine al fatto che
l’esito potesse non essergli favorevole (ma in ogni caso sono previsti
tre gradi di giudizio, quindi non si
poteva mai sapere). Si individuano
tempi irragionevoli sospendendo i
processi, qualunque sia la fase cui
fossero giunti e qualunque sia stato
il dispendio di energie processuali,
di personale, di testi e di impatto.
Si prescinde anche dal principio posto a fondamento della riforma del
processo penale, quello dell’oralità
e dell’immediatezza del processo
penale; esso è stato del tutto annullato dall’articolo 2-ter nel momento in cui si prevede la sospensione,
quale che sia la fase, dei processi riguardanti reati commessi prima del
30 giugno 2002, non connessi alla
criminalità organizzata e per i quali sia prevista una pena successiva
non superiore ai dieci anni.
Allo stesso modo, l’articolo 2-bis (e
ciò è ancora più grave) incide sulla
obbligatorietà dell’azione penale,
quindi su un principio costituzionale
che non è stato modificato.
Ieri, nel corso dell’esame del cosiddetto lodo Alfano, si è discusso
molto se, per approvare quel lodo,
fosse necessaria una legge costituzionale, oppure se bastasse una legge ordinaria.
Ovviamente, è prevalsa - abbiamo
visto l’esito - la seconda teoria; vedremo, in prosieguo, cosa dirà la
Corte costituzionale. Ma un punto è
certo: l’articolo 112 della Costituzione è ancora in vita; purtroppo - c’è
qualcuno che la pensa così - è ancora
in vita e dobbiamo, quindi, rispettarlo. Quel principio non può essere disatteso in maniera categorica, laddo91
Temi per la legalità
ve, all’articolo 2-bis, si prevede che
ci saranno dei processi che avranno
priorità assoluta.
Quali sono questi processi? Sono
quelli celebrati in tutti i tribunali
concernenti la criminalità organizzata, la tratta degli schiavi e degli
esseri umani (benissimo, sono sicuramente di grande impatto e allarme
sociale), quelli per i quali è prevista
una pena superiore ai dieci anni di
reclusione, e quelli che riguardano
gli infortuni sul lavoro.
Ad un certo punto, forse, grazie ai
puntuali riferimenti messi in campo
dall’opposizione, che hanno fatto riflettere, si è avuto un impatto con la
realtà sociale. Come faceva la Lega a
spiegare ai propri elettori che rimanevano fuori dalle priorità del Governo tantissimi reati di quella che
noi chiamiamo microcriminalità (in
realtà, più che di microcriminalità,
bisognerebbe parlare di criminalità
che riguarda la vita quotidiana di
ciascun cittadino italiano)?
Come facevano a spiegare politicamente che rimanevano fuori il furto
in abitazione, lo scippo, l’incendio
dei boschi, le violenze carnali, tutti
i reati di corruzione? Come si faceva a spiegare agli italiani che, per
approvare una norma salva Premier,
nella fretta di presentare un emendamento, si era, sostanzialmente,
trasfuso il testo dell’articolo 2-ter,
che la stessa premessa era stata copiata nel testo dell’articolo 2-bis,
92
e, quindi, rimanevano fuori anche
gli omicidi colposi commessi per
guida in stato di ebbrezza o sotto
l’effetto di stupefacenti, che lo stesso decreto-legge definisce di grave
allarme sociale?
Vediamo bene qual è stato il comportamento gravissimo, dal punto
di vista della responsabilità politica,
da parte del partito della maggioranza. Qual è stato il comportamento,
nell’aula della Commissione, da parte della maggioranza? È stato quello
di un dialogo costruttivo, che sempre
viene auspicato e ribadito? Si è tenuto conto e si sono accolti gli emendamenti dell’opposizione? No, c’è
stato un «no» fino all’ultimo, anche
quando, in Commissione, il gruppo
del Partito Democratico ha chiesto
un rinvio dell’esame, in attesa di leggere il testo degli emendamenti, che
poi sono stati annunciati dal partito
della maggioranza allorché si è aperta la via del lodo Alfano.
Quello è stato il momento - ritengo - di maggiore attacco ai principi
democratici e alla Costituzione che
si sia potuto vivere; ci vede molto
tristi come cittadini, non solo come
deputati, perché, in quel momento,
c’è stata la prova provata che tutto
ciò non aveva riguardo al bene della
collettività, alla sicurezza, alla premessa di questo decreto-legge, ma
si aveva soltanto la finalità di dover
trovare una scorciatoia, un espediente, una possibilità per sospendere
quel processo.
Pacchetto sicurezza
Si sono, allora, architettate due norme, che non avevano una loro coerenza, incoerenti con le altre norme
e con tutto quello che era stato detto
in campagna elettorale e promesso
ai cittadini.
Perché al cittadino non si potrà mai
spiegare che, per salvare Berlusconi dal suo processo, chi è entrato in
un’abitazione e ha sottratto dei beni
non rientra nelle priorità, non può più
essere processato! Lasciamo perdere
quei processi che venivano sospesi,
che sono vecchi e fra i quali quelli di
grave allarme sociale forse non erano nemmeno così tanti: mi preoccupo di quello che è stato il messaggio
che questa maggioranza è stata in
grado di confezionare in pochissime
ore, pur di salvaguardare l’interesse
particolare di una sola persona!
In ordine a tale questione ritengo
che qualunque deputato, di destra o
di sinistra, che siede in Aula, debba
riflettere in maniera approfondita,
perché sta tradendo il mandato conferito dagli elettori, sta tradendo i
principi cardine del nostro Stato
democratico. Dentro di me sono fiduciosa del fatto che, a parte alcuni, molti colleghi della maggioranza
abbiano dei principi base simili e, a
volte, coincidenti con quelli appartenenti anche all’opposizione; solo
che, forse, non c’è la forza, non c’è
la capacità, non c’è il senso critico di
dire: no, oltre un certo limite, alcune
cose non sono tollerabili.
Da parte del Partito Democratico
non solo sono state rilevate queste violazioni, ma a un certo punto
sono stati proposti emendamenti che
portavano a rivedere il giudizio di
allarme sociale concernente alcune
fattispecie delittuose, e inoltre ad
avanzare una proposta in concreto
in ordine alla possibilità di programmazione dell’udienza e dei processi
che gravitano su un ufficio giudiziario. Tutti noi siamo consapevoli del
collasso, tutti noi siamo consapevoli che alcuni uffici giudiziari non
riescono a dare giustizia in tempi
ragionevoli. E una giustizia lenta è
sicuramente una giustizia denegata:
ne siamo tutti consapevoli e siamo
tutti d’accordo.
Il problema è sempre di metodo,
concerne il modo in cui si risolve la
problematica. Speriamo di non dover
assistere ad ulteriori colpi di mano,
che mettono in grave crisi tutto lo
Stato, perché non si può pensare di
approvare riforme attraverso colpi
continui alla Costituzione. Ritengo
che sia inutile celebrare i sessant’anni della Costituzione e organizzare
cerimonie in cui si tributano ad essa
riconoscimenti quando poi proprio
in quest’Aula, proprio nelle Aule
della Camera e del Senato, del Parlamento che è il massimo rappresentante della volontà popolare, si consentono delle lesioni e delle ferite
così profonde nei suoi confronti.
Abbiamo preso atto delle modifiche
presentate oggi dal sottosegretario
93
Temi per la legalità
di Stato per la giustizia, annunciate
appunto nella riunione della Commissione di lunedì; le valuteremo
94
attentamente, esprimendo il nostro
parere nel Comitato dei diciotto di
quel giorno.
Rito abbreviato
Seduta n. 436 di giovedì 17 febbraio 2011
Rito abbreviato
Dichiarazione di voto finale
Signor Presidente, ho ascoltato le
dichiarazioni di voto, soprattutto del
collega della Lega e del collega Di
Pietro, e proprio a queste affermazioni apodittiche voglio rispondere,
anticipando il voto contrario del Partito Democratico.
Ci dobbiamo chiedere quale sia la finalità di questo provvedimento, che
il collega Reguzzoni ha definito di
impronta leghista. Mi dispiace per il
collega Di Pietro, che invece si sente
partecipe di questo provvedimento.
In realtà, esso non serve alle premesse per cui si vuole dire che è stato
elaborato, ma ha due finalità, che
non possiamo condividere.
L’una è quella di dare una facciata di rigore apparente al Governo,
che per ora avrebbe potuto vantare
soltanto la legge sullo stalking, che
noi abbiamo votato favorevolmente
perché è una legge a cui credevamo.
Noi ci comportiamo così - questo
per rispondere al collega Di Pietro
- ovvero, quando crediamo nei testi
che sono in Aula, votiamo favorevolmente e non strumentalizziamo
nulla: questa è la storia della nostra
posizione è ed è documentata anche
dagli atti della Commissione oltre
che di quest’Aula.
Quindi, a cosa serve il provvedimento in esame? Da un lato serve a dare
questa apparenza, questo messaggio, queste parole vuote da sbandierare nei comizi: abbiamo tolto il rito
abbreviato per l’ergastolo! Dall’altro
lato, invece, serve ad evitare che poi
le persone e i cittadini in qualche
modo si dimentichino che invece in
Commissione giustizia da una parte
si mostra la faccia dura e dall’altra si
cerca di portare al macero migliaia
di processi con il cosiddetto processo breve. E questa è la finalità politica: la ripulitura di un’immagine che
è gravemente offuscata non solo dal
Presidente del Consiglio, ma dalla
politica della giustizia inconsistente
che hanno portato avanti questo Governo e questa maggioranza, mentre
questo provvedimento non serve alle
finalità a cui si dice essere volto.
I colleghi dicono: noi vogliamo che
chi ha sciolto nell’acido un bambino
AC 668 e abbinate - Modifica all’articolo 442 del codice di procedura penale. Inapplicabilità del giudizio abbreviato ai delitti puniti con la pena dell’ergastolo (Approvato alla Camera il 17 febbraio 2011. Trasmesso al Senato)
95
Temi per la legalità
abbia la pena dell’ergastolo, e quindi
vogliamo togliere il rito abbreviato.
Allora, questi colleghi stanno dando
delle notizie false al popolo e noi vogliamo ribadire proprio questo. Infatti, oggi con il rito abbreviato, che
spiegheremo poi in cosa consiste certamente qui in molti lo sanno già,
ma lo hanno evidentemente dimenticato ed anche il collega Di Pietro
ha dimenticato le norme del codice
di procedura penale, perché forse è
da troppo tempo in politica - per un
reato per cui è previsto l’ergastolo si
può dare l’ergastolo o concedere uno
sconto di pena sino a trenta anni,
quindi si possono infliggere pene che
siano efficaci, certe e celeri. Il rito
abbreviato infatti consente e consiste in una scelta, ovvero un diritto
dell’imputato che a un certo punto
accetti le prove presentate dall’accusa. L’imputato in pratica dice: rinuncio al processo lungo, rinuncio
alle prove in dibattimento e accetto
le prove dell’accusa. A questo punto lo Stato procede per tutti i reati
e da qui discende l’irragionevolezza
e il vulnus che vi sarà, dal punto di
vista della Corte costituzionale, su
questo provvedimento: lo Stato non
può scegliere per quali reati prevedere il rito abbreviato e per quali no.
È, infatti, signor sottosegretario, lo
stesso vulnus che riguardava il reato
di cui all’articolo 416-bis del codice
penale e che riguarda tutti i reati che
sono i cosiddetti puniti in astratto
con l’ergastolo.
96
Inoltre, questa scelta impedisce un
rito che dà anche alle vittime una
giustizia immediata, più celere, in
cui si eliminano passaggi inevitabilmente lunghi, perché la formazione
della prova al dibattimento, di fronte
ad una corte d’assise, è un qualcosa di lungo ed è nella fisiologia del
processo. Ecco perché i padri, intendo coloro che hanno rivisto il codice di procedura penale nel 1989, a
fianco al processo ordinario, costoso, perché impegnativo (processo
lungo, dibattimentale, dove si deve
recuperare tutta la prova formale al
dibattimento), hanno previsto dei
giudizi come il patteggiamento, il
rito abbreviato, il rito immediato, il
procedimento che si conclude con il
decreto. Quindi, si tratta di una falsa
informazione che io vi dimostro tale,
perché voglio che rimanga agli atti
quando poi interverranno i giudizi
della Corte costituzionale e saranno
sollevati davanti ai vari giudici dai
vari imputati.
Questa falsa rappresentazione di
un risultato, oggi, da parte del Parlamento, deriva dal fatto che, con il
gioco delle attenuanti generiche e
con un giudizio senza rito abbreviato, già per quei gravissimi reati dei
quali parlava l’onorevole Reguzzoni
ovvero l’omicidio del bambino sciolto nell’acido - quanto ci può essere
di più atroce - ove vengano concesse
delle attenuanti eventualmente generiche o il risarcimento del danno, già
senza il rito abbreviato si va a finire
Rito abbreviato
a pene inferiori a ventiquattro anni
e che possono scendere fino a venti
anni. Questa è la normativa, questo
è lo stato della giustizia, questa è la
norma in vigore!
Cosa ha fatto, dunque, il Partito Democratico, caro onorevole Di Pietro?
Non si è opposto a qualsiasi modifica al riguardo. Ha fornito un adeguato apporto costruttivo in sede di
Commissione affermando che, se
vogliamo delle pene più adeguate a
fatti gravissimi, dobbiamo incidere
sotto due profili: in primo luogo, è
opportuno portare questi reati gravissimi di fronte a un giudice collegiale e non al giudice unico, per
il quale è più pesante il fardello di
una condanna che incide così gravemente sulla vita di una persona;
in secondo luogo, occorre cercare
di ridurre attraverso il cumulo delle
attenuanti generiche, delle altre attenuanti e della diminuente del rito, lo
sconto di pena in presenza di reati
per i quali il giudice, allo stato degli
atti, valuta se occorre comminare
l’ergastolo.
Questa strada era stata segnata
anche dalla Corte costituzionale,
che aveva già vagliato l’esclusione
dell’ergastolo dal rito abbreviato e
indicato che il legislatore era libero
di valutare l’entità della sanzione
ma non l’esclusione della possibilità
di accedere al rito, anche perché ad
esso si accede in astratto, sulla base
di una contestazione.
Ci sono stati poi, da parte degli avvocati del partito del Popolo della Libertà, di chi pratica le aule di
giustizia e ha anche propri assistiti
e imputati da dover difendere, i tentativi, in ogni caso, di recuperare la
riduzione della pena a fine processo. Allora vi chiedo: quale coerenza
mostrate rispetto a un processo lungo che si celebrerà e che impegnerà
risorse e che poi, alla fine, porterà
comunque alla riduzione di un terzo
della pena?
Ciò è incoerente, schizofrenico e
inadeguato rispetto a un sistema
giudiziario, quello del diritto penale
processuale, che doveva essere valutato nella sua globalità, tanto è vero
che queste nostre parole non valgono
soltanto in quanto impegno o programma politico. C’è stata una commissione di riforma del codice di
procedura penale che ha lasciato le
sue tracce agli atti una volta conclusi
i lavori; una commissione composta
da professori universitari di tutte le
varie estrazioni, avvocati e magistrati. In quella sede - la commissione Riccio - fu individuata la soluzione per i reati puniti con l’ergastolo,
non escludendo il rito abbreviato ma
dando la possibilità al giudice collegiale distrettuale di decidere con più
ponderatezza e adeguatezza perché
il problema non è il rito ma il calcolo
delle attenuanti generiche, del risarcimento danni e quant’altro.
Non vogliamo assumerci tale responsabilità, non vogliamo sotto97
Temi per la legalità
scrivere con voi un provvedimento
che è soltanto demagogico e che non
ha le finalità che erano previste e che
potevano essere in qualche modo
condivise, prevedendo una pena non
finalizzata in qualche modo anche al
recupero del condannato. Ciò contrasta con i nostri principi e con la
98
nostra politica. Non dobbiamo fare
demagogia sulla pelle di qualcuno.
Vogliamo che la giustizia funzioni e
questo provvedimento non porta assolutamente alcun miglioramento.
(Applausi dei deputati del gruppo
Partito Democratico).
Rito abbreviato
Funzionalità della giustizia
99
Temi per la legalità
100
Filtro in Cassazione
Seduta n. 58 di mercoledì 1° ottobre 2008
Filtro in Cassazione (prima lettura)
Testo integrale della dichiarazione di voto
II Governo ha proposto una radicale
modifica del giudizio civile di Cassazione utilizzando lo strumento di un
emendamento dell’ultima ora ad un
disegno di legge che riguarda tutt’altra materia, significativamente intitolato «Disposizioni per lo sviluppo
economico, la semplificazione, la
competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria». In coerenza con i suoi
contenuti principali, il disegno di
legge è stato proposto, come primo
firmatario, dal Ministro dell’economia e delle finanze, mentre il Ministro della giustizia vi figura come
l’ultimo dei numerosi proponenti.
Queste valutazioni non vogliono
essere mera critica ma vogliono evidenziare come non si è voluto tener
conto della necessità di un confronto
preventivo tra le forze politiche, la
cultura giuridica e gli operatori della giustizia.
L’attività parlamentare è stata compressa, pilotata da una regia esterna
che risponde a logiche di governo
del tutto estranee ad un sistema democratico.
Si resta sconcertati davanti al fatto
che venga dettata una disciplina che
stravolge radicalmente l’istituto della
cassazione senza che al riguardo sia
dato spazio ad un dibattito partecipato e approfondito; sordi a qualsiasi
apporto costruttivo e ragionevole.
La norma di cui viene proposta l’introduzione non ha infatti nulla a che
fare con il principio del contraddittorio, con il principio della parità delle
parti, con il principio della terzietà
ed imparzialità del giudice. L’attinenza con il principio di ragionevole
durata è poi solo apparente ed è destinata ad essere contraddetta dalla
realtà degli effetti della disposizione, che sarebbero tutt’altro che acceleratori. Per quanto infine riguarda
il settimo comma dell’articolo 111
della Costituzione, la norma proposta, lungi dal costituirne attuazione,
appare porsi in evidente contrasto
con il dettato costituzionale, che
stabilisce la ricorribilità in Cassazione per violazione di legge di tutte
le sentenze. E sembra ovvio che - a
meno di legittimare interpretazioni
elusive del dettato costituzionale - il
Legge n. 69 del 18 giugno 2009 - Disposizioni per lo sviluppo economico, la
semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile
101
Temi per la legalità
diritto costituzionale di proporre ricorso per violazione di legge implica
il diritto costituzionale di vederselo
deciso con una pronunzia che dica se
la violazione di legge vi è stata o no.
Il proposto articolo 360-bis stabilisce le ipotesi in presenza delle
quali il ricorso per Cassazione «è
dichiarato ammissibile». Si tratta di
una formulazione quanto meno sorprendente e inusitata e della quale
sembra non siano stati valutati i significati e gli effetti. Così come è
scritta, infatti, la norma stabilisce
che nelle ipotesi da essa descritte
il ricorso è sempre ammissibile,
ma non dice (o quanto meno non
lo dice chiaramente e impegnativamente) che è ammissibile soltanto
in tali ipotesi. Nulla quindi viene
detto espressamente circa i ricorsi
rispetto ai quali non ricorrano le
condizioni elencate dalla norma.
Poiché la norma non detta alcun criterio per stabilire la sorte ad essi riservata ne deriva necessariamente o
che la norma deve essere interpretata
nel senso che al di fuori delle ipotesi
previste dal novello articolo 360-bis
il ricorso è sempre inammissibile,
oppure che esso può essere dichiarato ammissibile o inammissibile a seconda dei casi. Ma si tratterebbe necessariamente di una decisione non
discrezionale ma arbitraria, perché
non regolata neppure indirettamente
dalla legge che non detta al riguardo
alcun criterio.
102
Ciò detto per i ricorsi che non rientrano nelle ipotesi previste dal novello articolo 360-bis, deve essere
rilevato che la formulazione è caratterizzata da una pericolosa indeterminatezza, mentre nel suo complesso appare da rilevare che la norma
costituisce un inutile, pericoloso
ed imperfetto doppione dell’attuale
procedimento di cui all’articolo 375
e 380-bis del codice di procedura
civile. Già ora, infatti, il ricorso
viene deciso in camera di consiglio
con pronunzia di manifesta infondatezza se la sentenza impugnata
appare conforme agli indirizzi della giurisprudenza della Cassazione
e il ricorrente non propone nuovi ed
idonei argomenti per indurre ad un
mutamento di giurisprudenza.
Dalla formulazione della disposizione sembrerebbe peraltro essere prefigurato un carattere vincolante dei
precedenti della Corte di cassazione
rimesso ad una valutazione della
stessa ispirata a meri criteri di opportunità. Per ottenere che la Corte
riesamini una questione non è sufficiente proporre nuovi e persuasivi
argomenti a sostegno di essa, ma è
necessario che i tre giudici ai quali
è rimessa la verifica di ammissibilità
ritengano che la Corte debba pronunziarsi, senza che la norma dica nulla
sui criteri in base ai quali essi debbono fare tale valutazione. Si tratterebbe di una innovazione che, così
formulata, è contraria alla tradizione
giuridica italiana e all’ordinamento
Filtro in Cassazione
costituzionale ed in particolare al
settimo comma dell’articolo 111 che
consacra il diritto a proporre ricorso
per cassazione contro ogni sentenza
in caso di violazione di legge.
Vi è poi da sottolineare anche che
tra i ricorsi da dichiarare ammissibili non è compreso il ricorso che,
pur non denunciando il contrasto
tra la sentenza impugnata e i principi di diritto affermati dalla giurisprudenza della Corte di cassazione,
denunci però, magari fondatamente,
il contrasto tra la sentenza impugnata e una norma di legge in vigore (o
magari denunzi che la sentenza impugnata ha fatto applicazione di una
norma di legge abrogata).
È escluso dal novero delle ipotesi di
ammissibilità anche il ricorso che
denunzi vizio o mancanza della motivazione: una innovazione che potrebbe anche essere considerata da
alcuni salutare, ma sembra evidente
che essa - soprattutto se attuata in
termini così trancianti - avrebbe bisogno di un dibattito più ponderato e
più attento e costruttivo.
Tra le ipotesi espresse di ammissibilità vi è poi quella che si riferisce al
caso in cui venga lamentata la violazione dei principi regolatori del giusto processo.
Resta quindi escluso, dalle ipotesi di
ammissibilità, il ricorso che denunzi
una violazione di legge sostanziale
o magari una violazione dei principi
di diritto sostanziale o che proponga
una questione giuridica sostanziale
che rivesta una specifica importanza per la giustizia e la legalità della
decisione.
La verifica di ammissibilità - che
dovrebbe essere operata per tutti i
ricorsi per Cassazione - sarebbe effettuata da un collegio formato da
tre magistrati. La decisione - di ammissibilità o di inammissibilità - è
adottata a seguito di procedimento
in camera di consiglio per il quale
la norma rinvia alla disciplina di cui
all’articolo 380-bis: rispetto alla disciplina attuale quale vive secondo
le innovazioni organizzative che la
Cassazione si è data non vi è alcun
risparmio in termini di efficienza
procedurale.
La decisione ha la forma dell’ordinanza e non può essere impugnata.
La norma proposta non specifica
quali siano i rapporti tra il nuovo articolo 360-bis e l’articolo 360.
Non è chiarito con precisione neppure quali siano i rapporti tra il nuovo istituto processuale e il procedimento camerale di cui all’articolo
375 del codice di procedura civile
di recente modificato. Par di capire
che il relatore designato alla verifica dell’ammissibilità debba anche
delibare se sussistono altre cause
di inammissibilità ovvero ipotesi di
manifesta fondatezza o infondatezza
del ricorso, ma non è chiaro se tale
delibazione sia prevista anche per i
ricorsi dichiarati ammissibili.
103
Temi per la legalità
Tutti eravamo e siamo consapevoli
della assoluta necessità di affrontare con misure realmente efficaci il
problema del sovraccarico di lavoro
che oggi grava sulla Corte e sui suoi
magistrati. L’esigenza di «filtri» o
di altri sistemi di deflazione è comunemente e profondamente sentita come condizione essenziale per
salvare la Corte di cassazione dal
precipitare di una crisi che appare
poter divenire irreversibile. Si tratta
peraltro di un tema di riforma estremamente delicato, che coinvolge
direttamente uno dei cardini essenziali della funzione giurisdizionale
e del suo ruolo costituzionale. Era
necessario quindi che i propositi di
riforma si realizzassero attraverso
un impegno di studio ponderato e
saggio, di confronto culturale aperto e trasparente, tale da coinvolgere
non solo la magistratura tutta ed in
particolare quella di legittimità, ma
anche l’Avvocatura e gli studiosi
104
del processo e dell’ordinamento costituzionale.
Gli interventi di riforma sono certamente urgentissimi, ma la Cassazione ed il giudizio di legittimità
non possono essere il terreno per
improvvisazioni estemporanee destinate a non poter giovarsi di un
adeguato controllo parlamentare
vero e +approfondito a causa dell’inserimento delle proposte di riforma
in una discussione parlamentare
incentrata su altri temi cruciali dinanzi a Commissioni competenti
per altre materie.
Non possiamo avallare nessuna riforma che non sia attuativa bensì
elusiva del dettato costituzionale:
non si può con legge ordinaria mediante un giudizio di ammissibilità
come quello articolato dal Governo
aggirare l’ostacolo del principio costituzionale secondo cui tutte le sentenze sono ricorribili per Cassazione
per violazione di legge.
Filtro in Cassazione (seconda lettura)
Seduta n. 165 di giovedì 23 aprile 2009
Filtro in Cassazione (seconda lettura)
Discussione sulle linee generali
Signor Presidente, i colleghi che mi
hanno preceduto hanno già tracciato sostanzialmente la linea del Partito Democratico con riferimento al
provvedimento legislativo in esame.
Mi limiterò ad esaminare la parte che
attiene più strettamente alla competenza della Commissione giustizia.
È un provvedimento che torna alla
Camera in seconda lettura, di cui abbiamo in più sedi - in Aula, in prima
lettura, in Commissione giustizia
anche di recente e nelle Commissioni che ci hanno ospitato dandoci
spazio adeguato - contestato il fatto
che, nell’ambito di un provvedimento collegato alla finanziaria, si sia
pensato di fare una riforma del processo civile. Anzi, questo disegno di
legge ritorna con il titolo: «Disposizioni per lo sviluppo economico,
la semplificazione, la competitività,
nonché in materia di processo civile». Sappiamo bene che quest’ultima
aggiunta è stata fatta con un emendamento presentato in Aula dal Ministro Alfano.
Purtroppo, noi riteniamo che si sia
persa l’occasione per una riforma
organica del processo civile, una
riforma che questo Governo aveva
trovato già delineata in una proposta dell’ufficio legislativo, coordinata - lo voglio qui ricordare - dal
capo dello stesso ufficio legislativo,
dottor Manzo, deceduto molto prematuramente, cui avevano lavorato
tante persone, che avevano raccolto
una serie di esigenze, che sento qui
rimarcare non solo da noi dell’opposizione, ma dalla maggioranza, che
però non possono essere e rimanere
soltanto affermazioni.
Nemmeno questa volta si è intervenuti in quella maniera organica e completa che ci si aspetta da quando vi è
un grido di allarme e di dolore così
forte da parte della giustizia. Ma si è
intervenuti quasi come se quello della giustizia fosse un cantiere sempre
aperto (ora si sta parlando della giustizia civile), nel quale si opera con
interventi episodici, altre volte più
complessi e articolati, che però non
sembrano dare la giusta importanza e
trasparenza ad una visione strategica
degli obiettivi da conseguire e ad un
disegno organico da realizzare, con
la conseguenza che l’interprete, quel
giudice che tante volte viene criticato
Legge n. 69 del 18 giugno 2009 - Disposizioni per lo sviluppo economico, la
semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile
105
Temi per la legalità
per l’applicazione della legge, è costretto a rincorrere le mutevoli scelte
legislative, per tentare di ridare unità
a questo sistema.
Questo è un compito che deve svolgere il legislatore. Non si può parlare di un intervento di riforma del
processo civile, quando si sono innestati, invece, alcuni momenti che
sicuramente - mi dirà chi ha proposto queste norme - stavano in quel
disegno complessivo, più organico.
Ma quando si tolgono delle parti da
un disegno più ampio, non vuol dire
che quelle parti portino poi a un funzionamento più celere; è un modo di
rincorrere un obiettivo, senza però
raggiungerlo realmente.
Questo è stato un modo di operare
che noi avevamo segnalato qui alla
Camera, ma le nostre critiche sono
rimaste inascoltate, perché al Senato, come è stato rimarcato poc’anzi, mi riporto anche all’intervento
dell’onorevole Zaccaria, in realtà si
sono aggiunti altri tronconi.
Si è aggiunta una delega per la riforma del processo amministrativo
e una per la riforma del processo
civile. Ma era questa la sede per realizzare una delega per la semplificazione dei riti civili (articolo 55)? È
stata considerata la critica venuta da
tutto il mondo forense, che in realtà,
quando ha visto un altro rito, quello
della cognizione sommaria, ha gridato all’allarme per l’ulteriore istituzione di un altro rito.
106
Dunque, a questo punto, anziché parlare di un disegno organico separato,
di fronte alla Commissione competente, si inserisce al Senato, in un
provvedimento legislativo assegnato
alla competenza delle Commissioni
affari costituzionali e giustizia, una
delega per la semplificazione dei riti
civili. Si tratta, però, di una delega
che, anche in questo caso, rende palese l’assoluta genericità dei principi
e dei criteri direttivi, tale da impedire che la delega possa esplicarsi con
significativa efficacia. Le lacune che
caratterizzano la norma sotto questo
profilo sono, infatti, tali da restringere l’opera del legislatore delegato
in modo non coerente con le esigenze che pur la norma si propone di
soddisfare.
In ogni caso ciò accada il provvedimento è tale da esporre le norme
delegate a censure di legittimità costituzionale. Ma è giusto, è istituzionale, vale la pena di farlo, disseminare, cioè, il processo di queste mine a
tempo, le pronunce della Corte costituzionale, come è avvenuto per il
processo societario, per le disposizioni riguardanti le sezioni specializzate
per la proprietà industriale e intellettuale? Ma esporre il processo a queste mine a tempo vuol dire rallentare
i processi e non dare quella certezza
che, invece, è il bene primario che il
legislatore ordinario deve garantire
alla disciplina del processo.
Prima di parlare dell’articolo 48,
che è poi uno dei temi centrali del-
Filtro in Cassazione (seconda lettura)
la nostra discussione, volevo fare un
accenno a una norma. Spero che da
parte del Governo e della relatrice per
la I Commissione vi sia un’attenzione
speciale e specifica su questo articolo
46, che è stato introdotto al Senato.
Si parla tanto di competitività, di un
momento anche finanziariamente
particolare per questo Stato italiano,
che ha risorse limitate e tante finalità
importanti da affrontare, e poi si pensa di attribuire alla competenza del
giudice del pace le domande aventi
ad oggetto la richiesta di condanna
dell’INPS, dell’INAIL e di altri enti
previdenziali o assistenziali per il pagamento di interessi e rivalutazioni
sulle prestazioni pagate in ritardo.
Potrebbe apparire una misura razionale, ma non lo è; si tratta di controverse seriali, estremamente semplici
e «bagatellari», che non danno nulla
di più al cittadino - perché, in realtà,
è importante che il cittadino abbia la
pensione, e che questa sia rivalutata e
riqualificata dall’INPS e dall’INAIL
- e che metteranno a terra le finanze
dell’INPS.
Il Governo dovrebbe tener conto di
questo, perché si tratta di cause che,
per la loro stragrande maggioranza,
non corrispondono ad alcun reale bisogno di giustizia dei cittadini. I cittadini, infatti, se ricevono la pensione o l’indennizzo con qualche mese
di ritardo, a tutto pensano fuorché a
pretendere la piccola somma ad essi
dovuta per interessi e rivalutazione.
Invece, facciamo sì che si affidi a un
giudice di pace, senza aver fatto alcuna riforma, peraltro, di tale giudice,
un’ulteriore competenza (si tratta di
giudici che, peraltro, sono pagati a
sentenza); svincoliamo, quindi, quella causa dalla causa principale, che è
presso il giudice del lavoro, e aumentiamo il contenzioso per una cosa che
poi non risolve e non è certamente in
linea con questa finalità che sempre
tengo presente: sviluppo economico,
semplificazione e competitività.
Ma arriviamo, poi, al tanto famigerato articolo 48: il Senato ha approvato con poche modificazioni il
testo contenuto nel disegno di legge
già varato dalla Camera. Siamo riusciti a far presenziare a una seduta delle Commissioni riunite una
serie di interlocutori, che si erano
poi espressi in più documenti, a cui,
peraltro, il Senato era stato sordo.
Devo dare atto alla relatrice per la I
Commissione, ad entrambi i relatori,
ai presidenti delle Commissioni di
aver fatto ciò, sia pure in un provvedimento che dava poco spazio alla
giustizia (la previsione nel titolo di
disposizioni in materia di processo
civile è stata soltanto inserita all’ultimo momento); in realtà, conteneva
tante norme.
Siamo finalmente riusciti a dar voce
a quegli organismi, tanti organismi,
che avevano tutti rappresentato e
manifestato una motivata preoccupazione per lo stravolgimento delle
funzioni della corte di legittimità che
107
Temi per la legalità
la riforma provocava, che quell’articolo provocava, per i suoi riflessi
ordinamentali e per i suoi aspetti di
legittimità costituzionale. Il problema nasceva dalla formulazione di
quell’articolo e da tutto quello che
di discrezionale e di arbitrario vi era
dietro quella dichiarazione di inammissibilità. Addirittura, un ricorso
proposto in conformità alle forme e
ai termini stabiliti dalla legge, che
denunziava una violazione di legge,
poteva essere dichiarato inammissibile, in contrasto con l’articolo 111
della Costituzione.
È vero infatti (mi riferisco al comma
7) quello che diceva poc’anzi l’onorevole Vannucci: tutti conosciamo la
splendida e accurata relazione svolta
dal primo Presidente della Corte di
cassazione, ma per arrivare a raggiungere un obiettivo bisogna anche
stare attenti a non eliminare quelle
garanzie di uno Stato democratico
che tanto faticosamente sono state
poste alla base della Carta costituzionale, che ancora è vigente e che
ha dei valori da preservare.
Tra l’altro, poi, il sistema che veniva descritto dall’articolo 48 (parlo al
passato, perché attualmente l’articolo
48 è stato sostanzialmente soppresso attraverso un emendamento del
relatore, votato all’unanimità nelle
Commissioni riunite) si è provato, si
è documentato e si è detto in queste
audizioni che non avrebbe portato i
risultati positivi in termini di deflazione del lavoro della Corte che si au108
spicavano. La decisione sull’ammissibilità del ricorso e sul fatto che la
Corte debba o meno decidere il ricorso (dietro ogni ricorso vi è una persona e, quindi, bisogna pensare che vi
sono degli interessi, che non sono nel
campo penale, ma sono comunque
interessi nel campo delle controversie
civili, che sono di pari dignità) era rimessa alla valutazione di un collegio
formato da tre magistrati, senza che
si fosse precisato come gli stessi venissero nominati; per tale valutazione
quel testo di legge non dettava alcuna
direttiva né alcun criterio, perché si
trattava di una decisione arbitraria:
la formula legislativa che è stata usata era la seguente: «questione sulla
quale la Corte (quel collegio di tre
giudici) ritiene di pronunciarsi per
confermare o mutare il proprio orientamento». In base a che cosa? In base
a quali parametri e a quali riferimenti
oggettivi verificabili? Noi ci fidiamo
dei giudici, ma i giudici devono poter
essere controllati attraverso le loro
decisioni: non criticati e basta, ma
verificati. La giurisdizione deve essere verificata attraverso la produzione delle sentenze, che devono essere
motivate per dare conto delle ragioni
dei giudici.
È quindi vero che nella relazione di
inaugurazione dell’anno giudiziario
il primo Presidente si era espresso
nel senso che l’introduzione di quel
filtro doveva mantenersi secondo il
testo che era stato previsto dal Governo, senza alcuna modifica; e ciò
Filtro in Cassazione (seconda lettura)
aveva fatto il Senato, perché, secondo quella relazione, a questo punto
la Corte non sarebbe stata oberata
più di questioni bagatellari per l’intero sistema giustizia e avrebbe potuto svolgere così più «da dentro» il
suo ruolo di indirizzo, migliorando i
tempi dei processi e dando certezza
degli indirizzi. Ritengo che queste
parole mirassero alla finalità, ma
non era questo lo strumento, perché
non era legato ad un sistema dove un
rilevantissimo beneficio fosse ricollegabile a strumenti rimessi ad una
piena discrezionalità.
Tra l’altro, perché si parlava di quel
filtro di limitazione delle cause bagatellari? In realtà, a differenza
di quanto viene effettuato in altri
ordinamenti, nel sistema previsto
dall’articolo 48 non c’era alcun riferimento né al valore né alla materia
della controversia relativamente al
quale potesse essere proposto il ricorso; e quindi che cosa si intende
per «bagatellare»?
«Bagatellare» è qualcosa che è contrario alle pronunce della Corte di
cassazione, alcune pronunce o che la
Corte non vuole mutare?
Occorreva allora evitare ad ogni costo il rischio di confondere i mezzi
con il fine, e in questo caso il fine
non è quello di introdurre un filtro
purchessia all’accesso in Cassazione, ma di trovare il modo di farla
funzionare al meglio, senza ledere le
garanzie costituzionali.
In quest’ottica, abbiamo colto la
sensibilità e l’intelligenza politica
di alcuni esponenti della maggioranza, ovviamente in primis della
relatrice, che si sono resi conto che
ci si stava mettendo sulla una via
che era senza ritorno. Accorgersi
che perseverare su un errore diventa diabolico è sintomo di maturità e
di senso istituzionale.
Questo filtro - e concludo, signor
Presidente - sicuramente non è il
massimo di quello che si poteva avere e non è il testo migliore che potevamo avere, perché per elaborare
un testo ottimo bisogna disporre di
una proposta legislativa autonoma,
che venga approfondita con i dovuti
tempi. Sicuramente non si possono
fare miracoli, ma sicuramente si è
cercato di individuare uno strumento oggettivo e dei criteri oggettivi
attraverso cui la Corte possa operare
tramite una sezione composta mediante meccanismi ugualmente ben
individuabili. Questo significa avviare un percorso di semplificazione e di razionalizzazione e cercare
di liberare la Corte da pesi inutili,
senza violare le regole costituzionali
e senza disattendere le domande di
giustizia dei cittadini. Ci auguriamo,
però, che questo modo di intervenire
sulla giustizia a pezzi, a frammenti,
a segmenti si fermi qui e che si faccia finalmente un discorso completo
e adeguato (Applausi dei deputati
del gruppo Partito Democratico).
109
Temi per la legalità
110
Sedi disagiate degli uffici giudiziari (2008)
Seduta n. 70 di mercoledì 22 ottobre 2008
Sedi disagiate degli uffici giudiziari (2008)
Esame di pregiudiziali
Signor Presidente, noi del Partito
Democratico condividiamo sostanzialmente nel merito i rilievi illustrati dall’onorevole Palomba e descritti nel documento dell’Italia dei
Valori, ma riteniamo che le questioni poste (sono tante le questioni che
riguardano il merito di questo provvedimento) non vadano affrontate in
sede di pregiudiziale di costituzionalità, bensì attraverso - speriamo - un
approfondito dibattito parlamentare,
nelle sedi proprie della Commissione e dell’Aula.
Riteniamo, infatti, che i piani di
intervento debbano essere differenziati. Nel provvedimento legislativo
in esame più che di violazione di
norme e principi costituzionali si coglie, infatti, per alcune disposizioni,
in particolare per quella che prevede
la secca abrogazione dell’articolo 36
del decreto legislativo 5 aprile 2006,
n. 160, frutto di un emendamento
della maggioranza in Aula al Senato, una sostanziale incoerenza e disomogeneità con il resto del disegno
di legge. Infatti, il disegno di legge
di conversione del decreto-legge
16 settembre 2008, n. 143, è ispirato e dedicato a interventi urgenti in
materia di funzionalità del sistema
giudiziario e, in particolare, all’individuazione di strumenti idonei a garantire la copertura di sedi cosiddette disagiate degli uffici giudiziari,
che normalmente si trovano al sud
e nelle isole, ma che ora non sono
più situate soltanto lì. Sappiamo, ad
esempio, che sarà sicuramente considerata sede disagiata, per essere rimasta scoperta per ben due volte - è
riportato in varie pubblicazioni - una
sede del nord come Brescia, dove vi
sono nove posti di sostituto tuttora
scoperti.
Pertanto, quell’emendamento presentato in Aula all’ultimo momento
ha soppresso una norma che ragionevolmente aveva bilanciato diversi interessi in gioco e che prevedeva che,
seppur attraverso una ricostruzione
della carriera, coloro che a seguito
di una sentenza di proscioglimento
erano rientrati in servizio, ma superavano i 75 anni, non avrebbero più
Legge n. 181 del 13 novembre 2008 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 16 settembre 2008, n. 143, recante interventi urgenti in
materia di funzionalità del sistema giudiziario
111
Temi per la legalità
potuto aspirare alla copertura delle
funzioni direttive più alte. Invece,
in Aula è stato approvato un emendamento dell’ultima ora e, ripetendo quanto già detto dall’onorevole
Palomba, quell’emendamento ha un
nome e un cognome nella sua finalità, ma non ha nulla a che vedere con
l’esigenza di primario interesse di
efficienza e funzionalità degli uffici
giudiziari che il disegno di legge si
propone.
Ma confidiamo. Noi del Partito Democratico vogliamo ugualmente
confidare che un dibattito costruttivo nella sede propria, la Commissione giustizia, possa far addivenire
la maggioranza ad un logico ripensamento, per evitare che provvedimenti legislativi caratterizzati, comunque, dallo sforzo di individuare
soluzioni di miglioramento del servizio giustizia siano anche essi, questa volta, etichettati come strumenti
per l’inserimento di provvedimenti
ad personam, contrari a tutte le normative relative al pubblico impiego.
Anche l’altra questione, quella del
Fondo unico della giustizia e delle
sue modalità di gestione, non è affrontata, in questi interventi che si
sono ripetuti e soprattutto con quello che è in discussione, in maniera
coerente perché più che violazione
di principi costituzionali, in realtà
si deve parlare della mancanza di un
disegno organico. Infatti, la ripartizione delle somme che derivano
dalla giustizia non sono esattamen112
te quantificate né quantificabili e
vengono destinate genericamente,
per non meno di un terzo, al Ministero della giustizia e al Ministero
dell’interno e le altre alle entrate del
bilancio. È forte la discrezionalità
nella distribuzione delle somme - sia
pur temperata con qualche sforzo al
Senato - che viene attribuita al Presidente del Consiglio, che diventa,
così, assoluto arbitro di decidere nel
caso di urgenti necessità derivanti
da circostanze gravi ed eccezionali
del Ministero dell’interno e di quello della giustizia. Inoltre, va rimarcata l’assenza dell’individuazione
di specifici investimenti sul terreno
dell’organizzazione, dell’informatica e della valorizzazione del personale dell’amministrazione del Ministero della giustizia, che è sempre
più trascurato e compresso nei tagli
dell’organico a causa della riduzione
della spesa pubblica.
Ma questi e altri punti del disegno di
legge riteniamo - noi del Partito Democratico - siano questioni che debbano essere approfondite e discusse
in un confronto costruttivo, teso a
migliorare e a rendere coerente ed
efficace il testo rispetto alle premesse e alle finalità che sono proprie e
che sono state assunte dal Governo
per giustificare l’intervento urgente
relativo alla funzionalità del sistema
giudiziario.
Per questi motivi, concludo, signor
Presidente, dichiaro il nostro voto di
astensione.
Sedi disagiate degli uffici giudiziari (2008)
Seduta n. 77 di lunedì 3 novembre 2008
Discussione sulle linee generali
Signor Presidente, considerati gli interventi approfonditi che hanno svolto i colleghi che mi hanno preceduto,
e che ringrazio per la disamina così
accorta, cercherò di essere molto
sintetica, cercando di apportare, se
possibile, qualche ulteriore elemento
di valutazione. Confidiamo ancora,
infatti, che il Governo in qualche
modo voglia veramente tener conto
dell’apporto costruttivo che l’opposizione ha sempre cercato di dare
dall’inizio di questa legislatura.
Credo che il decreto-legge, per come
era nato, non fosse poi una rivoluzione copernicana. Sicuramente
esso cercava di rivedere alcune storture dell’applicazione della legge 4
maggio 1998, n. 133, concernente la
copertura degli uffici sedi disagiate,
la quale non aveva sostanzialmente
funzionato, se non per il fatto che
alcuni magistrati di prima nomina
avessero prescelto quelle sedi, in
quanto tale scelta comportava una
via assolutamente privilegiata per il
ritorno, poi, nelle sedi di provenienza. Ciò aveva creato molto malumore
anche tra gli altri magistrati, anche
perché non vi erano soltanto benefici
di aumento di punteggio, ma - come
ho detto prima - ciò costituiva una
vera e propria via di privilegio che,
in qualche modo, comunque, i magistrati presso le sedi disagiate rivendicavano, per aver compiuto quella
scelta di vita e di lavoro che doveva
essere apprezzata.
Questo provvedimento nasce, quindi, con una rivisitazione dei criteri,
ma non voglio ripetere le critiche
che abbiamo fatto, laddove, appunto,
riteniamo che la definizione di sede
disagiata non debba essere sganciata
del tutto dalla territorialità e anche
dal valore ponderato degli affari civili e penali che gravano sull’ufficio,
così come non si deve fare riferimento a un dato solamente numerico, anche perché le nostre circoscrizioni giudiziarie non hanno ancora
quella razionalità a cui, in ogni caso,
aspiriamo.
Tuttavia, quello che, a mio avviso,
rende carente questo decreto-legge
è il fatto che esso non si pone come
una soluzione di emergenza residuale, quale dovrebbe essere a fronte di
un sistema che prevede come logica
la copertura senza il ricorso a incentivi economici, ad aumenti di punteggio in quanto tali e a trasferimenti
coatti come ordinari. Si tratta di una
situazione che, poi, da eccezionale
diventa fisiologica, laddove vi è quel
divieto normativo che impone di non
considerare le nuove leve, le nuove
energie della magistratura come capaci e idonee a ricoprire quelle sedi.
Ecco allora che quel sistema diventa
inidoneo e insufficiente.
113
Temi per la legalità
Tale sistema poteva infatti andare
bene ove previsto, sia pur con dei
correttivi che avevamo proposto in
Commissione, in casi eccezionali. Invece, considerati i numerosi vuoti di
organico, il fatto che non si possano,
soprattutto in uffici di procura e di
giudice monocratico, assegnare magistrati di prima nomina, determina
un notevole numero di posti che sono
privi di aspiranti. Ho provato anche
a seguire la logica che ci suggeriva il
sottosegretario: guardate che non si
tratta (così rispondeva ad alcuni onorevoli che provengono da sedi o regioni dove alto è il livello di criminalità
organizzata e dove si lamenta la riduzione di magistrati e altresì che non
venga considerata sufficientemente
la condizione di sede disagiata con
criminalità organizzata) di coprire i
posti delle direzioni distrettuali antimafia (DDA). Non si tratta di coprire
quelle sedi: infatti, è verificabile che
le DDA, costituite presso il tribunale
del capoluogo di distretto, normalmente hanno delle vacanze limitate;
sono anche posti appetibili, nei quali
si svolgono processi di un certo livello
e si trovano in capoluoghi di provincia o di regione, e dunque si tratta di
sedi, anche di vita, appetibili (parliamo non soltanto di uffici giudiziari,
ma anche di contesti territoriali).
Ebbene, seguendo quella logica,
vediamo che ci sono, in tutta Italia,
varie sedi, di uffici della procura soprattutto, particolarmente al sud, al
centro-sud ma alcune anche al nord,
114
che rimangono scoperte (nonostante
i concorsi ordinari di tramutamento
dei posti da parte dei magistrati più
anziani), in quanto prive di aspiranti.
Infatti, un magistrato che va avanti
con la carriera, ad un certo punto si
forma dei centri di vita, di affetti e di
interessi che è disposto a cambiare,
come tutti i funzionari dello Stato,
per delle motivazioni che sono aspirazioni professionali, territoriali, di
miglioramento di vita e di sistema.
Signor sottosegretario, anche se ho
minore esperienza della sua, senza
dubbio ho comunque vissuto dall’interno i problemi della magistratura
e francamente non riesco a comprendere quale elemento razionale
di buona amministrazione impedisca ai magistrati di prima nomina
di ricoprire quelle sedi. Non si tratta
infatti di sedi che richiedono l’esperienza necessaria ai processi di alta
criminalità organizzata. Ma si tratta
di sedi che sono disagiate perché logisticamente non sono ben collegate,
o per altri motivi che non stiamo qui
ad elencare, perché sono tanti. Si tratta, per esempio, di Mantova, Brescia
(Brescia ha nove posti di procura della Repubblica non coperti nell’ultimo
concorso, dove nessuno vuole andare), Caltanissetta, Enna, Gela, Nicosia Larino, Catania ed altri.
È vero che si tratta di una norma
dell’ordinamento giudiziario, ma
come nel caso di altre norme il legislatore va avanti, non rimane arroccato a determinate previsioni soltan-
Sedi disagiate degli uffici giudiziari (2008)
to perché, in quel momento storico,
anche il centrosinistra ha ritenuto di
dover aderire ad un certo progetto
(anche perché si trattava di mettere
una pezza - scusate il termine - ad
una riforma precedente che era ancor più dannosa). Mi si deve spiegare
allora se esistono altre amministrazioni dello Stato in cui ci sono funzioni di responsabilità che incidono
sui beni fondamentali della persona
nelle quali non vengono ammessi a
lavorare i giovani di prima nomina.
Voglio capire se un medico, solo perché è appena laureato, appena specializzato, perché ha appena effettuato il suo tirocinio, non va messo
al pronto soccorso dovendo aspettare
che abbia quattro, cinque o sei anni
di esperienza perché possa venire a
contatto con un bene fondamentale
qual è la salute della persona. Tanto
più - e questo stato già detto ampiamente, mi pare lo abbia detto l’onorevole Cavallaro nel suo intervento, e
quindi lo ripeto soltanto come punto
di riferimento - perché un pubblico
ministero non ha poteri diretti sulla
libertà della persona. È un argomentare demagogico che, alla fine, però,
porterà a risultati molto negativi sul
nostro sistema. Un pubblico ministero al massimo può chiedere una misura cautelare: ha un potere inferiore
a quello di un ufficiale di polizia giudiziaria e quindi ad un appartenente
alla guardia di finanza, alla polizia
ed ai carabinieri che, invece, possono arrestare in flagranza di reato e
che possono effettuare un provvedimento immediato. Non credo che
le forze dell’ordine non mandino, in
sedi come Enna, Gela, Forlì, Bergamo e le altre che ho indicato prima,
i loro vincitori di concorsi in quanto
ritengano necessario che prima debbano passare quattro o cinque anni.
Allora, si tratta di un falso problema
che è appartenuto ad una logica laddove ai giudici ragazzini si è voluto
attribuire il fatto che certe inchieste
siano state portate avanti con più celerità, con più ardore oppure, magari, anche in solitudine perché i capi
non hanno fatto il loro dovere. Ma
questo non c’entra niente: si tratta di
casi isolati che non giustificano tale
argomentazione. Non si può andare
per casi singoli, una amministrazione pubblica non può regolare e
governare avendo come riferimento
il singolo caso ad personam (mi riferisco quindi anche all’altra norma
introdotta in Aula al Senato). Dobbiamo pensare all’interesse generale, alla situazione generale.
Conoscendo l’esperienza e la ragionevolezza del sottosegretario lo
invito a farsi interprete e portavoce
di quest’esame e di verificare se, ad
esempio, ad un prefetto di prima
nomina sia impedito andare in una
sede quale una di quelle che ho indicato poc’anzi. Che siano altri i timori! Mi sorgono alcune domande
sostanzialmente perché i magistrati
di prima nomina non sono più i giovani magistrati che siamo stati noi,
115
Temi per la legalità
un tempo, quando si accedeva alla
magistratura subito dopo la laurea.
Ormai abbiamo giovani magistrati
di trenta, trentadue, trentatré, trentacinque anni, che non sono più giovanissimi ed hanno un’esperienza.
Vogliamo guardarci intorno anche
negli altri ordinamenti? La Germania, ad esempio, ha risolto il problema individuando una possibilità
di co-assegnazione per un certo periodo di tempo, di determinati magistrati di prima nomina magari con
altri sostituti più anziani. Questa è
una, ma le soluzioni possono essere
tante, ad esempio si potrebbe modificare il tirocinio, ma non questa
preclusione!
Il Partito Democratico ha suggerito un emendamento che non vuole
eliminare del tutto quella norma,
ma vuole dare un suggerimento che
porti a un miglioramento del funzionalità della giustizia. Infatti, 350
posti sono stati assegnati dall’ultimo
concorso i cui vincitori stanno già
facendo il tirocinio, altri 350 posti
saranno assegnati quando, tra poco,
finiranno gli orali; per altri 500 si
svolgeranno le prove il 16 novembre.
Abbiamo, quindi, una platea di circa
mille persone e dove verranno mandate? Verranno mandate nei posti
in cui faranno concorrenza ai magistrati più anziani che si vedranno
poi trasferiti con delle modalità quasi militaresche. Non entro nell’ambito dei criteri che saranno oggetto di
emendamenti e già sono stati ogget116
to di puntuali critiche da parte degli
onorevoli del Partito Democratico.
Ad ogni modo questo decreto-legge
non esprime una ragionevolezza di
intenti come avrebbe potuto fare modificando la legge 4 maggio 1998, n.
133 ed aprendo ad una soluzione che
fosse logica, ragionevole e di buon
andamento dell’amministrazione.
Esso, infatti, non segue proprio
questa logica. Il sottosegretario mi
scuserà se insisto su questo punto.
Non la segue! Ho avuto modo di
andare dietro a tutta la polemica e
all’approfondimento in ordine alla
questione dei magistrati fuori ruolo
e francamente non capisco questa
norma e l’apertura che è stata proposta. Infatti, è vero sottosegretario
Caliendo, che avete giustamente indicato un limite massimo, che anzi
il Governo ha portato da 230 a 200
in sede di emendamento al Senato il
numero massimo dei magistrati fuori ruolo quando, invece, lei sostiene
che attualmente sono 236. Non dimentichiamoci che sono 236 e di
questo problema ho vissuto, passo
a passo, le vicende nel mio precedente lavoro, che ho svolto sino allo
scorso aprile, e faccio presente che
sono 236 perché nella precedente
legislatura il tetto, in un certo momento, nei vari passaggi che si sono
susseguiti nella modifica alla legge sull’ordinamento giudiziario, il
tetto massimo, che era 200 più 30,
era venuto meno. Pertanto, a questo
punto l’organo di autogoverno si era
Sedi disagiate degli uffici giudiziari (2008)
dato un proprio limite ed aveva anche individuato delle categorie cercando, appunto, di limitare il tetto
massimo.
Tuttavia, da un lato si stabilisce un
tetto massimo, ma dall’altro si compie un’apertura enorme per una serie
di categorie. Infatti, l’unica ad essere
stabilita per legge è quella del Consiglio superiore della magistratura,
perché la legge 24 marzo 1958, n.
195, determina espressamente quanti sono i magistrati della segreteria,
quanti dell’ufficio studi e documentazione e quanti presso il segretario
generale ed il suo vice.
Ripeto, si tratta dell’unica legge!
Per il resto non viene indicato un
numero e la Corte costituzionale e
la Presidenza della Repubblica sono
esonerate e senza l’indicazione di
un numero. Pertanto, mancando il
numero, di conseguenza non vi è un
tetto. Quindi, si tratta di un limite
che non viene indicato. Capisco che
l’alto organo, l’alto vertice dell’organo imponga di affermare che non
desideriamo indicarlo. È una scelta
politica e infatti lei avrà notato, signor sottosegretario, che il Partito
Democratico, su questo punto, non
ha presentato emendamenti, perché ci rendiamo conto che si tratta
di una scelta politica, di politica legislativa, così come è una scelta di
politica legislativa non aver indicato,
per quelle stesse categorie, compresi
i magistrati del Consiglio superiore
della magistratura che pure avevano
un termine di legge, il tetto massimo
di permanenza fuori ruolo. Pertanto, per gli altri magistrati sono dieci
anni. Invece, per tutta questa altra
categoria, fuori del tetto numerico,
non vengono nemmeno indicati gli
anni. Questo si rileva addirittura
delle schede preparate dal Servizio
studi della Camera, il cui lavoro apprezzo sempre di più per l’estrema
imparzialità e puntualità.
Ma non solo! Vi è anche una carenza di raccordo con la norma dell’ordinamento giudiziario, che faceva
riferimento ai dieci anni. Siamo in
presenza di una mancanza di raccordo, perché sostanzialmente la norma
contenuta nella legge 30 luglio 2007,
n. 111, stabiliva che da allora in poi
- fu un fatto di portata gravissima tutto ciò che era successo nel passato non importava più. Un magistrato
poteva anche essere fuori ruolo da
venti anni e dagli elenchi che lei ha
portato, signor sottosegretario, vi
sono magistrati fuori ruolo dal 1979,
dal 1980 e dal 1992. Insomma, penso che siamo d’accordo nell’affermare che vi sono magistrati che sono
fuori ruolo da una vita. A questo
punto, con la legge n. 111 del 2007,
abbiamo provveduto ad un «azzeramento». Ma adesso li «azzeriamo»
nuovamente, perché decorrono altri
dieci anni.
GIACOMO CALIENDO, Sottosegretario di Stato per la giustizia.
No!
117
Temi per la legalità
DONATELLA FERRANTI. Non
vi è il raccordo. Se tale raccordo è
venuto meno, perché è stato fatto
questo? Perché il CSM, nel frattempo, aveva emanato una circolare e
questo è quanto dice il CSM. Non è
vero che il CSM ha espresso parere
favorevole. Non ha espresso un parere contrario, ma ha svolto dei rilievi
critici e forse si è attenuto a quello
che è più il suo compito, in base alle
attribuzioni del Consiglio superiore
della magistratura, indicate dall’articolo 10 della legge n. 195 del 1958.
Ha fornito al Ministro della giustizia
rilievi che non sono stati tenuti in
alcun conto. Il Consiglio superiore
della magistratura ha fatto presente
che con questa normativa, che concerne la destinazione dei magistrati
a funzioni non giudiziarie, inserita
all’interno di un decreto-legge che
riguarda la funzionalità del sistema
giudiziario, le sedi disagiate, i trasferimenti coattivi e l’età dei magistrati da un lato si stringe, perché si
attribuiscono incentivi economici
che però nessuno utilizzerà per andare in certi sedi e di questo ne riparleremo tra un po’.
Dall’altro lato, si estendono le maglie e non si tiene conto di quel suggerimento che il CSM aveva dato
sulla necessità di cercare di far rientrare gente che sta fuori ruolo da
vent’anni e di recuperarla al sistema
giudiziario. Non c’è nessuna norma
in questo senso e nessun tentativo in
tal senso. L’altro Governo qualche
118
tentativo (anche soltanto del Ministro) sporadico e difficile l’aveva
fatto, mentre qui, in pratica, si dà la
licenza a ricominciare. Lei sa meglio
di me, perché conosce benissimo
nomi e cognomi e quant’altro, che ci
sono persone che stanno fuori ruolo
da anni: allora diciamo che questi
magistrati ormai fanno altro. Però,
allora non andiamo a penalizzare
chi è vincitore di concorso, chi ha
fatto fior di esami, chi ha speso una
vita per entrare in magistratura, chi
è formato con quindici mesi di tirocinio (generale e specializzato) per
andare a fare il magistrato perché
non si tratta di un ragazzino. Forse si
teme che i giovani siano più liberi da
sovrastrutture, da condizionamenti,
ma sono la parte più vera e più autonoma della magistratura.
È questo che non condividiamo e
non il fatto che non ci sia stata da
parte del Governo una presa d’atto
che qualcosa bisogna fare per le sedi
che comunque rimarranno disagiate. Magari, come è stato suggerito,
anche dall’intervento dell’onorevole Melis, è necessario prevedere un
contingentamento e fare in modo
che non vi siano tutti giovani in una
procura del sud o del nord cosiddetta disagiata, ma nemmeno che vi sia
tutta gente che ci va soltanto per una
motivazione economica. Avrei paura
di un magistrato che va in una sede a
fare la procura della Repubblica solo
perché gli danno 2 mila euro in più.
Non si fa il magistrato per guada-
Sedi disagiate degli uffici giudiziari (2008)
gnare. Nessuno di noi ha scelto questa strada per guadagnare. Infatti,
un giovane che ha trenta-trentadue
anni, è bravo e ha vinto un concorso in magistratura guadagna di più a
fare l’avvocato.
Allora quell’incentivo economico e
anche di carriera (quel punto in più)
potrà risolvere in parte il problema
- di quello do atto - ma si tratta solo
di una strada e non dell’unica. Però,
per non fare procure soltanto di giovani (giustamente sperduti o soli) si
dovrebbe contingentare prevedendo
(non so) di andare a coprire il 50 per
cento (un posto su due), come si è
sempre fatto, anche ai sui tempi, sottosegretario, e anche ai miei. Sono
entrata in magistratura quando non
era un concorso di secondo grado
come adesso. Adesso è un concorso
di secondo grado. Vorrei capire se ai
magistrati amministrativi impediscono di andare in determinate sedi.
Credo che anche loro andranno nelle sedi disagiate e non credo che il
magistrato amministrativo di prima
nomina venga al TAR del Lazio.
Quindi, bisogna capire, così come
sul fondo giustizia, se veramente si
ha a cuore che il servizio giustizia
vada avanti, oppure se si vogliono
offrire degli strumenti di apparente funzionalità. Infatti, chi è dentro al sistema capisce che si tratta
solo di uno degli strumenti, ma non
dell’unico strumento di razionalizzazione del sistema.
Inoltre, sempre per parlare di contraddizioni, come può lei, sottosegretario, con la coerenza che l’ha
contraddistinta per tutta la sua carriera, non condividere un nostro
emendamento che chiede la soppressione di quel comma 8-bis dell’articolo 1, introdotto in maniera subdola
in Aula al Senato? Che non ci si venga a dire che il Senato lo ha votato:
non avranno valutato a fondo quello che è stato presentato come un
adeguamento ad una sentenza della
Corte costituzionale perché è falso.
Infatti, chiunque la legga la sentenza
della Corte costituzionale che è stata
richiamata dai senatori al Senato, sa
che non c’entra nulla con la norma in
questione. Quella sentenza riguardava il fatto che bisognava ammettere
al concorso per direttivi anche chi,
avendo optato per i 75 anni, aveva
superato i 70, ma sempre nell’ambito
dei 75.
Quindi, al Senato è stata portata in
Aula una norma di soppressione motivandola come adeguamento alla
giurisprudenza della Corte costituzionale, ma ciò è falso. Si tratta di
una argomentazione falsa! Quindi,
non c’è nessuna contraddittorietà
da parte del Partito Democratico in
questa avversione nei confronti di
questo decreto-legge, dal momento
che contiene ancora, a parte degli
strumenti che non riteniamo del tutto
adeguati, soprattutto la disposizione
che è un affronto per una democrazia
vera, poiché inserisce in un decreto119
Temi per la legalità
legge dedicato alle sedi disagiate la
norma per consentire a Carnevale di
fare la domanda per diventare primo
presidente della Corte di Cassazione
quando il primo presidente attuale tra un anno, un anno e mezzo - andrà
in pensione.
Essendo prima stato chiesto questo,
tale norma ha massimo due-tre destinatari, dai miei ricordi di quanti
hanno beneficiato del rientro dopo.
Non è una norma generale ed astratta, ma particolare. Voglio credere
che tutti noi - quindi maggioranza e
opposizione - non possiamo avallare
che in questo Parlamento si facciano
delle norme che abbiano dei nomi e
cognomi. Poi, lo scudo che ci si vuole
fare per cui questa norma non conta
nulla, che poi sarà il CSM a valutare
se abilitare Tizio o Caio a fare il pri-
120
mo presidente, è veramente una cosa
puerile, indegna di parlamentari.
Penso che non dobbiamo vedere
quali sono le conseguenze, ma se
questa norma è razionale. Qui altri
prima hanno meglio di me spiegato
come questa norma non ha razionalità, ragionevolezza, coerenza con
tutto il sistema dell’amministrazione
e, quindi, non si può per i magistrati parlare in un modo e magari - da
parte del Ministro Brunetta - per i
pubblici impiegati parlare in un altro. Quindi, occorre avere una coerenza e voglio credere, fino a che non
si voterà questo provvedimento, che
altri insieme a noi abbiano questa
mia stessa coerenza, essendoci dei
valori che comunque ci accomunano
(Applausi dei deputati del gruppo
Partito Democratico).
Sedi disagiate degli uffici giudiziari (2010)
Seduta n. 264 di martedì 12 gennaio 2010
Sedi disagiate degli uffici giudiziari (2010)
Esame di pregiudiziali
Signor Presidente, anche noi abbiamo ritenuto di non proporre la pregiudiziale di costituzionalità, non
perché in qualche modo non percepiamo le linee di fondo che ha voluto
esporre l’Italia dei Valori, ma perché
abbiamo ritenuto che fosse più adeguata a questo provvedimento una
linea di confronto e di dibattito nel
merito delle scelte governative adottate, per l’appunto, con questo decreto-legge, n. 193 del 29 dicembre
2009, intitolato «Interventi urgenti
in materia di funzionalità del sistema giudiziario».
Anche perché - questo spiegherà
anche il nostro voto di astensione questo decreto-legge non riguarda
soltanto la copertura dei posti vacanti negli uffici giudiziari, ma riguarda
un’altra importante scadenza, ovvero la proroga dei magistrati onorari
che sono scaduti il 31 dicembre 2009
(quelli in servizio: giudici onorari e
viceprocuratori onorari), che, in attesa di una definitiva riforma della
magistratura onoraria, anch’essa urgente ed essenziale allo svolgimento
razionale del nostro sistema della
giustizia, non poteva non essere
oggetto di una proroga da parte del
Governo.
Inoltre, questo decreto-legge, da
ciò deriva questa nostra maturata convinzione di non proporre la
questione pregiudiziale, riguarda
anche le finalità inerenti il completamento del sistema di digitalizzazione della giustizia di cui parleremo in Commissione.
Il decreto-legge si fa carico dell’esigenza della copertura delle sedi
disagiate. Vi è ormai un problema
urgentissimo: la scopertura degli uffici giudiziari di procura, scopertura
che si riscontra soprattutto nelle aree
meridionali, ma non solo (la cosiddetta desertificazione degli uffici di
procura). Si tratta di un problema per
il quale, tra l’altro, abbiamo proposto
al Ministro qualche tempo fa, prima
dell’estate, una specifica interrogazione a risposta immediata. Con
questo provvedimento il Governo devo dire - ha il coraggio di fare un
passo indietro rispetto a quella norma introdotta con il decreto-legge
16 settembre 2008, n. 143, conver-
Legge n. 24 del 22 febbraio 2010 - Conversione in legge, con modificazioni,
del decreto-legge 29 dicembre 2009, n. 193, recante interventi urgenti in materia di funzionalità del sistema giudiziario
121
Temi per la legalità
tito dalla legge 13 novembre 2008,
n. 181, che aveva coniato un sistema
basato su alcune sedi disagiate ed
altre a copertura immediata e sugli
incentivi economici.
Si rende conto del fallimento di quel
sistema, che noi avevamo tra l’altro
previsto in quest’Aula e per questo
avevamo più volte richiamato il Governo stesso ad una modifica. Aumenta, e quindi potenzia, l’istituto
del trasferimento d’ufficio che già
esiste nella nostra normativa (è stato
previsto dalla legge del 1998), fa riferimento ad un numero maggiore di
sedi, 80, fino a 150 magistrati. Finché
ci si rende conto di questo aumento,
nulla quaestio. È un problema sul
quale lavoreremo e ci auguriamo
che il Governo e la maggioranza
tengano conto di questa nostra posizione, perché dobbiamo lavorare in
Commissione ed in Assemblea per
modificare queste scelte di potenziamento di tale sistema parallelo al
trasferimento di ufficio, che potreb-
be andare a scardinare quel principio
costituzionale della inamovibilità
della magistratura come principio
cardine così fissato dall’articolo 107
della Costituzione, che è derogabile
- dice la Corte costituzionale - solo
per ragioni contingenti volte ad assicurare la continuità e la prontezza
della funzione giurisdizionale, ma
che non può essere un sistema che
poi, attraverso una serie di proroghe, va a regime. Deve essere un
sistema che in qualche modo deve
essere comunque cambiato. Quindi,
noi lavoreremo e siamo convinti che
vadano individuate una serie di criticità, perché non comprendiamo quali sono il passo e la finalità verso i
quali il Governo sta andando. Quindi, vogliamo evitare che con questo
decreto-legge sostanzialmente si
cerchi di tirare una coperta troppo
corta, non rimuovendo la causa principale che è quella delle impossibilità di destinare i magistrati di prima
nomina alle sedi di procura.
Seduta n. 271 di venerdì 22 gennaio 2010
Discussione sulle linee generali
Signor Presidente, i colleghi del Partito democratico che mi hanno preceduto hanno ampiamente svolto i temi
sostanziali contenuti nel decreto-legge in esame, del quale si sta svolgendo la discussione sulle linee generali
e che rappresenta la punta dell’iceberg del problema giustizia. Purtrop122
po, alle problematiche della giustizia
si cerca di ovviare con provvedimenti
di urgenza che, come tutti i provvedimenti di urgenza, sia pur predisposti con tutte le ottime intenzioni che
possono essere alla base di qualsiasi
Governo, hanno però il limite di non
risolvere il problema alla radice.
Sedi disagiate degli uffici giudiziari (2010)
Il provvedimento d’urgenza in esame, come è già stato affermato, nasce sostanzialmente per rivedere un
provvedimento del Governo che,
nel 2008, aveva affrontato con certe
modalità il cosiddetto problema delle sedi disagiate, in particolare degli
uffici di procura. Disagiate sono le
sedi che hanno, in termini di organico, una scopertura maggiore ad una
certa percentuale e non in quanto
geograficamente disagiate. In esse
vi è sempre qualcosa in movimento: a seguito di pensionamenti, scoperture o a mancate richieste, che
riguardano i trasferimenti ordinari,
in queste sedi, che possono essere al
sud (come avviene di solito, in prevalenza), ma anche al nord, il funzionamento delle stesse è messo in
crisi. Vi sono anche procure del nord
in cui vi è solo una persona, il procuratore capo.
Nel 2008 - qui eravamo più o meno
sempre le solite persone, in quanto
il problema è sempre stato affrontato dalla Commissione giustizia - il
Governo era intervenuto prevedendo una serie di incentivi economici
e di carriera per far sì che quelle sedi
cosiddette disagiate - individuate dal
Ministro e dal CSM in quanto gravemente scoperte - potessero essere
appetibili per trasferimenti cosiddetti d’ufficio, ma con il consenso,
a disponibilità, non manu militari.
Tale intervento modificava criteri
già vigenti in base alla legge n. 133
del 1998. Il trasferimento d’ufficio in
sedi disagiate, quindi, è stato sempre
previsto dall’ordinamento giudiziario. Quando si dice in giro che i magistrati sono inamovibili e godono di
una condizione di privilegio rispetto
ad altri funzionari dello Stato si dice
cosa non vera.
Quel trasferimento d’ufficio già esisteva. È stato modificato, perché le
cose evolvono, dal Governo di questa legislatura ed è stato previsto un
sistema di incentivi economici, come
dicevo prima, e di carriera, che al
Governo sembravano appetibili per
far sì che in realtà ci fosse una mobilità d’ufficio, ma con il consenso,
perché c’erano dei vantaggi che venivano rappresentati, delle utilità.
Noi all’epoca - ho rivisto proprio ieri
il dibattito in Aula - dicemmo che ci
opponevamo a quello strumento. Ciò
non perché vogliamo tutelare i privilegi di caste o di corporazioni o perché siamo retrogradi, come in maniera molto semplicistica qualcuno
ha voluto sottolineare, pur di fronte
ad un’opposizione che continuamente dà prova di spirito costruttivo e di
voglia di dare il proprio apporto alla
maggioranza. Quella volta dicemmo
- e abbiamo avuto ragione - che quel
sistema non avrebbe funzionato, ma
non perché i magistrati non avrebbero preso al balzo la possibilità di
avere quella parte di stipendio in più
o dei privilegi di carriera rispetto
agli altri, ma per come è strutturato l’ordinamento giudiziario attuale,
reduce da una riforma che avete va123
Temi per la legalità
rato nella precedente legislatura, ma
che ha origine dall’elaborazione del
Ministro Castelli, quindi è una riforma che in parte viene dal Governo di
centrodestra.
Quella riforma fece una scelta e
di fatto, avendo precluso la possibilità che all’esito di un concorso
si andasse a coprire anche le sedi
degli uffici di procura, quindi che
magistrati freschi di prima nomina
andassero a coprire quegli uffici, si
è impedito che quegli uffici fossero
ricoperti.
Quindi, si erano create delle vacanze
così gravi che ad esse non si poteva
sopperire con un trasferimento, sia
pure a domanda, ma cosiddetto d’ufficio e su incentivazione. I dati sono
stati anche riportati nel parere del
Consiglio superiore della magistratura che li ha analizzati e il sottosegretario ne è a conoscenza, ovviamente nell’ambito della sua attività.
I concorsi, che il CSM ha bandito
d’intesa con il Ministro, hanno portato ad una parziale copertura, quindi ci sono stati magistrati che hanno
utilizzato quel percorso incentivante
previsto dal Governo.
Dunque, non è vero che sono sedi
sgradite ai magistrati, perché quelle
sedi in parte sono state ricoperte.
Però purtroppo - il Governo lo sa
- in base ai divieti e alle incompatibilità che ci sono anche di tramutamenti nell’ambito del distretto o
fuori distretto tra giudice e pubbli124
co ministero, divieti giusti, quell’incentivo non ha potuto funzionare al
100 per cento.
Tuttavia, noi già all’epoca, data l’eccezionalità, abbiamo suggerito di sospendere l’efficacia di quella norma
che riguardava il divieto di utilizzazione delle nuove forze ai fini della
copertura, perché dal 2008 avevano già preso servizio i vincitori di
due concorsi mi pare, sicuramente i
vincitori di uno di essi. Quindi, questo problema, se avessimo seguito
all’epoca la nostra linea, che avevamo tenuto con grande generosità e
voglia di collaborare con il Governo,
sarebbe già stato risolto. Infatti, sostanzialmente a noi opposizione del
Partito Democratico - qui lo voglio
dire pubblicamente, affinché rimanga agli atti della Camera - non interessa lo sfascio della giustizia. Noi
vogliamo che si costruisca qualcosa
di positivo per la giustizia e per i
cittadini. Quindi, il problema è che
le riforme vanno confrontate e fatte
con un sistema di contemperamento
delle varie esigenze. Ecco che quella
volta questo contemperamento non è
stato accolto.
Questa volta devo dare atto al Governo, in particolare al sottosegretario Caliendo, e al relatore, che, tra
l’altro, viene anch’egli dalla magistratura e conosce perfettamente
le problematiche sottostanti, che
in Commissione giustizia vi è stata
questa convergenza, per cercare di
mediare.
Sedi disagiate degli uffici giudiziari (2010)
Ovviamente, non è stata accolta tutta la nostra proposta - è nelle cose,
nella fisiologia del dibattito - però
è stato accolto il principio per cui,
se la necessità del nostro Paese è di
fornire degli strumenti immediati
per far sì che gli uffici di procura
funzionino e che vi sia una lotta alla
criminalità comune e organizzata, e
quindi i giudici possano esercitare la
giurisdizione e si attui il principio di
obbligatorietà dell’azione penale, la
cosa immediata da fare è, e ci siamo
arrivati (il testo giunto in Assemblea
è già diverso rispetto a quello iniziale), prevedere una deroga per i vincitori di un concorso che immediatamente hanno già assunto le funzioni
e che potranno assumere le funzioni
nelle sedi cosiddette disagiate, sulla
percentuale individuata dal Governo, su cui dovrà decidere il Consiglio superiore della magistratura,
della scopertura del 30 per cento.
Già a novembre di quest’anno - non
bisognerà aspettare il 2014 - tali sedi
potranno avere magistrati titolari
formati, vigorosi e vogliosi di dare
un contributo allo Stato, che potranno coprire tutte le sedi disagiate,
perché il concorso già comprende
oltre 300 persone.
Faccio subito una riflessione, che
sottopongo al Governo e al relatore:
a questo punto, quel nuovo conio di
trasferimento d’ufficio di autorità lo chiamo di autorità per distinguerlo
da quello con il consenso, sono sempre due tipi di trasferimento d’uffi-
cio - che senso ha prevederlo fino al
2014, poiché è rimasta la norma?
Che senso ha? È giusto rivedere le
modalità per sopperire a delle esigenze imprescindibili di funzionamento della giurisdizione, e quindi
è giusto prevedere e disciplinare un
tipo di trasferimento d’ufficio. Non
siamo retrogradi, non siamo ancorati
a dei privilegi di una categoria che
possono andare a danno dei cittadini, mai!
Sollecito il Governo e il relatore ad
una nuova formulazione di quel trasferimento d’ufficio, che il Governo
aveva previsto e coniato prima di
addivenire a questa nuova formulazione, che consente l’immediata copertura a novembre 2010; a tale data
vi sarà l’assegnazione delle sedi e a
luglio 2011, poiché il tirocinio mirato dura sei mesi, questo esercito di
persone si recherà in tali sedi.
Perché dobbiamo lasciare quella
norma fino al 2014? Questo è il mio
primo interrogativo e la mia prima
problematica, che pongo in maniera
molto distesa e con la massima collaborazione. Ovviamente, su questo
presenteremo degli emendamenti,
ma le soluzioni non le dobbiamo
trovare noi; noi avanziamo delle
proposte, poi la soluzione la troveranno il Governo, il relatore, la
maggioranza, speriamo d’intesa con
le opposizioni.
Per l’altro problema che è stato accennato, voglio rivolgermi al Gover125
Temi per la legalità
no, perché si faccia interprete anche
nei confronti del Ministro, proprio
perché vogliamo dare una mano perché il sistema funzioni; non vogliamo lo sfascio delle procure della Repubblica, perché sappiamo che quei
luoghi sono il pronto soccorso del
male e della giustizia nei confronti
dei cittadini e delle vittime di reato. È come se chiudessimo i pronti
soccorsi, che sono il filtro per andare
negli altri reparti.
Mi chiedo allora: giacché il periodo di tirocinio è fissato con decreto
del Ministro, sentito ovviamente il
CSM, perché non si pensa di far fare
ai magistrati che andranno a ricoprire le sedi di prima nomina, a seguito
del concorso del 2009, come si è stabilito con un emendamento formulato d’intesa tra opposizione e Governo, il tirocinio mirato (cioè l’ultima
parte in cui si vanno a formare) presso le sedi cosiddette disagiate, cioè
presso gli uffici di procura? Si tratta
di un’iniziativa che può assumere il
Governo! Si avrebbe allora un’anticipazione della copertura delle sedi
non a luglio 2011, ma a ottobre, novembre, dicembre 2010.
Se la norma del trasferimento coatto
è dunque soltanto un segnale, per cui
si vuole comunque dare una risposta a chi, nell’ambito della maggioranza (ma non sono poi tutti, perché
nell’ambito della maggioranza c’è
gente che come noi crede nel funzionamento effettivo della giustizia), ha
«sete» di dare colpi all’autonomia
126
ed indipendenza della magistratura, allora è un conto, e non arriveremo mai a rivedere quella norma:
basta saperlo, ognuno poi sa fino a
che punto l’opposizione può anche
«spingere», o comunque può rappresentare le istanze della sua parte.
Se si tratta, invece, di una norma
che aveva un senso, essendo stata
motivata, così come leggo nella relazione del decreto-legge firmato
dal Capo dello Stato, con la necessità di sopperire ad un’esigenza effettiva di continuità della funzione
giurisdizionale, e quindi anche con
un riconoscimento dell’unità della
magistratura nell’organo inquirente
e giudicante; se la verità è quella che
noi leggiamo, credo allora che tale
norma comunque vada rivista, che
ne vada rivista la durata; comunque,
si può anche cercare di perfezionare un po’ il trasferimento d’ufficio,
riportandolo nell’ambito non di un
«mostrare i muscoli», ma di una
funzionalità effettiva. Verificherà il
Governo che noi, sotto questo profilo, abbiamo abbandonato alcuni
emendamenti, li ritireremo, proprio
perché c’è una volontà di andare
avanti, non di andare indietro.
Vorrei trattare ancora due punti: la
digitalizzazione, e la questione della
Scuola superiore della magistratura;
una modifica alle competenze della
Scuola superiore della magistratura è stata introdotta con un emendamento del Governo, non faceva
quindi parte del decreto-legge.
Sedi disagiate degli uffici giudiziari (2010)
Sotto il profilo della digitalizzazione, noi siamo ovviamente favorevoli
a tutte le misure che concretamente
porteranno a migliorare il servizio,
ad accelerare i tempi, ad evitare attività cartacee inutili. Credo che su
questo punto il Governo abbia come
interlocutore il Ministro, ed il Ministro ha poi come interlocutore, anche
consultivo, il Consiglio superiore
della magistratura, che con un parere segnala quali sono le problematiche; l’opposizione ha poi cercato
anche da parte sua autonomamente
di segnalarle nell’immediato. La digitalizzazione dovrebbe comportare
la sostituzione delle forme di notificazione cartacea con obbligatorie
forme di notifica, tranne che per
l’imputato, per tutte le altre parti,
con la posta elettronica certificata;
si fissa poi il termine di 60 giorni e
si impone ai capi degli uffici di dare
immediata attuazione a tale norma.
E guai a chi non ne dà immediata
attuazione! Vi è anzi una responsabilità del capo dell’ufficio.
Mi permetto di rappresentare che,
in realtà, tutto questo meccanismo
ha bisogno di risorse economiche e
di personale: quando infatti si dovrà
fare la scannerizzazione di un documento affinché esso possa essere
informatizzato, chi farà appunto la
scannerizzazione, registrandosi una
carenza di organico gravissima? Si
dovrà quindi ricorrere alla collaborazione del personale ausiliario con
il sostegno dell’ufficiale di polizia
giudiziaria, che magari operano
presso gli uffici delle procure della
Repubblica o presso le sedi, per il
penale, del giudice per le indagini
preliminari o del GUP.
In qualche modo, ciò che abbiamo
criticato non è l’idea di proseguire in
questa modernizzazione della giustizia (è evidente, infatti, che non si
lavora più con penna e calamaio), ma
il fatto che tutto questo viene realizzato senza aver prima previsto una
riorganizzazione degli uffici.
È come se uno uscisse di casa ben
curato dopo il parrucchiere, ma poi
magari si accorgesse di avere le scarpe bucate: si tratta di un minimo di
buona amministrazione! Quindi abbiamo detto che non vi era, a nostro
avviso, la necessità di adottare al
riguardo un decreto-legge, ma comunque, anche volendo intervenire
attraverso un decreto-legge, abbiamo chiesto al Ministro di tenere
conto delle buone prassi che già esistono e del processo telematico che
lui stesso ha realizzato. Proseguendo un lavoro che era iniziato con
il Governo di centrosinistra, esso
è stato infatti portato a termine in
alcune sedi e si sta applicando con
riferimento al decreto ingiuntivo e
ad altre procedure, come le notifiche (la sede di Milano, ad esempio,
è a regime già da quest’estate), ma
secondo una procedura diversa da
quella che viene prevista con il presente decreto-legge.
127
Temi per la legalità
Ciò che si è fatto finora verrà dunque
buttato al macero: sembra quasi che
vi sia un desiderio di ricominciare
sempre da capo, pur sapendo quanti
sono i costi dell’informatizzazione e
quale mondo operi nel settore degli
appalti ed in tutto il comparto dei
servizi dell’informatica. Allora vi
chiedo: se si è sperimentato che in
alcune sedi il processo telematico
già funziona secondo certi moduli, perché non si prosegue in quella
maniera? Perché non si operano gli
aggiustamenti su quel punto? Perché
non se ne tiene conto attraverso un
monitoraggio di ciò che va e di ciò
che non va, sentendo gli operatori
interessati compresi gli avvocati,
perché anche per gli avvocati vi sarà
la necessità immediata di disporre di
una casella di posta certificata?
Ma voi sapete che negli uffici giudiziari la casella di posta certificata
ce l’ha soltanto il presidente e il dirigente amministrativo, l’alto grado,
mentre non esiste per gli altri uffici?
La casella di posta certificata è qualcosa per la cui realizzazione occorrono non sessanta giorni ma anni,
affinché tutto il sistema cambi.
Anche su questo punto ci siamo permessi in sede di discussione - e presenteremo su tale punto degli emendamenti, non certo soppressivi - di
suggerire l’inserimento di forme di
consultazione, perché la democrazia
è fatta di consultazione e non di provvedimenti imposti soltanto per far ve128
dere che si è fatto sulla carta qualcosa
che poi però bisogna realizzare!
L’altro punto riguarda la Scuola superiore della magistratura, che nel
2006 rappresentò un fiore all’occhiello della riforma dell’ordinamento giudiziario. In realtà, lo Stato
italiano per la prima volta si poneva
in linea con altri Paesi come la Spagna e la Francia (la Scuola superiore
francese, l’École, è una delle prime
scuole ad aver dato il massimo del
proprio apporto nella formazione
dei magistrati). Ma devo dire che in
questo campo la IX commissione composta di personale che, come
potete capire, è irrisorio rispetto a
quello che potrà essere una scuola ha realizzato da circa un ventennio
nell’ambito del Consiglio superiore
della magistratura un’attività continua di formazione dei magistrati di
prima nomina e di formazione dei
magistrati ordinari, tanto che fa parte di una rete europea di formazione e che la presidenza ha assunto il
Consiglio superiore della magistratura come organo di riferimento dei
Paesi europei.
Questo per dire che non si parte da
zero, eppure la Scuola superiore della magistratura istituita nel 2006,
siamo nel 2010, non è ancora decollata. Vi è una serie di problematiche
e di interessi sottostanti su dove e
in quale sedi istituire le scuole. Abbiamo visto che il Ministro Castelli,
prima di dimettersi, individuò Bergamo come una delle tre sedi, e che
Sedi disagiate degli uffici giudiziari (2010)
il Ministro Mastella ha individuato
Benevento e al riguardo sono stati
varati i relativi decreti. Per quanto
riguarda la terza sede non so se il
procedimento si sta concludendo a
favore di Roma o di Firenze, ma la
cosa importante è che la Scuola e il
suo comitato direttivo comincino ad
operare. La scuola della magistratura in Francia non ha tante sedi per i
magistrati delle varie parti del Paese, pur essendo la Francia più grande
dell’Italia; vi è una sola sede per gli
uditori, i magistrati di prima nomina, e una per i magistrati anziani. In
Italia, invece, signor Presidente, si
vogliono istituire delle sedi, dove far
confluire i magistrati, che divideranno l’Italia in tre parti, mentre l’interscambio delle esperienze è la linfa
della scuola e della formazione.
Il Governo ha introdotto un emendamento nell’ultima fase - non voglio
dire nell’ultima ora perché è stato
presentato in Commissione in questa settimana - che vuole reintrodurre ciò che - lo dico anche alla collega
Samperi che era relatrice alla Camera
del testo sull’ordinamento giudiziario nella precedente legislatura - era
stato abrogato della legge n. 111 del
2007. Da parte del Governo, con un
emendamento introdotto nel decreto-legge (credo vi sia anche una questione di ammissibilità), si introduce
una norma che in sé fa capire dove
si vuole andare a parare. Il comitato direttivo della Scuola superiore è
composto da membri nominati dal
Ministro e dal Consiglio superiore
della magistratura, e presieduto dal
componente nominato dal Ministro.
Questa norma, reintroducendo una
norma che era stato abrogata da questo Parlamento, prevede che, all’esito
dei corsi di valutazione dei dirigenti, il comitato direttivo della Scuola,
contravvenendo a ciò che prevede la
Carta costituzionale, farà la nota di
valutazione dell’idoneità a coprire il
posto di dirigente, di cui terrà conto
il Ministro nel concerto, e che andrà
ad incidere direttamente, perché prelude anche alla possibilità di accesso
al concorso da dirigente. Si reintroduce, quindi, con una confusione di
ruoli, una vecchia norma: chi fa la
formazione, farà anche la valutazione di idoneità. Credo che in tutti i
percorsi formativi, fornire degli elementi di informazione sulla partecipazione sia una cosa diversa. La nota
valutativa è un qualcosa che in realtà
fa entrare, attraverso un decreto-legge, una modifica non di poco conto,
anzi di grave incidenza, sulla nomina dei direttivi da parte della V commissione, presieduta dal Capo dello
Stato, con il concerto del Ministro, e
si tratta dell’unica commissione del
CSM ad efficacia esterna. Si stravolge il sistema delle nomine. Non siamo retrogradi, vorremmo però che
su questo punto ci fosse un dibattito
che non sia limitato alla conversione
di un decreto-legge.
Credo che il Parlamento, che ha
abrogato quella valutazione che pro129
Temi per la legalità
veniva da una precedente formulazione, abbia il diritto di affrontare
queste problematiche con dei tempi
e delle modalità di dibattito diverse
rispetto all’urgenza di un decretolegge che, tra l’altro, regola una
materia estranea a quella originaria
del provvedimento stesso. Si tratta
di uno degli altri aspetti essenziali
della formulazione del provvedimento all’esame dell’Assemblea, e
su tale aspetto il confronto non può
cessare, anzi occorre approfondire
il dibattito. Non possiamo pensare
che, attraverso questo strumento, si
vada ad incidere surrettiziamente su
un modello che concerne elementi di
valutazione (che possono essere dati
da una scuola di formazione che, peraltro, ancora non esiste), elementi
di valutazione che devono riguardare un capo dell’ufficio e devono
essere rapportati alla capacità di organizzazione. Ma il capo dell’ufficio
giudiziario non deve fare soltanto il
manager, deve sapere anche dirigere
tale ufficio, quindi deve esercitare la
giurisdizione (Applausi dei deputati
del gruppo Partito Democratico).
Seduta n. 278 di giovedì 4 febbraio 2010
Dichiarazione di voto finale
Signor Presidente, onorevoli colleghi, signori del Governo, questo decreto quando è approdato in
Commissione giustizia sembrava
ancora una volta nato sotto sfavorevoli auspici, pervaso come era in
alcune parti da una logica, permettetemi di dire, quasi punitiva. Infatti, dopo il fallimento del recente
analogo intervento legislativo, la
legge n. 181 del 2008, che aveva
puntato sul trasferimento d’ufficio
nelle sedi disagiate sulla base di
incentivi economici e di carriera;
si era posto l’obiettivo di realizzare
comunque la copertura delle sedi,
laddove le scoperture di organico
arrivavano ormai quasi all’80 per
cento, attraverso il trasferimento
130
cosiddetto coatto, volto a realizzare
d’autorità il trasferimento di giovani magistrati soprattutto, quelli che
avevano superato la prima o la seconda valutazione, quindi con massimo otto anni di anzianità, strappati al loro ufficio prevalentemente
giudicante, civile o penale, per andare a ricoprire gli uffici di procura
individuati a copertura immediata,
magari in regioni limitrofe.
In realtà, il sistema del trasferimento
coatto, sia pur previsto in questo decreto in via transitoria fino al 2014,
non risolveva secondo noi, e non può
risolvere, i problemi di una coperta
troppo corta: ci sono mille posti in
meno ricoperti che derivano, non
Sedi disagiate degli uffici giudiziari (2010)
dalla miopia di questo Governo, ma
dal fatto che negli anni 2001 e 2002
vi è stato il blocco dei concorsi, e
quindi ciò è dovuto all’altro Governo di centrodestra. Inoltre, a fronte
del divieto per i magistrati giovani
di ricoprire le funzioni requirenti si
è creato questo vuoto presso gli uffici di procura. Così come un’altra
causa che doveva essere prevista è
il percorso tendenzialmente distinto
tra giudici e pubblici ministeri tracciato dalla legge n. 111 del 2007 sul
nuovo ordinamento giudiziario. Si
sono andate acuendo le rilevanti carenze d’organico proprio nelle procure con scoperture più forti, soprattutto al sud e nelle isole, ma anche al
nord, che minano di fatto il sistema
dell’obbligatorietà dell’azione penale e che danno l’impressione - anzi, è
la realtà - di una giustizia denegata.
Il Governo, quindi, nell’originaria
versione del decreto aveva pensato
di risolvere il problema aumentando
le sedi disagiate a 80 e aumentando
il numero dei magistrati trasferiti
d’ufficio a 150.
Con la proposta che le opposizioni
si sono fatte carico di presentare al
Governo si è offerta la possibilità di
una soluzione immediata ed efficace,
positiva: attingere immediatamente
alle risorse umane dei vincitori di
concorso già in servizio. Orgogliosamente noi delle opposizioni tutte
diciamo che l’articolo 3-bis di questo decreto è il frutto di quanto da
noi suggerito al Governo e che il
Governo con intelligenza ha saputo
far proprio, utilizzando anche l’ulteriore testo della nostra proposta di
legge, quella che il Partito Democratico proponeva, come la normativa a
regime che prevede un affiancamento dei magistrati giovani da parte di
quelli più anziani, i procuratori della
Repubblica e i procuratori aggiunti,
almeno nella prima fase di avvio del
loro percorso professionale di esercizio della giurisdizione.
L’altro punto che è stato oggetto di
dibattito, e che ha portato ad un risultato di mediazione condivisibile,
è quello riguardante la Scuola superiore della magistratura. Il Governo,
con un emendamento non presente nel testo originario, nell’ambito
delle competenze della Scuola superiore di cui da tempo si attende
l’avvio, aveva previsto che, accanto
alla formazione di magistrati per gli
incarichi direttivi di primo e secondo grado, il comitato direttivo esprimesse anche un giudizio di idoneità
al conferimento degli incarichi. Si
trattava, dunque, di una norma in
chiaro contrasto con l’articolo 105
della Costituzione in quanto atto
valutativo che incide sullo stato dei
magistrati ai fini della promozione e
del trasferimento.
L’emendamento formulato dal Governo è stato suggerito dal nostro
gruppo in Commissione giustizia, e
per questo ringrazio tutti i colleghi
della Commissione, proprio all’esito
di un’audizione di componenti del
131
Temi per la legalità
tavolo tecnico fra CSM e Ministero,
audizione per la quale ringrazio la
sensibilità della presidente, onorevole Bongiorno. Questa Commissione
evidenziava, appunto, ieri, l’anomalia di una sovrapposizione tra formazione e valutazione, sulla quale
si era già espresso il CSM in una
seduta straordinaria, con un ordine
del giorno firmato, e quindi avallato,
anche dal Capo dello Stato. È dunque con orgoglio che possiamo dire
che attraverso un voto condivisibile
si è arrivati a far sì che quella norma
fosse formulata in un modo compatibile con il decreto costituzionale.
Tale formulazione, però, al contempo, comunque assicura garanzia e
fa sì che restino inalterati e intatti i
poteri di autogoverno tracciati dalla
nostra Costituzione.
Avviandomi alla conclusione, sottolineo, però, che continuano ad
esserci degli aspetti critici. Mi riferisco, in particolare, alle problematiche connesse alla digitalizzazione,
all’inadeguatezza degli organici del
personale che dovrà provvedere alla
stessa, nonché alle carenze di mezzi
e di risorse informatiche derivanti
dai tagli di spesa al settore giustizia,
ai tagli delle piante organiche che
è avvenuto in forza dell’articolo 74
della legge n. 133 del 2008. A fronte
di una scopertura del 20 per cento infatti, improvvisamente, quelle piante
132
organiche - parlo del personale della
giustizia - sono diventate, attraverso
quel taglio, a pieno regime.
Quindi, signori del Governo, signori della maggioranza, il nostro voto
favorevole a questo provvedimento è
più che altro il frutto del rilievo che
vogliamo dare al positivo confronto
su aspetti essenziali del funzionamento della giustizia, ma è anche
un importante atto di fiducia per il
futuro ed ha un forte significato simbolico. Dopo una pagina così nera,
scritta ieri, in cui si è approvata una
legge dichiaratamente ad personam,
quella sul legittimo impedimento,
ci auguriamo che il problema della
giustizia esca dall’emergenza, dai
condizionamenti e dai pregiudizi
ideologici.
Auspichiamo che si pensi ad una valorizzazione e ad una distribuzione
razionale delle risorse, che si esca
dalla logica dei decreti-legge contenitori e si persegua la finalità di
una giustizia che tenga conto di tutti
gli operatori della giustizia e delle esigenze dei cittadini. Vogliamo
un servizio efficiente ed efficace e
quindi interventi normativi che siano esenti da insidie a quel principio
di indipendenza della giurisdizione
che è poi la garanzia del principio di
uguaglianza di tutti i cittadini (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
Legge finanziaria 2010
Seduta n. 255 di mercoledì 9 dicembre 2009
legge finanziaria
2010
Discussione sulle linee generali
Signor Presidente, noi sappiamo che
la tutela giurisdizionale costituisce
uno strumento imprescindibile per
assicurare ai cittadini la garanzia e
la piena attuazione dei loro diritti
non solo in sede penale ma anche in
ambito civile, tributario e amministrativo. Un sistema giudiziario efficace però si deve basare in primo
luogo su risorse umane, economicofinanziarie adeguate e idonee per un
effettivo miglioramento della qualità
dell’amministrazione della giustizia.
Questo se si vuole veramente che
l’efficienza del sistema giudiziario
contribuisca poi a quella promozione
dello sviluppo economico del Paese
tanto desiderato da tutti, favorendone la competitività e l’attitudine ad
attrarre investimenti internazionali
anche in virtù di procedure giurisdizionali capaci di garantire adeguatamente l’attuazione degli obblighi
contrattuali. Si era molto parlato in
questi ultimi tempi, a giustificare
ed a legittimare in qualche modo
la presentazione di disegni di legge
sul cosiddetto processo breve, dello
stanziamento di maggiori risorse ne-
cessarie al miglioramento e al funzionamento del sistema giudiziario.
In realtà, però, si è trattato ancora
una volta di promesse: a fronte di
tagli veri ci sono gli spiccioli che
dovrebbero derivare dalle entrate
relative allo scudo fiscale nella parte
destinata alla giustizia. Nell’elenco di quel comma 240 dell’articolo
2 si finanzia infatti anche il Fondo
unico giustizia, il fondo per le spese
correnti per l’amministrazione della
giustizia, fondo che fu istituito e finanziato nella prima legge finanziaria del Governo Prodi con 200 milioni di euro. Tuttavia, non è prevista
in alcun modo la quota di finanziamento per la giustizia da decidere
con futuro decreto del Presidente del
Consiglio dei ministri ma ci si trova
comunque di fronte ad una cifra del
tutto irrilevante. Infatti sono in tutto
solo quest’anno 181 milioni che vanno divisi tra una ventina di interventi nelle più varie materie.
Lascia ancor più perplessi che addirittura i risparmi di spesa introdotti
dal comma 211 dell’articolo 2, che
riguarda la gratuità del rilascio di
Legge n. 191 del 23 dicembre 2009 - Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2010)
133
Temi per la legalità
informazioni sul traffico telefonico in materia di spese di giustizia
e nuove modalità di pubblicazione
delle sentenze di condanna, non andranno direttamente alla giustizia,
ma confluiranno anche essi al Fondo
per le esigenze urgenti e indifferibili
che poi, previo decreto del Ministero
dell’economia e delle finanze di concerto con il Ministero della giustizia, verranno destinati forse chissà
quando e in quale percentuale.
Inoltre l’aspetto grave politicamente è che non solo per quanto riguarda la giustizia i cittadini non hanno
avuto nulla dal punto di vista delle
riforme, ma da un anno e mezzo si
va discutendo nelle Commissioni
giustizia di Camera e Senato soltanto di provvedimenti ad personam e,
addirittura, si va cercando un incremento e un ampliamento dei fondi
aumentando l’entità del contributo
unificato, vale a dire la tassa sui processi. Come per dire: caro cittadino,
pagati quel poco di giustizia in più
che in qualche modo cercheremo
di fare, forse pagatela da solo. Chi
abbiamo gravato? Abbiamo gravato
quei cittadini che attiveranno alcuni processi esecutivi mobiliari che
prima erano gratuiti, se di valore
inferiore a 2.500 euro e il processo
cautelare d’urgenza attivato in corso di causa. Abbiamo soprattutto
gravato i giudizi di lavoro di fronte
alla Corte di cassazione. Si introduce una tassa odiosa, una tassa che
colpisce le fasce più esposte alla
134
crisi. Una norma che ricadrà pressoché esclusivamente sui lavoratori dipendenti, sui pensionati, sugli
invalidi che dovranno sin d’ora in
poi pagare per poter agire in giudizio per la tutela dei propri diritti. E
pensare che la nostra Repubblica è
fondata sul diritto al lavoro.
Ma la realtà di queste promesse è
che il Ministero della giustizia per il
2010 ha avuto un taglio di oltre 349
milioni di euro, con una diminuzione rispetto alle previsioni della legge
di assestamento pari al 4,7 per cento.
Riduzione tanto più significativa e
suscettibile di determinare un forte
decremento dello standard qualitativo dell’amministrazione della giustizia, se non addirittura la paralisi
ove si consideri che a tale missione
sono ricondotti quattro programmi
cruciali per la funzionalità della giustizia e quindi anche della sicurezza
della tutela dei cittadini, come quelli
dell’amministrazione penitenziaria,
giustizia civile e penale, giustizia
minorile, edilizia giudiziaria, penitenziaria e minorile. Il più fortemente penalizzato è proprio il programma di giustizia penale e civile che
subirà 430 milioni di tagli di euro in
meno. Ma - sto per terminare signor
Presidente - la cosa ancora più grottesca è che di fronte ai tanti proclami
di lotta alla mafia si va a cercare di
recuperare per fare cassa vendendo
i beni confiscati alla mafia, andando contro quello che fu un percorso
condiviso raggiunto nel 1996 che
Legge finanziaria 2010
approvò all’unanimità proprio il divieto della vendita dei beni immobili
confiscati.
Infatti, l’aspetto più innovativo di
quella legge, che fu condivisa e che
adesso si sta tradendo, era che i beni
acquisiti dalla mafia dovevano essere
destinati, anche in modo emblematico e simbolico, all’utilità pubblica
e agli enti locali. Cosa si fa, invece,
con l’emendamento presentato dal
relatore durante la notte?
Si dà un contentino - e concludo, signor Presidente - nel senso di stabilire delle priorità per le Forze armate
e per le forze di polizia. Si tratta di
una cosa veramente grottesca. L’ente locale interessato all’acquisizione
di un immobile non potrà acquisire
quel bene, così oneroso nella sua
destinazione, assegnato alla pubblica utilità, ma dovrà comprarlo,
pagandolo lo stesso prezzo offerto
dal privato che si sia aggiudicato il
bene attraverso l’asta pubblica. La
foglia di fico è trasparente: l’intento
legislativo è solo di fare cassa con
i beni confiscati, mediante la loro
restituzione a pagamento alle orga-
nizzazioni criminali cui erano stati
sottratti con fatica.
Questo è solo un contentino, un
modo per mettere polvere sugli occhi a quelle forze di polizia che, insieme alla magistratura, tutti i giorni, lavorano e ottengono risultati di
cui, poi, il Governo si va fregiando.
Questa è una cosa che non possiamo
assolutamente condividere. Sappiate, tra l’altro, che le Forze armate e le
forze di polizia, mediante le cooperative, potranno esercitare l’opzione
di acquisto solo in casi di vendita
di intere lottizzazioni di immobili,
oppure di intere palazzine, che, di
solito, non sono oggetto di confisca,
mentre non potranno esercitarla in
casi di vendita di appartamenti singoli. Ma la percentuale di confisca
alla mafia di lottizzazioni o intere
palazzine è minima! È quindi è minima la possibilità di esercitare quei
diritti di prelazione. Ciò a conferma
delle aleatorietà della promessa.
Questo è quanto il Governo sta facendo per la lotta alla criminalità organizzata (Applausi dei deputati del
gruppo Partito Democratico).
135
Temi per la legalità
136
Mille-proroghe
Seduta n. 288 di martedì 23 febbraio 2010
Mille-proroghe
Discussione sulle linee generali
Signor Presidente, siamo qui a discutere del cosiddetto decreto-legge
milleproroghe che, in quanto tale,
comincia ad essere un termometro
dello stato di salute del sistema pubblico. Si pongono, in realtà, da parte
del Governo obiettivi non raggiungibili e, comunque, declamati come
già raggiunti sulla base soltanto di
provvedimenti che vengono approvati, ma che poi non vengono attuati
completamente o riforme dell’amministrazione che poi non si è in grado
di realizzare in tempi certi. A questo
punto, si interviene con il milleproroghe, ossia con leggi di proroga che
spostano in avanti l’attuazione di
quei provvedimenti, alcuni dei quali erano appunto essenziali proprio
per l’attuazione di quelle riforme per
una nuova visione dell’amministrazione dello Stato.
Con quale provvedimento? Con
un provvedimento, appunto, che è
sempre quello della decretazione
d’urgenza che altera lo schema fisiologico del rapporto tra Governo
e Parlamento e che, in realtà, rivela
una sconfitta dello Stato perché interviene ad alterare quelle regole che
lo Stato stesso si è dato in precedenti
provvedimenti legislativi. Si tratta di
un provvedimento con un contenuto
eterogeneo, una sorta di minestrone
di norme che, in realtà, incide in settori dell’ordinamento non omogenei.
Si tratta di norme non collaudate, né
razionalizzate e di cui, alcune volte,
è difficile anche capire quale sia la
spinta di fondo, se non magari il tener conto di interessi particolari che
all’ultima ora emergono e che assumono poi l’efficacia di un’ulteriore
norma del milleproroghe.
Dunque, questo provvedimento
corregge, integra, completa e contraddice altri provvedimenti legislativi. Esso proroga indefinitamente i
termini la cui scadenza è stata più
volte rinviata. Penso, per esempio,
in questo momento alla proroga riguardante il divieto degli arbitrati,
che di proroga in proroga, non è mai
entrato in vigore. Adesso si dice
che si sta aspettando l’attuazione di
una direttiva che farà in modo che
l’arbitrato, (è un atto del Governo
in esame presso la Commissione
giustizia), dovrà essere l’alternativa
o, anzi, il canale privilegiato per il
Legge n. 25 del 26 febbraio 2010 - Conversione in legge, con modificazioni,
del decreto-legge 30 dicembre 2009, n. 194, recante proroga di termini previsti da disposizioni legislative
137
Temi per la legalità
contenzioso riguardante gli appalti
pubblici.
A questo proposito - apro una parentesi - non si tiene conto di quello che
ci dice anche l’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori,
servizi e forniture che ha denunciato
pubblicamente - anche tramite una
relazione che è stata depositata in
Commissione - che, in realtà, in tutte le decisioni o, meglio, nel 95 per
cento delle decisioni riguardanti gli
arbitrati cosiddetti liberi, la parte
soccombente è la pubblica amministrazione.Tanto è vero che (dico questo per evidenziare le contraddizioni
intrinseche e continue presenti nei
provvedimenti) nell’ultimo provvedimento riguardante i rifiuti ed anche
la Protezione civile - di questo si è
anche fregiato come qualcosa di importante il sottosegretario Bertolaso
- per quanto riguarda quel settore
soltanto si sospendevano gli arbitrati
in corso e addirittura si dichiaravano
nulle le clausole compromissorie che
fossero state inserite con riferimento al settore medesimo poi gestito in
via straordinaria dal Dipartimento
della protezione civile.
È un controsenso. Nel caso citato, si è
detto che l’arbitrato è costoso e come
è stato affermato pubblicamente, per
abbassare i costi che gravano sui cittadini si è pensato di bloccarlo. Infatti, chi paga le spese dell’arbitrato che
sono a carico dell’amministrazione
pubblica soccombente e che vedono sempre l’amministrazione come
138
soccombente? I cittadini, ecco perché è facile attraverso il gioco della
reiterazione degli incarichi arrivare
a soluzioni che in qualche modo incidono sulla spesa pubblica. Cominciamo a razionalizzare quelle spese,
cominciamo a razionalizzare le spese per le consulenze, non variamo
norme per operare, in via generale,
una riduzione - ricordo un provvedimento legislativo in questo senso
circa la riduzione delle consulenze
che può conferire l’amministrazione
- e poi invece, quando abbiamo i canali dell’urgenza (che non sono solo
quelli delle calamità naturali, ma
anche quelli delle opere dei grandi
eventi), riapriamo la distribuzione a
pioggia degli incentivi.
C’è una contraddittorietà nei provvedimenti che vengono presentati:
da un lato, vi sono proclami per
procedere verso le riforme dello
Stato, il contenimento dei costi, la
meritocrazia, la razionalizzazione,
la digitalizzazione e quindi tutto
quello che conduce verso un’amministrazione moderna, ma, dall’altro,
con provvedimenti quale quello in
discussione, si prevedono norme
che sostanzialmente spostano in
avanti l’entrata in vigore di certe
riforme o, comunque, ne precedono la proroga e l’attuazione per
riforme che in realtà non verranno
mai alla luce per come sono state
conformate. In quel momento vengono contraddetti anche i proclami
elettorali ed i successivi proclami
Mille-proroghe
sull’azione di governo laddove ci si
vanta di avere realizzato, ad esempio, la digitalizzazione dell’amministrazione dello Stato in generale.
In seguito, vedremo alcune norme
che in questo provvedimento fanno
slittare tale riforma nella sua effettiva realizzazione e norme che invece non verranno mai alla luce.
I decreti-legge milleproroghe vanno
razionalizzati ed utilizzati in realtà
solo laddove necessari ed urgenti per
prorogare quello che è necessario
prorogare, non quello che, attraverso
le proroghe all’interno di una decretazione d’urgenza, diventa in realtà
la normalizzazione del legiferare e
quindi anche dell’azione di governo.
Ciò è tanto vero che poi vi sono rubriche che non hanno coerenza con
il contenuto delle norme, vi sono addirittura introduzioni di sanatorie disciplinari per condotte già avvenute e
quelle che si verificheranno in futuro
(mi riferisco alla norma che riguarda
l’utilizzazione da parte di studi odontoiatrici di collaboratori che non hanno la qualifica professionale).
Questo si realizza attraverso un
provvedimento che è così ampio e
così eterogeneo che andrebbe analizzato ed approfondito nei suoi meandri, e che invece è arrivato in Aula
per la discussione sostanzialmente
tredici giorni prima della decadenza, nella stessa settimana in cui sono
in discussione altri provvedimenti di
grande spessore, impatto e rilevanza
esterna, quale quello sulla Protezio-
ne civile e i rifiuti che abbiamo discusso la scorsa settimana.
Infatti, preliminarmente penso che
non sia superfluo fare una disamina dei temi oggetto delle proroghe,
proprio per confermare quella contraddittorietà dell’azione di governo, quella incoerenza continua che
ritroviamo nei proclami - consentitemi questa parentesi - dei provvedimenti anticorruzione; mentre,
appena vi saranno state le elezioni
regionali, si andrà avanti al galoppo
con la riforma sulle intercettazioni
telefoniche che impedirà di fatto la
lotta alla corruzione. Questa è la
massima incoerenza che ci fa porre
una domanda? Perché dopo le elezioni regionali? Se è una cosa in cui
il Governo crede fermamente, se fa
bene alla riservatezza delle indagini
e dei cittadini, se fa bene all’efficacia dell’amministrazione della giustizia, perché farla dopo le regionali? Perché tutto deve accadere dopo
le elezioni regionali? Forse perché
davanti all’opinione pubblica può
costituire un grave vulnus allo Stato democratico?
È inutile parlare di strumenti che devono porre fine ad una piaga non solo
morale e di etica pubblica - quella della corruzione dei pubblici funzionari,
dei magistrati e degli uomini dello
Stato - ma che è anche un costo. Voglio evidenziare il profilo economico,
perché siamo in un momento di grave
crisi economica, con tagli continui
alle risorse per i servizi che servono
139
Temi per la legalità
ai cittadini: la scuola, la sanità, la giustizia. Lo abbiamo visto con le cifre
che sono state divulgate da chi ne ha
la disponibilità, non dall’opposizione, ma dal presidente della Corte dei
conti: tali cifre danno la dimensione
di quanto la corruzione incida sui costi dello Stato e dei servizi pubblici.
Infatti, poi gli imprenditori corrotti
o comunque oggetto di concussione
da parte dei pubblici amministratori
faranno gravare quei soldi che hanno
pagato sui costi delle opere pubbliche
e in definitiva questi costi poi li pagheranno i cittadini.
Questa incoerenza continua la vediamo anche in questi piccoli flash di
questo mille proroghe in cui ci si infila di tutto. Un esempio di incoerenza
lo troviamo nell’articolo 1, al comma
5, con la proroga al 31 dicembre 2010
del termine a decorrere del quale è
consentito l’accesso ai servizi in rete
delle pubbliche amministrazioni tramite le carte d’identità elettronica e
la carta nazionale di servizi, restando
precluso l’accesso ai predetti servizi.
Che cosa si fa? Si sposta in avanti un
servizio di accesso che può costituire
anche un risparmio in termini di risorse, intanto al 2010, ma sicuramente questo termine sarà prorogato anche l’anno prossimo: così non entrerà
mai in vigore questo servizio, perché
in realtà non c’è la volontà di effettuare una vera riforma della pubblica
amministrazione con un servizio imparziale, trasparente, improntato a sistemi di economicità, come previsto
140
dall’articolo 97 della Costituzione.
Magari si dice: «abbiamo adottato,
avrete...» anche con le pubblicità in
televisione da parte della Presidenza
del Consiglio o dei Ministeri competenti, ma, in realtà, si spostano i termini in avanti. Allo stesso modo, si
posticipa dal 2010 al 2011 il termine
per la piena operatività del sistema
telematico di trasmissione delle comunicazioni dei sostituti di imposta
a fini fiscali e contributivi, previa
sperimentazione con modalità che
devono essere definite di concerto
tra Agenzia delle entrate e l’Istituto
nazionale della previdenza sociale.
Poi si estendono in avanti alcune piccole sanatorie fiscali che riguardavano il 2008 e che sono state prorogate
anche al 2009.
E poi, più avanti, per esempio, sono
contenta che si proroghino al 31 gennaio 2012 i contratti di lavoro a tempo
determinato dei dipendenti della Consob in servizio alla data di entrata in
vigore del disegno di legge di conversione in esame. Quando c’è qualcosa
che porta lavoro, immagino che dietro
questi contratti di lavoro a tempo determinato vi siano tanti giovani che
progettano loro vita, che non hanno
futuro, e quindi sono contenta che vi
sia questa proroga al 2012 (perlomeno,
per altri due anni sono a posto).
Ma mi chiedo: un Governo responsabile, che voglia essere tale, un
Governo della Repubblica italiana,
possibile che non abbia riguardo ri-
Mille-proroghe
spetto a quel contratto, a quell’amministrazione, a quell’Authority, a
quel comparto e non sia in grado di
verificare quali sono le amministrazioni che si avvalgono di contratti
a tempo determinato, per quali di
esse sia razionale la proroga, quali
contratti a tempo determinato debbano essere trasformati in contratti a
tempo indeterminato oppure, se non
possano essere trasformati, quali
concorsi si possano fare?
Quand’è che si comincia a lavorare e
a realizzare qualcosa che abbia una
sua razionalità, senza procedere,
invece, soltanto per segnalazioni?
Infatti, dietro queste proroghe, e ne
troverò altre, vi sono delle forze: forze contrattuali, politiche, di chi ha
ottenuto una proroga. E chi non ha
avuto questa forza contrattuale (parlo di forza contrattuale perché voglio
dargli comunque una definizione che
abbia un suo prestigio)? E chi non è
riuscito ad inserire qui la sua posizione, e ho dei casi precisi e concreti
di rilevanza pubblica, è perché non
ha forza contrattuale. In realtà, ciò
serve a pochi, a degli emarginati, a
persone che non hanno questa forza,
come ho detto prima.
Il Governo deve dare rilievo e forza
soltanto con riferimento ad interessi
particolari o si comincia a parlare e
pensare in termini generali, e si abbandona, finalmente, lo schema delle
leggi ad personam? Infatti, vi sono
le leggi ad personam, che servono al
Presidente del Consiglio e a qualche
suo amico, e poi vi sono le norme di
proroga ad personam, che servono
solo ad alcune categorie o ad alcuni
precisi soggetti ben individuabili.
È questo che non va, è questo che non
possiamo accettare nell’ambito di un
provvedimento così eterogeneo, dove
un insieme di interessi vengono confusi, pensando che magari, nel complesso, non si evidenzino anche gli
interessi particolari, non generali, che
sono al di là di quelle norme.
Per esempio, l’articolo 1, comma
23-duodecies, porta da tre a sei anni
la durata in carica dei membri della
Commissione di garanzia dell’attuazione della legge sullo sciopero nei
servizi pubblici essenziali. Per carità, pure questa è una norma che avrà
la sua funzionalità, ma vogliamo vedere quanto durano in carica gli altri
componenti delle altre authority?
Vogliamo vedere qual è il periodo
fisiologico che può essere più consono? Vogliamo fare qualcosa che abbia una sua razionalità? Oppure, in
questo caso, si prolunga la durata in
carica da tre a sei anni e siamo a posto, e magari chi è in carica è contento perché non è soggetto a scadenza
tra tre anni.
Ma una delle cose che mi lascia sconvolta, è che nella legge finanziaria,
tra i provvedimenti di autofinanziamento che erano stati evidenziati,
vi era proprio quello del pagamento
dei contributi unificati che doveva
gravare sui cittadini in relazione ai
141
Temi per la legalità
giudizi di lavoro davanti alla Corte di
Cassazione. Credo che chiunque abbia frequentato l’Aula si ricorderà la
battaglia dell’opposizione per eliminare tale norma: abbiamo presentato
specifici emendamenti sul punto, che
svuotavano sostanzialmente di contenuto, e davano un significato diverso
al giudizio in causa del lavoratore nei
confronti del datore di lavoro.
È una cosa storica, è dal 1973 che il
giudizio di lavoro, proprio perché la
parte che attiva tale giudizio è comunque una parte debole, doveva essere gratuito. In quel provvedimento
si impose come forma di autofinanziamento interno (interno nel senso
che grava poi sui cittadini che usufruiscono del servizio giustizia, e sui
lavoratori in particolare che attivavano le cause di ricorso per Cassazione) quel contributo. Non fu accettato
nessuno dei nostri emendamenti, e
ora che cosa si fa? Si mantiene fino
al 31 dicembre l’esenzione del pagamento, si proroga l’entrata in vigore. Quella è una norma sbagliata:
anziché accedere all’emendamento
dell’opposizione in un dibattito costruttivo tra maggioranza ed opposizione, che tenga conto delle esigenze
che siano anche di coerenza del sistema, non si è accettato alcunché,
e si è fatto vedere che ad un certo
punto vi sarebbero stati anche quegli
introiti ad alimentare il fondo giustizia; mentre oggi ovviamente non
si ha il coraggio, ci si deve esporre,
vi sono i sindacati, e quindi si pro142
roga. Questa è un’altra delle pecche
particolari, che non hanno senso nel
provvedimento in esame.
Prima parlavo di quelle categorie di
lavoratori, di dipendenti pubblici che
non hanno avuto la forza contrattuale di ottenere la proroga dell’utilizzazione della graduatoria di vincitori del concorso, che non hanno
ottenuto la proroga di contratti a
tempo determinato, che non hanno
ottenuto di essere menzionati. E chi
sono? Sono il personale dell’amministrazione giudiziaria, e in particolare il personale civile dell’amministrazione penitenziaria. Essi,
nonostante vi sia un concorso bandito nel 2003, finanziato per 397 posti
di educatori penitenziari, con piante
organiche scoperte, stanno ancora
aspettando di essere assunti: ne è
stata assunta solo una parte. Inoltre,
vi è un taglio posto dall’articolo 2,
comma 8-bis, che sostanzialmente
prevede un ulteriore processo di razionalizzazione organizzativa delle
amministrazioni pubbliche, esclude
la Presidenza del Consiglio, e quindi
obbliga le amministrazioni statali a
compiere un’ulteriore riduzione (già
vi è stata col decreto-legge n. 112 del
2008) in misura non inferiore al 10
per cento delle piante organiche.
L’articolo 2, comma 8-quinquies,
pone poi delle esclusioni. In esse si
fa riferimento al personale amministrativo operante presso gli uffici
giudiziari (un’esclusione tra l’altro
introdotta solo con un emendamento
Mille-proroghe
del Senato); poi il Dipartimento della protezione civile (ma in quell’amministrazione il personale era stato
addirittura aumentato nel precedente
provvedimento); le Autorità di bacino di rilievo nazionale, il Corpo della polizia penitenziaria, i magistrati,
l’Agenzia italiana del farmaco, le
Forze armate, il Corpo nazionale vigili del fuoco, eccetera. Guardando
le esclusioni, non si fa riferimento e
non vi rientra innanzi tutto il personale amministrativo del Ministero
della giustizia; che non è solo quello
del Ministero, ma quello che fa riferimento all’assistenza dei minori (giustizia minorile, assistenti sociali), e
a quanti si occupano del trattamento
penitenziario, gli educatori presso le
carceri. Pertanto, una pianta organica
in cui è presente un educatore ogni
mille detenuti - sulla base di questo
articolo, qualora non venga emendato
(ma noi abbiamo presentato una proposta emendativa sul punto) - dovrebbe essere ulteriormente ridotta; una
volta che poi si sono ridotte le piante
organiche si fa presto a dire che sono
coperte, nel senso che si riduce sulla
carta e poi si dice che si provvederà
alla copertura.
Il 12 gennaio del 2010 abbiamo assistito all’approvazione di alcune mozioni - che sono state sostanzialmente condivise dall’Assemblea - in base
alle quali il Governo si è impegnato
in questo senso in ordine a specifici punti, e non solo con riferimento
all’edilizia carceraria (in quell’occa-
sione si era anzi sostenuto di rivedere
la ristrutturazione dell’esistente prima e di realizzare poi un piano organizzato e razionale, ma di questo già
abbiamo discusso ed avremo modo di
discuterne ancora in altre sedi).
Nelle mozioni presentate dal Partito
Democratico, dall’Italia dei Valori,
dal Popolo della Libertà e dell’Unione di Centro era contenuto anche un
impegno preciso con cui si chiedeva
di adeguare le piante organiche non
solo del Corpo della polizia penitenziaria, cosa che non è avvenuta
se non attraverso soltanto proclami.
Si parla infatti di 2 mila assunzioni
quando in realtà già i pensionamenti
sono superiori in termini fisici alle
unità che si dovranno assumere, tuttavia aspettiamo che dai proclami e
dalle parole si passi ai fatti: ma almeno, in quel caso il proclama c’è
stato, in questo caso invece non c’è
stato nemmeno il proclama.
Quando voi parlate di carcere a misura d’uomo o quando ci si riempie
la bocca di un trattamento di rieducazione mi domando: tramite chi vogliamo realizzare questo trattamento rieducativo in carcere? Vogliamo
veramente dar voce, attraverso la
polizia penitenziaria, a quell’ufficio
di accoglienza?
Sappiamo che un conto sono le mansioni della polizia penitenziaria - che
sono, sicuramente, funzioni di sorveglianza, di osservazione ed anche
di vicinanza al detenuto - diverso è
143
Temi per la legalità
invece il ruolo degli educatori e degli psicologi in vista dell’attuazione
dell’articolo 27 della Costituzione.
Ma i vincitori del concorso del 2003
non vengono assunti e neppure si
utilizza la graduatoria dei vincitori
per coprire la pianta organica, né
con riferimento agli educatori né
con riferimento agli psicologi.
Al contrario, questo provvedimento
omnibus offriva un’occasione a tale
riguardo, se solo vi fosse stata la volontà e l’attenzione nei confronti di
queste categorie che non hanno forza
contrattuale. Eppure vi era stato un
impegno che tra l’altro è stato ribadito, in qualche modo, anche al Senato
dal sottosegretario Caliendo nel corso
dell’esame di una mozione analoga
che il Senato ha discusso in materia
carceraria; ma alle parole non seguono mai i fatti. Ad esempio, invece, in
una disposizione del decreto-legge in
conversione si trova la proroga fino
al 31 dicembre del 2010 del concorso
pubblico per esami del 2004 a 28 posti
di direttore antincendio, posizione C2,
in precedenza prorogato al 31 dicembre 2009. Così come ha ricevuto attenzione questa categoria di vincitori del
concorso (ed è giusto), perché non ha
avuto altrettanta attenzione la categoria dei vincitori di quel concorso?
Non ci venite allora a raccontare che
in realtà si vuole un carcere che sia
un posto dove la gente sconta la pena
certa, ma al tempo stesso prepara a
ritornare nella vita civile un cittadino che possa in qualche modo esse144
re reintegrato, se poi abbiamo uno
psicologo ogni mille persone ed un
educatore ogni mille detenuti.
Questa era un’occasione per prestare
fede a quegli impegni, trattando gli
educatori penitenziari, il personale
della amministrazione giudiziaria e
della giustizia, non da privilegiati, ma
al pari di altre categorie nei confronti
delle quali si è avuta attenzione. Credo che non si possa andare avanti in
questo percorso, perché poi, necessariamente, questa ripetizione dei
decreti d’urgenza che prevedono «un
minestrone», sia quando vengono varati e sia per come progrediscono nelle discussioni in Aula, rappresenta un
qualcosa che alla fine - voi lo sapete
meglio di me - depotenzia il ruolo
del Parlamento e incide sull’equilibrio del sistema. Sono «carrozzoni»
questi provvedimenti che non hanno
la possibilità di avere alcun approfondimento. Sono delle scorciatoie
che hanno contenuti eterogenei, che
creano un tessuto normativo fluido,
instabile, in evidente contrasto con la
qualità della legislazione, con la certezza del diritto e con la stabilità del
sistema giuridico.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, mi auguro che questa sia l’ultima fattispecie di decreto-legge che
va ad incidere su tanti diritti, e su
tante posizioni, in maniera confusa,
eterogenea, non adeguata al sistema
che ci aspettiamo di poter realizzare
(Applausi dei deputati del gruppo
Partito Democratico)
Stato della Giustizia 2010
Seduta n. 420 di mercoledì 19 gennaio 2011
Stato della Giustizia 2010
Dichiarazione di voto
Signor Presidente, signor Ministro,
il nostro voto contrario, a differenza
di quello che lei un po’ provocatoriamente ha detto poc’anzi, non prescinderà dalla sua relazione e terrà
conto proprio della sua comunicazione al Parlamento. Comunicazione
che ci ha fortemente deluso proprio
perché attraverso una apparente e
forzata quadratura dei numeri ha
omesso di analizzare le cause vere
del malessere della giustizia italiana,
di indicare soluzioni chiare e competenti e i suoi risultati sono assolutamente inesistenti. La giustizia civile
italiana soffre incontestabilmente
di un’eccessiva dilatazione dei tempi, ma lei cosa fa? Si è limitato a
cantare vittoria perché le pendenze
civili sono aumentate un po’ meno
dell’anno scorso e ha addirittura
ritenuto di accreditare questo apparente risultato alla riforma del processo civile, da lei propagandata, e
alla quasi completa, a suo dire, informatizzazione degli uffici giudiziari. È grave, signor Ministro, che
lei dica in Parlamento - e quindi ai
cittadini - cose non vere.
Con la legge 18 giugno 2009, n. 69,
lei in realtà ha introdotto solo un
ulteriore rito processuale rispetto a
quello di cognizione sommaria. Si
è trattato di un intervento disorganico e asistematico, mentre continua a
ritardare quella che potrebbe essere
l’unica via da percorrere, ossia l’unificazione e la semplificazione dei riti
per avvicinarci a quello che è il sistema europeo. A causa delle numerose
criticità a cui il Governo è rimasto
Comunicazioni del Ministro della giustizia sull´amministrazione della giustizia, ai sensi dell´articolo 86 del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, come
modificato dall´articolo 2, comma 29, della legge 25 luglio 2005, n. 150 (Entro il ventesimo giorno dalla data di inizio di ciascun anno giudiziario, il Ministro della giustizia rende comunicazioni alle Camere sull’amministrazione
della giustizia nel precedente anno nonché sugli interventi da adottare ai
sensi dell’articolo 110 della Costituzione e sugli orientamenti e i programmi
legislativi del Governo in materia di giustizia per l’anno in corso)
145
Temi per la legalità
sordo, la media conciliazione, finalizzata ad avere effetti deflattivi tanto propagandati, sarà un boomerang
e aumenteranno i tempi e i costi del
contenzioso e le spese che il cittadino
dovrà affrontare quotidianamente.
La verità, signor Ministro, è che nella gran parte degli uffici giudiziari,
nonostante i problemi progressivamente crescenti a causa della carenza del personale, dei trasferimenti,
dei pensionamenti cui non segue la
copertura del posto lasciato vacante
e del blocco delle assunzioni, si riesce ad andare avanti non per merito
delle sue riforme, che non ci sono
state, ma per l’impegno costante, per
la dedizione e lo spirito di servizio
di tutti gli operatori della giustizia,
con costi umani e sacrifici personali
che non possono e non devono sopperire all’inerzia e all’inadeguatezza
degli interventi governativi.
Vogliamo parlare delle cosiddette
innovazioni tecnologiche e informatiche? Lei, esattamente un anno fa,
annunciava l’entrata in vigore del
processo telematico in tutto il territorio nazionale, a completamento
della digitalizzazione della giustizia. La sua è stata, in questa materia,
una politica di mera propaganda e di
annunci, in totale assenza di trasparenza. Oggi la situazione è preoccupante e il panorama nazionale è
quello di una dotazione di strumenti
obsoleti, di assenza di programmazione, di scelte di spesa non oculate, dell’utilizzo di programmi e di
146
sistemi che spesso non parlano tra
di loro. Ci si chiede, proprio per la
trasparenza dei conti, quale destinazione concreta hanno avuto i 90
milioni di euro di investimenti e i
12 milioni di euro l’anno a regime di
spese correnti che erano oggetto del
Protocollo d’intesa del 26 novembre
2008 tra il Ministro per l’innovazione e la pubblica amministrazione e il Ministro della giustizia. In
realtà, il processo civile telematico
per i decreti ingiuntivi si svolge in
meno di venti tribunali, le notifiche
telematiche sono effettuate in meno
di dieci uffici, mentre il valore legale di memorie e provvedimenti del
giudice avviene solo a Milano.
Inoltre, ci ha sconcertato il fatto, Ministro, che lei ha omesso di affrontare la seria questione delle scoperture
degli organici e della desertificazione degli uffici di procura. Si è limitato a dire che sta bandendo concorsi annuali perché deve recuperare il
blocco dei concorsi dovuto, per tutta
la durata del suo ufficio, al Ministro
Castelli. Ma questa misura non è
sufficiente, perché lei non ha parlato dei vari decreti-legge, a proposito
dei trasferimenti d’ufficio, che sono
stati assolutamente inadeguati a coprire quegli organici. Non si è limitato e ha omesso qualsiasi analisi finalizzata a un intervento ponderato
che agisca a rimuovere quel divieto
di assegnazione dei magistrati di
prima nomina, ormai non più giudici
ragazzini, che affrontano un concor-
Stato della Giustizia 2010
so di secondo grado e un tirocinio di
due anni. È strano, signor Ministro,
perché lei questo lo ha promesso di
fronte all’Associazione nazionale
magistrati per ottenere, quel giorno,
l’applauso dei magistrati. Tuttavia,
nelle sue comunicazioni non lo ha
più affermato né si è più impegnato,
nonostante queste proposte siano state presentate in Commissione e sono
in corso di discussione. Su questo
punto, così come sugli altri, lei non
ha individuato nessun programma
come, ad esempio, la revisione della
distribuzione degli uffici giudiziari e
delle piante organiche degli uffici.
Noi - ricordo già le precedenti dichiarazioni dell’onorevole Tenaglia,
dell’onorevole Orlando nei due anni
di legislatura passati - abbiamo già
dato la nostra disponibilità sul punto.
Si tratta di un argomento spinoso e
non rinviabile, che deve essere assolutamente affrontato con gradualità
e razionalità. Quindi, questo punto
relativo alla revisione delle circoscrizioni e alla razionalizzazione
delle risorse - mi rivolgo all’onorevole Contento - deve essere affrontato
prima di parlare di riforme premiali
da dare agli uffici giudiziari perché
prima bisogna mettere in grado tutti gli uffici di poter funzionare dal
nord al sud, altrimenti di quale premialità si può parlare?
Lei, signor Ministro ha fatto una grave ulteriore mancanza e omissione - e
ne è consapevole - per quanto riguarda il sistema carcerario: un anno fa
ha deliberato lo stato di emergenza
per l’anno 2010, ha conferito poteri
straordinari al direttore del DAP. In
questo 2010, rispetto al piano di attuazione del Piano carceri, finanziato
per 600 milioni di euro, non è stato
realizzato nessuno degli obiettivi. Già
sappiamo - non c’è bisogno che glielo
dica - quanti sono i detenuti presenti
rispetto a quelli di cui il regolamento prevede la copertura. Per quanto
riguarda gli interventi di edilizia penitenziaria abbiamo presentato varie
interrogazioni per avere risposte specifiche, richieste di dettaglio, di linee
portanti, programmatiche e di attuazione e non c’è stato mai risposto, né
dal capo dell’amministrazione penitenziaria, né da lei, nella sua comunicazione e oggi veniamo a sapere da
lei che, rispetto ai quarantasette padiglioni previsti nel Piano carceri un
anno fa, forse adesso sono in corso di
progettazione soltanto venti. Nulla ci
dice rispetto alle carceri che non possono essere consegnate per la carenza
di personale della polizia giudiziaria
e del personale civile. Nessun riferimento all’adeguamento delle piante
organiche del personale di polizia penitenziaria, alla figura degli educatori, degli assistenti sociali, degli psicologi, né alla necessità di ripensare la
pena detentiva breve, soprattutto per
reati non gravi o di media gravità, a
favore di misure alternative erogate
dallo stesso giudice per superare realmente il problema del sovraffollamento carcerario. Senza parlare poi
147
Temi per la legalità
- ma già sono intervenuti su questo
punto tutti i miei colleghi nella discussione sulle linee generali - degli
altri problemi scottanti della magistratura onoraria, della riforma delle
professioni che è ferma e che presenta vari punti critici e che comunque
è una mancata promessa ancora non
realizzata. Per i giudici onorari, il suo
massimo sforzo si è esaurito prevedendo un’ulteriore proroga nel cosiddetto decreto milleproroghe, quindi
ancora uno sforzo di rendere stabile
la precarietà e anche di prevedere un
ruolo inferiore in confronto alla magistratura ordinaria, in contrasto con
i principi della nostra Costituzione.
Andiamo a vedere, caro Ministro ho cercato di capirlo - il perché del
fallimento della sua politica di Governo. È il frutto di disinteresse, di
negligenza, di incapacità o ci sono
altre cause concomitanti? Il dato storico e politico è che il suo attivismo
propositivo in Parlamento in realtà si
è modulato a seconda delle esigenze
di ripresa o meno dei processi contro
il Presidente del Consiglio. Voglio ricordare - perché ho fisse queste tappe
nella mia mente - il provvedimento
«blocca-processi», con l’emendamento inserito nel primo pacchetto
sicurezza, del luglio 2008, poi ritirato per presentare subito dopo il lodo
Alfano, dichiarato incostituzionale, e
poi le altre misure legislative ad personam, che hanno distratto il lavoro
del legislatore, impegnato inutilmente - mi avvio alla conclusione, signor
148
Presidente - per tante sedute. Ricordo
il processo breve, la sospensione del
legittimo impedimento, il lodo Alfano incostituzionale, la legge sulle
intercettazioni telefoniche, la presentazione dell’atto Senato n. 1440 sulla
riforma del processo penale. È troppo
comodo scaricare la mancata realizzazione dei suoi impegni di governo
sulle opposizioni o sulla magistratura politicizzata. Perché non è vero che
noi non vogliamo fare le riforme, in
particolare la riforma della giustizia.
La risoluzione presentata oggi e la nostra vita in Parlamento parlano chiaro, segnano in maniera trasparente la
nostra rotta, è la vostra che è confusa,
contraddittoria, distante dai problemi
veri dei cittadini e soprattutto dalla volontà di risolverli, perché siete
troppo impegnati - lei e la sua maggioranza, signor Ministro, ne avete
dato prova più volte - a difendere gli
interessi processuali del Premier, ad
articolare l’agenda di Governo in relazione appunto ad altre priorità che
non sono quelle dei cittadini.
Noi vogliamo una riforma della
giustizia moderna, efficace, di qualità, che realizzi a pieno le garanzie
costituzionali, i diritti fondamentali dei cittadini, rendendo effettivo
il garantismo dell’innocente, delle
vittime, non il garantismo dell’impunità come avete fatto e continuate a fare ad ogni costo, contro ogni
logica e ragionevolezza (Applausi
dei deputati del gruppo Partito Democratico).
Stato della
Giustiziadel
2010
Il testo della risoluzione
del Gruppo
PD
La risoluzione del PD sullo stato della giustizia 2010
La Camera,
udite le comunicazioni del ministro
della giustizia sull’amministrazione
della giustizia, ai sensi dell’articolo 86 del regio decreto 30 gennaio
1941, n. 12, come modificato dall’articolo 2, comma 29, della legge 25
luglio 2005, n. 150,
premesso che:
le suddette comunicazioni rappresentano un atto importante, un’assunzione di responsabilità in termini
di definizione programmatica della
futura politica in tema di amministrazione della giustizia, e che vanno
esaminate attentamente da parte del
Parlamento;
la garanzia del diritto dei cittadini alla sicurezza presuppone necessariamente - oltre all’efficienza
dell’azione delle Forze dell’ordine
cui vanno assicurati i mezzi indispensabili per il loro operato - un sistema giudiziario efficace, per la cui
realizzazione è necessario stanziare
in via prioritaria risorse adeguate e
idonee per garantire un concreto miglioramento della qualità dell’amministrazione della giustizia e l’effettività dei diritti;
a) per quanto riguarda la giustizia
civile:
va affrontata quella vera e propria
ipoteca sulla competitività economico-internazionale rappresentata
dal cattivo funzionamento della giustizia civile, causa dell’inadeguata
tutela del credito, della difficoltà ad
investire nel nostro Paese, dell’incertezza dei rapporti tra privati, del
protrarsi di conflitti familiari, talvolta drammatici;
a fronte della crescente domanda di
giustizia civile la risposta non può
essere quella data dalla legge 18 giugno 2009, n. 69 che ha introdotto un
ulteriore rito processuale - quello di
cognizione sommaria - in aggiunta
ai venti già esistenti e che, in quanto
tale, non è stato in grado di incidere significativamente sull’efficacia
del sistema. Né può essere una soluzione quella di affidare a una categoria di nuovo conio, i cosiddetti
«ausiliari del giudice» (appartenenti
a categorie professionali in pensione
o onorarie), funzioni sostanzialmente decisorie, così come si è tentato
di fare con un emendamento alla
manovra finanziaria del luglio scorso, poi ritirato il 9 luglio 2010, solo
a seguito delle pesanti critiche delle forze di opposizione e di tutti gli
operatori della giustizia. Non risolvono i problemi anche gli interventi
normativi improvvisati, privi di un
adeguato grado di coordinamento,
basati sulla logica dell’emergenza e
tesi, in buona sostanza, a scardinare i caratteri costitutivi e sistematici
della giurisdizione civile;
149
Temi per la legalità
è necessario, invece, attraverso il
confronto con i gruppi di opposizione, portare avanti un effettivo
percorso di razionalizzazione e
semplificazione dell’attività processuale civile, capace di far fronte
tanto allo smaltimento dell’arretrato quanto ai nuovi flussi di contenzioso, rifuggendo però da logiche
emergenziali e di rottamazione e
affrontando una riforma di sistema
capace di assicurare la ragionevole
durata dei processi, con la garanzia
però della speditezza, concentrazione e accuratezza nella trattazione di
tutte le cause;
il gruppo del Partito Democratico
auspica che il Governo, in colpevole ritardo, come emerge anche dallo
odierne comunicazioni del ministro,
porti presto alla discussione delle
Camere i decreti legislativi di attuazione della delega contenuta nella
legge n. 69 del 2009 tenendo conto
dei princìpi fondamentali di qualità
ed efficienza del processo civile;
d’altro canto, solo un processo forte
e funzionante avrebbe potuto valorizzare e garantire risultati all’istituto della mediazione e conciliazione che entrerà a breve in vigore, in
attuazione della delega esercitata
dal Governo conferita dall’articolo
60 della legge n. 69 del 2009 e che
presenta aspetti e contenuti in parte
contrastanti con lo scopo steso della delega. Infatti, così come è stato
configurato, l’istituto della media
conciliazione tende a puntare su fi150
gure ed organismi che impongono
soluzioni anziché aiutare le parti a
pervenire ad una composizione del
conflitto che aiuti a ricostituire la
qualità del legame sociale;
proprio a causa delle numerose criticità, che il gruppo del Partito Democratico aveva già evidenziato nel
parere alternativo allo schema di decreto legislativo di cui sopra e a cui
il Governo è rimasto sostanzialmente sordo, la mediazione finalizzata
alla conciliazione non avrà quegli
effetti deflattivi tanto propagandati
dal ministro e creerà, anzi, un’ulteriore allungamento dei tempi o dei
costi del contenzioso ordinario per il
cittadino che chiede, invece, risposte effettive di giustizia;
sarebbe ragionevole, pertanto, un
invio della entrata in vigore del decreto legislativo sulla media conciliazione, richiesto, peraltro, da tutta
l’Avvocatura in considerazione del
mancato reperimento delle risorse
organizzative, delle aule presso i
tribunali e dell’esiguo numero dei
conciliatori;
b) per quanto riguarda le innovazioni tecnologiche e informatiche:
lo stato della digitalizzazione della
giustizia ad un anno dalle dichiarazioni rese dal ministro al Parlamento è,
senza dubbio, negativo. Esattamente
un anno fa, infatti, il ministro annunciava l’entrata in vigore del processo
telematico, a completamento della
digitalizzazione dalla giustizia, con
La risoluzione del PD sulloStato
statodella
dellaGiustizia
giustizia2010
2010
l’applicazione dell’informatica a tutti
gli atti del processo, civile e penale.
In particolare, annunciava come immediatamente applicabili - e dunque
già applicate - le comunicazioni e le
notificazioni telematiche tra gli uffici
giudiziari e gli avvocati e, salvo che
per le notifiche agli imputati, la possibilità di usare la posta elettronica certificata. Ad oggi, invece, la situazione
è a dir poco preoccupante: il panorama nazionale è quello della dotazione
di strumenti obsoleti, di assenza di
programmazione di scelte di spesa
oculate e a lungo termine dell’utilizzo di programmi e sistemi che spesso
non colloquiano tra di loro, mentre è
carente una politica di potenziamento, formazione e valorizzazione della
professionalità del personale degli
uffici giudiziari. L’anno si è quindi
aperto con un’emergenza, proprio in
quel settore che doveva essere l’avanguardia tecnologica per un miglioramento dell’efficienza del settore
giustizia. In particolare, l’assenza di
adeguate risorse finanziarie sull’esercizio 2011, frutto anche della politica
del tagli lineari di questo Governo,
ha causato il blocco dell’assistenza ai
servizi informatici nei primi giorni
del 2011. Tale blocco avrebbe potuto
causare la paralisi degli uffici giudiziari e del sistema con conseguente
chiusura dei tribunali e, dunque, innanzitutto, il blocco dell’attività processuale. Alla sospensione dell’assistenza informatica è stata data solo
una soluzione temporanea attraverso
una variazione di bilancio che ha spostato risorse per 5,1 milioni di euro
da destinare al finanziamento, delle
spese di gestione, funzionamento e
sviluppo del sistema informativo di
assistenza tecnica, stornate in misura
pari ad 1.140.620 euro dal capitolo n.
1515, relativo ai consumi intermedi
del Ministero della giustizia e i restanti 3.359,380 euro reperiti, invece,
dal capitolo di bilancio n. 1451, avente più ampia portata rispetto al precedente capitolo in quanto comprensivo
di voci distinte, tra cui i trasferimenti
d’ufficio del personale, le spese per
la formazione del personale, le spese
per l’acquisto di cancelleria, oltre ai
rimborsi a pubbliche amministrazioni per il personale comandato. Il Governo ha proceduto con una variazione di bilancio a danno di altri capitoli
che avevano già subito dei tagli dalle
precedenti manovre, trovando ancora
una volta una soluzione provvisoria e
improvvisata. È infatti noto che negli
uffici giudiziari spesso le più elementari necessità di cancelleria vengono
sopperite anche e soprattutto dalla
buona volontà degli operatori e del
personale giudiziario. Fino ad ora,
il ministro della giustizia ha portato avanti solo una politica fatta di
annunci e le comunicazioni odierne
rivelano l’assenza di informazioni
chiare e una scarsa consapevolezza
della situazione esistente;
la realtà è che il Governo non ha stanziato e non stanzia risorse sufficienti
per portare avanti la digitalizzazione
151
Temi per la legalità
ed il processo civile telematico in
modo omogeneo su tutto il territorio
nazionale, anzi proprio il processo telematico pare sfumare nei più modesti obiettivi, peraltro ancora ipotetici,
della posta certificata e della mera
digitalizzazione degli atti;
la scarsità delle risorse rischia di rallentare l’informatizzazione dei procedimenti civili, penali, amministrativi e di prevenzione, necessaria per
assicurare la qualità complessiva del
«servizio giustizia», come è imposto, peraltro, dalle crescenti esigenze di cooperazione internazionale.
Compatibilmente con le esigenze di
finanza pubblica, il Governo avrebbe
dovuto adottare iniziative normative
e programmatiche volte a garantire
adeguati finanziamenti al Ministero
della giustizia nell’informatica giudiziaria, nella formazione e incentivazione economica e professionale
del personale dell’amministrazione
della giustizia;
c) per quanto riguarda il Fondo unico giustizia:
è da due anni che il Fondo unico
giustizia viene continuamente richiamato in tutti gli interventi del
ministro della Giustizia e del ministro dell’interno come la fonte e la
riserva sostanziosa di impegno per
risolvere i problemi delle risorse riguardanti sia le forze di polizia, sia
l’organizzazione giudiziaria. Si è
parlato, negli annunci stampa, di cifre che vanno da uno a due milioni
152
di euro. In realtà, nella recente risposta data dal sottosegretario alla
Presidenza del Consiglio sen. Carlo
Giovanardi all’interpellanza urgente
n. 2-00878 a prima firma dell’onorevole Ferranti, si legge « (...) le risorse
del Fondo unico giustizia, provenienti dai sequestri, prese in considerazione per l’utilizzo ai sensi del
comma 7 dell’articolo 2 del decretolegge n. 143 del 2008, sono quelle
ammontanti, a fine 2009, a 631,4
milioni di euro, così come affermato
dal Ministero dell’economia e delle
finanze. Il decreto del Presidente del
Consiglio dei ministri del 29 aprile
2010 aveva stabilito le percentuali di
riparto delle risorse nella misura del
50 per cento al Ministero dell’interno
e del 50 per cento al Ministero della
giustizia. Il predetto decreto è stato
restituito alla Corte dei conti con
osservazioni e, in data 28 settembre
2010, il Ministero dell’economia e
delle finanze ha inviato alla Corte
dei conti i necessari chiarimenti. Da
notizie riferite il 1o dicembre, ieri,
dal ministro dell’economia si rileva
che è pervenuto al suddetto dicastero il decreto del Presidente del
Consiglio dei ministri in questione a
seguito delle osservazioni della Corte dei conti, in cui si stabiliscono le
percentuali delle quote delle risorse
intestate al Fondo unico giustizia al
31 dicembre 2010. Tali percentuali,
rispetto a quelle previste nel decreto
del Presidente del Consiglio dei ministri del 29 aprile, sono state modi-
La risoluzione del PD sulloStato
statodella
dellaGiustizia
giustizia2010
2010
ficate nei seguenti termini per accogliere le osservazioni della Corte dei
conti del 28 settembre 2010: il 49 per
cento al Ministero dell’interno per la
tutela della sicurezza pubblica e del
soccorso pubblico, il 49 per cento al
Ministero della giustizia per assicurare il funzionamento degli uffici
giudiziari ed altri servizi istituzionali, nonché per assicurare la copertura degli oneri connessi all’applicazione del decreto legislativo n. 28 del
4 marzo 2010 sulla mediazione civile; in particolare l’articolo 17 del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28,
attuativo della legge 18 giugno 2009,
n. 69, in materia di risorse, regime
tributario e indennità, ha previsto
un onere, a valere sulla quota spettante al Ministero della giustizia, del
riparto del Fondo unico giustizia di
5,9 milioni di euro per l’anno 2010
e 7,018 milioni di euro per l’anno
2011, conseguenti alle esenzioni
dall’imposta di bollo e di registro
dei verbali di conciliazione. Per ciò
che attiene, invece, alla copertura
delle agevolazioni fiscali previste,
consistenti nel riconoscimento di un
credito di imposta regolato dall’articolo 20 del citato decreto legislativo
4 marzo 2010, n. 28, è stato misurato
un onere massimo di 62,4 milioni di
euro. Le somme valutate sono da ritenersi indicative e prudenzialmente
stimate in eccesso in quanto, ai sensi
del comma 2 dell’articolo 20 del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28,
l’ammontare delle risorse del Fondo
unico giustizia di spettanza del Ministero della giustizia, da destinare
alle agevolazioni fiscali, verrà stabilito a decorrere dall’anno 2011 con
decreto del ministro della giustizia
da emanarsi entro il 30 aprile di ciascun anno (...) »;
di fatto, ad oggi, non risulta assegnato al Ministero della giustizia alcunché nonostante il ministro Alfano,
già nelle Comunicazioni alle Camere del gennaio 2010, sostenesse
come fossero confluiti nel FUG oltre
1.59 miliardi di euro, nell’ambito del
quale evidenziava come disponibili
per la riassegnazione pro quota al
Ministero della giustizia 631,4 milioni di euro;
d) per quanto riguarda il sistema
carcerario:
l’attuale condizione delle carceri
italiane contraddice radicalmente
l’intento del recupero del reo delineato nella Carta fondamentale. Le
condizioni di sovraffollamento sono
oramai un dato notorio e con esso la
politica, la società civile, la magistratura, ma - soprattutto - i detenuti
si trovano a convivere ogni giorno
in modo drammatico. Tra i molti
sintomi di disagio, non si può non
segnalare che il tasso di suicidi riscontrabile in carcere è di gran lunga
superiore a quello registrato tra tutta
la popolazione residente in Italia;
nelle comunicazioni sull’amministrazione della giustizia del gennaio 2010, il ministro della giustizia
153
Temi per la legalità
aveva affermato di aver chiesto la
deliberazione, da parte del Consiglio dei ministri, dello stato di emergenza per tutto l’anno 2010, al fine
di «provvedere ad interventi strutturali di medio e lungo periodo, che
consentano di rispettare il precetto
dell’articolo 7 della Costituzione, secondo il quale le pene non possono
consistere in trattamenti contrari al
senso di umanità e devono tendere
alla rieducazione del condannato».
Tale stato di emergenza è stato ulteriormente prorogato con decreto del
Presidente del Consiglio dei ministri
dell’11 gennaio 2011 (comunicato n.
121 della Presidenza del Consiglio).
Dal suddetto stato di emergenza derivano, secondo quanto dichiarato
dal ministro lo scorso gennaio 2010
tre «pilastri» fondamentali: il primo
riguarda gli interventi di edilizia penitenziaria per la costruzione di 47
nuovi padiglioni e successivamente
di otto nuovi istituti, che aumenterebbero di 21.709 unità i posti, arrivando ad un totale di 80 mila, per la
cui realizzazione sono stati stanziati
500 milioni di euro nella Legge finanziaria 2010 e 100 milioni del
bilancio della Giustizia; il secondo
riguarda gli interventi normativi
che introdurrebbero misure deflattive, introducendo la possibilità della
detenzione domiciliare per chi deve
scontare un anno di pena residua e
la messa alla prova delle persone
imputabili per reati fino a tre anni;
il terzo, infine, prevede l’assunzione
154
di 2000 nuovi agenti di Polizia penitenziaria;
per quanto riguarda gli interventi di
edilizia penitenziaria, allo stato attuale, nonostante le ripetute richieste
formalizzate in Commissione Giustizia, né il ministro della giustizia, né il
Capo dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, hanno mai fornito risposte specifiche alla richiesta
di illustrazione dei dettagli delle linee
portanti, programmatiche e di attuazione del Piano di interventi;
dell’assunzione dei 2000 agenti di
polizia carceraria non vi è traccia;
dal punto di vista normativo, vi è
stata solo l’approvazione della Legge 26 novembre 2010, n. 199 «Disposizioni relative all’esecuzione
presso il domicilio delle pene detentive non superiori ad un anno»,
che ha potuto concludere il suo iter
parlamentare grazie al forte senso
di responsabilità e al concreto contributo del gruppo del Partito Democratico in Commissione giustizia
ma che, comunque, si pone come
intervento emergenziale, addirittura
temporaneo, e sicuramente non risolutore dell’angosciante problema del
sovraffollamento carcerario e della
certezza della pena;
diversi e sicuramente più incisivi
sono gli obiettivi programmatici che
si pone il gruppo del Partito Democratico. In particolare, occorre: un
intervento complessivo sistematico
volto ad ampliare la tipologia delle
La risoluzione del PD sulloStato
statodella
dellaGiustizia
giustizia2010
2010
misure alternative alla pena detentiva, specificatamente supportate
da progetti professionalmente strutturati volti al reinserimento sociale,
con una particolare attenzione alle
sorti delle vittime dei reati;
è necessario: adeguare le piante organiche riferite al personale di polizia penitenziaria e alle figure degli
educatori, degli assistenti sociali e
degli psicologi, avviando un nuovo
piano di assunzioni (almeno 1000
unità per queste ultime figure professionali), che garantisca le risorse
umane e professionali necessarie
all’attivazione delle nuove strutture
penitenziarie; ripensare il modello
unico di istituto penitenziario attuale, posto che i detenuti per i quali si
esige un elevato regime di sicurezza non raggiungono le 10 mila unità
mentre per gli altri detenuti, anche
quelli di media sicurezza, la permanenza in cella come situazione
normale di vita quotidiana ha come
unico risultato l’abbrutimento della
persona umana. La fruizione di spazi comuni, magari con il supporto
di braccialetti elettronici effettivamente funzionanti, l’inserimento
in un’organizzazione modulare che
preveda interventi mirati, condurrebbero finalmente a superare la
dimensione del carcere come luogo
insalubre, patogeno, dove l’ozio e
la promiscuità prevalgono sui trattamenti di concreto recupero e rieducativi; un intervento complessivo
volto a organizzare e prevedere una
diversa strategia di ingresso per gli
autori di reati di medio-bassa gravità; rivedere le preclusioni imposte
dalla Legge cosiddetta «ex Cirielli»
e dai recenti «Pacchetti sicurezza»;
prevedere l’accesso alla detenzione
domiciliare negli ultimi due anni
di pena per i recidivi reiterati, ripristinando la competenza a valutare
la effettiva pericolosità sociale dei
condannati in capo alla magistratura
di sorveglianza, le cui piante organiche dovranno, ovviamente, essere
rafforzate dal punto di vista numerico al fine di consentire, anche attraverso la messa a punto di nuovi strumenti normativi, di svolgere a pieno
il proprio ruolo e di gestire attraverso adeguati percorsi di conoscenza il
flusso di ingressi in carcere;
e) per quanto riguarda le misure organizzative essenziali:
l’introduzione del giudice unico di
primo grado, prevedendo la fusione
di tribunali e preture, ha comportato un modesto ma comunque primo
recupero di efficienza, giacché i tribunali sotto-dimensionati sono divenuti circa il 72 per cento del totale.
Attualmente, le principali funzioni
giudiziarie sono svolte da sette tipologie di uffici giudiziari e cioè da
848 uffici del giudice di pace, da 165
tribunali e relative procure, da 220
sezioni distaccate di tribunale, da
29 tribunali per i minorenni, da 29
corti d’appello (di cui 3 sezioni distaccate) e relative procure generali,
dalla Corte di Cassazione e relativa
155
Temi per la legalità
Procura Generale e dal Tribunale superiore delle acque pubbliche.
Attraverso degli studi si è accertato che quando le dimensioni degli
uffici giudiziari divengono troppe
elevate (impiegando un numero di
magistrati superiore a 80), si riscontra una perdita di efficienza legata
al sovradimensionamento. Tale perdita, tuttavia, appare di gran lunga
inferiore a quella che si registra nel
caso inverso di eccessivo sottodimensionamento (la prima riforma
decisiva per recuperare efficienza
e razionalità al sistema giustizia è
la riorganizzazione della geografia
giudiziaria intesa non come occasione di risparmio in termini economici
e di un più razionale impiego delle
risorse umane, professionali e finanziarie disponibili, ma anche quale
occasione per una valorizzazione
degli uffici giudiziari di dimensioni
ottimali sotto il profilo delle effettive
possibilità di scambio e di confronto
continuo, abbreviazione dei tempi,
maggiore tempestività nella risposte
ai cittadini). Attraverso una nuova e
più funzionale distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari saranno
incisivi anche tutti quegli interventi
inerenti l’organizzazione e il supporto all’attività giudiziaria, affinché nelle aule di giustizia i processi
si possano svolgere in modo ordinato, con l’assistenza dovuta, in forme
dignitose per tutti i protagonisti, con
sistemi di documentazione degli atti
che non siano ripetutamente messi
156
in forse dai tagli alle risorse economiche. Il Consiglio Superiore della
Magistratura ha approvato nella seduta straordinaria dell’11 gennaio
2010 una risoluzione proposta dalla
sesta Commissione concernente la
revisione delle circoscrizioni giudiziarie che sottopone al ministro
della giustizia le seguenti conclusioni, «il Consiglio Superiore della
Magistratura, nell’ottica di una leale
collaborazione istituzionale, ritiene
doveroso segnalare al ministro della
giustizia l’assoluta ed imprescindibile necessità di attivare una proposta
legislativa diretta a rivedere le circoscrizioni giudiziarie. La riorganizzazione delle circoscrizioni giudiziarie costituisce, infatti, a parare
del CSM, lo strumento indefettibile
per realizzare un sistema moderno
ed efficiente di amministrazione della giurisdizione, che sia in grado di
fornire la dovuta risposta di merito
alle istanze di giustizia, nel rispetto di tempi ragionevoli di durata del
processo, nella consapevolezza che il
ritardo nel giungere alla decisione si
risolve in un diniego di giustizia»;
è, quindi, assolutamente urgente che
il Governo: assuma un’iniziativa
normativa volta a prevedere una riorganizzazione delle circoscrizioni
giudiziarie al fine di predisporre una
disciplina che consenta di garantire le esigenze di efficienza, qualità
ed eguale trattamento dei diritti dei
cittadini nelle diverse aree geografiche del Paese e una redistribuzio-
La risoluzione del PD sulloStato
statodella
dellaGiustizia
giustizia2010
2010
ne razionale del carico del lavoro e
delle risorse umane ed economiche;
realizzi il conseguente adeguamento
della pianta organica del personale
giudiziario, prevedendo procedure
urgenti di copertura dei posti vacanti, di attuazione al cosiddetto ufficio
del processo, condiviso da tutte le
categorie di operatori della giustizia (avvocati, magistrati, personale
della giustizia), che rappresenta una
misura organizzativa essenziale per
garantire lo svolgimento efficiente,
efficace e qualitativamente adeguato, delle attività correlate e di supporto all’esercizio della giurisdizione; contribuisca all’approvazione
della modifica legislativa in corso di
discussione in Commissione giustizia, A.C. 2984 «Modifica all’articolo 13 del decreto legislativo 5 aprile
2006, n. 160, in materia di attribuzione delle funzioni ai magistrati
ordinari al termine del tirocinio», in
quota opposizione, tesa a eliminare
il divieto per i magistrati ordinari di
prima nomina ad essere destinati alle
funzioni di PM e giudice monocratico, e quindi a risolvere il problema
della copertura delle sedi disagiate
presso gli uffici di procura;
f) per quanto riguarda la magistratura onoraria:
il ministro della giustizia, nelle comunicazioni del gennaio 2010, aveva annunciato un disegno di legge
di riforma della magistratura onoraria che, ad oggi, non è mai stato
presentato;
si profila, anzi, la ormai consueta
prorogatio del mandato dei giudici di
pace, la terza succedutasi dall’esordio del magistrato di prossimità e,
così come avvenuto in precedenza
(decreto-legge n. 115 del 2005), la
dilazione dell’incarico sarà operata
con decretazione di urgenza;
la situazione appare ancor più paradossale con riferimento alle figure
del m.o.t. (g.o.t. e v.p.o.) il cui mandato (solo originariamente triennale)
ha «costretto» il legislatore a reiterate proroghe, quasi tutte adottate con
decreti di fine d’anno;
la riorganizzazione del sistema della
giustizia onoraria deve necessariamente passare attraverso l’attribuzione di compiti e ruoli ben definiti
alla magistratura onoraria, anche in
considerazione della circostanza che
l’incremento della domanda di giustizia si accompagna ad una progressiva differenziazione delle esigenze
alle quali deve essere preordinata la
risposta giudiziaria. Si tratta, quindi, di identificare compiutamente un
numero congruo di controversie che
possono essere adeguatamente soddisfatte attraverso procedure semplificate, nelle quali l’apprezzamento
delle circostanze di fatto deve essere preminente rispetto ai problemi
tecnico-giuridici ed il giudice deve
svolgere un ruolo prevalentemente
di mediazione e conciliazione. La
scelta, sul piano costituzionale, rinviene una solida base nell’articolo
106, secondo comma, della Costi157
Temi per la legalità
tuzione, il quale stabilendo che «la
legge sull’ordinamento giudiziario
può ammettere la nomina, anche
elettiva, di magistrati onorari per
tutte le funzioni attribuite a giudici
singoli», esprime una chiara e precisa opzione della Costituzione in favore del ricorso alla figura del giudice onorario, che va rettamente intesa
ed adeguatamente realizzata. La sua
realizzazione determinerebbe inoltre la possibilità di eliminare le figure di giudici onorari presso gli uffici
del giudice professionale (diverse,
ovviamente, da quelle riconducibili all’articolo 102, secondo comma,
della Costituzione), che hanno giustamente sollevato reiterate proteste
da parte del ceto forense e non contribuiscono all’immagine dell’imparzialità. La magistratura onoraria
non deve essere appiattita su quella
professionale; non va considerata
un minus rispetto a quest’ultima,
occorrendo invece valorizzarne la
specificità per modellare una peculiare figura del giudice onorario,
delle procedure che egli è chiamato
ad applicare, della tipologia delle
decisioni che è chiamato a rendere,
che occorre siano improntate dal criterio della semplificazione e da una
particolare attenzione alle differenti
esigenze presenti nelle diverse parti
del territorio nazionale;
occorre rimodulare le figure di giudici onorati attuali; ridisegnare la
competenza del giudici di pace nella
materia civile; modificare i requisiti
158
di nomina del giudice di pace, conformandoli rispetto alle esigenze
poste dalla sua definizione quale,
essenzialmente, giudice di equità;
«staccare» più nettamente la figura
dei giudici di pace rispetto alla magistratura professionale, provvedendo alla definizione della sua figura
in termini di autonomia e specificità
rispetto a quella del giudice professionale che consenta di superare l’attuale precarietà;
g) per quanto riguarda la corruzione
e il principio di legalità:
di fronte alla rilevanza e alla diffusione del fenomeno corruttivo, più
volte denunciato dal procuratore
generale della Corte dei conti come
una delle cause del dissesto economico del Paese ed evidenziato,
nel rapporto sull’Italia, dal gruppo contro la corruzione del Consiglio d’Europa (Greco) pubblicato
nell’ottobre 2009, come «fenomeno
corrente e generalizzato che tocca
numerosi settori di attività in particolare l’edilizia, l’immobiliare il
trattamento dei rifiuti, gli appalti
pubblici ed il settore della sanità»,
il Governo non ha assunto alcuna
iniziativa concreta, a parte quella
contenuta nella Legge delega per il
Codice antimafia sulla tracciabilità
dei finanziamenti pubblici, per la
cui approvazione il gruppo PD si è
fortemente battuto. Il Parlamento è
stato infatti occupato, per gran parte dei primi tre anni di legislatura,
ad approvare leggi ad personam: il
La risoluzione del PD sulloStato
statodella
dellaGiustizia
giustizia2010
2010
primo «lodo Alfano», la legge sul
legittimo impedimento, il processo
breve, le intercettazioni telefoniche,
il «lodo Alfano» costituzionale.
L’unico provvedimento che è riuscito ad approvare in questa materia
è stato la ratifica delle Convenzione
civile sulla corruzione fatta a Strasburgo il 4 novembre 1999, mentre
ancora sono in corso di esame nelle
Commissioni II e III del Senato, le
proposte di ratifica della Convenzione penale sulla corruzione;
h) per quanto riguarda le professioni:
occorre valorizzare le nuove professioni e regolare in forma innovativa,
adeguata ai sistemi europei, quelle
ordinistiche, garantendo una competizione leale tra professionisti ed
una tutela a favore dei consumatori
e dei cittadini della qualità delle prestazioni professionali;
è necessario garantire ai professionisti sistemi previdenziali ed assistenziali adeguati;
va consentito ai giovani un accesso
alla professione basato sul merito e
alle donne va garantita la piena parità nell’esercizio dell’attività professionale;
occorre consentire ai professionisti
di accedere ai benefici ed alle misure di sostegno previsti per le attività
economiche commerciali, industriali e del terziario;
è necessario offrire misure concrete
di sostegno all’innovazione, alla ricerca ed alla crescita dell’occupazione anche in questo settore;
bisogna incoraggiare l’approvazione
di un moderno assetto della professione forense, basato sull’accesso
fondato sul merito, sulla formazione
permanente, sulle specializzazioni
e su regole deontologiche rigorosamente garantita da un sistema disciplinare imparziale;
sempre a proposito di quella forense
occorre favorire l’autodeterminazione della categoria e la sua partecipazione attiva all’amministrazione
della giustizia come soggetto di rilevanza costituzionale;
infine è importante sostenere e promuovere la crescita delle associazioni professionali;
non le approva.
(6-00058) «Franceschini, Ventura,
Maran, Villecco Calipari, Ferranti, Andrea Orlando, Amici, Boccia,
Lenzi, Quartiani, Giachetti, Rosato, Capano, Cavallaro, Ciriello,
Concia, Cuperlo, Melis, Picierno,
Rossomando, Samperi, Tenaglia,
Tidei, Touadi».
159
Temi per la legalità
160
Stato della Giustizia 2010
Mafia
161
Temi per la legalità
162
Agenzia antimafia
Seduta n. 295 di lunedì 8 marzo 2010
Agenzia antimafia
Discussione sulle linee generali
Signor Presidente, onorevoli colleghi, questo decreto-legge del 4
febbraio 2010 è intervenuto su una
materia delicatissima, ovvero l’amministrazione e la destinazione dei
beni sequestrati e confiscati; esso ha,
senza dubbio, un ruolo determinante per realizzare il fine ultimo della
normativa sulle misure patrimoniali
antimafia, perché mira a sottrarre
definitivamente i beni di provenienza illecita al circuito economico
di origine per inserirli in un altro,
esente da condizionamenti criminali. Ecco, forse - e ne abbiamo avuto
contezza qui anche dalla sicuramente apprezzabile relazione dei relatori
- questo provvedimento, come tanti
altri, non doveva essere adottato con
un decreto-legge. Ciò infatti ha fatto
sì che noi oggi stiamo discutendo su
un testo il quale verosimilmente non
sarà quello su cui in realtà si dovrà
poi votare in Assemblea. Perché?
Perché questi provvedimenti, che
non nascono come funghi, ma nascono da elaborazioni portate avanti
per anni da associazioni, da propo-
ste di legge della sinistra e del Partito Democratico, che le ha depositate
sia alla Camera che al Senato, hanno
bisogno di maturazione, di approfondimenti, di limature, per evitare
che si crei una struttura, una scatola
vuota, che magari serve solo a poter
dire: abbiamo costituito l’Agenzia
dei beni confiscati, senza preoccuparsi se funzionerà o no.
Stiamo parlando cioè di qualcosa
che è già operativo, in forza dell’efficacia del decreto-legge, ma che in
realtà non lo è perché questa struttura, così com’è, non è in grado di
funzionare e, soprattutto, di risolvere quei problemi a cui hanno fatto riferimento i relatori e a cui ho
sentito fare riferimento pure dai
rappresentanti della maggioranza,
da ultimo anche l’esponente della Lega. Siamo qui in un momento
istituzionale delicatissimo per dare
anche questa volta - come abbiamo
già fatto nelle Commissioni e come
faremo presso il Comitato dei diciotto e in Assemblea - il nostro apporto
costruttivo nel merito, tenendo però
Legge n. 50 del 31 marzo 2010 - Conversione in legge, con modificazioni, del
decreto-legge 4 febbraio 2010, n. 4, recante istituzione dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati
alla criminalità organizzata
163
Temi per la legalità
presente che questi provvedimenti
devono avere un contesto adeguato
e non possono servire soltanto per
mettere una medaglietta sulla giacca: devono cioè riuscire a funzionare
e tanto ne siamo convinti che i nostri
emendamenti, la nostra attività nelle
Commissioni e la richiesta puntuale e determinata di audizioni hanno
fatto sì che vi sia da parte della maggioranza e dei relatori (il Governo
sul punto non lo abbiamo ancora
sentito pronunciarsi), la volontà di
tener conto di alcuni suggerimenti che proprio quel confronto nelle
Commissioni ha portato.
Dobbiamo infatti fare in modo di sapere dove si colloca questo provvedimento, in quale contesto. Nel campo
dei provvedimenti che qualificano
la lotta alla mafia sicuramente è stata fondamentale la legge n. 109 del
1996 che fu introdotta come normativa unica nel suo genere nel panorama internazionale, finalizzata alla
restituzione alla collettività di patrimoni delle organizzazioni criminali
attraverso il loro riutilizzo sociale,
produttivo e pubblico. Si è trattato di
una scelta di fondamentale importanza, non solo sul piano dell’azione
di contrasto del sistema di potere e
degli strumenti di condizionamento
propri delle organizzazioni criminali, ma anche dello sviluppo dell’economia di vaste zone del territorio
nazionale.
Tuttavia, nella fase applicativa quella legge non è apparsa sufficiente a
164
risolvere le molteplici problematiche
sottese alla gestione, alla destinazione, all’utilizzo dei beni confiscati
alla mafia. Tra i fattori di crisi ricordo: l’estrema lunghezza dei tempi intercorrenti tra la confisca definitiva e
il provvedimento di destinazione, il
degrado dei patrimoni, la perdita di
competitività e il rischio di fallimento di imprese sottoposte a sequestro,
il diseguale livello di professionalità degli amministratori giudiziari;
da più parti si è quindi segnalata da
tempo la necessità di una «cabina
di regia nazionale» che orientasse
l’azione delle istituzioni verso un
utilizzo effettivo dei beni.
La verifica delle criticità è importante per appurare poi se questo
decreto-legge, nel testo che oggi è
all’esame dell’Assemblea, sia idoneo
a risolverle. Le criticità maggiori
sono state rappresentate sicuramente
dal coinvolgimento di vari soggetti
pubblici (Agenzia del demanio, prefetture, amministrazioni statali, enti
pubblici e territoriali, soggetti privati, amministrazione giudiziaria) e da
una serie di questioni non definite
legislativamente quali, ad esempio,
la sorte delle ipoteche iscritte sui
beni immobili in epoca precedente
al sequestro o le mancate risorse finanziarie necessarie per finanziare
alcuni progetti.
Tutto ciò a fronte di un impegno
enorme delle forze di polizia e della
magistratura che risulta dai dati: di
8.933 beni immobili confiscati solo
Agenzia antimafia
5.400 sono stati destinati e 4.738
effettivamente consegnati (l’86 per
cento è stato destinato agli enti locali per finalità sociali, il restante
14 per cento allo Stato per fini istituzionali), per non parlare poi delle
aziende di cui solo l’11 per cento è
stato destinato alla vendita e all’affitto, mentre il restante 89 per cento
è andato in liquidazione. Sono stati
destinati comunque a 480 comuni
un numero di 3.796 beni immobili,
di cui il 47 per cento utilizzati.
Sono dati importanti perché testimoniano l’impegno, pur nella farraginosità delle procedure, pur nella difficoltà di acquisire effettivamente la
prova che quei beni sono lo strumento o comunque il provento o comunque sono destinati nell’ambito della
criminalità organizzata. Senza niente togliere al Ministro Maroni e a chi
ha voluto dire che soltanto il Ministro
Maroni è riuscito in questa impresa,
non ci dobbiamo dimenticare che la
proposta di istituire l’Agenzia è stata
avanzata dall’associazione «Libera
nomi e numeri contro le mafie» dal
2006. La proposta è stata oggetto di
dibattito e di specifiche proposte di
legge del Partito Democratico alla
Camera e al Senato. L’istituzione
di tale Agenzia risulta, inoltre, dai
lavori della Commissione parlamentare approvati all’unanimità il
27 novembre 2007 e nella relazione
del 2009 del commissario straordinario per i beni confiscati, Antonio
Maruccia. Tutte le proposte deline-
ano l’Agenzia quale soggetto che si
occupa della gestione durante tutto
l’iter della vicenda del bene, ma che
nella fase del sequestro giudiziario
si pone al servizio dell’autorità giudiziaria per l’amministrazione e la
proficua gestione, mentre nella fase
della confisca definitiva gestisce il
bene sino all’adozione del provvedimento di destinazione.
Dunque ho identificato adesso i punti critici che non hanno permesso la
destinazione totale di tutti quei beni
confiscati, di tutti gli immobili e delle
aziende frutto del grande impegno e
sacrificio di tutto un gruppo di azione che è dato dalle forze dell’ordine
e dalla magistratura. Bisogna fare
in modo, però, che dall’esperienza
applicativa si giunga a un provvedimento che sia veramente funzionale
alla lotta alla criminalità organizzata e non sia soltanto una medaglia.
Vorremmo che i provvedimenti che
escono da questo Parlamento servano
a fare un passo avanti e non a dire di
aver combattuto la lotta alla criminalità organizzata e magari poi di fatto
ci troviamo di fronte a strumenti ancora più farraginosi di prima.
Guardiamo, quindi, all’esperienza
positiva applicativa, cioè ai casi in
cui il giudice della prevenzione ha
potuto giovarsi di quel patrimonio di
informazioni e conoscitivo che scaturisce da quel rapporto fiduciario
e continuativo con l’amministratore
giudiziario. In molti casi lo scambio
costante di informazioni, l’efficace
165
Temi per la legalità
interazione tra l’organo giurisdizionale e l’amministratore, che invece
con questo decreto-legge viene spezzato, hanno rappresentato una vera e
propria carta vincente non solo per
sottrarre realmente il patrimonio alla
disponibilità del soggetto preposto
o delle persone a lui legate, ma per
estendere le misure di prevenzione
ad ulteriori beni prima ignoti.
Infatti per comprendere effettivamente le dinamiche economiche
relazionali presenti nelle imprese in
sequestro, per evidenziare i collegamenti operativi in ambienti mafiosi,
per costruire una solida piattaforma
probatoria che regga anche in relazione alla decisione sulla confisca,
non possiamo addivenire ad un progetto, quale quello delineato in questo decreto-legge forse troppo. Non
bisogna dimenticare quali erano gli
effetti positivi dell’instaurazione di
un dialogo diretto, continuo, anche
informale in queste zone particolari. Ma che cosa ci aspettiamo da una
relazione dell’amministratore giudiziario che secondo questo testo dovrebbe passare tramite l’Agenzia e
poi essere trasmessa trimestralmente al giudice? Che cosa ci aspettiamo
soprattutto nelle prime fasi così delicate affinché quel procedimento di
prevenzione o quel sequestro penale
vada a buon fine?
Siamo riusciti, anche grazie alla sensibilità dei relatori, a far permeare
questi elementi e questo patrimonio
conoscitivo attraverso audizioni svol166
tesi con velocità, con una presa di coscienza da parte di tutti noi di quanto
fosse importante far in modo che fosse emanato un provvedimento funzionale allo scopo e non soltanto uno
slogan: abbiamo dato vita all’Agenzia
per i beni confiscati alla mafia.
Quindi, come si legge nella relazione, tra le finalità del decreto-legge in
oggetto vi è il tentativo di accorpare in un unico organo tutte le fasi,
si pecca, tra virgolette, di superbia,
perché non si tiene conto delle esperienze positive che si sono verificate.
Solo con il confronto parlamentare con l’apertura che, in questo senso,
mi auguro vi sarà da parte di tutta
la maggioranza e con l’impegno costante e continuo, comunque, e ad
ogni costo, dell’opposizione - forse
potrà uscire da questo Parlamento
un provvedimento che costituisce
l’Agenzia per i beni confiscati alla
mafia, che non sia soltanto un modo
per fregiarsi di un titolo di merito.
Sicuramente è positiva la parte del
provvedimento in cui si prevede il
trasferimento all’Agenzia delle competenze del prefetto in materia di destinazione dei beni confiscati, nonché la regolazione dei rapporti tra
l’Agenzia del demanio per l’amministrazione e la custodia dei beni. Infatti, si cerca di accorciare le distanze e di evitare la burocratizzazione
delle procedure, che hanno portato
ad un rallentamento dell’ultima fase,
che arriva fino alla programmazione
della destinazione del bene.
Agenzia antimafia
Vediamo come viene composta
l’Agenzia. Si tratta di un ente pubblico, posto sotto la vigilanza del Ministero dell’interno, che avrà la propria
sede a Reggio Calabria. Anche con
riferimento a questo aspetto, non
abbiamo presentato proposte emendative specifiche, tuttavia teniamo
presente che nel decreto-legge in
oggetto è prevista anche la possibilità di istituire delle sedi secondarie,
perché, in ogni caso, il raccordo dovrà essere su tutto il territorio.
L’ente si avvale di alcuni organi: il
consiglio direttivo e il collegio dei
revisori. Riteniamo che nel consiglio direttivo possano esservi anche
altre rappresentanze, proprio perché
l’Agenzia ha scopi che riguardano sia
l’autorità giudiziaria e, quindi, la fase
prettamente giudiziaria, sia la fase
susseguente e, quindi, il rapporto specifico che vi è anche con gli enti territoriali. Sicuramente sarà importante
che l’Agenzia in discussione raccolga
tutti gli elementi informativi sullo
stato dei procedimenti di prevenzione
penale e i dati di interesse relativi ai
beni confiscati e sequestrati, insieme
all’analisi finalizzata alla progressiva
programmazione dell’assegnazione
e della destinazione dei beni in vista
della confisca.
Con riguardo, ad esempio, alla modalità di svolgimento dei compiti affidati al nuovo organismo, l’articolo
3, comma 2, del decreto-legge in discussione stabilisce che «l’Agenzia
provvede all’amministrazione dei
beni sequestrati e confiscati e addotta i provvedimenti di destinazione
dei beni confiscati per le prioritarie
finalità istituzionali e sociali, secondo le modalità indicate dalla legge
31 maggio 1965 n. 575».
Tanti e molteplici sono i compiti
dell’Agenzia, che potrà avvalersi
di soggetti esterni, e potrà e dovrà
avere rapporti con l’autorità amministrativa. Ciò, da un lato, lascia un
po’ perplessi, dall’altro lato, ci costringe a verificare soluzioni che non
facciano divenire questa Agenzia
soltanto un punto di riferimento di
raccolta delle informazioni, e conferimenti di incarichi, essendo un ente
«a struttura leggera». In realtà, per il
collegamento con l’amministrazione
dei beni sequestrati e confiscati, essa
si avvale, e dovrà avvalersi, delle
prefetture territorialmente competenti; si avvarrà anche dell’Agenzia
del demanio per l’amministrazione e
la custodia dei beni.
Ma qual è il punto debole, il punto
di mera apparenza di questa costruzione: l’Agenzia - che alla fine, consta soltanto di trenta persone perché
è stata congegnata come un ente
a struttura leggera - in realtà potrà
anzi dovrà farsi coadiuvare, per le
amministrazioni dei beni confiscati,
da tecnici o altre persone retribuite.
Dunque, che facciamo? L’enorme
mole dei compiti affidati all’Agenzia
potrà essere espletata soltanto con il
ricorso ad altra autorità amministrativa o tecnici esterni.
167
Temi per la legalità
Se dovessimo rimanere fermi all’attuale formulazione del testo, che
cosa avremmo? Avremmo il sequestro, l’intervento dell’autorità giudiziaria e la subitanea immissione in
possesso da parte dell’Agenzia, la
quale, però, non sarebbe in grado di
gestire direttamente e, quindi, non
vi sarebbe quel risparmio di tempo
e di denaro che viene palesato come
la finalità, come l’uovo di Colombo
del provvedimento legislativo. In realtà, vi è un ulteriore passaggio: vi è
un’Agenzia che deve nominare l’amministratore giudiziario.
Si dice che bisogna creare un unico
centro decisionale, che bisogna sollevare la magistratura da una serie
di incombenze essenzialmente amministrative, che bisogna fare in
modo che si esca da un’emergenza
gestionale dei beni sequestrati e che,
tra l’altro, si vogliono effettuare risparmi in termini di costi e di tempo:
in realtà, questa struttura, così come
è stata congegnata, non è in grado di
funzionare e di risolvere quei problemi, di cui ho parlato nella prima
parte del mio intervento, che hanno
consentito la completa efficacia, di
quell’intuizione geniale e grandiosa
- introdotta con la legge n. 109 del
1996 - consistente nell’aggressione
della criminalità organizzata nel suo
punto più vivo, ossia la parte economica dei patrimoni.
Pertanto, il nuovo intervento legislativo così com’è, è destinato a
non funzionare, se non addiverrà a
168
quelle correzioni - da noi proposte
negli emendamenti e che verificheremo nel Comitato dei diciotto - finalizzate ripristinare quel rapporto
diretto, imprescindibile e necessario
dell’amministratore con l’autorità
giudiziaria, e con l’Agenzia: questi
tre organi, infatti, devono cooperare, ognuno nei propri ruoli, per poter
fruire al meglio ognuno delle rispettive competenze e del proprio patrimonio di conoscenza.
Solo così questo testo potrà funzionare: e ciò sarà possibile solo grazie
all’apporto dell’opposizione, oltre
che all’intelligenza dei relatori e,
speriamo, del Governo. Infatti, la
scelta di realizzare questo provvedimento mediante un decreto-legge, se
non vi fosse stata la nostra tenacia,
la nostra volontà di non far comunque uscire dal Parlamento (anche se
non siamo noi al Governo) un testo
che non funziona, avrebbe portato ad istituire un’altra scatola vuota. Questo era il rischio principale:
speriamo di riuscire ad evitarlo veramente. Su questa linea, si orienta
ed è condizionato anche il nostro
voto, la condivisione da parte nostra
del provvedimento, che ovviamente
sosteniamo nella sua idea di fondo,
l’Agenzia, trattandosi di un istituto
per cui ci siamo battuti da tempo.
Non sono stati il Ministro Maroni o
il Ministero dell’interno a coniarlo,
ma hanno tenuto conto di una serie
di elaborazioni e hanno fatto bene,
ma nella fretta di mettersi una me-
Agenzia antimafia
daglia al petto hanno costruito qualcosa che è rischiosissimo. Si pensi
al fatto che un amministratore giudiziario rimarrebbe solo di fronte
ad alcuni rapporti e alcune pressioni
che può subire durante il suo intervento - soprattutto nella prima fase,
quando il provvedimento non è definitivo o comunque non si trova già
in una fase avanzata - con una serie
di rapporti scritti e cartacei che non
risolvono le problematiche, soprattutto di quel tipo e in quei contesti.
L’altro punto importante è quello
che riguarda la procedura di vendita degli immobili e dei beni confiscati oggetto di un ulteriore recente
intervento legislativo. Ho sentito le
indicazioni che vengono dal relatore,
l’onorevole Contento, e mi sembra
che, sostanzialmente, il testo delle
sue proposte tenga conto delle nostre indicazioni, sebbene saremo in
grado di capirlo meglio solo quando
potremo leggere le modifiche.
A tale riguardo, devo avanzare anche un’altra nota critica. La norma
ora in vigore, l’articolo 2-decies
della legge 31 maggio 1965, n. 575,
afferma che la destinazione dei beni
immobili e dei beni aziendali è effettuata con provvedimento del direttore dell’Agenzia, previa delibera del
consiglio direttivo, entro il termine
di novanta giorni dalla comunicazione del provvedimento definitivo,
prorogabile di ulteriori novanta giorni in caso di relazioni particolarmente complesse. Ove non sia possibile
effettuare la destinazione al trasferimento entro i termini previsti, fermo
restando il parere del prefetto e della
provincia interessati, si può andare
alla vendita. Se il divieto di vendita
era l’elemento qualificante della disciplina del 1996, quello più innovativo che, oltre ad una efficacia diretta nell’acquisizione del patrimonio,
aveva anche un significato dimostrativo rispetto alla società civile, certamente questa norma, che abbiamo
già criticato perché contrastante con
lo spirito della lotta alla criminalità
organizzata, in questo testo non ha
più ragione di essere così com’è.
Se andiamo a «coniare» un’agenzia
che attraverso la contrazione dei
tempi entra immediatamente nel
possesso dei beni sequestrati, come
possiamo pensare e giustificare che
per lungaggini burocratiche, cioè
per effetto del passaggio di centottanta giorni possa poi addivenire alla
vendita? Si tratta di un’altra delle superficialità di chi, nella fretta di propinare con un decreto-legge un testo
che andava adeguatamente approfondito, ha fatto in modo che non ci
fosse questo raccordo. Al contrario,
questo raccordo dobbiamo volerlo
con tutte le nostre forze; dobbiamo
volere un organismo, l’Agenzia, che,
in quanto tale, in quanto collabora
con il giudice sin dall’inizio affiancandolo e in quanto già inizia a predisporre e a proporre programmi di
utilizzo del bene, non avrà alcuna
necessità di far decorrere centottan169
Temi per la legalità
ta giorni per giustificare la vendita
all’asta dei beni confiscati.
Pertanto, quello che è anche stato
evidenziato in sede di audizioni, ma
su cui ci siamo battuti da mesi, è di
prevedere la vendita solo in casi oggettivamente eccezionali, laddove in
maniera documentata l’Agenzia - e
questa volta effettivamente, individuando un soggetto responsabile
- possa documentare che si sia dinanzi a un bene che non può essere
utilizzato in termini di destinazione
sociale e pubblica. In questi casi si
deve poi intervenire in modo tale
che vi sia anche il parere vincolante
del prefetto.
Su questo punto mi rivolgo all’onorevole Contento, auspicando che il
parere del prefetto sia vincolante
e che non si stabilisca solo di sentire il prefetto obbligatoriamente.
Insomma, si deve fare in modo che
il parere del prefetto sia vincolante sulla decisione finale. Il prefetto,
come oggi ho sentito con piacere
dalle parole dell’onorevole Contento, deve avere come riferimento non
solo la ricerca di tutti i legami che
possono essere ostativi alla vendita di quel bene o, comunque, alla
sua assegnazione a chi si manifesta
come acquirente, ma deve anche
svolgere, dato che ne ha i poteri,
delle indagini in ordine all’impiego
dei capitali per l’acquisto.
Proprio chi ha operato per anni
nell’ambito dei procedimenti di
170
prevenzione ha sottolineato in sede
di audizioni quanto sia importante
che questi beni non siano venduti
all’asta, perché l’asta, con il ribasso, può provocare il reinserimento
di quei beni tramite soggetti nella
disponibilità della criminalità organizzata. Se ciò accadesse diverrebbe
poi tutto difficilissimo e sarebbe una
sconfitta enorme nei confronti del
contesto sociale, economico e politico e, quindi, sarebbe una vittoria
della mafia.
Mi sembra di aver capito dalla relazione dei relatori che il Governo
sembra ben disposto ad accogliere
le nostre proposte e emendative e
che si intende riferirsi a una vendita
a prezzo di mercato o, comunque, a
delle modalità di vendita che possano garantire concretamente che non
vi sia il reimpiego di denaro sporco.
Non dobbiamo avallare alcun modo
subdolo, che agevoli la criminalità a
rientrare in possesso di quel patrimonio confiscato che è il frutto che
tanto lavoro, tante energie, tanto denaro pubblico e tante aspettative.
Infatti, ogni procedimento di sequestro e di confisca vi sono delle persone che hanno investito la loro vita,
anche mettendola a rischio nella lotta alla criminalità.
Credo, quindi, che tutti i nostri sforzi
debbano cercare di fare in modo che
questo provvedimento sia un passo
ulteriore, definitivo, concreto e funzionale per arrivare a un risultato che
Agenzia antimafia
possa garantire che effettivamente
tutto il Parlamento, senza distinzioni, voglia veramente realizzare uno
strumento efficace all’apprensione
dei beni e che possa contribuire alla
sconfitta definitiva della criminalità
organizzata.
Questo può essere uno dei modi. Ve
ne sono altri, che conosciamo tutti,
ma sicuramente questo, ossia quello
dei patrimoni e dei beni confiscati
alla mafia, è sicuramente uno degli
strumenti più importanti e più incisivi (Applausi dei deputati del gruppo
Partito Democratico).
171
Temi per la legalità
172
Competenza sui reati di grave allarme sociale
Seduta n. 302 di martedì 30 marzo 2010
Competenza sui reati di grave allarme sociale
Discussione sulle linee generali
Signor Presidente, onorevoli colleghi, rappresentante del Governo, il
decreto-legge del 12 febbraio 2010, n
10, emanato dal Governo, ha cercato
di porre rimedio alle conseguenze
che si erano determinate in tema di
competenza dei procedimenti per reati di associazione mafiosa a seguito
delle modifiche apportate all’articolo
416-bis dalla legge n. 251 del 2005,
dalla cosiddetta legge ex Cirielli.
Quest’ultima infatti, innalzando le
pene previste all’articolo 416-bis, in
particolare quelle riservate ai promotori, ai capi e agli organizzatori
dell’associazione armata, ha fissato
il limite massimo edittale della pena
a 24 anni di reclusione: limiti coincidenti con quelli fissati dall’articolo
5, comma 1, lettera a) del codice di
procedura penale, prima della modifica del decreto-legge, per identificare il criterio quantitativo di appartenenza alla competenza della Corte
di assise.
Per quattro anni, gli effetti indiretti della modifica legislativa sono
rimasti sopiti, fino a che la questio-
ne non è stata portata di fronte alla
Corte di Cassazione da un conflitto
di competenza sollevato dalla Corte
di assise di Catania, a seguito della
trasmissione degli atti da parte del
tribunale di Catania, dichiaratosi incompetente. La Corte, nella sentenza del gennaio 2010 che ha segnalato
anche il relatore, la n. 4964, ha affermato che, qualora la consumazione
del reato di cui sopra si fosse protratta oltre l’entrata in vigore della legge Cirielli, trattandosi di reato permanente associativo, doveva essere
giudicato dal giudice di competenza
superiore, cioè la Corte di assise; venendo così attratto anche il delitto
di partecipazione, necessariamente
connesso a quello commesso di rango primario.
La puntualizzazione di tale principio
interpretativo da parte della Corte ha
fatto emergere gli effetti devastanti
a catena che potevano derivare con
riferimento a procedimenti relativi
ad associazione di tipo mafioso pendenti in dibattimento dinanzi al tribunale per reati la cui consumazio-
Legge n. 52 del 6 aprile 2010 - Conversione in legge, con modificazioni, del
decreto-legge 12 febbraio 2010, n. 10, recante disposizioni urgenti in ordine
alla competenza per procedimenti penali a carico di autori di reati di grave
allarme sociale
173
Temi per la legalità
ne si era protratta dopo il dicembre
2005, con il rischio di dover interrompere la loro celebrazione per la
dedotta incompetenza del giudice,
peraltro rilevabile d’ufficio; con il
rischio, anche per i processi pendenti in secondo grado di legittimità, di
regressione processuale, tale da incidere anche sui termini custodiali ed
il conseguente azzeramento di gravi
processi per mafia.
Ma il decreto-legge, di cui stiamo
discutendo in sede di conversione,
non si è limitato, ricorrendone i presupposti di necessità ed urgenza,
ad ovviare sul piano normativo alle
conseguenze negative processuali che nei confronti della lotta alla
criminalità organizzata si sarebbero realizzate, ma ha approfittato
per introdurre in maniera assolutamente disorganica un’altra parte del
disegno di legge n. 1440 che era in
corso di esame al Senato: l’articolo
1, riguardante l’ampliamento della
competenza della Corte di assise a
tutti i reati la cui cognizione nella
fase di indagine appartiene alla procura distrettuale. Ancora una volta,
con il solito metodo di procedere ad
interventi settoriali, non ragionati,
non valutati e a costo zero, senza
tener conto che un aumento della
competenza per materia della Corte
di assise significa aumentare il numero delle sezioni, e in assenza di
correttivi degli organici non può che
determinare un’ulteriore dilatazione
dei tempi processuali, per di più con
174
riferimento a delitti di particolare
gravità, e in palese violazione del
tanto richiamato principio della durata ragionevole dei processi.
Inoltre, la natura specialistica
dell’indagine preliminare delle risorse investigative, insieme alla
complessa valutazione del materiale
probatorio sottoposto al giudicante,
e alla complessità tecnico-giuridica
delle questioni processuali, privilegia la giurisdizione del giudice togato, ed è estranea al giudice popolare,
indicato per la valutazione di fatto,
per i giudizi di qualità del reato, del
reo, sulla quantificazione della pena;
con il rischio, per i giudici popolari,
di essere di fatto emarginati dal circuito decisionale, affidato completamente ai due giudici professionali
che compongono la Corte. Infine, le
giurie popolari sono maggiormente
esposte nelle regioni a più alta densità di criminalità organizzata, che
non sono necessariamente quelle
del sud, a condizionamenti e ad intimidazioni, ed uguale rischio deriva
dalla proliferazione di procedimenti
a carico di cellule terroristiche internazionali, i cui dati ufficiali pongono l’Italia al primo posto tra i Paesi
occidentali per il numero dei processi celebrati contro il terrorismo
al-qaedista, e ciò rafforza i profili di
incolumità e sicurezza delle Corti,
che sarebbe bene non trascurare.
Così come non è da trascurare che
l’incremento delle pendenze dinanzi
alla Corte di assise porterà ad uno
Competenza sui reati di grave allarme sociale
sforzo anche economico, oltre che
organizzativo, non previsto e non
considerato dal Ministero della giustizia, anche perché l’articolo 65 del
decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002 ha determinato
un aumento delle indennità spettanti
ai giudici popolari. È il solito modo
di concepire le riforme sulla giustizia come interventi estemporanei,
provocatori, che dimostrano in realtà
il disinteresse per la giustizia, quasi
il gusto di provocarne il definitivo
affossamento.
In ogni Paese in cui vi sono giurie
e corti con giudici popolari vi è una
ben precisa distinzione di ruoli: la
giuria giudica il fatto circa la responsabilità o meno dell’imputato,
il giudice decide il quantum della
pena, risolve le questioni tecniche,
fornisce il resoconto tecnico della
decisione (e le sentenze di quei giudici sono immediatamente esecutive
e non soggette all’appello dinanzi
alle altre giurie popolari); in Italia la
Corte di assise è un ibrido e, per sua
natura, residuale, se si pensa - come
ha sottolineato anche in Senato il
senatore D’Ambrosio - che vi è ancora l’anacronistica distinzione tra
il titolo di studio richiesto al giudice
popolare di primo e a quello di secondo grado.
Tutte queste critiche sono state affrontate in maniera approfondita al
Senato dal gruppo del Partito Democratico e dalle altre forze di opposizione e il testo licenziato dal Senato
è stato sicuramente migliorato, ma
non ha superato tutte le preoccupazioni di disarmonia con il sistema.
In particolare, l’articolo 1, comma
1, che ha modificato l’articolo 5 del
codice di procedura penale, interviene in tema di competenza per la materia della Corte di assise ed incide
conseguentemente sulla competenza
residuale del tribunale. Il testo del
comma 1 trasmesso dal Senato prevede la sostituzione integrale della
lettera a) e l’inserimento di una lettera d-bis), esclude dalla competenza
della Corte di assise i delitti comunque aggravati di associazione di tipo
mafioso anche straniero ed inscrive
poi tra le competenze della Corte di
assise il sequestro di persona a scopo di estorsione.
In più, con la lettera d-bis) affidate a
tale Corte altre competenze inizialmente non previste, ossia i reati di
recente istituzione di cui agli articoli 600, 601, 602 del codice penale,
vale a dire quelli che attengono alla
riduzione in schiavitù e alla tratta di
esseri umani, perché - si afferma essi costituiscono reati spregevoli
che suscitano forte allarme sociale
ed ineriscono alla libertà della persona e all’autodeterminazione della stessa; in più, sono state affidate
l’associazione a delinquere diretta a
commettere taluno dei delitti di cui
sopra (ovvero di cui agli articoli 600,
601 e 602 del codice penale, e di cui
all’articolo 12 comma, 3-bis, del testo unico dell’immigrazione riguar175
Temi per la legalità
dante appunto ipotesi aggravate di
favoreggiamento della prostituzione)
nonché i delitti con finalità di terrorismo, sempre che per tali delitti sia
stabilita la pena della reclusione non
inferiore nel massimo a dieci anni.
Ma andiamo a verificare che cosa
cambia in realtà perché, mentre
adesso per il profilo della pena
(quei 24 anni di cui abbiamo parlato all’inizio) già rientrano nella
competenza della Corte di assise gli
articoli 600, comma 3 (riduzione in
schiavitù aggravata), 601, comma 2
(tratta di persone) e 602, comma 2
(acquisto e alienazione di schiavi),
in base a questa novella vi sarà la
traslazione di una serie di procedimenti che, da una tabella che è stata
allegata ad una relazione presentata
dalla procura nazionale antimafia al
Senato, prevedrà solo per quegli articoli una serie di ulteriori evenienze
non considerate anche a livello organizzativo, come ho detto prima, di
circa 400 procedimenti iscritti e di
iscrizioni pendenti per oltre 2 mila
procedimenti.
Così come a nostro avviso, ciò è stato
anche segnalato nella discussione al
Senato, è una misura irragionevole e
meramente ad effetto propagandistico la trasmissione alla competenza
della Corte di assise dell’associazione a delinquere semplice connessa all’immigrazione clandestina,
laddove il provvedimento nasce e si
qualifica per escludere la cognizione
proprio del giudice popolare della
176
Corte di assise per l’associazione
mafiosa comunque aggravata ed anche straniera.
Senza contare gli effetti che possono derivare da quella vis attractiva
verso il giudice popolare, prevista
dall’articolo 15 del codice penale,
dei delitti meno gravi: proprio l’associazione finalizzata all’immigrazione clandestina, rispetto ai delitti
più gravi quali l’associazione mafiosa, potrà determinare quindi che la
competenza trasmigri a quella Corte
di assise cui si è voluto ovviare nelle
finalità apparentemente dichiarate di
questo provvedimento.
È ovvio che alla fine limando l’articolo 1, lettera b), con l’aggiunta
della lettera d-bis, che inizialmente
prevedeva la traslazione ai giudici
popolari della Corte d’assise di tutti
i provvedimenti di competenza della
procura distrettuale, è rimasto come
«contentino» che si è voluto dare
proprio per una questione propagandistica e non da un punto di vista
organizzativo e ponderato. Prima di
fare delle riforme bisogna avere la
visione di quello che si va a realizzare sul sistema per non sfasciarlo
e per non produrre ulteriori effetti
devastanti.
Si è detto anche al Senato da parte
di tutti gli esponenti dell’opposizione che, se si doveva rivedere la
competenza della Corte di assise
(questo decreto doveva mirare ad
eliminare soltanto gli effetti negativi
Competenza sui reati di grave allarme sociale
conseguenti all’inasprimento della
pena derivato dalla legge Cirielli,
che aveva prodotto quegli effetti in
corso d’opera), questa doveva essere
rivista all’interno di un sistema complessivo organico che tenesse conto
di tutti quegli aspetti che ho segnalato all’inizio del mio intervento, laddove si fa riferimento alla peculiarità
della nostra Corte di assise che è un
giudice ibrido, in cui i giudici popolari sono allo stesso livello di quelli
togati e dove, peraltro, per questioni
tecniche e giuridiche, il giudice togato avrà una preponderanza (saranno solo due i giudici togati).
Inoltre, la Corte d’assise sarà maggiormente esposta a tutti quei fattori di intimidazione che possono
proprio derivare da una valutazione
dei reati associativi. Si esclude dalla
competenza della Corte di assise il
reato di associazione mafiosa, anche
straniera, e invece si reintroduce,
soltanto per dare una visibilità popolare e propagandistica, l’associazione finalizzata all’immigrazione clandestina. Questa modifica apportata
dal Senato è rimasta incongruente
anche per il fatto che potremmo avere dei reati meno gravi che attraggono, poiché sono di competenza del
giudice superiore in Corte d’assise,
anche quei reati che sono stati invece individuati e che costituiscono la
finalità primaria di questo provvedimento presso il tribunale. Avremmo,
quindi, l’annullamento degli effetti
di questo provvedimento.
Per questo motivo abbiamo presentato i nostri emendamenti (sono soltanto tre) che vanno nella direzione
conforme a quella che era la ratio di
questo decreto-legge. Cominciamo
a varare i decreti-legge riferendoci
ai presupposti della decretazione:
la necessità e l’urgenza di intervenire in una materia. Lasciamo alle
Commissioni referenti, e alle Aule
parlamentari, di provvedere alle riforme e, quindi, anche alle modifiche di competenza legislativa, con la
cognizione, con il tempo, e con gli
approfondimenti necessari a realizzare riforme che abbiano un impatto
sul sistema.
Voglio capire chi gestirà questi 400
procedimenti (pendenti alla data
dell’audizione del viceprocuratore
antimafia nel 2000), già iscritti in
base agli articoli 600, 601, 602 del
codice penale, considerato che le
Corti di assise hanno un numero limitato di istituzioni. Corti di assise
che, inoltre, come è stato sottolineato - credo che sia una cosa importante - richiedono come titolo di studio
per l’accesso al primo grado la terza
media inferiore (superiore soltanto
per la Corte d’appello). Tutto ciò è
anacronistico e, comunque, non può
reggere l’impatto di valutazioni di
particolare rilevanza.
Vi sono poi altre disposizioni che ci
sembrano transitorie e che forse non
sono state particolarmente meditate
dal Governo.
177
Temi per la legalità
Infatti l’articolo 1, comma 2, prevede l’applicabilità di nuovi criteri di
ripartizione di competenza tra tribunale e Corte d’assise anche a procedimenti in corso alla data di entrata
in vigore del decreto-legge, ma non
proprio alla data di entrata in vigore del decreto o con riferimento alla
legge di conversione (come normalmente è previsto anche nelle disposizioni generali), bensì limitatamente
ai casi in cui al 30 giugno 2010 (dopo
ben oltre quattro mesi dall’entrata in
vigore non solo del decreto ma anche della legge di conversione) non
sia stata esercitata l’azione penale da
parte del pubblico ministero. È una
norma che contrasta con il principio
del giudice naturale precostituito e
che non è motivata.
Noi abbiamo anche cercato di valutare se nella relazione, nelle premesse da parte del Governo, vi fosse una
motivazione di carattere generale
che potesse in qualche modo giustificare tale individuazione dell’entrata
in vigore, che crea un differimento
e rimette l’individuazione del giudice naturale a qualcosa che avviene
dopo l’entrata in vigore del provvedimento, mentre sappiamo tutti che
il principio del giudice precostituito significa che l’organo giudicante
deve essere individuato in base alle
regole di competenza prima che il
reato venga commesso.
Si tratta di un principio - che peraltro la stessa maggioranza ha più volte contestato e messo in discussione
178
- che rimette alla discrezionalità del
pubblico ministero, mediante la scelta del tempo di esercizio dell’azione
penale, l’individuazione del giudice
competente entro una data, priva
di qualsiasi giustificazione logica,
successiva all’entrata in vigore della
legge di conversione.
A proposito di tale questione abbiamo presentato un emendamento, uno dei tre da noi proposti. Noi
condividiamo la ratio originaria del
provvedimento in esame, ma - come
hanno sottolineato anche i colleghi
del Senato, durante i lavori in Commissione, in Aula e fino alle dichiarazioni finali - rimangono dei punti
critici, che non sono stati superati e
che potevano benissimo esserlo.
L’articolo 2, che deroga alla regola
generale per i procedimenti in corso e che rappresenta l’individuazione primaria dell’esistenza di questo
decreto, eccepisce la regola generale
prima citata (la data di entrata in vigore del decreto-legge) relativamente ai delitti comunque aggravati di
cui all’articolo 416-bis del codice penale, prevedendo la competenza del
tribunale anche nelle ipotesi in cui è
stata esercitata l’azione penale, salvo
che prima della suddetta data sia stato dichiarato aperto il dibattimento
di fronte alla Corte d’assise.
Mi permetto di rappresentare che sicuramente - come giustifica la relazione illustrativa - tale disposizione
è stata bene inserita in relazione al
Competenza sui reati di grave allarme sociale
rischio concreto dell’annullamento di tanti dibattimenti complessi
(quindi relativi a complesse indagini) incardinati presso i tribunali, e
a quello della scadenza dei termini
di custodia cautelare a seguito della sentenza della Cassazione dell’8
febbraio 2010. In realtà questa finalità andava presa in considerazione
relativamente al momento in cui si
instaura il dibattimento, perché sappiamo tutti che, dal punto di vista
processuale, tra la dichiarazione di
apertura del dibattimento e l’inizio
della procedura dinanzi al giudice
presso il quale si è incardinato il
giudizio di primo grado possono esserci delle udienze, quindi delle attività preliminari che non sarebbero
salvate.
L’articolo 492, cui fa riferimento
nella relazione illustrativa il relatore,
stabilisce infatti che la dichiarazione di apertura del dibattimento abbia luogo dopo la costituzione delle
parti e la trattazione delle questioni
preliminari. Chiunque frequenta
un’aula di giustizia sa che nei processi più complessi questi adempimenti preliminari possono protrarsi
anche per diverse udienze. Credo
sia necessario un intervento correttivo e in questo senso deve andare
un contributo ulteriore. Questo decreto-legge, posto in essere non per
ampliare la competenza della Corte
d’assise (come poi è stato utilizzato,
ma in maniera ridotta grazie all’intervento dell’opposizione al Senato),
è stato coniato proprio per evitare
l’effetto devastante di annullamenti
di processi già incardinati.
Pertanto, se questa è la ratio primaria, deve essere previsto che i procedimenti siano bene incardinati presso il tribunale, pur essendo variata la
competenza; laddove, invece, siano
stati incardinati presso la corte d’assise, a questo punto, sicuramente, si
deve fare riferimento all’instaurazione.
Questo è il contributo che il Partito
Democratico ha voluto esplicitare.
Auspichiamo che il Governo tenga
conto di queste indicazioni per poter
condividere appieno un provvedimento di urgenza che è stato adottato con finalità, sicuramente, condivisibili (Applausi dei deputati del
gruppo Partito Democratico).
179
Temi per la legalità
180
Piano antimafia
Seduta n. 328 di mercoledì 26 maggio 2010
Piano antimafia
Discussione sulle linee generali
Signor Presidente, i temi oggetto
di questa legge delega sono sicuramente molto complessi, anche il
titolo è molto impegnativo: piano
straordinario contro le mafie. Forse avremmo preferito poter trattare
questa materia attraverso l’esame
di una proposta di legge articolata
- più che una legge delega - e quindi chiara, delimitata nei contenuti
e nelle finalità. Sarebbe stata sicuramente una scelta più appropriata,
anche perché dal Parlamento, con il
voto del Parlamento sarebbe uscita
una proposta, una normativa immediatamente applicabile.
Comunque non ci siamo tirati indietro, il Partito Democratico in
Commissione giustizia - anche con
tempi veramente poco ampi, data la
materia e l’ampiezza dei filoni su cui
si intende intervenire - ha cercato di
mantenere la propria condotta, che
è stata illustrata da tutti i colleghi
che sono intervenuti, di cercare di
rafforzare gli strumenti di lotta integrata alla mafia. Questo soprattutto
sul fronte patrimoniale, prevedendo,
in particolare - e questa è una delle
finalità di cui ulteriormente chiediamo al Governo e al relatore di farsi
carico - l’attuazione di quei provvedimenti di cooperazione giudiziaria
stabiliti dall’Unione europea che
ancora dal 2005, dal 2006 risultano
inattuati, rafforzando poi quei poteri di indagine e di coordinamento
dell’autorità giudiziaria, con la specializzazione anche delle squadre investigative, che costituisce, a nostro
avviso, uno dei momenti culminanti
della lotta effettiva alla criminalità
organizzata. Una lotta alla criminalità organizzata che deve tendere anche a rimuovere e a individuare ogni
intestazione fittizia o di comodo dei
patrimoni.
Occorre in particolare cercare di
andare verso un modulo procedimentale, quello delle misure di prevenzione, personali o patrimoniali,
che tenga conto della peculiarità di
questo particolare strumento processuale. Tale procedimento, se da
un lato non può non tener conto dei
diritti della difesa e quindi del giusto
processo, deve saper incidere però in
modo diretto, definitivo, sostanziale
Legge n. 136 del 13 agosto 2010 - Piano straordinario contro le mafie, nonché delega al Governo in materia di normativa antimafia
181
Temi per la legalità
sui beni, sulle persone, sulla libertà di iniziativa economica di cui la
criminalità organizzata si avvale per
scardinare i principi del nostro ordine costituito.
Di qui una necessità assoluta, un
passo che ancora deve essere fatto:
ci attendiamo che ci sia un’attenzione specifica da parte del Governo e
del relatore in questi termini, di riconoscere la necessità che le misure di
prevenzione personale e patrimoniale possano essere applicate indipendentemente, in maniera disgiunta,
anche a prescindere dall’attualità mi riferisco alle misure patrimoniali
- della pericolosità sociale del proposto, come peraltro affermato anche
nel cosiddetto pacchetto sicurezza
del 2008 e non coordinato con una
normativa (articolo 2-ter della legge
n. 565 del 1997) che è ancora in vigore. Questo perché questo disegno
di legge delega si propone un’idea
ambiziosa; non soltanto fare un coordinamento di norme esistenti, ma
innovare e in qualche modo coordinare queste norme che possano essere finalmente non un susseguirsi
di interventi immediati ed urgenti,
ma un complesso coordinato, uno
strumento efficace nelle mani degli
operatori.
Un altro punto che vorrei sottolineare come qualificante, e che dev’essere in qualche modo recepito anche
nella nostra indicazione al Governo,
riguarda il fatto che, se si sono voluti prevedere dei termini all’efficacia
182
del sequestro (mi riferisco alle misure di prevenzione patrimoniale), tali
termini, che possono avere una loro
logica, devono tenere conto della
complessità degli accertamenti. Infatti, affinché tali termini siano efficaci, vi è la necessità - laddove vi sia
un intervento complesso, quale ad
esempio un accertamento peritale o
bancario - di sospendere in qualche
modo il decorso di quel termine veloce, altrimenti è inutile intervenire
e la lotta alla criminalità diventa soltanto uno slogan. Al contrario, noi ci
siamo adoperati e stiamo cercando
di lavorare affinché, da questo disegno di legge, derivi uno strumento
- speriamo e ci auguriamo condiviso - di effettiva lotta alla criminalità
organizzata.
Inoltre, anche in raccordo con il
provvedimento che ha istituito
l’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni
sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, riteniamo che sia
il momento di qualificare cosa sia il
«terzo in buona fede», ossia colui
che è terzo in buona fede rispetto ad
un patrimonio confiscato. Ciò consentirebbe poi all’Agenzia - che si fa
amministratore e che deve destinare
quel bene alla pubblica utilità - di
destinare effettivamente quel bene,
di liberarlo dai vincoli che ad esso
sono stati posti, ma che non sono
stati posti in buona fede, né senza
colpa: sono vincoli di garanzia (parliamo anche di vincoli bancari), che
Piano antimafia
non si potevano non conoscere e per
i quali non si poteva non sapere che
si trattava di un’attività illecita e che
costituiva il frutto e l’impiego di
un’attività criminale.
Su questo punto chiediamo che vi sia
una parola importante e chiara nella
legge delega. Come dicevo prima,
avremmo preferito una normativa
immediatamente precettiva, ma a
questo punto pretendiamo che ci sia
una direttiva chiara e certa da parte
del legislatore delegante. Questo è
un aspetto sicuramente qualificante.
Un momento altrettanto qualificante - che ha avuto il nostro apporto
e il nostro favore - riguarda la tracciabilità dei flussi del finanziamento
pubblico. Riteniamo che una strategia organizzata e rigorosa debba essere accompagnata da un principio
di trasparenza del procedimento di
erogazione e gestione del pubblico finanziamento e, quindi, anche
del progetto finanziato. Dev’essere
chiaro il principio di tracciabilità dei
flussi di spesa, così come dev’essere messa a punto - e in questo senso
abbiamo lavorato in Commissione
- una strategia di controllo e monitoraggio, unitamente a strategie di
contrasto all’uso illecito del sistema
finanziario, di prevenzione dell’infiltrazione mafiosa nel sistema economico e finanziario.
Vi è, dunque, un’esigenza di trasparenza rafforzata, che si è concretizzata - anche a seguito delle proposte
emendative presentate dal Partito
Democratico e recepite dal Governo
- in una obbligatorietà di pagamenti
attraverso le forme del bonifico, dei
pagamenti telematici, su conti correnti cosiddetti dedicati, che consentono di realizzare un effettivo censimento degli strumenti finanziari
delle imprese.
Vorremmo qualcosa di più: che
nell’individuazione delle sanzioni,
la sanzione amministrativa pecuniaria avesse una capacità di disincentivare la violazione di questi principi
di trasparenza. In tal senso, ci siamo
spesi e confidiamo nell’accoglimento da parte del Governo affinché il
reintegro dei conti correnti dedicati
- effettuato venendo meno a questi
princípi di trasparenza, senza l’utilizzo del codice del conto corrente
dedicato, abbia una sanzione che
non sia irrisoria e che, quindi, consenta di avere quell’efficacia di deterrenza tale per cui non si debba poi
ricorrere alla solita previsione penale, con aggravio soltanto del carico
giudiziario, senza poi risolvere il
problema in concreto.
L’altro punto qualificante, già approfondito dai colleghi che sono intervenuti precedentemente, riguarda
la delega alla semplificazione per
rendere più penetranti i controlli
effettivi riguardanti l’infiltrazione mafiosa nelle imprese. Ci siamo
adoperati affinché in questo articolo 2, alla lettera a), laddove si parla
di disposizioni in materia di docu183
Temi per la legalità
mentazione antimafia in riferimento
all’aggiornamento e semplificazione, ci sia un richiamo espresso alla
lettera d) dove si prevede di rendere
più penetranti ed effettivi i controlli
e le informazioni prefettizie sulle infiltrazioni mafiose; non soltanto sulla ditta appaltatrice (che ha assunto
il lavoro), ma su tutto quell’indotto
dei lavori pubblici che è il settore più
sensibile a rischio mafioso e, quindi,
agevolmente penetrabile.
Abbiamo presentato una proposta
emendativa specifica che impone
delle liste presso le prefetture riguardanti le imprese di trasporto,
il movimento terra, il trasporto di
rifiuti in discarica, la fornitura e il
trasporto di calcestruzzo, di bitume,
di materiale proveniente da cave per
inerti e di materiale da cava di prestito per movimento terra, i noli a
caldo, a freddo e i servizi di guardia
nei cantieri. Ci è stato detto che, forse, un’elencazione così rigida, in un
disegno di legge di delega, avrebbe
potuto pregiudicare l’effettività della normativa. Su questo punto c’è un
impegno effettivo del Governo affinché, con un ordine del giorno, si tenga conto, nel regolamento che verrà
adottato (con decreto dei Ministri
dell’interno, giustizia, infrastrutture e dello sviluppo economico), di
queste diverse tipologie di attività
suscettibili di infiltrazione mafiosa.
Credo che, anche quando l’attuale
riferimento al valore dell’opera cui
è subordinato il certificato antimafia
184
che per gli appalti di lavori pubblici
è la soglia europea, ed è molto alta,
ciò non consenta di fatto, la garanzia
dell’effettività dei controlli.
Confidiamo che, grazie a questa delega e ai provvedimenti che ad essa
faranno seguito, i criteri di semplificazione - a prescindere dai limiti di
valore - vengano esattamente intesi
nel senso di creare strumenti effettivi
di controllo che garantiscano l’ente
pubblico che concede l’appalto, ma,
soprattutto, le imprese che vanno ad
investire in settori ed aree soggette a
rischio di infiltrazioni mafiose.
Si è detto che questo disegno di
legge, per come si pone nel titolo e
per come si è cercato di esaminare
in Commissione, potrebbe rappresentare un contributo significativo
all’interruzione di un percorso che,
fino ad ora, in realtà non è stato
molto chiaro: infatti, la lotta alla
criminalità organizzata non si esercita soltanto approvando delle norme slogan, bensì individuando delle
norme di precetto che rappresentino
sostanzialmente una lotta all’espandersi di una criminalità che ha i suoi
gangli in tutta la società civile.
Allora ci auguriamo che questo
possa rappresentare un fatto interruttivo, concreto rispetto ad alcuni
provvedimenti, tra i quali quello
vergognoso sullo scudo fiscale concernente il ritorno dei capitali
dall’estero e la non punibilità dei
reati connessi di frode fiscale e di
Piano antimafia
falso in bilancio -, le ordinanze urgenti - adottate in deroga prima per
le grandi opere e adesso per il fantomatico piano carceri - e il disegno
di legge in esame al Senato sulle
intercettazioni telefoniche.
Se veramente si vuole dare un segnale concreto alla lotta alla criminalità, per quanto riguarda i reati
contro la mafia non basta individuare nei «sufficienti indizi di reato» il
presupposto delle intercettazioni e
dire che in tal modo abbiamo dato
il segnale della lotta alla criminalità
organizzata, perché sappiamo che
la lotta alla criminalità organizzata
parte dall’accertamento dei «reati
satelliti», di quei reati che alimentano, nutrono la mafia. Quindi il percorso ad ostacoli che è stato creato
al Senato, e che è ancor più grave
di quello che era stato creato alla
Camera, non farà che indebolire gli
strumenti effettivi di lotta.
Ci auguriamo che questo provvedimento, attraverso cui dovrà essere
trovata una soluzione anche al problema dell’autoriciclaggio (argomento già affrontato dalla collega
Garavini), sia accompagnato da un
comportamento coerente riguardo
agli altri disegni di legge presentati,
in particolare quello sulle intercettazioni telefoniche. Altrimenti, apporsi delle medaglie grazie ai risultati ottenuti sino ad oggi dalle forze
dell’ordine e dalla magistratura inquirente che applica la normativa
per fortuna ancora in vigore in tema
di indagini e intercettazioni telefoniche, vuol dire non saper comprendere veramente la realtà, anzi non voler
contrastare quel fenomeno di criminalità organizzata che ha assunto dei
toni così ampi, così alti, così incisivi
nella nostra società da mettere a repentaglio anche la nostra economia
(Applausi dei deputati del gruppo
Partito Democratico).
185
Temi per la legalità
186
Violenza sessuale e stalking
Diritti della persona
187
Temi per la legalità
188
Violenza sessuale e stalking
Seduta n. 155 di lunedì 30 marzo 2009
Violenza sessuale e stalking
Discussione sulle linee generali
Signor Presidente, per il mio inserimento nell’elenco degli iscritti a parlare in discussione, ho avuto modo
di ascoltare tutti i colleghi che mi
hanno preceduto e anche da parte
dei colleghi della maggioranza vi
sono state puntualizzazioni sicuramente coerenti con il provvedimento
che si è qui a discutere, mentre altre
francamente non sono state altrettanto condivisibili, perché forse dettate più da una filosofia politica in
quanto tale (ma demagogica, direi)
che dalla considerazione del merito
del provvedimento in esame.
Siamo qui a discutere della conversione in legge del decreto legge n. 11
del 2009, che ha ad oggetto l’entrata
in vigore, in via appunto anticipata,
delle disposizioni per il contrasto alla
violenza sessuale contenute nel disegno di legge in materia di sicurezza,
l’atto Camera 2180, già approvato al
Senato e attualmente all’esame della Camera, in discussione presso le
Commissioni riunite I e II (Affari
costituzionali e Giustizia), nonché
le norme contenute nel disegno di
legge in materia di atti persecutori
(si tratta in questo caso di un provvedimento che, già approvato dalla
Camera, è ora all’esame della Commissione giustizia al Senato).
Il decreto-legge in esame, in realtà,
costituisce l’occasione per prolungare il periodo massimo di trattenimento dello straniero nei centri
di permanenza, identificazione e di
espulsione da sessanta a centoottanta giorni e per realizzare un piano
di controllo del territorio attraverso
volontari della sicurezza. Realizza
poi un’anticipazione soltanto al 31
marzo, anziché al 30 aprile, della
possibilità di nuove assunzioni per
le forze di polizia e i vigili del fuoco,
per un ammontare di 100 milioni di
euro circa e poi anticipa - la prima,
appunto, delle intese anche con il
Ministro della giustizia e il Ministro dell’economia - l’attribuzione al
Ministero dell’interno, nel limite di
100 milioni per il 2009, delle somme
oggetto di confisca, che sono state
disciplinate in quel Fondo unico di
giustizia e, nei limiti di 3 milioni,
Legge n. 38 del 23 aprile 2009 - Conversione in legge, con modificazioni,
del decreto-legge 23 febbraio 2009, n. 11, recante misure urgenti in materia
di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema
di atti persecutori
189
Temi per la legalità
per il Fondo nazionale contro la violenza sessuale.
Ma a tal proposito vi è da ricordare - perché è sempre bene cercare
di ricordare un po’ il passato - che
quel fondo aveva per il 2008 una
dotazione di 20 milioni di euro destinata ad un piano contro la violenza alle donne, istituito dalla legge
finanziaria per il 2008, finalizzato
alla prevenzione, all’informazione,
alla sensibilizzazione, al sostegno, a
case rifugio, a centri. Quel fondo è
stato prima azzerato, poi ripristinato, poi nella formulazione del bilancio annuale e pluriennale non è stato
mai rifinanziato per il 2009, quindi
adesso si fa una misura tampone e si
reintroducono soltanto pochi soldi,
3 milioni a fronte di quei 20 milioni
che dovevano essere lo stanziamento e l’aiuto vero contro la violenza,
non soltanto intesa come possibilità
di reprimere, ma anche di prevenire
e aiutare le vittime.
Vi è poi questo pout pourri di norme:
la previsione che il sindaco, d’intesa
con il prefetto, possa avvalersi, per
il controllo della sicurezza urbana
e per l’individuazione di situazioni
di disagio sociale, di associazioni di
volontariato, di cittadini non armati
- ho sentito anche qui dire: «per fortuna» - costituiti in via prioritaria da
ex appartenenti alle forze di polizia
e i cui requisiti, gli ambiti operativi, l’iscrizione e le modalità saranno
poi stabiliti con decreto ministeriale,
peraltro fuori da qualsiasi controllo
190
parlamentare. Inoltre, in contrapposizione a quanto, poi, sarà scritto in
un disegno di legge che dobbiamo
ancora discutere, che era considerato
urgente, ma la cui discussione parlamentare viene ritardata continuamente (mi riferisco al provvedimento concernente le intercettazioni),
nel decreto-legge in esame si autorizzano i comuni, ai fini della tutela
della sicurezza urbana, all’impiego
della videosorveglianza nei luoghi
pubblici o aperti al pubblico, anche
con la possibilità di conservare i dati
fino a sette giorni, o anche di più in
caso di necessità. Anche in questo
caso, si è agito in maniera molto
vaga ed alquanto discrezionale e i
limiti sono stati anche evidenziati
presso le Commissioni di riferimento come non adeguati per il rispetto
della normativa.
Il Governo ha giustificato questo
decreto-legge con la straordinaria
urgenza di assicurare la tutela della
sicurezza della collettività, a fronte
della crescita degli episodi collegati alla violenza sessuale, attraverso
norme che - si dice - sono, finalmente, poste a contrastare tali fenomeni, per una più concreta tutela delle
vittime dei reati. Si introduce la disciplina degli atti persecutori in forma organica, un’efficace disciplina
dell’espulsione e del respingimento
degli immigrati e un più articolato controllo del territorio. In realtà,
queste sono dichiarazioni unilaterali, tra l’altro, smentite poi, dall’anali-
Violenza sessuale e stalking
si sistematica delle norme che sono
introdotte.
Quindi, quando ci è stato detto che
abbiamo fatto una contestazione di
metodo, inizialmente in Commissione giustizia anche con toni forti
e risentiti, è perché, in questo pout
pourri di norme, con riferimento
ad alcune, è stato inopinatamente interrotto l’iter parlamentare di
approvazione. Mi riferisco, in particolare, all’introduzione del reato
di stalking, di nuovo conio, della
cui necessità ed urgenza eravamo
tutti consapevoli e a cui tutti abbiamo contribuito. Con riferimento ad
esso, forse, era sufficiente contingentare i tempi al Senato: in questo
modo, sarebbe stato già legge dello
Stato, senza ricorrere allo strumento del decreto-legge, che, poi, deve
essere convertito in legge e passare
per l’esame delle Camere.
Pertanto, mi sento di dire, perché oggettivamente risulta dai calendari della Commissione giustizia - la relatrice
Lussana, che stimo e che ha manifestato un forte impegno nella materia,
non potrà contraddirmi -, che l’iter
del testo sulla violenza sessuale, che
modificava in maniera sistematica le
norme e che doveva essere discusso
- infatti, era stato già predisposto un
testo unificato e dovevano essere votati soltanto gli emendamenti (ricordo che il loro esame era stato fissato
per i primi del mese precedente) - è
stato rallentato attraverso la discussione del decreto-legge in oggetto.
Quindi, si dice, come premessa, che
sono in crescita i delitti di violenza
sessuale. In realtà, forse, vi è stata - e
dico, per fortuna - solo una crescita
mediatica. Le statistiche confermano
la riduzione numerica degli episodi di
aggressione sessuale, anche se, certamente, ogni singolo comportamento
di violenza sessuale è sufficiente, da
solo, a polarizzare l’attenzione del
legislatore, degli investigatori, della
magistratura, dei servizi sociali, a
richiamare interventi che consentano
una maggiore protezione della vittima, nella vicenda giudiziaria e, fuori,
nel contesto sociale.
È chiaro, infatti, che dietro un solo
episodio di violenza - ne siamo consapevoli e lo condividiamo, non abbiamo bisogno di lezioni da parte di
nessuno - si pregiudica, per lo più
irreparabilmente, il percorso di vita
della vittima. Tuttavia, i rimedi non
possono certo trovare spazio in un
decreto-legge come questo, in cui si
realizza, ancora una volta, quello che
stiamo contestando a questo Governo, per una serie di provvedimenti,
soprattutto in materia di giustizia e
sicurezza: interventi frammentari
che non risolvono il problema. Infatti, il problema della violenza, in
genere, non si risolve con un mero
inasprimento delle pene o prevedendo l’obbligatorietà della misura cautelare in carcere.
Ciò è tanto vero - e anche l’onorevole
Costa, nella serietà del suo impegno
di capogruppo in Commissione, me
191
Temi per la legalità
ne darà atto - che proprio dal Popolo
delle Libertà sono venute le esigenze
di mitigare le automaticità delle norme introdotte da questo decreto-legge che partono da una presunzione
di pericolosità sociale dell’autore del
reato - nate in riferimento ai delitti di
criminalità organizzata e qui applicate automaticamente al violentatore
- e che non consentono al giudice di
modulare la possibilità di adattare le
misure al caso concreto.
Su quel punto noi non abbiamo
presentato proposte emendative,
voi della maggioranza sì. Mi dirà
l’onorevole Lussana (a ragione) che
è vero che la modifica dell’articolo
275, comma 3, del codice di procedura penale, che ha portato a questa
presunzione di pericolosità e all’automaticità dell’applicazione della
misura cautelare della traduzione
in carcere, al Senato era stata votata anche dal Partito Democratico
nell’ambito dell’esame del cosiddetto «pacchetto sicurezza», ma essa
doveva essere adeguatamente ponderata alla Camera nella sua coerenza sistematica, valutata nel quadro
di quel provvedimento che si stava
votando in un testo unificato e soprattutto coordinata con il testo sulla
violenza sessuale che, come dicevo
poco fa, sarebbe stato in dirittura
d’arrivo se non fosse intervenuto
questo decreto-legge.
Avremmo avuto una riforma dei reati di violenza sessuale e non l’anticipazione dell’entrata in vigore del
192
reato di stalking che era stato già
approvato e di una norma, quella
relativa alla misura cautelare per il
violentatore.
Questa misura non risolve i problemi
e tutti voi lo sapete e ne siete convinti
quanto me. Quelle norme dovevano
essere valutate complessivamente rispetto ad altre - di cui non vi è traccia in questo provvedimento - che
sono in grado di percepire l’aspetto
di prevenzione, di efficace contrasto,
di formazione culturale e di recupero
umano e psicologico della vittima.
Le avevamo attese, queste norme;
erano state scartate nell’ambito della
discussione sullo stalking sostenendo
che sarebbero essere valutate quando
in sede di modifica della normativa
in materia di violenza sessuale. Ma
mentre si stava arrivando alla conclusione di quel percorso - grazie anche alla sensibilità dei promotori, del
relatore e di tutta la Commissione -,
vi è stata questa battuta d’arresto e,
anche qui, nulla si prevede se non
quei 3 milioni di cui parlavo inizialmente attribuiti ai fondi per i centri,
che sicuramente non sono sufficienti
e che, comunque, non valorizzano
un programma di intervento organico, perché in tutti i settori c’è forse
l’intenzione, ma per la fretta di dare
una risposta all’emotività popolare
mancano la presa in carico delle problematiche, lo studio delle cause e la
volontà di risolvere i problemi con
modalità adeguate.
Violenza sessuale e stalking
Il decreto-legge pone una soluzione
affrettata, che in definitiva è solo
demagogica. Infatti, già in base alla
legge in vigore da prima della emanazione del decreto-legge - questo è
un punto su cui forse altri colleghi
non hanno potuto soffermarsi adeguatamente, ma che vorrei rappresentare perché sia completo l’esame
da parte di noi tutti - i colpevoli di
violenza sessuale non possono accedere ai benefici penitenziari, a
meno che non si possa escludere il
collegamento con la criminalità organizzata. Era già previsto dall’articolo 656 del codice di procedura
civile che l’ordine di carcerazione
dovesse essere scontato in carcere,
escludendo, quindi, la detenzione
domiciliare. Ci si riferisce ai casi di
condanna definitiva che deve essere
eseguita.
Il decreto legge, nella finalità emotiva di rendere meno facile l’accesso ai benefici penitenziari, ha però
previsto che i condannati per violenza, una volta entrati in carcere,
possano chiedere quei benefici (lavoro all’esterno, permessi premio o
detenzioni alternative) solo in caso
di collaborazione, oppure se esclusa
l’attualità del collegamento con la
criminalità organizzata o se ricorra
il presupposto della limitata partecipazione che rende impossibile
un’utile collaborazione con la giustizia, oppure ancora se vi è stato l’integrale accertamento dei fatti e delle
responsabilità.
A cosa serve questa strategia riferita ai benefici penitenziari se non
a dichiarare al popolo degli elettori
un maggior rigore nella concessione dei benefici penitenziari quando
questo non è vero? Infatti, si pone
un binomio che è stato costruito
per la criminalità organizzata e che
fa riferimento alla collaborazione.
Pensate che, in ordine alla collaborazione, la confessione degli autori
dello stupro della Caffarella, per
ciò stesso, comporta l’ammissione
ai benefici penitenziari.
Pertanto, quando vi diciamo, non per
una presa di posizione, non per una
critica fine a se stessa, non per una
posizione che sia soltanto ideologica
come voi affermate, che avete costruito una norma frettolosa, inadeguata,
incapace di risolvere le problematiche
che si pongono in ordine al violentatore, al reo violentatore, è perché,
appunto, questa è una previsione che
non risolve la problematica.
La superficialità di questa scelta,
l’inadeguatezza totale emerge, appunto, ove si consideri la devianza
dei soggetti che compiono questi reati, che tra l’altro sono per lo più individuali. Anche quando la violenza è
di gruppo, infatti, non si inserisce in
una forma di criminalità organizzata, ha caratteristiche diverse, proprie,
che sono legate all’autore del reato.
Su questo punto è stato chiarificatore il documento acquisito a seguito
delle audizioni svolte; per questo
193
Temi per la legalità
ringrazio la presidente, la relatrice,
i colleghi e tutti coloro che, tramite
audizioni, hanno consentito l’acquisizione di elementi di valutazione
ulteriore che comunque saranno utili.
Infatti, anche se il decreto legge, nel
suo complesso, non è da noi condiviso, per altri motivi che sono stati già
enunciati da altri colleghi del Partito
Democratico prima di me, comunque
siamo convinti che alcune norme, per
essere efficaci, devono essere orientate nel senso proprio di una finalità
vera che si intenda perseguire.
Nei reati sessuali la recidiva è frequente e la condotta collaborativa,
quella che voi prevedete per ammettere i rei ai benefici penitenziari, la
confessione, non è sintomo di ridotta
pericolosità.
I benefici penitenziari non possono
essere congegnati sulla base di quelli previsti per la criminalità organizzata, ma devono essere concessi solo
quando sia accertato, con metodologia scientificamente provata, la cessazione o la riduzione del rischio di
reiterazione.
Si poteva pervenire all’individuazione di protocolli concordati tra
Giustizia e Sanità per lo svolgimento di percorsi e per l’individuazione
dei trattamenti in aderenza anche
a quelle che sono le acquisizioni
tecnico-scientifiche e criminologiche nella materia. La decisione deve
essere assunta dal magistrato di sorveglianza all’esito di una completa
194
e appropriata analisi di tutti gli elementi rilevanti nel caso concreto.
Lo abbiamo detto in Commissione e
lo ribadiamo qui: molte volte in quelle carceri, nelle carceri (tranne qualche eccezione, ad esempio abbiamo
un istituto penitenziario pilota a Milano Bollate, ma l’Italia non è fatta
di istituti penitenziari pilota), nella
maggior parte degli istituti penitenziari, non ci sono psicologi strutturati, ma solo psicologi a convenzione
che magari hanno terminato le ore e
quindi il magistrato di sorveglianza
si trova a dover valutare la pericolosità del soggetto, sulla base di relazioni che sono solo magari quelle
degli educatori e quindi non sono
adatte al soggetto.
Su questo punto ci dovete dare atto
che la nostra non è mai una posizione
meramente ideologica, abbiamo presentato degli emendamenti che tendono a perseguire un risultato: quello
di far sì che i violentatori non escano
dal carcere se non hanno superato
quei percorsi all’interno del carcere
che siano percorsi di recupero, di riabilitazione psicologica, psichiatrica
e farmacologica, tutto ciò che è necessario attraverso l’osservazione e
che faccia parte del programma. Su
questo noi confidiamo che relatrice e
Governo facciano autocritica sapendo che quella norma è un boomerang
e mi sono permessa di fare l’esempio
dei rei confessi della Caffarella per
dimostrarvi come quella norma potrà operare.
Violenza sessuale e stalking
E poi c’è un altro punto, sicuramente per noi importante, che non
è vero che è stato strumentalizzato
e impiegato demagogicamente, dal
Partito Democratico e dall’opposizione, per contrastare delle buone
pratiche che alcuni sindaci di città
virtuose hanno utilizzato per poter
dare voce a quel segno di solidarietà sociale. Ma non è questo ciò che
si va introdurre con questa norma.
Mi riferisco, appunto, all’articolo
6, che ha per oggetto la predisposizione di un piano straordinario di
controllo del territorio. Il progetto
è grande: da tale espressione ci si
sarebbe aspettato un intervento diretto a tutelare la sicurezza pubblica, a potenziare la presenza delle
forze dell’ordine, il loro necessario
coordinamento, la loro capacità
d’intervento, i mezzi, la formazione professionale e il numero, in un
progressivo rafforzamento di quello
che deve essere il controllo dello
Stato sul territorio ai fini della sicurezza e della repressione e della
prevenzione dei reati.
E invece, in realtà, come dicevo prima, si è trattato solo di un anticipo
al 31 marzo. Era necessario varare
un decreto-legge per anticipare al 31
marzo la possibilità di assumere, per
una spesa di cento milioni di euro,
nelle forze di polizia e nel Corpo dei
vigili del fuoco, il che costituisce,
peraltro, un apporto davvero minimo rispetto a ciò che avverrà nel
2012, con i pensionamenti? Nel cor-
so delle audizioni ci è stato detto che
vi saranno circa 10 mila persone in
meno, per le singole forze di polizia.
Il Ministero dell’interno, per la Polizia di Stato, ha da poco bandito un
concorso da 80 posti da funzionario.
Queste sono le cifre. I concorsi non
ci sono né vengono banditi. Ma in
questo contesto si è pensato di anticipare l’accredito prima di quella
concertazione che avrebbe dovuto prevedere una parte dei fondi al
Ministero della giustizia, un’altra
al Ministero dell’interno e una, per
eventi eccezionali, alla Presidenza
del Consiglio dei ministri. Pertanto,
si anticipa questo Fondo al Ministero dell’interno. Una parte andrà al
Fondo nazionale contro la violenza
sessuale (l’ho già detto), ma non si
conosce la destinazione di questi
soldi perché in questo decreto-legge
non è prevista.
Rimane, appunto, oscura la concreta
utilizzazione delle somme anticipate
per la tutela della sicurezza pubblica, essendo poi i commi successivi
dell’articolo 6 del provvedimento in
esame tutti basati sia sulle associazioni di volontari, sia sull’impianto
di sistemi di videosorveglianza nel
territorio dei comuni e, forse, a questo dovrebbe essere destinata una
parte della somma anticipata al Ministero dell’interno.
Ma, d’altro canto, si è anche tanto declamato il fatto che proprio perché si
ha rispetto per il Parlamento si sono
inserite, in questo decreto-legge, nor195
Temi per la legalità
me già approvate dal Senato o dalla
Camera. In realtà, non è così al cento
per cento perché, per esempio, proprio con riferimento a queste associazioni di volontari, le cosiddette ronde,
l’articolo 6, terzo comma, costituisce
uno stralcio dell’articolo 52 del decreto-legge in materia di sicurezza
pubblica, approvato dal Senato, ma vi
sono delle differenze. In primo luogo,
la decisione di avvalersi della collaborazione tra cittadini non armati è
attribuita non più, genericamente,
agli enti locali, ma ai sindaci, i quali non devono più acquisire il previo
parere del comitato provinciale per
l’ordine e la sicurezza pubblica, ma la
previa intesa con il prefetto.
In secondo luogo - e questo è l’aspetto che più mi preoccupa - l’ultima
parte dell’articolo 52 vietava la derivazione, da queste disposizioni, di
nuovi o maggiori oneri a carico della
finanza pubblica. Questa formula è
venuta meno, non è più presente. È
stato sempre detto che si tratta di
associazioni di volontariato che non
saranno finanziate dallo Stato.
In realtà, una lettura attenta di questo articolo 6 - che più si legge, più
suscita grandi perplessità su come
verrà attuato e su quali saranno le
strumentalizzazioni nella realizzazione di queste associazioni - rivela
che il sindaco si può avvalere delle
associazioni iscritte all’elenco, sulla
base di un controllo meramente formale dei requisiti, che saranno stabiliti da un decreto del Ministro di
196
cui non conosciamo assolutamente i
presupposti.
Il Parlamento non conosce e non conoscerà nulla dei requisiti. Si dice
che, in via prioritaria, il sindaco si
può avvalere di quelle costituite tra
gli appartenenti in congedo alle forze dell’ordine e alle Forze armate.
Quindi, in prima battuta, in queste
associazioni si raccolgono coloro che
sono andati in pensione. Si sa che gli
appartenenti alle forze dell’ordine
vanno in pensione presto, e quindi
vengono occupati in un post-lavoro
dopo la pensione, per fare da trait
d’union con i colleghi delle forze di
polizia in servizio.
Le associazioni diverse (quindi, quelle non costituite da appartenenti in
congedo) sono iscritte negli elenchi
solo se non siano destinatarie a nessun titolo di risorse economiche a carico della finanza pubblica. Quindi,
questo ci fa capire che quelle che in
via prioritaria saranno costituite da
appartenenti in congedo potranno (o
forse dovranno) essere finanziate dallo Stato. Che Governo è questo che,
anziché farsi carico del lavoro per le
migliaia di giovani che sono senza
occupazione e si trovano in situazioni
di disagio nella nostra società e delle
migliaia di famiglie che mantengono
i giovani agli studi e per cui non si
apre nulla, pensa di investire soldi
dello Stato in questo modo?
Evidentemente, ciò viene fatto perché i pensionati costano meno e non
Violenza sessuale e stalking
hanno bisogno di contributi, né di
un sistema previdenziale. Quindi,
in tal modo, si può realizzare questa «para-sicurezza» con associazioni di volontariato (chiamiamole
di volontariato), che controllano il
territorio e attraverso cui lo Stato
abdica a tutto quello che è il suo dovere di controllo, di prevenzione e
di sicurezza.
Infatti, una persona va in pensione
perché la legge prevede che a una
certa età si debba esaurire il proprio
compito nell’ambito di una funzione ed anche perché ci sono lavori
usuranti, come quello nelle forze
di polizia, che non consentono di
superare i limiti di età. Dunque, si
utilizzano i pensionati, anziché potenziare le forze di polizia con nuove
leve, con nuove risorse e con energie
professionalmente valide, dando la
possibilità ai giovani di crearsi una
famiglia, una casa, di avere dei figli.
Questi vengono sbandierati nelle
trasmissioni pubbliche televisive
come obiettivi che vuole il centrodestra e che gli stanno a cuore, ma
non è vero.
Questo è quello a cui siamo profondamente contrari. Si tratta di soluzioni posticce, il che non vuol dire
rinnegare quelle soluzioni che si
sono sperimentate in alcuni comuni
e che hanno portato comunque al volontariato e ad arricchire la solidarietà sociale e la cittadinanza, quello
è altro. Si tratta, invece, di inserire
determinate associazioni, attraverso
una modalità alquanto generica, arbitraria e tutta da verificare, perché
il Ministero si lascia attraverso il
decreto ampie possibilità per quanto riguarda i requisiti di iscrizione,
aprendo la rotta a vie diverse da
quelle che dovrebbero essere di uno
Stato, che proprio la destra dovrebbe
avere a cuore.
Allora, mentre da un lato è possibile che rivoli della finanza pubblica
vadano ad alimentare associazioni
di volontariato che non possono sostituire le forze di polizia, dall’altro
quelle associazioni non finanziate
potranno godere di finanziamenti
privati e in alcune realtà potranno
alimentarsi anche di finanziamenti
della criminalità. Ci si dice che c’è il
controllo del prefetto: ma quale controllo del prefetto?
Il prefetto, attraverso le sue strutture già povere, si limiterà a verificare che quelle associazioni abbiano i
requisiti formali previsti per essere
iscritte, ma non sarà possibile capire quali tipi di finanziamento ci
sono dietro, quale tipo di pressione
potranno esercitare sul territorio,
avvalendosi di poteri che gli sono
conferiti da questo decreto-legge.
Questa è una responsabilità che noi
del Partito Democratico non vogliamo, e vogliamo che ne rimanga
traccia; chi vuole veramente assumersela deve farlo per intero. Ma
c’è ancora il dibattito parlamentare
per rendersi conto di quali saranno
197
Temi per la legalità
gli effetti e per cercare di eliminare questi effetti, perché ciò non era
nell’intenzione dei proponenti, ne
voglio essere certa, ma può essere
198
una deviazione molto pericolosa a
cui noi non possiamo assolutamente aderire (Applausi dei deputati del
gruppo Partito Democratico).
Violenza sessuale
Seduta n. 197 di lunedì 6 luglio 2009
Violenza sessuale
Discussione sulle linee generali
Signor Presidente, dirò poche cose,
che consentano di capire qual è la posizione del Partito Democratico, che
è stata già illustrata dall’onorevole
Rossomando in maniera esaustiva.
Il mio sarà soltanto un intervento ulteriore per testimoniare la presenza
e la particolare partecipazione del
Partito Democratico a una proposta
che è in difesa delle donne, dei minori e di tutti i soggetti deboli che subiscono una violenza sessuale e sono
quindi particolarmente vulnerabili,
sia per ciò che hanno subito, sia per
ciò che devono attraversare nel processo di ricerca della prova, accertamento del reato e affermazione della
responsabilità del colpevole.
Come è stato detto dalla relatrice e
dagli interventi che mi hanno preceduto, il testo che arriva in Aula
ha visto una condivisione di alcuni punti, poiché ha tratto spunto da
una serie di proposte pervenute dai
vari gruppi parlamentari. In particolare, condividiamo sicuramente
la scelta che è stata fatta relativa a
un rigore non esasperato della pena
per le fattispecie base, riguardanti
la violenza sessuale, e soprattutto
per l’individuazione e l’ulteriore
specificazione delle circostanze aggravanti. Ci convince, infatti, l’aver
individuato come ipotesi autonoma
di aggravamento della pena, per la
quale è prevista una pena autonoma
rispetto al reato base, il fatto che la
violenza sessuale si rivolga nei confronti di persona di cui il colpevole
sia l’ascendente, il genitore adottivo
o il tutore. Rientrano in queste fattispecie tutte le situazioni in cui ci
si approfitta di minori, nell’ambito
della famiglia e dei rapporti affettivi, creando traumi irreversibili. Ciò
riguarda anche la donna in stato di
gravidanza o la persona portatrice
di handicap. Su questo punto, vorremmo anzi modificare il numero 7)
dell’articolo 609-ter.
Con riferimento alla nuova fattispecie individuata dall’articolo 609ter.1, quella cioè di molestie sessuali, noi siamo consapevoli che essa
(che ovviamente ricorrerà là dove
non vi sia un reato più grave) debba riguardare soltanto i casi che non
rientrerebbero nel reato di violenza
AC 574 e abbinate - Norme in materia di costituzione di parte civile dei comuni nei procedimenti per violenza sessuale (esame non concluso per stralcio
deliberato il 14 luglio 2009)
199
Temi per la legalità
sessuale, il quale - come sappiamo
- nell’evoluzione che vi è stata nella giurisprudenza, riguarda fatti che
implicano un contatto fisico anche
in forma lieve. Laddove dunque si
escluda il reato di violenza sessuale
(poiché non bisogna fare un passo indietro rispetto alla storia che è stata
ripercorsa anche nell’intervento che
mi ha preceduto, dall’onorevole Lussana e dall’onorevole Lorenzin) e si
tratti invece di atti di esibizionismo,
voyeurismo, forme che - anche nelle
interpretazioni della giurisprudenza
più avveduta - non integrano ipotesi
di violenza sessuale, ma di molestia
sessuale (che comunque ha un rilievo più acceso e più rilevante, anche
perché più offensivo rispetto alla
semplice molestia), riteniamo che
questo nuovo reato possa avere una
sua credibilità e una sua valenza.
A questa ipotesi, che è stata congegnata anche d’intesa con il Governo,
ci siamo infatti permessi di presentare un emendamento che esplicita
ancora di più il fatto che si tratta di
comportamento a contenuto esplicitamente sessuale che non coinvolga
la corporeità sessuale della persona
offesa. Questo perché quello che
compiamo è un passo in avanti solo
se ci riferiamo a comportamenti che
non realizzano un contatto fisico
con la vittima, poiché allora questa nuova previsione rappresenta
veramente un estensione (e quindi
un maggior rigore sanzionatorio)
rispetto all’attuale fattispecie previ200
sta dall’articolo 660, che riguarda il
reato di molestia.
Una tale misura non rappresenterebbe
un passo avanti se, invece, sanzionasse in forma lieve quelle molestie che
riguardano la sessualità fisica e che
dovrebbero rientrare comunque, in
ogni caso, nelle ipotesi della violenza
sessuale, sia pure sottoposte al vaglio
del giudice nelle ipotesi attenuate.
Sicuramente positiva è la norma del
provvedimento legislativo volta a
precisare, e ad attribuire una maggiore responsabilità, a chi partecipa
ad una violenza sessuale di gruppo.
Sappiamo quanto sia odiosa, traumatica, quanto sia da reprimere e da
prevenire con una fattispecie incriminatrice adeguata, la condotta di
un gruppo che assale o che partecipa
insieme ad un atto sessuale, anche
nelle ipotesi in cui non tutti i correi
partecipino materialmente. Poiché il
legislatore nel concepire le fattispecie criminose deve avere riguardo a
comportamenti generali ed astratti, abbiamo ritenuto opportuno in
Commissione reintrodurre l’ipotesi
di una partecipazione attenuata o
indotta di soggetti che siano a loro
volta, rispetto al gruppo, o al capo
del gruppo, in una condizione di inferiorità psichica o psicologica.
Ci convince, inoltre, la misura
dell’aumento del termine della prescrizione, anche se non ci convince
l’impianto attualmente in vigore sul
termine della prescrizione; stiamo
Violenza sessuale
riflettendo su questo punto. In Commissione, comunque, vi è una proposta di nostra iniziativa volta proprio
a non agire, come si sta facendo, con
le misure cautelari personali. Non a
tutti i reati si attaglia il termine di
prescrizione generale previsto dalla legge del 2005, che non consente
una ragionevole durata rapportata
alla gravità dei reati in corso di accertamento. Siamo favorevoli, quindi, a questa previsione, ma non ci
convince la metodologia.
Sicuramente è positivo che da parte
della relatrice Lussana vi sia stata la
sensibilità di cogliere, nell’ambito
delle proposte al vaglio, la possibilità di inserire degli interventi in
giudizio da parte degli enti locali
impegnati direttamente, o tramite i
servizi del centro antiviolenze per
l’assistenza alle persone offese; è
stata garantita, quindi, la possibilità
di intervenire in giudizio ai soggetti
che sono portatori della tutela generalizzata dei soggetti vittime di violenze. È un segnale di sensibilità che
tutti abbiamo condiviso.
È stato previsto, inoltre, che le autorità pubbliche, ciascuna nell’ambito
delle proprie competenze, promuovano campagne di sensibilizzazione
e informazione sulle misure previste
dalla legge in favore delle vittime
dei maltrattamenti, sull’individuazione dei centri antiviolenza, e sulle
competenze funzionali e assistenziali, così da creare un’informazione
(molte volte proprio la conoscenza
degli strumenti aiuta la vittima a venirne fuori).
Non siamo assolutamente favorevoli - né possiamo dare un giudizio
di modernità come quello espresso
in precedenza dell’onorevole Lorenzin - all’articolo 6 che è stato
introdotto con un emendamento e
che riguarda l’esibizione nei mezzi
di trasporto e negli esercizi pubblici, ad opera del questore, delle foto
dei latitanti che hanno compiuto i
delitti in questione.
Per i latitanti esiste già una normativa, che prevede, per tutti latitanti,
per tutti i ricercati, per tutti coloro
sui quali vi siano indagini in corso
e laddove l’autorità giudiziaria ne
riconosca l’utilità, la possibilità di
pubblicarne la foto. Quindi, si crea
una norma di questo genere, laddove
esiste un motivo di ordine pubblico,
legato a indagini e alla sicurezza,
che può essere vagliato, e questo
può riguardare tutti i reati. Non dobbiamo fossilizzarci creando ulteriori binari di accertamento di reati, o
norme processuali e quant’altro a
seconda dei momenti e delle figure
delittuose.
Questa norma ha veramente un senso
di non assoluta modernità (per usare
la stessa espressione già utilizzata).
Si tratta di un indietreggiamento nel
tempo, all’epoca del far west, dove si
attaccavano i manifesti con la taglia
sull’uomo ricercato. Tale situazione
non soltanto può portare (si pensi ai
201
Temi per la legalità
mezzi pubblici e ai luoghi pubblici
frequentati da anziani, minori, adolescenti) un sentimento comune di
incitamento al linciaggio e all’odio,
che non giova a nessuno Stato democratico, ma può anche creare nelle generazioni più fragili, perché in
corso di formazione della loro personalità, stati d’animo sicuramente
non adeguati.
Noi abbiamo presentato un emendamento soppressivo nei confronti
di questa norma (e anche correttivo)
proprio perché ritengo che non si possa lasciare alla sensibilità dei questori
(i quali sicuramente l’avranno, e non
daranno esecuzione a questa norma,
considerato che, meno male e per
fortuna, dispone la possibilità di «disporre la collocazione») l’applicazione di questa disposizione, anche perché ancorata al sospetto che i soggetti
si possano trovare nel territorio. È
una norma veramente mal costruita,
con una finalità non comprensibile.
Se anche la legge in esame poteva diventare con ulteriori aggiustamenti
e miglioramenti una legge condivisa
(con il tentativo della maggioranza
e dell’opposizione di raggiungere
un obiettivo comune), essa presenta
tuttavia questa impronta in cui francamente non ci riconosciamo, considerate la cultura e l’idea di sicurezza
e del compito dello Stato per garantirla che abbiamo.
Veniamo alla parte che ci sembra
mancante. Come dicevo l’articolo 9,
202
che rivela sicuramente una sensibilità particolare e peculiare di chi ha
elaborato il testo su cui abbiamo discusso, è un segnale, ma è un timido
segnale, su quanto vi è da fare. Questa poteva essere un’occasione forte
per cercare di investire risorse economiche per la tutela delle donne,
dei minori, di tutte le vittime di atti
così forti come la violenza sessuale.
In questa legge in primo luogo non
sono previsti (evidentemente non si
sono potuti prevedere) stanziamenti
di risorse. Ci risulta anche che per
i centri antiviolenza non siano stati
previsti quegli stanziamenti di risorse necessari per il loro funzionamento. Mi auguro che nei prossimi
provvedimenti finanziari questo sia
previsto, perché altrimenti mi troverò a dover constatare che mentre
vi è una continua affermazione di
principi sicuramente condivisibili,
poi però le azioni concrete sono sostanzialmente distanti dal raggiungimento degli scopi indicati.
Infatti sappiamo che affinché si realizzi un’effettiva tutela delle vittime delle violenze sessuali non è
sufficiente prevedere norme incriminatrici e nemmeno prevedere
un’azione informativa generica, ma
è necessario avere programmi specifici, azioni concrete da finanziare
e, da un lato, prevedere che si intervenga nella formazione: prendo atto
che vi è una disponibilità anche da
parte del Governo, come già è emerso in Commissione, ad approvare un
Violenza sessuale
emendamento, di cui noi come Partito Democratico siamo presentatori,
nel quale si prevede una formazione
specifica nelle scuole di ogni ordine
e grado per creare una cultura della
non violenza sessuale e quindi una
cultura che non miri alla discriminazione sessuale. Questo è un aspetto sicuramente importante.
Vi è poi l’altro aspetto riguardante
l’attività di accertamento di questi
reati e, quindi, l’intervento di tutti
gli operatori che sono normalmente coinvolti e che portano alla luce
questi reati, quando vengono perpetrati nei confronti di minori o donne
nell’ambito della famiglia e vi sono
difficoltà di accertamento oppure
quando intervengono (come sta avvenendo nel caso degli episodi che si
stanno ripetendo a Roma da parte di
soggetti allo stato ancora ignoti che
sorprendono le vittime al rientro in
casa il sabato sera, a notte, nei garage) ponendo in essere una serie di
comportamenti che presentano modalità operative di un certo livello e
per i quali la previsione normativa
non risolve la problematica.
In questa sede siamo legislatori anche per cercare di trovare strumenti
adeguati - a mio avviso su questo
punto la legge è carente - che anzitutto devono prevedere una formazione specifica per le forze di polizia. Faccio riferimento ad uno studio
effettuato dall’associazione Donne
in rete contro la violenza, ONLUS
che, attraverso i dati e l’esperienza
acquisita dalla rete di avvocati presenti nelle varie realtà che operano
nel settore della violenza domestica,
ha individuato i punti carenti. Di essi
alcuni riguardano l’organizzazione
degli uffici giudiziari di cui parlerò;
altri riguardano l’insufficiente sensibilità da parte delle forze di polizia
nel momento di raccolta della denuncia per maltrattamenti in famiglia,
l’insufficiente specializzazione nel
raccogliere la denuncia da parte della polizia giudiziaria che non tende
a stimolare una narrazione analitica
da parte della vittima degli episodi
di violenza abituale per la ricostruzione della vicenda; talvolta quando
i fatti sono lontani nel tempo in pratica non si coglie l’aspetto necessario
dell’intervento. Altre volte si verifica
un mancato coordinamento tra autorità giudiziaria, polizia giudiziaria e
servizi sociali.
In fase di attività giudiziaria e di organizzazione degli uffici giudiziari,
la particolarità del reato viene segnalata soltanto in alcuni uffici: ad
esempio soltanto a Milano e a Bari
esistono sezioni specializzate del tribunale che trattano i maltrattamenti
e le violenze sessuali e ugualmente
avviene presso la procura della Repubblica. Manca anche un’apprezzabile capacità di compiere la fase
delle investigazioni e, quindi, anche
i contatti con il pubblico ministero
con una tempestività e secondo un
protocollo di intervento che poi tutelerà la vittima successivamente.
203
Temi per la legalità
Infatti, in questo campo servono
moduli operativi - qui si ricollegano
i nostri emendamenti, che speriamo
e ci auguriamo vengano accolti -,
perché noi vogliamo votare il provvedimento in esame, ma laddove
vi sia il segnale che la maggioranza non si fa prendere dal fatto che
una cosa non si può fare perché non
è stata prevista, un’altra non si può
fare perché occorre che il Ministro
di competenza ci dica cosa ne pensa
e via dicendo.
Insomma, siamo su una strada con
troppi paletti. In una materia come
questa, se veramente si vuole arrivare ad un risultato, a produrre cioè
qualcosa che serva alle vittime delle
violenze sessuali, dobbiamo superare gli ostacoli burocratici e fare
una legge che preveda protocolli di
intesa tra i vari operatori interessati
e una formazione adeguata di polizia giudiziaria, magistrati ordinari e
magistrati onorari. Infatti, di solito
poi le accuse in dibattimento - tranne in alcuni casi - vengono sostenute
dai viceprocuratori onorari e questo
è un altro dato che è risultato da uno
studio che è stato fatto in materia.
Parimenti occorre individuare all’interno dei pronto soccorso e presso le
ASL unità di intervento che siano
specializzate. Insomma, bisogna
creare protocolli e moduli operativi
che consentano, in tutto il territorio
nazionale, di intervenire adeguatamente per dare il primo ascolto, per
dare il primo soccorso, per acquisire
204
e conservare le tracce del reato, per
accompagnare la vittima e far sì che
sia possibile accertare con sicurezza
e definitività la responsabilità del
colpevole. Non vi è nulla di peggio
per una vittima che essere esposta ad
un processo nato male, che è viziato
all’origine, che ha lacune investigative, perché magari vi sono lacune
anche di sapere investigativo. Quella
vittima così verrà colpita due volte:
è ovvio che ripercorrerà comunque
quel dramma, ma un conto è sapere
che quel dramma viene ripercorso
perché vi è poi la certezza che giustizia viene fatta, mentre è diverso
quando ci si espone ad un percorso
incerto e lacunoso anche per le carenze del sistema.
Quindi, anche su questo aspetto ci
siamo fatti carico di presentare un
emendamento complesso (non nella
sostanza, ma perché riguarda varie
norme), che risistema e rivede in
maniera organica l’incidente probatorio, con riguardo soprattutto
ai minori di 14 anni, cerca di dare
attuazione alla sentenza della Corte
di Strasburgo che fa riferimento ai
soggetti deboli, che devono essere
sentiti, e quindi coglie la necessità
per i minori, per le vittime di violenza, per le donne anche maggiorenni parti offese, per i minori degli
anni 14 per ogni tipo di reato e per
i minori infradiciottenni per i reati
a sfondo sessuale, di evitare che la
persona offesa sia sottoposta a continue sollecitazioni e dichiarazioni.
Violenza sessuale
Dunque, occorre fare in modo che
il primo intervento sia quello del
pubblico ministero se vi è l’urgenza o meglio, se ne sono sussistono
i presupposti, del giudice. Infatti,
il giudice deve raccogliere la prova
con le forme dell’incidente probatorio, in modo tale che la difesa e
il pubblico ministero abbiano così
la possibilità di essere presenti e
fare il loro controesame o l’esame
incrociato, se è possibile, altrimenti
l’esame protetto laddove il giudice
lo ritengo opportuno. Si deve cristallizzare la prova, ma con tutte le
garanzie possibili, per evitare anche
che vi siano errori processuali, che
poi portano ad individuare un colpevole che tale non è. Le garanzie
non sono cose che si commisurano
a seconda del tipo di reato, bensì
esistono per tutti i cittadini e per
tutti i tipi di reato e devono essere
adeguate, commisurate e calibrate.
Gli strumenti processuali devono
essere rivisti. Vorrei accennare solamente in questa sede - vista anche
la presenza del rappresentante del
Governo - a quella pericolosa norma, presente in un disegno di legge governativo che è all’esame del
Senato, in cui si impedisce ad un
pubblico ministero, che agisce ancora a garanzia della legalità e dei
diritti della vittima e dell’indagato,
di ricevere una notizia di reato. Se
verrà approvato quel provvedimento, pensate a cosa accadrà in processi per violenza carnale, pedofilia
e quant’altro. Il pubblico ministero
non potrà intervenire nell’immediatezza dei fatti perché bisognerà
aspettare l’intervento della polizia
giudiziaria, del maresciallo della stazione o dell’ispettore del tal
commissariato.
Senza nulla togliere a queste figure
preziosissime di aiuto all’investigatore, ritengo che tutti - avvocati, magistrati, cittadini e politici - sappiano
cogliere quanto sia importante la presenza di operatori della polizia giudiziaria, della magistratura e dell’avvocatura; quanto sia importante che
tali soggetti, aiutati da psicologi ed
esperti - questo è previsto anche nella nostra proposta emendativa - possano acquisire gli elementi veri, in
modo da tirar fuori dalla parte offesa,
attraverso una testimonianza o un
riconoscimento, quella che è stata la
realtà degli accadimenti; dopodiché,
essi possano effettuare tutte le altre
indagini di riscontro, cercando, però,
di non interrompere quel processo di
cicatrizzazione di una ferita che è importante si chiuda al più presto.
Pertanto, noi del Partito Democratico confidiamo che il percorso che
vi sarà in Aula ci porti a dire che,
come auspicava l’onorevole della
maggioranza, veramente si sia fatto
un passo avanti. Altrimenti, ci verrà
detto che, rispetto al testo attuale,
che costituì una svolta storica, culturale e politica, ci siamo limitati a
rivedere le pene.
205
Temi per la legalità
Seduta n. 202 di martedì 14 luglio 2009
Dichiarazione di voto finale
Signor Presidente, onorevoli colleghi, la discussione, prima in Commissione giustizia, poi in quest’Aula,
del testo unificato sulla violenza sessuale sicuramente rappresenta una
forte testimonianza dell’attenzione
di questo Parlamento alla problematica dei comportamenti di violenza
sessuale e delle molestie a sfondo
sessuale, di cui risultano vittime
milioni di donne e di minori, senza
contare tutti i numerosi casi in cui le
condizioni personali, socioambientali, familiari o la paura impongono
di tacere.
I fatti di cronaca che registrano il
crescente aumento di episodi di violenza sessuale ne testimoniano l’efferatezza e costituiscono il risvolto di
un’emergenza sociale che spesso si
consuma nella segretezza degli ambiti familiari, lavorativi e scolastici.
Deve farci riflettere il fatto che, pur
dopo l’approvazione di quella legge
del 1996, che comunque rappresentò
un momento culturale di estrema rilevanza e che ricondusse alla sezione dedicata ai delitti contro la persona le condotte di violenza sessuale,
i comportamenti punibili che ledono
la sfera sessuale attualmente, dopo
quindici anni, non si sono ridotti né
con riguardo al numero né riguardo
alla gravità.
Cos’è che non ha funzionato? L’operato delle forze dell’ordine, della ma206
gistratura? In realtà, sappiamo tutti
che non siamo alle prese solo con un
problema di repressione o di ordine
pubblico, ma di una problematica
più complessa che ha radici antiche,
socioculturali, di un pesante fardello
che la coscienza civile si porta dietro, non essendo ancora riuscita appieno a metabolizzare il rispetto delle libertà personali, dell’inviolabilità
e dignità della persona, della libertà
di autodeterminazione nelle proprie
scelte sessuali.
In Europa, la maggior parte dei Paesi nel corso degli anni ha affrontato il complesso delle situazioni
intervenendo con inasprimenti della pena, ma anche sul terreno della prevenzione, dell’educazione e
del rispetto della persona. In Italia
si continua ad avere un approccio
settoriale: si è recentemente approvata, con il contributo di tutte le
forze politiche, la legge contro gli
atti persecutori, si sta discutendo
il testo unificato contro la pedofilia in Commissione giustizia, si sta
per votare oggi, in questo ramo del
Parlamento, un testo unificato sulla
violenza sessuale, ma si fa fatica a
riconoscere come prioritario un piano integrato di interventi, che operi
contestualmente in riferimento alle
misure di informazione, sensibilizzazione e di prevenzione della violenza, dagli strumenti per il contra-
Violenza sessuale
sto e la repressione a quelli per la
tutela e il sostegno delle vittime.
Il testo che era uscito dalla Commissione era improntato prevalentemente a riconsiderare alcuni
strumenti normativi di repressione,
a rideterminare i minimi e i massimi della pena, a correggere alcune
storture del sistema in materia di
recidiva, ad integrare le previsioni
carenti in tema di circostanze aggravanti, sottolineando, tra l’altro,
la gravità di comportamenti commessi da chi abbia con la vittima
un rapporto privilegiato, anche e
soprattutto di tipo familiare, poiché
tale condizione normalmente crea
un affidamento con conseguente
abbassamento del livello di guardia nella vittima, individuando così
situazioni di particolare prevaricazione sulla persona offesa.
Vi era solo un timido riconoscimento, però, delle istanze di prevenzione e tutela: l’intervento in giudizio
dell’ente locale e del centro antiviolenza che presta assistenza; la
prescrizione che il Ministro per le
pari opportunità, avvalendosi dei
suoi organi, presenti al Parlamento una relazione sull’attività di coordinamento e di attuazione delle
azioni contro gli atti persecutori e
gli atti di violenza sessuale; misure
da parte delle autorità pubbliche per
la sensibilizzazione e informazione
sugli strumenti previsti a legislazione vigente in favore delle vittime
di violenza.
In Aula sono stati accolti alcuni dei
nostri ordini del giorno che vanno in
questo senso. Penso, in particolare,
all’impegno del Ministro per le pari
opportunità e del Ministro della giustizia di assicurare con cadenza almeno biennale la rilevazione statistica
del fenomeno, al fine della progettazione e della realizzazione di efficaci
politiche di contrasto. Penso all’impegno del Ministro dell’istruzione,
dell’università e della ricerca di promuovere, nelle scuole e nell’ambito
dei programmi scolastici, iniziative
di informazione e formazione contro la violenza e la discriminazione
sessuale. Penso alla promozione di
protocolli di intesa ad opera delle
prefetture tra i soggetti istituzionali e
del volontariato, a percorsi educativi
e formativi per realizzare quell’efficace sostegno delle vittime nelle
diverse ma pur sempre dolorose fasi
che seguono l’episodio di violenza.
Certo, ci saremmo aspettati di più, e
cioè degli interventi e delle aperture
non solo programmatici ma di sistema, con una specifica destinazione
di risorse economico-finanziarie per
il funzionamento dei centri antiviolenza, per la formazione multidisciplinare interattiva degli operatori socio-sanitari della polizia giudiziaria,
per l’istituzione di reti operative tra
soggetti istituzionali e appartenenti
al privato-sociale, che consentano di
realizzare un intervento strutturato
e articolato per l’effettivo sostegno
della vittima.
207
Temi per la legalità
Il nostro sarà un «sì» a questo provvedimento legislativo che vuole testimoniare impegno e responsabilità
della politica, al di là degli schieramenti, perché è solo in questo modo
che si affronta un tema così importante e carico di significato quale
quello del contrasto ad ogni forma di
violenza, di prevaricazione e di negazione del diritto di disporre della
propria libertà sessuale.
Tuttavia, si tratta di un voto favorevole che ha una valenza politica
importante e che deve far riflettere
la maggioranza. Questo voto è la dimostrazione che la nostra opposizione non è mai fine a se stessa o sorda
rispetto ai problemi reali del Paese,
ma che anzi si vuole far carico fino
in fondo di questi problemi, laddove
in quest’Aula ci si confronti su testi
scevri da norme-manifesto o da nor-
208
me-slogan che incitano alla giustizia
fai-da-te e che non risolvono concretamente i problemi della sicurezza
dei cittadini.
Vuole essere un voto favorevole di
condivisione di un ulteriore passo
verso la realizzazione di traguardi
concretamente più efficaci, che ci
consentano di vincere davvero la
battaglia contro la violenza e tutte
le forme di coartazione della libertà.
In questo senso ci auguriamo che gli
impegni assunti dal Governo nell’accoglimento degli ordini del giorno si
traducano in azioni positive con il
reperimento di fondi necessari, di
risorse umane ed economiche specificatamente dedicate al contrasto
della violenza e al sostegno delle
vittime (Applausi dei deputati del
gruppo del Partito Democratico).
Omofobia
Seduta n. 230 di lunedì 12 ottobre 2009
Omofobia e discriminazione sessuale
Signor Presidente, molto è già stato
detto e dunque nel mio intervento
cercherò di tracciare un percorso
che sia razionale, obiettivo, se possibile scevro da condizionamenti e
che, a mio avviso, dovrebbe essere
d’aiuto o comunque supportarci ed
accompagnarci nell’approvazione di
questo testo.
Il provvedimento in esame, come è
già stato detto, è volto ad introdurre
nel codice penale tra le circostanze
aggravanti cosiddette comuni una
circostanza che si applica appunto ai
reati contro la persona, in particolare ai reati che siano stati commessi
in ragione dell’orientamento sessuale della vittima o al fine di discriminazione sessuale.
È un testo che può sembrare poca
cosa, ma che in realtà costituisce il
frutto di un lungo dibattito iniziato
già nella precedente legislatura e
che, come è stato affermato in Commissione nella seduta del 2 ottobre
scorso dal mio collega capogruppo
del PdL, l’onorevole Costa, è il frutto
di una sintesi tra diverse sensibilità.
Discussione sulle linee generali
Di più, il testo costituisce un primo
passo concreto per l’attuazione delle direttive europee che con sempre
maggiore forza, condannando ogni
forma di omofobia, chiedono agli
Stati membri di assicurare, con i vari
strumenti a disposizione, l’effettiva
tutela delle persone da ogni forma di
violenza omofobica - che è stata definita nella risoluzione del 2006 (già
ricordata dalla relatrice, onorevole
Concia) come paura, avversione irrazionale nei confronti dell’omosessualità, dei gay, delle lesbiche, dei
bisessuali e dei transessuali, estrinsecazione di un grave pregiudizio
- e di lesione dei diritti inviolabili
dell’uomo garantiti dalla Carta dei
diritti fondamentali e dalla nostra
Carta costituzionale.
Non c’è bisogno in quest’Aula che
ricordi l’articolo 2 e l’articolo 3, primo e secondo comma, della nostra
Costituzione. Questo testo di legge
si pone in questa linea, costituisce
l’attuazione del diritto sostanziale
di uguaglianza, senza discriminazione legata al sesso o all’orienta-
AC 1658 / 1882 A - Modifica all’articolo 61 del codice penale, concernente l’introduzione della circostanza aggravante relativa all’orientamento
o alla discriminazione sessuale (testo unico respinto il 13 ottobre 2009 a
seguito dell’accoglimento della pregiudiziale di costituzionalità presentata
dall’UDC)
209
Temi per la legalità
mento sessuale, e realizza il dovere
della Repubblica italiana, attraverso
il Parlamento, di rimuovere quegli
ostacoli che impediscono il pieno
sviluppo della persona umana. È
un compito che lo Stato italiano e i
suoi esponenti di Governo non possono confinare nell’ambito di mere
affermazioni di principio, sia pure
di solidarietà, espresse di solito
all’indomani dell’ennesimo episodio
di violenza (come quello accaduto
ieri a Roma, in via del Corso, dove
una coppia di gay che passeggiava è
stata aggredita senza alcun motivo)
o all’esito di incontri (come quello
avvenuto pochi giorni tra il Ministra
Carfagna e le associazione di riferimento di omosessuali e transessuali, o quelli precedenti con donne
e minori, vittime di violenza e discriminazioni). Sempre all’indomani di questi incontri vi sono grandi
affermazioni e grandi promesse. Da
oggi in poi vedremo quali saranno
gli interventi e le posizioni concrete.
Bisogna uscire dall’ambiguità, dalle
assicurazioni generiche di intervento
e approvare questo testo, magari migliorandolo, ma occorre finalmente
dare un segnale concreto.
D’altro canto, il diritto penale trova
nella morale una delle più attive e
potenti forze del suo dinamismo evolutivo. Da un lato, quindi, il diritto,
via via, si spoglia di quei precetti, di
quelle sanzioni che il progresso etico individuale e sociale rende inutili,
non indispensabili al mantenimento
210
della moralità dominante; dall’altro
- e questo il caso dei comportamenti
omofobici in genere e di quelli legati alla discriminazione sessuale - ne
acquista di nuovi, che corrispondono alle nuove esigenze di civiltà che
non possono essere trascurate o relegate in un limbo.
Inoltre, se è vero che non bisogna
imitare con smania le legislazioni
straniere, l’esame critico della legislazione comparata serve a rendere
universali i fondamentali del diritto
penale obiettivo, perché i denominatori comuni che uniscono le legislazioni straniere, in realtà, sono
l’espressione formale di bisogni
collettivi.
Mi rivolgo dunque ai colleghi con i
quali ho condiviso dei momenti di
discussione in Commissione, in particolare ai colleghi dell’UdC: se tutte
le legislazioni straniere che abbiamo
valutato (in particolare, la Francia,
la Gran Bretagna, il Portogallo e il
Belgio) si riferiscono alla circostanza aggravante per alcuni reati o delitti commessi in ragione dell’orientamento sessuale della vittima, una
ragione ci sarà. Ci sarà un comune
denominatore, ormai arrivato ad
essere forza di coscienza collettiva,
che impedisce di insinuare il dubbio
che ci stiamo avventurando su un
testo di legge in sé pericoloso o dannoso per le coscienze collettive.
In realtà, da un’analisi molto accurata che è stata effettuata e do-
Omofobia
cumentata in Commissione, risulta
che l’esistenza di un’aggravante penale per motivi omofobici, e che fa
propria questa nostra stessa espressione letterale, è riconosciuta da
dieci Paesi membri.
D’altro canto, ritengo che il legislatore debba essere mosso possibilmente
da principi di coerenza.
Allora, se valutiamo il pacchetto sicurezza (mi rivolgo in particolare al
Governo) di recente approvazione,
verifichiamo come la linea guida
che ha ispirato una rilevante porzione degli interventi realizzati sul codice penale è quella di rafforzare la
tutela offerta a categorie di soggetti
cosiddetti deboli vittime del reato.
Mi riferisco agli anziani, ai minori,
attraverso le specifiche aggravanti contenute appunto nel pacchetto
sicurezza. Un’aggravante che, tra
l’altro, in qualche modo si avvicina
proprio al nostro testo, è prevista
proprio all’articolo 61, numero 11ter del codice penale che dispone:
l’aver commesso un delitto contro la
persona ai danni di un soggetto minore all’interno e nelle adiacenze di
istituti di istruzione e di formazione
è punito più gravemente.
Per questi fatti è stata coniata un’aggravante perché si è ritenuto che
occorresse dare - questo è l’obiettivo del legislatore - una tutela maggiore al minore nel momento in cui
frequenta l’istituto scolastico. Nonostante la genericità e la non uni-
vocità della formulazione normativa
- credo che sia lapalissiano già dalla
mera lettura della norma - nessuno
si è posto il problema della determinatezza ai fini del rispetto dell’articolo 25 della Costituzione in quanto,
a prescindere dal lato letterale che
può sembrare sfumato e generico, in
realtà è chiaro l’obiettivo del legislatore e la previsione normativa va letta dall’interprete alla luce della ratio
che la informa.
In questo contesto, quindi, penso
che siano necessari un ripensamento
e una rilettura di quel parere della I
Commissione che ha previsto quale
condizione addirittura la definizione della nozione di «orientamento
sessuale», allorché venga immessa
per la prima volta nella legislazione
penale.
In realtà, non è così: non solo quella
nozione ha un significato univoco,
che si ricava dalle fonti di diritto
internazionale e comunitario, ma in
realtà è già presenta da tempo nel
nostro tessuto normativo. Vi è, infatti, una legislazione precisa (è stata
emanata nel 2003) che riguarda proprio il divieto di indagini su opinioni
e trattamenti discriminatori. Anche
qui mi rivolgo ancora, con amicizia
e stima, ai colleghi dell’Unione di
Centro per un loro ripensamento:
infatti, con il decreto legislativo del
10 settembre 2003, n. 276, è fatto divieto ai datori di lavoro, alle agenzie
di lavoro e a tutti soggetti pubblici e
privati di effettuare qualsiasi indagi211
Temi per la legalità
ne o comunque trattamento di dati o
preselezione di lavoratori, anche con
loro consenso, in base alle convinzioni personali, all’affiliazione sindacale o politica, al credo religioso,
al sesso e all’orientamento sessuale.
Questa precisa condotta di discriminazione nel trattamento dei dati
e nell’avvio al lavoro è punita da
una sanzione penale che è prevista
dall’articolo 30 della legge in questione. Non creiamo, anzi non ci
facciamo - perché il termine creare
può sembrare strumentale - dei falsi problemi. Cerchiamo di avere il
coraggio di realizzare in maniera
attuativa ed effettiva quel principio
costituzionale che vieta le discrimi-
nazioni. In realtà, questo nuovo testo, con tutte le evoluzioni sofferte
di cui ha parlato la relatrice, che vi
sono state in Commissione non introduce un nuovo reato di opinione,
ma prevede un’aggravante penale
in cui si dà rilievo soltanto a motivi
discriminatori rispondenti al dettato
costituzionale, a quell’articolo 3 della Costituzione che in sé ha la forza
di orientare gli indirizzi del legislatore, di sostanziarne di contenuto
interpretativo le clausole generali
al fine di realizzare la promozione
effettiva dei valori di uguaglianza
all’interno della collettività (Applausi dei deputati del gruppo Partito
Democratico).
Seduta n. 231 di martedì 13 ottobre 2009
Esame di pregiudiziali
Signor Presidente, questo provvedimento ha avuto effettivamente un
andamento che lascia sconcertati,
perché basta rileggere l’iter dei lavori in Commissione e vediamo come
la maggioranza si sia convogliata, con il parere del capogruppo in
Commissione giustizia sia del Popolo della Libertà sia della Lega Nord
Padania, oltre, ovviamente, che del
Partito Democratico e dell’Italia dei
Valori, per una determinatezza della
fattispecie che potesse consentire di
fare la sintesi delle varie sensibilità.
Poi, a un certo punto, vi è stato un
parere della Commissione affari co212
stituzionali che ha individuato delle
perplessità riferite al fatto che il termine «orientamento sessuale», pur
determinato attraverso fonti internazionali e comunitarie di immediata
efficacia, sarebbe stato per la prima
volta presente nel nostro sistema ordinamentale, e quindi, per la prima
volta, avrebbe costituito una fattispecie penale.
Di qui si aggancia una strumentale e non condivisibile questione
pregiudiziale presentata dall’UdC
che vorrebbe che si dichiarasse non
conforme alla Costituzione per indeterminatezza della fattispecie una
Omofobia
circostanza aggravante che non è
un’autonoma fattispecie di reato,
una circostanza aggravante che ha in
sé tutte le caratteristiche di determinatezza. È una strumentalizzazione
perché questa fattispecie, questa circostanza, questa espressione «orientamento sessuale» la troviamo in atti
che sono immediatamente efficaci
nel nostro ordinamento.
Non è vero e nessuno si è mai sognato di porre la questione pregiudiziale
di costituzionalità quando abbiamo
aderito e ratificato il famoso Trattato di Lisbona, che, proprio all’articolo 19, si esprime e fa riferimento
al Parlamento affinché utilizzi tutti
gli strumenti per combattere le discriminazioni fondate sul sesso, la
razza, l’origine etnica, la religione, l’età e l’orientamento sessuale.
Ma, ugualmente, troviamo la stessa
espressione «orientamento sessuale» già nel nostro ordinamento. In
esso esiste una norma, introdotta nel
2003, quindi di recente, da un decreto legislativo che riguarda la materia
del lavoro, che vieta alle agenzie per
il lavoro discriminazioni non soltanto per condizioni politiche, religione
e credo, ma anche per l’orientamento
sessuale.
Infatti, questo decreto legislativo
vieta alle agenzie per il lavoro e
agli altri soggetti pubblici e privati
indagini sulle opinioni, tra l’altro,
sull’orientamento sessuale. E cosa
fa questo testo? Impone una sanzione penale ai sensi dell’articolo
38 della legge n. 300 del 1970, lo
Statuto dei lavoratori, e punisce, e
quindi incrimina, il comportamento
che discrimina e crea una situazione di sbarramento con riferimento
all’orientamento sessuale.
Allora, che fondamento può avere una questione pregiudiziale di
costituzionalità che fa riferimento
all’indeterminatezza della fattispecie? Sappiamo che non può esistere
una questione pregiudiziale che non
riguarda il cuore del provvedimento,
l’essenza di questo testo normativo,
ma che riguarda soltanto un’espressione .che deve e può essere riempita
di contenuto attraverso l’interpretazione, attraverso l’affermazione del
principio costituzionale di uguaglianza, che non è soltanto l’uguaglianza sostanziale, ma è anche, e
soprattutto, quell’uguaglianza che
deve prevedere tutte le attività di
promozione rivolte a superare le differenze, la posizione dei disuguali.
Questa è la lezione di vita quotidiana che dobbiamo trarre, e questo è il
contesto sociale all’interno del quale
valutare la questione pregiudiziale
in esame.
213
Temi per la legalità
214
Protezione dei minori contro lo sfruttamento e l’abuso sessuale
Seduta n. 268 di martedì 19 gennaio 2010
protezione dei minori contro lo sfruttamento
e l’abuso sessuale
Dichiarazione di voto finale
Signor Presidente, onorevoli colleghi, questa è sicuramente una giornata importante perché assistiamo
alla conclusione di un iter di un
provvedimento parlamentare che riguarda lo sfruttamento e l’abuso sessuale sui minori che sono certamente
tra i fatti più riprovevoli e forme di
violenza tra le peggiori, perché privano il bambino della libertà e della
dignità e ne pregiudicano, spesso e
irrimediabilmente, il suo percorso
formativo e lo sviluppo della sua
personalità. Sono fatti spesso di
difficile accertamento ed emersione
proprio perché avvengono a volte in
contesti familiari, educativi o nei cosiddetti ambienti protetti.
La Convenzione adottata dal Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa a Lanzarote e sottoscritta il 7
novembre 2007 dall’Italia fa seguito
a una serie di numerosi strumenti internazionali a tutela dei minori, primo fra tutti la Convenzione di New
York del 1989.
La Convenzione di Lanzarote affronta le tematiche dello sfruttamento e dell’abuso sessuale in maniera
sistematica con una serie di misure:
la protezione del minore in via anticipata, la creazione di una barriera
di prevenzione, l’istituzione di autorità specializzate, interventi di controllo per prevenire e reprimere tutte
le forme di sfruttamento sessuale
per proteggere i minori, per diffondere più consapevolezza della problematica soprattutto tra le persone
che hanno a che fare con i minori ed
hanno regolare contatto con essi nel
settore dell’educazione, della salute,
della protezione sociale e tra le forze
di polizia.
Il testo che oggi si discute in Aula,
per il quale preannuncio il voto favorevole del gruppo del Partito Democratico, ha avuto uno sviluppo parlamentare complesso. Trae la propria
origine in realtà da varie iniziative
parlamentari che recano la firma di
deputati di vari gruppi, caratterizzate da un comune denominatore:
AC 2326 - Ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d’Europa
per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l’abuso sessuale, fatta a
Lanzarote il 25 ottobre 2007, nonché norme di adeguamento dell’ordinamento interno (approvato il 19 gennaio 2010. Trasmesso al Senato)
215
Temi per la legalità
l’individuazione di misure effettive
di tutela dei diritti fondamentali dei
minori e rivolte ad una crescita, ad
un’educazione, ad uno sviluppo armonioso contro le azioni di sfruttamento sessuale e pedopornografico
in qualsiasi forma realizzate.
Mentre la Commissione si preparava
ad optare per un testo unificato - per
il Partito Democratico vi era per l’appunto la proposta di legge atto Camera 1672 a prima firma dell’onorevole
Veltroni, del settembre 2008 - si è inserito il disegno di legge del Governo
di ratifica della Convenzione nell’ambito del quale - devo darne atto - con
un lavoro sapiente di cucitura effettuato dalla relatrice, la collega Angela Napoli, si è pervenuti ad un testo
unificato ulteriormente discusso e
perfezionato in sede di approvazione
degli emendamenti, che tiene conto
proprio del dibattito parlamentare.
late più di un milione di immagini di
bambini abusati e di questi solo 20
mila sono stati identificati; gli altri
sono anonimi e probabilmente continueranno a subire abusi.
A questa piaga sociale si tenta di
dare una risposta con la nuova formulazione di reati di adescamento di
minori per scopi sessuali e di pedofilia e pedopornografia culturale, che
ricomprendono condotte poste in essere anche con i mezzi di comunicazione tecnologicamente più avanzati.
Si tratta di uno strumento normativo
che consentirà un’azione efficace di
contrasto e che coinvolge la nostra
unità italiana specializzata di polizia postale che quotidianamente
- mi piace qui ricordarlo - raggiunge risultati di eccellenza attraverso
indagini che svolge con procedure e
tecnologie d’avanguardia.
La linea ispiratrice di questo importante provvedimento legislativo, che
ovviamente, per quanto riguarda
l’Italia, non è il primo di questo genere, ma si inserisce in un contesto
normativo già attento alla garanzia
dell’integrità psicofisica dei minori,
è quella di predisporre strumenti
normativi adeguati per combattere
le formule più subdole di violenza
contro i minori.
Si è data specifica attuazione così
all’articolo 23 della Convenzione,
offrendo strumenti effettivi che consentono un intervento anticipato agli
organi di polizia per impedire comportamenti propedeutici ai più gravi
delitti a sfondo sessuale nei confronti dei minori. Si è dato uno specifico
rilievo poi al delitto di prostituzione
minorile, punendo l’attività di reclutamento, favoreggiamento, gestione
e organizzazione a fini di profitto.
Sono noti i dati dell’UNICEF secondo cui due milioni di bambini sono
utilizzati ogni anno nell’industria del
sesso; sulla rete Internet sono veico-
Si è previsto un particolare rigore
all’applicazione delle pene accessorie derivanti dalle condanne e dal
patteggiamento, così come alla con-
216
Protezione dei minori contro lo sfruttamento e l’abuso sessuale
fisca del profitto anche per equivalente derivante dalla riprovevole attività illecita di sfruttamento sessuale
di minori. Siamo convinti che quando ci sono i minori di mezzo sia necessario creare una rete adeguata di
protezione e quindi sanzionare quei
comportamenti finalizzati al delitto
sessuale che intervengono su persone fragili, immature, particolarmente suggestionabili e adescabili.
Si è intervenuti poi anche sul piano delle misure cautelari, pensando
all’allontanamento dalla casa familiare, sul tema delle misure di prevenzione personale, prescrivendo
che il giudice possa vietare l’avvicinamento a luoghi abitualmente
frequentati da minori ed in tema di
prevenzione antimafia con specifico riferimento alla confisca penale
obbligatoria. È nato così - credo sia
importante ricordarlo - un confronto parlamentare in Commissione
giustizia che ha portato, anche con
un nostro emendamento, alla norma
sul gratuito patrocinio in deroga ai
limiti di reddito delle persone offese
minori vittime di violenza sessuale
o di gruppo, di pedopornografia e di
sfruttamento sessuale in genere.
Si tratta di un testo, in conclusione, che è il frutto di un lavoro di
convergenza della Commissione e
del Governo, nello sforzo di introdurre disposizioni più stringenti
per quanto riguarda le fattispecie
incriminatrici, l’accesso alle sanzioni, l’accesso all’assistenza legale
gratuita, il contrasto delle attività
che incitano all’abuso e allo sfruttamento sessuale, la prevenzione,
la ricerca dei colpevoli, l’assistenza
affettiva e psicologica del minorenne durante il procedimento penale. Siamo consapevoli, però, che il
provvedimento in discussione non
servirà a risolvere in maniera definitiva, a sconfiggere in ogni modo
questo riprovevole e antico fenomeno. Ma è sicuramente una parte
importante di un percorso che deve
essere adeguatamente monitorato e
arricchito da interventi che mirino
ad isolare i fattori di disagio culturale e sociale.
Occorre una politica, quindi, che
non sia solo di repressione penale e
di inasprimento sanzionatorio, ma
che valorizzi come elemento di prevenzione fondamentale la formazione degli operatori della scuola, dei
centri sportivi e culturali, delle forze dell’ordine e della magistratura,
dell’assistenza e il sostegno alle famiglie, affinché in ogni formazione
sociale si attui quel principio costituzionale dell’articolo 2 della Costituzione, affinché quella formazione
sociale, sia scuola, sia famiglia, sia
luogo d’incontro, sia lo strumento e
il veicolo per la formazione e lo sviluppo della personalità dei minori
(Applausi dei deputati del gruppo
Partito Democratico).
217
Temi per la legalità
218
Riconoscimento dei figli naturali
Seduta n. 492 di martedì 28 giugno 2011
Riconoscimento dei figli naturali
Discussione sulle linee generali
Signor Presidente, sicuramente questo momento, questa giornata dedicata alla discussione generale sul
provvedimento sulla filiazione naturale è un momento, credo, importante sia dal punto di vista delle regole
tecniche, ma soprattutto sul piano
del principio della politica del diritto.
È il frutto - lo possiamo dire anche
con orgoglio e mi riferisco anche al
ruolo sicuramente di coesione che ha
svolto la relatrice, onorevole Mussolini - di un lavoro parlamentare effettuato in Commissione giustizia in
un periodo pur difficile per arrivare
a formule condivise, ma che hanno
portato a questo testo unificato con
il quale sostanzialmente si conclude
un percorso.
Come è stato accennato anche nel
corso della relazione, si tratta di un
percorso che poteva essere sicuramente risolto prima, che aveva avuto
già un proprio inizio e un proprio sviluppo anche nella precedente legislatura con la proposta di legge delega
dell’allora Ministro Bindi e che oggi,
a metà di questa legislatura, viene in
Aula con un testo in larga parte con-
diviso e, auspichiamo alla fine totalmente condiviso anche all’esito dei
miglioramenti che vorremmo apportare con degli emendamenti.
Sicuramente si tratta di un sistema attuale ancora costruito sullo schema di
un diritto ottocentesco della filiazione
che è stato profondamente innovato
nella direzione egalitaria con la riforma del 1975, ma che aveva bisogno
di un passo ulteriore che completasse
l’affermazione dell’uguaglianza fra
tutti i figli indipendentemente dalla
loro nascita all’interno o all’esterno
del matrimonio soprattutto ai fini
della parentela e, quindi, anche delle
conseguenze in materia di successioni. Era necessario effettuare quella
pulizia delle infinite incrostazioni
che si sono accumulate nel tempo, soprattutto a seguito della menzionata
riforma del 1975 e i numerosi e pregnanti interventi successivi operati
dalla Corte costituzionale.
Debbo dire che in questa materia,
possiamo dire in maniera unanime,
si sono affermate delle regole e dei
principi della giurisprudenza, con
interventi della Corte di Cassazio-
AC 2519 e abbinate - Modifiche al codice civile in materia di riconoscimento
e di successione ereditaria dei figli naturali (approvato il 30 giugno 2011 in
testo unificato. Trasmesso al Senato)
219
Temi per la legalità
ne e della Corte costituzionale che
hanno svolto un ampio e meritorio
lavoro di miglioramento e adattamento a quelle che erano le conseguenze naturali di quella riforma
del 1975. Si tratta di un lavoro che
ha supplito, purtroppo lo dobbiamo
dire in senso critico, all’inerzia del
legislatore italiano, a differenza dei
legislatori dei paesi europei che negli ultimi vent’anni sono intervenuti in riforme radicali del diritto di
filiazione.L’affermazione dell’uguaglianza dei figli indipendentemente dalla loro nascita all’interno o
all’esterno del matrimonio è stata ripresa anche nelle decisioni della Corte europea dei diritti dell’uomo che
tratteggiano come la famiglia sia l’organismo che presuppone lo sviluppo
della personalità dei suoi componenti. Ne derivano una serie di corollari
tra i quali sicuramente quello della
tutela dei figli per se stessi, quale che
sia la fonte di costituzione del legame
giuridico. D’altro canto, già l’articolo 39 della nostra Costituzione della
Repubblica non consente discriminazioni riguardo ai figli. L’unico punto di equilibrio va visto in relazione
alla compatibilità con gli altri diritti
fondamentali paritari della cosiddetta famiglia ristretta, che deve essere
valutato ed è risolto in questo disegno
di legge attraverso la valutazione del
giudice, senza condizionamenti. Si
tratta dell’unico status di filiazione
che implica verità biologica e assunzioni di responsabilità.
220
Siamo riusciti attraverso un dialogo
con il Governo e una presa di posizione da parte della relatrice e dei
gruppi parlamentari - e anche noi
del gruppo del Partito Democratico
vogliamo prenderci questo merito a portare in Aula, non soltanto una
delega per il Governo. Sicuramente la seconda parte dell’articolo 2 è
importante in quanto realizza e può
realizzare in una materia così complessa, anche tecnicamente, quel
raccordo necessario con i principi
generali, ma è importante anche la
prima parte, nella quale viene formulato un articolato ben preciso,
che soprattutto va a toccare i punti
fondamentali.
Infatti, con la modifica dell’articolo 74 del codice civile, in nome del
principio di eguaglianza, si introduce
finalmente nel diritto italiano l’equiparazione in materia di parentela e
l’abbassamento a quattordici anni di
età per l’assenso al proprio riconoscimento, e soprattutto con la modifica
dell’articolo 315 del codice civile si
prevede lo stato giuridico della filiazione, un unico stato di figlio. Tale
articolo, come modificato, prevederà
il diritto del figlio al mantenimento,
all’educazione e all’istruzione a carico dei genitori e recepisce il principio, costantemente affermato dalla
giurisprudenza in modo unanime,
secondo il quale l’obbligo discende
dal rapporto genetico di filiazione
e non dal matrimonio, come ancora
stabilisce l’articolo 147 del codice
Riconoscimento dei figli naturali
civile, che quindi dovrà, nell’opera
sistematica di raccordo, sicuramente
essere abrogato.
È ormai assodato che mentre gli aspetti patrimoniali concernenti i doveri dei
genitori di mantenimento e i profili
economici dell’istruzione dipendono
dall’aver generato un figlio, gli aspetti
personali, l’educazione e i profili non
strettamente patrimoniali di istruzione
sono inscindibilmente legati all’esercizio della potestà genitoriale.
Un altro aspetto importante, che abbiamo affrontato già in sede di Commissione - e pertanto in Aula giunge il
testo come modificato dall’intervento
della Commissione giustizia - è quello del nuovo terzo comma dell’articolo 315-bis sul tema dell’ascolto del
minore, un obbligo di ascolto che è
posto con riferimento ai minori di età
pari o superiore ai dodici anni, ma
che poi fa riferimento, sulla base di
quanto previsto dalla Convenzione
ONU sui diritti dei minori, al fatto che il minore deve essere sempre
ascoltato, se capace di discernimento.
Questo è un ulteriore passo rispetto
alla previsione iniziale del testo base,
conseguente anche all’accoglimento
di un nostro emendamento. A fianco
dei tradizionali doveri dei genitori
nei confronti dei figli, il nuovo articolo 315-bis del codice civile contempla
proprio il diritto dei figli all’assistenza morale dei genitori: il diritto di
crescere con la propria famiglia, di
avere rapporti con i parenti, di essere ascoltato ogni qual volta si tratti di
questioni e procedure che lo riguardano e - l’ho detto in premessa - è
stato aggiunto un ulteriore correttivo
che demanda al giudice, senza condizionamenti o pareri di terzi, la valutazione di quella compatibilità con
la famiglia ristretta prevista dal terzo
comma dell’articolo 30 della nostra
Costituzione.
Ho già parlato della parte seconda
di questo articolato, della delega al
Governo, prevista nell’articolo 2,
per cercare di raccordare tutte le
altre disposizioni, una volta stabiliti i principi base informatori e che
sostanzialmente ha tenuto conto
(mentre era in corso il dibattito parlamentare sulle proposte di legge di
iniziativa dei deputati Mussolini,
Bindi, Palomba ed altri) di un intervento, di una delega che, a tutto
tondo, aveva preparato nel frattempo il Governo, ma che - come ho già
detto - ha visto anche da parte del
Governo, ragionevolmente, tener
conto del corso del dibattito parlamentare e della necessità che, su
alcuni punti cardini e fondamentali
che qualificano questo disegno di
legge, ci fosse un articolato e quindi una norma immediatamente precettiva, di formazione totalmente
parlamentare, che desse anche un
significato più profondo a questo
intervento legislativo.
La delega, come è stato già detto
nella relazione dell’onorevole Mussolini, prevede vari aspetti, alcuni
saranno oggetto di ulteriori appro221
Temi per la legalità
fondimenti e soprattutto correttivi,
ci auguriamo anche in sede di emendamenti approvati dal Comitato dei
nove e dall’Aula.
Il punto su cui mi preme sollecitare l’attenzione dell’Aula e di tutti i
gruppi è la questione affrontata nella delega alla lettera o) del comma 1
dell’articolo 2. Si tratta di un aspetto che non era stato affrontato nel
disegno di delega che era stato già
discusso dalla Commissione giustizia nella precedente legislatura - mi
riferisco al disegno di legge d’iniziativa del Ministro Bindi - e che
riguarda la nuova nozione di abbandono. Mentre la presente proposta di legge estende l’applicazione
del principio di unicità dello stato
di filiazione anche all’adozione - e
ciò è giustissimo e ricco di implicazioni che devono essere colte a
tutto tondo - riteniamo particolarmente criticabile - su questo abbiamo presentato un emendamento sia
soppressivo che migliorativo - la
nozione di stato di abbandono.
Leggo il testo della lettera o): «Specificazione della nozione di abbandono con riguardo alla mancanza
di assistenza da parte dei genitori
e della famiglia che abbia determinato una situazione di irreparabile
compromissione della crescita del
minore», fermo restando che questa condizione non può derivare
dalla condizione di indigenza dei
genitori. Questa espressione contenuta nella delega che fa riferimen222
to all’irreparabile compromissione
della crescita per definire la nozione
di abbandono costituisce un criterio
estremo che avrà un effetto perverso, non conforme all’intenzione di
chi ha previsto la delega, produrrà
l’effetto di ridurre drasticamente le
dichiarazioni di adottabilità, circoscrivendole in gran parte soltanto
al caso di bambini non riconosciuti
alla nascita, e va in direzione contraria a tutta la politica del diritto
in materia adottiva che ha indirizzato l’azione del legislatore e dei
giudici sin dal 1967 e che ha dato
ottima prova su questo punto. È soprattutto pericolosa la parola «irreparabile», meglio suonano le parole
«irreversibilità» o «non transitoria», come abbiamo previsto anche
in un «emendamento costruttivo»,
che ricorre abitualmente nei provvedimenti sullo stato di adottabilità
ed è ampiamente usata. Sono infatti
pervenute segnalazioni consapevoli, responsabili e significative di una
partecipazione alla materia anche da
parte di molti giudici minorili che
sostanzialmente si rifanno a questo
principio: non si può consentire che i
bambini corrano i rischi di gravi danni irreparabili per essere poi adottati
ed i diritti del bambino - salute, integrità fisica e psichica, istruzione devono essere tutelati nei confronti
delle condotte pregiudizievoli dei
genitori. I tribunali dei minori interverranno quindi - perché questo è il
loro compito, lo auspichiamo e tante
Riconoscimento dei figli naturali
volte li critichiamo se non lo fanno
- nei confronti delle condotte pregiudizievoli con strumenti di protezione
che vanno dall’affidamento al servizio sociale all’allontanamento dal
nucleo con inserimento in comunità
o a famiglia affidataria, quindi più
attiveranno gli strumenti di protezione che è loro compito attivare, meno
potranno essere dichiarati adottabili
i bambini per i quali invece la convivenza con i genitori è altamente
pericolosa perché, dato che si sono
attivati quegli strumenti, non ci potrà
essere l’irreparabile compromissione
della crescita.
Ritengo quindi che questo sia uno
dei punti su cui sicuramente dovremo trovare una via di correzione
perché credo che sia una formula
male utilizzata, che non può non
tener conto dell’elaborazione della
giurisprudenza e dell’interesse del
minore.Credo che la lettera p) del
comma 1 dell’articolo 2, altro aspetto importante, che è stata anch’essa
corretta in sede di emendamenti e
che prevede la segnalazione ai comuni da parte dei tribunali per i minorenni delle situazioni di indigenza
dei nuclei familiari e richiede anche
interventi di sostegno per consentire al minore di essere educato e la
previsione di controlli da parte del
tribunale dei minorenni in relazione alle situazioni segnalate, abbia
un significato che vada oltre il suo
aspetto letterale. Essa implica un
rafforzamento dei principi che già
sono nella legge n. 184 del 1983, un
problema legato alla questione politica ed economica delle risorse che
vengono destinate dallo Stato e dagli
enti locali alle politiche di assistenza.
Si tratta - lo sappiamo tutti - di risorse largamente inferiori ai bisogni. Si
potrebbe anche immaginare, in sede
di attuazione della delega, di prevedere che i tribunali per i minorenni
e ordinari e le rispettive procure
chiamate a prendere provvedimenti
in materia di potestà possano convocare i comuni per farsi illustrare che
cosa questi intendano fare, in realtà e in concreto, per porre rimedio
alla situazione sociale ed economica
della famiglia in cui vi è il rischio
che il minore non possa avere quello
sviluppo armonioso a cui ha diritto
e che noi tutti dobbiamo cercare di
avviare a un’effettiva realizzazione.
Signor Presidente, ho tracciato gli
aspetti che ci hanno visti uniti in
questa battaglia e anche quelli che,
a nostro avviso, devono e possono
essere migliorati. Ritengo, comunque, che sia sicuramente un momento importante quello che abbiamo
oggi raggiunto; un momento in cui,
fuori da pregiudizi ideologici, si cerca di svolgere il ruolo effettivo del
legislatore, che è quello di cogliere
le istanze della società e di cercare
anche di non svolgere soltanto un’attività notarile, ma di promuovere lo
sviluppo, e quindi la crescita, della
società attraverso l’attuazione piena
dei nostri principi costituzionali.
223
Temi per la legalità
224
Settembre 2011
“C’è un filo rosso – dice Donatella Ferranti nella sua
introduzione – che ha tenuto insieme prima il magistrato ed ora il deputato nella sua esperienza professionale: è il rigoroso rispetto, non solo formale, dei
principi costituzionali che attengono ai diritti fondamentali della persona ed in particolare all’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge.
Quella sottolineatura – rispetto non solo formale –
rappresenta la cifra della personalità della Ferranti:
il magistrato, ieri, che nella Costituzione ha visto la
sua armatura e ne ha compreso i valori d’insieme; il
deputato, oggi, che svolge il compito alto della politica in conformità a quei valori medesimi: affrontare
con intelligenza ed apertura i problemi del Paese, riflettere sulle sue povertà e le sue risorse, prospettare
soluzioni, avanzare proposte, richiamare quelle virtù
repubblicane che fanno riscoprire il gusto della cittadinanza, combattere l’indifferenza e l’opacità dei
comportamenti”.
(dalla prefazione di Virginio Rognoni)