i numeri e le storie dell`assalto alle coste
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i numeri e le storie dell`assalto alle coste
Mare monstrum 2004 I NUMERI E LE STORIE DELL’ASSALTO ALLE COSTE Roma, 25 giugno 2004 IL "CHI E'" DI LEGAMBIENTE LEGAMBIENTE è l’associazione ambientalista italiana con la diffusione più capillare sul territorio (1000 gruppi locali, 20 comitati regionali, 110000 tra soci e sostenitori). Nata nel 1980 sull’onda delle prime mobilitazioni antinucleari, LEGAMBIENTE è un’associazione apartitica, aperta ai cittadini di tutte le idee politiche, religiose, morali, che si finanzia con i contributi volontari dei soci e dei sostenitori delle campagne. E' riconosciuta dal Ministero dell'Ambiente come associazione d'interesse ambientale, fa parte del “Bureau Européen de l'Environnement”, l’unione delle principali associazioni ambientaliste europee, e della “International Union for Conservation of Nature”. Campagne e iniziative Tra le iniziative più popolari di LEGAMBIENTE vi sono grandi campagne di informazione e sensibilizzazione sui problemi dell’inquinamento: “Goletta Verde”, il “Treno Verde”, l’”Operazione Fiumi”, che ogni anno “fotografano” lo stato di salute del mare italiano, la qualità dell’aria e la rumorosità nelle città, le condizioni d’inquinamento e cementificazione dei fiumi; “Salvalarte”, campagna di analisi e informazione sullo stato di conservazione dei beni culturali; “Mal’Aria”, la campagna delle lenzuola antismog stese dai cittadini alle finestre e ai balconi per misurare i veleni presenti nell’aria ed esprimere la rivolta del “popolo inquinato”. LEGAMBIENTE promuove anche grandi appuntamenti di volontariato ambientale e di gioco che coinvolgono ogni anno centinaia di migliaia di persone (“Clean-up the World/Puliamo il Mondo” l’ultima domenica di settembre, l’operazione “Spiagge e Fondali Puliti” l’ultima domenica di maggio, i campi estivi di studio e recupero ambientale, “Caccia ai tesori d’Italia” all’inizio della primavera), ed è fortemente impegnata per diffondere l'educazione ambientale nelle scuole e nella società (sono migliaia le Bande del Cigno che aderiscono all'associazione e molte centinaia gli insegnanti che collaborano attivamente in programmi didattici, educativi e formativi). Per una globalizzazione democratica LEGAMBIENTE si batte contro l’attuale modello di globalizzazione, per una globalizzazione democratica che dia voce e spazio alle ragioni dei poveri del mondo e che non sacrifichi le identità culturali e territoriali: rientrano in questo impegno le campagne “Clima e Povertà”, per denunciare e contribuire a combattere l’intreccio tra problemi ambientali e sociali, e “Piccola Grande Italia”, per valorizzare il grande patrimonio di “saperi e sapori” custodito nei piccoli comuni italiani. L’azione sui temi dell’economia e della legalità Da alcuni anni LEGAMBIENTE dedica particolare attenzione ai temi della riconversione ecologica dell’economia e della lotta all’illegalità: sono state presentate proposte per rinnovare profondamente la politica economica e puntare per la creazione di nuovi posti di lavoro e la modernizzazione del sistema produttivo su interventi diretti a migliorare la qualità ambientale del Paese nei campi della manutenzione urbana e territoriale, della mobilità, del risanamento idrogeologico, della gestione dei rifiuti; è stato creato un osservatorio su “ambiente e legalità” che ha consentito di alzare il velo sul fenomeno delle “ecomafie”, branca recente della criminalità organizzata che lucra migliaia di miliardi sullo smaltimento illegale dei rifiuti e sull'abusivismo edilizio. Gli strumenti Strumenti fondamentali dell'azione di LEGAMBIENTE sono il Comitato Scientifico, composto di oltre duecento scienziati e tecnici tra i più qualificati nelle discipline ambientali; i Centri di Azione Giuridica, a disposizione dei cittadini per promuovere iniziative giudiziarie di difesa e tutela dell'ambiente e della salute; l'Istituto di Ricerche Ambiente Italia, impegnato nel settore della ricerca applicata alla concreta risoluzione delle emergenze ambientali. LEGAMBIENTE pubblica ogni anno "Ambiente Italia", rapporto sullo stato di salute ambientale del nostro Paese, e invia a tutti i suoi soci il mensile “La Nuova Ecologia”, “voce” storica dell’ambientalismo italiano. MARE MONSTRUM 2004 INDICE 1. Premessa 1 2. Pirati all’assalto: le Bandiere nere 2004 4 3. I numeri del “mare illegale” 8 4. E la nave va: l’illegalità del “popolo dei naviganti” 11 5. Cemento in spiaggia 13 6. L’erosione della costa 53 7. Il mare inquinato 60 8. Mediterraneo e Mutamenti Climitaci 85 9. La pesca “miracolosa” 95 10. Mare amaro. Casi esemplari di danni alle coste 98 11. Le vittorie di mare Monstrum 106 Il dossier “Mare monstrum 2004” è stato realizzato dall’Ufficio ambiente e legalità, dall’Ufficio campagne, dall’Ufficio scientifico, dall’Ufficio vertenze territoriali e dal Dipartimento internazionale di Legambiente. Hanno collaborato: Francesca Biffi, Valerio Campioni, Stefano Ciafani, Michele Cinque, Nunzio Cirino Groccia, Gianluca Della Campa, Luca di Gioia, Stefania Di Palma, Francesco Dodaro, Luca Fazzalari, Enrico Fontana, Katia Le Donne, Michela Mammarella, Ignazio Marchese, Umberto Mazzantini, Giuseppe Messina, Rossella Muroni, Raffaella Musselli, Antonio Nicoletti, Enzo Parisi, Lorenzo Parlati, Valentina Piacentini, Christian Piccinonno, Carla Quaranta, Peppe Ruggiero, Stefano Sarti, Sandro Scollato, Vincenzo Tiana, Paolo Varrella, Sebastiano Venneri, Lucia Venturi, Mauro Veronesi, Giorgio Zampetti. Si ringraziano per i contributi forniti: il Comando generale delle Capitanerie di Porto, il Comando generale dell’Arma dei Carabinieri, il Comando Carabinieri per la Tutela dell’Ambiente, il Comando generale della Guardia di Finanza, il Corpo Forestale dello Stato e delle Regioni Sardegna e Sicilia, che hanno fornito i dati statistici relativi alle attività di controllo in materia di tutela ambientale; Magg. Emilio Errigo, Comandante della Stazione Navale della Guardia di Finanza di Civitavecchia; Maresciallo Giorgio Russo, Guardia di Finanza - Comando sezione operativa navale di Civitavecchia; Isp. Delfo Poddighe, Direttore del Servizio Territoriale Ispettorato Ripartimentale di Tempio Pausania (Ss); Dott.ssa Nadia Brigaglia, Servizio Territoriale Ispettorato Ripartimentale di Tempio Pausania (Ss); Isp. Capo For.le e di V. A. Tiziana Lubrano, Comandante della Stazione Forestale e di V.A. di Palau (Ss); Isp.re Capo Giovanni Manca, Comandante della Stazione forestale di Olbia (Ss); Assessore all’ Urbanistica Salvatore Mola, Comune di Gaeta Enzo Pranzini del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Firenze Antonello Caporale e Mariarosaria Sannino de La Repubblica; Franco Mancusi de Il Mattino. Ecomostro (comp. di eco- (1) e mostro (2), 1999) s.m. Costruzione che suscita repulsione sul piano estetico e dal punto di vista ambientale (lo Zingarelli 2002 Vocabolario della lingua italiana) Legambiente - Mare monstrum 2004 1. Premessa Ci sono immagini, a volte, che dicono più di tante parole. Una di queste è sicuramente la foto di quel tecnico dell’Arpa Puglia con mascherina, cappuccio e tuta bianca che sembra preso pari pari da un film di fantascienza sul “day after”. Ha i guanti, una busta in mano e cammina su una spiaggia desolatamente vuota raccogliendo campioni di sabbia da analizzare. I risultati di quelle analisi hanno decretato la chiusura di ben dodici chilometri di litorale. Per quest’estate i cittadini di Bari dovranno fare a meno della spiaggia di Torre Quetta, dodici chilometri di litorale a sud del capoluogo pugliese sui quali quest’estate nessuno potra fare il bagno. Niente ombrelloni, niente castelli di sabbia, né racchettoni e odore di creme abbronzanti, solo una lunga fettuccia di plastica bianca e rossa che segnala il divieto di accesso, la spiaggia negata dalla presenza di fibre di amianto della Fibronit, un’azienda di materiale edile chiusa da vent’anni che rilascia lentamente la sua triste eredità al territorio. Il caso della spiaggia di Torre Quetta è stato sollevato dalle associazioni ambientaliste che hanno denunciato la presenza di amianto lungo il litorale, poi sono arrivati i prelievi e le analisi ed infine la disposizione di sequestro da parte della magistratura e dell’amministrazione comunale. Torre Quetta è un pezzo di costa fuorilegge, è uno dei tanti illeciti che sono stati scoperti nel corso dell’ultimo anno lungo il nostro litorale. Le forze dell’ordine ne hanno contati quasi diciottomila. Più o meno un reato ogni 400 metri di costa, con un incremento del 7,2% rispetto allo scorso anno, sommando le pratiche illecite più diffuse: inquinamento, abusi edilizi sulla costa, infrazioni al codice della navigazione e alla legislazione in materia di pesca. Aumentano anche le persone denunciate o arrestate che nel 2003 sono 7.164 , rispetto alle 5.721 del 2002 e i sequestri effettuati, 6.469 contro i 5.205 del 2002, con un incremento del 25,2 e del 24,2%. Nella speciale classifica di quest’anno la Sicilia scavalca in vetta la Campania, ma quest’ultima rimane in vetta se si prende in considerazione l’incidenza dei reati per chilometri di costa (quasi sette illeciti al chilometro). Aumentano i reati sui nostri mari quindi, secondo un trend inesorabilmente in crescita che sembra aver ripreso vigore nel corso degli ultimi anni. 1 Legambiente - Mare monstrum 2004 Aumentano le infrazioni registrate sul fronte dell’abusivismo edilizio passando dai 3.158 del 2002 ai 4.071 del 2003 con un incremento percentuale del 28,9%. E’ facile in questo caso intravedere una grossa responsabilità nel provvedimento di condono edilizio che ha sicuramente determinato un aumento dei fenomeni di abuso edilizio. E’ il caso di sottolineare, in questo contesto, alcuni casi particolari come la vera e propria “tangentopoli elbana”, nata da un dossier di Legambiente su una serie di episodi poco chiari che avevano al centro vari casi di speculazione immobiliare, primo fra tutti il cosiddetto “ecomostro di Procchio”, uno scheletro di cemento nel comune di Marciana, oggi sotto sequestro. L’anno trascorso è stato un anno nero per l’isola d’Elba che ha assistito a una vera e propria decimazione della sua classe di amministratori e imprenditori locali e che ha visto il coinvolgimento nelle varie inchieste di magistrati, prefetti, sindaci ed altri esponenti di rilievo della locale classe dirigente. Ben più consistente l’incremento percentuale delle infrazioni sul fronte della depurazione, dove gli illeciti sono passati dai 697 del 2002 ai 1224 dello scorso anno (+ 75,6%). Vale la pena segnalare, in questo contesto, la situazione limite della Regione Calabria in emergenza ambientale da ben sette anni per quanto riguarda la depurazione e per la quale la Relazione sul rendiconto 2002 della Corte dei Conti ha avuto passaggi inequivocabili: “le coste dei Comuni del Tirreno sono altamente inquinate e alcune pericolose”. E’ delle scorse settimane (8 giugno 2004) il sequestro effettuato dalla Procura di Castrovillari (CS) di ben tre depuratori, quello di Villapiana, di Francavilla Marittima e di Roseto Capo Spulico, per “accertato inquinamento”: i tre impianti hanno sversato nelle acque fino a un milione di ufc x ml di Escherichia coli, a fronte di un limite di legge fissato in 5.000. Degli stessi giorni è la serrata operata dagli operai impiegati nella gestione dei 51 impianti di depurazione della provincia di Reggio Calabria, la cui sorte è stata rimpallata per mesi fra Comuni, Regione e ATO della provincia calabrese fino alla decisione estrema di incrociare le braccia con le inevitabili conseguenze sulla gestione dell’attività di depurazione delle acque. Lo stato di emergenza nel quale versa la regione Calabria da sette anni a questa parte sembra insomma drammaticamente aggravarsi con episodi anche piuttosto bizzarri come il caso del sindaco di Amantea che si reca in Procura per presentare un esposto sul funzionamento del depuratore della propria cittadina, confidando che la magistratura riesca laddove la pubblica amministrazione ha fallito. E non a caso una delle bandiere nere Legambiente l’ha riservata proprio al Commissario per l’emergenza depurazione in Calabria. La situazione della depurazione insomma non presenta significative situazioni di miglioramento, mentre il Ministero della Salute continua incomprensibilmente a mancare l’appuntamento con l’informazione lasciando, per il secondo anno consecutivo, i cittadini all’oscuro di informazione sullo stato di salute delle acque di balneazione. L’anno scorso i dati arrivarono a fine 2 Legambiente - Mare monstrum 2004 agosto, a stagione balenare praticamente conclusa, quest’anno sono disponibili sul sito del Ministero della Salute solo da qualche giorno, in ogni caso fuori tempo massimo per quanti avessero voluto utilizzarli per programmare le proprie vacanze. E forse non è un caso che alla disattenzione dell’amministrazione centrale faccia riscontro un aumento degli illeciti, come se il disinteresse dimostrato dal Ministero della Salute si traducesse, a cascata, in trascuratezza da parte di Regioni ed enti locali. Illeciti in aumento anche nel settore della pesca, un comparto attraversato da una profonda crisi cui non sembrano essere prospettate, da parte del Ministero competente, soluzioni adeguate. Si procede a tentoni, fra proroghe di vecchi piani triennali e soluzioni ambigue come quelle che hanno determinato di fatto il rigurgito nell’uso delle reti spadare. I recenti interventi da parte della Guardia di Finanza nell’area del Tirreno centrale hanno evidenziato addirittura casi di imbarcazioni che, pur avendo usufruito dei fondi messi a disposizione dal piano di riconversione del settore, continuano ad utilizzare questi attrezzi, vietati definitivamente da oltre due anni. Sembra andare meglio per quanto riguarda gli illeciti nel settore della navigazione e della nautica da diporto, come se il popolo di naviganti cominciasse finalmente a prendere confidenza con permessi e divieti. Nel corso dell’anno trascorso si è registrato infatti una diminuzione, sia pur modesta, dei reati passati dai 6.858 del 2002 ai 6.769 del 2003. E una nota positiva viene anche dalle vittorie registrate negli anni grazie al lavoro di questa pubblicazione, delle forze dell’ordine e dei tanti volontari e circoli di Legambiente che collaborano fattivamente alla sua realizzazione. Facciamo riferimento alle tante battaglie di “Mare monstrum” che si sono concluse con gli abbattimenti degli ecomostri, dal Villaggio Coppola, a quello di Punta Alice, a quello di Fossa Maestra, con altrettante aperture di inchieste e vertenze legali, da quella per il raddoppio del porto di San Felice Circeo alla tangentopoli elbana e così via. Cosi come è da segnalare l’impegno della Prefettura e della Procura della Repubblica di Lecce e della Capitaneria di Porto di Palermo per l’avvio e gli abbattimenti di una serie di strutture abusive lungo le coste delle loro regioni. E’ un segnale incoraggiante nella lotta contro l’illegalità ambientale, per tutti coloro che hanno a cuore il futuro delle nostre coste e dei nostri mari. 3 Legambiente - Mare monstrum 2004 2. Pirati all’assalto: le Bandiere nere 2004 Sono le bandiere meno ambite d’Italia, quelle che segnalano i “nuovi pirati del mare”: amministrazioni, politici, imprenditori, società private che si sono contraddistinti per attacchi o danni all’ambiente marino e costiero. Sono le Bandiere nere che ogni anno Legambiente assegna in tutta la Penisola. Eccola allora la lista di coloro che vedranno consegnarsi dalla Goletta Verde di Legambiente il vessillo nero nel corso di quest’estate, con tanto di motivazione ufficiale: Liguria - Alla società di Marina di Chiariventi s.p.a. per la proposta di costruzione di un porto turistico (650 posti circa) su un’area di 12 ettari, che movimenterebbe 200.000 di m3 di terra, ed altri interventi edilizi a terra connessi (40.000 mc circa) nel territorio compreso tra i comuni di Noli e Spotorno (SV) che insiste su un pSIC, Sito di Importanza Comunitaria. La gravità dell’intervento proposto è tale che, per stessa ammissione dei progettisti dell’intervento, la prateria di Posidonia Oceanica, costituente lo stesso SIC, risulterà seriamente compromessa dall’insediamento portuale proposto - Cim Immobiliare di Bordighera (IM) per la proposta di un intervento edilizio a Ospedaletti (IM), per la costruzione di un porto turistico (600 posti) e interventi immobiliari vari (4 palazzine di 3 piani ciascuna, 3 adibite a residence, 1 ad albergo) nella baia di Ospedaletti, un’area a mare nella quale è necessario un ripristino ma certamente non con colate di cemento. Friuli Venezia Giulia - Al Sindaco di Lignano Sabbiadoro e al Presidente della Regione Friuli Venezia Giulia per la variante n. 38 al Piano regolatore comunale approvata per permettere la costruzione di una piscina e di un palazzetto dello sport, sembra con un parcheggio annesso, che comporteranno la distruzione di un prezioso ecosistema a costa boscata. Un progetto voluto dall'amministrazione regionale che ha stanziato otto milioni di euro in finanziaria, per un intervento privato, e che ha prontamente dichiarato la 'utilita' pubblica utilizzando, in modo sorprendentemente convinto, la legge regionale n. 14 del 2002, approvata dalla giunta di centrodestra, di istituzione dello sportello unico dei lavori pubblici con una notevole compressione dei tempi autorizzativi. 4 Legambiente - Mare monstrum 2004 Veneto - Al Sindaco pro tempore del Comune di Quarto d’Altino (VE), per aver caldeggiato il progetto “Darsena turistica Marina di Portegrandi” in un ambito territoriale ricco di memorie storiche come la laguna di Venezia, prezioso e di eccezionale valore ambientale. La darsena, che comprende 300 posti barca e area rimessaggio per 1600 posti, un complesso residenziale di 90 unità di proprietà e un complesso alberghiero a 4 stelle da 130 camere, colpisce un’area di sorprendente interesse floristico e faunistico, modificherà profondamente l’assetto morfologico delle formazioni lagunari con il moto ondoso di decine di migliaia di passaggi di imbarcazioni in laguna e sul Sile. Marche - Alla Raffineria Api di Falconara (An) per aver contribuito al pesante inquinamento ambientale della costa (aria, suolo e sottosuolo) così come si evince dai dati resi noti dalla stessa azienda e confermati dall’Arpa Marche che ha riscontrato valori ancora più inquietanti. Il Consiglio Regionale delle Marche ha dichiarato l’area della bassa valle dell’Esino, “area ad elevato rischio di crisi ambientale”. - All'Amministrazione comunale di Potenza Picena (Mc) per aver approvato nel nuovo piano regolatore ben 50.000 metri cubi di cemento nell’Oasi di Protezione della Fauna presso i laghetti di Potenza Picena. Emilia Romagna - Al Villaggio di capanni e cottages abusivi costruiti alla foce del Torrente Bevano, all'interno della Riserva Naturale dello Stato e del Parco del Delta del Po, nell'ultimo tratto di costa naturale del ravennate (circa 7 km di litorale), per il danno ambientale che il villaggio e le difese passive abusive provocano impedendo il naturale salto di meandro e la libera divagazione della foce. Lazio - Al Comune di Tarquinia (VT) per il progetto di un porto turistico per più di 1.000 imbarcazioni, con annessi alberghi, nuove costruzioni, funzioni commerciali, da realizzarsi all'altezza della foce del fiume Marta, su un’area estesa per 43 ettari, vincolata dal punto di vista paesaggistico. Il tutto nonostante sia già previsto un altro porto a pochissimi chilometri nel Comune di Montalto di Castro. L’area interessata dal progetto è un Sito di Importanza Comunitaria. 5 Legambiente - Mare monstrum 2004 - Al Comune di Fiumicino (RM) perché, nonostante la realizzazione del nuovissimo porto turistico a Ostia, ha pensato bene di variare il progetto di nuovo Porto già approvato - molto più limitato, e calibrato sulle esigenze dei Cantieri Navali esistenti - per avviare, in Conferenza dei Servizi, le procedure atte a duplicare il vecchio progetto. Il nuovo progetto arriva ad investire le aree della Foce del Fiume Tevere, in palese contraddizione con la proposta, inserita dalla Regione Lazio nella Legge Finanziaria 2003, di istituire il Parco del Tevere. - Al Comune di Civitavecchia (RM) che, alla faccia del Protocollo di Kyoto, ha definitivamente approvato la proposta di riconversione a carbone della Centrale Enel di Torrevaldaliga Nord, nonostante un forte movimento d’opinione pubblica assolutamente trasversale abbia ripetutamente ribadito la propria ferma opposizione alla scelta. Il Comune di Civitavecchia, da anni sottoposto alla servitù delle politiche energetiche dell'Enel, è uno dei Comuni del Lazio, secondo quanto riportato dai dati dell’OMS, che registra patologie respiratorie maggiori nella popolazione non adulta. Puglia - - - - all’Amministrazione comunale di Maruggio (TA), per gli insediamenti turistici in contrada Mirante e località Campomarino, dove sono previste centinaia di villette, ristoranti, porto turistico, con relative strade, parcheggi e opere di urbanizzazione, il tutto su aree di straordinaria importanza naturalistica, con ambienti dunali ricoperti da densa vegetazione di macchia mediterranea, Siti di Importanza Comunitaria e di recente diventate riserva regionale. Al Sindaco di Pulsano (TA) Luigi Laterza, per la pervicacia dimostrata nelle definitiva adozione di un Pug (Piano urbanistico generale) che prevede progetti ad alto impatto ambientale, tra i quali due porti turistici, un villaggio turistico, strutture alberghiere, campi da golf ecc. All’Amministrazione Comunale di Molfetta (BA) che, dopo una gestione scellerata dell'intero litorale che ha lasciato ai cittadini appena 4 cm di spiaggia pro capite, ha sostenuto con caparbietà, anche nelle sedi giudiziarie, la realizzazione di un complesso turistico nell'Oasi di protezione Torre Calderina tra Molfetta e Bisceglie, poi bloccata da una sentenza del Tar a seguito di un ricorso di Legambiente. Per la blanda azione di contrasto all’abusivismo edilizio e per l’elaborazione di una bozza di piano delle coste che privatizza selvaggiamente l'intero litorale. Ed inoltre per gli interventi di riqualificazione costiera fortemente discutibili, per il progetto di un nuovo porto commerciale, per le azioni amministrative intraprese in evidente contrasto con la pianificazione urbanistica della città. All’intero Consiglio Comunale del Comune di Monte Sant’Angelo (FG), comune che ospita la sede del Parco Nazionale del Gargano, per aver 6 Legambiente - Mare monstrum 2004 approvato all’unanimità la delibera record che richiede l’esclusione dal perimetro del parco nazionale di ben 1350 ettari di territorio comunale. Calabria - All’on. Chiaravalloti, Governatore della Regione Calabria, in qualità di Commissario delegato per l’emergenza ambientale in Calabria, perché in quasi sette anni di attività e nonostante centinaia di miliardi di vecchie lire spesi per costruire depuratori e fognature, ha clamorosamente fallito l’obiettivo, così come si evince da una recente relazione della Corte dei Conti. Basilicata - All’ Amministrazione comunale di Pisticci (Mt) dove è in corso di realizzazione il Porto turistico del villaggio degli Argonauti, un porto fluviale in un’area naturalisticamente significativa e ad alto rischio idrogeologico. Sicilia - All'Enel, per aver deciso di realizzare, nella stessa area della centrale termoelettrica Tifeo di Augusta, un inceneritore per circa 300.000 tonn/anno di rifiuti provenienti dalle provincie di Catania, Ragusa, Enna e Siracusa. L'area in questione risulta contaminata da diossina e la falda idrica sottostante inquinata da idrocarburi che percolano nel vicino fiume Cantera ed a mare. L'inceneritore verrebbe costruito accanto all'importante area archeologica di Megara Iblea ubicata sul promontorio che si affaccia sul mare di Augusta. - Al Blumarin Hotels Sicilia spa, società che fa riferimento al gruppo Alpitour, per la realizzazione di un mega insediamento turistico ad elevato impatto ambientale a Punta Asparano, nei pressi di Siracusa. Nonostante le assicurazioni date, la recinzione del villaggio impedisce la libera fruizione della costa e del mare ai bagnanti. Sardegna - Alla Finedim Italia S.p.a., società controllata dal gruppo Fininvest per il progetto Costa Turchese, un vero e proprio scempio ambientale per oltre mezzo milione di metri cubi su un’area di 450 ettari nel Comune di Olbia, fra Capo Ceraso e la foce del fiume Padrongianus. - Al Ministro della Difesa on. Antonio Martino, per l’autorizzazione dei lavori di ampliamento della base Usa a Santo Stefano/La Maddalena, ignorando il pronunciamento del Consiglio regionale della Sardegna che aveva espresso parere contrario. 7 Legambiente - Mare monstrum 2004 3. I numeri del “mare illegale” Con un preoccupante, ulteriore balzo in avanti anche quest’anno i dati sulle illegalità ambientali nei mari italiani registrano un aumento del 7,2% sul totale delle infrazioni accertate, passando da 16.656 del 2002 a 17.871 del 2003. Un aggressione senza sosta ai nostri mari e alle nostre coste con crimini che spaziano dall’abusivismo costiero all’inquinamento da scarichi illegali, dalla pesca di frodo alle violazioni al codice della navigazione. Entrando nel merito dei numeri oltre alle infrazioni accertate, nel 2003 le persone denunciate o arrestate sono 7.164 (rispetto ai 5.721 del 2002) e i sequestri effettuati 6.469 (rispetto ai 5.205 del 2002), con un incremento rispetto al 2002 del 25,2 e del 24,2%. Sono questi i risultati dell’elaborazione di Legambiente dei numeri forniti dalle forze dell’ordine (Comando Carabinieri tutela ambiente, Corpo forestale dello Stato e delle Regioni a Statuto speciale, Guardia di finanza) e dalle Capitanerie di porto relativi ai reati consumati nel 2003 ai danni del mare. Un trend di crescita, dunque, negli ultimi due anni che non fa che confermare le preoccupazioni già espresse da Legambiente in un clima di “depenalizzazione” che spazia dalle infrazioni alla pesca di frodo al preoccupante sul ritorno dell’abusivismo, causato in primo luogo dall’”effetto annuncio” del nuovo condono edilizio nazionale. IL QUADRO GENERALE DEL “MARE ILLEGALE” IN ITALIA NEL 2003 Cta-CC* Gdf** Cfs - Capitanerie TOTALE Cfr*** di porto Infrazioni accertate 1.098 5.445 813 10.515 17.871 Persone denunciate 1.078 1.577 832 3 677 7.164 o arrestate Sequestri effettuati 208 3.181 272 2.807 6.468 Fonte: elaborazione Legambiente su dati Comando Carabinieri tutela ambiente, Guardia di finanza, Corpo forestale dello Stato e delle Regioni a statuto speciale e Capitanerie di porto. *: i dati del Comando Carabinieri tutela ambiente sono relativi al periodo 01/05/2003 30/09/2003. **: i dati della Guardia di finanza si riferiscono ai settori Pesca e Codice della navigazione ed all’abusivismo su aree demaniali. ***: i dati dei Cfr si riferiscono a Sardegna e Sicilia. La classifica per numero di reati in valore assoluto per regione vede la Sicilia, con 3.418 reati accertati (+ 20% rispetto al 2002), riconquistare il primo posto della graduatoria, strappando il podio alla Campania, che scende in seconda posizione con 3.142 infrazioni (+8%). Terzo posto per il Lazio che risale la classifica con 2.219 reati ai “danni” della Puglia che con 2.046 infrazioni si ritrova quarta in classifica. In coda alla classifica troviamo l’Abruzzo, Basilicata e Molise. 8 Legambiente - Mare monstrum 2004 LA CLASSIFICA DEL MARE ILLEGALE IN ITALIA: VALORI ASSOLUTI (2003) Infrazioni Persone denunciate Sequestri Regioni accertate o arrestate effettuati Sicilia ↑ 3418 788 684 1 Campania ↓ 3142 1027 522 2 Lazio ↑ 2219 1264 426 3 Puglia ↓ 2046 934 706 4 Sardegna ↑ 1309 587 1857 5 Calabria ↓ 1178 857 397 6 Veneto ↑ 1034 517 326 7 Liguria ↑ 778 232 220 8 Emilia Romagna ↑ 707 228 185 9 Marche ↔ 706 202 374 10 Toscana ↓ 607 277 435 11 332 112 229 12 Friuli Venezia Giulia ↔ Abruzzo ↔ 255 43 88 13 Basilicata ↑ 87 73 5 14 Molise ↓ 53 23 15 15 Fonte: elaborazione Legambiente su dati Comando Carabinieri tutela ambiente, Guardia di finanza, Corpo forestale dello Stato e delle Regioni a Statuto speciale e Capitanerie di porto. La Campania, invece, si conferma prima nella classifica del mare illegale considerando le infrazioni per chilometro di costa (6,69 nel 2003, mentre nel 2002 erano state 5,20), al secondo posto si conferma il Veneto (6,51 nel 2003 contro 5,80 del 2002), mentre al terzo posto sale il Lazio che da quinta regione si ritrova sul podio quasi raddoppiando le infrazioni per chilometro di costa rispetto allo scorso anno (6,14 infrazioni contro 3,59). Chiudono questa speciale classifica la Basilicata, la Toscana e la Sardegna. Il confronto complessivo con i dati rilevati nel 2002 segnala dunque una brusca ripresa dell’illegalità con un significativo incremento rispetto allo scorso anno. Un fenomeno ancor più allarmante se si considera, invece, che nel 2002 si era registrata una netta flessione rispetto agli anni precedenti. Analizzando l’azione delle singole Forze dell’Ordine, c’è da notare che le Capitanerie di Porto pur mantenendo pressoché invariato il numero delle infrazioni accertate, 10.515 nel 2003 contro le 10.030 del 2002, aumentano sensibilmente il numero delle persone denunciate o arrestate che da 2.642 passano a 3.677 (+39%). Più o meno stabile, invece, rispetto all’anno precedente, l’azione di Carabinieri, Guardia di finanza, Corpo Forestale dello stato e delle regioni. 9 Legambiente - Mare monstrum 2004 LA CLASSIFICA DEL MARE ILLEGALE IN ITALIA: INFRAZIONI PER KM DI COSTA 2003 Regione Infrazioni Km di costa Infrazioni per Km accertate Campania ↑ 3.142 469,7 6,69 1 Veneto ↑ 1.034 158,9 6,51 2 Lazio ↑ 2.219 361,5 6,14 3 Emilia Romagna ↑ 707 131 5,40 4 Marche ↑ 706 173 4,08 5 Friuli Venezia Giulia ↑ 332 111,7 2,97 6 Puglia ↑ 2.046 865 2,37 7 Sicilia ↑ 3.418 1483,9 2,30 8 Liguria ↓ 778 349,3 2,23 9 Abruzzo ↑ 255 125,8 2,03 10 Calabria ↑ 1.178 715,7 1,65 11 Molise ↑ 53 35,4 1,50 12 Basilicata ↑ 87 62,2 1,40 13 Toscana ↓ 607 601,1 1,01 14 Sardegna ↑ 1.309 1731,1 0,76 15 Fonte: elaborazione Legambiente su dati Comando Carabinieri tutela ambiente, Guardia di finanza, Corpo forestale dello Stato e delle Regioni a Statuto speciale e Capitanerie di porto. Per quanto riguarda la tipologia di reati, nel 2003 segnaliamo un vero e proprio balzo in avanti degli abusi edilizi sul demanio marittimo che da 3.158 infrazioni accertate del 2002, passano a 4.071 di quest’anno. Quasi un 23% in più, che ancora una volta ci conferma come l’”effetto condono edilizio” sia stato devastante per il nostro territorio e per le coste italiane. Significativi aumenti anche per le infrazioni per inquinamento e per pesca di frodo. L’unica flessione la si registra, invece, per le infrazioni al codice della navigazione, che seppur mantenendo il primato numerico sul totale dei reati dalle 6.858 del 2002 scendono alle 6.769 dell’ultimo anno. I PRINCIPALI REATI NEL 2003 Reato Abusivismo edilizio sul demanio Depuratori, scarichi fognari, inquinamento da idrocarburi Pesca di frodo Codice navigazione e nautica da diporto Altro Totale Infrazioni accertate Sequestri effettuati % sul totale 4.071 1.224 Persone denunciate o arrestate 4.429 487 760 83 22,8 6,9 5.060 6.769 876 542 4.882 575 28,3 37,9 747 17.871 830 6.964 169 6.469 4,2 - Fonte: elaborazione Legambiente su dati Comando Carabinieri tutela ambiente, Guardia di finanza, Corpo forestale dello Stato e delle Regioni a Statuto speciale e Capitanerie di porto. 10 Legambiente - Mare monstrum 2004 4. E la nave va: l’illegalità del “popolo dei naviganti” L’italiano in mare continua ad essere poco rispettoso delle norme sulla navigazione, anche se, per fortuna, gli illeciti seguono un moderato trend discendente. Questo dicono i numeri sulle illegalità accertate dalle forze dell’ordine e dalle Capitanerie di porto nel 2003: anche se in diminuzione rispetto al 2002, i reati sono stati 6.769, le persone denunciate o arrestate sono 542, mentre sono stati compiuti 575 sequestri. Nella classifica regionale la Sicilia (con 1.483 infrazioni e 24 tra denunciati e arrestati) riconquista il poco lusinghiero primato, mentre la Campania ridiscende al secondo posto anche se per una decina di infrazioni in meno (1.471 infrazioni). Il Veneto torna sul podio classificandosi terzo con 670 infrazioni. La fotografia dell’italico “popolo di naviganti” scattata dalle Capitanerie di Porto dunque dipinge uno scenario di debacle a trecentosessanta gradi nei confronti della tutela dell’ambiente marino, del prossimo, ma anche verso se stessi, dal momento che la maggior parte delle infrazioni accertate sono proprio per una mancanza del rispetto delle più elementari norme di sicurezza. Esaminando nel dettaglio le principali illegalità riscontrate dalle Forze dell’Ordine, infatti, l’infrazione che guadagna il primo posto della classifica con il 40% delle infrazioni è quella per mancanza di dotazioni di sicurezza, come i giubbotti salvagente, i razzi segnalatori, gli autogonfiabili. Al secondo posto, con il 35% delle infrazioni, la navigazione in zone di mare non consentite, troppo sottocosta (entro i 150 metri dagli scogli e 300 metri dalle spiagge) o nelle aree marine protette. Il 10% delle infrazioni riguarda chi non ha pagato la tassa di stazionamento, mentre il 15% è per chi trasporta un numero di persone superiore a quello consentito dalla propria imbarcazione. 11 Legambiente - Mare monstrum 2004 LA CLASSIFICA DELL’ILLEGALITÀ DELLA NAVIGAZIONE IN MARE NEL 2003 Infrazioni Persone denunciate Sequestri Regione accertate o arrestate effettuati Sicilia ↑ 1.483 24 85 Campania ↓ 1.471 58 5 Veneto ↑ 678 294 65 Lazio ↓ 568 24 12 Sardegna ↑ 507 14 267 Puglia ↓ 485 21 96 Liguria ↓ 325 5 3 Marche ↑ 290 3 4 Emilia Romagna ↑ 267 30 3 Toscana ↓ 237 24 10 Calabria ↓ 195 22 20 Friuli Venezia Giulia ↑ 191 5 2 Abruzzo ↑ 50 0 3 Molise ↓ 22 0 0 Basilicata ↔ 0 0 0 Totale 6.769 542 575 Fonte: elaborazione Legambiente su dati Guardia di finanza, Corpo forestale dello Stato e delle Regioni a Statuto speciale e Capitanerie di porto. 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 I REATI AL CODICE DELLA NAVIGAZIONE E NAUTICA DA DIPORTO NEL 2003 Reato Numero di % infrazioni Mancanza di attrezzatura di sicurezza 2707 40% (giubbotto salvagente, razzi segnalatori, autogonfiabili) Navigazione in zona non consentita 2369 35% (sottocosta, aree marine protette) Mancato pagamento tassa di stazionamento 677 10% Altro (p.es. trasporto di persone non consentito, 1015 15% sci nautico non regolamentare, eccesso di velocità, violazioni nell’attività subacquea) Fonte: elaborazione Legambiente su dati delle Capitanerie di porto 2003 12 Legambiente - Mare monstrum 2004 5. Cemento in spiaggia Impressionante scalata del Lazio che nel rapporto Mare monstrum di quest’anno risale vertiginosamente la classifica e si piazza al primo posto scavalcando e quasi doppiando anche le quattro regioni a tradizionale presenza mafiosa. Un escalation senza precedenti che vede crescere le infrazioni accertate di abusivismo edilizio sul demanio da 292 del 2002 a 1.069 di quest’anno. Un 266% in più da attribuire senza ombra di dubbio all’effetto condono edilizio, ma anche alle varie operazioni condotte nell’ultimo anno dalle Capitanerie di porto, dalle Sezioni navali della Guardia di finanza e dalle indagini della magistratura. Fra queste da segnalare l’operazione condotta dalla Procura di Velletri e affidata ai carabinieri del Noe, che ha portato a decine di sequestri lungo un tratto di litorale della provincia di Roma, tra Ardea e Tor San Lorenzo, compreso quello di ben 28 appartamenti, per un valore di circa 4 milioni di euro, costruiti abusivamente da una società immobiliare su un fosso demaniale. Le infrazioni crescono anche in Sicilia, 585 contro le 563 del 2002, e Puglia 423 contro le 385 e diminuiscono in Campania che dal primo posto dello scorso anno con 575 reati scende al quarto con 531 reati e la Calabria che passa da 550 infrazioni accertate nel 2002 a 547 di quest’anno. LA CLASSIFICA DELL’ABUSIVISMO EDILIZIO SUL DEMANIO NEL 2003 Infrazioni Persone denunciate Sequestri Regione accertate o arrestate effettuati 1069 1076 73 585 554 114 547 605 124 531 565 196 Campania ↓ Puglia ↑ 423 549 74 Sardegna ↑ 315 432 92 Toscana ↑ 124 101 22 Liguria ↑ 121 127 31 Emilia Romagna ↓ 116 33 17 Marche ↑ 82 86 10 Veneto ↓ 54 28 0 Basilicata ↓ 53 47 2 Abruzzo ↔ 24 5 2 Molise ↓ 15 0 3 Friuli Venezia Giulia ↓ 12 5 0 Totale 4.071 4.429 760 Fonte: elaborazione Legambiente su dati Guardia di finanza, Corpo forestale dello Stato e delle Regioni a Statuto speciale e Capitanerie di porto. 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 Lazio ↑ Sicilia ↑ Calabria ↓ 13 Legambiente - Mare monstrum 2004 5.1 Gli ecomostri: abusivismo edilizio, cemento legale, progetti insensati, lotta al cemento selvaggio, storie esemplari di aggressione al Belpaese A vele spiegate contro gli ecomostri. Anche quest’anno Goletta Verde darà vita a numerosi “demolition day”: ville, villaggi turistici, alberghi e lottizzazioni abusive e non, verranno “assaltate” simbolicamente dagli equipaggi del Pietro Micca e della Catholica. Bliz anti-ecomostro verranno organizzati inoltre nelle zone in cui progetti insensati minacciano di distruggere e deturpare cornici paesaggistiche e naturali uniche al mondo. Una campagna che, oltre a denunciare vecchi e nuovi attacchi al patrimonio ambientale del Belpaese, vuole dare un segnale preciso per quanto riguarda la lotta agli ecomostri e all’abusivismo edilizio. Proprio su quest’ultimo fronte, la situazione che è emersa nel corso del 2003 non è affatto rosea per usare un eufemismo. L’anno appena trascorso è stato l’anno del boom del cemento selvaggio. L’approvazione del terzo condono edilizio ha portato, come era prevedibile, ad una impennata dell’abusivismo edilizio nel nostro Paese, che si traduce in un pesante macigno sullo sviluppo e la corretta pianificazione del territorio e dell’ambiente e in un regalo all’ecomafia. In un solo colpo, infatti, sono state “legalizzate” più di 405mila costruzioni abusive realizzate dal 1994 al 2003. Uno schiaffo ai cittadini onesti e rispettosi delle leggi e un nuovo regalo ai furbi, ai disonesti e ai clan della mafia, della camorra, della ‘ndrangheta che hanno interessi diretti nel ciclo del cemento illegale (143, infatti, sono i clan attivi in questo settore, censiti nel Rapporto Ecomafia 2004). Spazzando via in un attimo gli enormi sforzi fatti in questi ultimi anni. Quel ciclo virtuoso che sembrava essersi avviato con la demolizione dell’Hotel Fuenti a Vietri sul Mare e con quelle sul lungomare di Eboli, sulla “collina del disonore” di Pizzo Sella a Palermo, nell’Oasi del Simeto a Catania, fino a quelle effettuate dai Comuni di Roma e Napoli, solo per citarne alcune. Si era assistito, infatti, negli ultimi anni ad una costante flessione nelle costruzioni illegali nel nostro Paese, ad una ritirata del cemento selvaggio che si era tradotta in migliaia di case abusive in meno. Il terzo condono, invece, ha riacceso le betoniere dell’abusivismo edilizio. Secondo le stime dell’Istituto di ricerca Cresme, nel 2003 sono state realizzate 40 mila costruzioni abusive, per una superficie complessiva equivalente a oltre 5,4 milioni di metri quadrati, ossia 540 campi di calcio di cemento illegale, per un valore immobiliare superiore ai 2,7 miliardi di euro; si tratta di oltre 9mila nuove costruzioni illegali in più rispetto al 2002 (tra nuovi immobili e trasformazioni d’uso di rilevanti dimensioni), che sommate a quelle del 2002, consentono di attribuire all’effetto condono un’impennata di oltre il 40% di abusivismo edilizio “regalato” al nostro Paese. Il dato è ancora più preoccupante se si tiene conto della natura di questo abusivismo che, nel 70% dei casi, si concentra in aree a bassa intensità abitativa e punta sul mercato delle seconde case, anche di prestigio. Sempre secondo il Cresme c’è da attendersi un’ulteriore incremento di case illegali 14 Legambiente - Mare monstrum 2004 anche nel 2004, soprattutto dopo la decisione del governo di prorogare i termini per la presentazione delle domande di condono.Come negli anni passati, l’abusivismo edilizio, seppur diffuso in tutta Italia, raggiunge i picchi maggiori nelle quattro regioni a tradizionale presenza mafiosa (Campania sempre in testa, Puglia, Sicilia, Calabria dove si concentra il 55% delle nuove costruzioni abusive). Questo diluvio di cemento non ha, chiaramente, risparmiato le nostre coste, in particolar modo quelle dell’Italia meridionale. Si parte dalla costiera amalfitana, una delle zone più belle del nostro Paese, dove gli speculatori dell’ambiente costruiscono dove vogliono, distruggendo aree di grande pregio ambientale con l’acquiescenza spesso, dolosa o colposa, degli amministratori locali. Le forze dell’ordine stimano che per ogni manufatto abbattuto ve ne siano dieci nuovi che sorgono: cantieri illegali occultati con i teloni utilizzati nella coltura degli agrumeti e da cui, una volta tolti i teloni, spuntano ville e appartamenti a picco sul mare, edificate in sfregio alla normativa vigente e senza tener conto dei rischi di dissesto idrogeologico. I dati delle forze dell’ordine permettono di fotografare la gravità del fenomeno. La Sezione Operativa navale di Salerno della Guardia di finanza, nel periodo 1995-2003 ha denunciato 380 persone ed effettuato 163 sequestri, di cui ben 112 riguardano immobili, per un valore economico stimato in circa 39.200.000 euro. Legambiente ha calcolato che presso gli uffici tecnici dei comuni della costiera amalfitana sono state ben 5.064 le richieste di sanatorie fatte in occasione dei due condoni edilizi (3.266 per quello Craxi Nicolazzi del 1985 e 1.780 per quello del 1994 a firma Berlusconi - Radice). Accanto ad una maggioranza di opere di modesta entità spiccano rinomati alberghi come il San Pietro, il Sirenuse, il Covo dei Saraceni e l’Hotel Le Agavi – che ha cementificato e chiuso da terra una spiaggia pubblica -, tutti con una domanda di condono depositata presso gli uffici tecnici del Comune. L’“abuso eccellente”, in questo caso, porta la firma del regista Franco Zeffirelli, “affittuario” della dimora “Tre Ville”, raccontata per esteso nel paragrafo sugli ecomostri. In Sicilia, diversi sono stati i casi di abusivismo nello splendido arcipelago delle Eolie. In pochi mesi sono state sequestrate una decina di costruzioni illegali a Lipari, Filicudi e Vulcano dove, su quest’ultima isola, i carabinieri hanno messo i sigilli a due strutture costruite senza autorizzazione. Altri cinque immobili realizzati abusivamente sono stati acquisiti al patrimonio comunale. Due a Vulcano, in località Sotto Lentia: un vano di trenta metri quadri, che era stato realizzato senza la concessione edilizia, e una abitazione di cento metri quadri. A Stromboli è la volta di una cisterna, di ottanta metri quadri. A Filicudi Porto, invece, è stato acquisito un manufatto, di tre vani, di quaranta metri quadri, realizzato in cemento e lamiera. A Ginostra si è proceduto all’immissione in possesso di un vano, di trenta metri quadri, che era stato realizzato abusivamente, su una stradella pubblica; una scala esterna realizzata illegalmente sulla scogliera a Panarea è stata, invece, demolita. Anche Lampedusa è minacciata dal cemento illegale. Gli uomini della Guardia di finanza hanno individuato sette costruzioni abusive, alcune in via di 15 Legambiente - Mare monstrum 2004 realizzazione ed altre già ultimate. Tra gli immobili sequestrati, un’abitazione di oltre cento metri quadrati in costruzione, una mini villetta ancora da ultimare, una casa, già abitata, un altro magazzino adibito a stalla e due villette già abitate di quasi cento metri quadrati ciascuna. In questo scenario, desta allarme l’incendio che ha distrutto l’archivio dell’ufficio tecnico comunale di Lampedusa: dai rilievi effettuati dai carabinieri e dai Vigili del fuoco, il rogo sembrerebbe essere stato appiccato, con l’ausilio di liquido infiammabile, ai fascicoli conservati in due armadi metallici, rigorosamente chiusi a chiave e sarebbero stati ritrovati inequivocabili segni di effrazione alla porta d’ingresso del Palazzo della città. L’incendio ha, così, cancellato anni di richieste d’edificazione respinte, di immobili sanati e di reati commessi in materia di urbanistica. La convinzione di non correre rischi e la prospettiva del condono hanno alimentato, anche in Basilicata, un abusivismo di tipo “speculativo”, orientato cioè verso le zone di interesse turistico. Un esempio arriva dal comune di Maratea dove, grazie al lavoro svolto dal Comando provinciale dell’Arma dei carabinieri, sono emersi numerosi episodi di abusivismo edilizio, che hanno indotto gli inquirenti a ipotizzare una sorta di “piano preordinato”. In pochi mesi, infatti, sono stati accertati ben 44 casi, tra nuovi immobili abusivi, ristrutturazioni eseguite senza concessione edilizia o con gravi difformità. Tra i mesi di marzo e maggio 2003 vengono denunciate: tre persone (proprietario dell’immobile, direttore dei lavori e un imprenditore) per i lavori illeciti eseguiti in una zona soggetta a vincolo paesaggistico, in località Castrocucco; altre quattro persone accusate di aver svolto lavori abusivi, in difformità rispetto alla concessione edilizia, in una zona soggetta sempre a vincolo paesaggistico ed ancora quattro persone segnalate per abusivismo edilizio. Un’ulteriore denuncia è stata fatta a luglio, sempre per interventi eseguiti in difformità rispetto alle concessioni edilizie. I controlli, eseguiti anche con l’ausilio di un elicottero e una motovedetta, hanno consentito di svelare uno dei trucchi utilizzati dagli abusivi: i proprietari degli immobili e le imprese impegnate nelle ristrutturazioni illecite usavano teloni verdi per occultare i lavori in corso. Una tecnica già sperimentata in altre aree di pregio, come la Costiera amalfitana. In Toscana, desta ancora scalpore l’inchiesta, partita dai dossier e dalle denunce di Legambiente, che ha portato alla luce una fitta ragnatela di malaffare sull’isola d’Elba tessuta intorno al business del cemento abusivo e segnalata per esteso nel paragrafo dedicato agli ecomostri. Cambiando isola lo scenario non cambia. L’assalto alle coste settentrionali della Sardegna ha assunto ormai connotazioni preoccupanti. L’annuncio dell’ennesimo condono edilizio ha, infatti, scatenato una serie innumerevole di abusi edilizi in zone che, peraltro, sono soggette a vincolo paesaggistico e ambientale. La conferma di quanto detto proviene dalla Procura della Repubblica di Tempio che, in appena quattro mesi, ha firmato 44 provvedimenti di sequestro giudiziario per opere edilizie realizzate illegalmente. Lo stesso Procuratore capo di Tempio Valerio Cicalò afferma che 16 Legambiente - Mare monstrum 2004 “stiamo affrontando l’emergenza con il poco personale a nostra disposizione ma i controlli da fare sono innumerevoli e gli abusi sempre più numerosi e gravi”. Rispetto agli anni precedenti si è pertanto registrato un notevole aumento di costruzioni: si tratta di tante piccole opere, in ogni caso realizzate in assoluta difformità delle leggi urbanistiche, ambientali e paesaggistiche ed in totale spregio di uno dei luoghi più belli del mondo. Solo il costante monitoraggio del territorio ad opera delle forze dell’ordine, e in particolare del Corpo forestale e di vigilanza ambientale della Regione Sardegna ha permesso di rilevare moltissimi illeciti perpetrati a danno dell’integrità delle coste e l’adozione degli opportuni provvedimenti. Tra le tante operazioni effettuate, si può ricordare quella condotta sull’Isola di S. Maria, parte integrante del Parco Nazionale dell’arcipelago della Maddalena. Ebbene, proprio su quest’isola, dove ogni intervento deve essere supportato da una positiva valutazione di incidenza ambientale ed è soggetto al nullaosta preventivo dell’Ente Parco, sono state scoperte diverse opere abusive anche se di modesta dimensione. Il Comando Forestale di Palau, su delega della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Tempio Pausania, ha posto sotto sequestro preventivo tali opere, sequestro che è attualmente in vigore. Ancora, sull’Isola di Maddalena, esattamente a “Fangotto”, una località introvabile, nascosta dietro le alture delle splendide spiagge di Spalmatore e Trinità, sono stati rilevati alcuni manufatti edili totalmente abusivi e sottoposti a sequestro. Un episodio significativo si è verificato nel Comune di Palau, dove il proprietario di una abitazione ha pensato bene di disboscare il proprio parco per far posto ad un’ondata di granito, servito per la realizzazione di un nuovo gazebo e di una nuova veranda, con annesso barbecue. “Sequestrate pure, tanto siamo in attesa del condono o della sanatoria”, avrebbero risposto alcuni operai agli agenti del corpo forestale. Il tutto realizzato senza uno straccio di licenza e alcuna autorizzazione amministrativa. La storia non muta nel territorio comprendente i comuni di Olbia Golfo Aranci - Arzachena, dove il Comando Forestale di Olbia ha effettuato 11 sequestri di immobili, alcuni completamente sprovvisti di titoli autorizzativi e altri per difformità totali o essenziali rispetto alle concessioni edilizie in possesso. Nello specifico, gli abusi si sono concretizzati sia in ampliamenti di unità abitative già esistenti sia in costruzioni ex novo, edificate per usufruire indebitamente del condono edilizio. Nonostante i numeri e i fatti dipingano uno scenario a tinte fosche, vanno però ricordati alcuni importanti abbattimenti effettuati nel corso del 2003, ottenuti grazie anche al “martellante” lavoro di Legambiente: nel Parco nazionale del Cilento e Vallo di Diano, dove è stato demolito il cosiddetto “ascensore della camorra”, costruito abusivamente nei pressi di Castellabate. Nei comuni di Napoli e Roma; sul lungomare di Palermo, grazie all’impegno della Capitaneria di Porto e su quello di Rossano (Cs), nella cittadina di Pomigliano D’Arco e in quella di Porto Cesareo. Inoltre, sono state ultimate le 17 Legambiente - Mare monstrum 2004 demolizioni delle otto torri del Villaggio Coppola di Castelvolturno (Ce), uno dei simboli dell’aggressione del cemento selvaggio lungo le coste. Di seguito vengono riassunte delle storie esemplari di pezzi di Belpaese aggrediti dal cemento selvaggio. 5.2.1 Ecomostri: le new entry All’assalto dell’isola d’Elba Mazzette, corruzione e cemento selvaggio. E’ questa l’esplosiva miscela che si è abbattuta sull’isola d’Elba. Una fitta ragnatela di malaffare, di corruzione sventata dalla provvidenziale denuncia di Legambiente e Italia Nostra e dalle indagini avviate dal Corpo forestale dello Stato su mandato della Procura della Repubblica di Livorno. Le accuse, formulate dalla Procura della Repubblica di Genova a cui sono state trasferite per competenza territoriale le indagini, che hanno portato all’emissione di diverse ordinanze di custodia cautelare tra settembre e dicembre del 2003, sono di corruzione, per imprenditori e funzionari pubblici, e di corruzione in atti giudiziari per il magistrato coinvolto. Non si tratta di episodi isolati. I magistrati genovesi affermano che “gli imputati principali costituivano un vero e proprio gruppo di potere, dedito alla gestione illecita delle più importanti operazioni immobiliari dell’Elba”. Sono due, in particolare, quelle al centro dell’inchiesta: la prima relativa alla costruzione del Centro servizi di Procchio, nel Comune di Marciana; la seconda operazione immobiliare, invece, prevedeva la costruzione di un residence in una delle aree di maggior pregio dell’Elba, il complesso della ex Costa dei Barbari, a Cavo, nel comune di Rio Marina. L’ecomostro di Procchio (una frazione del Comune di Marciana) è uno scheletro di cemento, messo sotto sequestro l'8 Ottobre 2003 su mandato della Procura della Repubblica di Genova, con un’operazione congiunta della Guardia di Finanza e del Corpo Forestale dello Stato dell’Isola d’Elba. Lo scheletro sorge poco lontano dal mare, in un’area centrale e verde utilizzata come grande parcheggio estivo. Sembrava il frutto di una concessione rilasciata nell’agosto 2002, in modo apparentemente regolare, che però avrebbe dovuto essere bloccata dal Comune di Marciana sulla base dei disposti regionali che imponevano una moratoria di un anno (successivamente prorogata) per le zone colpite dall'alluvione del 4 settembre 2002, tra le quali la piana di Procchio, un'area a fortissimo rischio idraulico e che fu completamente invasa dalle acque. Invece i lavori del grande stabile iniziarono solo poche settimane dopo l'alluvione. Lo scheletro di cemento sotto sequestro doveva inizialmente essere un “centro servizi” con albergo ed appartamenti per un totale di 20mila metri cubi, ma, anche per la forte opposizione di Legambiente, la precedente Amministrazione Comunale non lo aveva mai autorizzato. Solo nel 2003 si iniziano a costruire mini-appartamenti, negozi ed un grande garage sotterraneo, anche se con una riduzione di circa 10mila metri cubi rispetto al progetto originario. Così l’ecomostro di Procchio è diventato il simbolo di 18 Legambiente - Mare monstrum 2004 “Elbopoli” della voglia di cemento di un’isola nella quale i Piani Strutturali degli otto Comuni vorrebbero costruire 2milioni di metri cubi di cemento. La barriera fantasma di S. Marinella (Rm) Ufficialmente nel tratto di mare Fosso delle Guardiole, di fronte a Baia di Ponente, a Santa Marinella, avrebbe dovuto sorgere una scogliera protettiva di un sito archeologico del periodo romano. Una iniziativa nobile, peccato che invece si stava realizzando un porticciolo, con attracchi per circa 120 barche. A scoprire il misfatto sono stati gli uomini della Sezione navale della Guardia di Finanza di Civitavecchia, guidati dal Maggiore Emilio Errigo. Dalle indagini è infatti emersa l’esistenza di due progetti nettamente diversi tra loro (uno presentato al Comune e l’altro alla Soprintendenza all’Etruria Meridionale) e differenti anche dal disegno inserito nel Piano per l’utilizzo degli arenili ( Pua). Nelle intenzioni originarie la scogliera avrebbe dovuto difendere un’area di grande pregio archeologico. Nel tratto di mare Fosso delle Guardiole sono infatti presenti due peschiere di epoca romana annesse ad una villa, che in parte affiorano anche dall’acqua. Inoltre la zona è un sito interesse comunitario, in quanto 200 metri più avanti rispetto alla prevista scogliera è presente una vasta prateria di posidonia. In ultimo, il litorale è soggetto ad un vincolo paesaggistico e doganale. L’iter per la realizzazione dell’approdo è attualmente bloccato. La Soprintendenza vuole vederci chiaro e ha chiesto al Comune il progetto presentato dal privato per confrontarlo con quello in suo possesso e anche con il disegno contenuto nel Piano di utilizzo degli arenili. I misfatti dello stabilimento Maremma (Montalto di Castro) Lungo il litorale di Montalto di Castro gli uomini della sezione navale della Guardia di Finanza Civitavecchia, hanno scoperto un vero e proprio scempio ambientale. Con un blitz le Fiamme gialle hanno infatti sequestrato una parte del complesso turistico - alberghiero denominato Maremma, situato sul lungomare. La disposizione cautelare di sequestro è scaturita da complesse indagini che hanno portato ad accertare che le opere realizzate nel complesso balneare Maremma, consistenti nell’edificazione di dieci camere d’albergo, nella trasformazione di una piccola costruzione, autorizzata a contenere cassoni idrici per complessivi sedici metri quadrati, in un appartamento con vista sul mare di novanta metri quadrati e altre opere apparentemente regolari da un punto di vista formale, sono il frutto di un clamoroso falso, architettato da funzionari del comune, in collusione con professionisti e con i proprietari dello stabilimento. Gli avvisi di garanzia sono stati notificati ai responsabili dell’ufficio urbanistica del Comune di Montalto, ai tecnici progettisti delle opere abusivamente realizzate e ai proprietari del complesso alberghiero sottoposto a sequestro penale. Le ipotesi di reato contestate vanno dal falso ideologico 19 Legambiente - Mare monstrum 2004 all’abuso d’ufficio e all’omissione in atti pubblici. E’ da segnalare che nel corso delle indagini è stata acquisita della documentazione fotografica, presentata a corredo delle richieste di ristrutturazione del complesso balneare, che è risultata poi essere un’abile riproduzione di più fotogrammi sovrapposti che palesavano lavori svolti nel rispetto delle norme urbanistiche e che invece si sono rivelate del tutto false. L’hotel Summit di Gaeta L’ampliamento dell’hotel Summit di Gaeta è salvo, almeno per ora, in attesa che si pronunci la Soprintendenza del Lazio, entro 60 giorni, a partire dalla delibera comunale del 17 maggio 2004, trascorsi i quali scatterà il famigerato silenzio-assenso. Ma questo è solo l’atto finale di una storia che ha avuto come triste epilogo quello di rovinare un incantevole lembo di costa. Risale alla metà degli anni '50 la presentazione di un progetto concernente la realizzazione di un ristorante denominato “Il Barchino”. Nel 1961 viene poi ordinata la sospensione dei lavori in quanto si accerta che si costruisce in difformità e senza il parere paesistico. L’opera comunque prosegue e giunge a conclusione. Nel medesimo periodo, viene presentato un nuovo progetto che prevede un edificio a due piani, incluso ristorante e dieci camere, per un totale di 302 metri quadrati di superficie coperta. Il progetto, denominato Argonauta, riceve il parere favorevole della commissione edilizia comunale e il nulla osta di massima della Soprintendenza. Ma l’epopea del cemento non si arresta qui. Viene presentato un progetto di ampliamento dell’albergo che prevede un edificio di cinque piani complessivi. Il Soprintendente, con nota del 28 ottobre 1966, esprime parere contrario all’approvazione. Negli anni successivi, si susseguono senza tregua i progetti di ampliamento dell’albergo fino ad arrivare, agli inizi degli anni '70, ad una struttura con 7 piani, un volume autorizzato pari a 10.578 metri cubi ed una superficie coperta pari a 1.536 mq. In relazione a questo nuovo progetto, la Soprintendenza ai monumenti del Lazio, nonostante l’edificio presenti due piani in più rispetto al progetto precedentemente bocciato, cambia parere e concede l’autorizzazione Ma non è ancora finita. Viene chiesta una nuova variante che prevede un piano in più, l’amministrazione comunale, senza parere paesistico e in contrasto con la legge regionale di protezione delle coste, autorizza i lavori con la concessione n. 736 del 1977. Mesi dopo la Soprintendenza per i beni ambientali e architettonici del Lazio, esprime parere contrario all’ultimo ampliamento. Nel 1986 viene presentata domanda di condono per un ampliamento di superficie dichiarata pari a 1.605 mq. Nel 2000, nel corso dell’esame di tale domanda, la commissione edilizia comunale rileva che la licenza edilizia n. 736 del 1977 è stata rilasciata in maniera illegittima “in quanto non è stata preventivamente acquisita l’autorizzazione prevista dall’art. 7 della l. 1497/ 1939 (la legge sulle bellezze paesistiche)” e perché ritenuta in contrasto con la legge regionale n.30 del 1974. La stessa commissione esprime parere 20 Legambiente - Mare monstrum 2004 favorevole all’annullamento della licenza edilizia citata. Successivamente a tale parere, è stata presentata una integrazione all’istanza di condono del 1986, con la richiesta di condonare una superficie dichiarata pari a 1.975 mq. L’abuso ha trovato ora la sua legittimazione: il 17 maggio 2004 infatti l’amministrazione comunale ha espresso parere favorevole alla sanatoria. Entro sessanta giorni si dovrà pronunciare la Sopraintendenza per esprimere il proprio parere in merito al condono, trascorsi i quali scatta il silenzio-assenso. Furore Inn resort, l’albergo abusivo, costruito con fondi pubblici Un clamoroso caso di abusivismo in piena Costiera Amalfitana, territorio classificato dall’Unesco “patrimonio dell’umanità”. Si tratta dell’albergo “Furore Inn Resort”, lussuoso hotel a cinque stelle costruito in località Punta S. Elia, nel piccolo ma suggestivo comune di Furore. Un albergo da sogno (con ventidue stanze, ristorante, sala convegni, oltre a ovviamente piscina e campi da tennis) che in realtà avrebbe dovuto essere solo una piscina comunale e che oltre tutto è stato realizzato con soldi pubblici. Ma ricostruiamo brevemente la vicenda. Tutto ha inizio nel 1988 quando viene costituita, ad opera del sindaco, una società mista, la Futura srl, con la maggioranza detenuta dal comune di Furore. Successivamente, arriva un cospicuo finanziamento statale dell’importo di 8 miliardi e 100 milioni di vecchie lire, richiesto ai sensi della legge n. 160/88 (che promuove progetti per la creazione di occupazione in zone con elevata intensità di disoccupati) per la realizzazione di un’opera pubblica ossia il complesso turistico sportivo. E così ha inizio, sotto mentite spoglie, la costruzione dell’albergo. Ma non è finita qui. Infatti, nel corso della seduta del consiglio comunale del 31 luglio 2003, il sindaco propone la vendita della quota detenuta dal comune, adducendo come ragione di tale iniziativa la mancanza di mezzi finanziari per ricapitalizzare la società. A questo punto il socio privato, prontamente sottoscrive le azioni, divenendo così socio di maggioranza, visto che la stessa Regione Campania, che all’inizio si era dimostrata decisa a voler rilevare le quote pubbliche, in seguito rinuncerà, in base ai rilievi dei tecnici regionali del settore “antiabusivismo” Queste le motivazioni della rinuncia da parte della Regione, in un comunicato stampa del 9 dicembre 2003: “L’ufficio antiabusivismo della Regione Campania - si legge nella nota - ha consegnato all’assessorato all’Urbanistica la relazione preliminare all’acquisizione al patrimonio regionale della quota pubblica della “Futura spa”, proprietaria del complesso immobiliare "Furore Inn", sito nel comune di Furore (...)”. La relazione, necessaria per la verifica della compatibilità urbanistica del "Furore Inn", ha confermato dubbi sulle procedure urbanistiche eseguite per la realizzazione del complesso. Quindi, oltre il danno anche la beffa. Non è bastata infatti la sottrazione alla comunità di un centro sportivo comunale e la realizzazione, con fondi pubblici, di uno scempio in uno degli angoli più belli della Costiera Amalfitana. Ora il tutto passa nelle mani di un privato e della procura della repubblica di Salerno che ha avviato l’indagine. 21 Legambiente - Mare monstrum 2004 Villa Zeffirelli: Millequattrocento metri quadrati di cemento mai autorizzati Siamo a Positano (Sa), una dimora da sogno a picco sul mare in piena costiera amalfitana. Ventuno le camere, trecento gli scalini. Di fronte a l'isola Li Galli. “Le Tre Ville”, la magnifica dimora che degrada a mare e domina la baia di Arienzo, la spiaggia dei mulini, dove l' imperatore Tiberio macinava il suo grano proveniente da Capri, è in parte fuorilegge, nonostante due sanatorie. Potremmo dire che si tratta della solita routine della “Divina costiera”…ma questa volta la villa da sogno a picco sul mare ha un “dimorante eccellente”, il signor Corsi Gianfranco, in arte Franco Zeffirelli. A nulla sono valse la produzione di ben 7 pratiche di richieste di condono (3 riferite al 1985 e 4 alla seconda sanatoria del ‘93). Il Procuratore della Repubblica incriminava, relativamente al fascicolo 1214/92 presentato alla vecchia pretura d'Amalfi, l' amministratore di una società, la Ipa (Immobiliare Positano Amalfi) insieme al proprietario, di aver eseguito opere «consistenti in otto manufatti per complessivi 725 metri cubi... ». Il Procuratore scriveva che queste opere non erano sanabili, che c'era «un unico disegno criminoso» e che tutte le opere descritte al «capo A» invadevano «arbitrariamente al fine di occuparlo e trarne altrimenti profitto, il suolo demaniale pubblico per complessivi 1.400 metri quadrati». Incredibile. Il giudice assolse da ogni imputazione il “proprietario” Zeffirelli, per il fatto che era un frequentatore abituale, come si è dichiarato lo stesso, mentre condannò l’amministratore della società Ipa a 16 giorni di reclusione. La crudezza del provvedimento giudiziario si è però “addolcito”, considerando che nessuno dei sindaci, che dall’85 ad oggi hanno retto l’amministrazione comunale, ha mai pensato di far seguire a quella sentenza il relativo ordine di demolizione. Sulla vicenda sono state presentate anche delle interrogazioni parlamentari (la prima del 13 settembre 1989, la seconda del 24 settembre 1991) con le quali un deputato, Antonio Parlato, segnalava che la dimora «del regista Franco Zeffirelli» continuava ad ampliarsi con abusi reiterati. Parlato chiedeva come fosse possibile che nessuno vedesse la mole dei lavori irregolari. Tre anni dopo - seconda interrogazione - aggiunse che la casa si era come allungata verso il basso, con una lunga scalinata fino al mare. «Ho le foto», disse il deputato. I ministri dell’Ambiente e dei Beni culturali non vollero nemmeno vederle. E l’abuso continua ancora oggi ad essere impunito. 22 Legambiente - Mare monstrum 2004 Il cemento sulla spiaggia di Positano Era la spiaggia dell’amore per i positanesi. La spiaggia dove, in romantiche notti di luna piena, si portavano le compagne sugli Scogli Piatti, al di fuori di ogni occhio indiscreto, col solo rumore delle onde del mare. Una spiaggia incontaminata che si poteva raggiungere solo via mare o per uno straordinario sentiero inerpicato sulle rocce da Via Fornillo. Ora sulla spiaggia vi è una colata di cemento di uno stabilimento balneare di un albergo di Positano. Lo stesso albergo ha chiuso, nonostante un’ordinanza di rimozione, l’incantevole stradina che permette di giungere a piedi alla spiaggia di Remmese. E’ considerato dai positanesi stessi l’abuso più grave commesso sul loro paese.Da allora sono continuati i tentativi di sanare il tutto, attraverso la presentazione di varie istanze di condono edilizio e con procedimenti ancora pendenti per l’occupazione del demanio marittimo. Nonostante ciò sulla spiaggia è attivo uno stabilimento balneare autorizzato ad esercitare, sebbene sia costruito su una colata di cemento abusiva, e su alcuni siti internet si parla di quella che era la spiaggia dell’amore dei positanesi, come della spiaggia privata dell’albergo. Paestum Comune di Capaccio – Pilastri sulla spiaggia Paestum, la città dei templi, sito appartenente a quelli dichiarati patrimonio dell’umanità dall’Unesco. Qui in circa due mesi tra aprile e maggio, a pochi metri dalla spiaggia, sono sorti sessanta pilastri di cemento, armatura di un nuovo residence. L'area dove si sta edificando si trova vicino al mare, in zona Laura, poco lontano dalla sponda del fiume Sele, che scorre tra l'altro in un’area protetta. Nonostante tutto ciò, e in barba alla legge Galasso, il residence è ok. Il 23 marzo scorso il Tar ha accolto il ricorso del titolare del terreno e della struttura. Contro l'ennesimo ecomostro legalizzato, che ridurrà sempre più la vista mare per i turisti e abitanti della zona, combattono da anni le famiglie di un condominio di Via Wagner che si sono riunite in un comitato. Hanno denunciato a tutti lo scempio edilizio, edificato senza tener conto dei vincoli paesaggistici posti dalla legge Galasso. E non ultimo hanno inviato un dettagliato dossier al presidente della Commissione europea, Romano Prodi. Ad affiancarle è scesa in campo anche Legambiente. Un'altra lettera-denuncia ai vertici Ue, a firma del presidente regionale Michele Buonomo, è stata inviata all’inizio di maggio. Nella missiva, Legambiente ricorda che l'area in questione «rientra tra i siti di importanza comunitaria in quanto ricade all'interno delle 23 Legambiente - Mare monstrum 2004 fasce litoranee a destra e sinistra del Sele». In questo contesto, scrive Legambiente nella missiva, «due autorità dello Stato, sindaco e soprintendenza, hanno adottato provvedimenti che appaiono in palese contrasto con gli obblighi di tutela». Al presidente Prodi Legambiente chiede «di valutare l'attivazione della procedura d'infrazione contro lo Stato membro della Repubblica Italiana per la mancata tutela del Sito d'importanza comunitaria». In attesa di risposta, il Comune ha firmato le autorizzazioni e la soprintendenza ai Beni Ambientali di Salerno e Avellino ha dato il nulla osta. Nel frattempo, mattone dopo mattone, pilastro su pilastro, il residence prende forma. A pochi metri dal mare. In un sito patrimonio dell’Unesco. In Campania tutto questo non meraviglia nessuno. Speriamo che invece in Europa qualcuno se ne accorga 5.2.2 Ecomostri: le vecchie conoscenze Gli scheletri di Agrigento Sono circa 600 le abitazioni realizzate illegalmente nell’area sottoposta a vincolo di inedificabilità assoluta. Dopo la demolizione di uno degli edifici di proprietà di un mafioso che, da tempo deturpavano una delle aree archeologiche più importanti e suggestive d’Italia e del mondo, si è aggiunta agli inizi del 2001 una nuova stagione di abbattimenti. Le ruspe demolitrici hanno varcato i confini del Parco Archeologico della Valle dei Templi cominciando a ristabilire quella sovranità dello Stato e delle sue leggi che era stata ridotta, in quella terra a carta straccio. Il 15 e 16 gennaio 2001 la Prefettura di Agrigento ha dato il via libera con l’ausilio del Genio militare, all’abbattimento di altri sei scheletri nella Valle dei Templi. Grazie anche al positivo contributo dell’Assessore ai Beni Culturali e Ambientali regionale, Fabio Granata, e dell’allora Sottosegretario ai Lavori Pubblici, Antonio Mangiacavallo. Purtroppo resta ancora tanto da fare per liberare il Parco archeologico dal cemento selvaggio. Le ville di Pizzo Sella Un milione di metri quadri di collina scoscesa e rocciosa sottoposta a vincolo idrogeologico e paesaggistico lottizzati abusivamente, 314 concessioni edilizie rilasciate illegittimamente dal Comune di Palermo in una zona destinata a verde agricolo 147 unità immobiliari realizzate, per un totale di 193 mila metri cubi di cemento, il tutto corredato da opere di urbanizzazione primaria, strade, fognature, impianto di illuminazione, ecc. Si tratta delle ville di Pizzo Sella, a Palermo, che a partire dalla reggia di Michele Greco, rimasta grezza, in cima, la più alta, arida ed arrogante, su quella che i palermitani chiamano la «collina del disonore», un altro ecomostro il cui caso è quasi chiuso: le case abusive costruite sul promontorio palermitano di Pizzo Sella, ribattezzata la collina del disonore, vanno confiscate e il danno ambientale prodotto deve essere risarcito. Lo ha stabilito la sentenza emessa il 29 gennaio 24 Legambiente - Mare monstrum 2004 2000 dal giudice Lorenzo Chiaramonte, che ha condannato dieci tecnici, funzionari comunali e imprenditori, accusati di aver partecipato a vario titolo ad un’enorme speculazione edilizia. Diversi lotti di terreno con rispettiva villetta sono stati "donati" ad alcuni tecnici e funzionari comunali, per facilitare e rendere possibile il rilascio delle concessioni. In particolare, il progettista del complesso edilizio allo stesso tempo faceva parte della commissione edilizia che dava il parere sulle concessioni e naturalmente aveva esercitato la sua influenza affinché i progetti fossero approvati senza problemi. Particolare non trascurabile, infine, le concessioni edilizie figuravano intestate alla sorella del noto boss mafioso Michele Greco il "papa della mafia". Una colossale speculazione immobiliare che nasconde un’imponente operazione di riciclaggio di denaro “sporco” da parte di Cosa Nostra. Dopo la demolizione dei primi scheletri avvenuta nel 1999 e la sentenza emessa dalla magistratura palermitana, nel maggio scorso il Comune di Palermo ha acquisito al patrimonio indisponibile del comune l’intero complesso immobiliare, sperando che si tratti di ulteriore passo verso la definizione definitiva dell’annosa vicenda che da più di vent'anni deturpa la collina del disonore di Pizzo Sella. Le 800 villette di Triscina Si chiama Triscina, a due passi da Selinunte, è completamente abusiva e detiene probabilmente il record mondiale di impunità: su circa 5 mila case nate fuorilegge (tutte), oltre 800 sono così al di là di ogni limite di illegalità da non aver potuto approfittare neppure del condono del 1985. Non hanno potuto approfittare neppure del condono del 1994, né delle ammiccanti leggine via via tentate dalla Regione Sicilia. Colpite dalla ordinanza di demolizione (obbligatoria) non hanno mai visto però una ruspa, un piccone, uno scalpello. Eppure qui, di quegli «abusivi per necessità» che vengono difesi a spada tratta dai legalisti di bocca buona, non ce n’è uno in giro. Basta vagabondare tra le stradine che scendono a pettine verso il mare: cancelli sbarrati, finestre sbarrate, porte sbarrate. Non un’auto parcheggiata, un bambino che giochi, un ciclista che pedali, un panno steso al sole. E se da altre parti della penisola, in certe periferie delle grandi città, potresti avere lo scrupolo di buttar giù una schifezza perché c’è dentro qualcuno, qui no: nessun alibi. Tranne, s’intende, quello politico che tutti, dai sindaci agli assessori, ti ripetono qui in Sicilia: un abusivo è un abusivo, 5 mila abusivi sono un partito. La Sicilia, con 63.089 case abusive costruite dal 1994 ad oggi, rappresenta un sesto dell’intero panorama (362.676) dell’edilizia illegale italiana. 305 case su mille, nell’isola, «non sono occupate e quindi rientrano tra le cosiddette "seconde case"». Incapace di raccogliere informazioni precise in un panorama così sgangherato, la Regione ha distribuito un questionario per un sondaggio a campione. Risultato: nonostante lo sbracamento dello Stato con la raffica di condoni, gli abusi edilizi accertati come in-sa-na-bi-li in Sicilia e quindi colpiti 25 Legambiente - Mare monstrum 2004 da una obbligatoria ordinanza di abbattimento sono oggi 21 mila. E quelle eseguite negli ultimi anni? Nessuno ne ha la più pallida idea. Forse 200, dicono in Regione. Delle quali 130 (in larga misura baracche) a Siracusa grazie a un protocollo d’intesa del sindaco Titti Bufardeci con la Procura e il resto nelle altre province, che ospitano il 93% degli abusi isolani. Il che fa ipotizzare una percentuale di demolizioni effettive intorno allo 0,3 di quelle firmate. Umiliante. Chi ha governato l’isola in questi anni, destra e sinistra, non è riuscito a fare il suo mestiere tra gli «abusivi del superfluo» (chi aveva una casa sequestrata e acquisita per abusivismo se l’è tenuta ed è «ospite» del Comune) come a Triscina, che con Marinella stringe Selinunte in una morsa di calcestruzzo e scarica dove può, compresa la necropoli di Timpone Nero dove i sepolcri vuotati dai tombaroli vengono usati come depositi d’immondizia. Capo Rossello Capo Rossello è una baia nel tratto più bello della costa meridionale della Sicilia, nel comune di Realmonte (Agrigento). E’ un luogo di grande suggestione, reso unico da uno scoglio, chiamato, per via di una antica leggenda, “Do zitu e da zita”, cioè del fidanzato e della fidanzata, che si trova nel mare a trecento metri dalla spiaggia. La spiaggia di Capo Rossello, proprio per la sua straordinaria bellezza, è stata al centro delle mire speculative di un gruppo di politici e di imprenditori, denunciati e condannati dopo la pubblicazione di un dossier di Legambiente Sicilia. Nei primi anni Novanta, utilizzando uno strumento urbanistico scaduto ed in violazione del vincolo paesistico, alcuni assessori del Comune di Realmonte rilasciarono a sé stessi una serie di concessioni edilizie per realizzare palazzine in riva al mare, piantando i piloni nella sabbia e sbancando la costa di pietra bianca che completava il tratto costiero. Nel febbraio ’94, dopo la denuncia di Legambiente, l’intera Giunta Municipale, la commissione edilizia ed alcuni imprenditori furono tratti in arresto, processati e condannati. Si attende ancora, che il Comune demolisca lo scempio, fortunatamente bloccato. Assalto alla baia dei Turchi Sempre in territorio di Realmonte (Ag), a pochi chilometri da Capo Rossello, in località Baia dei Turchi, si trova un altro monumento alla speculazione edilizia, realizzato illegalmente da un altro gruppo di palazzinari grazie a concessioni edilizie compiacenti. Si tratta del progetto di un albergo sul mare, su quel tratto di costa dove, come dice il nome, un millennio fa sbarcarono gli ottomani. L’intervento di Legambiente, obbligò la Regione ad annullare la concessione ed a bloccare i lavori. Anche in questa baia ancora oggi si attende l’arrivo delle ruspe demolitrici. 26 Legambiente - Mare monstrum 2004 Simeto: un'oasi a rischio Complessivamente sono 550 le case abusive da demolire all’interno dell’Oasi del Simeto, in Provincia di Catania. Dal 1999 ad oggi ne sono state abbattute solo 119. Lo scorso febbraio, Legambiente ha di nuovo diffidato l’amministrazione comunale di Catania, sollecitando la demolizione delle centinaia di costruzioni abusive ancora esistenti all’ interno dell’ area naturale. Per comprendere la gravità della situazione può esser utile ricordare che l’Oasi del Simeto, alla foce dell’omonimo fiume, è una delle aree umide di maggior pregio ambientale d’Italia, dove ancora oggi transitano e nidificano rare specie di uccelli migratori. L’ amministrazione comunale, tentando di giustificarsi per le poche demolizioni effettuate, ha dichiarato di aver avuto “ un comprensibile momentaneo periodo di prudenza al fine di non danneggiare pregiudizialmente qualsiasi ipotesi di sanatoria in considerazione della recente proposta di legge regionale sul riordino delle coste e dell’ultima sanatoria edilizia”, concludendo che è comunque sua “intenzione attuare le demolizioni di tutti gli immobili abusivi insanabili” . Legambiente chiede che si prosegua, senza ripensamenti, l’opera di abbattimento delle costruzioni illegali e di recupero dell’Oasi. L’abusivismo edilizio nella Riserva marina di Capo Rizzuto Ben 75 costruzioni abusive per 48.600 metri cubi: è questo il risultato dell’ultimo censimento effettuato dalla Capitaneria di porto di Crotone, nell’area di demanio costiero della Riserva di Capo Rizzuto e nella fascia di rispetto che interessa ben 38 km di costa. Insomma, sono circa 16.100 i mc abusivi nell’area demaniale e il doppio, 32.500 mc, nella fascia dei 30 metri dal limite demaniale. Per intenderci nel crotonese gli interventi più rilevanti sono quelli attorno al borgo marinaro di Cariati, Cirò Marina, la Marina Melissa e Strongoli, Capo Colonna a Crotone, Le Cannella, Capo Rizzuto, Capo Piccolo, e Le Castella ad Isola Capo Rizzuto ed infine il cosiddetto Steccato di Cutro. Una morsa di cemento illegale, fatto di moli che si protendono in mare, porticcioli, fabbricati, muri di recinzione, piattaforme in cemento armato, porticati, che stringe e avvolge la stupenda riserva marina di Capo Rizzuto, in provincia di Crotone. Tutte le gare fatte finora per demolire gli immobili sono andate deserte e nessuno, a cominciare dall’Ente gestore della Riserva, ha risposto alla stessa Capitaneria di Porto, che aveva dato la propria disponibilità a provvedere agli abbattimenti. E ancora oggi non si registrano novità volte a liberare questi luoghi. La Riserva interessa circa 38 Km di costa tra i comuni di Crotone ed di Isola di Capo Rizzuto. Quest’ultimo è quello maggiormente interessato per estensione. 27 Legambiente - Mare monstrum 2004 Baia di Copanello Siamo nel Comune di Stalettì, in provincia di Catanzaro, sulla costa ionica della Calabria. In uno scenario di straordinaria bellezza, “convivono” i due estremi, negativi e positivi, di tante aree del Mezzogiorno: l'ecomostro di cemento di Villaggio Lo Pilato, che con i suoi 16mila metri cubi deturpa la baia da oltre vent'anni; la tomba di Cassiodoro, il grande senatore e letterato romano del Vivarium, abbandonata a sé stessa nella più totale incuria e a pochi metri da un “illuminante” caso di scempio urbanistico. Sul Villaggio pende una ordinanza di demolizione del 1987, mai eseguita, e una gara di demolizione andata deserta. Sulla vicenda Legambiente ha presentato una denuncia le cui indagini sono ancora in corso. Il cemento in spiaggia a Falerno Scalo “Palafitta” e “trenino” non sono i nomi di due personaggi di una nuova serie di cartoni animati, ma bensì i nomignoli con cui i cittadini e i turisti di Falerno Scalo, in provincia di Catanzaro, hanno soprannominato le due costruzioni realizzate sul bagnasciuga della costa calabrese. “Palafitta” con i suoi tre piani sfida continuamente le onde essendo stato costruito direttamente sulla battigia e nei giorni di mare leggermente mosso sembra che galleggi sul mare. “Trenino”, invece, con i suoi appartamenti a schiera realizzati direttamente sul bagnasciuga viene invaso dalla sabbia che spesso riempie completamente il piano terra. Si tratta di due esempi scellerati di aggressione al patrimonio costiero, sperando che al più presto il buon senso liberi questo pezzo di costa calabrese dal cemento selvaggio. Il gigante di cemento di Bassano a Torre del Greco Sono più di trent’anni, ormai, che il gigante di cemento di Bassano a Torre del Greco (Na) continua a fare bella mostra di sé, oscurando la torre saracena del 1600. Proprio in questi ultimi mesi sono state scritte delle pagine importanti della lunga storia, almeno dal punto di vista giudiziario. Da una parte, nel maggio scorso, il Consiglio di Stato ha sancito che l’albergo potrà essere completato, annullando la precedente decisione del Tar. Secondo i giudici della giustizia amministrativa si tratterebbe di lavori da qualificare come “ristrutturazione edilizia” e non come “manutenzione straordinaria”, come invece avevano sancito i magistrati del Tar. Affinché i lavori possano riprendere è necessaria sia una pronuncia della Soprintendenza, vista la vicinanza alla vecchia Torre di Bassano, annoverata tra i monumenti storici di Torre del Greco, che il parere favorevole della Commissione edilizia 28 Legambiente - Mare monstrum 2004 del Comune. Per poi ritornare il tutto alla Soprintendenza per l’approvazione definitiva. Dall’altra, in un’altra sede giudiziaria, è in corso il processo penale che vede due impuntati. Secondo i magistrati della procura di Torre Annunziata una parte dell’albergo è stata realizzata su area demaniale senza la prescritta concessione demaniale marittima, per quasi 1.362 metri quadrati.La vicenda prende le mosse nel 1965, con il rilascio da parte del comune della concessione edilizia per la realizzazione di una serie di opere di edilizia residenziale e di un albergo sul mare. Nel 1972 il comune di Torre del Greco si pronuncia sui manufatti dichiarando, che l’albergo può essere realizzato mentre sorgono una serie di problemi per ciò che riguarda le case residenziali. Nel corso del 1998 un’altra società subentra ai vecchi proprietari, la quale viene autorizzata dal comune a compiere solo lavori di ordinaria manutenzione, mentre la società di fatto lavora per ultimare l’albergo. Nel 1999 la Capitaneria di porto ha emanato un’ordinanza nella quale ha intimato alla proprietà della struttura di transennare la zona per pericoli di frana. Le ultime notizie sono che il TAR Campania si è espresso negativamente circa l'annullamento della nota dirigenziale n.91561 del 22 settembre 1999 di reiezione della richiesta di riesame del progetto di completamento del complesso residenziale. Quindi gli imprenditori, alla richiesta di ultimare lo stabile, si erano visti rispondere in modo negativo con motivazioni ribaltate dalla sentenza del Consiglio di Stato. In Appello è emerso infatti che il completamento non riguarda tutto il complesso (albergo ristorante e struttura balneare) ma solo l'edificio destinato ad utilizzazione ricettiva, che è completato nella sua struttura e che è definito nei volumi e nelle superfici realizzate anche sulle aree occupate. Ci troviamo davanti ad una situazione, da tempo denunciata dal Circolo locale di Legambiente e dal Wwf, sempre più ingarbugliata. Vico Equense Gli scheletri dell'ecomostro di Alimuri, uno schiaffo all'immagine e al paesaggio naturalistico della penisola sorrentina, dal 1971 presidia maestoso una delle conche più belle del golfo di Napoli. Nel 1964 viene rilasciata la licenza per costruire, sulla spiaggia della conca di Alimuri, un albergo di 100 vani. Nel 1967 la licenza viene rinnovata per la costruzione di 50 vani più accessori per un altezza massima di 5 piani. Nel 1971 la Soprintendenza ordina la sospensione dei lavori ma il ministero della Pubblica Istruzione accoglie il ricorso proposto dal titolare della licenza. Nel 1976 la Regione Campania 29 Legambiente - Mare monstrum 2004 annulla le licenze rilasciate dal Comune perché in contrasto con il Programma di Fabbricazione, ma il Tar Campania nel 1979 ed il Consiglio di Stato nel 1982 annullano gli atti adottati dalla Regione. Nel 1986 i lavori sono sospesi dal Comune di Vico Equense perché si rendono necessari lavori di consolidamento del costone roccioso retrostante. Completare l'ecomostro di Alimuri avrebbe un duplice “effetto”: dare corso all'ennesimo assalto al patrimonio ambientale della penisola sorrentina e rendersi responsabili di un’opera a rischio, costruita alle pendici di un costone roccioso fragile, inserito nella zona rossa, quella a maggior rischio, dell'ultimo piano d’intervento per il dissesto idrogeologico realizzato dall'Autorità di Bacino del Sarno. Basti pensare che i solai del complesso di Alimuri risultano attualmente sfondati da numerosi "fori" del diametro anche superiore al metro provocati da ripetuti crolli di blocchi lapidei staccatisi dal costone. L'amministrazione comunale di Vico Equense ha fatto rientrare l'area tra quelle di maggior pericolosità, censite nel nuovo Piano di Protezione Civile Comunale. Il 23 aprile 2003 viene stipulato un singolare accordo tra il Comune di Meta e quello di Vico Equense che di fatto si sarebbe “spogliato” delle proprie competenze istituzionali in merito alla tutela e salvaguardia del territorio delegandole a quello contiguo di Meta. L’accordo stabiliva esplicitamente: “che il Comune di Vico Equense si impegna a rilasciare la concessione di demolizione del manufatto (ndr del complesso di Alimuri) al Comune di Meta nel caso di esito positivo di acquisto dell’aerea”. Ma l’acquisto non è mai avvenuto poiché i proprietari non hanno mai dato il via libera. A questo punto la Regione Campania resta in attesa di proposte da parte dei proprietari e l’ecomostro continua a dominare la conca della penisola sorrentina. L’ecomostro “legalizzato” di Pozzano a Castellammare di Stabia Era luglio di due anni fa, quando i volontari di Legambiente, a bordo della Goletta Verde, con un blitz sulle coste vesuviane denunciarono l’ecomostro “legalizzato” di Pozzano. Un blitz che suscitò numerose polemiche con istituzioni, sindacati, partiti politici. L’accusa solita: gli ambientalisti sono contrari allo sviluppo e denunciano uno scempio dopo che si sta ultimando. Siamo a Castellammare di Stabia, proprio dove cominciano le curve della Costiera sorrentina. Era un complesso industriale, costituito da un edificio a volte e da due torri dei forni, che si trova a 10 metri dalla statale e a due passi dal bagnasciuga, ora è un albergo a quattro stelle, “Sirene del Golfo”, che a settembre ospiterà i primi turisti. 30 Legambiente - Mare monstrum 2004 Nell’Italia degli ecomostri abusivi, questo edificio però ha una storia a sé: non è l’ennesima testimonianza di leggi violate e norme calpestate, ma un monumento al cattivo gusto con tanto di certificato di legalità, una colata di insensibilità ambientale in un angolo d’Italia dove la natura da spettacolo. Insomma, è uno scempio, ma uno scempio in regola. “Un intervento di tipo conservativo delle strutture preesistenti rappresentando ciò … un obiettivo principale .. capace di garantire l’identità del complesso”: sono questi alcuni dei passaggi della Relazione descrittiva dell’intervento di recupero, approvata dalla Conferenza dei servizi il 30 ottobre 1998, dello stabilimento "Calce e Cemento" in località Pozzano a Castellammare di Stabia. Venne presentato come un progetto di recupero archeologico-industriale, di fatto del vecchio edificio a volte non è rimasto nulla, al suo posto sono stati costruiti due edifici ex novo che diventeranno ben presto dei lussuosi alberghi con oltre 250 posti letti e come corollario una sala congresso e una paninoteca. Inoltre, il parcheggio è stato ottenuto dall’altra parte della strada, sotto la montagna franata sette anni fa causando la morte di quattro persone, in una zona ad altissimo rischio idrogeologico. L’intera operazione di “recupero” del vecchio cementificio grava come un macigno sul paesaggio dell’intera penisola Sorrentina, realizzato in un’area di inedificabilità assoluta come regolamentato dal Piano paesistico della Penisola Sorrentina. Il grimaldello utilizzato è contenuto nella delibera del Consiglio regionale della Campania, la n. 53/1 del 18 novembre 1998, con la quale è stata concessa una deroga al PUT (Piano Urbanistico Territoriale della penisola Sorrentina approvato con legge regionale n. 35 del 27 giugno 1987). Tale delibera ha previsto la permanenza dello stabilimento "Calce e Cemento" e il suo riutilizzo a fini turistici privato, nonostante le innumerevoli contestazioni mosse dall’opinione pubblica e dalle associazioni ambientaliste, in prima fila Italia Nostra, Wwf e Legambiente, sull'opportunità di sottrarre al pubblico godimento uno dei più bei tratti di costa Sorrentina. Dopo il blitz di Legambiente, la Regione Campania il 23 luglio 2003 convocò una riunione a Palazzo Santa Lucia. Con non poco imbarazzo Regione, Provincia, Comune di Castellammare e i titolari dell’impresa che sta costruendo il complesso turistico, ammettevano che il complesso era davvero brutto e si impegnarono di correre ai ripari, proponendo soluzioni capaci di ridurre, almeno, l’impatto ambientale. Dopo questa riunione i soli risultati ottenuti sono stati la riduzione dell’impatto dell’alluminio anodizzato e del bianco, che contrastava con le rocce, e infine sono stati piantati più alberi in giardino. Stop. Le torri, reperti di archeologia industriale, sono diventate due dépendance e il corpo centrale oggi contiene – se possibile – più cemento che prima. Inoltre lo scempio è stato portato a termine con un finanziamento pubblico del 50%. Pozzano rappresenta non solo un simbolo di aggressione all’ambiente costiero ma soprattutto un monito per evitare che attraverso le deroghe si riesca a scavalcare gli strumenti di pianificazione territoriale. 31 Legambiente - Mare monstrum 2004 L’Hotel Castelsandra nel Parco nazionale del Cilento e Vallo di Diano (Comune di Castellabate – Salerno) Un vasto complesso immobiliare a destinazione alberghiera costruito su di una collina, nel cuore del Parco nazionale del Cilento e Vallo di Diano. Siamo nel comune di Castellabate in provincia di Salerno dove, a partire dalla metà degli anni ’80, in assenza di qualsivoglia lecito titolo concessorio, in una zona incontaminata soggetta a vincolo di inedificabilità e destinato all’uso civico boschivo, è stato costruito l’Hotel Castelsandra. Il complesso alberghiero è stato confiscato perché ritenuto oggetto di reinvestimento e di riciclaggio di attività illecite e criminali da parte del clan camorristico dei Nuvoletta. Sull’annosa vicenda che va avanti ormai da un decennio si è aperta una nuova e più incisiva fase, grazie anche al notevole impegno profuso in questi anni dalla Dott.ssa Margherita Vallefuoco, Commissario di governo per i beni confiscati. Il Sottosegretario di stato per l’economia e la finanza Maria Teresa Armosino, infatti, nella seduta della Camera dei deputati del 28 novembre 2001 ha espressamente risposto in merito all’interrogazione parlamentare sull’Hotel Castelsandra che: “l’area interessata dalla costruzione e contraddistinta da un vincolo di inedificabilità assoluta, prevista dal Piano regolatore generale adottato dal Comune di Castellabate. Di conseguenza l’edificazione realizzata non è neppure suscettibile di un provvedimento di sanatoria edilizia”. Inoltre, “Il soggetto giuridicamente tenuto a procedere ad ogni attività occorrente per la demolizione secondo le regole tipiche dettate in argomento dalla legge n.47/85 è il Comune di Castellabate. Solo in caso di inerzia ingiustificata del comune, l’ente parco nazionale potrà ad esso sostituirsi, attivando le procedure di demolizione e rivalendosi, successivamente, sul comune per i costi sostenuti”. L’ecomostro di Villa Tozzoli La storia degli abusi di Villa Tozzoli alla Gaiola (Na) dura da tempo e sta diventando un luogo simbolo della lotta all’abusivismo a Napoli. In uno dei posti più suggestivi e affascinanti della costa napoletana impreziosito dai resti della villa-città di Velio Pollione, che si affacciano proprio sulla spiaggetta, prolungandosi per oltre 150 mt. sotto il livello del mare, si sta perpetrando uno scempio intollerabile. Infatti sulla spiaggia della Gaiola, proprio sul terreno che affaccia sull’arenile e su quel tratto di mare che costituisce il Parco sommerso di Gaiola, riconosciuto di alto valore paesaggistico ed archeologico da un recente decreto del Ministero dell’Ambiente, un aristocratico diplomatico in pensione, per l’esattezza un ex ambasciatore demolendo ed inglobando resti archeologici, ha realizzato abusivamente un salone per ricevimenti. In pochi anni la superficie di un immobile di 100 metri si è a poco a poco trasformata in una enorme sala di ricevimenti di oltre 500 mq che si estende fino ai resti della Villa di Velio Pollione. 32 Legambiente - Mare monstrum 2004 Tra una condanna per abusi edilizi, il rigetto da parte degli Uffici competenti di 12 domande di condono, un risarcimento economico per danno ambientale in favore di Comune di Napoli e della Legambiente, oltre che di un vicino leso nel suo diritto a vivere nella sua profonda natura, quasi selvaggia, un posto unico al mondo, e diverse ordinanze di demolizione (sia del Tribunale di Napoli, confermata anche dalla Corte di Appello e lo scorso maggio anche dal Tar), Villa Tozzoli ha continuato ad ospitare ricevimenti. Fino al 2 agosto 2003, quando inizia la demolizione del manufatto voluta dal Comune di Napoli. Nello stesso giorno arriva la sospensiva del Tar e l’abbattimento viene lasciato quasi a metà: solo il 70% dell’edificio, infatti, viene buttato giù. Il 6 agosto muore il proprietario e nell’avvicendarsi delle pratiche burocratiche per il cambio degli eredi la sospensiva del Tar resta, ancora oggi, in attesa di discussione. La saracinesca della vergogna Punta Perotti a Bari, uno degli ecomostri più famosi d’Italia, è ancora lì. Con qualche anno in più, ancora più brutto ma in piedi e tutto intero. Il Comune ha persino proseguito l’opera di riqualificazione del lungomare “Pane e Pomodoro”, dove sorge Punta Perotti, restituendo alla città un pezzo importante di identità. Dopo anni di rimbalzi di responsabilità, accuse, lavate di mani, finalmente si è stabilito che deve essere il Comune di Bari ad abbattere l’ecomostro, la “saracinesca” come lo chiamano i baresi. Eppure nulla si è mosso in questi anni. Le speranze sono deposte nella nuova amministrazione comunale che si appena insediata. In data 28 maggio 2003 la Corte di Cassazione ha depositato la sentenza con cui ha rigettato gli incidenti di esecuzione proposti sia dagli ex proprietari del complesso di Punta Perotti, sia dal Comune di Bari. Quest'ultimo, in particolare aveva impugnato l'ordinanza del gip del Tribunale di Bari che aveva individuato nel Comune il soggetto competente a demolire. Con la sentenza in argomento la Cassazione ha affermato il potere dovere dell' Amministrazione comunale di procedere alla demolizione del manufatto abusivo". La Suprema Corte, inoltre, nel citare la regola giuridica di riferimento, contenuta nell’art,. 7 della L. n.47 del 1985, ha fatto riferimento alla eccezionale possibilità che il Comune decida di non procedere alla demolizione in considerazione di una duplice valutazione del C.C. in ordine alla prevalenza di un interesse pubblico che vada in senso contrario alla demolizione, nonché al presupposto accertamento in ordine alla compatibilità urbanistica e/o ambientale del manufatto. Detta eccezionale possibilità, incidentalmente e marginalmente rappresentata dalla Cassazione sta diventando il nuovo grimaldello per rimettere in discussione le certezze ed i risultati tanto faticosamente raggiunti. Legambiente ritiene che la valutazione discrezionale cui è chiamato il Consiglio comunale non possa legittimare lo stesso ad una scelta arbitraria, ma dovrà essere condotta alla stregua dei criteri indicati dalla norma che non 33 Legambiente - Mare monstrum 2004 potranno che condurre alla demolizione, stante l'evidente contrasto del manufatto con gli interessi ambientali (se così non fosse non vi sarebbe stata alcuna pronuncia giurisdizionale in ordine al carattere abusivo), nonché la assoluta insussistenza dell'interesse pubblico alla conservazione dello stesso. A quest'ultimo riguardo, anzi, l’interesse pubblico milita in senso assolutamente contrario al mantenimento dell’ecomostro, come dimostrato dalla rivolta della cittadinanza barese, che dovrebbe identificare l'interesse pubblico di cui il Comune deve tener conto ai sensi dell'art.7 della L. n.47 del 1985. La “Pietra” di Polignano a Mare Nel febbraio del 1998 è scattata l'operazione “Pietra Igea”, condotta dagli uomini del Coordinamento provinciale del Corpo forestale di Bari su delega del sostituto procuratore Roberto Rossi contro una lottizzazione abusiva nel Comune di Polignano a Mare. L'area, in località Ripagnola, si estende su quattro ettari, e al momento del blitz già ospitava un volume complessivo di oltre 26.900 metri cubi di cemento: un complesso turistico, con albergo, negozi, ristorante e villini annessi. Diciannove i “corpi di fabbrica” già sequestrati nell'area soggetta a vincolo paesaggistico, sette le condanne, tra primo e secondo grado, nei confronti dei responsabili di questo scempio. Il caso Ardea (Roma) Perché, in materia di abusivismo edilizio nella Provincia di Roma, esiste un “caso” Ardea? Esiste un "caso" Ardea per almeno 3 motivi: 1) i dati Istat relativi al numero dei residenti nei comuni della Provincia di Roma registrano nel comune di Ardea, uno dei nove Comuni costieri, un vero e proprio “boom residenziale”. Si pensi che nel 1991 la popolazione residente si attestava su 16.854 unità, mentre nel 2001 Ardea raggiunge 26.711 residenti, con una crescita di 9.857 residenti, ed un incremento, rispetto al 1991, pari al 58%; 2) uno studio della Regione Lazio, risalente all’inizio degli anni '80, stimava nel Comune di Ardea il 10% del totale dell'abusivismo; 3) secondo i dati forniti dagli stessi Amministratori di Ardea, tra il primo e il secondo condono edilizio, l’antica “Città dei Rutili” assomma 19.000 domande di condono: un rapporto altissimo, quindi, tra numero delle domande di sanatoria e residenti. Ma naturalmente tutto ciò non è sufficiente per poter parlare di “caso Ardea”, senza tener conto anche della situazione attuale. L’indagine ha preso in considerazione il periodo 1994 – 2001 e i dati che emergono dipingono una situazione a dir poco preoccupante. In tale periodo si stima che nel comune di Ardea sono stati realizzati 337.940 metri cubi di cemento illegale, con un consumo di suolo stimabile in 60 ettari. In altre parole, sono stati consumati illegalmente 205 metri quadrati di suolo al giorno. Inoltre, il rapporto tra edilizia legale e produzione abusiva pende a favore di quest'ultima: circa 34 Legambiente - Mare monstrum 2004 220.000 metri cubi realizzati legalmente a fronte di 337.940 realizzati abusivamente. C'è ne è abbastanza quindi, per parlare di “caso” Ardea. L’isola dei Ciurli di Fondi L’isola dei Ciurli, un’area agricola di grande valore paesistico, “ospita” 21 scheletri in cemento armato illegali. Il Tar di Latina con una sentenza dell’ottobre 1997 ha giudicato l'intera lottizzazione abusiva. Il Comune di Fondi, anziché avviare le procedure per l’acquisizione della lottizzazione al patrimonio pubblico e prevedere un piano di demolizione degli edifici, ha invitato i titolari della lottizzazione a sospendere i lavori e a presentare una proposta di lottizzazione. Il 29 settembre 1998 il Consiglio comunale di Fondi ha approvato il “progetto di lottizzazione convenzionato e relativo schema di convenzione”. Sulla vicenda è intervenuto l’Assessore regionale all’Urbanistica che nel 1999 ha dichiarato il provvedimento comunale illegittimo per violazione delle norme fissate dal PRG, procedura che fosse stata rispettata avrebbe di fatto ridotto notevolmente i volumi in gioco della lottizzazione. Ovviamente la delibera comunale non è stata successivamente annullata. Questo è l’ultimo passaggio di una lunga storia iniziata nel 1972 che attraverso provvedimenti di sospensione dei lavori, sequestri giudiziari e ordinanze di sanatorie si è trascinata fino ai nostri giorni. Il Circolo Legambiente di Fondi, da tempo in prima linea contro l’ecomostro, ha presentato contro la decisione del Comune un esposto alla Procura della Repubblica di Latina. L’assalto di cemento alla Baia di Campese (Isola del Giglio) Una colata di cemento ha sommerso la baia di Campese davanti alla Torre Medicea sull’isola del Giglio. L’albergo realizzato lungo la via Provinciale in prossimità del centro abitato è arrampicato sul pendio che scende dolcemente a mare, rappresenta sicuramente uno scempio non solo visivo, ma soprattutto ambientale. Il cantiere, non ancora ultimato, è stato oggetto di numerosi sopralluoghi dell’Ufficio Tecnico comunale che hanno ravvisato notevoli violazioni urbanistiche in merito alle previsioni perimetrali e all’eccedenza di volumetria, ma soprattutto una difformità del progetto alle previsioni del Piano regolatore generale. Grazie, infatti, ad alcuni articifici tecnici, varianti, perizie geologiche ed ad una serie di sviste, è stata consentita la realizzazione di volumi notevolmente superiori rispetto alle indicazioni contenute nel PRG comunale. Il Tribunale amministrativo ha revocato il provvedimento di annullamento della concessione edilizia disposta dall’Ufficio Tecnico comunale per vizio di forma. Nel frattempo sull’intera vicenda sta indagando la Procura di Grosseto per appurare eventuali violazioni urbanistiche. 35 Legambiente - Mare monstrum 2004 Lo Spalmatoio di Giannutri Una lunga fila di fatiscenti immobili in cemento armato per circa 11.000 metri cubi, fa bella mostra di sé da oltre 10 anni nell'insenatura dello Spalmatoio a Giannutri, isola che fa parte del Parco nazionale dell'Arcipelago Toscano. Delle costruzioni, iniziate negli anni '80 dalla società Val di Sol e poi interrotte, rimangono oggi alcuni scheletri in cemento e qualche villetta in completo stato di abbandono. Dopo oltre 10 anni di oblio, la nuova società che ha acquisito gli immobili ha chiesto al Consiglio direttivo dell'Ente Parco il nulla-osta per “recuperare” il complesso. Ma la richiesta non ha avuto più seguito. Il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio ha acquistato alla fine di febbraio 2004 alcune proprietà nell’Isola di Giannutri, messe all’asta dal Tribunale di Grosseto. Si tratta di tre dei sei lotti in cui era stata divisa la proprietà della società Porto Romano nell’Isola di Giannutri, all’interno dell’area del Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano. Un risultato raggiunto grazie all’impegno profuso dal Giudice Fallimentare Daniela Gaetano, che sin dall’inizio del procedimento si è adoperata per permettere agli Enti Pubblici di far valere il diritto di prelazione, e che è riuscita così a soddisfare sia gli interessi dei creditori della società che quelli della collettività. Seguendo l’esempio della Regione Toscana, che il mese scorso si era aggiudicata proprio a Giannutri una importante area su cui insiste una antica villa romana e dove intende realizzare un parco archeologico, anche il Ministero dell’Ambiente e Tutela del Territorio dunque ha scelto la strada dell’acquisto diretto, contribuendo in modo sostanziale a “salvaguardare” dalla speculazione un’area che costituisce un vero e proprio “gioiello” nel panorama delle aree protette del nostro paese. Il sipario sul lungomare di Sanremo Cala il sipario sul lungomare di Sanremo. E’ questo il triste destino che incombe su di un tratto della passeggiata a mare denominata Trento-Trieste, uno dei pezzi più suggestivi e caratteristici della riviera ligure. Il rischio per gli appassionati frequentatori potrebbe ben presto trasformarsi in realtà se venisse ultimato l’albergo in fase di costruzione sul lungomare sanremese. Lo scempio prende le mosse da una errata rilevazione del dislivello, ormai acclarato tecnicamente, esistente tra le aree di sedime dove sono state impiantate le fondamenta dell’albergo e il livello della passeggiata. La differenza riscontrata è superiore ai due metri. Ma davanti a tali fatti, denunciati dal Circolo Legambiente di Sanremo, l’amministrazione comunale fa finta di nulla, considerando, anche, che non è il primo caso. Nel gennaio 1996, infatti, dopo la realizzazione di un primo lotto delle opere a terra del porto privato di Portosole, scoppia il precedente: una interpellanza consiliare solleva la questione dirompente delle altezze per un’altra infrastruttura di servizio al porto. I controlli successivi rilevarono che l’altezza del volume realizzato 36 Legambiente - Mare monstrum 2004 superava l’altezza della passeggiata e dei giardini di circa 1 metro, per un errore nelle tavole del Piano Particolareggiato e precisamente nell’indicazione della quota della passeggiata. Intanto la Soprintendenza sollecita l’Amministrazione Comunale ad “adottare provvedimenti cautelativi” e davanti all’inerzia della Giunta Comunale nell’agosto del 1997 esprime un severo giudizio di irregolarità delle opere eseguite e caldeggia il ripristino delle inquadrature panoramiche alterate. Inoltre, lo stesso Piano Particolareggiato L1 Portosole, per la realizzazione delle opere a terra a completamento del porto privato, prescrive esplicitamente la necessità di salvaguardare il litorale prevedendo che la localizzazione delle nuove volumetrie deve tener conto delle visuali godibili sia da mare che da terra nei confronti dei giardini di Villa Ormond. Dall’Amministrazione comunale ancora nulla; anzi alla richiesta del Circolo di Legambiente di rivedere il Piano risponde affidando un incarico per un parere tecnico ad uno noto professionista, il quale - pur riconoscendo l’errore - arriva a sostenere che l’interesse pubblico attuale è quello di mantenere ciò che è costruito, seppure viziato. A seguito degli esposti di Legambiente il cantiere è stato sequestrato dalla Procura di Sanremo, i vertici della società di Cnis Portosole, sono stati rinviati a giudizio per le irregolarità edilizie ed ambientali. Il prossimo 9 luglio inizierà il processo su questa vicenda, il Circolo Legambiente Sanremo e Legambiente nazionale chiederanno di costituirsi parte civile per i danneggiamenti ambientali e di immagine che ha subito la città di Sanremo. Da più parti si chiede che anche il Comune di Sanremo si costituisca parte civile. Lo "scheletrone" di Palmaria Circa 10.000 metri cubi di cemento incombono sul paesaggio del Parco Regionale delle Cinque Terre. Uno scheletro abusivo alto 30 metri nel Comune di Portovenere di cui Legambiente chiede la demolizione e il recupero dell'area, tra le più suggestive di Palmaria. La vicenda inizia nel 1975 quando il Sindaco di Portovenere rilascia una concessione edilizia per la realizzazione di un albergo e di un residence di 45 appartamenti, con annessi servizi e infrastrutture. Nello stesso anno la Pretura blocca la speculazione, mette sotto sequestro il manufatto e rinvia a giudizio i titolari della società lottizzatrice, il Sindaco e l'impresa. La sentenza è poi confermata anche in appello. Si attende ancora un intervento della Giunta regionale. La Giunta comunale di Portovenere ha votato una delibera che rigetta definitivamente la richiesta di condono presentata dai proprietari. Il 23 maggio 2002 è stato raggiunto un accordo tra la regione Liguria, il Comune di Portovenere e la Sovrintendenza per i beni architettonici e per il paesaggio della Liguria che sembrava dovesse portare in breve tempo all’abbattimento dello scheletrone di Palmaria è passato già un anno e l’ecomostro continua a sfregiare da oltre 30 anni uno dei tratti di costa più belli della Liguria. Il neo- 37 Legambiente - Mare monstrum 2004 sindaco di Portovenere ha dichiarato in questi giorni che l’ecomostro sarò abbattuto interamente, spazzando via l’idea di tenere in piedi il primo piano. Speriamo che sia la volta buona. 5.3 Assalto alle coste: storie di abusi e di scempi lungo la penisola 5.3.1 Puglia Il tacco di cemento: storie di abusivismo e mala gestione del territorio Salentino E’ la “salentinità” a cui fa appello la sagace lucertola di Coppula Tisa, il movimento guidato dal regista Edoardo Wispeare, a richiamare centinaia di salentini in tutt’Italia, pronti a mettersi in rete, per difendere la bellezza del proprio paesaggio dalla minaccia di nuove ondate di cemento selvaggio. La società civile si organizza “compra e demolisce il brutto” quel brutto che nel Salento è strettamente legato al fenomeno dell’edilizia selvaggia e delle lottizzazioni incontrollate. Da tre anni la costa “Otranto-Santa Maria di Leuca” (Sito di Interesse Comunitario secondo la direttiva Habitat della Comunità europea e area destinata a parco in base la legge 19/97 della Regione Puglia) può vantare un esempio di “Mare monstrum” in piena regola: seimila metri quadrati di cemento sulla costa di Santa Cesarea Terme a Porto Miggiano. Metafora del brutto e della malagestione del territorio che diventa una delle principali vertenze del Circolo Legambiente Tricase. Dalla piana di Porto Miggiano e davanti alle telecamere televisive della RAI consegna nel 2001 l’indesiderata bandiera nera, simbolo dei pirati delle coste, alla società costruttrice e al Comune di Santa Cesarea che aveva concesso la realizzazione dell’ecomostro. La procura della Repubblica di Lecce ipotizzata per l’intervento edificatorio il reato di lottizzazione abusiva. Lo scempio ambientale diventa l’emblema del consumo, dell’abuso e dell’uso non corretto del territorio, ma è anche una risposta esemplare e un impegno fermo da parte della magistratura e delle forze dell’ordine che danno battaglia con una continua attività di sequestri giudiziari su tutto il territorio costiero, a cominciare dal Comune di Salve, località Torre Pali, per proseguire con quello di Gagliano del Capo, località Ciardo, quello di Nardò, località Sant’Isidoro e quello di Castrignano del Capo, località Tre Porte. Si registrano, inoltre, non pochi casi di interventi sulla roccia per la costruzione di discese e stabilimenti balneari (come il caso località Tre Porte) e improbabili passeggiate sul mare come il caso località Porticelli nel comune di Diso: uno sbancamento della roccia in pieno stile che riesce a superare il vaglio del parere di incidenza ambientale. A Tricase, invece, la lunga e discussa vicenda sull’ampliamento della passeggiata sul lungomare cittadino sembra registrare una battuta d’arresto, in seguito alla richiesta del circolo locale di Legambiente al Ministero 38 Legambiente - Mare monstrum 2004 dell’Ambiente sulla necessità di assoggettare alla procedura di Incidenza Ambientale l’interevento previsto. Di contro il Comune di Tricase commissiona uno screening ambientale alla Università di Lecce per verificare lo stato di fatto del tratto incriminato: la relazione tecnica passata in tutto silenzio, dà ragione alla Legambiente sulla esigenza di un’azione di ripristino e ripopolamento dell’habitat naturale già compromesso dalla realizzazione del primo lotto del progetto. Alcuni casi esemplari del Salento: Porto Miggiano (Santa Cesarea Terme) Sembra ormai arrivata al momento della verità la questione riguardante la piana di Santa Cesarea Terme. In pochi ci credevano nel 2001 quando il Circolo Legambiente Tricase, organizzava le prime azioni di protesta contro un progetto faraonico, si pensi a 6.000 mq di superficie e a più 60.000 mc di volumetria. Finalmente la magistratura chiude le indagini e rinvia a giudizio dodici persone tra cui amministratori, tecnici e costruttori, per i reati di lottizzazione abusiva, abuso d’ufficio e falso ideologico. A breve il processo. Sant’Andrea (Melendugno) Sant’Andrea è un meraviglioso e incontaminato lembo della costa salentina, sottratto fino ad oggi, alla furia cementizia degli speculatori che in questi anni hanno già consumato, devastandoli, luoghi meravigliosi come San Foca, Roca e Torre dell’Orso, tutte località della marina di Melendugno, in Provincia di Lecce. Il sito, circondato da pineta e macchia mediterranea ancora integre, è stato sottoposto a lavori di sbancamento con massiccia asportazione di un intero tratto di costone roccioso che ne ha letteralmente cambiato i connotati , provocando un notevole e irreversibile danno al territorio e al paesaggio. Al posto del costone è stato creato un gradone di oltre 4 metri di base per altrettanti di altezza e per una lunghezza di circa 50 metri. L’intervento rientra in un progetto più vasto che, almeno formalmente dovrebbe servire al contenimento dell’erosione marina fino a coprire il tratto della costa nord di Sant’Andrea. A seguito di un sit-in ed altre iniziative da parte dei circoli di Legambiente di Martano e di Lecce, il Sindaco del Comune di Melendugno ha sospeso i lavori e organizzato una tavola rotonda invitando oltre ai Sindaci dei Comuni limitrofi (Otranto e Carpignano Salentino) i responsabili dei Circoli della Legambiente allo scopo di chiarire e determinare gli interventi futuri. Le tre porte (Castrignano del Capo) Al di sopra di alcune grotte di altissima valenza archeologica, sulla litoranea Leuca – Gallipoli, il Comune di Castrignano del Capo rilascia regolare concessione edilizia per la costruzione di uno stabilimento balneare 39 Legambiente - Mare monstrum 2004 con materiale del tutto amovibile. Progettista e direttore dei lavori nella persona dell’assessore all’ambiente dello stesso Comune. Fortunatamente gli uomini del Corpo Forestale dello Stato hanno però posto sotto sequestro l’area avendo riscontrato sul posto l’avvenuto sbancamento della costa. Posto Rosso (Alliste) In località Cisternelli - Posto Rosso nella Marina di Alliste, gli uomini della Polizia Provinciale hanno apposto i sigilli ad un manufatto in avanzato stato di realizzazione, eretto senza alcun tipo di autorizzazione, tanto meno delle autorità comunali. La costruzione è stata peraltro individuata in terreno sottoposto a vincolo paesaggistico, indicata nel PRG come E2, zona agricola speciale. Dopo i necessari accertamenti catastali ed amministrativi, è scattato subito il sequestro onde evitare la prosecuzione dei lavori ed ulteriori danni irreversibili all’ambiente. Torre Pali (Marina di Salve) Gli uomini della Guardia di finanza di Tricase, guidati dal Tenente Danilo Persano, hanno posto sotto sequestro due immobili in fase di costruzione di rispettivamente 250 e 120 metri quadrati che stavano per essere ultimati in una zona sottoposta a vincolo idrogeologico e paesaggistico in località Torre Pali, una tra le più belle marine di Salve. Il dato emerso in molti sequestri della Tenenza della Guardia di Finanza di Tricase è che gli abusi edilizi sono stati commessi in prevalenza da cittadini residenti nel Nord Italia (Emilia Romagna, Veneto..) che ignorando la regolamentazione regionale tentano di edificare contando di aderire all’ultimo condono edilizio che in Puglia, però, non consente di condonare in presenza del vincolo paesaggistico. Santa Maria di Leuca (Castrignano del Capo) Gli uomini della Compagnia Carabinieri di Tricase, diretti dal Tenente Paolo Palazzo hanno sequestrato un’abitazione abusiva che faceva bella mostra di sé sull’alta e suggestiva scogliera di S. M. di Leuca, precisamente in località Ciardo. L’autore dell’illecito è anche questa volta un cittadino settentrionale, un medico di Pescara intento a terminare la sua abitazione in zona sottoposta a vincolo paesaggistico e idrogeologico. Insieme al furbo proprietario sono stati denunciati due tecnici e due funzionari del Comune di Castrignano del Capo insieme all’ingegnere progettista e al titolare dell’azienda che ha effettuato i lavori. Porto Selvaggio (Nardò) In un’area sottoposta a vincolo paesaggistico gli agenti del Corpo Forestale dello Stato di Gallipoli in località Cucchiara, Porto Selvaggio – Marina di Nardò, sequestrano delle costruzioni abusive in corso di realizzazione consistenti in una piattaforma in cemento armato della dimensione di 180 mq. Sul posto era presente il proprietario del terreno il quale 40 Legambiente - Mare monstrum 2004 ha dichiarato di essere sprovvisto di qualsiasi autorizzazione ad edificare. L’area in questione, immersa tra gli ulivi, è soggetta a vincolo paesaggistico. 5.3.2 Sardegna Is Arenas Tornano ad accendersi i riflettori sulla vicenda Is Arenas, concernente la realizzazione di un gigantesco progetto turistico - alberghiero da parte della società “ Is Arenas” s.r.l. nell’omonima pineta, nei comuni di Narbolia e San Vero Milis, in provincia di Oristano. Infatti, dopo ripetuti tentativi di ricoprire di cemento le dune boscate di questa zona, che dal 1996 è formalmente un SIC, ora questo progetto potrebbe davvero concretizzarsi. Ciò in virtù del fatto che il ministero dell’Ambiente e Tutela del Territorio ha affermato recentemente che l’area di Is Arenas non presenta le caratteristiche ambientali per qualificarsi come sito di interesse comunitario. Ma riepiloghiamo brevemente i fatti. Il progetto originario della società “Is Arenas” prevedeva la realizzazione di un complesso alberghiero e di una serie di campi di golf, per un totale di 450.000 metri cubi di cemento da riversare in quest’area protetta. Tale progetto è stato poi ridimensionato dai piani paesistici a 220.000 metri cubi. Nel 1999, dietro concessione di un’autorizzazione rilasciata dal comune di Narbolia, è avvenuta la costruzione all’interno del SIC di un percorso golfistico costituito da 18 buche; mentre nel 2000 la Regione Sardegna ha approvato una parte del progetto senza però ritenere necessaria la Valutazione d’Impatto Ambientale, così come previsto dalle Direttive Comunitarie, né la Valutazione d’Incidenza, richiesta per le opere da realizzare nei SIC. Al verificarsi di tali eventi, il 18 aprile 2000 l’allora Ministro dell’Ambiente, Edo Ronchi, ha inviato alla Regione un’apposita diffida di blocco dei lavori a Is Arenas e di revoca di tutte le autorizzazioni già concesse. Nello stesso periodo la Commissione Europea ha avviato la procedura infrazione nei confronti dello Stato Italiano per violazione del diritto comunitario, ossia per la mancata ed errata applicazione della Direttiva Habitat. Con tale provvedimento lo Stato italiano è stato obbligato a ripristinane lo stato dei luoghi com’era in origine. Tuttavia il percorso golfistico è, allo stato attuale, ancora funzionante. E arriviamo alle recenti affermazioni del ministero dell’Ambiente e Tutela del territorio, contenute nel documento firmato dal direttore generale del dipartimento per l’assetto dei valori ambientali del territorio. In esso si legge che l’area di Is Arenas non dovrebbe essere considerata un SIC a causa della “non sussistenza dei valori naturali che giustificano l’individuazione di un sito Natura 2000 e la mancanza di presupposti gestionali coerenti con le finalità della direttiva Habitat sin dai tempi della sua proposta.”. L’accoglimento di tali considerazioni potrebbe determinare la cancellazione dei vincoli ambientali sulle dune boscate di Narbolia e l’immediata archiviazione della procedura di infrazione, per venir meno dell’oggetto del contenzioso. 41 Legambiente - Mare monstrum 2004 In sostanza, il cemento ad Is Arenas avrà “finalmente” il via libera. Lottizzazione del Lido dei Coralli, località Stazzareddu (Sassari) Partiamo dalla fine per raccontarvi una storia di lottizzazioni che sa di incredibile, nella quale la burocrazia si intreccia con la rapacità di imprenditori senza scrupoli e nella quale si rischia per un inammissibile vincolo formale di ricoprire con 95mila metri cubi di cemento una delle zone più belle e ancora meglio conservate della costa sarda, in piena area SIC del Monte Russu, nel Comune di Aglientu, in provincia di Sassari. Uno scempio contrastato per oltre 15 anni e che oggi per un’assurda beffa amministrativa causa del decadimento dei Piani Territoriali Paesistici, voluto proprio dalle associazioni ambientaliste le quali con un ricorso al TAR ne contestavano l’impostazione complessiva e l’efficacia in termini di gestione del paesaggio, fa sì che del momentaneo vuoto di vincoli di tutela ne approfitti, senza legge e senza scrupoli, proprio la Società Lido dei Coralli S.r.l. per realizzare quel villaggio turistico contrastato da anni. Tutto ha inizio nel novembre 1989, con la delibera n°99 del Consiglio comunale di Aglientu per l’approvazione del progetto di lottizzazione in loc. “Stazzareddu” della società Exomena spa di Bologna sull’area del SIC Monte Russu ITB000006(costa settentrionale della Sardegna, Comune di Aglientu, provincia di Sassari). Si tratta di un intervento edilizio di tipo “villaggio turistico” residenziale, per una volumetria complessiva di 95.000 mc. Nel dicembre 1989 per l’intervento richiamato l’Assessorato Enti Locali Finanze e urbanistica decreta il Nulla Osta n°1425/U e sempre nello stesso mese il Comune di Aglientu autorizza la società Exomena alla realizzazione del piano di lottizzazione-sub zona omogenea F.16 “Lido dei coralli” in località “Stazzareddu”. Circa un anno dopo nel novembre 1990 la Giunta Regionale con delibera n° 47/40 concede il Nulla Osta per la realizzazione dell’insediamento indicato, a condizione che sia trascritto nei registri immobiliari con l’obbligo di mantenere nel tempo la destinazione ricettivoalberghiera dell’opera. Trascorrono 5 anni ed il 30 agosto 1995 l’Assessorato Regionale Pubblica Istruzione Ufficio Tutela del Paesaggio ex art. 7 della legge 1497/39 concede un’autorizzazione relativa alla realizzazione di un complesso turistico alberghiero nell’ambito del comparto n°1 della lottizzazione “Lido dei coralli” (non compete più alla società Exomena ma alla società Basilesus). Detta autorizzazione ha validità per un periodo di 5 anni. Il Comune di Aglientu il 22 dicembre 1997 rilascia la concessione edilizia n° 2104 per opere di urbanizzazione del comparto n°1. Lo stesso Comune di Aglientu, solo un anno dopo presenta alla Commissione Europea il fascicolo di candidatura per il finanziamento al 75% del progetto LIFE “Juniper dunes”. Il progetto Life Natura “Juniper dunes”, presentato dal Comune di Aglientu, approvato e finanziato dalla Commissione Europea (Life 99 Nat./it./006189), che prevede di “riportare gli habitat della fascia costiera in uno stato di conservazione soddisfacente arrestandone il degrado……, conservare la biodiversità della flora, la presenza di specie d’interesse fitogeografico, 42 Legambiente - Mare monstrum 2004 l’originalità delle formazioni vegetali, la continuità territoriale degli habitat, il valore paesaggistico del sito”. Da giugno 1999, ogni intervento nella zona ricade sotto l’obbligo della valutazione d’incidenza ambientale. Il 2 giugno 1999 con una altalenante condotta l’Ufficio Tecnico del Comune di Aglientu autorizza alla variante in corso d’opera alla concessione edilizia n° 2104 del 22.12.1997, per la realizzazione di un complesso turistico alberghiero sul comparto n°1 del P. di L. “Lido dei coralli”, alla società “Lido dei coralli” che nel frattempo ha preso il posto della Basileus. Validità per un periodo di 5 anni. Il 12 ottobre 1999 viene rilasciata la concessione edilizia n° 2210 relativa alla variante in corso d’opera ala realizzazione del comparto n° 1 ed a metà dicembre dello stesso anno viene presentata la domanda di variante al piano di lottizzazione “Lido dei coralli” in località Monti Russu. A maggio 2000 si autorizza l’abitabilità con n° 3122 relativamente alle opere eseguite per la costruzione del comparto n°1 del Piano di Lottizzazione “Lido dei coralli”, mentre a giugno dello stesso anno il Consiglio comunale di Aglientu con delibera approva la variante al P.di l. della società “Lido dei coralli” in località “Stazzareddu”. L’Assessorato Difesa Ambiente R.A.S., il 28 settembre 2000 risponde all’esposto del Gruppo di Intervento Giuridico e al Ministero dell’Ambiente, in cui si comunica che non risultano autorizzazioni di sorta per il progetto immobiliare in località Monti Russu, e che la società “Lido dei coralli” ha presentato relazione per la valutazione d’incidenza ambientale in data 07.09.2000. Il 17 marzo 2001, il R.A.S. Ufficio Tutela del Paesaggio approva la variante al Piano di Lottizzazione del comparto F16 “Lido dei coralli”. L’Assessorato Difesa Ambiente R.A.S., l’11 luglio 2001 approva la realizzazione del progetto inerente la lottizzazione turistica in località "Stazzareddu”, nel comune di Aglientu (Pubblicazione BURAS del 04.08.2001), e subito dopo il 1 agosto comunica che l’O.T.I. ha deciso di escludere l’intervento di cui trattasi dalla Valutazione di Impatto Ambientale.Il 5 settembre 2002 la Legambiente Sardegna presenta la denuncia contestando il contrasto delle concessioni con i Piani Territoriali Paesistici (incongruenza delle interpretazioni tra l’art.4 e gli artt. 17, 18) e la mancanza di opportuna Valutazione di Impatto Ambientale (necessaria perché l’intervento di 95.000mc fa parte di uno più ampio di 350.000mc previsto dal P.di F. e quindi gli effetti devono cumularsi nella valutazione), ed a novembre dello stesso anno presenta il ricorso straordinario al Capo dello Stato contro il Comune di Aglientu e la Società Lido dei Coralli s.r.l. per l’annullamento della variante al Piano di Lottizzazione proposto dalla società. A gennaio 2003, la società Lido dei Coralli chiede che il ricorso straordinario al Capo dello Stato sia deciso in sede giurisdizionale. Si prosegue il giudizio davanti al TAR Sardegna. Il 3 marzo 2003, il TAR, con ordinanza del 26.02.2003, accoglie la richiesta di annullamento presentata dalla Legambiente Sardegna, contro il comune di Aglientu e nei confronti della società “Lido dei Coralli” s.r.l., in merito alla delibera n°18 del 1 luglio 2002 e di tutti gli atti collegati e consequenziali. Tale delibera prevedeva la variante al piano di lottizzazione (del 1976) proposto dalla società “Lido dei Coralli” s.r.l. in località Stazzareddu, per la 43 Legambiente - Mare monstrum 2004 realizzazione di un villaggio turistico di 95000mc in una delle zone più belle e meglio conservate del Mediterraneo. La variante era stata approvata erroneamente riferendosi all’art.4 delle Norme Tecniche di Attuazione del Piano Territoriale Paesistico n°1 della Gallura. Per lo stesso articolo di legge, debitamente applicato la delibera è stata annullata. Le varianti, alle lottizzazioni, sono infatti possibili se l’intervento è comunque conforme alle previsioni del Piano Tutela Paesistica, cosa che non è avvenuta. Secondo l’articolo 17 delle stesse norme, l’ambito di tutela della zona in questione è definito “2a” dove <<...prevale l’esigenza di una tutela delle caratteristiche naturali… sono possibili trasformazioni che non determinino apprezzabili modificazioni dello stato dei luoghi>> e ancora all’art.30 le volumetrie che il Piano Urbanistico Comunale deve individuare debbono essere <<...limitatissime… per strutture a carattere ricettivo alberghiero>>. In base a queste, e altre indicazioni della nostra Associazione, il TAR, <<…con riguardo alle rigorose limitazioni previste dall’art.4 e dall’art. 17 delle norme di attuazione del P.T.P. n°1 per gli insediamenti compresi in ambito 2a>>, accoglie la richiesta della Legambiente Sardegna <<…avuto anche riguardo al rilevante pericolo di danno per i valori tutelati>>. Ad aprile dello stesso anno, la società Lido dei Coralli presenta il ricorso al Consiglio di Stato, contro il comune di Aglientu e la Legambiente Sardegna, per l’annullamento dell’ordinanza del TAR Sardegna, il quale all'udienza del 06 maggio 2003, con Ordinanza n. 1791/2003 "Rilevato che l'ordinanza cautelare impugnata non merita le censure mosse, atteso che, vertendosi in tema di variante ad un precedente piano di lottizzazione, sembra che doveva effettivamente tenersi conto delle rigorose limitazioni previste dalla N.T.A. (Artt. 4 e 17) del Piano Territoriale Paesistico per gli insediamenti nell'ambito 2A", respingeva l'appello proposto dalla soc. Lido dei Coralli Srl. Ad ottobre 2003 su ricorso al TAR Sardegna di alcune associazioni ambientaliste, vengono annullati i Piani Territoriali Paesistici, perchè non tutelavano adeguatamente le aree individuate dagli stessi come meritevoli di tutela. La società Lido dei Coralli S.r.l. ricorreva allo stesso TAR Sardegna che, sulla base dell’annullamento della normativa di tutela rappresentata dai Piani Territoriali Paesistici, accoglieva il ricorso della Ricorrente. Il 5 novembre 2003 viene fissata l’udienza di merito per la discussione del ricorso Legambiente/Comune di Aglientu e Società Lido dei Coralli S.r.l. Legambiente impugna la sentenza proponendo ricorso al Tar Sardegna, il quale 11 febbraio 2004 si pronuncia rigettando il ricorso, affermando che, decaduti i Piani Territoriali Paesistici (ottobre 2003), le disposizioni di omogeneizzazione non conservano alcuna efficacia ai fini della tutela del territorio. La Legambiente si sta attivando, con il proprio ufficio legale, a ricorrere al Consiglio di Stato. In ultimo non si può non rilevare che dentro il SIC di Monte Russu, sono presenti 3 Camping con circa 4000 presenze complessive e una volumetria di 15.000 mc del Borgo di Vignola, costruito sulla spiaggia negli anni cinquanta. 44 Legambiente - Mare monstrum 2004 Inoltre altri 553.000 mc di volumetria residenziale, già realizzati e occupati durante l’estate da circa 9.500 abitanti, confinano direttamente con il sito circondandolo da tutti i lati. Attualmente quindi, la popolazione stagionale che grava direttamente sul sito ammonta a circa 12.500 abitanti. Tenendo conto che la parte terrestre del sito copre una superficie di circa 16 Kmq, si tratta di una densità di popolazione di circa 780 persone al Kmq. Se fossero realizzati gli altri 350.000 mc che il Comune di Aglientu prevede di costruire dentro il sito, la popolazione turistica che si riverserebbe su di esso ammonterebbe a 18.500 persone di cui 6.800 residenti dentro il sito e altri 11.700 residenti ai suoi confini. La densità di popolazione salirebbe a 1556 persone al Kmq. L’impatto antropico sarebbe devastante e incontrollabile. 45 Legambiente - Mare monstrum 2004 5.4 Ruspe contro il cemento selvaggio 5.4.1 Sicilia Mentre le ruspe in Sicilia contro gli abusi edilizi sono ferme per la sanatoria nazionale e per la legge sul riordino delle coste, che presto il governo regionale, guidato da Salvatore Cuffaro si appresta ad approvare, gli unici che demoliscono gli immobili abusivi sono gli uomini della Capitaneria di Porto. Con un’azione incessante, dopo aver trovato un piccolo gruzzolo tra le pieghe del bilancio regionale gli uomini della guardia costiera guidati, dall’ammiraglio Vincenzo Pace, hanno demolito vecchie fabbriche, ruderi che un tempo erano ristoranti, autofficine e fatiscenti depositi per reti e pesce. Tutto sul lungomare di Palermo restituendo così ampi tratti di costa ai cittadini palermitani. Sono diversi i capannoni industriale e grossi depositi andati giù sotto i colpi delle ruspe della Capitaneria di Porto. Da mesi, in silenzio e, lontano dai riflettori, gli uomini della guardia costiera, con alcune ditte specializzate, stanno ripulendo il litorale est della costa palermitana dagli immobili abusivi che sono stati abbandonati dopo il sequestro dell’autorità giudiziaria. Dalla Bandita ad Acqua dei Corsari, sono almeno otto i grossi manufatti abbattuti, che hanno consentito di recuperare un ampio tratto di costa. Qui sono stati abbattuti vecchi magazzini, a dir poco fatiscenti, a ridosso delle case, nei pressi del porticciolo, utilizzati dai pescatori per conservare le reti e le cassette per il pesce. Altri due edifici, di fronte all’ospedale Buccheri La Ferla, vicino all’area utilizzata come posteggio, sono finiti giù sotto i colpi delle ruspe: un ex ristorante e una vecchia officina meccanica. Qui per ripulire la zona sono dovuti intervenire gli uomini di una ditta specializzata nello smaltimento dell’amianto. Un altro grosso intervento è stato realizzato sul lungomare nei pressi dello Sperone: ad andare giù una vecchia falegnameria abusiva abbandonata dopo che le forze dell’ordine avevano posto i sigilli. Anche qui, una volta ripulita l’area, la città ha riconquistato un’ampia zona che adesso dovrà essere riqualificata. “Per mettere a segno questi interventi abbiamo attinto ai fondi contenuti in un capitolo del bilancio regionale. Un capitolo dove c’erano delle risorse economiche che nessuno aveva mai utilizzato per abbattere gli edifici abusivi – afferma l’ammiraglio Vincenzo Pace. Con i nostri uomini abbiamo innescato un meccanismo virtuoso per riuscire, grazie all’opera del Genio civile opere marittime e all’avvocatura di Stato, ad abbattere gli immobili e a recuperare le somme spese chiedendo i soldi agli abusivi”. Un’azione che sta dando i suoi frutti non solo perché già alcuni immobili sono andati giù, ma perché una prima pratica di rimborso sta per arrivare a buon fine. “Abbiamo chiesto all’avvocatura dello Stato di aprire un contenzioso per ottenere i soldi spesi dall’amministrazione per le demolizioni – aggiunge l’ammiraglio Pace – So per certo che una pratica è già a buon fine”. Non a caso proprio in questi mesi un altro vecchio capannone utilizzato per la raccolta di ferro vecchio è andato giù 46 Legambiente - Mare monstrum 2004 sotto i colpi delle ruspe. Una volta scaduta la convenzione, l’imponente struttura di 700 metri quadrati, costruita abusivamente a Sant’Erasmo in pieno demanio, era stata trasformata in discarica abusiva. Anche questa dopo, cinque anni dal sequestro, è finita sotto i colpi della ruspa della ditta che si è aggiudicata l’appalto della Capitaneria di Porto. Al posto del grande capannone di ferro e mattoni sono rimasti solo dei cumuli di materiale edile abbandonati. Accanto alla demolizione è stata iniziata una nuova azione di risanamento ambientale, visto che sul posto c’erano quintali di eternit e materiale di ogni tipo. Oltre ad abbattere una grossa costruzione in pieno demanio l’operazione della Capitaneria è servita anche per bonificare una grossa area. “Questo immobile era stato sequestrato cinque anni fa – raccontano dalla Capitaneria – solo adesso è stato possibile abbatterlo. Non è solo necessario reperire i fondi per buttare giù le costruzioni abusive, ma è anche indispensabile accertarsi che non ci siano ricorsi pendenti e che il lungo iter sia stato eseguito in modo preciso. Solo alla fine dopo anni arrivano le ruspe”. Ruspe che sarebbero pronte ad abbattere altri immobili abusivi e ripulire anche altri tratti di costa per i quali è necessaria la collaborazione con l’amministrazione comunale di Palermo visto che diversi immobili si trovano tra il demanio e il territorio comunale. “Invitiamo l’amministrazione comunale di Palermo – afferma l’ammiraglio Vincenzo Pace – a darci una mano per buttare insieme altri metri cubi di cemento abusivo che si trovano in territorio comunale e nel demanio. Speriamo che le nostre operazioni proseguano anche in altre zone della città e che riescano a restituire il mare ai cittadini”. E l’azione della Capitaneria sta producendo anche effetti persuasivi nei confronti di proprietari di altre costruzioni abusive. Non a caso un cittadino, avendo visto che l’azione della Capitaneria andava avanti, ha pensato bene di demolirsi da solo e a sue spese un grosso magazzino costruito abusivamente sul lungomare di Palermo in via Messina Marine, nei pressi degli ex bagni Virzì a due passi dal lido Trieste. Un magazzino di 200 metri quadrati, utilizzato come deposito detersivi, che nel corso delle indagini della Capitaneria di Porto, coordinate dalla Procura di Palermo, è stato sequestrato e sarebbe stato demolito. Il proprietario li ha preceduti per evitare l’addebito degli alti costi da parte dell’avvocatura dello Stato. Ha pagato alcuni operai che hanno abbattuto il magazzino che stava lì almeno da più di 25 anni. Il fascicolo su questo immobile era stato aperto nel 1975. Il proprietario era stato denunciato per occupazione abusiva del demanio e per aver violato i sigilli apposti dall’autorità giudiziaria. Solo adesso, quando gli era stata notificata l’ingiunzione di sgombero che preannunciava l’arrivo delle ruspe della ditta che si era aggiudicata la gara indetta dalla Capitaneria di Porto, ha deciso di buttare a terra il grosso manufatto. “Il proprietario si è reso conto che ormai la nostra azione non si sarebbe fermata. Lungo il litorale non è il primo immobile che buttiamo a terra – afferma il capitano di corvetta Vito Ciringione della Capitaneria. Ha fatto una scelta dettata dal buon senso che gli ha evitato in futuro di pagare gli alti costi per la demolizione, se l’abbattimento l’avremmo effettuato noi con la ditta da noi incaricata. Già l’avvocatura dello 47 Legambiente - Mare monstrum 2004 Stato ha avviato diverse pratiche per recuperare sugli abusivi i soldi da noi spesi per demolire diverse grosse fabbriche sul lungomare in questi mesi”. Accanto alle fabbriche e ai capannoni abusivi, le ruspe della Capitaneria stanno liberando anche il litorale di Carini, comune palermitano, dalle piattaforme in cemento costruite sulla spiaggia e sugli scogli. Una di queste è andata giù in questi mesi sempre nel corso di un’operazione della Capitaneria di Porto, sul lungomare Cristoforo Colombo a ridosso del mare, in pieno demanio, una grossa piattaforma in cemento con sorpresa. Sotto l’ammasso di cemento sono state trovate dalla ditta a cui sono stati affidati i lavori di risanamento della costa due fosse biologiche rudimentali dove venivano raccolti i liquami dei villini costruiti sulla costa. Liquami, che andavano a finire a mare senza alcun filtro. La prova delle tante denunce fatte da molti ambientalisti in questi anni sulla vera causa dell’inquinamento dei cinque chilometri di costa del mare di Carini, è provocato proprio dagli scarichi a mare dei villini che si vedono percorrendo l’autostrada. L’operazione di risanamento condotta dalla Capitaneria di Porto è coordinata dalla Procura della repubblica di Palermo. “Questo non è il primo intervento che facciamo a Carini – afferma il capitano di corvetta Vito Ciringione della Capitaneria – è da mesi che siamo impegnati a ripulire la costa dalla cementificazione compiuta in passato. Non solo, stavolta ci siamo imbattuti anche nella vicenda delle fosse biologiche davvero dannose per la salute del mare e dei cittadini che ne usufruiscono in estate. Per questo abbiamo iniziato, di concerto con l’Azienda sanitaria di Carini e con l’ufficio tecnico del comune, un’azione di controllo sugli scarichi a mare dei villini. Un’azione che ha permesso di scoprire numerosi illeciti”. Sui primi trenta villini, controllati a ridosso del mare e nei pressi della piattaforma dagli uomini della Capitaneria e dell’Asl di Carini, sono scattate trenta sanzioni amministrative in violazione del decreto legislativo numero 152/99. Trenta sanzioni ciascuna della quale avrà come conseguenza diretta l’emanazione da parte dell’ufficio tecnico del Comune di altrettante ordinanze di ripristino dei luoghi e di rifacimento, all’interno della proprietà privata dei villini, di una fossa imhoff a norma. Un sistema di raccolta dei liquami che non faccia più arrivare la melma a mare e che consenta finalmente di avere anche in quei chilometri di costa un mare più pulito. 5.4.2 Puglia Una realtà difficile quella pugliese sul fronte della lotta all’abusivismo edilizio, in cui è da segnalare, positivamente, l’iniziativa assunta dalla Procura generale di Lecce e della Prefettura. Qui, grazie all’impegno del sostituto procuratore Ennio Cillo (uno dei fondatori dei Centri di azione giuridica di Legambiente), è stato avviato un intenso lavoro teso a rendere davvero esecutive, con la demolizione degli immobili abusivi, le sentenze di condanna passate in giudicato. Un lungo lavoro di verifica, che ha coinvolto anche l’Ance (Associazione nazionale costruttori edili) di Lecce, Brindisi e Taranto: dall’Ance è stata assicurata la disponibilità di imprese edili per effettuare 48 Legambiente - Mare monstrum 2004 l’intera procedura di demolizione, fino allo smaltimento degli inerti. Particolare curioso, come ha ricordato lo stesso Procuratore generale Fancesco Toriello durante l’inaugurazione dell’anno giudiziario 2004, “il prezzo, raffrontato su un caso specifico, è risultato nettamente inferiore a quello richiesto dalla Difesa (il Genio militare, ndr) per la sola demolizione”. “Confido di potere a breve, con la collaborazione delle altra Autorità – ha aggiunto il Procuratore generaleavviare concretamente questo sistema di demolizioni, che ovviamente dovrà tenere conto dell’intervenuto condono edilizio, per le opere divenute sanabili, ma che potrà finalmente, con la demolizione delle opere non condonabili, contribuire ad attuare il ripristinare della legalità e del territorio”. Con un emendamento alla legge n. 324 del 2003 che trasferisce dai Sindaci ai Prefetti la competenza delle demolizioni, nel caso di inadempienza da parte di chi ha commesso l'abuso edilizio, la Prefettura di Lecce, con l’ausilio e l’incoraggiamento del Sottosegretario all’interno Alfredo Mantovano ha attivato una serie di incontri con le amministrazioni comunali al fine di snellire le procedure per l’abbattimento delle opere non sanabili per le quali gli abusivi non hanno provveduto nel termine previsto alle demolizioni. La Procura Generale di Lecce ha fornito, su richiesta del Prefetto, un prospetto della situazione al 31-03-2004 sulla demolizione dei manufatti abusivi per violazione dell’art. 20 lett. C delle Legge n. 47/85 riguardanti le sole sentenze passate in giudicato distinte per anno e per comune. 49 Legambiente - Mare monstrum 2004 TABELLA: sentenze passate in giudicato per abusivismo edilizio COMUNI 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 ALESSANO 1 ALLISTE 2 1 6 CASTRIGNANO 1 DEL CAPO CASTRO 1 1 COPERTINO 1 1 4 CORSANO 1 1 1 2 4 DISO 1 MARITTIMA GAGLIANO DEL 2 1 1 8 3 CAPO GALATONE 2 2 GALLIPOLI 1 2 2 1 2 4 7 2 LECCE 2 1 3 4 3 MELENDUGNO 1 1 2 1 2 1 MORCIANO DI 1 2 1 LEUCA MURO LECCESE 1 NARDO’ 2 5 6 16 15 13 ORTELLE 1 OTRANTO 2 1 2 PARABITA 1 PATU’ 1 1 PORTO 2 16 37 35 46 29 48 1 CESAREO PRESICCE 1 RACALE 1 3 4 3 4 2 SALVE 1 3 SANNICOLA 1 2 TAVIANO 2 1 3 TIGGIANO 1 TRICASE 1 2 1 UGENTO 2 1 1 1 2 7 1 UGGIANO LA 1 CHIESA VEGLIE 1 VERNOLE 1 1 2 1 TOTALE 10 30 65 52 75 83 111 7 Fonte: Procura Generale della Repubblica di Lecce aggiornato al 31-03-2004 TOTALE 1 9 1 2 6 9 1 15 4 21 13 8 4 1 57 1 5 1 2 214 1 17 4 3 6 1 4 15 1 1 5 433 Da questi dati si evince che il Comune di Porto Cesareo risulta in testa alla classifica per il maggior numero di case abusive da abbattere, basti pensare anche che in tale comune, l’attività edilizia è molto florida se consideriamo che a fronte di 4800 abitanti sono presenti 8000 appartamenti. 50 Legambiente - Mare monstrum 2004 PORTO CESAREO - Sentenze per Anno 60 50 40 30 20 10 0 48 46 37 35 29 16 2 1997 1 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 Fonte: Procura Generale della Repubblica di Lecce Elaborazione: Legambiente Tricase I cinque comuni con il maggior numero di demolizioni da effettuare sono: 49,42 4,85 3,93 3,46 3,46 GALLIPOLI RACALE GAGLIANO DEL CAPO UGENTO 13,16 NARDO’ 60,00 50,00 40,00 30,00 20,00 10,00 0,00 PORTO CESAREO Percentuale Demolizioni per Comuni Comuni Fonte: Procura Generale della Repubblica di Lecce Elaborazione: Legambiente Tricase Parte infatti da Porto Cesareo il tentativo di ripristinare la legalità nel Salento. E’ da questo Comune, simbolo dell’abusivismo per eccellenza (quasi 800 costruzioni abusive), che per la prima volta le ruspe entrano in azione. Il Sindaco Fanizza, dispone per il 12 febbraio il primo abbattimento, ma qualcosa va storto: il proprietario, un anziano cardiopatico, si asserraglia in casa costringendo le autorità preposte a rinviare alla settimana successiva. Il 20 febbraio le ruspe ritornano in azione: vengono abbattute 4 case, l’ultima in località “Belvedere” dove il tutto degenera in rissa e il conducente del mezzo 51 Legambiente - Mare monstrum 2004 viene aggredito e minacciato. Il giorno dopo viene occupato il cantiere per impedire le successive demolizioni. Interviene lo Stato: Il sottosegretario all’Interno Mantovano promette rinforzi. Il 6 marzo si presentano alla presenza del Ministro 100 agenti di polizia che presidiano i luoghi deputati alle demolizioni. Vengono abbattute altre 5 villette. Ma non è tutto, la Procura di Lecce presenta un’altra soluzione, l’autoabbattimento. In pratica all’immobile abusivo demolito utilizzando l’opzione fai da te vengono rimossi i sigilli e riconsegnato il terreno ai proprietari. Il Sostituto Procuratore Generale di Lecce, Ennio Cillo spiega che la prospettiva dell’autodemolizione può essere praticata fino al 31 luglio, termine ultimo per la scadenza del condono edilizio. Fino al 31 luglio il soggetto può scegliere: o paga e condona oppure demolisce e ha l’unica possibilità di estinguere il reato e di evitare la confisca. In diversi hanno praticato questa soluzione, alcuni casi sono stati registrati anche nel vicino Comune di Nardò. 52 Legambiente - Mare monstrum 2004 6. L’erosione della costa Le nostre ampie spiagge sono il risultato di una politica di rapina del territorio, essendo il prodotto di frane ed erosioni accelerate, innescate da una progressiva riduzione della copertura boschiva. A questo riguardo è necessario sottolineare che vi è una evidente conflittualità fra la “difesa del suolo” e la “difesa delle coste”; ogni intervento teso a ridurre il rischio di alluvioni o di frane avrà una immediata ricaduta negativa sull’equilibrio delle spiagge; si dovrà trovare il modo di compensare i litorali per quanto perderanno, in termini di sedimenti, per gli interventi necessari alla messa in sicurezza dei bacini idrografici Con l’abbandono delle campagne, iniziato già nel XIX secolo, e la ricrescita del bosco, congiuntamente agli interventi di bonifica, di stabilizzazione dei versanti ed estrazione di inerti dagli alvei fluviali, i delta fluviali hanno iniziato a ritirarsi. L’erosione partì dalle foci fluviali, che avevano acquisito una forma prominente in mare, e si propagò poi progressivamente alle spiagge più distanti, che inizialmente ricevevano ancora i materiali erosi nei settori costieri posti sopraflutto. Nello stesso periodo, anche a seguito della sconfitta della malaria, era iniziato il flusso migratorio dall’interno verso la costa, dove si vennero a concentrare insediamenti urbani ed industriale e vie di comunicazione. Molti insediamenti costieri furono costruiti in prossimità del mare quando già l’erosione stava producendo i suoi effetti. Il fenomeno divenne così preoccupante che fu promulgata una legge specifica, quella del 4 luglio 1907 “Legge per la difesa degli abitati dall’erosione marina”, che prevedeva l’intervento automatico dello Stato laddove gli insediamenti abitativi erano minacciati dall’erosione. Nella legge erano contemplate tre possibilità: la costruzione di pennelli, di scogliere parallele a riva o di ogni altro lavoro idoneo a fermare l’erosione. In quegli anni la difesa dei litorali era di fatto la protezione delle strutture abitative e delle vie di comunicazione, dato che non si era ancora affermato il turismo balneare e, tanto meno, una coscienza ambientalista. Da qui dovrebbe già essere più chiaro come la destabilizzazione dell’ambiente costiero sia il frutto bacato di diversi fattori, a partire dall’intensa antropizzazione anche poi per fini turistici industriali, e dall’impoverimento dell’apporto di materiale solido dei fiumi al mare, determinato dalla massiccia estrazione di materiale dagli alvei e dagli interventi di regimazione dei corsi d’acqua, che in molti casi si sono rivelati inutili o dannosi. Delle tre possibilità della L. 4/7/1907, di fatto furono attuate solo le prime due, ossia la costruzione di scogliere parallele ed ortogonali a riva, rinunciando alla possibilità di percorrere strade diverse ed innovative. Ciò fu determinato da vari fattori, il primo dei quali risiede nel fatto che il personale tecnico chiamato ad intervenire era costituito da ingegneri formatisi nella costruzione dei porti, e per loro le scogliere costituivano la soluzione più ovvia per proteggere la costa dall’attacco delle onde. 53 Legambiente - Mare monstrum 2004 Furono costruiti anche molti pennelli, bloccando il flusso dei sedimenti lungo riva ed aggravando l’erosione nei tratti di litorale non protetti. In altri paesi, ed in particolare del Nord Europa, la risposta fu completamente diversa. In queste zone da secoli venivano effettuati dragaggi di estuari e di imboccature lagunari, dove erano posizionati i porti principali. Le conoscenze tecniche acquisite e la disponibilità di draghe idonee furono messe a disposizione per la soluzione del problema dell’erosione costiera e si poté dragare la sabbia dove si trovava in eccesso e refluirla o trasportala dove mancava. In Italia, la mancanza di porti in estuari ed in lagune, con l’eccezione di Venezia, non aveva favorito né lo sviluppo di simili tecnologie né l’affermarsi di una mentalità idonea ad utilizzarle. Una scarsa attenzione ai problemi ambientali e una limitata conoscenza dei processi costieri portò anche alla costruzione, in quegli anni, di porti lungo le coste basse, che intercettano ora il flusso dei sedimenti lungo riva e causano, o incentivano, l’erosione delle spiagge poste sottoflutto. Molte spiagge italiane sono oggi protette da scogliere aderenti o parallele e da pennelli che stravolgono il paesaggio costiero, creano erosione sottoflutto, impediscono una ottimale utilizzazione dell’arenile ed hanno elevati costi di manutenzione. Un quadro delle attuali tendenze evolutive dei litorali italiani è difficile da realizzare poiché i vari tratti costieri sono stati analizzati con diversi criteri ed a scale diverse. L'Atlante delle Spiagge Italiane, compilato da ricercatori afferenti a diverse sedi universitarie e con il finanziamento del CNR, dà un quadro omogeneo in scala 1.100.000 di tutti i litorali italiani, ma i vari fogli sono stati compilati in un intervallo temporale che va dal 1981 al 1995. Nel 1998, nell'ambito delle ricerche condotte dal Gruppo Nazionale Difesa Catastrofi Idrogeologiche del CNR è stata prodotta una carta del rischio costiero in scala 1:750.000 partendo proprio dalle conoscenza che si erano acquisite con la compilazione dell'Atlante delle Spiagge, ed aggiornando e rileggendo i dati alla luce delle conoscenze più recenti. I vari tratti costieri sono stati attribuiti alle classi di rischio Molto alta, Alta, Bassa e Nulla sulla base delle tendenze evolutive degli ultimi decenni, della morfologia dell’entroterra e della presenza ed efficacia delle opere di difesa. Le difficoltà di giungere ad un quadro omogeneo dipendono anche dai problemi di definizione: quale è l'accuratezza dei rilievi su cui si basano i confronti fra linee di riva relative ad anni diversi? Quale è il limite dello spostamento che fa passare una spiaggia "stabile" nelle classi "in erosione" o "in avanzamento". L'errore medio delle misure può essere tranquillamente di 5 metri, cosa che comporta un possibile errore di 10 metri nel confronto fra rilievi effettuati in momenti diversi. Infine, vi sono tratti di litorale in cui la costa arretra di 20 metri all'anno ed altri in cui gli spostamenti sono di poche decine di centimetri all'anno: è ovvio che non possono essere considerati nello stesso modo. 54 Legambiente - Mare monstrum 2004 Un altro aspetto è legato alla presenza di opere di difesa: dove queste hanno funzionato, i rispettivi tratti di costa vengono considerati stabili o in accrescimento. Non solo, ma la difesa di un punto può determinare l'avanzamento della costa per diverse centinaia di metri o per chilometri sopraflutto che, sebbene tendenzialmente in erosione, vengono inseriti nella categoria "in avanzamento". Con queste premesse i quadri regionali, ed ancor più quelli nazionali, devono essere letti con grande cautela e solo una approfondita ed aggiornata conoscenza dei processi in atto e delle realtà territoriali coinvolte può fornire indicazioni attendibili sullo stato dei nostri litorali. Dati pubblicati sullo stato dei litorali italiani Regione Lunghezza Atlante delle spiagge spiagge (%) A S E Liguria 182 3 79 18 Toscana 215 10 55 35 Lazio 260 8 71 21 Campania 202 9 64 27 Calabria 589 2 64 34 Sicilia 661 5 79 16 Sardegna 482 7 70 23 Basilicata 44 2 25 73 Puglia 308 5 47 48 Abruzzo 112 2 69 29 Molise 34 3 68 29 Marche 149 3 64 33 Emilia 134 7 83 10 Romagna Veneto 132 14 77 9 Friuli 81 4 94 2 Italia 3612 3 70 27 Mare Monstrum ‘02 Lungh. 355 470 290 350 690 996 1900 53 % eros. 15 17 18 58 67 12 1,5 57 125 25 145 130 16 13 160 100 7,5 4,2 Atlante delle spiagge Italiane: A = Avanzamento, S = Stabile, E = Erosione. Mare Monstrum: Lunghezza dei tratti considerati e % dei tratti in erosione. Il quadro che emerge è comunque preoccupante, anche perché molti tratti di litorale sono in erosione nonostante siano stati pesantemente difesi con scogliere di ogni tipo, che hanno determinato una degrado paesaggistico ed una riduzione del valore economico della spiaggia. Negli ultimi anni anche in Italia si è cominciato ad utilizzare protezioni morbide nella difesa dei litorali: scogliere sommerse e ripascimento artificiale delle spiagge, spesso senza alcuna protezione. Il ripascimento artificiale, con sedimenti provenienti da dragaggi marini o da cave a terra costituisce oggi la tecnica privilegiata nella difesa dei litorali ed è in linea con le raccomandazioni espresse all’UN Intergovernment Panel on 55 Legambiente - Mare monstrum 2004 Climate Change 2001. Le continue richieste di materiali da utilizzare nei ripascimenti spingono la ricerca di sedimenti in mare verso fondali sempre maggiori ed anche su depositi lontani. Draghe con capacità di carico crescenti consentono un notevole abbattimento dei costi unitari della sabbia, ma solo su interventi di grandi dimensioni, e si rende quindi necessario un coordinamento a livello regionale ed interregionale dei progetti. Negli ultimi anni, alcuni tratti della costa italiana sono stati oggetto di importanti interventi di ripascimento con sabbia prelevata sulla piattaforma continentale, che hanno portato ad una espansione dell’arenile di svariate decine di chilometri, spesso consentendo una drastica riduzione delle difese tradizionali: sui litorali del Veneto, dell’Emilia Romagna e del Lazio sono stati versati più di 20 milioni di metri cubi di sedimenti, e quasi tutti gli interventi di difesa costiera oggi in fase di realizzazione o di progetto si basano su consistenti ripascimenti. Le spiagge che proteggono la Laguna Veneta sono state difese con circa 13 milioni di metri cubi di sedimenti dragati in mare nell’Alto Adriatico, pur con la stabilizzazione con opere rigide. Nel Lazio sono stati fatti interventi di ripascimento su 22 km di spiagge ed altri sono tuttora in atto. Anche in Europa la tendenza è verso un aumento dei ripascimenti artificiali ed attualmente si valuta che ogni anno vengono portati sulle spiagge circa 28 milioni di metri cubi di nuovi materiali, per la gran parte dragati in mare. La Spagna, che per la difesa delle coste che si affacciano sul mediterraneo si era inizialmente affidata a difese strutturali, negli ultimi 5 anni ha sviluppato ben 400 interventi di ripascimento, per un volume totale di sabbia di ben 110 milioni di metri cubi. Ma se è oggi possibile progettare opere di difesa costiera più morbide, con minore impatto sulle spiagge poste sottoflutto e in grado di preservare i valori paesaggistici originari, si pone sempre il problema della sostituzione delle vecchie scogliere. Queste hanno modificato talmente la linea di riva ed i fondali antistanti che non è possibile più una loro semplice sostituzione con le nuove opere. E’ necessario studiare nuove soluzioni per gestire questa fase di transizione e di riconversione delle vecchie “hard structures” nelle nuove “soft protections”. E in questo pochissime sono le esperienze a livello internazionale a cui ispirarsi, anche perché le vecchie soluzioni all’italiana non sono state esportate in molti paesi. Alcune esperienze fatte recentemente, accompagnate da prove su modelli fisici, dimostrano che in molti casi è possibile un ritorno alla spiaggia, ossia una graduale riduzione delle scogliere senza pregiudicare la stabilità della costa e delle infrastrutture in essa presenti. A sud di Marina di Pisa recentemente è stata costruita una spiaggia in ghiaia davanti ad una scogliera aderente, con lo scopo di ridurre la riflessione delle onde e favorire l'avvicinamento della sabbia verso costa, mentre davanti all'abitato è iniziato l'abbassamento delle scogliere parallele e la costruzione di spiagge, sempre con materiali grossolani, che vanno a sostituire le scogliere aderenti che proteggono la strada e le case. Qui ogni chilometro di litorale è difeso da 2,3 chilometri di 56 Legambiente - Mare monstrum 2004 scogliere, che hanno trasformato un litorale basso e sabbioso in una costa rocciosa in cui anche il solo accesso al mare è estremamente pericoloso. Il nuovo intervento darà a questo centro abitato una spiaggia, seppure in ghiaia, ampia più di 20 metri e l'abbassamento delle scogliere parallele consentirà un maggior ricambio idrico. Se il sistema evolverà verso condizioni più naturali, sarà possibile in futuro abbassare ulteriormente le scogliere o ridurre le dimensioni dei sedimenti che formano la spiaggia. E’ comunque un percorso che impone fasi di sperimentazione e che necessita di nuove normative, di ampio consenso nelle popolazioni residenti e di tempi molto lunghi. L’aspetto più problematico è proprio quest’ultimo: il ritorno della spiaggia a condizioni morfologiche più naturali, se raggiungibile, richiede un graduale adattamento delle strutture alla nuove condizioni che si vanno via via a determinare. E’ però vero che già i primi cambiamenti hanno una notevole visibilità, tale spesso da fare cambiare completamente faccia alle località interessate. Si possono verificare alcune resistenze locali, poiché le scogliere, anche se estremamente impattanti, sono a volte viste come una componente ormai “naturale” del paesaggio. Il consenso, e quindi la partecipazione delle popolazioni, può essere ottenuto con una forte campagna di sensibilizzazione e con la presentazione di quei pochi casi in cui questo processo è già stato avviato. Questo recupero del fronte mare, in litorali pesantemente occupati da strutture di difesa, offre nuove possibilità di ripensamento dell’interfaccia terra - mare e di valorizzazione di tutta la fascia costiera. Oggi, in molti casi, la transizione fra la terra e il mare avviene in una strettissima fascia occupata dalle scogliere; la nuova configurazione consentirà un passaggio graduale, con una maggiore vivibilità di queste aree. La creazione di una nuova spiaggia, al posto degli attuali accumuli di scogli, dovrà quindi essere accompagnata da un ampio progetto urbanistico di riqualificazione di una vasta parte del territorio costiero. Solo in questo caso il passaggio dalle difese rigide alle protezioni morbide sarà occasione di riqualificazione ambientale. Anche laddove le difese costruite nei decenni passati hanno determinato la permanenza della spiaggia si cerca di ridurre la presenza delle scogliere emerse, come si sta attualmente studiando a Marina di Massa (Toscana), dove sono stati costruiti quattro setti sommersi sperimentali, ortogonali a riva, in un tratto posto sottoflutto alle difese rigide e soggetto ad un'erosione di 4 metri all'anno; i primi dati indicano che il processo erosivo è stato fermato senza produrre alcun impatto negativo sul litorale. Ciò rende ottimisti sulla realizzazione di un progetto che comporta la parziale demolizione delle scogliere poste più a nord, dove su ogni chilometro di costa vi sono ben 1,7 chilometri di scogliera. In un breve tratto del litorale di Ostia, a Procida, a Marina di Ravenna e ad Alassio si sta cercando di bloccare l'erosione con tubi drenanti (sistema Beach management system “Bms”), che abbassano il livello di saturazione in 57 Legambiente - Mare monstrum 2004 prossimità della linea di riva, favorendo così l'infiltrazione dell'acqua dell'onda che risale la battigia, in modo da ridurre la quantità di acqua che torna verso il mare e che contribuisce all'erosione della spiaggia. Questo sistema, brevettato dall’Istituto geotermico danese ha già riscosso notevole successo nel Nord Europa. L'interesse per l'ambiente costiero ed il valore economico della spiaggia spingono quindi verso la ricerca di sempre nuove soluzioni per la difesa morbida dei litorali, ma contemporaneamente emerge la consapevolezza che non tutte le spiagge sono difendibili, anche perché in molti casi è proprio la loro erosione che garantisce l'afflusso di sabbia a settori limitrofi. Così come molte delle soluzioni fin ad ora adottate per contrastare l’erosione su alcune spiagge hanno determinato l’arretramento di arenili limitrofi. E’ bene anche richiamare l’attenzione riguardo ai possibili effetti sull’ecosistema per lo sfruttamento delle cave di sabbie sottomarine, come giacimenti cui attingere per il rinascimento morbido delle spiagge litoranee. Riguardo alle esperienze sin ora realizzate, in particolare dagli spagnoli, gli effetti sulla popolazione ittica e quindi sulla pesca sembrerebbero non esserci. Anzi, per effetto del rimescolamento dello strato di limo presente sui giacimenti, si avrebbe addirittura un effetto positivo sulla produzione primaria e quindi sulla popolazione ittica, per la liberazione di nutrienti. E’ evidente che per avere maggiori garanzie sugli eventuali disturbi dell’azione di dragaggio delle sabbie sottomarine, sarebbe necessario avviare una fase conoscitiva, oltre a quella attuale di monitoraggio, da affidare ad organismi scientifici estranei alle fasi istituzionali di intervento. Vale la pena inoltre sottolineare che le soluzioni tecnologiche intervengono di fatto per limitare degli effetti e che a queste è comunque necessario affiancare politiche di gestione del territorio in grado di frenare invece le cause che determinano l’erosione non naturale delle coste. Il mancato apporto solido dei fiumi dovuto all’estrazione di inerti e alla cementificazione degli alvei è sicuramente una delle principali cause dell’erosione costiera. Analogamente la selvaggia cementificazione sulle coste e l’assenza di sistemi di protezione ha fatto sparire le dune e le retrodune, veri serbatoi di spiagge e naturali barriere antierosione. Nel secolo passato sono andati perduti quattro quinti delle dune della nostra Penisola. Il fatto che circa l'80% delle spiagge mondiali è in erosione dimostra che questo processo dipende anche da fattori globali, e principalmente dall'innalzamento del livello marino, ai quali non è semplice e rapido trovare rimedio. Recentemente la Commissione europea ha reso noti i risultati dello studio “Living with Coastal Erosion in Europe: Sediment and Space for Sustainability” da cui emerge che già un quinto della superficie costiera dei paesi dell’unione allargata è soggetto ad una riduzione della linea di costa compreso tra 0,5 e 2 metri l’anno con casi particolarmente gravi che arrivano sino a 15 metri. 58 Legambiente - Mare monstrum 2004 Mappa dell’erosione sulle coste italiane in base allo studio europeo Regione Erosione molto Erosione alta Erosione moderata alta (zona rossa) (zona arancione) (zona gialla) Liguria * Toscana * Lazio * Campania * Calabria * Sicilia * Sardegna * Basilicata * Puglia * Abruzzo * Molise * Marche * Emilia * Romagna Veneto * FriuliVenezia * Giulia Sulle cause e sulle risposte messe in atto dai vari paesi emerge inoltre – a parte alcune sostanziali differenze- anche una diffusa negligenza nell’applicazione delle procedure di valutazione dell’impatto ambientale, richieste della legge comunitaria, delle attività umane sui processi e gli habitat costieri. Di conseguenza, i costi per ridurre l’erosione costiera sono aumentati, con spese a carico dei contribuenti. Lo studio fornisce anche delle raccomandazioni per contrastare il fenomeno a livello europeo, che consistono sostanzialmente nel rafforzare l’elasticità costiera ristabilendo un equilibrio sedimentario; intervenire con atti pianificatori e di investimento, ma anche attraverso l’approfondimento delle attuale conoscenze.. Il convivere con l'erosione è la nuova sfida che ci aspetta e se saremo costretti a difendere in ogni modo litorali intensamente urbanizzati, parallelamente dovremo consentire all'erosione di procedere negli ambienti più naturali, considerando che in molti casi la delocalizzazione di piccole strutture ha dei costi economici, e certamente ambientali, assai minori di quelli della difesa ad oltranza. In questo quadro è poi evidente che non è pensabile proseguire nell'edificazione delle fasce costiere, ben sapendo che sarà fra breve necessario intervenire per difendere gli stessi insediamenti. 59 Legambiente - Mare monstrum 2004 7. Il mare inquinato La Campania non solo si conferma anche quest’anno in testa alla classifica del mare inquinato, ma anche con un numero di reati alla normativa sugli scarichi decisamente in rialzo, ben 379 reati, rispetto ai 136 dello scorso anno. Grande balzo in avanti della Sardegna che dal settimo posto passa al secondo posto con 180 reati rispetto ai 57 dello scorso anno. Terzo posto stabile per la Calabria che si attesta più o meno sugli stessi numeri dello scorso anno 102 contro i 101 dello scorso anno. Da segnalare, per contro, la buona performance della Toscana che dal secondo posto dello scorso anno con 105 infrazioni accertate, scende quest’anno all’undicesimo posto con “solo” 27 infrazioni. 1 2 3 4 5 6 7 8 9 LA CLASSIFICA DEL MARE INQUINATO NEL 2003 Regione Infrazioni Persone accertate denunciate o arrestate Campania ↔ 379 127 Sardegna ↑ 180 43 Calabria ↔ 102 69 Puglia ↔ 86 49 Liguria ↔ 85 18 Lazio ↔ 84 39 Marche ↑ 79 33 Sicilia ↔ 76 39 Emilia Romagna ↑ 42 26 Sequestri effettuati 9 8 25 12 2 13 4 2 5 10 11 Abruzzo ↑ Toscana ↓ 36 27 4 18 2 0 12 13 14 Veneto ↔ Basilicata ↑ Friuli Venezia Giulia ↓ 18 15 12 12 3 6 1 0 0 15 Molise ↔ totale 3 1.224 1 487 0 83 Fonte: elaborazione Legambiente su dati Comando Carabinieri tutela ambiente, Guardia di finanza, Corpo forestale dello Stato e delle Regioni a Statuto speciale e Capitanerie di porto. 60 Legambiente - Mare monstrum 2004 7.1 Le caratteristiche del Mediterraneo Il Mediterraneo è un mare per sua natura semi-chiuso, ma nonostante ciò non ha una chimica propria. Una caratteristica distintiva del Mediterraneo è la sua salinità – se paragonata all’Atlantico – e la concentrazione relativamente bassa, anche nelle acque più profonde, di alcuni costituenti chimici. Questo fenomeno è causato dal flusso continuo attraverso lo stretto di Gibilterra, che riceve acqua di superficie povera dall’Atlantico ed esporta acqua profonda, relativamente ricca, dal Mediterraneo. Questa costituzione è tale da evitare l’eccessiva eutrofizzazione del Mediterraneo. Approssimativamente dopo 80 anni, quasi tutte le sostanze disciolte nelle acque superficiali hanno subito un aumento di concentrazione pari al 5% e refluiscono in Atlantico, questo è alla base della costituzione tipica di questo bacino. Le acque del Mediterraneo sono oligotrofiche, tranne in prossimità dei grandi delta dei fiumi, e i sedimenti si presentano di solito con un basso contenuto di carbonio organico a causa della scarsa produttività biologica dell’acqua e alla presenza di alte concentrazioni di ossigeno nelle acque profonde. L’eutrofizzazione del Mediterraneo è quindi un fenomeno legato pressoché all’ambiente costiero, dove la scarsità di ossigeno è correlata a scarichi di reflui urbani, foci dei fiumi ecc. A causa della forte stratificazione delle acque di superficie, l’eutrofizzazione raggiunge punte più alte in estate, quando le concentrazioni di ossigeno si riducono in modo massiccio e valori più bassi durante il rimescolamento verticale invernale. Le concentrazioni delle sostanze naturali ed inquinanti presenti nei sedimenti sono assai più elevate delle concentrazioni disciolte nell’acqua marina, sia per fenomeni di rimescolamento che per azioni di fissazione che avvengono sul sedimento stesso per effetti chimici e metabolici. I dati disponibili in letteratura mostrano che i livelli più alti di sostanze inquinanti si trovano nei sedimenti estuariali e in prossimità di scarichi industriali e che i livelli diminuiscono andando verso il mare aperto. Comunque non sono solo le fonti antropogeniche che possono influenzare le concentrazioni di sedimenti: infatti la composizione geochimica naturale degli ambienti terrestri prospicienti la costa o la composizione mineralogica dei sedimenti marini stessi possono influenzare molto i livelli di base. Chiaramente per le sostanze provenienti da sintesi chimica quali i pesticidi organoclorurati o il PCB ad esempio, il valore di fondo nei sedimenti marini dovrebbe essere nullo. Tuttavia la loro attuale diffusa distribuzione e le loro caratteristiche di persistenza nell’ambiente sono tali da generare una sorta di “fondo antropico” inevitabilmente riscontrabile con le attuali metodologie analitiche. 61 Legambiente - Mare monstrum 2004 7.2 Il programma di monitoraggio per il controllo marino-costiero per il triennio 2001 - 2003 Il Programma di Monitoraggio dell'ambiente marino-costiero, svolto dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio in collaborazione con le 15 Regioni italiane bagnate dal mare e pianificato nel triennio 2001-2003, è iniziato ufficialmente a giugno 2001 ed è tuttora in corso. Infatti in un recente comunicato stampa, il Ministero ha dichiarato che è stato rifinanziato tale programma per il periodo 2004-2005. Questo risultato si è ottenuto grazie anche all’intervento di Legambiente e WWF, che hanno evidenziato l’importanza del programma di monitoraggio e del rinnovo del finanziamento in una iniziativa congiunta organizzata a ridosso della scadenza. L’importanza del programma di monitoraggio si basa fondamentalmente su alcuni aspetti che possono essere riassunti come segue. Innanzitutto per la prima volta esiste nel nostro Paese un monitoraggio ambientale che copre tutto il territorio nazionale costiero, caratterizzato da una omogeneità nelle metodiche analitiche di riferimento e nella modalità di campionamento. Inoltre l’intercalibrazione avvenuta tra i laboratori in questi anni, la formazione permanente, il confronto costante tra gli addetti in periodici incontri di approfondimento che hanno visto coinvolte tutte le competenze necessarie del settore (operatori, istituti di ricerca, istituzioni, associazioni ambientaliste, ecc.) ha portato alla nascita di una vera e propria comunità di operatori ed esperti unitaria e articolata. Infine l’affidamento delle attività analitiche alle Arpa, che già sono impegnate in attività di controllo sul territorio, ha offerto l’opportunità di avere una maggiore sorveglianza e conoscenza delle situazioni territoriali e la presenza di un unico centro di coordinamento individuato nel ministero, ha garantito l’omogeneità di un monitoraggio su scala nazionale e svolge il ruolo di verifica delle attività di controllo e sorveglianza sul mare. L’emanazione di normative europee e nazionali riguardo alla conoscenza dell’ambiente marino-costiero, ha portato ad impostare il monitoraggio in corso, con criteri più complessi e a definire aree e metodiche di campionamento e modalità di analisi uniformi e più consone ai livelli di conoscenza richiesti. L’attività prevede l'organizzazione di una rete di osservazione della qualità dell'ambiente marino, consentendo di definire lo stato di qualità del mare da un punto di vista "ambientale-ecologico" nelle zone maggiormente sottoposte agli apporti inquinanti da terra e da mare nonché di approfondire ed organizzare le conoscenze su questi delicati ecosistemi. Questa avviene attraverso campionamenti in aree sottoposte a particolari pressioni antropiche, le cosiddette aree critiche, e aree scarsamente sottoposte a questo tipo di impatto che assumono quindi la funzione di controllo o aree di bianco. Le indagini sono state focalizzate su 81 aree inquinate significative localizzate lungo le coste italiane: 63 di queste sono state scelte come aree critiche, e le altre 18 come aree di controllo. 62 Legambiente - Mare monstrum 2004 All’interno di ogni area d’indagine vengono effettuati transetti disposti perpendicolarmente lungo la linea di costa, su cui sono posizionate le stazioni di prelievo che per le acque sono fissate in tre punti: alto, medio e basso fondale a seconda della batimetrica rispetto alla linea di costa e su cui vengono condotte analisi con cadenza quindicinale per la ricerca di 13 parametri fisicochimici. Per i sedimenti le stazioni di campionamento sono individuate in corrispondenza della fascia di sedimentazione della frazione pelitica e variano quindi in funzione della geomorfologia della costa. Le analisi sui sedimenti, che riguardano tra gli altri parametri le sostanze persistenti e gli idrocarburi, vengono ripetute due volte l’anno, analogamente alle misure di bioaccumulo su un bivalve, il mitilo. Una volta l’anno inoltre verranno effettuate anche indagini - ove presenti - sulle praterie di Posidonia oceanica. 7.3 Qualità delle acque marino costiere Le acque costiere rappresentano l’interfaccia principale tra i fattori di pressione localizzati sulla costa, o nell’immediato entroterra, e i grandi spazi oceanici, verso i quali prima i fiumi e poi le correnti marine ne veicolano e diffondono gli effetti. Inoltre, proprio in questa ristretta fascia di mare si sviluppano i più complessi ecosistemi marini (praterie di Posidonia, coralligeno, ecc.), vi hanno luogo fondamentali fasi dei processi che regolano la vita negli oceani (zone di riproduzione, risalita di acque profonde, ecc.) e, in definitiva, si ha il maggior livello di biodiversità e di ricchezza ambientale: tutto ciò rende queste acque particolarmente importanti e sensibili ai cambiamenti. 7.4 Indice Trix Un'altra elaborazione dei dati del Programma sulla qualità delle acque marine è contenuta nell’Annuario dei dati ambientali 2003 dell’Apat. L’Agenzia utilizza i dati Si.Di.Mar. del ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e li elabora nell’indicatore Trix (è un indice di trofia sulla quantità di biomassa fitoplanctonica e nutrienti), sottolineando come non sia stato possibile utilizzare altri indici, come quello della balneabilità delle coste o di qualità batteriologica (Iqb), alla luce dei gravi ritardi nella pubblicazione dello scorso anno del “Rapporto sulla Balneazione” da parte del ministero della Salute. «Il valore dell’indice Trix - stando a quanto scrive l’Apat - per tutta l’estensione delle coste dimostra che nel 93% delle stazioni di monitoraggio si raggiunge l’obiettivo ambientale previsto dalla normativa, corrispondente a uno stato trofico elevato (74% delle stazioni) o buono (19% delle stazioni). Solo un 5% delle stazioni è in uno stato mediocre e il 2%, localizzato nel litorale adriatico dell’Emilia Romagna, in uno stato scadente. La stazione di Porto Garibaldi, in corrispondenza del comune di Goro, presenta le condizioni peggiori. La situazione critica localizzata sulle coste emiliano romagnole 63 Legambiente - Mare monstrum 2004 dipende essenzialmente dal carico veicolato in mare dal Po, al confine tra Veneto ed Emilia Romagna, che raccoglie gli scarichi di 16 milioni di abitanti, determinando un fattore di pressione tale da influenzare le acque adriatiche sia dal punto di vista produttivo, sia idrologico (densità). La circolazione del bacino tende a trasportare gli apporti padani lungo le coste romagnole in direzione Sud, con diluizione e mescolamento limitati. Lungo il litorale tirrenico, la maggior parte dei punti monitorati sono in stato trofico elevato. I siti critici, con uno stato trofico mediocre, si trovano in corrispondenza delle foci di alcuni fiumi quali il Fiume Morto nella provincia di Pisa, il Marta nella provincia di Viterbo e il Sarno nella provincia di Napoli. Tutti i siti del bacino ionico e delle coste della Sardegna presentano condizioni di scarsa trofia e, quindi, elevato stato ambientale». Nella figura sottostante viene indicato l’indice di stato trofico (TRIX), classi di qualità sulle medie annuali 2001-2002 nelle acque costiere comprese entro i 500 m da riva (fonte: dati Si.Di.Mar. (Ministero dell’Ambiente e della tutela del Territorio). 7.5 Indice CAM I risultati sulla qualità delle acque, ottenuti dal programma di monitoraggio marino-costiero attualmente in atto, vengono invece riassunti attraverso un sistema di valutazione, l’indice CAM (Classificazione delle Acque Marine), che in pratica rappresenta una sintesi di tutti i parametri analizzati attraverso un giudizio che si esprime in alta, media e bassa qualità. La finalità dell'indice CAM è quella di fornire un giudizio sulla qualità delle acque intesa anche come rischio igienico-sanitario basata su dati oceanografici di base. In particolare le variabili utilizzate sono: nitrati (NO3); 64 Legambiente - Mare monstrum 2004 nitriti (NO2); ammoniaca (NH4); fosfati (PO4); silicati (SiO4); salinità; trasparenza; clorofilla a. Nella tabella che segue vengono riportati i risultati relativi alle stazioni sottocosta, campionate con cadenza quindicinale durante il periodo giugno 2001 – dicembre 2003. 2001 qualità (%) n. staz. n. alta camp. 98 ABRUZZO 4 56 13 BASILICATA 3 39,0 CAMPANIA 7 98,0 41,0 37 CALABRIA 7 98,0 27 EMILIA ROMAGNA 4 56,0 77 FRIULI 4 56,0 2 LAZIO 6 60,0 63 LIGURIA 5 70,0 MARCHE 5 69,0 59,5 17 PUGLIA 7 93,0 SARDEGNA 8 112,0 79,5 TOSCANA 6 84,0 54,6 73 VENETO 5 70,0 MOLISE 2 28,0 3,6 * SICILIA 9 * * : non sono stati eseguiti campionamenti REGIONI alta qualità: media qualità: bassa qualità: 2002 qualità (%) n. alta media bassa camp. 79 21 0 96 26.4 68 5.6 72 45 12 43 168 15.4 84 0.6 168 34 59 17 96 79 20 1 96 0,8 43,7 55,5 135 37 33 30 120 43 52 5 120 20 49 31 168 74 21 5 192 55 23 22 144 66 32 2 110 0 77 23 44 * * * * media bassa 2 79 17 63 64 21 55 26 33,3 52 17 27,4 27 82,1 * 0 8 42 0 9 2 43 11 7,2 31 3,5 19 0 14,3 * 2003 qualità (%) n. camp. 96 69 168 119 96 96 115 119 120 168 192 144 99 38 112 alta media bassa 82 13 40 39,5 44 86 0,9 42 77,3 16,7 66,1 37,5 80,8 55 47,32 acque incontaminate acque con diverso grado di eutrofizzazione, ma ecologicamente integre acque eutrofizzate con evidenza di alterazioni ambientali anche di origine antropica Fonte: elaborazioni Legambiente su dati del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio L’elaborazione dei giudizi ottenuti sulle singole stazioni di campionamento, rapportate al numero di stazioni, mette in evidenza una situazione non drammatica per quanto riguarda la qualità delle acque dei nostri mari, da un punto di vista ecologico, ma neanche una situazione di eccellenza. Un quadro tutt’altro che rassicurante emerge dai dati del Lazio. Infatti la percentuale di campioni che testimoniano un’elevata qualità raggiunge il valore massimo del 2% nel 2001, mentre rimane al di sotto dell’1% negli altri due anni di monitoraggio. Più del 50% dei valori risultanti dalle analisi ricadono invece, almeno per il 2002 e 2003, nella fascia della bassa qualità. Una situazione analoga ma per certi versi migliore viene presentata dai dati derivanti dalla Campania; in questo caso l’alta percentuale di campioni 65 18 0 61 26 21 39 60,5 0 37 19 13 1 44,3 54,8 41 17 24,2 2,5 61,3 22 26 7,8 30,55 31,94 19,2 0 37 8 51,78 0,89 Legambiente - Mare monstrum 2004 rappresentativi di una bassa qualità coincide all’incirca con quella relativa ad una qualità elevata. Questo perché la prima percentuale si è ottenuta prevalentemente dalle analisi eseguite alle foci del Sarno e del Volturno e in corrispondenza della città di Napoli; mentre i valori che rientrano nella fascia di qualità elevata derivano soprattutto dalla zona del Parco Nazionale del Cilento (P. Licosa e P. Tresino). Altre regioni presentano prevalentemente una qualità media delle acque marine sottocosta, con percentuali di valori molto basse che ricadono nella fascia di bassa qualità. Ad esempio la Calabria, l’Emilia Romagna, la Puglia e la Basilicata (nel 2001 e nel 2002). Anche la Sicilia manifesta un andamento di questo tipo, mai dati sono parziali perché ha iniziato il monitoraggio solo nel 2003 La Liguria presenta invece una situazione positiva durante il primo anno di monitoraggio con il 63% di valori nel campo dell’elevata qualità, mentre nel 2002 si riscontra praticamente la stessa percentuale per tutte e tre le fasce di qualità e nel 2003 la percentuale relativa alla bassa qualità è nettamente inferiore rispetto a quelle relative alla media ed alta qualità. Le Regioni che eccellono per la qualità delle acque, facendo un bilancio per tutti e tre gli anni di monitoraggio, sono l’Abruzzo, in cui non si sono mai riscontrati valori che ricadono nella fascia della bassa qualità (0% in tutti e tre gli anni), il Friuli Venezia Giulia, il Veneto, la Sardegna, le Marche (nel 2001 e nel 2003) e la Toscana (nel 2001 e nel 2002). 7.6 Qualità dei sedimenti 7.6.1 I parametri indagati L’elaborazione fatta sui dati forniti dal ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio si è concentrata su 12 inquinanti, più precisamente su: - 6 metalli (arsenico, cadmio, cromo totale, mercurio, nichel e piombo); - 2 idrocarburi (gli Ipa, idrocarburi policiclici aromatici, totali e il benzoapirene); - 2 pesticidi (Aldrin e Ddt); - i Pcb (i famigerati policlorobifenili); - il tributilstagno (Tbt). I dati sono riferiti al monitoraggio fatto nel 2001 (secondo semestre), 2002 (primo e secondo semestre) e 2003 (primo e secondo semestre). Le concentrazioni trovate nei sedimenti marini con il Programma sono state confrontate con quelle limite previste dal decreto approvato alla fine dello scorso anno (tabella 2 dell’allegato A del Decreto ministeriale 6 novembre 2003, n. 367 - Regolamento concernente la fissazione di standard di qualità nell’ambiente acquatico per le sostanze pericolose, ai sensi dell'articolo 3, comma 4, del decreto legislativo 11 maggio 1999, n. 152) e riportate in tabella. 66 Legambiente - Mare monstrum 2004 Sostanza Valore Limite (D. 367 del 6/11/2003) DDT 0,5 microgrammi / Kg s.s. ALDRIN 0,2 microgrammi / Kg s.s. BENZO (a) PIRENE 0,03 mg / kg s.s. IPA totali 0,2 mg / Kg s.s. PCB 4 microgrammi / Kg s.s. TBT 5 microgrammi / Kg s.s. ARSENICO 12.000 microgrammi / Kg s.s. CADMIO 300 microgrammi / Kg s.s. CROMO TOTALE 50.000 microgrammi / Kg s.s. MERCURIO 300 microgrammi / Kg s.s. NICHEL 30.000 microgrammi / kg s.s. PIOMBO 30.000 microgrammi / Kg s.s. Fonte: Gazzetta Ufficiale (Anno 145° - Numero 5 dell’ 8 Gennaio 2004) 7.7 Le fonti potenziali e la pericolosità degli inquinanti Ma sono così pericolosi gli inquinanti indagati in questo dossier? E dove vengono utilizzati prima di finire nell’ambiente e quindi in mare? La maggior parte di questi sono materie prime e/o prodotti dell’industria. Tra i più pericolosi figurano sicuramente i metalli a maggior densità (almeno 7,5 g/cm3, che per questo motivo sono definiti pesanti): il cadmio, il mercurio, il nichel e il piombo. Sono invece metalli non pesanti, ma ugualmente tossici, il cromo (soprattutto nella forma esavalente, il Cr (VI)), e l’arsenico. Il cadmio è ampiamente utilizzato per la produzione di leghe a basso punto di fusione utilizzate per le saldature, la ricopertura di superfici poco resistenti alla corrosione e nel passato per la costruzione di accumulatori (quelli appunto al nichel-cadmio). Il mercurio è, da parte sua, un metallo molto “familiare” nella vita quotidiana di ognuno di noi (tutti ne “custodiscono” una piccola quantità in casa nei comuni termometri) ed è l’unico che è allo stato liquido a temperatura ambiente. Il mercurio viene utilizzato nell’industria principalmente come catodo delle celle ad amalgama degli impianti di elettrolisi del cloruro di soda (tecnica comunemente utilizzata in molti petrolchimici nei cosiddetti impianti cloro-soda; quello di Priolo dell’ex Enichem agli inizi del 2003 è stato al centro dell’inchiesta “Mar rosso” della procura di Siracusa, che ha portato all’arresto di 17 tra dirigenti e dipendenti dello stabilimento per aver smaltito in mare, secondo l’accusa, i reflui al mercurio del processo industriale), ma viene usato anche per produrre manometri, lampade, apparati elettrici, etc. Al pari del mercurio, anche il nichel è molto impiegato nell’industria, soprattutto per fare numerose leghe con altri metalli (per produrre circuiti magnetici, acciai speciali, resistori riscaldanti per forni elettrici e stufe, etc.), per fungere da catalizzatore in diversi processi organici di idrogenazione, per 67 Legambiente - Mare monstrum 2004 l’applicazione di rivestimenti inossidabili (la “nichelatura”) e per la produzione di elettrodi e accumulatori. Il nichel è largamente utilizzato anche per la colorazione in nero di filati nell’industria tessile e manifatturiera. Per la fabbricazione di accumulatori viene utilizzato anche il piombo. Circa il 50% di questo metallo viene impiegato nell’industria per produrre gli accumulatori acidi, ma viene usato anche per le guaine dei cavi elettrici, come materiale schermante per le radiazioni, nell’industria bellica, e fino a qualche anno fa come additivo antidetonante nelle benzine per autotrazione. Sono ampiamente noti gli effetti dannosi di questo metallo pesante sui sistemi ematopoietico, nervoso e renale. Passando invece ai metalli non pesanti, il cromo viene diffusamente utilizzato per la produzione di acciai speciali come quelli inossidabili, per la concia delle pelli, per il trattamento galvanico anti-corrosione delle superfici, la cosiddetta “cromatura”, e come catalizzatore in molti processi chimici. L’arsenico invece non ha impieghi massicci e viene utilizzato come indurente in leghe di piombo e stagno, nel drogaggio dei semiconduttori, come insetticida e pesticida in agricoltura. Tra tutti gli idrocarburi, e cioè quei composti organici costituiti da atomi di carbonio e idrogeno, i policiclici aromatici (detti Ipa) si distinguono perché contengono diversi anelli benzenici. A partire dal benzoapirene, sono tutti composti cancerogeni, che si producono dal traffico automobilistico e durante l’attività di estrazione e raffinazione del petrolio. I pesticidi sono composti organoclorurati utilizzati massicciamente in agricoltura. I Pcb, da parte loro, sono idrocarburi aromatici clorurati usati diffusamente nel passato nell’industria elettrotecnica (e ancora oggi presenti in molti trasformatori elettrici e condensatori), proprio per la loro capacità isolante al fuoco e al calore, l’inerzia chimica e la ridotta variabilità delle caratteristiche nel tempo, ma sono stati utilizzati anche come plastificanti e solventi. Il tributilstagno, infine, è un composto organico a base di stagno, utilizzato come biocida in agricoltura ma anche come antiincrostante nelle vernici nautiche, ed è anche per questo che lo si ritrova nell’ambiente marino. Praticamente tutti questi composti, e in particolar modo il cadmio, il mercurio, il Ddt e i Pcb, sono tossici, bioaccumulabili e fortemente persistenti nell’ambiente, alla luce della loro scarsissima biodegradabilità. Sono una minaccia reale per l’equilibrio dell’ecosistema marino, per la flora e la fauna, e ovviamente per l’uomo. Sono, come vedremo, inquinanti molto presenti nei sedimenti marini costieri, dove si ritrova la gran parte delle sostanze immesse nell’ambiente, facendo diventare l’ecosistema marino una sorgente continua di questi contaminanti. In mare arrivano in genere perché trasportati dai fiumi, dove scaricano (in alcuni casi anche illegalmente) gli stabilimenti produttivi, industriali o artigianali, o, come nel caso dei pesticidi utilizzati in agricoltura, per dilavamento superficiale dei terreni coltivati o da coltivare. In alcuni casi gli scarichi industriali sono effettuati direttamente in mare, vista la localizzazione abbastanza ricorrente di impianti a ridosso della costa (l’acqua 68 Legambiente - Mare monstrum 2004 marina desalinizzata è spesso utilizzata nei cicli industriali). Una volta arrivati in mare gli inquinanti cominciano a circolare nell’ambiente marino fino a che non sedimentano sul fondo o attecchiscono ad alghe, microrganismi o piccoli invertebrati. E da qui cominciano il loro “viaggio” che li porterà più o meno direttamente alla specie vivente che li ha prodotti, l’uomo. Questi veleni infatti sono destinati ad entrare nella catena alimentare e si concentrano negli organismi marini ai vari livelli trofici, provocando effetti dannosi sia da un punto di vista riproduttivo, sia a livello del sistema endocrino e immunitario. Gli effetti più gravi si manifestano negli organismi che si trovano ai livelli più elevati della catena trofica e quindi nell’uomo, attraverso l’alimentazione con prodotti provenienti dall’ambiente marino. Gli effetti sulla salute sono ancora più gravi se si considera che molti di questi inquinanti arrivano nel corpo umano anche per altre vie (si pensi alle tracce di pesticidi che restano su ortaggi e frutta destinati all’alimentazione umana o agli idrocarburi che respiriamo in un centro cittadino o nei pressi di una raffineria di petrolio). 7.8 I risultati del monitoraggio, regione per regione Il quadro che emerge da un’attenta analisi dei risultati del monitoraggio è che è diffusa generalmente lungo tutta la costa una scarsa qualità dell’ambiente marino: il mare risulta con assoluta evidenza essere il deposito finale della maggior parte dei contaminanti prodotti ed utilizzati in ambiente terrestre. L’altro dato particolarmente significativo e preoccupante è la presenza di alte concentrazioni di sostanze inquinanti in alcune delle aree cosiddette di bianco, ovvero quelle che dovrebbero essere scarsamente sottoposte a impatto antropico e industriale e che per tale motivo assumono la funzione di controllo. Il fatto di trovare elevatissime concentrazioni di cromo nei sedimenti prelevati in alcune stazioni dell’area ligure, dove per decenni la Stoppani di Cogoleto ha sversato i reflui industriali non ci stupisce, ma il fatto che alte concentrazioni di altri inquinanti si ritrovino in alcune aree di bianco è un dato che deve assolutamente far riflettere. E indurre a prendere provvedimenti concreti. Ma veniamo al dettaglio della situazione delle regioni costiere italiane, iniziando dall’Abruzzo. ABRUZZO Sono quattro le stazioni: la foce del fiume Pescara, Ortona (Ch), Vasto (Ch) - che rappresenta l’area di bianco - e Giulianova (Te). Sui sedimenti prelevati alla stazione nei pressi di Giulianova sono state trovate concentrazioni elevate di Ipa (4 sforamenti su 4, il picco di 3,2 mg/Kg è sedici volte superiore al limite di legge) e Pcb (2 su 4, in entrambi i casi circa 8 volte superiore al limite). 69 Legambiente - Mare monstrum 2004 Alla foce del fiume Pescara sono stati rilevati sforamenti relativamente agli Ipa (in tutti e quattro i campioni con un picco di 1,08 mg/Kg, oltre cinque volte il limite di legge) e ai Pcb (2 campioni su 4, con una concentrazione massima di quasi 30 microgrammi/Kg, sette volte superiore al limite previsto dal decreto). Nell’area antistante ad Ortona sono state rilevate concentrazioni elevate di Ipa (4 campioni su 4, con un picco di 1,43 mg/kg oltre sette volte superiore al limite di 0,2) e Pcb (2 su 4, in un caso il limite di legge è stato superato di oltre dieci volte). Nella stazione di Vasto, nonostante sia il bianco della regione, sono stati rilevati 3 superamenti dei limiti su 4 prove relativamente agli Ipa totali (il picco massimo, con +150% rispetto al limite di legge, è stato registrato nel secondo semestre 2002) e 2 superamenti (su 4) sui Pcb. BASILICATA Le stazioni campionate sono tre: Nova Siri alla foce del fiume Sinni nel comune di Policoro (Mt) - che è il bianco -, Metaponto alla foce del fiume Basento nel comune di Pisticci (Mt) sulla costa ionica e la fiumara di Castrocucco nei pressi di Maratea (Pz) sulla costa tirrenica. La stazione di Nova Siri, nonostante sia il bianco regionale, supera i limiti sul tributilstagno (5 campioni su 5, con valori più o meno doppi rispetto al massimo consentito), Cromo (4 su 5, con un massimo superiore 28 volte il limite di legge) e Nichel (4 su 5, con un picco fino a cinque volte il massimo consentito). Per quanto concerne invece la fiumara di Castrocucco sono stati superati i limiti di legge sul tributilstagno (5 volte su 5, con valori sempre doppi al limite) e sull’arsenico (3 su 5). Anche a Metaponto si registra lo sforamento del limite sul tributilstagno in 5 campioni su 5, con un picco massimo di oltre 20 microgrammi/Kg rispetto ai 5 previsti dal decreto ministeriale. CALABRIA La Calabria ha iniziato il monitoraggio nel 2002 e ha fissato le stazioni a Crotone, Caulonia (Rc), nella frazione di Pellaro del comune di Reggio Calabria, alla foce del fiume Mesima presso Nicotera (Vv), Vibo marina (Vv), e le due aree di bianco presso Paola (Cs) sul Tirreno e l’area protetta marina di Capo Rizzuto (Kr) sullo Ionio. La stazione di Crotone sfora i limiti di legge sull’arsenico (3 volte su 3, con un massimo tre volte superiore al limite consentito dalla legge) e sugli Ipa (1 su 2, con un valore 15 volte più alto del limite di legge). A Vibo marina sono state rilevate alte concentrazioni di Ipa (1 superamento su 2 misure e il valore misurato è 32 volte superiore al limite di legge) e arsenico (1 su 3), mentre a Pellaro i superamenti sono stati rilevati sugli Ipa (1 su 2) e sul piombo (1 su 3). A Mesima invece sfora solo l’arsenico (1 su 3). 70 Legambiente - Mare monstrum 2004 La stazione di Paola, area di bianco per la costa tirrenica, supera i limiti per quanto concerne l’arsenico, il cromo, il nichel e i Pcb (per tutti e quattro i casi 1 superamento su 3 campioni), mentre quella ionica di Capo Rizzuto sfora addirittura 3 volte su 3 i limiti sull’arsenico. CAMPANIA La Campania ha fissato stazioni di campionamento a Napoli, Portici (Na), alla foce del Sarno nel comune di Castellamare di Stabia (Na), a quella del Volturno nel comune di Castel Volturno (Ce) e del Picentino nel comune di Pontecagnano (Sa), a Punta Tresino nel comune di Castellabate (Sa), e proprio nello stesso territorio comunale ha fissato l’area di bianco a Punta Licosa. Nelle stazioni della regione Campania si trova di tutto, dall’arsenico al cadmio, dal cromo al mercurio, dal nichel al piombo. E non mancano Ipa, benzoapirene e Pcb. Come purtroppo era prevedibile la stazione della foce del Sarno risulta la più critica: 4 superamenti dei limiti di legge del cromo totale su un totale di 5 campioni (con una punta di quasi 124mila microgrammi/Kg contro un limite di 50mila), mentre 3 sforamenti su 5 sono relativi al cadmio, piombo (con concentrazioni quasi tre volte superiori ai limiti) e 2 su 5 relativi al Pcb (con un picco di 32 microgrammi/Kg rispetto al limite previsto di 4). Preoccupante la contaminazione di arsenico (5 superamenti su 5 prove) con valori anche doppi rispetto ai limiti di legge, a Punta Tresino e a Punta Licosa, che lo ricordiamo è l’area di bianco regionale. Elevate infine le quantità di piombo, Ipa e mercurio nella stazione di Napoli con 3 superamenti su 5 campioni. EMILIA ROMAGNA Sono quattro le stazioni di riferimento in Emilia Romagna: Porto Garibaldi nel comune di Comacchio (Fe), Lido Adriano a Ravenna, Cesenatico (Fo) e Cattolica (Rn) che rappresenta l’area di bianco. I contaminanti trovati in concentrazioni al di sopra dei limiti di legge nei sedimenti sono nichel, cromo, Ddt, Ipa e Pcb. Il nichel in particolare lo si ritrova in tutte e quattro le stazioni: a Porto Garibaldi e addirittura a Cattolica, area di bianco, gli sforamenti riguardano tutti e cinque i campionamenti fatti durante il triennio del programma, con punte che superano anche del doppio il limite di legge. Oltre al nichel, a sorpresa nell’area di bianco regionale sono stati trovati anche Ddt (2 superamenti su 5) e Pcb (1 su 5).Il cromo invece supera i limiti di legge 3 volte su 5 a Porto Garibaldi e 1 su 5 a Lido Adriano. In quest’ultima stazione si rileva anche una certa contaminazione da Ddt (2 sforamenti su 5) e da Ipa (1 su 5). FRIULI VENEZIA GIULIA Sono quattro le stazioni del Friuli Venezia Giulia: Porto Nogaro a San Giorgio di Nogaro (Ud), Baia di Panzano nei pressi di Duino (Ts), Punta 71 Legambiente - Mare monstrum 2004 Sottile nelle vicinanze di Muggia (Ts), e l’area marina protetta di Miramare, che rappresenta l’area di bianco. In questa regione sembra esserci una emergenza metalli pesanti: sono infatti elevatissime le concentrazioni di cromo, mercurio, nichel e piombo in tutte e quattro le stazioni friulane (con 4 o 5 sforamenti su 5 campioni in totale). Punta Sottile, oltre che da questi metalli pesanti, è minacciata anche dagli Ipa, dal benzoapirene, dal Pcb e dall’Aldrin (di questo pesticida qui è stata misurata la più alta concentrazione di tutto il programma triennale di monitoraggio). Molto simile è la situazione di Baia di Panzano, mentre a Porto Nogaro è stata misurata la maggior concentrazione di mercurio con 10 mg/Kg (il limite di legge è 0,3). Anche l’area di bianco di Miramare non è risparmiata dagli inquinanti: il cromo in un caso supera di 3 volte il limite di legge, il mercurio di 10 e il nichel addirittura di 15. E ancora il piombo e gli Ipa superano i limiti 5 volte sui 5 prelievi fatti nel triennio, mentre il benzoapirene in 3 campioni su 5. LAZIO Le stazioni del Lazio sono sei: la foce del fiume Marta (Vt), Ladispoli, (Rm), la fiumara Piccola a Fiumicino (Rm), la foce del Rio Martino (Lt), la località Monte Argento (Lt) e l’area di bianco di Isola di Zannone nel Parco nazionale del Circeo (Lt). Si riscontra un diffuso inquinamento di arsenico, Ddt, piombo e tributilstagno in diverse stazioni. Una di quelle più colpite sembra essere quella di Ladispoli (Rm) che fa l’en plein (3 sforamenti su 3 campioni) su arsenico, Ddt (con concentrazione fino a 7 volte superiore al limite massimo consentito dalla legge) e piombo. Sempre in questa località vanno segnalati i superamenti ai limiti consentiti per Ipa totali, benzoapirene, cadmio, mercurio, nichel e tributilstagno. Anche la foce del fiume Marta (Vt) non è messa poi così bene: 3 sforamenti su tre campioni totali sul Ddt e piombo, ma non mancano anche superamenti per tributilstagno, arsenico, cromo e nichel. Un quadro poco rassicurante che riguarda anche le stazioni di Monte Argento, Rio Martino (entrambe in provincia di Latina), Fiumicino (Rm) e in misura minore anche il “bianco” regionale dell’Isola di Zannone. LIGURIA Il porto di Imperia, Vado Ligure (Sv), la foce del torrente Lerone nel comune di Cogoleto (Ge), quella del Magra presso Marinella di Sarzana (Sp) e Punta Mesco (“bianco” localizzato nell’Area marina protetta delle Cinque Terre) sono le stazioni di campionamento liguri. Qui il quadro è veramente imbarazzante: i sedimenti marini di quasi tutte le stazioni risultano fortemente contaminati da cromo, nichel, piombo e arsenico. E non mancano mercurio, Pcb, cadmio, benzoapirene, Ddt e Ipa. A farla da “padrona” è la stazione del torrente Lerone, dove per molti anni ha scaricato molti veleni la Stoppani di Cogoleto. Che ritroviamo 72 Legambiente - Mare monstrum 2004 puntualmente nei sedimenti analizzati: cromo totale ovviamente (la concentrazione massima trovata è stata di oltre 7200 mg/Kg, pari a 145 volte il limite di legge), nichel (oltre 895 mg/Kg, e cioè quasi 30 volte il limite di legge) piombo, arsenico e Pcb (fino a 10 volte in più del massimo consentito dal decreto ministeriale), ma anche mercurio, cadmio, Ipa, benzoapirene e Ddt. Non sono da meno però anche Vado Ligure e Imperia, dove si segnalano sforamenti ai limiti praticamente su tutti gli inquinanti. A Vado Ligure le concentrazioni di mercurio nei sedimenti superano per 5 volte su 5 i limiti (fino a 4 volte la concentrazione massima consentita), mentre a Imperia l’arsenico arriva a livelli fino a 5 volte il limite di legge. Da sottolineare come anche in Liguria il campione preso come bianco, cioè Punta Mesco, presenti elevate concentrazioni di cromo, nichel e piombo, e in misura minore di arsenico e cadmio. MARCHE Le stazioni scelte nelle Marche sono quasi tutte foci di fiumi: il Foglia a Pesaro, l’Esino vicino a Falconara (An), il Chienti vicino Civitanova Marche (Mc), il Tronto a sud di San Benedetto (Ap) e l’area di bianco è rappresentata dal Monte Conero (An). Il Ddt contamina una buona parte dei sedimenti delle cinque stazioni marchigiane (per 2 volte anche nell’area di bianco del Conero), mentre si rilevano alcuni sforamenti ai limiti previsti per l’arsenico (in 4 stazioni) e il nichel (in 2). MOLISE Anche il Molise ha scelto come stazioni due foci di fiumi: il Trigno al confine con l’Abruzzo e il Biferno a sud di Termoli (Cb). In questa regione non ci sono aree di bianco. Gli Ipa sono per 2 volte su 2 superiori ai limiti di legge in entrambe le stazioni, mentre per il Tbt si rilevano sforamenti in 3 casi su 5. Altri superamenti ai limiti si hanno per il Nichel (al Biferno) e per il benzoapirene (alla foce del Trigno). PUGLIA In Puglia sono due le aree di bianco: le aree marine protette presso le isole Tremiti (Fg) e a Porto Cesareo (Le), mentre sono considerate aree critiche Manfredonia (Fg), Barletta (Ba), Bari, Brindisi e la località Chiatona a Palagiano (Ta). Ricordiamo che Manfredonia, Brindisi e Taranto ospitano tre delle principali aree industriali italiane. Il nichel supera i limiti di legge in tutte le stazioni (comprese le due di bianco) per almeno 1 campione su 5, con Manfredonia che sfora per ben 3 volte. Superano i limiti anche il cadmio e il piombo a Brindisi e a Manfredonia. 73 Legambiente - Mare monstrum 2004 SARDEGNA Anche in Sardegna sono due aree marine protette le aree di bianco: l’Isola dell’Asinara (Ss) e capo Carbonara (Ca). Le altre stazioni sono a Alghero (Ss), alla foce del Tirso presso Oristano, nell’area tra S. Antioco e Portoscuso (Ca), Cagliari, Arbatax (Nu) e Olbia (Ss). Vale la pena ricordare che nel fiume Tirso scarica l’area industriale “montana” di Ottana (è praticamente al centro della Sardegna), mentre gli altri poli industriali sono nelle vicinanze dell’Isola dell’Asinara (petrolchimico di Porto Torres), nel golfo di Cagliari (raffineria e petrolchimico di Sarroch) e a Portoscuso (polo metallurgico). Nei sedimenti delle stazioni sarde si trova di tutto: cadmio, Pcb, arsenico, piombo, cromo, Ipa, Ddt e Tbt. La stazione che sfora su tutti gli inquinanti è quella della foce del Tirso, ma anche quella di S.AntiocoPortoscuso non è messa poi così bene (qui superano i limiti cadmio, piombo, Pcb, Ipa e arsenico). SICILIA Le stazioni siciliane sono localizzate nei golfi di Palermo, Milazzo (Me), Augusta (Sr), Gela (Rg), Castellamare (Tp), alla foce del fiume Irminio nei pressi di Marina di Ragusa (Rg), mentre le aree di bianco sono l’Isola Maraone e l’area marina protetta di Ciclopi. Alcune delle stazioni sono localizzate nei pressi di aree industriali come quella di Augusta (nel triangolo industriale di Priolo-Augusta-Melilli), Gela (raffineria e petrolchimico) e Milazzo (raffinerie). In questa regione sono disponibili solo i dati del secondo semestre 2003. I risultati delle analisi mostrano come ci sia lo sforamento dei limiti sul mercurio nella stazione di Augusta (e questo non stupisce alla luce dei risultati dell’inchiesta della magistratura del 2003 sul petrolchimico di Priolo dell’ex Enichem - vedi paragrafo 2.2.2), di cadmio in tutte le stazioni e di arsenico in 4 di queste. TOSCANA Sono sette i punti di campionamento toscani: la foce del fiume Morto (Pi), Antignano (Li), Marina di Castagneto (Li), Carbonifera (Li), la foce del fiume Ombrone (Gr) e l’area di bianco a Portoferraio nell’isola d’Elba. Preoccupanti i dati su alcuni metalli pesanti: sforamenti in tutto il triennio e in tutte le stazioni (anche quella di bianco) per quanto riguarda cromo e nichel (in entrambi i casi il picco è stato registrato a Marina di Castagneto con valori pari rispettivamente a 153 mg/Kg, oltre 3 volte superiore al limite di legge, e 112 mg/Kg, quasi 4 volte il massimo consentito dal decreto). Molto simile la situazione sul mercurio, e non mancano i superamenti dei limiti di arsenico, piombo, tributilstagno e Ipa. 74 Legambiente - Mare monstrum 2004 VENETO Il Veneto monitora quattro stazioni: Caorle (Ve), la foce del Piave a Jesolo (Ve), il Porto di Lido nord di Cavallino (Ve), Porto Caleri ad Albarella (Ro). A Pellestrina vicino Chioggia (Ve) c’è l’area di bianco. I metalli pesanti contaminano praticamente tutti i sedimenti della costa veneta. Il dato più eclatante è quello di Cavallino, dove si rileva la presenza elevata di tutti i metalli analizzati, in particolare mercurio, cromo, piombo, nichel, cadmio, ma anche arsenico, Ipa e Pcb. Non sono comunque esenti da inquinamento neanche le altre stazioni dove si sono rilevate elevate concentrazioni di mercurio (con il massimo della concentrazione rilevata a Caorle), cromo e cadmio. Da notare i superamenti dei limiti di cromo e mercurio nell’area di bianco. Tabella relativa ai valori di concentrazione dei composti organici (pesticidi: DDT e Aldrin; policiclici aromatici: Benzo(a)Pirene, IPA, PCB; organo metalli: TBT) riscontrati nei sedimenti marini durante il triennio di monitoraggio 2001 - 2003. Sono evidenziati i casi in cui si ha almeno un valore al di sopra del limite previsto dal D. n.367 del 6/11/2003. valori al di sopra del limite di legge (n.367 del 6/11/2003) su numero totale di campioni per anno DDT Aldrin Benzo(a)Pirene IPA PCB TBT REGIONI 2001 2002 2003 0/4 0/8 1/4 ABRUZZO EMILIA ROMAGNA 0/4 0/8 5/8 0/4 0/8 0/8 FRIULI MARCHE 4/5 2/10 5/10 0/1 0/2 0/1 MOLISE 0/5 0/10 0/10 VENETO 0/5 6/10 5/10 LIGURIA 0/6 0/12 0/12 TOSCANA 0/7 0/14 0/14 CAMPANIA * 9/12 6/6 LAZIO 0/3 0/6 0/6 BASILICATA 0/7 0/14 0/14 PUGLIA 0/8 0/16 6/16 SARDEGNA * 0/14 0/7 CALABRIA * * * SICILIA * : non sono stati eseguiti campionamenti 2001 2/4 0/4 0/4 0/5 0/1 0/5 0/5 0/6 0/7 * 0/3 0/7 0/8 * * 2002 0/8 0/8 0/8 0/10 0/2 0/10 0/10 0/12 0/14 0/12 0/6 0/14 0/16 0/14 * 2003 2/4 0/8 1/8 0/10 0/1 0/10 0/10 0/12 0/14 0/6 0/6 0/14 0/16 0/7 * 2001 0/4 0/4 1/4 0/5 0/1 0/5 2/5 2/6 1/7 * 0/3 0/7 0/8 * * 2002 0/8 0/8 5/8 0/10 ¼ 0/10 0/10 0/12 1/14 1/12 0/6 0/14 0/16 0/14 * 75 2003 0/4 0/8 4/8 0/10 0/5 0/10 1/10 0/12 1/14 0/6 0/6 0/14 0/16 0/7 * 2001 3/4 0/4 3/4 0/5 0/1 0/5 3/5 0/6 2/7 * 0/3 0/7 0/8 * * 2002 7/8 0/8 6/8 0/10 2/4 2/10 0/10 0/12 2/14 2/12 0/6 0/14 0/16 3/7 * 2003 4/4 2/8 6/8 0/10 3/5 0/10 1/5 5/12 3/14 0/6 0/6 0/14 9/16 0/7 * 2001 4/4 0/4 2/4 0/5 1/1 0/5 2/5 0/6 2/7 * 0/3 0/7 0/8 * * 2002 4/8 0/8 4/8 0/10 1/2 1/10 4/10 0/12 1/14 0/12 0/6 0/14 2/16 0/9 * 2003 0/4 2/8 0/8 0/10 0/1 0/10 2/10 0/12 1/14 0/6 0/6 0/14 2/16 0/7 * 2001 * 0/4 0/4 0/5 0/2 0/5 0/5 0/6 0/7 * 3/3 0/7 0/8 * * 2002 0/8 0/8 4/8 0/10 2/6 0/10 0/10 12/12 0/14 6/12 6/6 0/14 1/16 0/14 * 2003 0/4 0/8 0/8 0/10 4/5 0/10 0/10 12/12 0/14 6/6 6/6 0/14 0/16 0/7 * Legambiente - Mare monstrum 2004 Tabella relativa ai valori di concentrazione dei metalli pesanti (Arsenico, Cadmio, Cromo, Mercurio, Nichel e Piombo) riscontrati nei sedimenti marini durante il triennio di monitoraggio 2001 - 2003. Sono evidenziati i casi in cui si ha almeno un valore al di sopra del limite previsto dal D. n.367 del 6/11/2003. valori al di sopra del limite di legge (n.367 del 6/11/2003) su numero totale di campioni per anno As Cd Cr totale Hg Ni Pb REGIONI 2001 2002 2003 0/4 0/8 0/4 ABRUZZO EMILIA ROMAGNA 0/4 0/8 0/8 0/4 0/8 0/8 FRIULI MARCHE 1/5 0/10 3/10 0/1 0/4 0/5 MOLISE VENETO 3/5 3/10 4/10 LIGURIA 4/5 6/10 2/10 TOSCANA 4/6 8/12 7/12 CAMPANIA 2/7 7/14 6/14 * 7/12 1/6 LAZIO BASILICATA 1/3 1/6 1/6 0/7 0/14 0/14 PUGLIA SARDEGNA 1/8 0/16 2/16 * 4/14 5/7 CALABRIA * * SICILIA 4/8 * : non sono stati eseguiti campionamenti 2001 0/4 0/4 0/4 0/5 0/3 1/5 2/5 1/6 1/7 * 0/3 1/7 1/8 * * 2002 0/8 0/8 0/8 0/10 0/6 5/10 1/10 0/12 3/14 0/12 0/6 0/14 2/16 0/14 * 2003 0/4 0/8 1/8 0/10 0/5 5/10 5/10 0/12 3/14 0/6 0/6 3/14 4/16 0/7 8/8 2001 0/4 2/4 3/4 0/5 0/3 2/5 4/5 6/6 1/7 * 1/3 0/7 0/8 * * 2002 1/8 0/8 7/8 0/10 0/6 9/10 8/10 11/12 3/14 1/12 1/6 0/14 0/16 0/14 * 2003 0/4 2/8 6/8 0/10 0/5 7/10 8/10 12/12 1/14 0/6 2/6 0/14 1/16 1/7 1/8 2001 0/4 0/4 4/8 0/5 0/1 4/5 1/5 6/6 3/7 * 1/3 0/7 0/8 * * 2002 0/8 0/8 8/8 0/10 0/4 9/10 3/10 7/12 1/14 3/12 0/6 0/14 0/16 0/14 * 2003 0/4 0/8 8/8 0/10 0/5 8/10 2/10 6/12 5/14 0/6 0/6 0/14 0/16 0/7 1/8 2001 0/4 4/4 3/4 1/5 0/3 3/5 5/5 6/6 0/7 * 1/3 6/7 0/8 * * 2002 0/8 5/8 4/8 1/10 1/6 3/10 9/10 11/12 2/14 4/12 1/6 7/14 0/16 0/14 * 2003 0/4 7/8 7/8 2/10 0/5 3/10 9/10 12/12 2/14 0/6 3/6 0/14 0/16 1/7 0/8 7.9 La depurazione in Italia Le acque reflue urbane, che in passato contenevano quasi esclusivamente sostanze biodegradabili, presentano attualmente maggiori problemi di smaltimento a causa della presenza sempre più ampia di composti chimici di origine sintetica, impiegati prevalentemente nel settore industriale. Il mare, così come i fiumi ed i laghi, non è in grado di ricevere una quantità di sostanze inquinanti superiore alla propria capacità autodepurativa senza vedere compromessa la qualità delle proprie acque ed i normali equilibri dell'ecosistema. L’autodepurazione, che avviene attraverso differenti e spesso complessi meccanismi, comporta una sorta di recupero e riutilizzazione dei materiali costituenti le sostanze inquinanti. Essa avviene attraverso processi chimici (idrolisi), fisici (diluizione, sedimentazione e adsorbimento) e biologici (biodegradazione, bioaccumulo animale e vegetale, etc.). E' evidente quindi la necessità di depurare le acque reflue artificialmente attraverso sistemi di trattamento che imitino i suddetti processi che avvengono naturalmente. La conseguenza diretta dell'utilizzo dell'acqua, per attività domestica e cicli industriali, è pertanto la produzione di scarichi che, per poter essere restituiti all'ambiente, devono necessariamente essere sottoposti ad un trattamento depurativo. 76 2001 0/4 0/4 3/4 0/5 0/3 2/5 3/5 0/6 2/7 * 0/3 2/7 0/8 * * 2002 0/8 0/8 6/8 0/10 0/6 4/10 8/10 1/12 6/14 6/12 0/6 0/14 2/16 0/14 * 2003 0/4 0/8 7/8 0/10 0/5 5/10 7/10 2/12 2/14 2/6 0/6 0/14 3/16 1/7 0/8 Legambiente - Mare monstrum 2004 Quindi l'acquisizione di informazioni riguardante i sistemi di fognatura e gli impianti di depurazione costituisce un valido strumento per valutare l’entità dell’impatto delle attività che si svolgono sulla costa e nelle zone interne del paese sull’ecosistema marino, soprattutto per quanto riguarda la zona sottocosta. 7.9.1 Obiettivi fissati dalla normativa Il raggiungimento degli obiettivi principali fissati dal recente D.lgs. 152/99 e smi, che definisce la disciplina generale per la tutela delle acque, dovrà essere conseguito attraverso l’adeguamento dei sistemi di fognatura e depurazione degli scarichi idrici nell’ambito del servizio idrico integrato, come previsto dalla legge 5 gennaio 1994, n. 36 “ Disposizioni in materia di risorse idriche”. In base a quanto stabilito dall’art.27, comma 1 del D.lgs. 152/99 e smi, gli agglomerati devono essere provvisti di reti fognarie per le acque reflue urbane: - entro il 31 dicembre 2000 per agglomerati con numero di abitanti equivalenti superiore a 15.000 a.e.; - entro il 31 dicembre 2005 per agglomerati con numero di abitanti equivalenti compreso tra 2.000 e 15.000. Il comma 2 prevede, inoltre, che devono essere provvisti di reti fognarie tutti gli agglomerati con oltre 10.000 abitanti equivalenti, le cui acque reflue urbane si immettono in acque recipienti considerate “ aree sensibili”. Valutare lo stato dell’arte ad oggi non è cosa semplice, perché non esistono fonti di dati omogenee sulla copertura del sistema di depurazione sull’intero territorio aggiornate ed esaustive. I dati più aggiornati si riferiscono alla capacità di depurazione dei 103 capoluoghi di provincia, raccolti per Ecosistema urbano 2004 di Legambiente e i dati relativi ai 52 ATO (ambiti territoriali ottimali) insediati raccolti dal Comitato di vigilanza sull’uso delle risorse idriche. 7.9.2 La capacità di depurazione per i 103 capoluoghi di provincia italiani L’indicatore preso in considerazione è denominato Capacità di depurazione ed è espresso in valore percentuale (Ecosistema Urbano 2004). Questo parametro considera gli abitanti allacciati al servizio fognario, quelli al servizio di depurazione, il numero dei giorni di funzionamento e la capacità (abitanti equivalenti) degli impianti di depurazione e, nel caso il COD in uscita superi i 125 mg/l, l’efficienza di depurazione (misurata dal rapporto tra COD in uscita e COD in ingresso). Nella tabella sottostante vengono considerati i valori di questo indicatore per i 103 comuni capoluogo. La situazione resta critica ad Imperia, Milano e Trapani, gli unici comuni in cui i sistemi di depurazione mancano o coprono ancora solo una piccola parte della città. Il numero di abitanti 77 Legambiente - Mare monstrum 2004 allacciati è inferiore al 50% della popolazione ancora in 13 comuni, mentre sono passati da 63 a 71 quelli in cui si supera l’80%. In media, i 103 comuni registrano una percentuale di depurazione intorno al 79% (+2% rispetto al 2001), valore che scende di circa sei punti percentuali se calcoliamo la media ponderata in base al numero di abitanti (in primo luogo per l'influenza di Milano). Gli impianti di depurazione dichiarano reflui in uscita generalmente a norma e solo in tre casi sono superiori al valore limite di 125 mg COD previsto dal D.lgs 152/99 (Brindisi, Foggia e Frosinone). Appena al di sotto del limite i valori dichiarati da Lecce (124 mg COD). Nella tabella vengono considerati i valori della Capacità di depurazione per i 103 comuni capoluogo di provincia posizione 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 24 24 24 24 28 28 30 30 32 32 32 32 Città Aosta Bari Bologna Cagliari Campobasso Gorizia Isernia Lecce Livorno Mantova Massa Oristano Pavia Perugia Piacenza Ragusa Rieti Sassari Savona Siena Sondrio Torino Vercelli Lecco Verbania Trieste Cremona Trento Rimini Terni Caltanissetta Matera Caserta Crotone Bolzano Capacità posiCapacità posiCittà Città di dep. zione di dep. zione 100% Pescara 93% Salerno 36 69 100% Biella 93% Brescia 36 69 100% Varese 93% Belluno 36 73 100% Parma 92% Venezia 39 73 100% Bergamo 92% Pesaro 39 75 100% Grosseto 92% Chieti 39 76 100% Cosenza 92% Enna 39 77 100% Prato 92% Ferrara 39 78 100% Roma 91% Asti 44 79 100% Genova 91% Firenze 44 80 100% Modena 90% Ravenna 46 80 100% Verona 90% Brindisi 46 82 100% Siracusa 89% La Spezia 48 83 100% Cuneo 89% Vibo Valentia 48 84 100% Potenza 88% Napoli 50 84 100% Novara 88% Messina 50 86 100% Teramo 88% Avellino 50 87 100% Lodi 88% Frosinone 50 88 100% Ascoli Piceno 88% Agrigento 50 89 100% Arezzo 87% Nuoro 55 90 100% Reggio Emilia 87% Macerata 55 91 100% Viterbo 86% Padova 57 92 100% L'Aquila 86% Pistoia 57 92 99% Vicenza 85% Pordenone 59 94 99% Ancona 85% Treviso 59 95 99% Udine 84% Palermo 61 96 99% Como 84% Taranto 61 97 98% Forlì 84% Catania 61 98 98% Pisa 83% Reggio Calabria 64 98 95% Rovigo 82% Benevento 65 100 95% Catanzaro 82% Imperia 65 Nd 94% Lucca 82% Milano 65 Nd 94% Alessandria 81% Trapani 68 Nd 94% Foggia 80% 69 94% Latina 80% 69 Fonte: Legambiente – Ecosistema Urbano 2004 (Comuni, dati 2002) 78 Capacità di dep. 80% 80% 79% 79% 77% 76% 75% 70% 66% 65% 65% 61% 60% 59% 59% 58% 57% 56% 51% 48% 44% 42% 42% 32% 26% 21% 20% 15% 15% 11% 0% 0% 0% Legambiente - Mare monstrum 2004 7.9.3 La situazione del sistema di fognatura e degli impianti di depurazione in Italia Nel “Secondo rapporto sulle ricognizioni sulle opere di adduzione, distribuzione, fognatura e depurazione”pubblicato nel maggio 2003 dal Comitato di vigilanza sull’uso delle risorse idriche sono stati analizzati i dati trasmessi da 52 ATO. Il campione, riguarda quindi il 60,2% della popolazione nazionale, corrispondente circa a 35 milioni di abitanti su un totale complessivo di 57,5 milioni. Per molte regioni, come Piemonte, Umbria, Marche, Lazio, Puglia, Basilicata, Calabria e Sicilia i dati disponibili rappresentano il 100% della popolazione residente. Per il Veneto e l’Emilia Romagna invece i dati analizzati interessano rispettivamente il 45% e il 9 % della popolazione. La rappresentazione che ne deriva fornisce tuttavia una significativa visione di insieme della situazione. Nella tabella viene indicato il numero dei comuni e degli abitanti residenti su cui sono state eseguite le ricognizioni esaminate dal Comitato per la vigilanza sull’uso delle risorse idriche e la rappresentatività del campione espressa in percentuale. REGIONE COMUNI CONSIDERATI Piemonte 1209 POPOLAZIONE RESIDENTE CONSIDERATA 4.291.541 Veneto 245 2.003.520 45 Emilia Romagna 18 352.000 9 Toscana 255 3.225.378 91 Umbria 92 836.168 100 Marche 246 1.441.760 100 Lazio 377 5.209.982 100 Abruzzo 204 752.864 59 Campania 356 5.072.274 87 Puglia 258 4.090.068 100 Basilicata 131 610.330 100 Calabria 409 2.070.992 100 Sicilia 390 5.107.850 100 ITALIA RAPPRESENTATIVITÀ DEL CAMPIONE (%) 100 4190 35.064.627 61 Fonte: elaborazione Legambiente su dati del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio: Comitato per la vigilanza sull’uso delle risorse idriche – “Lo stato dei servizi idrici, Anno 2002”. 79 Legambiente - Mare monstrum 2004 Il grado di copertura del sistema fognario negli ambiti presi in esame si attesta mediamente intorno all’84% della popolazione residente. La percentuale tende però a ridursi al 78 e al 79% per quanto riguarda la Sicilia e il Lazio rispettivamente. Per quanto riguarda la tipologia dei sistemi di fognatura questi sono prevalentemente a rete mista (72%), mentre in alcuni ambiti con territori costieri (ad esempio in Toscana e in Veneto) si osserva una significativa separazione delle reti tra acque nere (acque di scarico) e acque bianche (acque di pioggia). Alla separazione delle reti viene normalmente associata una ottimizzazione tecnico-economica del sistema di smaltimento e trattamento delle acque reflue, in particolare per gli eventi di pioggia. Un dato importante proviene dalla percentuale di scarichi privi di trattamento rispetto al totale degli scarichi. Questo parametro indirettamente fornisce un quadro dei terminali che già sono sotto controllo e di quelli su cui è necessario intervenire. Dalla tabella emerge che mediamente il 36% degli scarichi si riversa nei corpi idrici e nel suolo senza subire alcun trattamento di depurazione. Si passa da valori medi assai ridotti in Piemonte (22%), nel Veneto (11%) ed in Emilia Romagna (21%) a valori crescenti fino a pervenire al 47% della Calabria e al 62% della Sicilia. La copertura di depurazione rappresenta la percentuale di popolazione servita dal servizio di depurazione rapportata alla popolazione residente e individua il livello di servizio raggiunto nel trattamento dei reflui domestici. Il quadro che emerge dalle ricognizioni effettuate indica che il 73% della popolazione nazionale dovrebbe usufruire del servizio di depurazione. Se si osservano le medie regionali la situazione rimane più o meno la stessa in tutte le regioni passando da un minimo del 58% in Veneto e Toscana ad un massimo del 91% in Puglia. Analizzando invece i dati per i singoli ambiti il campo di variazione è molto esteso e si passa da un minimo del 33% ( a Media Valdarno e Macerata) ad un massimo del 98% a Roma. 80 Legambiente - Mare monstrum 2004 In tabella per le regioni considerate sono indicati alcuni parametri descrittivi del sistema fognario e degli impianti di depurazione. COPERTURA COPERTURA SCARICHI PRIVI DEL SERVIZIO LUNGHEZZA DEI DEL SERVIZIO DI TIPI DI RETE (%) REGIONE DI DI TRATTAMENTI FOGNATURA DEPURAZIONE DEPURATIVI (%) (%) (%) bianca mista nera Piemonte 88 8 87 12 22 68 Veneto Emilia Romagna Toscana 65 16 68 30 11 58 82 16 65 19 21 78 86 14 53 39 38 58 Umbria 81 13 84 5 27 81 Marche 82 9 80 11 34 68 Lazio 79 6 83 11 26 84 Abruzzo 90 1 84 20 14 78 Campania 86 3 93 4 42 70 Puglia 94 9 0 91 23 91 Basilicata 92 0 53 47 13 85 Calabria 89 6 58 36 47 74 Sicilia 78 10 69 21 62 64 ITALIA 84 9 72 22 36 73 Fonte: elaborazione Legambiente su dati del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio: Comitato per la vigilanza sull’uso delle risorse idriche – “Lo stato dei servizi idrici, Anno 2002”. 7.10 Balneabile sì, balneabile no, balneabile forse! La balneazione nel nostro Paese è regolata dal DPR. 470/82 che è stato modificato con Legge 422/2000 e recentemente con il Decreto Legge del 31 marzo 2003 n° 51 convertito in legge il 30 maggio 2003 n° 121. In base al DPR 470/82 la stagione balneare va dal 1° maggio al 30 settembre e il periodo di campionamento va dal 1 aprile al 30 settembre con cadenza bisettimanale: quindi per poter stabilire la balneabilità di un tratto di mare sono necessari almeno 12 campionamenti; se sono 11 viene decretata la non balneabilità per insufficienza di campionamento. Le acque vengono dichiarate balneabili per la stagione balneare in corso sulla base dei risultati di campionamenti effettuati l’anno precedente: quindi la costa balneabile nella stagione 2003 è quella in cui almeno 12 campionamenti effettuati nel 2002 sono risultati favorevoli con le percentuali previste (80% dei risultati favorevoli per i parametri batteriologici; il 90% per gli altri). 81 Legambiente - Mare monstrum 2004 Entro il 1° aprile di ogni anno le zone di balneazione devono essere determinate dalle Regioni - tramite delibera - in base quindi ai dati raccolti l'estate precedente. Spetta ai Comuni delimitare su questa base prima del 1° maggio, con ordinanza del sindaco, le zone non idonee alla balneazione ricadenti nel loro territorio. Con le modifiche apportate dalla Legge 422/2000, se nel corso della stagione balneare durante i campionamenti di routine, si verifica che le analisi effettuate su un campione risultano sfavorevoli anche solo per un parametro (temperatura, trasparenza, coliformi ecc.), il laboratorio che effettua i controlli deve mettere in atto ispezioni dei luoghi per verificarne la causa e dovrà anche effettuare le analisi su cinque campioni prelevati in giorni diversi nello stesso punto. Se in più di un campione (quindi ne bastano due) anche uno solo dei parametri non sarà entro i limiti, la zona dovrà essere temporaneamente vietata alla balneazione. Su queste acque dovranno comunque continuare i controlli con la frequenza prevista (due al mese) e i risultati dei 5 prelievi suppletivi non dovranno essere utilizzati per ottenere la percentuale dei campioni favorevoli per definire la balneabilità della stagione balneare successiva. Se sulle acque dichiarate temporaneamente non idonee si verificano due analisi favorevoli consecutive per tutti i parametri, queste potranno essere nuovamente adibite alla balneazione. Con l’ulteriore modifica apportata attraverso il Decreto Legge del 31 marzo 2003 n° 51 convertito in Legge il 30 maggio 2003 n° 121, si dà la possibilità di riaprire le spiagge dichiarate non idonee alla balneazione sulla base di quanto sopra , se si verifica l’eventualità che due prelievi effettuati a partire da aprile e durante la stagione balneare in corso, diano risultati favorevoli per tutti i parametri. Il quadro a questo punto appare ulteriormente complicato: questo potrebbe significare che con delibera della Regione, potranno essere riaperte durante la stagione balneare in corso, spiagge già dichiarate non balneabili qualora due prelievi risultino favorevoli per tutti i parametri. Ma questa eventualità potrà verificarsi a questo punto in aprile, maggio, giugno e così via e non è necessario che i prelievi siano consecutivi. Qualora infine il tratto in questione sia riaperto alla balneazione, secondo quanto previsto da questo nuovo provvedimento, dovranno essere effettuate analisi ogni 10 giorni, durante tutto il periodo di massimo affollamento (chi lo stabilisce qual è?) e nel caso che almeno due campioni diano risultato non favorevole anche per uno solo dei parametri dovrà nuovamente essere revocata la balneazione. 7.10.1 Qualità delle acque di balneazione in Italia La pubblicazione dei dati relativi alla qualità delle acque di balneazione era stata una conquista acquisita in anni di vertenze e di polemiche suscitate dall’attività di Goletta Verde. Da un paio d’anni a questa parte però il Ministero della salute, non sembra tenere in conto il diritto d’informazione dei bagnanti e mostra una forte reticenza alla divulgazione dei dati relativi alla 82 Legambiente - Mare monstrum 2004 balneabilità delle acque nel nostro Paese. Infatti lo scorso anno sono stati resi pubblici a fine agosto, ovvero a fine stagione balneare anziché all’inizio come previsto dalla normativa e quest’anno la pubblicazione sul sito dei dati sintetici è stata “costretta” dalla divulgazione di dati da parte di un’agenzia di stampa, che li aveva avuti per via indiretta.Dai dati emerge che dopo una diminuzione verificatasi tra il 1995 e il 2001 (-32%), i chilometri di costa vietati alla balneazione per motivi di inquinamento sono tornati ad aumentare, nonostante una contemporanea crescita delle deroghe, giungendo ad attestarsi intorno ai 430 km (il 5,8% della costa italiana), per poi diminuire a circa 406 km nel 2003. Le situazioni più critiche restano quelle della Campania (il 17,4% della costa) e del Lazio (il 12, 5 % della costa). Crescono i tratti di costa inquinati in Abruzzo (+1,4%) e diminuiscono invece significativamente in Veneto (-5,5%) e in Emilia Romagna (-4,3%). Se ai tratti di costa non balenabile per inquinamento si aggiungono quelli non sufficientemente campionati o non controllati affatto, che risultano ugualmente non balenabili, la costa complessivamente non fruibile diventa lunga complessivamente 1.480 km, ovvero il 20%. Quattro regioni hanno utilizzato il decreto di deroga per valori inferiori ai limiti di legge per la saturazione dell’ossigeno, in particolare Emilia Romagna per le province di Ravenna e Ferrara per un totale di 14, 4 km, il Veneto per le province di Rovigo e Venezia per un totale di 14,7 km, il Lazio per la sola provincia di Roma su 13,1 km infine le Marche per 3 km della provincia di Ascoli Piceno. E’ utile sottolineare che a differenza dei monitoraggi di cui si è parlato precedentemente, i dati del Ministero della Salute si riferiscono unicamente condizioni igienico sanitarie delle acque marine e non sulla loro qualità complessiva. 83 Legambiente - Mare monstrum 2004 In tabella vengono indicati i km di costa non balneabili per il periodo 1995 – 2003. Inoltre viene indicata la percentuale per ciascuna regione e per tutta l’Italia di costa vietata alla balneazione nell’anno 2003. Regioni km di costa vietati temporaneamente o permanentemente per inquinamento 1995 1998 2001 2002 2003 % costa 2003 Liguria 11,1 13,6 12 12 8,8 2,5 Toscana 16,8 11,9 11 12 7,7 1,3 Lazio 79,9 69,5 36 42 45,3 12,5 Campania 145,2 89,1 84 87 81,8 17,4 Basilicata 1,6 2,4 2 2 1,6 2,6 Calabria 29,9 52,9 36 49 51,4 7,2 Puglia 47,7 50,4 61 50 48,6 5,6 Molise 0,6 0,7 1 2 0,7 2,0 Abruzzo 8,6 8,2 7 8 9,9 7,9 Marche 15,9 11,7 11 10 10,4 6,0 3 3 3 9 3 2,3 7,4 2,7 3 13 4,1 2,6 5 0 0 0 0 0 148,7 68,2 71 74 69,2 4,7 71 63,3 62 62 63,2 3,7 Emilia Romagna Veneto Friuli Venezia Giulia Sicilia Sardegna Totale 592,4 447,6 401 431 405,7 Fonte: elaborazione Legambiente su dati del Ministero della Salute 84 5,5 Legambiente - Mare monstrum 2004 8. Mediterraneo e Mutamenti climatici Il cambiamento del clima è stato definito dall'IPCC (Intergovernamental Panel for Climate Change) come una variazione attribuibile, direttamente o indirettamente, alle attività dell'uomo, che creano alterazioni della composizione dell'atmosfera globale. Il cambiamento climatico generato dai cambiamenti globali si va ad aggiungere alla normale variabilità climatica su un periodo di tempo confrontabile. L'aspetto climatico costituisce senza dubbio la componente più visibile e anche più nota dei cambiamenti globali dell’atmosfera, sebbene questi operino anche attraverso meccanismi più complessi e profondi che innestano reazioni, più o meno note, sul pianeta terra ed i suoi ecosistemi. L’aumento della temperatura superficiale del globo terrestre implica infatti una serie di cambiamenti che vanno ad influire in maniera diretta sugli ecosistemi, modificando sensibilmente le strategie adattative di sopravvivenza degli organismi, e ampliando (o riducendo) la biodiversità propria di una determinata nicchia ecologica. E proprio dal riscaldamento del pianeta verrebbe secondo uno studio dell' Università di Leeds in Gran Bretagna la più grave minaccia alla biodiversità. L’indagine condotta in sei aree del mondo particolarmente rappresentative dal punto di vista del patrimonio naturalistico, ha accertato che i cambiamenti climatici potrebbero provocare la progressiva estinzione di un quarto degli animali e delle piante. Una percentuale compresa fra il 15 e il 37% di tutte le specie che abitano le aree prese in esame potrebbe infatti estinguersi nel giro di tre o quattro anni, ma ad essere minacciate potrebbero essere un milione di specie se si estendono le proiezioni a tutto il pianeta. In ambiente terrestre l’aumento della temperatura è infatti un fattore limitante per gli organismi (come conseguenza di una riduzione del range termico utile per lo svolgimento dei processi biologici), e comporta una selezione importante; in ambiente acquatico tale variazione si traduce invece spesso in aumento della biodiversità, sia a livello di fauna che di flora. Il bacino del Mediterraneo, caratterizzato in passato da valori medi di temperatura tali da classificarlo come mare temperato, ha subito negli ultimi decenni l’influenza delle variazioni termiche globali che hanno interessato tutto il pianeta. Secondo recenti studi, l’innalzamento delle acque del globo, sarebbe di 15 centimetri negli ultimi cento anni, e le stime future prevedono, da qui al 2100, una crescita del livello medio degli oceani da un minimo di 15 centimetri (con un aumento del riscaldamento medio di 1,4 °C) a un massimo di 90 (con un riscaldamento medio di 5,8 °C). L’innalzamento delle acque del Mediterraneo è previsto di 20-30 centimetri, ma potrebbe essere anche doppio nelle aree sensibili al fenomeno della subsidenza: le aree a rischio sono 33, localizzate soprattutto nelle coste del Nord Italia. Secondo un modello realizzato in Versilia dall’ICRAM, che può essere utilizzato per tutte le aree costiere italiane, la costa arretrerebbe di diverse 85 Legambiente - Mare monstrum 2004 decine di metri entro il 2100 se l'ambiente fosse completamente abbandonato a se stesso con ricadute sia sull'ambiente che sui sistemi produttivi. L' invasione marina delle aree costiere basse e delle paludi costiere accelera l'erosione, aumenta la salinità negli estuari e nei delta a causa dell'ingresso del cuneo salino, produce una maggiore infiltrazione di acqua salata negli acquiferi della fascia litorale, riduce le zone umide di acqua dolce e salmastra. Tutto ciò ha come effetto uno stravolgimento negli ecosistemi e negli habitat di flora e fauna, con una conseguente possibile diminuzione di variabilità genetica. Sulle cause dell’innalzamento del mare lo scioglimento dei ghiacciai non sembra avere una influenza cosi determinante, quanto piuttosto l'innalzamento della temperatura stessa. L’aumento e la distribuzione della temperatura tra i diversi strati dell’acqua marina, ha come conseguenza la modificazione della circolazione delle masse d’acqua, che oltre ad innalzare il livello del mare, provoca il determinarsi con maggiore frequenza di eventi meteorologici che sarebbero invece eccezionali. Gli effetti più conosciuti dei cambiamenti globali in mare riguardano le grandi masse oceaniche, basti pensare a El Niño che è un fenomeno climatico che dura diversi mesi, e che si manifesta circa ogni quattro anni. Le prime avvisaglie si presentano attorno a dicembre, quando i satelliti rilevano un aumento significativo della temperatura sulla superficie dell’Oceano Pacifico, lungo una vasta area che va dalle coste peruviane in direzione di quelle australiane. La variazione provoca la morte del plancton e dei pesci, e proprio per questo, la prima conseguenza di El Niño è un periodo di scarsa pescosità in quelle acque. Con una serie di effetti a cascata, El Niño è poi in grado di influenzare il clima di tutto il mondo. Da principio, il riscaldamento delle acque provoca la morte dei coralli dall’altra parte dell’Oceano Pacifico, lungo le coste australiane (e nel 1998 ha interessato anche vaste zone dell’Oceano Indiano). Inoltre, la temperatura anomala del mare influenza i venti e origina perturbazioni che portano uragani e alluvioni lungo le coste dell’America del Nord. Per contro, l’Australia e il Sudest asiatico e le regioni dell’Africa centrale e meridionale devono affrontare periodi di siccità. Pur essendo un fenomeno periodico, la frequenza e l’intensità di El Niño si sono accentuate negli ultimi decenni. Ma gli effetti dei cambiamenti climatici si fanno sentire anche nei bacini minori, quale il Mediterraneo, dove si verificano profonde e complesse alterazioni. Tutte modificazioni che innescano a loro volta immense reazioni nella componente vivente e negli ecosistemi sino ad incidere profondamente sulla produttività e la biodiversità marine, fattori a loro volta connessi agli aspetti sociali, economici e culturali. Il Mediterraneo, a causa della sua condizione di mare semichiuso e fortemente abitato, va incontro a peculiari modificazioni che, sebbene spesso non appaiano eclatanti, incidono profondamente sull'intero sistema. 86 Legambiente - Mare monstrum 2004 Tra gli effetti riconducibili ai cambiamenti climatici si osservano modificazioni significative, che possono essere ricondotte a variazioni nelle temperature stagionali, al cambio delle stagioni e all’aumento dell’anidride carbonica che incidono sull’ecologia e la biologia delle specie marine. Ad esempio determinando cambiamenti qualitativi e quantitativi dei nutrienti presenti nelle acque marine con conseguenti ripercussioni sulla produzione primaria, cioè il fitoplancton. Fenomeno questo che può essere messo probabilmente in relazione con la formazione delle mucillagini. Le variazioni sul fitoplancton possono avere effetti molto importanti sui livelli successivi della piramide trofica, inducendo mutamenti della qualità e quantità delle comunità che occupano i livelli successivi, in particolare sullo zooplancton, sino ad arrivare al necton, e quindi agli animali marini che occupano i vertici della piramide alimentare. Secondo uno studio francese riportato sulla rivista Nature, le temperature attuali del Mediterraneo potrebbero mettere a repentaglio la sopravvivenza di un gamberetto della famiglia dei Misidi, e già adesso il krill che è una popolazione di piccoli crostacei di cui si cibano principalmente i cetacei, sta sparendo per lo stesso motivo. L’innalzamento della temperatura sta mettendo a rischio anche le gorgonie, piccoli animali marini dall’aspetto di piante di vari colori che vivono fissate alle scogliere sommerse e che sono suscettibili anche di minime variazioni climatiche. Il fitoplancton, negli oceani e nei mari della fascia temperata compreso quindi il Mediterraneo, segue un ciclo annuale in accordo con il succedersi delle stagioni, è quindi evidente che qualsiasi effetto che determini uno squilibrio delle stagioni può ripercuotersi negativamente sulla sua attività di produzione primaria e di conseguenza creare squilibri su tutta la catena alimentare. Determinando quindi anche possibili variazioni nella quantità e nella qualità delle specie pescabili. Gli effetti dei cambiamenti climatici possono essere anche messi in relazioni con le alterazioni nella biodiversità sia nella flora che nella fauna; questo può significare il verificarsi di variazioni relative a modificazione genetiche all'interno delle specie, perché si selezionano organismi capaci di vivere in condizioni ambientali mutate. Sebbene l’aumento medio della temperatura del mare si attesti su valori decisamente modesti (circa quattro decimi di grado per decade), nettamente più sensibile risulta la variazione correlata alla temperatura superficiale (SST – Surface Sea Temperature) Il bacino del Mediterraneo ha visto un deciso trend crescente della SST dal 1970 fino ai giorni nostri e si sono raggiunti nell’ultimo decennio valori decisamente elevati tali da accomunare la temperatura del Mediterraneo a quella dei mari tropicali (come ad esempio il Mar dei Caraibi). In particolare nell’estate 2003 si è registrato un aumento di temperatura delle acque a livello superficiale molto superiore alle medie stagionali. L’ENEA ha recentemente presentato uno studio basato su osservazioni satellitari della temperatura superficiale del Mediterraneo dal 1985 in cui si 87 Legambiente - Mare monstrum 2004 evidenzia come essa presenti un ciclo annuale con un massimo di circa 26°C in estate ed un minimo di circa 15°C in inverno. Nel corso del 2003, invece l’andamento regolare osservato nei precedenti 18 anni è stato stravolto dai valori insolitamente alti di SST registrati nel periodo estivo dove sono state raggiunte temperature medie prossime ai 29°C. Valori ben al di sopra della media degli anni precedenti ed al di fuori dei limiti osservati di variabilità interannuale. L’uso dei dati di telerilevamento spaziale ha permesso di quantificare esattamente sia l’ampiezza, sia la distribuzione spaziale e temporale dell’anomalo riscaldamento del mar Mediterraneo durante l’estate del 2003; anomalia riscontrata sia a livello locale che in termini di media di bacino. Localmente sono stati raggiunti valori spesso oltre il 32°C in zone dove usualmente i massimi si aggiravano intorno ai 27°C. Più in dettaglio le aree dove il riscaldamento è stato maggiore sono state quelle del golfo del Leone e del mar Ligure, Tirreno, Ionio settentrionale ed Adriatico nel mese di giugno. In queste aree l’anomalia termica ha raggiunto, in media i 4°C con punte intorno ai 5°C nel mar Ligure, alto Tirreno e sul lato Italiano del mar Adriatico. In Luglio il fenomeno, pur mantenendosi su valori estremamente elevati si è attenuato presentando valori massimi di quasi 3°C ad est della Sardegna e nella zona tra la Tunisia, la Sardegna e la Sicilia. Nel mese di agosto si è avuto di nuovo un innalzamento della temperatura con valori intorno ai 4°C nella zona del golfo del Leone e del mar Ligure. Nel mese di settembre l’anomalia termica è andata attenuandosi scendendo sotto 1°C. 8.1 L’invasione di specie aliene Uno degli effetti più visibili negli ultimi anni dei mutamenti climatici in atto nel Mediterraneo è dato dall’invasione di specie ittiche immigrate dalla zona indo-pacifica ed atlantica. Tali specie sono state definite “aliene” poiché entrano in competizione con le specie autoctone, talvolta prendendone il posto e colonizzando vaste aree del bacino. La triglia del mar Rosso, ad esempio, viene ormai comunemente pescata e venduta, oppure le vongole filippine in Adriatico che importate dagli allevatori hanno letteralmente soppiantato le specie di vongole endemiche. Il più delle volte, però, l’invasione di specie aliene rappresenta una grave minaccia per le specie autoctone, andando a compromettere seriamente l’equilibrio dell’ecosistema. Fino a qualche decennio fa, dicono gli studiosi, i pesci alieni soccombevano o si estinguevano lentamente, sopraffatti dall'estraneità del nuovo ambiente. Oggi non è più così. Si integrano e prolificano. In pericolo, insomma, è la biodiversità, cioè il patrimonio naturale, unico e irripetibile, che caratterizza un habitat rispetto a un altro. La portata del fenomeno lascia ipotizzare un fenomeno di “ tropicalizzazione del Mediterraneo”, causato anche dall’innalzamento della temperatura medie dell’acqua marina. Quest’ultimo fenomeno è dovuto all’effetto serra e a tal proposito si parla, anche, di “meridionalizzazione”, cioè 88 Legambiente - Mare monstrum 2004 di spostamento a nord delle specie ittiche termofile del Mediterraneo, abituate ai climi più caldi. Si sta favorendo, ad esempio, l'immigrazione di pesci amanti dei climi caldi, come il pesce pappagallo (che prima viveva solo a Lampedusa e ora anche a Ustica e nelle Eolie), la Donzella pavonina, che sta soppiantando quella mediterranea, i pesci Vela o l'Aguglia imperiale, i pesci Balestra e alcune specie di Carangidi. Questo fenomeno genera diversi problemi: c'è la possibilità che nascano competizioni con le specie autoctone e si corre il rischio dell’ibridazione, senza contare i pericoli per la salute dell’ambiente e dell’uomo. Inoltre, va considerato che le specie aliene occupano un livello trofico addizionale nelle catene alimentari e la competizione con le specie indigene continuerà fino a quando non verrà raggiunto un nuovo equilibrio. Per quanto riguarda l’immigrazione di specie ittiche indopacifiche, nel 1902, è stato ritrovato il teleosteo “Atherinomorus lacunosus”, il quale può essere considerato la prima specie ittica proveniente dal Mar Rosso ritrovata nel Mediterraneo. Dal 1946 in poi, i rinvenimenti di specie penetrate attraverso il Canale di Suez sono divenuti più frequenti e senza segni di declino, tanto che il fenomeno è stato definito “ lessepsian migration” dal nome del fondatore della società che si occupò dell’apertura del canale. Il fenomeno dell’immigrazione di specie tropicali e subtropicali si sta verificando massicciamente anche attraverso lo Stretto di Gibilterra che ha sempre garantito, a differenza del Canale di Suez, una continuità con mari extra-mediterranei. La continuità con il Mediterraneo rende difficile valutare esattamente le specie atlantiche di recente immigrazione, anche perché con l’intensificazione delle campagne di studio, può avere reso possibile la scoperta di specie rare, già esistenti, nel Mediterraneo. Si ritiene che circa trenta specie ittiche tropicali e subtropicali, immigrate dall’Atlantico, hanno raggiunto una biomassa non trascurabile , estendendosi anche al Mediterraneo centrale. Oltre ad un’immigrazione definibile “geografica” delle specie aliene, vi sono altri fattori che agevolano, attualmente, la penetrazione di faune ittiche aliene del Mediterraneo. Tra le fonti di introduzione di specie non indigene nel mar Mediterraneo si possono citare: lo sviluppo dell’acquacoltura, protesa alla diversificazione della produzione e alla ricerca di nuove specie a rapida crescita e alta resistenza; l’importazione di specie ittiche per gli acquari; le acque di zavorra delle navi cisterna prelevate in mari tropicali e scaricate nel Mediterraneo, le quali, se non trattate opportunamente, possono costituire un veicolo di uova e larve delle specie tropicali; la costruzione della diga di Assuan, nel 1965, che ha abbattuto la soglia di bassa salinità che costituiva una barriera alla dispersione delle specie indopacifiche, riducendo la portata del Nilo; 89 Legambiente - Mare monstrum 2004 - - l’avvenuto aumento della temperatura dell’acqua, che è uno dei fattori nell’ambito del cambiamento climatico in atto, caratterizzato da un incontestabile mutamento delle stagioni e dall’aumento dell’anidride carbonica; esso interessa soprattutto il bacino di levante del Mediterraneo; la creazione di “enclave” artificiali con caratteristiche fisiche estranee all’ambiente originale, come è il caso degli effluenti termici delle centrali; lo sfruttamento incontrollato delle risorse e il degrado ambientale. Il cambiamento climatico globale è un forte catalizzatore dei meccanismi sopra citati. Il cambiamento globale però non si manifesta attraverso l’aumento della temperatura, ma anche nel cambio di stagioni e nell’aumento dell’anidride carbonica che incidono sulla biologia e sull’ecologia delle specie marine. Recenti studi hanno dimostrato come l’inquinamento di pesticidi, idrocarburi clorurati e metalli pesanti, incida su pesci e mammiferi marini, portando a erosione genetica, modificazione dei cicli riproduttivi e abbassamento difese immunitarie delle specie. Molte di esse si stanno indebolendo e la presenza di specie indigene stressate, lascia ampi spazi alle specie immigranti. La maggior parte delle specie tropicali sono molto più competitive di quelle Mediterranee. Inoltre il Mar Rosso, ad esempio, costituisce un ambiente molto selettivo dove vivono 1500 specie (contro le 550 del Mediterraneo), per cui una volta trovata una nicchia favorevole, possono dilagare facilmente. Secondo le previsioni, in futuro, queste invasioni biotiche sono destinate a diventare la causa principale di disgregazione ecologica, a causa della rapidità nella diffusione delle specie esotiche. Tutto ciò è da ricondursi, inoltre, alla crescente mobilità della popolazione umana, al veloce sviluppo tecnologico dei mezzi di trasporto, all’aumento del turismo e dei viaggi e al libero commercio in tutto il mondo. Malgrado la difficoltà di stimare i costi provocati da questa invasione anomala di specie aliene, alcuni studi ipotizzano che questi si possano stimare intorno ai dieci miliardi di Euro all’anno. Solo negli Stati uniti si valuta un costo annuale pari a circa 138 miliardi di dollari. Questi enormi danni hanno promosso iniziative a livello internazionale, come la Convention on Biological Diversity (Cbd) del 1992 nella quale si raccomanda di “prevenire l’introduzione di specie aliene, controllarle/radicarle, in quanto costituiscono una minaccia agli ecosistemi, agli habitat e alle specie”. Malgrado il riconoscimento dei danni causati dagli “alieni”, svariati ostacoli limitano lo sviluppo di una seria ed effettiva politica per risolvere il problema. Da una parte le nostre conoscenze limitate degli aspetti biologici dell’epidemiologia delle invasioni biotiche – inclusi vettori, parametri ecologici che influenzano la capacità delle specie aliene di diventare invasive, schemi di dispersione – limitano la capacità di predizione e la possibilità di 90 Legambiente - Mare monstrum 2004 sviluppare e implementare adeguate misure di gestione. D’altra parte, il problema è particolarmente complesso e comprende aspetti non biologici, come le vie di penetrazione, le tecniche agricole, le leggi sulle importazioni, le regole di management e le responsabilità a livello nazionale e internazionale. Pertanto il fenomeno è esteso all’intera area mediterranea, anche terrestre, ma soprattutto riguarda tutti i mari del Pianeta. Si parla, oggi, di “epidemiologia” delle invasioni biologiche, per meglio descrivere e studiare un fenomeno che sempre di più assume le caratteristiche di una vera e propria epidemia. Occorre incrementare le misure di prevenzione, promuovere lo studio e lo sviluppo di metodi di controllo efficaci. Negli ultimi anni le università, l’ICRAM ed altri enti hanno lavorato e stanno creando una mappa con tutte le specie aliene, inclusi gli invertebrati e i vegetali marini, per mettere a punto le metodologie di conservazione e gestione del patrimonio ittico del Mediterraneo. 8.2 Storie e curiosità legate al cambiamento climatico Da diversi anni si stanno diffondendo nel Mediterraneo, e soprattutto nel Canale di Sicilia, pesci che erano sconosciuti in questo mare. Sempre più spesso si leggono sui giornali notizie di avvistamenti o catture di specie mai viste prima, dalle forme e dai colori non proprio tipici dei nostri mari. Sono pesci che provengono da acque più calde e che sono arrivati attraverso il Canale di Suez e si sono stabiliti favorevolmente nel bacino del Mediterraneo, perché in queste acque la temperatura si è innalzata e si sono quindi create condizioni adatte alle esigenze di queste specie. Tra questi pesci quasi nessuno ha importanza economica, ma la loro presenza testimonia un cambiamento del clima e può rappresentare una minaccia per le specie autoctone, sia per la loro maggiore capacità di adattamento che può determinare competizione per lo stesso habitat, ma anche perché spesso le specie aliene sono dotate di maggiore aggressività, e vanno ad ampliare la fascia dei predatori. Anche la diffusione di alcune specie di piante ha provocato non pochi problemi sulla stabilità delle popolazioni presenti nel Mediterraneo, come nel caso della Caulerpa taxifolia, (alga originaria dei Caraibi dove non raggiunge dimensioni e diffusione allarmanti) che dalla prima volta in cui è stata segnalata (1984), ha raggiunto una distribuzione di oltre 13.000 ettari di superficie (Pizzolante, 2002). Tra le specie che più spesso si ritrovano nelle reti dei pescatori professionisti o attaccati alle lenze di quelli sportivi, il pesce balestra, chiamato "pisci puòrcu" perché fuori dall'acqua la sua vescica natatoria emette dei suoni simili a grugniti, la donzella pavonina, il pesce pappagallo, caratterizzato da un vero e proprio becco estremamente duro che il pesce usa per sminuzzare il corallo e altre concrezioni e procurarsi il cibo e il pesce palla. Un esemplare di pesce palla, una delle specie più gradite nella cucina giapponese, nonostante sia molto velenoso, è stata pescata lo scorso gennaio di fronte a Sciacca, in provincia di Agrigento, con estremo stupore e meraviglia 91 Legambiente - Mare monstrum 2004 del pescatore che si è trovato tra le mani un pesce mai visto. Anche nelle acque dell’isola di Pantelleria, la scorsa estate, alcuni pescatori dilettati hanno preso alla lenza un pesce tropicale di colore rosso vivo, mai visto dalla popolazione locale. Lo sviluppo di queste specie nel Mediterraneo ha, in alcuni casi, provocato danni alle popolazioni ittiche già presenti. Recentemente infatti sono stati attaccati gli allevamenti di mitili in Puglia da parte del Pesce balestra (La Stampa, 2003) che nei luoghi di origine si nutre di coralli e molluschi dal guscio ben più resistente delle cozze. Abitudini simili al Pesce balestra si trovano anche nel Pesce pappagallo e nel Pesce palla che sono dotati, così come il Pesce balestra, di un apparato mandibolare formato da una robusta dentatura in grado di frantumare l’involucro esterno degli invertebrati. In quanto a dentatura robusta un’altra specie divenuta ormai frequente nei nostri mari tanto da meritarsi l’appellattivo proprio del bacino è il Barracuda mediterraneo. E’ un pesce della famiglia degli Sfirenidi cui appartiene anche l’autoctono luccio di mare, ha il corpo allungato, il dorso bruno scuro e il ventre bianco. La testa è allungata con la mandibola inferiore più lunga di quella superiore; i denti sono sottili e molto penetranti adatti ad afferrare e stritolare le prede e infatti la sua dieta è composta quasi esclusivamente di altri pesci. Il barracuda mediterraneo è più piccolo del “cugino” tropicale, con dimensioni che oscillano tra 1 e 3 kg, ma sono stati pescati anche esemplari di 10 kg. Fino a una decina d'anni fa questa specie era praticamente sconosciuta sia ai pescatori professionisti che a quelli sportivi e la sua cattura era considerata rara ed occasionale. Negli anni seguenti il barracuda mediterraneo ha aumentato la sua diffusione e in poco tempo ha surclassato la spigola nella classifica delle prede più catturate dagli amanti dello spinning. Al momento è possibile trovarlo in quasi tutti i mari della penisola, compreso il mar Ligure. Comunque gli hot spot continuano a rimanere la Sardegna e la Corsica. Analogamente pesci serra, aguglie imperiali e lampughe vengono segnalate ormai quasi ovunque nel centro-sud d’Italia e alcune specie come le lampughe sono state segnalate persino al largo delle foci del Po. Ed è in Adriatico, vicino Venezia, che circa quattro anni fa i pescatori di due unità di pesca di Chioggia, specializzate nella cattura del pesce azzurro hanno visto levarsi tra le braccia divaricate delle rete una enorme coda a ventaglio. Dietro la coda a ventaglio un’enorme sagoma nera lunga circa una quindicina di metri che dopo alcuni colpi robusti dentro la rete è riuscita ad aprirsi un varco e ad allontanarsi. Nonostante lo stupore e la stranezza di questo episodio, nella rete dei pescatori Chioggiotti era finito un capodoglio. Ma se i capodogli arrivano a Venezia, dove sono finiti i nostri tonni? I tonni pescati nelle tonnare del trapanese sembra infatti che non abbiano più le caratteristiche tipiche dei tonni che tradizionalmente finivano sotto gli arpioni dei tonnaroti di Favignana o Bonagia, ossia i grandi riproduttori di 10-14 anni di età di provenienza atlantica, e di enorme stazza. 92 Legambiente - Mare monstrum 2004 Nelle acque siciliane si pescano ormai solo tonni di quattro, cinque anni che pesano 50-60 kg. Il motivo di questo declino del tonno rosso delle Egadi, secondo Raimondo Sarà, un biologo siciliano che da decenni studia questa specie, non è imputabile alle 'tonnare volanti' dei Giapponesi accusate di affamare i nostri pescatori lasciandoli all’asciutto, accaparrandosi tutti i tonni che transitano in quelle acque, grazie al loro micidiale sistema di pesca. Le tonnare volanti nipponiche, secondo il ricercatore, catturano infatti i tonni 'di ritorno' , ovvero quelli che hanno già superato le isole Egadi. Il vero motivo dei cambiamenti di rotta del tonno rosso, che non si è estinto, ma ha molto probabilmente scelto altre rotte migratorie per la sua riproduzione, sta verosimilmente nelle modificazioni dell’ambiente marino, tra cui anche l’aumento di temperatura può aver avuto la sua parte, che hanno agito come azioni di disturbo, tanto da indurlo a navigare in altre acque. 8.2.1 Il caso della Laguna di Venezia L’incremento e la velocizzazione dei traffici commerciali, con il conseguente accorciamento delle distanze - geografiche e temporali - e la diffusione delle tecniche di introduzione volontaria di specie esotiche (solitamente per uso commerciale) hanno infatti consentito ad alcuni organismi il più agevole superamento delle barriere biogeografiche. La presenza di tali ospiti indesiderati può comportare, in un caso come quello della Laguna di Venezia, per interferenza con gli elementi originari di un determinato contesto ambientale, una serie di conseguenze sgradite, in primo luogo la riduzione e la scomparsa di intere popolazioni indigene come il Tapes decussatus altrimenti detto a Venezia “caparozzolo” o “concolo”. Infatti, i nuovi arrivati possono trovarsi in una situazione di assenza di fattori limitanti (predatori, parassiti, scarsità di risorse alimentari…): si affrettano quindi ad occupare nicchie ecologiche non disponibili nell’ambiente di provenienza, con conseguente riduzione delle risorse e delle opportunità per le forme viventi locali, rese in tal modo meno competitive. L’introduzione di specie alloctone ai fini produttivi come quella della “vongola verace asiatica” Tapes (Ruditapes) philippinarum ( Adams & Reeve,1850) è avvenuta nelle acque italiane a partire dal 1983, con una fase sperimentale di allevamento condotta proprio nella laguna di Venezia. Lo scopo era quello di verificare l’adattamento alle condizioni ambientali dell’area in questione per poter eventualmente iniziare l’allevamento di questa nuova specie. Infatti, rispetto alla vongola verace nostrana, quella filippina denota una maggiore resistenza alle variazioni di temperatura e salinità, si adatta a una maggiore gamma di substrati e, aspetto molto importante, ha un tasso di crescita ben più elevato. Tali caratteristiche produttive hanno determinato effetti sia per la competizione con forme viventi locali, sia per i danni prodotti dai diversi attrezzi utilizzati nelle acque lagunari. 93 Legambiente - Mare monstrum 2004 Infatti oltre che un danno diretto alla biodiversità della compagine faunistica lagunare originaria, può essere causa di rilevantissimi danni ambientali per le modalità di raccolta poco rispettose dei delicati equilibri idrogeologici ed ecologici della laguna stessa, che, per il sommovimento violento dei fondali lagunari dove si riproducono i molluschi, comporta una perdita annua di sedimenti dal bacino lagunare stimata in circa 1 milione di m3. La Laguna di Venezia, che costituisce un ambiente di eccezionale valore ambientale oltre che storico, si differenzia sensibilmente dagli altri ambienti lagunari costieri mediterranei a causa di una serie di concomitanti fattori geografici, climatici, ambientali e biologici tali da conferirle affinità più marcatamente nord-europee piuttosto che tipicamente mediterranee. Tali peculiarità ambientali e biologiche, spesso definite anche come sub-atlantiche, potrebbero rappresentare, almeno in parte, il motivo per il quale la Laguna di Venezia costituisce la prima stazione di arrivo per numerose specie esotiche nell’area mediterranea. La Legambiente Veneto e il Gruppo per la salvaguardia dell’ambiente “La Salsola” ha intervistato gli esperti del Museo civico di Storia Naturale di Venezia che, a conferma dello scenario sopra descritto, da tempo hanno rivolto la loro attenzione al problema dell’introduzione di specie alloctone in laguna, sviluppando specifiche banche dati che consentono di monitorare l’arrivo e l’eventuale insediamento di organismi esotici e hanno avviato uno specifico programma di ricerca per la verifica dei possibili meccanismi di interazione con le specie autoctone presenti. La considerazione e la presa di coscienza, sulla presenza e diffusione di organismi alloctoni in laguna di Venezia ed in Italia, si è tradotta in una mostra denominata “TURISTI PER CASO” inizialmente ideata dal Museo civico di Storia Naturale del Delta del Po di Ostellato e integrata dallo staff scientifico del Museo civico di Storia Naturale di Venezia, nella quale vengono censite numerose specie di crostacei e molluschi provenienti dall’area indopacifica, atlantica e australe. 94 Legambiente - Mare monstrum 2004 9. La pesca “miracolosa” 9.1 La pesca di frodo Situazione stazionaria per quanto riguarda le posizioni delle regioni nella classifica della pesca di frodo. Si confermano anche quest’anno la Sicilia, la Puglia e la Campania nelle prime tre posizioni, anche se con valori in ascesa rispetto all’anno precedente per quanto riguarda le prime due e in decremento per la Campania. Se, infatti, la Sicilia sale da 983 infrazioni a 1229 (+25%) di quest’anno e la Puglia passa da 791 a 1020 (+28%), la Campania scende da 755 a 534. 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 LA CLASSIFICA DELLA PESCA DI FRODO NEL 2003 Regione Infrazioni Persone denunciate Sequestri accertate o arrestate effettuati Sicilia ↔ 1229 95 474 Puglia ↔ 1020 284 517 Campania ↔ 534 91 267 Lazio ↑ 452 55 323 Sardegna ↑ 259 22 1488 Calabria ↑ 258 64 215 Veneto ↓ 248 130 258 Emilia Romagna ↔ 239 36 155 Liguria ↔ 218 49 174 Marche ↓ 212 14 349 Toscana ↓ 197 21 402 Abruzzo ↓ 135 10 79 Friuli Venezia Giulia ↔ 52 4 171 Molise ↔ 7 1 10 Basilicata ↔ 0 0 0 totale 5.060 876 4882 Fonte: elaborazione Legambiente su dati Guardia di finanza, Corpo forestale dello Stato e delle Regioni a Statuto speciale e Capitanerie di porto. 9.2 I casi esemplari La “miniera” datteri Il dattero di mare (Lithophaga lithophaga) è un mollusco bivalve perforatore che colonizza le rocce calcaree, fino a 35 metri di profondità. Ad eccezione di alcune zone in cui è divenuto una vera rarità, non è una specie in via di estinzione, ma la sua cattura provoca la distruzione delle scogliere in cui vive: i datteri vengono raccolti spaccando e sminuzzando la roccia con picconi, scalpelli e addirittura martelli pneumatici. Il risultato è la completa rimozione della copertura biologica dei substrati duri superficiali (da 0 a 15 metri di 95 Legambiente - Mare monstrum 2004 profondità), con conseguente desertificazione dei fondali. Si tratta di uno dei più gravi fenomeni di erosione della biodiversità in Mediterraneo. Il dattero vive nel suo cunicolo scavato nella roccia, in gallerie fusiformi che costituiscono dei veri e propri microhabitat popolati da un gran numero di organismi. Gli ambienti più minacciati dalla cattura del dattero sono quelli litoranei di falesia calcarea, particolarmente abbondanti proprio nelle aree prescelte per l’istituzione di riserve marine e risultato di processi evolutivi particolarmente lunghi e complessi. Le zone più battute dai datterai nel nostro paese sono le coste della penisola sorrentina, in particolare i fondali dell’area marina protetta di Punta Campanella, le coste pugliesi, quelle delle Cinque Terre e del litorale spezzino e le coste sud orientali della Sicilia.A causa della pesca del dattero, siti caratterizzati dalla presenza di comunità complesse e che svolgono un’attiva funzione filtratrice dell’acqua, si trasformano in deserti rocciosi. Un dattero raggiunge 5 cm di lunghezza dopo circa 20 anni: una crescita così lenta costringe i pescatori di datteri (datterai) a cambiare continuamente luogo di raccolta, distruggendo ettari di fondale e riducendo al tempo stesso la produzione di nuove larve. Le tecniche di immersione subacquea consentono oggi a chiunque di accedere ai banchi, senza difficoltà e senza limitazioni di tempo e profondità. Per prelevare i datteri vengono utilizzati piccozze, scalpelli, martelli pneumatici e persino piccole cariche esplosive, una vera catastrofe ambientale, uno dei più gravi fenomeni di erosione della biodiversità in Mediterraneo paragonabile solo ai disastri ecologici causati dal naufragio delle petroliere. Il divieto di raccolta, detenzione e commercio di dattero di mare vige nel nostro paese sin dal 1988. Più recentemente il decreto del 16 ottobre 1998 ha prorogato questo divieto. Una circolare del Ministero delle Politiche Agricole ha chiarito infine che è perseguita allo stesso modo anche l’importazione dall’estero di datteri di mare. Dunque chi offre datteri, sia in pescheria che al ristorante, è di sicuro fuori legge. Nonostante tutto, ogni anno in Italia vengono raccolte tra le 80 e le 180 tonnellate di datteri, equivalenti a 6-15 milioni di individui e a 4-10 ettari di fondali desertificati. Ogni consumatore di datteri contribuisce in maniera sostanziale a questo scempio: basti pensare che un piatto di linguine ai datteri ne contiene circa 200 grammi, pari a 16 individui: pochi rispetto ai milioni di cui si è detto, molti se si considera che per raccoglierli si è distrutto un quadrato di fondale di 33 centimetri di lato. Le cifre del disastro 15-25 kg: il prelievo giornaliero da parte di un datteraio “professionista” 500 kg: il prelievo giornaliero di datteri lungo la penisola sorrentina 30.000 mq i fondali desertificati dai datterai ogni anno nel Salento 70.000 mq di fondali desertificati ogni anno lungo la penisola sorrentina 2 milioni di euro: il giro d’affari annuale dei datterai nella sola penisola sorrentina 1000 cmq: le dimensioni dell’area distrutta per un piatto di linguine ai datteri 96 Legambiente - Mare monstrum 2004 Il pesce all’acqua pazza in Campania Lo avevamo denunciato nei rapporti Mare monstrum degli ultimi due anni. E negli ultimi mesi del 2004 il fenomeno è esploso in modo allarmante. L’emergenza frutti di mare fuorilegge a Napoli e provincia è arrivata puntuale con l’avvicinarsi dell’estate. I dati sui casi di epatite A segnalati e raccolti dall’Asl Napoli 1 mostrano una decisa impennata nel corso del mese di aprile: ben 65 contagi, ventisei contagi fino al 26 aprile e addirittura 39 casi nei quattro giorni successivi. Il totale dall’inizio dell’anno è di 11 contagi, 108 fino al 30 aprile, contro i 16 segnalati nei primi quattro mesi del 2003. Un aumento di oltre sei volte. Per l’Istituto Superiore della Sanità, che da fine marzo si occupa dell’emergenza sanitaria in Campania, si tratta di un problema molto più serio di un allarme e sul sito www.epicentro.iss.it il problema in Campania viene etichettato come <<epidemia di epatite A>>. La spiegazione è semplice: vendita di frutti di mare “rinfrescati”, ossia conservati in bacinelle d’acqua di dubbia provenienza e vendita e somministrazione di mitili mal cucinati. Immediatamente è scattato un controllo sul territorio congiunto da parte di Guardia Costiera, Guardia di finanza, Polizia, Vigili urbani per controllare a tappeto pescherie, banchetti, spesso abusivi che sorgono come funghi in ogni angolo di strada, e che offrono abusivamente cozze, e vongole. E’ bene invece sapere che i mitili e le vongole per essere venduti correttamente devono essere imbustati nei sacchetti dei centri di stabulazione, con tanto di etichetta dove deve essere indicata la data di produzione), devono essere custoditi all’asciutto, in frigorifero ed essere consumati nei sei giorni successivi dalla data di uscita dallo stabilimento che li ha “purificati”. Le pescherie che acquistano i sacchi contenenti frutti di mare, hanno quindi l’obbligo di non “risciacquarli” in acqua perché è obbligatoria la loro conservazione in frigorifero. A Napoli, insomma più che di mucca pazza è lecito parlare di “pesce all’acqua pazza” e sono soprattutto i frutti di mare infetti a preoccupare. E lo sfizio di regalarsi una spaghettata o magari la famosa “impepata” per i cittadini diviene un rischio. Rischio che talvolta si estende anche ad altre specie ittiche: spigole ed orate scongelate con acqua torbida, cozze e calamari decorati con spicchi di limone sulle bancarelle di mezza città, ma immersi in acqua di dubbia provenienza. A Napoli le zone a rischio per la vendita di prodotti ittici sono localizzati a Porta Nolana, Porta Capuana, Lavinaio, Borgo Sant’Antonio Abate, Via Cinthia, Pianura ed Agnano. Secondo i dati SEIEVA (Sorveglianza Epidemiologica Integrata Epatite Virale Acuta) dell’Istituto Superiore della Sanità controllando il fattore di rischio "consumo frutti di mare", potrebbe essere evitato fino ad oltre il 40% dei casi di epatite. 97 Legambiente - Mare monstrum 2004 10. Mare amaro. Casi esemplari di danni alle coste 10.1 Sicilia Dall’erosione delle coste ai porti selvaggi L’erosione è un male che rischia di distruggere per sempre le spiagge siciliane e con esse un importante valore ambientale sul quale si basa buona parte dell’economia turistica della regione. Le cause dell’erosione sono note: cementificazione dei corsi d’acqua, urbanizzazione costiera con distruzione delle dune, porti e barriere di difesa che interferiscono sul trasporto solido. Ci si aspetterebbe che si intervenisse su queste cause per risolvere il problema. Ma così non è stato ed ancora non è: la politica dell’emergenza è preferita a quella della corretta pianificazione degli interventi; troppo forti gli interessi in gioco. Solo in qualche caso, come a Capo d’Orlando in provincia di Messina, è stato avviato ed è stato concluso un intervento di ripascimento della spiaggia sulla base di un progetto che muoveva dall’accertamento delle cause. Ma ci sono voluti più di 10 anni. Altri interventi dello stesso tipo che interessano le coste tirreniche della provincia sono bloccati da contenziosi amministrativi legati all’assegnazione degli appalti. Nella maggior parte degli altri casi si insegue il problema con interventi di “somma urgenza” consistenti nella posa di scogliere frangiflutti che spostano l’erosione da un punto all’altro esaltandone gli effetti: decine di milioni di euro letteralmente gettati in mare. La speranza di una riconversione del sistema si era affacciata con la programmazione dei fondi di Agenda 2000. Il Piano Operativo Regionale ha previsto infatti una forte dotazione finanziaria per l’esecuzione di interventi di ricostruzione e di riequilibrio delle spiagge intervenendo sulle cause dell’erosione. Ma questa importante occasione rischia di essere sprecata. Scorrendo l’elenco degli interventi proposti e finanziati con i fondi del POR, per un investimento che supera i 126 miliardi di lire, ci si accorge dell’incoerenza tra gli obiettivi e le opere previste, solo apparentemente mascherata da titoli accattivanti: dietro la definizione “riqualificazione della spiaggia” si nascondono interventi distruttivi, spesso progettati alla fine degli anni ’80 e poi accantonati; altri, quasi certamente riprodurranno il fenomeno erosivo o, bene che vada, si risolveranno in uno spreco di denaro con il quale si sarebbe potuto rimuovere le cause scatenatati. Gli esempi non mancano, ma due tra questi sono davvero clamorosi: 1) A Tusa è stato finanziato un intervento per la posa di una barriera parallela alla linea di costa, che dovrebbe proteggere una inesistente flottiglia di barche. Fin qui si tratterebbe del solito copione se non si trattasse dello stesso progetto avanzato negli anni ‘90 (evidentemente la situazione della flotta non era e non è così drammatica) che lo stesso Consiglio Comunale di Tusa aveva ritirato con delibera del 1994 98 Legambiente - Mare monstrum 2004 riconoscendone l’inutilità e la dannosità. Dopo quasi dieci anni nei quali nessuno si era accorto del problema, il progetto è stato riproposto tale e quale sfruttando i titoli e la dotazione del P.O.R. 2) A Sant’Alessio Siculo è stato approvato un intervento gigantesco (circa 33 miliardi di lire) basato sulla realizzazione di una barriera parallela alla costa, una radente a difesa del muro del lungomare ed in mezzo il ripascimento di sabbia. Fin qui si potrebbe osservare che il progetto prescinde dalle precise indicazioni su cause e possibili rimedi formulate da una Commissione Regionale nominata dal Presidente della Regione, che la barriera soffolta riprodurrà la riflessione delle onde, che quella radente sarebbe inutile, a meno non la si voglia intendere come una sfiducia degli stessi progettisti circa la funzionalità di quanto loro stessi propongono, che si rischia di spostare l’erosione nel Comune di Santa Teresa di Riva. Sarebbe già motivi sufficienti per gridare allo scandalo. Ma c’è di più: dell’intera opera è stato finanziato un primo stralcio, relativo alla posa delle due scogliere, e per il ripascimento poi si vedrà. Ma intanto che succederà? S. Alessio Siculo dovrà aspettare del tempo per rivedere un poco della sua ex spiaggia e la vicina S. Teresa di Riva vedrà scomparire inesorabilmente la propria. Altro capitolo nero della storia marinara della Sicilia sono i porti. Per un’isola è certamente importante averene, ma quando si pensa di farne uno ogni tre chilometri allora, forse, c’è qualcosa che non quadra. Con buona pace del quadro di riferimento regionale, anch’esso non esente da stranezze, non c’è comune costiero che non si dia da fare per avere il suo bravo porto. Il solo Piano di Riqualificazione Urbana e Sviluppo Sostenibile del Territorio (PRUSST) Valdemone, tanto per citare un esempio, prevede l’inserimento nei programmi di finanziamento di ben 11 nuovi porti in circa 150 Km di costa. In soli 70 km, tra Tusa e Patti, sulla costa tirrenica della provincia di Messina ne sono previsti otto, uno per comune, tranne quello di Piraino per l’esattezza.E’ abbastanza evidente che se fossero realizzati tutti si finirebbe con l’avere un posto barca ogni due abitanti e che gli effetti delle opere mare finirebbero col far scomparire quelle spiagge la cui balneabilità dovrebbe attirare eventuali diportisti. Anche in questo caso, è sempre il turismo ad essere usato come grimaldello per pesanti trasformazioni del territorio costiero che ne distruggeranno la bellezza e quindi i presupposti di quelle attività che si vorrebbero favorire. Il caso più clamoroso in questo senso è dato dal Porto di Taormina, previsto in località Villagonia che, ove realizzato, distruggerebbe uno dei più importanti paesaggi costieri della Sicilia e dell’intero Mediterraneo.Il progetto, la cui straordinaria invadenza è stata già esibita sulle pagine dei più autorevoli quotidiani italiani, prevede la costruzione di una diga foranea di oltre 800 metri di lunghezza per 6 metri di altezza, la realizzazione di banchine e moli nonché 99 Legambiente - Mare monstrum 2004 pontili galleggianti, ma anche la devastazione della spiaggia della baia su cui verrebbero scaricate centinaia di migliaia di metri cubi di cemento per le opere di edilizia portuale (come si vedrà più avanti si tratta semplicemente di un escamotage che nasconde la realizzazione di edifici altrimenti vietati dalla legge) e di servizi al Porto; ed ancora un’area di parcheggio posta a monte dell’attrezzatura stessa che sconvolgerebbe i delicati equilibri geomorfologici dei ripidi versanti. Taormina già soffre di insostenibili problemi di congestione ambientale ed insediativa che tendono a degradarne la qualità ambientale e quindi anche dell’offerta turistica. Un così pesante incremento di nuove attrezzature e soprattutto di nuove attività ricettive è un’operazione assolutamente da evitare, tanto più se le stesse, come nel caso in questione, costituiscono un inaccettabile attacco al paesaggio che rappresenta il più importante bene che fa di Taormina un luogo unico. Una simile operazione è superficialmente giustificata come elemento di promozione dell’economia turistica ma, in realtà, produrrebbe certamente l’effetto opposto: il degrado dell’offerta turistica di Taormina e quindi l’esaurimento della sua fonte economica principale. E’ infatti di tutta evidenza che l’offerta turistica di Taormina si è potuta affermare nel mondo proprio perché espressione di un modello orientato verso criteri di qualità, che ha fatto di questa località (come di poche altre) l’archetipo di un turismo che ha nella bellezza e nell’identità territoriale il suo punto di forza, capace di competere sul mercato globale del turismo. Caso più unico che raro in Sicilia!! Se si dovesse invertire questo modello scegliendo la strada del consumo del territorio e del paesaggio per far posto ad opere quale il porto turistico (del tutto inutile dal momento che dista poche centinaia di metri da quello di Giardini Naxos) e ad ulteriori e immotivati insediamenti (ben oltre la capacità di carico del territorio), non è difficile prevedere il declino di Taormina e della sua economia turistica. E’ utile ricordare anche che la zona interessata dal progetto è sottoposta a vincolo paesaggistico ai sensi della Legge 431/85 e seguenti ed è segnalata dalle Linee Guida del Piano Territoriale Paesistico Regionale come area a rilevante suscettività paesaggistica ed ambientale, oltre a rientrare nella fascia di inedificabilità assoluta di cui all’articolo 15 della legge regionale n. 78/76 in cui sono vietate nuove costruzioni ad eccezione di quelle destinate alla diretta fruizione del mare. Il progetto preliminare, che il 25 giugno 2004 sarà esaminato in conferenza dei servizi, prevede all’interno del porto alcune vere e proprie strutture ricettive e commerciali la cui realizzazione, non potendo ragionevolmente (ma anche ai sensi delle giurisprudenza sull’argomento) rientrare tra quelle tipologie sopra descritte per cui è prevista la deroga, sarebbe del tutto illegale. L’impatto ambientale del progetto si prefigura come devastante: esso cancellerebbe importanti profili paesaggistici, rilevanti unità morfologiche ed ecosistemi tipicamente mediterranei di assoluto pregio che storicamente hanno costituito il “logo” Taormina nel mondo. Secondo autorevoli notizie di stampa, il rispetto del vincolo paesaggistico si esaurirebbe nell’incredibile e grottesca soluzione del rivestimento delle opere in cemento con mattonelle di ceramica siciliana. 100 Legambiente - Mare monstrum 2004 Davanti all’evidente rischio di banalizzazione del vincolo paesaggistico, Legambiente Sicilia ha chiesto all’assessore Fabio Granata di assumere tutte le necessarie iniziative per far valere un vincolo tanto importante ed impedire la realizzazione di un progetto che si configura come attacco sfrontato ed arrogante ad un patrimonio paesaggistico di interesse mondiale, nonché di sottoporre la questione al parere del Consiglio Regionale dei Beni Culturali del quale ha sollecita l’insediamento. La risposta dell’assessore non si è fatta attendere e fa ben sperare. "Il dato paesaggistico e ambientale dell'insenatura fra Giardini Naxos e Taormina rappresenta un unicum di straordinaria valenza che nessuno può pensare di intaccare. I porti turistici sono fondamentali per la Sicilia ma i progetti devono essere sostenibili, coerenti e razionali": questa la risposta di Fabio Granata, che ha insistitito sull'intesa con le forze politiche locali e dell'associazionismo: "Sia da parte dei consiglieri comunali di Giardini Naxos che da parte di associazioni e della societa' civile, ho ricevuto sollecitazioni a supervisionare la vicenda autorizzativa e in pieno accordo col soprintendente Villari non mi tirero' indietro", ha assicurato l'assessore che ha concluso: "Taormina affascinava e affascina i grandi viaggiatori del turismo d'elite proprio per l'incommensurabile bellezza del suo paesaggio, per questo tutelarlo e' un dovere. Per non sradicare Taormina e non trasformarla in una copia improbabile e sbiadita di Palma de Mallorca", tanto più che "la zona e' tutelata dal vincolo paesaggistico". Un successivo pronunciamento del Consiglio Regionale dell’Urbanistica sul progetto mette, almeno per il momento, uno stop all’intervento. L’organo regionale ha infatti bocciato il progetto proposto dalla Russotti Finance. Ancora non è stato pubblicato il verbale della riunione, ma dalle indiscrezioni trapelata sulla stampa pare proprio per gli stessi motivi che avevano suscitato l’allarme di Legambiente e dell’opinione pubblica nazionale.La battaglia sembra vinta, ma non bisogna abbassare la guardia perché l’intervento potrebbe essere riproposto in altre forme.Proprio per questo è nostra intenzione, informare e sensibilizzare l’opinione pubblica sui rischi connessi ad interventi di questo tipo. Specialmente in Sicilia, molti guasti all’ambiente hanno avuto come copertura una malintesa concezione dello sviluppo che è stata però fatta propria da larga parte dell’opinione pubblica. La sfida che dobbiamo sostenere è proprio quella di ribaltare questo modello spiegando, e possibilmente dimostrando, come il vero “sviluppo” sia legato alla conservazione della bellezza e dell’identità territoriale. 101 Legambiente - Mare monstrum 2004 10.2 Toscana Sabbia tossica. Il caso di Rosignano Solvay Secondo quanto riferisce il Rapporto 124 del sito Unep Map è una fra le quindici località costiere più inquinate d’Italia, ma il suo colore artificiale è talmente suggestivo che ne ha fatto, nel corso degli anni, uno dei set preferiti per l’ambientazione di spot pubblicitari, calendari, video musicali. E’ la spiaggia di Rosignano Solvay, il comune costiero toscano che deve il suo nome all’insediamento industriale che per anni ha scaricato a mare la soda. Ma quel che preoccupa di più è la presenza di mercurio sversato nel corso dei decenni dalla Solvay. Si stima infatti che siano almeno 500 le tonnellate di mercurio depositate lungo le spiagge bianche fino ad una distanza di 14 Km dalla linea di battigia. Il mercurio presente non è affatto tombato o inerte, ma è in circolo a causa delle mareggiate e delle radiazioni solari. Uno studio del CNR di Pisa (Prof. Ferrara, anno 2000) ha evidenziato infatti che tramite le radiazioni solari nelle ore più calde, ogni Mq di mare emette in atmosfera 164 nanogrammi di mercurio, che si vanno ad aggiungere ai 480 Kg di mercurio che in vapore escono ogni anno dall’impianto industriale. Isola d’Elba. Un mare in gabbia Una sentenza della Corte di Cassazione ha definitivamente sancito che tutte le spiagge debbono poter essere raggiunte liberamente. Non possono esistere reticolati, sbarre e “strade private” che impediscano l’accesso dei cittadini, perché la costa e le spiagge sono di tutti. Purtroppo, all’Elba in molte spiagge non è così. Oltre ai casi di coste chiuse, inaccessibili, introvabili, ci sono anche le segnalazioni di malcostume, di abusi sulle coste, di occupazione di tratti di arenile da parte di stabilimenti balneari che tendono ad occupare più di quanto dovrebbero e di titolari di licenze per affittare sdraio ed ombrelloni che occupano le spiagge come se avessero una concessione. Vediamo alcuni casi significativi. Cala dei frati (Portoferraio) E’ una spiaggia di ghiaia bianchissima di circa 100 metri, a un tiro di schioppo dalla spiaggia delle Ghiaie, ma irraggiungibile via terra. Esisteva uno stradello che partiva dalla strada della Padulella, ma è stato chiuso e l’intera fascia costiera è stata recintata da privati. Il Comune aveva promesso di liberarla entro l’estate 2002, non è stato fatto nulla. Costa di Remontò (Cote Tonda) (Marciana marina) Sono vietate tutte la costa e tutte le spiaggette tra la spiaggia del Bagno e quella dello Schioppo. Proprio dalla spiaggetta dello Schioppo partiva un sentiero che permetteva di raggiungere questo tratto di costa. Il sentiero è crollato da anni e Remontò è irraggiungibile da terra, completamente 102 Legambiente - Mare monstrum 2004 privatizzati costa e spiaggette a beneficio delle ville nate nella fascia costiera sotto la provinciale tra Procchio e Marciana Marina. Acqua della Madonna, Maccarello (Marciana marina) I sentieri che portavano a queste due spiaggette di ghiaia sono stati inghiottiti dalla macchia o chiusi da proprietà private. Non esiste nessuna segnalazione anche per altre piccole insenature tra Sant’Andrea e Punta della Zanca. Sant’Andrea (Marciana marina) Numerose lamentele per l’ occupazione della spiaggia, anche parte dell’arenile con barche tirate in secco, e per il traffico di natanti a noleggio vicino alla spiaggia che, oltre che pericolosi, procurano un discreto inquinamento. Il Cantone (Marciana marina) Nonostante le proteste di cittadini e turisti, il tratto di spiaggia libera del Cantone, sul lato ovest dell’arenile di Procchio, è stato fortemente ridotto a vantaggio della concessione dell’hotel del Golfo. Il fazzoletto di spiaggia libera rimasto è in ombra già nel primo pomeriggio. Calandri (Campo nell’Elba) Sono due spiaggette non segnalate, accanto a Galenzana, prima raggiungibili con sentieri. Oggi l’accesso è impedito da una recinzione in legno. Galenzana (Campo nell’Elba) E’ una delle spiagge simbolo per gli ambientalisti elbani che da sempre lottano perché questa magnifica spiaggia non venga trasformata in un porto o completamente privatizzata. L’accesso pubblico che portava alla scogliera e poi alla spiaggia è crollato e Galenzana è raggiungibile solo con un nuovo sentiero più in alto che evita accuratamente un tratto di costa ormai privatizzato. Tutto il retro spiaggia è recintato da privati Colle Palombaia (200 scalini) (Campo nell’Elba) Da anni Legambiente Arcipelago Toscano, il WWF e i cittadini (questa è la spiaggia dei Sanpieresi) denunciano un uso improprio di una porzione di questa bella spiaggia di ghiaia e sabbia nera. Negli ultimi anni sono sorti manufatti e costruzioni di dubbio gusto e depositi di materiale (compreso letame di cavallo per concimare palme che lì non ci potrebbero stare) con il chiaro tentativo di appropriarsi di una vasta porzione di costa. La spiaggia è compresa nel Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano. Capo d’Arco (Rio Marina) La costa è interamente privatizzata da un villaggio per “VIP”. Una sbarra impedisce l’accesso all’area molto prima della spiaggia e della scogliera che sono a completo uso dei proprietari delle abitazioni di Capo d’Arco.E’ forse il caso più eclatante di privatizzazione della costa elbana. Vigneria, Direttore (Rio Marina) L’accesso via terra è impedito dalla proprietà mineraria. Spiagge di Francesche, Calamita,Cannello (Capoliveri) Sono spiagge inaccessibili via terra perché ricadono nel compendio minerario. In questi casi è lo Stato ad impedire il libero accesso alle spiagge. 103 Legambiente - Mare monstrum 2004 Straccolignino, (Capoliveri) L’accesso alla spiaggia è privato, l’unica alternativa è un pericoloso sentiero sugli scogli che congiunge la spiaggia a Straccoligno. 10.3 Puglia Amianto in spiaggia. Torre Quetta a Bari E’ un tratto di costa di ben dodici chilometri a sud di Bari, uno dei più frequentati dai bagnanti e che ora è lugubremente delimitato da una fettuccia di plastica bianca e rossa. Non ci sono sdraio, niente ombrelloni o asciugamani e gli unici frequentatori autorizzati sono i tecnici dell’Arpa Puglia in tuta bianca, cappuccio e mascherina che, come fossero sul set di un film da “day after”, prelevano campioni di sabbia da analizzare. Torre Quetta era una delle spiagge più frequentate dai baresi, oggi è off limits per la presenza di residui d’amianto scaricati negli anni e provenienti dalla Fibronit, una fabbrica chiusa da quasi un ventennio che produceva materiali per l’edilizia a base d’amianto. Quelli trascorsi sono stati mesi caratterizzati da bracci di ferro e rimpalli di responsabilità fra il sindaco di Bari e i vertici dell’Arpa riguardo la necessità di chiudere quel tratto di costa alla balneazione. Alla fine i risultati delle analisi hanno costretto il primo cittadino a chiudere la spiaggia. I dati ufficiali parlano di circa un centinaio di morti per mesotelioma riconducibili alla presenza della Fibronit, ma secondo la Consulta delle Associazioni per l’emergenza ambientale le morti accertate sarebbero almeno il doppio. La campagna elettorale a Bari ha vissuto anche attorno alla vicenda della spiaggia di Torre Quetta ed Emiliano, neoeletto sindaco di Bari, ha dichiarato la nascita del parco urbano sull’area di Torre Quetta. Il Parco della Rinascita, questo il nome scelto per il parco, prevederà l’inedificabilità assoluta su tutta l’area. Lo scalo Marina di Novaglie (Gagliano del Capo) Potrò o non potrò mai più fare il bagno allo Scalo di Novaglie?. Se lo chiede un turista che da 30 anni abitualmente villeggia a Novaglie, e che per i suoi problemi di deambulazione da sempre è costretta a fare il bagno nel canalone dello scalo, unico posto a lei accessibile. E’ difficile dare una risposta chiara alla povera bagnante, e come lei a quei quasi 100 villeggianti abituali dello Scalo, soprattutto famiglie con bambini, anziani, disabili che non riescono ad accedere altrimenti a Novaglie. La situazione della splendida perla salentina si è notevolmente complicata negli ultimi mesi, per via dell’avvio di una privatizzazione massiccia del Demanio Marittimo a favore del ristorante adiacente al canalone che ha stravolto la situazione di accessibilità al mare. N Non sono bastate 4.000 firme dei cittadini raccolte dal comitato SOSCOSTA “Tricase-Novaglie-Leuca”, non è bastata una massiccia mobilitazione che ha avuto ampio eco sulla stampa e sulle TV, non è bastata una occupazione simbolica di Novaglie il 16 maggio e un convegno contro la privatizzazione 104 Legambiente - Mare monstrum 2004 con i sindaci del sud Salento. L’ufficio regionale del demanio marittimo, ha concesso, punto e basta. Ma è stata così forte la foga “concessiva” della Regione che il proprietario del ristorante per inerzia è arrivato a costruire una piattaforma, sempre sul demanio marittimo e sotto gli occhi di tutti, di quasi 100 metri, del tutto abusiva prontamente sequestrata dai vigili urbani e dai Carabinieri, con relativa denuncia alla Procura della Repubblica di Lecce. Sono molti i lati oscuri della vicenda: ad esempio, sembra inspiegabile la facilità con cui si è ottenuta la concessione a Novaglie, data la morfologia del territorio assolutamente non adatto a un turismo di massa, come quello che lasciano intendere tali politiche del territorio. Nonostante tale zona sia individuata come “sito di interesse Comunitario”, ed in dirittura d’arrivo la costituzione del Parco naturale Otranto S.M. di Leuca – Bosco di Tricase, non si spiega come si possono conciliare con la creazione di servizi e stabilimenti balneari. 105 Legambiente - Mare monstrum 2004 11. Le vittorie di Mare Monstrum Si arricchisce di anno in anno il bottino di successi raccolti da Legambiente, grazie all’assegnazione delle bandiere nere e alle battaglie denunciate in Mare monstrum. E’ una strada impervia, faticosa e piena di ostacoli, ma i risultati raggiunti in termini di denunce, dopo cinque anni di attività sono piuttosto soddisfacenti, perché è stata proprio l’assegnazione della bandiera nera a bloccare molti scempi esemplari ai danni delle coste italiane, o comunque è servita a far punire i malfattori. Vediamo di seguito i casi più significativi dell’ultimo anno. Le nuove …. Diga sulla Foce Chioma (Livorno) E’ praticamente già un epilogo la pronuncia del Consiglio di Stato nella quale si dichiara “legittima l’ingiunzione di demolizione ordinata dal Tar. La diga costruita davanti al porticciolo di Chioma deve essere abbatuta.” Sembra avviarsi così, a felice conclusione una battaglia ambientalista durata molti anni. La struttura incriminata è una diga frangiflutti lunga circa cento metri e alta quattro, largamente impattante sul tratto di costa interessato, già compromesso dall’erosione che procede inesorabile anche in questo tratto roccioso. L’azione del moto ondoso compromessa dalla costruzione della diga, modifica gravemente i processi morfologici di erosione e deposito che regolano la costa limitrofa, mettendo anche in serio rischio le cosiddette “argille a palombini”, una formazione geologica cretacica che con le sue pieghe ha reso famoso questo tratto di paesaggio. L’ingiunzione di demolizione del Consiglio di Stato arriva a seguito dei provvedimenti già intrapresi dalla Procura di Livorno, che sequestrò l’opera, e dalla Capitaneria di Porto che ritirò l’autorizzazione ai lavori, in quanto i lavori autorizzati, prevedevano soltanto la messa in sicurezza della foce, a protezione di un punto di ormeggio per una quarantina di imbarcazioni, ma di fatto la situazione appare molto diversa e induce a far credere che la barriera protettiva abbia costituito il pretesto per realizzare un porto “mascherato”, in barba ai piani regolatori e al piano regionale. Il complesso residenziale di Fossa Maestra (Massa Carrara) Abbattuto anche l’ecomostro del Residence Paradiso adiacente alla spiaggia di Marina di Carrara. Un abuso che dal 1992 troneggiava in un’area dove in realtà il Piano regolatore prevedeva "attrezzature collettive balneari”. La battaglia portata avanti dal circolo locale di Legambiente, dopo varie vicissitudini ha finalmente concluso il suo iter, ora bisognerà vigilare perché si realizzi al più presto il ripristino e recupero dell'area umida, prevista dal Piano strutturale in vigore. 106 Legambiente - Mare monstrum 2004 Lo strano caso dell’isola di Cerboli (Livorno) Cerboli è un isolotto calcareo nel canale di Piombino, a circa 8 chilometri dall’Elba. Rientra nel perimetro del Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano ed è una zona di protezione speciale ZPS di Bioitaly. L’isola, che ha una estensione di 0,04 kmq., è interamente ricoperta di macchia di cisto marino, gariga e lentisco. Le sue caratteristiche faunistico-botaniche non sono ancora del tutto studiate e note ma, per certo, ospita endemismi vegetali ed animali dell’Arcipelago ed una sottospecie di lucertola che vive solo in quell’ambiente, la “ Pordacis sicula cerbolensis”. Sull’isola sono stati segnalati anche esemplari di Marangone dal ciuffo” Phalacrocorax aristotelis”, un piccolo cormorano che nidifica in sole 30/40 coppie in tutto l’Arcipelago Toscano. Gli unici segni del lontano passaggio dell’uomo, sono una piccola cava dismessa e qualche rudere diroccato. La storia ha inizio nel giugno 2001, quando l’allora Prefetto di Livorno (poi finito nelle vicende giudiziarie sulla malaedilizia all’Elba) rispondendo ad un comunicato di Legambiente e Italia Nostra contrario alla trasformazione dell’isolotto di Cerboli in un’improbabile base della Protezione civile, affermava di essere a conoscenza del cambio di proprietà dell’isola e spiegava che i nuovi acquirenti sarebbero stati favorevoli ad un utilizzo dell’isola “non certo a fini speculativi”. Ma chi erano i veri proprietari di Cerboli? La prima società che acquista Cerboli è la J. Livingston srl, immobiliare, commerciale e finanziaria, con sede a Massa, che risulta inattiva, con nessun dipendente e fornisce un recapito fittizio. La J. Livingston è costituita da due soci: un privato ed una società immobiliare e finanziaria, la Fingestim srl di Massa, che detiene la quasi totalità delle quote societarie. Anche la Fingestim non ha dipendenti , risulta inattiva e fornisce come recapito della sede amministrativa quello di un’altra società, la “ Palazzo di vetro srl” di Massa. Il recapito telefonico è di altra località e l’intestatario è defunto da anni. La sede operativa di Fingestim risulta a Viareggio, ad un indirizzo fittizio e con un recapito telefonico che rimanda all’elenco di Massa, più precisamente al “ Centro Studi Apuano”, associazione ospitata nello stesso stabile della “ Palazzo di vetro srl”. La Fingestim sembrerebbe la proprietaria dell’isola di Cerboli, ma non è così. La Fingestim, costituita fra 3 soci elbani nel 1999, il 24/04/2001 ha ceduto il 99% delle sue quote alla Simtex Management Limited ed il restante 1% all’ingegner Uberto Coppetelli (altro nome che in futuro appare spesso nelle vicende giudiziarie elbane) che il 5/04/2001 ne era diventato amministratore unico. La Simtex Management Limited non è iscritta a nessuna Camera di Commercio italiana e sembra essere inizialmente una società off-shore, probabilmente con sede nell’isola di Man, ma successive indagine la ubicano presso la City di Londra. La proprietà dell’isola di Cerboli è dunque nascosta da un intrico di scatole cinesi, ma una cosa è certa: si tratta sempre di società immobiliari che hanno tra i propri fini l’attività edificatoria, finanziaria, commerciale diffusa ed anche la gestione di sale da gioco.Nel luglio 2001, con un blitz di Goletta Verde, Legambiente porta il caso Cerboli all’attenzione nazionale e da quel momento si assiste ad un eclissarsi degli appetiti speculativi. Che tuttavia non 107 Legambiente - Mare monstrum 2004 si placano del tutto fino all’estate 2003 quando Legambiente denuncia la messa in vendita dell’isola dalla misteriosa Simtex. Dopo di ciò tutto sembra sfumare, anche se le preoccupazioni sul futuro di Cerboli rimangono intatte. Il porto di S. Felice Circeo (Latina) Un’altra bandiera andata a buon fine quella assegnata lo scorso anno per l’ampliamento del Porto di S. Felice Circeo, che dopo la stroncatura del Tar, dell’Unione Europea, delle associazioni e dei comitati locali vede finalmente lo stop definitivo da parte del Consiglio di Stato che ha rigettato le opposizioni presentate dalle parti in causa. La vicenda prende il via nel maggio del 1999, quando la PENTA Srl, società a responsabilità limitata con unico socio, con sede in Ferentino (Fr), presentava alla Capitaneria di Porto di Gaeta una richiesta di concessione demaniale marittima cinquantennale per l’ampliamento del Porto turistico di S. Felice Circeo. Detto progetto prevedeva un incremento di oltre 200 posti barca, rispetto agli attuali 250 accoglibili, con conseguente realizzazione di tutte le infrastrutture necessarie (pontili, parcheggi ecc.) ed andava ad interessare una superficie totale di 56.650 mq, di cui mq. 500 di area terrestre e mq. 56.150 di specchio d’acqua. L'area demaniale interessata dall'ambizioso progetto ricadeva in un delicato contesto ambientale, essendo sottoposta a vincolo paesaggistico (d.lgs. 29 ottobre 1999, n. 490 - d.m. 20 luglio 1967) e a un “doppio” vincolo naturalistico, essendo il promontorio del Circeo, sul quale sarebbe andato a ricadere parzialmente l'intervento, compreso nel territorio del parco nazionale del Circeo che è, a sua volta, compreso nell’elenco dei Siti di importanza comunitaria e nelle zone di protezione speciale. Il progettato ampliamento del Porto di San Felice Circeo, oltre ad avere pesanti ripercussioni a livello ambientale, si poneva anche in contrasto con una Delibera del Consiglio Regionale che, pur prevedendo la possibilità di un ampliamento del porto esistente, stabiliva che esso non doveva essere eccessivo, considerate le “difficoltà di collegamento stradale, la ripidità delle pendici incombenti e la limitata disponibilità delle aree terrestri”, e consigliava di studiare provvedimenti per l’eliminazione della barra sabbiosa che si forma presso l’imboccatura portuale, auspicando prioritariamente che il Comune assuma iniziative decise per una razionalizzazione del porto esistente. Quello che ancora sorprende di tutta la vicenda è come sia stato possibile rilasciare alla società Penta Srl la concessione demaniale per l'ampliamento del porto di San Felice Circeo nonostante le diverse segnalazioni ed esposti inoltrati da Legambiente, e da privati cittadini, alle autorità competenti, ricalcanti peraltro le perplessità espresse in prima battuta da tutte le amministrazioni coinvolte nel procedimento circa l'illegittimità della procedura e l'inopportunità dell'intervento, perplessità poi tutte condivise dai successivi interventi. Villaggio Coppola (Caserta) Fra i successi eccellenti di quest’anno è senz’altro da annoverare la completa demolizione di tutte le torri del Villaggio Coppola “Pinetamare”. 108 Legambiente - Mare monstrum 2004 Dopo una battaglia che si è trascinata per anni e anni, all’inizio di quest’anno, finalmente le ultime tre, delle otto torri del villaggio abusivo sono state abbattute Per descrivere sinteticamente la storia di questo scempio bastano poche parole: dune mobili e una splendida pineta di proprietà demaniale sostituite da un “paese privato e abusivo” per oltre 15.000 abitanti, un mostro di pietre e cemento lungo quattro chilometri costituito da otto grattacieli identici di dodici piani, con almeno ottanta appartamenti l'uno, 1300 posti auto, hotel e residence, pizzerie e rosticcerie, un porto privato per seicento posti barca, una chiesa e un cinema. Ma il progetto di recupero del Villaggio Coppola non si deve fermare e dare corso al progetto di riqualificazione dell’intera area. Nel frattempo 101 ettari della Pineta Grande, sopravvissuti al degrado, sono stati affidati al Corpo Forestale per un periodo sperimentale di tre anni, in modo che siano garantiti manutenzione e ripristino del verde L’ecomostro di Punta Alice a Cirò Marina (Crotone) E’ stato demolito a Ciro Marina, l’alto fabbricato, edificato negli anni Settanta e mai del tutto finito, prospiciente le spiagge di Punta Alice. L’ecomostro, su cui Legambiente aveva puntato i riflettori, è caduto sotto l’urto delle ruspe dopo che il Comune del crotonese aveva emanato un’ordinanza di demolizione. La costruzione, che avrebbe dovuto ospitare uno stabilimento balneare, era stata realizzata in assenza di concessione edilizia e insisteva su un’area demaniale. La struttura portante in cemento armato era alta una quindicina di metri e presentava tre piani, un attico, due corpi di fabbrica a piano terra e una passerella. L’ultimo proprietario dell’immobile non si è opposto alla demolizione. Stalettì (Catanzaro) In questo caso si tratta di una vittoria parziale, perché l’ecomostro di Villaggio Lo Pilato con i suoi 16mila metri cubi continua a deturpare la Baia di Copanello di Stalettì, sul versante ionico catanzarese, ma comunque di vittoria si tratta perché la parte più evidente, uno scheletro di tre piani costruito proprio sulla scogliera è caduto sotto i colpi delle ruspe. La demolizione è avvenuta in tempi molto rapidi grazie anche allo stanziamento di 40.000 euro messi a disposizione dal ministero per l’Ambiente e la Tutela del territorio. Calasetta e i fanghi rossi di Portoscuso (Cagliari) Importante vittoria quella raggiunta nel comune sardo di Portoscuso (Ca), in località Sa Foxi – Portovesme, dove esiste da tempo un bacino di stoccaggio di fanghi rossi prodotti dalle attività industriali della società Eurallumina. Il territorio circostante ha già pagato un pesante tributo al dio della produttività, l’ambiente appare definitivamente compromesso, eppure gli appetiti dell’Eurallumina non sembravano essere finiti visto che aveva richiesto alla Regione Sardegna di realizzare una discarica di 80 ettari a mare per 10 milioni di metri cubi di fanghi rossi. 109 Legambiente - Mare monstrum 2004 Per fortuna, le battaglie per fermare questo scempio hanno avuto ragione, è stata bloccato l’ampliamento della discarica a mare che vedrà, invece, il suo ampliamento nella parte interna. Così come è stato bloccato il vergognoso ripascimento delle spiagge di Calasetta con la sabbia contaminata proveniente dai lavori di escavazione del Porto industriale di Portoscuso. I fondi già accantonati dalla precedente Giunta a questa operazione (€ 206.055,88) sono stati destinati ad altri capitoli di spesa, e per la gestione delle spiagge, su pressione di Legambiente, saranno acquistati specifici macchinari per la pulizia e la rimozione delle alghe spiaggiate in modo anomalo. …. e quelle storiche La Stoppani di Cogoleto (Genova) Era il 2001 quando fu assegnata la bandiera nera alla Stoppani di Cogoleto, l’azienda produttrice di cromo che per oltre un secolo ha inquinato il litorale antistante le spiagge di Arenzano e Cogoleto con cromo, cadmio ed altri metalli pesanti. La fabbrica ha inquinato anche il torrente Larone a causa del dilavamento dei fanghi stoccati nella discarica di Molinetto, le falde sotterranee sono risultate inquinate con valori ben 24.000 volte oltre i limiti di legge e problemi di inquinamento persistente si riscontrano anche sul mare e in atmosfera. Dopo l’assegnazione della bandiera nera, e dopo un’infinita serie di procedure giudiziarie, finalmente la fabbrica del cromo è stata chiusa e l’area è stata inserita nei siti da bonificare indicati dalla legge 426/98. Ora è arrivato finalmente il momento di avviare la bonifica dell’area per intraprendere iniziative economiche specifiche che non sono certo quelle della produzione chimica, ma semmai di turismo di qualità, tutela dell’ambiente e valorizzazione del territorio. Villa Marina a Marina di Ravenna Grazie alle pressioni fatte da Legambiente e all’assegnazione della bandiera nera è stata bloccata la lottizzazione del “Villa Marina” dell’industriale Giacobazzi, che aveva chiesto e ottenuto la concessione per la costruzione di una mega-struttura balneare sulla spiaggia di Marina di Ravenna che, una volta realizzata avrebbe stravolto l’unico tratto di spiaggia libera sulla quale si sono ancora mantenuti intatti i cordoni dunosi. Il tutto in un’area paesaggisticamente e ambientalmente vincolata, nonché Sito di Importanza Comunitaria. Ex colonia Varese a Milano Marittima Anche in questo caso uno splendido tratto di duna miracolosamente scampato all’urbanizzazione massiva di quest’area è stato vittima per anni di una serie di interventi vandalici e oggetto di mire speculative, nonché trasformato in pista per gare di motocross. Dopo l’assegnazione della bandiera nera, l’area è stata cintata, i rombi delle moto sono spariti e sono stati bloccati i progetti di speculazione. 110 Legambiente - Mare monstrum 2004 Il porto di Fossacesia (Chieti) Qui, purtroppo l’assegnazione della bandiera nera nel 2000 non è riuscita a bloccare la realizzazione, ormai purtroppo quasi completata, di un porticciolo turistico per circa 400 posti barca su uno degli ultimi tratti di costa non cementificata del litorale adriatico in prossimità della foce del fiume Sangro, all’interno dell’istituendo Parco Nazionale della Costa Teatina. Tuttavia gli strali congiunti di Legambiente, Wwf e Italia Nostra, che si sono mobilitati per impedire la costruzione del porto, alla fine hanno sortito qualche effetto presso l'Unione europea che ha avviato un procedimento di infrazione nei confronti della Regione Abruzzo per l'intervento in un Sito di Importanza Comunitaria. Infatti, la speculazione nell’area di grande interesse naturalistico, interessata da flussi migratori avi faunistici, è stata particolarmente favorita dall’atteggiamento piratesco dell’amministrazione regionale, che dopo aver riconosciuto il valore naturalistico della zona, in un secondo momento, per consentire la realizzazione del porto, l’ha declassata. Il tutto per fare spazio ad un porto che oltre ai posti barca prevede bar, ristoranti, minimarket, negozi e strutture di pronto intervento. E come se non bastasse, a completare il quadro, ci sono i dati dell’Ucina che confermano come la domanda della navigazione da diporto poteva essere soddisfatta dalle vicine strutture di Pescara, Ortona e Vasto. Ma grazie al furore cementificatorio di Regione ed enti locali, il litorale abruzzese rischia di raggiungere in un brevissimo arco di tempo una densità di aree portuali da Guinness dei Primati: una ogni 13 chilometri. Nella stessa fascia di litorale, infatti, è già in programma la costruzione di nuovi attracchi, sebbene gli stessi operatori economici del settore abbiano espresso la propria perplessità rispetto a nuovi progetti. Porto Miggiano, Comune di Santa Cesarea Terme (Lecce) Qui, nonostante l’allarme lanciato da Legambiente lo scempio ai danni di uno dei paesaggi cartolina del Salento si è compiuto. Ciò nonostante, a fermare i lavori sono stati i sigilli della Guardia di Finanza su ordine dei sostituti procuratori della Repubblica. Iscritti nell’elenco degli indagati per i lavori relativi alla costruzione del complesso turistico dotato di ristorante, bar, due piscine di acqua salata, appartamenti e parcheggi su circa 45mila metri quadri: i fratelli Merico della Società turistico Alberghiera che ha realizzato la struttura, l’imprenditore Montinari e l’ex Assessore di Lecce Fausto Giancane, rispettivamente responsabile e tecnico per la Sis immobiliare proprietaria del comparto interessato; Aldo Bleve direttore dei lavori; Giuseppe Maroccia della “Maroccia Costruzioni” e il responsabile del Piano urbanistico Pietro Paolo Maggio. Bagaglino Country Village di Stintino (Sassari) Qui la bandiera nera assegnata al villaggio turistico Bagaglino Country Village di Stintino, è servita a mandare in galera l’industriale 111 Legambiente - Mare monstrum 2004 bresciano Mario Bertelli, responsabile di una delle più grosse colate di cemento realizzata sulle coste sarde, di fronte all’isola dell’Asinara, quantificabile in 322mila metri cubi, 1400 ville per un totale di 7000 posti letto. Un complesso turistico parzialmente abusivo che ha letteralmente sconvolto Punta Su Torrione, un’area di straordinario valore naturalistico. Un bell’esempio di quell’imprenditoria che Legambiente combatte con ogni mezzo: fatta di un facile rapporto con le banche, fin troppo disponibili a finanziare l’impresa, un complesso di società che rende difficile ai creditori l’individuazione delle responsabilità, e poi un intrigo di sub appalti a piccole società artigiane saldate con modalità di pagamento quanto meno discutibili: si parla di cambiali, di tratte non autorizzate e quindi non protestabili, di appartamenti in permuta supervalutati, senza considerare che in alcuni casi la società capofila ha cercato la transazione offrendo ai creditori, secondo quanto riferito da un quotidiano locale, partite di biciclette e di computer, mobili per uffici e addirittura prosciutti e mortadelle. Ma oltre alle bandiere nere, tra vittorie riportate dalle tante battaglie portate avanti da Goletta Verde e denunciate in questo dossier, sono senz’altro da annoverare gli abbattimenti degli ecomostri, i più “maestosi” casi di abusivismo edilizio che deturpano le nostre coste. Oltre al Villaggio Coppola e al Villaggio Paradiso di Fossa Maestra sopra citati fra i successi dell’ultimo anno, vediamo quali sono stati gli abbattimenti eccellenti degli ultimi anni. Villaggio Sindona di Lampedusa Completamente abbattuti i dodici scheletri di cemento armato in stato di completo abbandono che hanno deturpato per quasi vent’anni una delle aree costiere più belle e interessanti dell’isola, Cala Galera, in zona A della Riserva naturale. La costruzione dell’ecomostro isolano risaliva al 1973 su un’area del demanio comunale, soggetta a vincolo paesaggistico ai sensi della legge 1497/39. Nel 1968 il Comune vende l’area alla società Interfinanza s.p.a. di Michele Sindona, che avrebbe dovuto realizzarci un villaggio turistico. Nel 1986 viene emanato un decreto dell’Assessore Regionale al Territorio e Ambiente per l’apposizione del vincolo di inedificabilità assoluta su un’ampia fascia costiera, che comprende anche l’area di Cala Galera. Nel 1991 viene approvato il piano regionale dei Parchi e delle Riserve che prevede l’istituzione della Riserva di Lampedusa. Nel 1996, l’istituzione della Riserva Naturale Orientata “Isola di Lampedusa” conclude definitivamente il processo di tutela e chiude ogni possibilità di sfruttamento edilizio di queste aree, in cui nel frattempo sono sorti i dodici scheletri. Il 22 marzo 2001, il Sindaco di Lampedusa rigetta la domanda di sanatoria presentata nel 1986 dall’attuale proprietario ai sensi della legge regionale 37/85 e firma l’ordinanza di demolizione. 112 Legambiente - Mare monstrum 2004 Baia Punta Licosa di Montecorice (Salerno) Nel marzo del 2002 le ruspe della legalità hanno spianato 80.000 metri cubi di cemento abusivo in pieno parco del Cilento. Certo la devastazione operata per la lottizzazione del complesso residenziale Baia Punta Licosa di Montecorice, in provincia di Salerno che ha devastato otre 10 ettari di un intero bosco di rarissimi pini d’Aleppo non sarà facile da risanare, ma sicuramente si è messa positivamente la parola fine ad una vicenda protratta per oltre vent’anni, nella quale, come capita abbastanza spesso nel nostro Paese, lo scempio edilizio si fonda anche su concessioni e licenze “regolarmente” rilasciate, che determinano un lunghissimo strascico giudiziario. Lungomare di Mondragone (Caserta) Sempre in Campagna un’altra vittoria messa a segno è quella dell’abbattimento sul lungomare di Mondragone di un moncone di cemento armato mai ultimato, che da oltre vent’anni ha fatto bella mostra di se. Si trattava di un pontile d’attracco che partendo dalla terra ferma, attraversava l’intero arenile e si protraeva per qualche decina di metri nel mare. Il progetto originario risalente al 1971, prefigurava un pontile di attracco per piccole imbarcazioni, che si sarebbe dovuto addentrare per oltre 256 metri nel mare e consentire così, anche, una gradevole passeggiata panoramica. I lavori partiti agli inizi degli anni ’80 non sono mai stati ultimati, non solo per lungaggini tecnico-burocratiche, ma soprattutto per lo stop decretato il 20 settembre 1990 dall’allora Ministro dei Beni Culturali e Ambientali che ritenne l’opera incompatibile con la vocazione turistico-balneare dell’area. 113