i numeri e le storie dell`assalto alle coste

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i numeri e le storie dell`assalto alle coste
Mare
monstrum 2004
I NUMERI E LE STORIE
DELL’ASSALTO ALLE COSTE
Roma, 25 giugno 2004
IL "CHI E'" DI LEGAMBIENTE
LEGAMBIENTE è l’associazione ambientalista italiana con la diffusione più capillare sul territorio
(1000 gruppi locali, 20 comitati regionali, 110000 tra soci e sostenitori). Nata nel 1980 sull’onda
delle prime mobilitazioni antinucleari, LEGAMBIENTE è un’associazione apartitica, aperta ai
cittadini di tutte le idee politiche, religiose, morali, che si finanzia con i contributi volontari dei soci
e dei sostenitori delle campagne. E' riconosciuta dal Ministero dell'Ambiente come associazione
d'interesse ambientale, fa parte del “Bureau Européen de l'Environnement”, l’unione delle principali
associazioni ambientaliste europee, e della “International Union for Conservation of Nature”.
Campagne e iniziative
Tra le iniziative più popolari di LEGAMBIENTE vi sono grandi campagne di informazione e
sensibilizzazione sui problemi dell’inquinamento: “Goletta Verde”, il “Treno Verde”,
l’”Operazione Fiumi”, che ogni anno “fotografano” lo stato di salute del mare italiano, la qualità
dell’aria e la rumorosità nelle città, le condizioni d’inquinamento e cementificazione dei fiumi;
“Salvalarte”, campagna di analisi e informazione sullo stato di conservazione dei beni culturali;
“Mal’Aria”, la campagna delle lenzuola antismog stese dai cittadini alle finestre e ai balconi per
misurare i veleni presenti nell’aria ed esprimere la rivolta del “popolo inquinato”.
LEGAMBIENTE promuove anche grandi appuntamenti di volontariato ambientale e di gioco che
coinvolgono ogni anno centinaia di migliaia di persone (“Clean-up the World/Puliamo il Mondo”
l’ultima domenica di settembre, l’operazione “Spiagge e Fondali Puliti” l’ultima domenica di
maggio, i campi estivi di studio e recupero ambientale, “Caccia ai tesori d’Italia” all’inizio della
primavera), ed è fortemente impegnata per diffondere l'educazione ambientale nelle scuole e nella
società (sono migliaia le Bande del Cigno che aderiscono all'associazione e molte centinaia gli
insegnanti che collaborano attivamente in programmi didattici, educativi e formativi).
Per una globalizzazione democratica
LEGAMBIENTE si batte contro l’attuale modello di globalizzazione, per una globalizzazione
democratica che dia voce e spazio alle ragioni dei poveri del mondo e che non sacrifichi le identità
culturali e territoriali: rientrano in questo impegno le campagne “Clima e Povertà”, per denunciare e
contribuire a combattere l’intreccio tra problemi ambientali e sociali, e “Piccola Grande Italia”, per
valorizzare il grande patrimonio di “saperi e sapori” custodito nei piccoli comuni italiani.
L’azione sui temi dell’economia e della legalità
Da alcuni anni LEGAMBIENTE dedica particolare attenzione ai temi della riconversione ecologica
dell’economia e della lotta all’illegalità: sono state presentate proposte per rinnovare profondamente
la politica economica e puntare per la creazione di nuovi posti di lavoro e la modernizzazione del
sistema produttivo su interventi diretti a migliorare la qualità ambientale del Paese nei campi della
manutenzione urbana e territoriale, della mobilità, del risanamento idrogeologico, della gestione dei
rifiuti; è stato creato un osservatorio su “ambiente e legalità” che ha consentito di alzare il velo sul
fenomeno delle “ecomafie”, branca recente della criminalità organizzata che lucra migliaia di
miliardi sullo smaltimento illegale dei rifiuti e sull'abusivismo edilizio.
Gli strumenti
Strumenti fondamentali dell'azione di LEGAMBIENTE sono il Comitato Scientifico, composto di
oltre duecento scienziati e tecnici tra i più qualificati nelle discipline ambientali; i Centri di Azione
Giuridica, a disposizione dei cittadini per promuovere iniziative giudiziarie di difesa e tutela
dell'ambiente e della salute; l'Istituto di Ricerche Ambiente Italia, impegnato nel settore della
ricerca applicata alla concreta risoluzione delle emergenze ambientali. LEGAMBIENTE pubblica
ogni anno "Ambiente Italia", rapporto sullo stato di salute ambientale del nostro Paese, e invia a
tutti i suoi soci il mensile “La Nuova Ecologia”, “voce” storica dell’ambientalismo italiano.
MARE MONSTRUM 2004
INDICE
1.
Premessa
1
2.
Pirati all’assalto: le Bandiere nere 2004
4
3.
I numeri del “mare illegale”
8
4.
E la nave va: l’illegalità del “popolo dei naviganti”
11
5.
Cemento in spiaggia
13
6.
L’erosione della costa
53
7.
Il mare inquinato
60
8.
Mediterraneo e Mutamenti Climitaci
85
9.
La pesca “miracolosa”
95
10. Mare amaro. Casi esemplari di danni alle coste
98
11. Le vittorie di mare Monstrum
106
Il dossier “Mare monstrum 2004” è stato realizzato dall’Ufficio ambiente e legalità, dall’Ufficio
campagne, dall’Ufficio scientifico, dall’Ufficio vertenze territoriali e dal Dipartimento
internazionale di Legambiente.
Hanno collaborato: Francesca Biffi, Valerio Campioni, Stefano Ciafani, Michele Cinque, Nunzio
Cirino Groccia, Gianluca Della Campa, Luca di Gioia, Stefania Di Palma, Francesco Dodaro, Luca
Fazzalari, Enrico Fontana, Katia Le Donne, Michela Mammarella, Ignazio Marchese, Umberto
Mazzantini, Giuseppe Messina, Rossella Muroni, Raffaella Musselli, Antonio Nicoletti, Enzo
Parisi, Lorenzo Parlati, Valentina Piacentini, Christian Piccinonno, Carla Quaranta, Peppe
Ruggiero, Stefano Sarti, Sandro Scollato, Vincenzo Tiana, Paolo Varrella, Sebastiano Venneri,
Lucia Venturi, Mauro Veronesi, Giorgio Zampetti.
Si ringraziano per i contributi forniti:
il Comando generale delle Capitanerie di Porto, il Comando generale dell’Arma dei Carabinieri, il
Comando Carabinieri per la Tutela dell’Ambiente, il Comando generale della Guardia di Finanza, il
Corpo Forestale dello Stato e delle Regioni Sardegna e Sicilia, che hanno fornito i dati statistici
relativi alle attività di controllo in materia di tutela ambientale;
Magg. Emilio Errigo, Comandante della Stazione Navale della Guardia di Finanza di Civitavecchia;
Maresciallo Giorgio Russo, Guardia di Finanza - Comando sezione operativa navale di
Civitavecchia; Isp. Delfo Poddighe, Direttore del Servizio Territoriale Ispettorato Ripartimentale di
Tempio Pausania (Ss); Dott.ssa Nadia Brigaglia, Servizio Territoriale Ispettorato Ripartimentale di
Tempio Pausania (Ss); Isp. Capo For.le e di V. A. Tiziana Lubrano, Comandante della Stazione
Forestale e di V.A. di Palau (Ss); Isp.re Capo Giovanni Manca, Comandante della Stazione forestale
di Olbia (Ss); Assessore all’ Urbanistica Salvatore Mola, Comune di Gaeta
Enzo Pranzini del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Firenze
Antonello Caporale e Mariarosaria Sannino de La Repubblica; Franco Mancusi de Il Mattino.
Ecomostro (comp. di eco- (1) e mostro (2), 1999) s.m.
Costruzione che suscita repulsione sul piano estetico
e dal punto di vista ambientale
(lo Zingarelli 2002 Vocabolario della lingua italiana)
Legambiente - Mare monstrum 2004
1. Premessa
Ci sono immagini, a volte,
che dicono più di tante parole. Una
di queste è sicuramente la foto di
quel tecnico dell’Arpa Puglia con
mascherina, cappuccio e tuta bianca
che sembra preso pari pari da un
film di fantascienza sul “day after”.
Ha i guanti, una busta in mano e
cammina
su
una
spiaggia
desolatamente vuota raccogliendo
campioni di sabbia da analizzare. I
risultati di quelle analisi hanno
decretato la chiusura di ben dodici
chilometri di litorale.
Per quest’estate i cittadini di Bari dovranno fare a meno della spiaggia
di Torre Quetta, dodici chilometri di litorale a sud del capoluogo pugliese sui
quali quest’estate nessuno potra fare il bagno. Niente ombrelloni, niente castelli
di sabbia, né racchettoni e odore di creme abbronzanti, solo una lunga fettuccia
di plastica bianca e rossa che segnala il divieto di accesso, la spiaggia negata
dalla presenza di fibre di amianto della Fibronit, un’azienda di materiale edile
chiusa da vent’anni che rilascia lentamente la sua triste eredità al territorio.
Il caso della spiaggia di Torre Quetta è stato sollevato dalle associazioni
ambientaliste che hanno denunciato la presenza di amianto lungo il litorale, poi
sono arrivati i prelievi e le analisi ed infine la disposizione di sequestro da parte
della magistratura e dell’amministrazione comunale. Torre Quetta è un pezzo
di costa fuorilegge, è uno dei tanti illeciti che sono stati scoperti nel corso
dell’ultimo anno lungo il nostro litorale.
Le forze dell’ordine ne hanno contati quasi diciottomila. Più o meno
un reato ogni 400 metri di costa, con un incremento del 7,2% rispetto allo
scorso anno, sommando le pratiche illecite più diffuse: inquinamento, abusi
edilizi sulla costa, infrazioni al codice della navigazione e alla legislazione in
materia di pesca.
Aumentano anche le persone denunciate o arrestate che nel 2003
sono 7.164 , rispetto alle 5.721 del 2002 e i sequestri effettuati, 6.469 contro i
5.205 del 2002, con un incremento del 25,2 e del 24,2%.
Nella speciale classifica di quest’anno la Sicilia scavalca in vetta la
Campania, ma quest’ultima rimane in vetta se si prende in considerazione
l’incidenza dei reati per chilometri di costa (quasi sette illeciti al chilometro).
Aumentano i reati sui nostri mari quindi, secondo un trend
inesorabilmente in crescita che sembra aver ripreso vigore nel corso degli
ultimi anni.
1
Legambiente - Mare monstrum 2004
Aumentano le infrazioni registrate sul fronte dell’abusivismo edilizio
passando dai 3.158 del 2002 ai 4.071 del 2003 con un incremento percentuale
del 28,9%. E’ facile in questo caso intravedere una grossa responsabilità nel
provvedimento di condono edilizio che ha sicuramente determinato un
aumento dei fenomeni di abuso edilizio.
E’ il caso di sottolineare, in questo contesto, alcuni casi particolari
come la vera e propria “tangentopoli elbana”, nata da un dossier di
Legambiente su una serie di episodi poco chiari che avevano al centro vari casi
di speculazione immobiliare, primo fra tutti il cosiddetto “ecomostro di
Procchio”, uno scheletro di cemento nel comune di Marciana, oggi sotto
sequestro. L’anno trascorso è stato un anno nero per l’isola d’Elba che ha
assistito a una vera e propria decimazione della sua classe di amministratori e
imprenditori locali e che ha visto il coinvolgimento nelle varie inchieste di
magistrati, prefetti, sindaci ed altri esponenti di rilievo della locale classe
dirigente.
Ben più consistente l’incremento percentuale delle infrazioni sul fronte
della depurazione, dove gli illeciti sono passati dai 697 del 2002 ai 1224 dello
scorso anno (+ 75,6%). Vale la pena segnalare, in questo contesto, la
situazione limite della Regione Calabria in emergenza ambientale da ben sette
anni per quanto riguarda la depurazione e per la quale la Relazione sul
rendiconto 2002 della Corte dei Conti ha avuto passaggi inequivocabili: “le
coste dei Comuni del Tirreno sono altamente inquinate e alcune pericolose”. E’
delle scorse settimane (8 giugno 2004) il sequestro effettuato dalla Procura di
Castrovillari (CS) di ben tre depuratori, quello di Villapiana, di Francavilla
Marittima e di Roseto Capo Spulico, per “accertato inquinamento”: i tre
impianti hanno sversato nelle acque fino a un milione di ufc x ml di
Escherichia coli, a fronte di un limite di legge fissato in 5.000.
Degli stessi giorni è la serrata operata dagli operai impiegati nella
gestione dei 51 impianti di depurazione della provincia di Reggio Calabria, la
cui sorte è stata rimpallata per mesi fra Comuni, Regione e ATO della
provincia calabrese fino alla decisione estrema di incrociare le braccia con le
inevitabili conseguenze sulla gestione dell’attività di depurazione delle acque.
Lo stato di emergenza nel quale versa la regione Calabria da sette anni a questa
parte sembra insomma drammaticamente aggravarsi con episodi anche
piuttosto bizzarri come il caso del sindaco di Amantea che si reca in Procura
per presentare un esposto sul funzionamento del depuratore della propria
cittadina, confidando che la magistratura riesca laddove la pubblica
amministrazione ha fallito. E non a caso una delle bandiere nere Legambiente
l’ha riservata proprio al Commissario per l’emergenza depurazione in Calabria.
La situazione della depurazione insomma non presenta significative
situazioni di miglioramento, mentre il Ministero della Salute continua
incomprensibilmente a mancare l’appuntamento con l’informazione lasciando,
per il secondo anno consecutivo, i cittadini all’oscuro di informazione sullo
stato di salute delle acque di balneazione. L’anno scorso i dati arrivarono a fine
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Legambiente - Mare monstrum 2004
agosto, a stagione balenare praticamente conclusa, quest’anno sono disponibili
sul sito del Ministero della Salute solo da qualche giorno, in ogni caso fuori
tempo massimo per quanti avessero voluto utilizzarli per programmare le
proprie vacanze. E forse non è un caso che alla disattenzione
dell’amministrazione centrale faccia riscontro un aumento degli illeciti, come
se il disinteresse dimostrato dal Ministero della Salute si traducesse, a cascata,
in trascuratezza da parte di Regioni ed enti locali.
Illeciti in aumento anche nel settore della pesca, un comparto
attraversato da una profonda crisi cui non sembrano essere prospettate, da parte
del Ministero competente, soluzioni adeguate. Si procede a tentoni, fra
proroghe di vecchi piani triennali e soluzioni ambigue come quelle che hanno
determinato di fatto il rigurgito nell’uso delle reti spadare. I recenti interventi
da parte della Guardia di Finanza nell’area del Tirreno centrale hanno
evidenziato addirittura casi di imbarcazioni che, pur avendo usufruito dei fondi
messi a disposizione dal piano di riconversione del settore, continuano ad
utilizzare questi attrezzi, vietati definitivamente da oltre due anni.
Sembra andare meglio per quanto riguarda gli illeciti nel settore della
navigazione e della nautica da diporto, come se il popolo di naviganti
cominciasse finalmente a prendere confidenza con permessi e divieti. Nel corso
dell’anno trascorso si è registrato infatti una diminuzione, sia pur modesta, dei
reati passati dai 6.858 del 2002 ai 6.769 del 2003.
E una nota positiva viene anche dalle vittorie registrate negli anni grazie
al lavoro di questa pubblicazione, delle forze dell’ordine e dei tanti volontari e
circoli di Legambiente che collaborano fattivamente alla sua realizzazione.
Facciamo riferimento alle tante battaglie di “Mare monstrum” che si sono
concluse con gli abbattimenti degli ecomostri, dal Villaggio Coppola, a quello
di Punta Alice, a quello di Fossa Maestra, con altrettante aperture di inchieste e
vertenze legali, da quella per il raddoppio del porto di San Felice Circeo alla
tangentopoli elbana e così via. Cosi come è da segnalare l’impegno della
Prefettura e della Procura della Repubblica di Lecce e della Capitaneria di
Porto di Palermo per l’avvio e gli abbattimenti di una serie di strutture abusive
lungo le coste delle loro regioni.
E’ un segnale incoraggiante nella lotta contro l’illegalità ambientale, per
tutti coloro che hanno a cuore il futuro delle nostre coste e dei nostri mari.
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Legambiente - Mare monstrum 2004
2. Pirati all’assalto: le Bandiere nere 2004
Sono le bandiere meno ambite d’Italia, quelle che segnalano i “nuovi
pirati del mare”: amministrazioni, politici, imprenditori, società private che si
sono contraddistinti per attacchi o danni all’ambiente marino e costiero. Sono
le Bandiere nere che ogni anno Legambiente assegna in tutta la Penisola.
Eccola allora la lista di coloro che vedranno consegnarsi dalla Goletta
Verde di Legambiente il vessillo nero nel corso di quest’estate, con tanto di
motivazione ufficiale:
Liguria
-
Alla società di Marina di Chiariventi s.p.a. per la proposta di costruzione
di un porto turistico (650 posti circa) su un’area di 12 ettari, che
movimenterebbe 200.000 di m3 di terra, ed altri interventi edilizi a terra
connessi (40.000 mc circa) nel territorio compreso tra i comuni di Noli e
Spotorno (SV) che insiste su un pSIC, Sito di Importanza Comunitaria. La
gravità dell’intervento proposto è tale che, per stessa ammissione dei
progettisti dell’intervento, la prateria di Posidonia Oceanica, costituente lo
stesso SIC, risulterà seriamente compromessa dall’insediamento portuale
proposto
-
Cim Immobiliare di Bordighera (IM) per la proposta di un intervento
edilizio a Ospedaletti (IM), per la costruzione di un porto turistico (600
posti) e interventi immobiliari vari (4 palazzine di 3 piani ciascuna, 3
adibite a residence, 1 ad albergo) nella baia di Ospedaletti, un’area a mare
nella quale è necessario un ripristino ma certamente non con colate di
cemento.
Friuli Venezia Giulia
-
Al Sindaco di Lignano Sabbiadoro e al Presidente della Regione Friuli
Venezia Giulia per la variante n. 38 al Piano regolatore comunale
approvata per permettere la costruzione di una piscina e di un palazzetto
dello sport, sembra con un parcheggio annesso, che comporteranno la
distruzione di un prezioso ecosistema a costa boscata. Un progetto voluto
dall'amministrazione regionale che ha stanziato otto milioni di euro in
finanziaria, per un intervento privato, e che ha prontamente dichiarato la
'utilita' pubblica utilizzando, in modo sorprendentemente convinto, la legge
regionale n. 14 del 2002, approvata dalla giunta di centrodestra, di
istituzione dello sportello unico dei lavori pubblici con una notevole
compressione dei tempi autorizzativi.
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Legambiente - Mare monstrum 2004
Veneto
-
Al Sindaco pro tempore del Comune di Quarto d’Altino (VE), per aver
caldeggiato il progetto “Darsena turistica Marina di Portegrandi” in un
ambito territoriale ricco di memorie storiche come la laguna di Venezia,
prezioso e di eccezionale valore ambientale. La darsena, che comprende
300 posti barca e area rimessaggio per 1600 posti, un complesso
residenziale di 90 unità di proprietà e un complesso alberghiero a 4 stelle
da 130 camere, colpisce un’area di sorprendente interesse floristico e
faunistico, modificherà profondamente l’assetto morfologico delle
formazioni lagunari con il moto ondoso di decine di migliaia di passaggi di
imbarcazioni in laguna e sul Sile.
Marche
-
Alla Raffineria Api di Falconara (An) per aver contribuito al pesante
inquinamento ambientale della costa (aria, suolo e sottosuolo) così come si
evince dai dati resi noti dalla stessa azienda e confermati dall’Arpa Marche
che ha riscontrato valori ancora più inquietanti. Il Consiglio Regionale
delle Marche ha dichiarato l’area della bassa valle dell’Esino, “area ad
elevato rischio di crisi ambientale”.
-
All'Amministrazione comunale di Potenza Picena (Mc) per aver
approvato nel nuovo piano regolatore ben 50.000 metri cubi di cemento
nell’Oasi di Protezione della Fauna presso i laghetti di Potenza Picena.
Emilia Romagna
-
Al Villaggio di capanni e cottages abusivi costruiti alla foce del
Torrente Bevano, all'interno della Riserva Naturale dello Stato e del Parco
del Delta del Po, nell'ultimo tratto di costa naturale del ravennate (circa 7
km di litorale), per il danno ambientale che il villaggio e le difese passive
abusive provocano impedendo il naturale salto di meandro e la libera
divagazione della foce.
Lazio
-
Al Comune di Tarquinia (VT) per il progetto di un porto turistico per più
di 1.000 imbarcazioni, con annessi alberghi, nuove costruzioni, funzioni
commerciali, da realizzarsi all'altezza della foce del fiume Marta, su
un’area estesa per 43 ettari, vincolata dal punto di vista paesaggistico. Il
tutto nonostante sia già previsto un altro porto a pochissimi chilometri nel
Comune di Montalto di Castro. L’area interessata dal progetto è un Sito di
Importanza Comunitaria.
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Legambiente - Mare monstrum 2004
-
Al Comune di Fiumicino (RM) perché, nonostante la realizzazione del
nuovissimo porto turistico a Ostia, ha pensato bene di variare il progetto di
nuovo Porto già approvato - molto più limitato, e calibrato sulle esigenze
dei Cantieri Navali esistenti - per avviare, in Conferenza dei Servizi, le
procedure atte a duplicare il vecchio progetto. Il nuovo progetto arriva ad
investire le aree della Foce del Fiume Tevere, in palese contraddizione con
la proposta, inserita dalla Regione Lazio nella Legge Finanziaria 2003, di
istituire il Parco del Tevere.
-
Al Comune di Civitavecchia (RM) che, alla faccia del Protocollo di
Kyoto, ha definitivamente approvato la proposta di riconversione a carbone
della Centrale Enel di Torrevaldaliga Nord, nonostante un forte movimento
d’opinione pubblica assolutamente trasversale abbia ripetutamente ribadito
la propria ferma opposizione alla scelta. Il Comune di Civitavecchia, da
anni sottoposto alla servitù delle politiche energetiche dell'Enel, è uno dei
Comuni del Lazio, secondo quanto riportato dai dati dell’OMS, che
registra patologie respiratorie maggiori nella popolazione non adulta.
Puglia
-
-
-
-
all’Amministrazione comunale di Maruggio (TA), per gli insediamenti
turistici in contrada Mirante e località Campomarino, dove sono previste
centinaia di villette, ristoranti, porto turistico, con relative strade, parcheggi
e opere di urbanizzazione, il tutto su aree di straordinaria importanza
naturalistica, con ambienti dunali ricoperti da densa vegetazione di
macchia mediterranea, Siti di Importanza Comunitaria e di recente
diventate riserva regionale.
Al Sindaco di Pulsano (TA) Luigi Laterza, per la pervicacia dimostrata
nelle definitiva adozione di un Pug (Piano urbanistico generale) che
prevede progetti ad alto impatto ambientale, tra i quali due porti turistici,
un villaggio turistico, strutture alberghiere, campi da golf ecc.
All’Amministrazione Comunale di Molfetta (BA) che, dopo una
gestione scellerata dell'intero litorale che ha lasciato ai cittadini appena 4
cm di spiaggia pro capite, ha sostenuto con caparbietà, anche nelle sedi
giudiziarie, la realizzazione di un complesso turistico nell'Oasi di
protezione Torre Calderina tra Molfetta e Bisceglie, poi bloccata da una
sentenza del Tar a seguito di un ricorso di Legambiente. Per la blanda
azione di contrasto all’abusivismo edilizio e per l’elaborazione di una
bozza di piano delle coste che privatizza selvaggiamente l'intero litorale.
Ed inoltre per gli interventi di riqualificazione costiera fortemente
discutibili, per il progetto di un nuovo porto commerciale, per le
azioni amministrative intraprese in evidente contrasto con la pianificazione
urbanistica della città.
All’intero Consiglio Comunale del Comune di Monte Sant’Angelo
(FG), comune che ospita la sede del Parco Nazionale del Gargano, per aver
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Legambiente - Mare monstrum 2004
approvato all’unanimità la delibera record che richiede l’esclusione dal
perimetro del parco nazionale di ben 1350 ettari di territorio comunale.
Calabria
-
All’on. Chiaravalloti, Governatore della Regione Calabria, in qualità di
Commissario delegato per l’emergenza ambientale in Calabria, perché in
quasi sette anni di attività e nonostante centinaia di miliardi di vecchie lire
spesi per costruire depuratori e fognature, ha clamorosamente fallito
l’obiettivo, così come si evince da una recente relazione della Corte dei Conti.
Basilicata
-
All’ Amministrazione comunale di Pisticci (Mt) dove è in corso di
realizzazione il Porto turistico del villaggio degli Argonauti, un porto
fluviale in un’area naturalisticamente significativa e ad alto rischio
idrogeologico.
Sicilia
-
All'Enel, per aver deciso di realizzare, nella stessa area della centrale
termoelettrica Tifeo di Augusta, un inceneritore per circa 300.000
tonn/anno di rifiuti provenienti dalle provincie di Catania, Ragusa, Enna e
Siracusa. L'area in questione risulta contaminata da diossina e la falda
idrica sottostante inquinata da idrocarburi che percolano nel vicino fiume
Cantera ed a mare. L'inceneritore verrebbe costruito accanto all'importante
area archeologica di Megara Iblea ubicata sul promontorio che si affaccia
sul mare di Augusta.
-
Al Blumarin Hotels Sicilia spa, società che fa riferimento al gruppo
Alpitour, per la realizzazione di un mega insediamento turistico ad elevato
impatto ambientale a Punta Asparano, nei pressi di Siracusa. Nonostante le
assicurazioni date, la recinzione del villaggio impedisce la libera fruizione
della costa e del mare ai bagnanti.
Sardegna
-
Alla Finedim Italia S.p.a., società controllata dal gruppo Fininvest per il
progetto Costa Turchese, un vero e proprio scempio ambientale per oltre
mezzo milione di metri cubi su un’area di 450 ettari nel Comune di Olbia,
fra Capo Ceraso e la foce del fiume Padrongianus.
-
Al Ministro della Difesa on. Antonio Martino, per l’autorizzazione dei
lavori di ampliamento della base Usa a Santo Stefano/La Maddalena,
ignorando il pronunciamento del Consiglio regionale della Sardegna che
aveva espresso parere contrario.
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Legambiente - Mare monstrum 2004
3. I numeri del “mare illegale”
Con un preoccupante, ulteriore balzo in avanti anche quest’anno i dati
sulle illegalità ambientali nei mari italiani registrano un aumento del 7,2% sul
totale delle infrazioni accertate, passando da 16.656 del 2002 a 17.871 del
2003. Un aggressione senza sosta ai nostri mari e alle nostre coste con crimini
che spaziano dall’abusivismo costiero all’inquinamento da scarichi illegali,
dalla pesca di frodo alle violazioni al codice della navigazione.
Entrando nel merito dei numeri oltre alle infrazioni accertate, nel 2003
le persone denunciate o arrestate sono 7.164 (rispetto ai 5.721 del 2002) e i
sequestri effettuati 6.469 (rispetto ai 5.205 del 2002), con un incremento
rispetto al 2002 del 25,2 e del 24,2%. Sono questi i risultati dell’elaborazione
di Legambiente dei numeri forniti dalle forze dell’ordine (Comando
Carabinieri tutela ambiente, Corpo forestale dello Stato e delle Regioni a
Statuto speciale, Guardia di finanza) e dalle Capitanerie di porto relativi ai reati
consumati nel 2003 ai danni del mare.
Un trend di crescita, dunque, negli ultimi due anni che non fa che
confermare le preoccupazioni già espresse da Legambiente in un clima di
“depenalizzazione” che spazia dalle infrazioni alla pesca di frodo al
preoccupante sul ritorno dell’abusivismo, causato in primo luogo dall’”effetto
annuncio” del nuovo condono edilizio nazionale.
IL QUADRO GENERALE DEL “MARE ILLEGALE” IN ITALIA NEL 2003
Cta-CC* Gdf**
Cfs - Capitanerie TOTALE
Cfr***
di porto
Infrazioni accertate
1.098
5.445
813
10.515
17.871
Persone denunciate
1.078
1.577
832
3 677
7.164
o arrestate
Sequestri effettuati
208
3.181
272
2.807
6.468
Fonte: elaborazione Legambiente su dati Comando Carabinieri tutela ambiente, Guardia di
finanza, Corpo forestale dello Stato e delle Regioni a statuto speciale e Capitanerie di porto.
*: i dati del Comando Carabinieri tutela ambiente sono relativi al periodo 01/05/2003 30/09/2003.
**: i dati della Guardia di finanza si riferiscono ai settori Pesca e Codice della navigazione ed
all’abusivismo su aree demaniali.
***: i dati dei Cfr si riferiscono a Sardegna e Sicilia.
La classifica per numero di reati in valore assoluto per regione vede la
Sicilia, con 3.418 reati accertati (+ 20% rispetto al 2002), riconquistare il primo
posto della graduatoria, strappando il podio alla Campania, che scende in
seconda posizione con 3.142 infrazioni (+8%). Terzo posto per il Lazio che
risale la classifica con 2.219 reati ai “danni” della Puglia che con 2.046
infrazioni si ritrova quarta in classifica. In coda alla classifica troviamo
l’Abruzzo, Basilicata e Molise.
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Legambiente - Mare monstrum 2004
LA CLASSIFICA DEL MARE ILLEGALE IN ITALIA: VALORI ASSOLUTI (2003)
Infrazioni
Persone denunciate
Sequestri
Regioni
accertate
o arrestate
effettuati
Sicilia ↑
3418
788
684
1
Campania ↓
3142
1027
522
2
Lazio ↑
2219
1264
426
3
Puglia ↓
2046
934
706
4
Sardegna ↑
1309
587
1857
5
Calabria ↓
1178
857
397
6
Veneto ↑
1034
517
326
7
Liguria ↑
778
232
220
8
Emilia Romagna ↑
707
228
185
9
Marche ↔
706
202
374
10
Toscana ↓
607
277
435
11
332
112
229
12 Friuli Venezia Giulia ↔
Abruzzo ↔
255
43
88
13
Basilicata ↑
87
73
5
14
Molise ↓
53
23
15
15
Fonte: elaborazione Legambiente su dati Comando Carabinieri tutela ambiente, Guardia di
finanza, Corpo forestale dello Stato e delle Regioni a Statuto speciale e Capitanerie di porto.
La Campania, invece, si conferma prima nella classifica del mare
illegale considerando le infrazioni per chilometro di costa (6,69 nel 2003,
mentre nel 2002 erano state 5,20), al secondo posto si conferma il Veneto (6,51
nel 2003 contro 5,80 del 2002), mentre al terzo posto sale il Lazio che da
quinta regione si ritrova sul podio quasi raddoppiando le infrazioni per
chilometro di costa rispetto allo scorso anno (6,14 infrazioni contro 3,59).
Chiudono questa speciale classifica la Basilicata, la Toscana e la Sardegna.
Il confronto complessivo con i dati rilevati nel 2002 segnala dunque una
brusca ripresa dell’illegalità con un significativo incremento rispetto allo
scorso anno. Un fenomeno ancor più allarmante se si considera, invece, che nel
2002 si era registrata una netta flessione rispetto agli anni precedenti.
Analizzando l’azione delle singole Forze dell’Ordine, c’è da notare che
le Capitanerie di Porto pur mantenendo pressoché invariato il numero delle
infrazioni accertate, 10.515 nel 2003 contro le 10.030 del 2002, aumentano
sensibilmente il numero delle persone denunciate o arrestate che da 2.642
passano a 3.677 (+39%). Più o meno stabile, invece, rispetto all’anno
precedente, l’azione di Carabinieri, Guardia di finanza, Corpo Forestale dello
stato e delle regioni.
9
Legambiente - Mare monstrum 2004
LA CLASSIFICA DEL MARE ILLEGALE IN ITALIA:
INFRAZIONI PER KM DI COSTA 2003
Regione
Infrazioni
Km di costa Infrazioni per Km
accertate
Campania ↑
3.142
469,7
6,69
1
Veneto ↑
1.034
158,9
6,51
2
Lazio ↑
2.219
361,5
6,14
3
Emilia Romagna ↑
707
131
5,40
4
Marche ↑
706
173
4,08
5
Friuli Venezia Giulia ↑
332
111,7
2,97
6
Puglia ↑
2.046
865
2,37
7
Sicilia ↑
3.418
1483,9
2,30
8
Liguria ↓
778
349,3
2,23
9
Abruzzo ↑
255
125,8
2,03
10
Calabria ↑
1.178
715,7
1,65
11
Molise ↑
53
35,4
1,50
12
Basilicata ↑
87
62,2
1,40
13
Toscana ↓
607
601,1
1,01
14
Sardegna ↑
1.309
1731,1
0,76
15
Fonte: elaborazione Legambiente su dati Comando Carabinieri tutela ambiente, Guardia di
finanza, Corpo forestale dello Stato e delle Regioni a Statuto speciale e Capitanerie di porto.
Per quanto riguarda la tipologia di reati, nel 2003 segnaliamo un vero e
proprio balzo in avanti degli abusi edilizi sul demanio marittimo che da 3.158
infrazioni accertate del 2002, passano a 4.071 di quest’anno. Quasi un 23% in
più, che ancora una volta ci conferma come l’”effetto condono edilizio” sia
stato devastante per il nostro territorio e per le coste italiane. Significativi
aumenti anche per le infrazioni per inquinamento e per pesca di frodo. L’unica
flessione la si registra, invece, per le infrazioni al codice della navigazione, che
seppur mantenendo il primato numerico sul totale dei reati dalle 6.858 del 2002
scendono alle 6.769 dell’ultimo anno.
I PRINCIPALI REATI NEL 2003
Reato
Abusivismo edilizio sul demanio
Depuratori,
scarichi
fognari,
inquinamento da idrocarburi
Pesca di frodo
Codice navigazione e
nautica da diporto
Altro
Totale
Infrazioni
accertate
Sequestri
effettuati
% sul
totale
4.071
1.224
Persone
denunciate
o arrestate
4.429
487
760
83
22,8
6,9
5.060
6.769
876
542
4.882
575
28,3
37,9
747
17.871
830
6.964
169
6.469
4,2
-
Fonte: elaborazione Legambiente su dati Comando Carabinieri tutela ambiente, Guardia di
finanza, Corpo forestale dello Stato e delle Regioni a Statuto speciale e Capitanerie di porto.
10
Legambiente - Mare monstrum 2004
4. E la nave va: l’illegalità del “popolo dei naviganti”
L’italiano in mare continua ad essere poco rispettoso delle norme sulla
navigazione, anche se, per fortuna, gli illeciti seguono un moderato trend
discendente. Questo dicono i numeri sulle illegalità accertate dalle forze
dell’ordine e dalle Capitanerie di porto nel 2003: anche se in diminuzione
rispetto al 2002, i reati sono stati 6.769, le persone denunciate o arrestate sono
542, mentre sono stati compiuti 575 sequestri.
Nella classifica regionale la Sicilia (con 1.483 infrazioni e 24 tra
denunciati e arrestati) riconquista il poco lusinghiero primato, mentre la
Campania ridiscende al secondo posto anche se per una decina di infrazioni in
meno (1.471 infrazioni). Il Veneto torna sul podio classificandosi terzo con 670
infrazioni. La fotografia dell’italico “popolo di naviganti” scattata dalle
Capitanerie di Porto dunque dipinge uno scenario di debacle a trecentosessanta
gradi nei confronti della tutela dell’ambiente marino, del prossimo, ma anche
verso se stessi, dal momento che la maggior parte delle infrazioni accertate
sono proprio per una mancanza del rispetto delle più elementari norme di
sicurezza.
Esaminando nel dettaglio le principali illegalità riscontrate dalle Forze
dell’Ordine, infatti, l’infrazione che guadagna il primo posto della classifica
con il 40% delle infrazioni è quella per mancanza di dotazioni di sicurezza,
come i giubbotti salvagente, i razzi segnalatori, gli autogonfiabili. Al secondo
posto, con il 35% delle infrazioni, la navigazione in zone di mare non
consentite, troppo sottocosta (entro i 150 metri dagli scogli e 300 metri dalle
spiagge) o nelle aree marine protette. Il 10% delle infrazioni riguarda chi non
ha pagato la tassa di stazionamento, mentre il 15% è per chi trasporta un
numero di persone superiore a quello consentito dalla propria imbarcazione.
11
Legambiente - Mare monstrum 2004
LA CLASSIFICA DELL’ILLEGALITÀ DELLA NAVIGAZIONE IN MARE NEL 2003
Infrazioni
Persone denunciate
Sequestri
Regione
accertate
o arrestate
effettuati
Sicilia ↑
1.483
24
85
Campania ↓
1.471
58
5
Veneto ↑
678
294
65
Lazio ↓
568
24
12
Sardegna ↑
507
14
267
Puglia ↓
485
21
96
Liguria ↓
325
5
3
Marche ↑
290
3
4
Emilia Romagna ↑
267
30
3
Toscana ↓
237
24
10
Calabria ↓
195
22
20
Friuli Venezia Giulia ↑
191
5
2
Abruzzo ↑
50
0
3
Molise ↓
22
0
0
Basilicata ↔
0
0
0
Totale
6.769
542
575
Fonte: elaborazione Legambiente su dati Guardia di finanza, Corpo forestale dello Stato e
delle Regioni a Statuto speciale e Capitanerie di porto.
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
13
14
15
I REATI AL CODICE DELLA NAVIGAZIONE E NAUTICA DA DIPORTO NEL 2003
Reato
Numero di
%
infrazioni
Mancanza di attrezzatura di sicurezza
2707
40%
(giubbotto salvagente, razzi segnalatori,
autogonfiabili)
Navigazione in zona non consentita
2369
35%
(sottocosta, aree marine protette)
Mancato pagamento tassa di stazionamento
677
10%
Altro (p.es. trasporto di persone non consentito,
1015
15%
sci nautico non regolamentare, eccesso di
velocità, violazioni nell’attività subacquea)
Fonte: elaborazione Legambiente su dati delle Capitanerie di porto 2003
12
Legambiente - Mare monstrum 2004
5. Cemento in spiaggia
Impressionante scalata del Lazio che nel rapporto Mare monstrum
di quest’anno risale vertiginosamente la classifica e si piazza al primo
posto scavalcando e quasi doppiando anche le quattro regioni a
tradizionale presenza mafiosa. Un escalation senza precedenti che vede
crescere le infrazioni accertate di abusivismo edilizio sul demanio da 292
del 2002 a 1.069 di quest’anno. Un 266% in più da attribuire senza
ombra di dubbio all’effetto condono edilizio, ma anche alle varie
operazioni condotte nell’ultimo anno dalle Capitanerie di porto, dalle
Sezioni navali della Guardia di finanza e dalle indagini della
magistratura. Fra queste da segnalare l’operazione condotta dalla Procura
di Velletri e affidata ai carabinieri del Noe, che ha portato a decine di
sequestri lungo un tratto di litorale della provincia di Roma, tra Ardea e
Tor San Lorenzo, compreso quello di ben 28 appartamenti, per un valore
di circa 4 milioni di euro, costruiti abusivamente da una società
immobiliare su un fosso demaniale. Le infrazioni crescono anche in
Sicilia, 585 contro le 563 del 2002, e Puglia 423 contro le 385 e
diminuiscono in Campania che dal primo posto dello scorso anno con
575 reati scende al quarto con 531 reati e la Calabria che passa da 550
infrazioni accertate nel 2002 a 547 di quest’anno.
LA CLASSIFICA DELL’ABUSIVISMO EDILIZIO SUL DEMANIO NEL 2003
Infrazioni
Persone denunciate
Sequestri
Regione
accertate
o arrestate
effettuati
1069
1076
73
585
554
114
547
605
124
531
565
196
Campania ↓
Puglia ↑
423
549
74
Sardegna ↑
315
432
92
Toscana ↑
124
101
22
Liguria ↑
121
127
31
Emilia Romagna ↓
116
33
17
Marche ↑
82
86
10
Veneto ↓
54
28
0
Basilicata ↓
53
47
2
Abruzzo ↔
24
5
2
Molise ↓
15
0
3
Friuli Venezia Giulia ↓
12
5
0
Totale
4.071
4.429
760
Fonte: elaborazione Legambiente su dati Guardia di finanza, Corpo forestale dello Stato e
delle Regioni a Statuto speciale e Capitanerie di porto.
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
13
14
15
Lazio ↑
Sicilia ↑
Calabria ↓
13
Legambiente - Mare monstrum 2004
5.1 Gli ecomostri: abusivismo edilizio, cemento legale, progetti
insensati, lotta al cemento selvaggio, storie esemplari di aggressione
al Belpaese
A vele spiegate contro gli ecomostri. Anche quest’anno Goletta Verde
darà vita a numerosi “demolition day”: ville, villaggi turistici, alberghi e
lottizzazioni abusive e non, verranno “assaltate” simbolicamente dagli
equipaggi del Pietro Micca e della Catholica. Bliz anti-ecomostro verranno
organizzati inoltre nelle zone in cui progetti insensati minacciano di distruggere
e deturpare cornici paesaggistiche e naturali uniche al mondo.
Una campagna che, oltre a denunciare vecchi e nuovi attacchi al
patrimonio ambientale del Belpaese, vuole dare un segnale preciso per quanto
riguarda la lotta agli ecomostri e all’abusivismo edilizio. Proprio su
quest’ultimo fronte, la situazione che è emersa nel corso del 2003 non è affatto
rosea per usare un eufemismo.
L’anno appena trascorso è stato l’anno del boom del cemento selvaggio.
L’approvazione del terzo condono edilizio ha portato, come era prevedibile, ad
una impennata dell’abusivismo edilizio nel nostro Paese, che si traduce in un
pesante macigno sullo sviluppo e la corretta pianificazione del territorio e
dell’ambiente e in un regalo all’ecomafia. In un solo colpo, infatti, sono state
“legalizzate” più di 405mila costruzioni abusive realizzate dal 1994 al 2003.
Uno schiaffo ai cittadini onesti e rispettosi delle leggi e un nuovo regalo ai
furbi, ai disonesti e ai clan della mafia, della camorra, della ‘ndrangheta che
hanno interessi diretti nel ciclo del cemento illegale (143, infatti, sono i clan
attivi in questo settore, censiti nel Rapporto Ecomafia 2004). Spazzando via in
un attimo gli enormi sforzi fatti in questi ultimi anni. Quel ciclo virtuoso che
sembrava essersi avviato con la demolizione dell’Hotel Fuenti a Vietri sul
Mare e con quelle sul lungomare di Eboli, sulla “collina del disonore” di Pizzo
Sella a Palermo, nell’Oasi del Simeto a Catania, fino a quelle effettuate dai
Comuni di Roma e Napoli, solo per citarne alcune. Si era assistito, infatti, negli
ultimi anni ad una costante flessione nelle costruzioni illegali nel nostro Paese,
ad una ritirata del cemento selvaggio che si era tradotta in migliaia di case
abusive in meno. Il terzo condono, invece, ha riacceso le betoniere
dell’abusivismo edilizio. Secondo le stime dell’Istituto di ricerca Cresme, nel
2003 sono state realizzate 40 mila costruzioni abusive, per una superficie
complessiva equivalente a oltre 5,4 milioni di metri quadrati, ossia 540 campi
di calcio di cemento illegale, per un valore immobiliare superiore ai 2,7
miliardi di euro; si tratta di oltre 9mila nuove costruzioni illegali in più rispetto
al 2002 (tra nuovi immobili e trasformazioni d’uso di rilevanti dimensioni), che
sommate a quelle del 2002, consentono di attribuire all’effetto condono
un’impennata di oltre il 40% di abusivismo edilizio “regalato” al nostro Paese.
Il dato è ancora più preoccupante se si tiene conto della natura di questo
abusivismo che, nel 70% dei casi, si concentra in aree a bassa intensità
abitativa e punta sul mercato delle seconde case, anche di prestigio. Sempre
secondo il Cresme c’è da attendersi un’ulteriore incremento di case illegali
14
Legambiente - Mare monstrum 2004
anche nel 2004, soprattutto dopo la decisione del governo di prorogare i
termini per la presentazione delle domande di condono.Come negli anni
passati, l’abusivismo edilizio, seppur diffuso in tutta Italia, raggiunge i picchi
maggiori nelle quattro regioni a tradizionale presenza mafiosa (Campania
sempre in testa, Puglia, Sicilia, Calabria dove si concentra il 55% delle nuove
costruzioni abusive). Questo diluvio di cemento non ha, chiaramente,
risparmiato le nostre coste, in particolar modo quelle dell’Italia meridionale.
Si parte dalla costiera amalfitana, una delle zone più belle del nostro
Paese, dove gli speculatori dell’ambiente costruiscono dove vogliono,
distruggendo aree di grande pregio ambientale con l’acquiescenza spesso,
dolosa o colposa, degli amministratori locali. Le forze dell’ordine stimano che
per ogni manufatto abbattuto ve ne siano dieci nuovi che sorgono: cantieri
illegali occultati con i teloni utilizzati nella coltura degli agrumeti e da cui, una
volta tolti i teloni, spuntano ville e appartamenti a picco sul mare, edificate in
sfregio alla normativa vigente e senza tener conto dei rischi di dissesto
idrogeologico. I dati delle forze dell’ordine permettono di fotografare la gravità
del fenomeno. La Sezione Operativa navale di Salerno della Guardia di
finanza, nel periodo 1995-2003 ha denunciato 380 persone ed effettuato 163
sequestri, di cui ben 112 riguardano immobili, per un valore economico stimato
in circa 39.200.000 euro. Legambiente ha calcolato che presso gli uffici tecnici
dei comuni della costiera amalfitana sono state ben 5.064 le richieste di
sanatorie fatte in occasione dei due condoni edilizi (3.266 per quello Craxi Nicolazzi del 1985 e 1.780 per quello del 1994 a firma Berlusconi - Radice).
Accanto ad una maggioranza di opere di modesta entità spiccano rinomati
alberghi come il San Pietro, il Sirenuse, il Covo dei Saraceni e l’Hotel Le
Agavi – che ha cementificato e chiuso da terra una spiaggia pubblica -, tutti
con una domanda di condono depositata presso gli uffici tecnici del Comune.
L’“abuso eccellente”, in questo caso, porta la firma del regista Franco
Zeffirelli, “affittuario” della dimora “Tre Ville”, raccontata per esteso nel
paragrafo sugli ecomostri.
In Sicilia, diversi sono stati i casi di abusivismo nello splendido
arcipelago delle Eolie. In pochi mesi sono state sequestrate una decina di
costruzioni illegali a Lipari, Filicudi e Vulcano dove, su quest’ultima isola, i
carabinieri hanno messo i sigilli a due strutture costruite senza autorizzazione.
Altri cinque immobili realizzati abusivamente sono stati acquisiti al patrimonio
comunale. Due a Vulcano, in località Sotto Lentia: un vano di trenta metri
quadri, che era stato realizzato senza la concessione edilizia, e una abitazione
di cento metri quadri. A Stromboli è la volta di una cisterna, di ottanta metri
quadri. A Filicudi Porto, invece, è stato acquisito un manufatto, di tre vani, di
quaranta metri quadri, realizzato in cemento e lamiera. A Ginostra si è
proceduto all’immissione in possesso di un vano, di trenta metri quadri, che era
stato realizzato abusivamente, su una stradella pubblica; una scala esterna
realizzata illegalmente sulla scogliera a Panarea è stata, invece, demolita.
Anche Lampedusa è minacciata dal cemento illegale. Gli uomini della Guardia
di finanza hanno individuato sette costruzioni abusive, alcune in via di
15
Legambiente - Mare monstrum 2004
realizzazione ed altre già ultimate. Tra gli immobili sequestrati, un’abitazione
di oltre cento metri quadrati in costruzione, una mini villetta ancora da
ultimare, una casa, già abitata, un altro magazzino adibito a stalla e due villette
già abitate di quasi cento metri quadrati ciascuna. In questo scenario, desta
allarme l’incendio che ha distrutto l’archivio dell’ufficio tecnico comunale di
Lampedusa: dai rilievi effettuati dai carabinieri e dai Vigili del fuoco, il rogo
sembrerebbe essere stato appiccato, con l’ausilio di liquido infiammabile, ai
fascicoli conservati in due armadi metallici, rigorosamente chiusi a chiave e
sarebbero stati ritrovati inequivocabili segni di effrazione alla porta d’ingresso
del Palazzo della città. L’incendio ha, così, cancellato anni di richieste
d’edificazione respinte, di immobili sanati e di reati commessi in materia di
urbanistica.
La convinzione di non correre rischi e la prospettiva del condono
hanno alimentato, anche in Basilicata, un abusivismo di tipo “speculativo”,
orientato cioè verso le zone di interesse turistico. Un esempio arriva dal
comune di Maratea dove, grazie al lavoro svolto dal Comando provinciale
dell’Arma dei carabinieri, sono emersi numerosi episodi di abusivismo edilizio,
che hanno indotto gli inquirenti a ipotizzare una sorta di “piano preordinato”.
In pochi mesi, infatti, sono stati accertati ben 44 casi, tra nuovi immobili
abusivi, ristrutturazioni eseguite senza concessione edilizia o con gravi
difformità. Tra i mesi di marzo e maggio 2003 vengono denunciate: tre persone
(proprietario dell’immobile, direttore dei lavori e un imprenditore) per i lavori
illeciti eseguiti in una zona soggetta a vincolo paesaggistico, in località
Castrocucco; altre quattro persone accusate di aver svolto lavori abusivi, in
difformità rispetto alla concessione edilizia, in una zona soggetta sempre a
vincolo paesaggistico ed ancora quattro persone segnalate per abusivismo
edilizio. Un’ulteriore denuncia è stata fatta a luglio, sempre per interventi
eseguiti in difformità rispetto alle concessioni edilizie. I controlli, eseguiti
anche con l’ausilio di un elicottero e una motovedetta, hanno consentito di
svelare uno dei trucchi utilizzati dagli abusivi: i proprietari degli immobili e le
imprese impegnate nelle ristrutturazioni illecite usavano teloni verdi per
occultare i lavori in corso. Una tecnica già sperimentata in altre aree di pregio,
come la Costiera amalfitana.
In Toscana, desta ancora scalpore l’inchiesta, partita dai dossier e dalle
denunce di Legambiente, che ha portato alla luce una fitta ragnatela di
malaffare sull’isola d’Elba tessuta intorno al business del cemento abusivo e
segnalata per esteso nel paragrafo dedicato agli ecomostri.
Cambiando isola lo scenario non cambia. L’assalto alle coste
settentrionali della Sardegna ha assunto ormai connotazioni preoccupanti.
L’annuncio dell’ennesimo condono edilizio ha, infatti, scatenato una serie
innumerevole di abusi edilizi in zone che, peraltro, sono soggette a vincolo
paesaggistico e ambientale. La conferma di quanto detto proviene dalla Procura
della Repubblica di Tempio che, in appena quattro mesi, ha firmato 44
provvedimenti di sequestro giudiziario per opere edilizie realizzate
illegalmente. Lo stesso Procuratore capo di Tempio Valerio Cicalò afferma che
16
Legambiente - Mare monstrum 2004
“stiamo affrontando l’emergenza con il poco personale a nostra disposizione
ma i controlli da fare sono innumerevoli e gli abusi sempre più numerosi e
gravi”. Rispetto agli anni precedenti si è pertanto registrato un notevole
aumento di costruzioni: si tratta di tante piccole opere, in ogni caso realizzate
in assoluta difformità delle leggi urbanistiche, ambientali e paesaggistiche ed in
totale spregio di uno dei luoghi più belli del mondo.
Solo il costante monitoraggio del territorio ad opera delle forze
dell’ordine, e in particolare del Corpo forestale e di vigilanza ambientale della
Regione Sardegna ha permesso di rilevare moltissimi illeciti perpetrati a danno
dell’integrità delle coste e l’adozione degli opportuni provvedimenti. Tra le
tante operazioni effettuate, si può ricordare quella condotta sull’Isola di S.
Maria, parte integrante del Parco Nazionale dell’arcipelago della Maddalena.
Ebbene, proprio su quest’isola, dove ogni intervento deve essere supportato da
una positiva valutazione di incidenza ambientale ed è soggetto al nullaosta
preventivo dell’Ente Parco, sono state scoperte diverse opere abusive anche se
di modesta dimensione. Il Comando Forestale di Palau, su delega della Procura
della Repubblica presso il Tribunale di Tempio Pausania, ha posto sotto
sequestro preventivo tali opere, sequestro che è attualmente in vigore.
Ancora, sull’Isola di Maddalena, esattamente a “Fangotto”, una località
introvabile, nascosta dietro le alture delle splendide spiagge di Spalmatore e
Trinità, sono stati rilevati alcuni manufatti edili totalmente abusivi e sottoposti
a sequestro.
Un episodio significativo si è verificato nel Comune di Palau, dove il
proprietario di una abitazione ha pensato bene di disboscare il proprio parco
per far posto ad un’ondata di granito, servito per la realizzazione di un nuovo
gazebo e di una nuova veranda, con annesso barbecue. “Sequestrate pure, tanto
siamo in attesa del condono o della sanatoria”, avrebbero risposto alcuni operai
agli agenti del corpo forestale. Il tutto realizzato senza uno straccio di licenza e
alcuna autorizzazione amministrativa.
La storia non muta nel territorio comprendente i comuni di Olbia Golfo Aranci - Arzachena, dove il Comando Forestale di Olbia ha effettuato 11
sequestri di immobili, alcuni completamente sprovvisti di titoli autorizzativi e
altri per difformità totali o essenziali rispetto alle concessioni edilizie in
possesso. Nello specifico, gli abusi si sono concretizzati sia in ampliamenti di
unità abitative già esistenti sia in costruzioni ex novo, edificate per usufruire
indebitamente del condono edilizio.
Nonostante i numeri e i fatti dipingano uno scenario a tinte fosche,
vanno però ricordati alcuni importanti abbattimenti effettuati nel corso del
2003, ottenuti grazie anche al “martellante” lavoro di Legambiente: nel Parco
nazionale del Cilento e Vallo di Diano, dove è stato demolito il cosiddetto
“ascensore della camorra”, costruito abusivamente nei pressi di Castellabate.
Nei comuni di Napoli e Roma; sul lungomare di Palermo, grazie all’impegno
della Capitaneria di Porto e su quello di Rossano (Cs), nella cittadina di
Pomigliano D’Arco e in quella di Porto Cesareo. Inoltre, sono state ultimate le
17
Legambiente - Mare monstrum 2004
demolizioni delle otto torri del Villaggio Coppola di Castelvolturno (Ce), uno
dei simboli dell’aggressione del cemento selvaggio lungo le coste.
Di seguito vengono riassunte delle storie esemplari di pezzi di Belpaese
aggrediti dal cemento selvaggio.
5.2.1 Ecomostri: le new entry
All’assalto dell’isola d’Elba
Mazzette, corruzione e cemento selvaggio. E’ questa l’esplosiva
miscela che si è abbattuta sull’isola d’Elba. Una fitta ragnatela di malaffare, di
corruzione sventata dalla provvidenziale denuncia di Legambiente e Italia
Nostra e dalle indagini avviate dal Corpo forestale dello Stato su mandato della
Procura della Repubblica di Livorno. Le accuse, formulate dalla Procura della
Repubblica di Genova a cui sono state trasferite per competenza territoriale le
indagini, che hanno portato all’emissione di diverse ordinanze di custodia
cautelare tra settembre e dicembre del 2003, sono di corruzione, per
imprenditori e funzionari pubblici, e di corruzione in atti giudiziari per il
magistrato coinvolto. Non si tratta di episodi isolati. I magistrati genovesi
affermano che “gli imputati principali costituivano un vero e proprio gruppo di
potere, dedito alla gestione illecita delle più importanti operazioni immobiliari
dell’Elba”. Sono due, in particolare, quelle al centro dell’inchiesta: la prima
relativa alla costruzione del Centro servizi di Procchio, nel Comune di
Marciana; la seconda operazione immobiliare, invece, prevedeva la costruzione
di un residence in una delle aree di maggior pregio dell’Elba, il complesso
della ex Costa dei Barbari, a Cavo, nel comune di Rio Marina.
L’ecomostro di Procchio (una frazione del Comune di Marciana) è uno
scheletro di cemento, messo sotto sequestro l'8 Ottobre 2003 su mandato della
Procura della Repubblica di Genova, con un’operazione congiunta della
Guardia di Finanza e del Corpo Forestale dello Stato dell’Isola d’Elba. Lo
scheletro sorge poco lontano dal mare, in un’area centrale e verde utilizzata
come grande parcheggio estivo. Sembrava il frutto di una concessione
rilasciata nell’agosto 2002, in modo apparentemente regolare, che però avrebbe
dovuto essere bloccata dal Comune di Marciana sulla base dei disposti
regionali che imponevano una moratoria di un anno (successivamente
prorogata) per le zone colpite dall'alluvione del 4 settembre 2002, tra le quali la
piana di Procchio, un'area a fortissimo rischio idraulico e che fu completamente
invasa dalle acque. Invece i lavori del grande stabile iniziarono solo poche
settimane dopo l'alluvione. Lo scheletro di cemento sotto sequestro doveva
inizialmente essere un “centro servizi” con albergo ed appartamenti per un
totale di 20mila metri cubi, ma, anche per la forte opposizione di Legambiente,
la precedente Amministrazione Comunale non lo aveva mai autorizzato. Solo
nel 2003 si iniziano a costruire mini-appartamenti, negozi ed un grande garage
sotterraneo, anche se con una riduzione di circa 10mila metri cubi rispetto al
progetto originario. Così l’ecomostro di Procchio è diventato il simbolo di
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Legambiente - Mare monstrum 2004
“Elbopoli” della voglia di cemento di un’isola nella quale i Piani Strutturali
degli otto Comuni vorrebbero costruire 2milioni di metri cubi di cemento.
La barriera fantasma di S. Marinella (Rm)
Ufficialmente nel tratto di mare Fosso delle Guardiole, di fronte a Baia
di Ponente, a Santa Marinella, avrebbe dovuto sorgere una scogliera protettiva
di un sito archeologico del periodo romano. Una iniziativa nobile, peccato che
invece si stava realizzando un porticciolo, con attracchi per circa 120 barche. A
scoprire il misfatto sono stati gli uomini della Sezione navale della Guardia di
Finanza di Civitavecchia, guidati dal Maggiore Emilio Errigo. Dalle indagini è
infatti emersa l’esistenza di due progetti nettamente diversi tra loro (uno
presentato al Comune e l’altro alla Soprintendenza all’Etruria Meridionale) e
differenti anche dal disegno inserito nel Piano per l’utilizzo degli arenili ( Pua).
Nelle intenzioni originarie la scogliera avrebbe dovuto difendere
un’area di grande pregio archeologico. Nel tratto di mare Fosso delle Guardiole
sono infatti presenti due peschiere di epoca romana annesse ad una villa, che in
parte affiorano anche dall’acqua. Inoltre la zona è un sito interesse
comunitario, in quanto 200 metri più avanti rispetto alla prevista scogliera è
presente una vasta prateria di posidonia. In ultimo, il litorale è soggetto ad un
vincolo paesaggistico e doganale.
L’iter per la realizzazione dell’approdo è attualmente bloccato. La
Soprintendenza vuole vederci chiaro e ha chiesto al Comune il progetto
presentato dal privato per confrontarlo con quello in suo possesso e anche con
il disegno contenuto nel Piano di utilizzo degli arenili.
I misfatti dello stabilimento Maremma (Montalto di Castro)
Lungo il litorale di Montalto di Castro gli uomini della sezione navale
della Guardia di Finanza Civitavecchia, hanno scoperto un vero e proprio
scempio ambientale. Con un blitz le Fiamme gialle hanno infatti sequestrato
una parte del complesso turistico - alberghiero denominato Maremma, situato
sul lungomare. La disposizione cautelare di sequestro è scaturita da complesse
indagini che hanno portato ad accertare che le opere realizzate nel complesso
balneare Maremma, consistenti nell’edificazione di dieci camere d’albergo,
nella trasformazione di una piccola costruzione, autorizzata a contenere cassoni
idrici per complessivi sedici metri quadrati, in un appartamento con vista sul
mare di novanta metri quadrati e altre opere apparentemente regolari da un
punto di vista formale, sono il frutto di un clamoroso falso, architettato da
funzionari del comune, in collusione con professionisti e con i proprietari dello
stabilimento.
Gli avvisi di garanzia sono stati notificati ai responsabili dell’ufficio
urbanistica del Comune di Montalto, ai tecnici progettisti delle opere
abusivamente realizzate e ai proprietari del complesso alberghiero sottoposto a
sequestro penale. Le ipotesi di reato contestate vanno dal falso ideologico
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Legambiente - Mare monstrum 2004
all’abuso d’ufficio e all’omissione in atti pubblici. E’ da segnalare che nel
corso delle indagini è stata acquisita della documentazione fotografica,
presentata a corredo delle richieste di ristrutturazione del complesso balneare,
che è risultata poi essere un’abile riproduzione di più fotogrammi sovrapposti
che palesavano lavori svolti nel rispetto delle norme urbanistiche e che invece
si sono rivelate del tutto false.
L’hotel Summit di Gaeta
L’ampliamento dell’hotel Summit di Gaeta è salvo, almeno per ora, in
attesa che si pronunci la Soprintendenza del Lazio, entro 60 giorni, a partire
dalla delibera comunale del 17 maggio 2004, trascorsi i quali scatterà il
famigerato silenzio-assenso.
Ma questo è solo l’atto finale di una storia che ha avuto come triste
epilogo quello di rovinare un incantevole lembo di costa. Risale alla metà degli
anni '50 la presentazione di un progetto concernente la realizzazione di un
ristorante denominato “Il Barchino”. Nel 1961 viene poi ordinata la
sospensione dei lavori in quanto si accerta che si costruisce in difformità e
senza il parere paesistico. L’opera comunque prosegue e giunge a conclusione.
Nel medesimo periodo, viene presentato un nuovo progetto che prevede un
edificio a due piani, incluso ristorante e dieci camere, per un totale di 302 metri
quadrati di superficie coperta. Il progetto, denominato Argonauta, riceve il
parere favorevole della commissione edilizia comunale e il nulla osta di
massima della Soprintendenza. Ma l’epopea del cemento non si arresta qui.
Viene presentato un progetto di ampliamento dell’albergo che prevede un
edificio di cinque piani complessivi. Il Soprintendente, con nota del 28 ottobre
1966, esprime parere contrario all’approvazione. Negli anni successivi, si
susseguono senza tregua i progetti di ampliamento dell’albergo fino ad
arrivare, agli inizi degli anni '70, ad una struttura con 7 piani, un volume
autorizzato pari a 10.578 metri cubi ed una superficie coperta pari a 1.536 mq.
In relazione a questo nuovo progetto, la Soprintendenza ai monumenti del
Lazio, nonostante l’edificio presenti due piani in più rispetto al progetto
precedentemente bocciato, cambia parere e concede l’autorizzazione Ma non è
ancora finita. Viene chiesta una nuova variante che prevede un piano in più,
l’amministrazione comunale, senza parere paesistico e in contrasto con la
legge regionale di protezione delle coste, autorizza i lavori con la concessione
n. 736 del 1977. Mesi dopo la Soprintendenza per i beni ambientali e
architettonici del Lazio, esprime parere contrario all’ultimo ampliamento.
Nel 1986 viene presentata domanda di condono per un ampliamento di
superficie dichiarata pari a 1.605 mq. Nel 2000, nel corso dell’esame di tale
domanda, la commissione edilizia comunale rileva che la licenza edilizia n.
736 del 1977 è stata rilasciata in maniera illegittima “in quanto non è stata
preventivamente acquisita l’autorizzazione prevista dall’art. 7 della l. 1497/
1939 (la legge sulle bellezze paesistiche)” e perché ritenuta in contrasto con la
legge regionale n.30 del 1974. La stessa commissione esprime parere
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Legambiente - Mare monstrum 2004
favorevole all’annullamento della licenza edilizia citata. Successivamente a
tale parere, è stata presentata una integrazione all’istanza di condono del 1986,
con la richiesta di condonare una superficie dichiarata pari a 1.975 mq.
L’abuso ha trovato ora la sua legittimazione: il 17 maggio 2004 infatti
l’amministrazione comunale ha espresso parere favorevole alla sanatoria. Entro
sessanta giorni si dovrà pronunciare la Sopraintendenza per esprimere il
proprio parere in merito al condono, trascorsi i quali scatta il silenzio-assenso.
Furore Inn resort, l’albergo abusivo, costruito con fondi pubblici
Un clamoroso caso di abusivismo in piena Costiera Amalfitana,
territorio classificato dall’Unesco “patrimonio dell’umanità”. Si tratta
dell’albergo “Furore Inn Resort”, lussuoso hotel a cinque stelle costruito in
località Punta S. Elia, nel piccolo ma suggestivo comune di Furore. Un albergo
da sogno (con ventidue stanze, ristorante, sala convegni, oltre a ovviamente
piscina e campi da tennis) che in realtà avrebbe dovuto essere solo una piscina
comunale e che oltre tutto è stato realizzato con soldi pubblici.
Ma ricostruiamo brevemente la vicenda. Tutto ha inizio nel 1988
quando viene costituita, ad opera del sindaco, una società mista, la Futura srl,
con la maggioranza detenuta dal comune di Furore. Successivamente, arriva un
cospicuo finanziamento statale dell’importo di 8 miliardi e 100 milioni di
vecchie lire, richiesto ai sensi della legge n. 160/88 (che promuove progetti per
la creazione di occupazione in zone con elevata intensità di disoccupati) per la
realizzazione di un’opera pubblica ossia il complesso turistico sportivo. E così
ha inizio, sotto mentite spoglie, la costruzione dell’albergo. Ma non è finita qui.
Infatti, nel corso della seduta del consiglio comunale del 31 luglio 2003, il
sindaco propone la vendita della quota detenuta dal comune, adducendo come
ragione di tale iniziativa la mancanza di mezzi finanziari per ricapitalizzare la
società. A questo punto il socio privato, prontamente sottoscrive le azioni,
divenendo così socio di maggioranza, visto che la stessa Regione Campania,
che all’inizio si era dimostrata decisa a voler rilevare le quote pubbliche, in
seguito rinuncerà, in base ai rilievi dei tecnici regionali del settore
“antiabusivismo” Queste le motivazioni della rinuncia da parte della Regione,
in un comunicato stampa del 9 dicembre 2003: “L’ufficio antiabusivismo della
Regione Campania - si legge nella nota - ha consegnato all’assessorato
all’Urbanistica la relazione preliminare all’acquisizione al patrimonio regionale
della quota pubblica della “Futura spa”, proprietaria del complesso immobiliare
"Furore Inn", sito nel comune di Furore (...)”. La relazione, necessaria per la
verifica della compatibilità urbanistica del "Furore Inn", ha confermato dubbi
sulle procedure urbanistiche eseguite per la realizzazione del complesso.
Quindi, oltre il danno anche la beffa. Non è bastata infatti la sottrazione alla
comunità di un centro sportivo comunale e la realizzazione, con fondi pubblici,
di uno scempio in uno degli angoli più belli della Costiera Amalfitana. Ora il
tutto passa nelle mani di un privato e della procura della repubblica di Salerno
che ha avviato l’indagine.
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Legambiente - Mare monstrum 2004
Villa Zeffirelli: Millequattrocento metri quadrati di cemento mai
autorizzati
Siamo a Positano (Sa), una dimora da sogno a picco sul mare in piena
costiera amalfitana. Ventuno le camere, trecento gli scalini. Di fronte a l'isola
Li Galli. “Le Tre Ville”, la magnifica dimora che degrada a mare e domina la
baia di Arienzo, la spiaggia dei mulini, dove l' imperatore Tiberio macinava il
suo grano proveniente da Capri, è in parte fuorilegge, nonostante due sanatorie.
Potremmo dire che si tratta della solita routine della “Divina costiera”…ma
questa volta la villa da sogno a picco sul mare ha un “dimorante eccellente”, il
signor Corsi Gianfranco, in arte Franco Zeffirelli.
A nulla sono valse la produzione di ben 7 pratiche di richieste di condono (3
riferite al 1985 e 4 alla seconda sanatoria del ‘93).
Il Procuratore della Repubblica incriminava, relativamente al fascicolo 1214/92
presentato alla vecchia pretura d'Amalfi, l' amministratore di una società, la Ipa
(Immobiliare Positano Amalfi) insieme al proprietario, di aver eseguito opere
«consistenti in otto manufatti per complessivi 725 metri cubi... ». Il Procuratore
scriveva che queste opere non erano sanabili, che c'era «un unico disegno
criminoso» e che tutte le opere descritte al «capo A» invadevano
«arbitrariamente al fine di occuparlo e trarne altrimenti profitto, il suolo
demaniale pubblico per complessivi 1.400 metri quadrati». Incredibile.
Il giudice assolse da ogni imputazione il “proprietario” Zeffirelli, per il fatto
che era un frequentatore abituale, come si è dichiarato lo stesso, mentre
condannò l’amministratore della società Ipa a 16 giorni di reclusione. La
crudezza del provvedimento giudiziario si è però “addolcito”, considerando che
nessuno dei sindaci, che dall’85 ad oggi hanno retto l’amministrazione
comunale, ha mai pensato di far seguire a quella sentenza il relativo ordine di
demolizione. Sulla vicenda sono state presentate anche delle interrogazioni
parlamentari (la prima del 13 settembre 1989, la seconda del 24 settembre
1991) con le quali un deputato, Antonio Parlato, segnalava che la dimora «del
regista Franco Zeffirelli» continuava ad ampliarsi con abusi reiterati. Parlato
chiedeva come fosse possibile che nessuno vedesse la mole dei lavori
irregolari. Tre anni dopo - seconda interrogazione - aggiunse che la casa si era
come allungata verso il basso, con una lunga scalinata fino al mare. «Ho le
foto», disse il deputato. I ministri dell’Ambiente e dei Beni culturali non
vollero nemmeno vederle. E l’abuso continua ancora oggi ad essere impunito.
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Legambiente - Mare monstrum 2004
Il cemento sulla spiaggia di Positano
Era la spiaggia dell’amore
per i positanesi. La spiaggia dove,
in romantiche notti di luna piena,
si portavano le compagne sugli
Scogli Piatti, al di fuori di ogni
occhio indiscreto, col solo rumore
delle onde del mare. Una spiaggia
incontaminata che si poteva
raggiungere solo via mare o per
uno
straordinario
sentiero
inerpicato sulle rocce da Via
Fornillo.
Ora sulla spiaggia vi è una colata di cemento di uno stabilimento balneare di un
albergo di Positano. Lo stesso albergo ha chiuso, nonostante un’ordinanza di
rimozione, l’incantevole stradina che permette di giungere a piedi alla spiaggia
di Remmese. E’ considerato dai positanesi stessi l’abuso più grave commesso
sul loro paese.Da allora sono continuati i tentativi di sanare il tutto, attraverso
la presentazione di varie istanze di condono edilizio e con procedimenti ancora
pendenti per l’occupazione del demanio marittimo. Nonostante ciò sulla
spiaggia è attivo uno stabilimento balneare autorizzato ad esercitare, sebbene
sia costruito su una colata di cemento abusiva, e su alcuni siti internet si parla
di quella che era la spiaggia dell’amore dei positanesi, come della spiaggia
privata dell’albergo.
Paestum Comune di Capaccio – Pilastri sulla spiaggia
Paestum, la città dei templi, sito appartenente a quelli dichiarati
patrimonio dell’umanità dall’Unesco. Qui in circa due mesi tra aprile e maggio,
a pochi metri dalla spiaggia, sono sorti sessanta pilastri di cemento, armatura
di un nuovo residence. L'area dove si sta edificando si trova vicino al mare, in
zona Laura, poco lontano dalla sponda del fiume Sele, che scorre tra l'altro in
un’area protetta. Nonostante tutto ciò, e in barba alla legge Galasso, il
residence è ok. Il 23 marzo scorso il Tar ha accolto il ricorso del titolare del
terreno e della struttura. Contro l'ennesimo ecomostro legalizzato, che ridurrà
sempre più la vista mare per i turisti e abitanti della zona, combattono da anni
le famiglie di un condominio di Via Wagner che si sono riunite in un comitato.
Hanno denunciato a tutti lo scempio edilizio, edificato senza tener conto dei
vincoli paesaggistici posti dalla legge Galasso. E non ultimo hanno inviato un
dettagliato dossier al presidente della Commissione europea, Romano Prodi.
Ad affiancarle è scesa in campo anche Legambiente. Un'altra lettera-denuncia
ai vertici Ue, a firma del presidente regionale Michele Buonomo, è stata inviata
all’inizio di maggio. Nella missiva, Legambiente ricorda che l'area in questione
«rientra tra i siti di importanza comunitaria in quanto ricade all'interno delle
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Legambiente - Mare monstrum 2004
fasce litoranee a destra e sinistra del Sele». In questo contesto, scrive
Legambiente nella missiva, «due autorità dello Stato, sindaco e soprintendenza,
hanno adottato provvedimenti che appaiono in palese contrasto con gli obblighi
di tutela». Al presidente Prodi Legambiente chiede «di valutare l'attivazione
della procedura d'infrazione contro lo Stato membro della Repubblica Italiana
per la mancata tutela del Sito d'importanza comunitaria». In attesa di risposta, il
Comune ha firmato le autorizzazioni e la soprintendenza ai Beni Ambientali di
Salerno e Avellino ha dato il nulla osta. Nel frattempo, mattone dopo mattone,
pilastro su pilastro, il residence prende forma. A pochi metri dal mare. In un
sito patrimonio dell’Unesco. In Campania tutto questo non meraviglia nessuno.
Speriamo che invece in Europa qualcuno se ne accorga
5.2.2 Ecomostri: le vecchie conoscenze
Gli scheletri di Agrigento
Sono circa 600 le abitazioni realizzate illegalmente nell’area sottoposta a
vincolo di inedificabilità assoluta. Dopo la demolizione di uno degli edifici di
proprietà di un mafioso che, da tempo deturpavano una delle aree
archeologiche più importanti e suggestive d’Italia e del mondo, si è aggiunta
agli inizi del 2001 una nuova stagione di abbattimenti. Le ruspe demolitrici
hanno varcato i confini del Parco Archeologico della Valle dei Templi
cominciando a ristabilire quella sovranità dello Stato e delle sue leggi che era
stata ridotta, in quella terra a carta straccio. Il 15 e 16 gennaio 2001 la
Prefettura di Agrigento ha dato il via libera con l’ausilio del Genio militare,
all’abbattimento di altri sei scheletri nella Valle dei Templi. Grazie anche al
positivo contributo dell’Assessore ai Beni Culturali e Ambientali regionale,
Fabio Granata, e dell’allora Sottosegretario ai Lavori Pubblici, Antonio
Mangiacavallo. Purtroppo resta ancora tanto da fare per liberare il Parco
archeologico dal cemento selvaggio.
Le ville di Pizzo Sella
Un milione di metri quadri di collina scoscesa e rocciosa sottoposta a
vincolo idrogeologico e paesaggistico lottizzati abusivamente, 314 concessioni
edilizie rilasciate illegittimamente dal Comune di Palermo in una zona
destinata a verde agricolo 147 unità immobiliari realizzate, per un totale di 193
mila metri cubi di cemento, il tutto corredato da opere di urbanizzazione
primaria, strade, fognature, impianto di illuminazione, ecc. Si tratta delle ville
di Pizzo Sella, a Palermo, che a partire dalla reggia di Michele Greco, rimasta
grezza, in cima, la più alta, arida ed arrogante, su quella che i palermitani
chiamano la «collina del disonore», un altro ecomostro il cui caso è quasi
chiuso: le case abusive costruite sul promontorio palermitano di Pizzo Sella,
ribattezzata la collina del disonore, vanno confiscate e il danno ambientale
prodotto deve essere risarcito. Lo ha stabilito la sentenza emessa il 29 gennaio
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Legambiente - Mare monstrum 2004
2000 dal giudice Lorenzo Chiaramonte, che ha condannato dieci tecnici,
funzionari comunali e imprenditori, accusati di aver partecipato a vario titolo
ad un’enorme speculazione edilizia. Diversi lotti di terreno con rispettiva
villetta sono stati "donati" ad alcuni tecnici e funzionari comunali, per facilitare
e rendere possibile il rilascio delle concessioni. In particolare, il progettista del
complesso edilizio allo stesso tempo faceva parte della commissione edilizia
che dava il parere sulle concessioni e naturalmente aveva esercitato la sua
influenza affinché i progetti fossero approvati senza problemi. Particolare non
trascurabile, infine, le concessioni edilizie figuravano intestate alla sorella del
noto boss mafioso Michele Greco il "papa della mafia". Una colossale
speculazione immobiliare che nasconde un’imponente operazione di
riciclaggio di denaro “sporco” da parte di Cosa Nostra. Dopo la demolizione
dei primi scheletri avvenuta nel 1999 e la sentenza emessa dalla magistratura
palermitana, nel maggio scorso il Comune di Palermo ha acquisito al
patrimonio indisponibile del comune l’intero complesso immobiliare, sperando
che si tratti di ulteriore passo verso la definizione definitiva dell’annosa
vicenda che da più di vent'anni deturpa la collina del disonore di Pizzo Sella.
Le 800 villette di Triscina
Si chiama Triscina, a due passi da Selinunte, è completamente abusiva e
detiene probabilmente il record mondiale di impunità: su circa 5 mila case nate
fuorilegge (tutte), oltre 800 sono così al di là di ogni limite di illegalità da non
aver potuto approfittare neppure del condono del 1985. Non hanno potuto
approfittare neppure del condono del 1994, né delle ammiccanti leggine via via
tentate dalla Regione Sicilia.
Colpite dalla ordinanza di demolizione (obbligatoria) non hanno mai
visto però una ruspa, un piccone, uno scalpello.
Eppure qui, di quegli «abusivi per necessità» che vengono difesi a spada
tratta dai legalisti di bocca buona, non ce n’è uno in giro.
Basta vagabondare tra le stradine che scendono a pettine verso il mare:
cancelli sbarrati, finestre sbarrate, porte sbarrate. Non un’auto parcheggiata, un
bambino che giochi, un ciclista che pedali, un panno steso al sole. E se da altre
parti della penisola, in certe periferie delle grandi città, potresti avere lo
scrupolo di buttar giù una schifezza perché c’è dentro qualcuno, qui no: nessun
alibi. Tranne, s’intende, quello politico che tutti, dai sindaci agli assessori, ti
ripetono qui in Sicilia: un abusivo è un abusivo, 5 mila abusivi sono un partito.
La Sicilia, con 63.089 case abusive costruite dal 1994 ad oggi,
rappresenta un sesto dell’intero panorama (362.676) dell’edilizia illegale
italiana. 305 case su mille, nell’isola, «non sono occupate e quindi rientrano tra
le cosiddette "seconde case"».
Incapace di raccogliere informazioni precise in un panorama così
sgangherato, la Regione ha distribuito un questionario per un sondaggio a
campione. Risultato: nonostante lo sbracamento dello Stato con la raffica di
condoni, gli abusi edilizi accertati come in-sa-na-bi-li in Sicilia e quindi colpiti
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Legambiente - Mare monstrum 2004
da una obbligatoria ordinanza di abbattimento sono oggi 21 mila. E quelle
eseguite negli ultimi anni? Nessuno ne ha la più pallida idea. Forse 200, dicono
in Regione. Delle quali 130 (in larga misura baracche) a Siracusa grazie a un
protocollo d’intesa del sindaco Titti Bufardeci con la Procura e il resto nelle
altre province, che ospitano il 93% degli abusi isolani.
Il che fa ipotizzare una percentuale di demolizioni effettive intorno allo
0,3 di quelle firmate. Umiliante. Chi ha governato l’isola in questi anni, destra
e sinistra, non è riuscito a fare il suo mestiere tra gli «abusivi del superfluo»
(chi aveva una casa sequestrata e acquisita per abusivismo se l’è tenuta ed è
«ospite» del Comune) come a Triscina, che con Marinella stringe Selinunte in
una morsa di calcestruzzo e scarica dove può, compresa la necropoli di
Timpone Nero dove i sepolcri vuotati dai tombaroli vengono usati come
depositi d’immondizia.
Capo Rossello
Capo Rossello è una baia nel tratto più bello della costa meridionale della
Sicilia, nel comune di Realmonte (Agrigento). E’ un luogo di grande
suggestione, reso unico da uno scoglio, chiamato, per via di una antica
leggenda, “Do zitu e da zita”, cioè del fidanzato e della fidanzata, che si trova
nel mare a trecento metri dalla spiaggia. La spiaggia di Capo Rossello, proprio
per la sua straordinaria bellezza, è stata al centro delle mire speculative di un
gruppo di politici e di imprenditori, denunciati e condannati dopo la
pubblicazione di un dossier di Legambiente Sicilia. Nei primi anni Novanta,
utilizzando uno strumento urbanistico scaduto ed in violazione del vincolo
paesistico, alcuni assessori del Comune di Realmonte rilasciarono a sé stessi
una serie di concessioni edilizie per realizzare palazzine in riva al mare,
piantando i piloni nella sabbia e sbancando la costa di pietra bianca che
completava il tratto costiero. Nel febbraio ’94, dopo la denuncia di
Legambiente, l’intera Giunta Municipale, la commissione edilizia ed alcuni
imprenditori furono tratti in arresto, processati e condannati. Si attende ancora,
che il Comune demolisca lo scempio, fortunatamente bloccato.
Assalto alla baia dei Turchi
Sempre in territorio di Realmonte (Ag), a pochi chilometri da Capo
Rossello, in località Baia dei Turchi, si trova un altro monumento alla
speculazione edilizia, realizzato illegalmente da un altro gruppo di palazzinari
grazie a concessioni edilizie compiacenti. Si tratta del progetto di un albergo
sul mare, su quel tratto di costa dove, come dice il nome, un millennio fa
sbarcarono gli ottomani. L’intervento di Legambiente, obbligò la Regione ad
annullare la concessione ed a bloccare i lavori. Anche in questa baia ancora
oggi si attende l’arrivo delle ruspe demolitrici.
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Legambiente - Mare monstrum 2004
Simeto: un'oasi a rischio
Complessivamente sono 550 le case abusive da demolire all’interno
dell’Oasi del Simeto, in Provincia di Catania. Dal 1999 ad oggi ne sono state
abbattute solo 119. Lo scorso febbraio, Legambiente ha di nuovo diffidato
l’amministrazione comunale di Catania, sollecitando la demolizione delle
centinaia di costruzioni abusive ancora esistenti all’ interno dell’ area naturale.
Per comprendere la gravità della situazione può esser utile ricordare
che l’Oasi del Simeto, alla foce dell’omonimo fiume, è una delle aree umide di
maggior pregio ambientale d’Italia, dove ancora oggi transitano e nidificano
rare specie di uccelli migratori.
L’ amministrazione comunale, tentando di giustificarsi per le poche
demolizioni effettuate, ha dichiarato di aver avuto “ un comprensibile
momentaneo periodo di prudenza al fine di non danneggiare pregiudizialmente
qualsiasi ipotesi di sanatoria in considerazione della recente proposta di legge
regionale sul riordino delle coste e dell’ultima sanatoria edilizia”, concludendo
che è comunque sua “intenzione attuare le demolizioni di tutti gli immobili
abusivi insanabili” .
Legambiente chiede che si prosegua, senza ripensamenti, l’opera di
abbattimento delle costruzioni illegali e di recupero dell’Oasi.
L’abusivismo edilizio nella Riserva marina di Capo Rizzuto
Ben 75 costruzioni abusive per 48.600 metri cubi: è questo il risultato
dell’ultimo censimento effettuato dalla Capitaneria di porto di Crotone,
nell’area di demanio costiero della Riserva di Capo Rizzuto e nella fascia di
rispetto che interessa ben 38 km di costa. Insomma, sono circa 16.100 i mc
abusivi nell’area demaniale e il doppio, 32.500 mc, nella fascia dei 30 metri dal
limite demaniale.
Per intenderci nel crotonese gli interventi più rilevanti sono quelli attorno
al borgo marinaro di Cariati, Cirò Marina, la Marina Melissa e Strongoli, Capo
Colonna a Crotone, Le Cannella, Capo Rizzuto, Capo Piccolo, e Le Castella ad
Isola Capo Rizzuto ed infine il cosiddetto Steccato di Cutro. Una morsa di
cemento illegale, fatto di moli che si protendono in mare, porticcioli, fabbricati,
muri di recinzione, piattaforme in cemento armato, porticati, che stringe e
avvolge la stupenda riserva marina di Capo Rizzuto, in provincia di Crotone.
Tutte le gare fatte finora per demolire gli immobili sono andate deserte e
nessuno, a cominciare dall’Ente gestore della Riserva, ha risposto alla stessa
Capitaneria di Porto, che aveva dato la propria disponibilità a provvedere agli
abbattimenti. E ancora oggi non si registrano novità volte a liberare questi
luoghi. La Riserva interessa circa 38 Km di costa tra i comuni di Crotone ed di
Isola di Capo Rizzuto. Quest’ultimo è quello maggiormente interessato per
estensione.
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Legambiente - Mare monstrum 2004
Baia di Copanello
Siamo nel Comune di Stalettì, in provincia di Catanzaro, sulla costa
ionica della Calabria. In uno scenario di straordinaria bellezza, “convivono” i
due estremi, negativi e positivi, di tante aree del Mezzogiorno: l'ecomostro di
cemento di Villaggio Lo Pilato, che con i suoi 16mila metri cubi deturpa la
baia da oltre vent'anni; la tomba di Cassiodoro, il grande senatore e letterato
romano del Vivarium, abbandonata a sé stessa nella più totale incuria e a pochi
metri da un “illuminante” caso di scempio urbanistico. Sul Villaggio pende una
ordinanza di demolizione del 1987, mai eseguita, e una gara di demolizione
andata deserta. Sulla vicenda Legambiente ha presentato una denuncia le cui
indagini sono ancora in corso.
Il cemento in spiaggia a Falerno Scalo
“Palafitta” e “trenino” non sono i nomi di due personaggi di una nuova
serie di cartoni animati, ma bensì i nomignoli con cui i cittadini e i turisti di
Falerno Scalo, in provincia di Catanzaro, hanno soprannominato le due
costruzioni realizzate sul bagnasciuga della costa calabrese. “Palafitta” con i
suoi tre piani sfida continuamente le onde essendo stato costruito direttamente
sulla battigia e nei giorni di mare leggermente mosso sembra che galleggi sul
mare. “Trenino”, invece, con i suoi appartamenti a schiera realizzati
direttamente sul bagnasciuga viene invaso dalla sabbia che spesso riempie
completamente il piano terra. Si tratta di due esempi scellerati di aggressione al
patrimonio costiero, sperando che al più presto il buon senso liberi questo
pezzo di costa calabrese dal cemento selvaggio.
Il gigante di cemento di Bassano a Torre del Greco
Sono più di trent’anni, ormai, che il
gigante di cemento di Bassano a Torre del
Greco (Na) continua a fare bella mostra di
sé, oscurando la torre saracena del 1600.
Proprio in questi ultimi mesi sono state
scritte delle pagine importanti della lunga
storia, almeno dal punto di vista
giudiziario.
Da una parte, nel maggio scorso, il Consiglio di Stato ha sancito che
l’albergo potrà essere completato, annullando la precedente decisione del Tar.
Secondo i giudici della giustizia amministrativa si tratterebbe di lavori da
qualificare come “ristrutturazione edilizia” e non come “manutenzione
straordinaria”, come invece avevano sancito i magistrati del Tar. Affinché i
lavori possano riprendere è necessaria sia una pronuncia della Soprintendenza,
vista la vicinanza alla vecchia Torre di Bassano, annoverata tra i monumenti
storici di Torre del Greco, che il parere favorevole della Commissione edilizia
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Legambiente - Mare monstrum 2004
del Comune. Per poi ritornare il tutto alla Soprintendenza per l’approvazione
definitiva. Dall’altra, in un’altra sede giudiziaria, è in corso il processo penale
che vede due impuntati. Secondo i magistrati della procura di Torre Annunziata
una parte dell’albergo è stata realizzata su area demaniale senza la prescritta
concessione demaniale marittima, per quasi 1.362 metri quadrati.La vicenda
prende le mosse nel 1965, con il rilascio da parte del comune della concessione
edilizia per la realizzazione di una serie di opere di edilizia residenziale e di un
albergo sul mare.
Nel 1972 il comune di Torre del Greco si pronuncia sui manufatti
dichiarando, che l’albergo può essere realizzato mentre sorgono una serie di
problemi per ciò che riguarda le case residenziali.
Nel corso del 1998 un’altra società subentra ai vecchi proprietari, la
quale viene autorizzata dal comune a compiere solo lavori di ordinaria
manutenzione, mentre la società di fatto lavora per ultimare l’albergo. Nel
1999 la Capitaneria di porto ha emanato un’ordinanza nella quale ha intimato
alla proprietà della struttura di transennare la zona per pericoli di frana.
Le ultime notizie sono che il TAR Campania si è espresso
negativamente circa l'annullamento della nota dirigenziale n.91561 del 22
settembre 1999 di reiezione della richiesta di riesame del progetto di
completamento del complesso residenziale.
Quindi gli imprenditori, alla richiesta di ultimare lo stabile, si erano
visti rispondere in modo negativo con motivazioni ribaltate dalla sentenza del
Consiglio di Stato. In Appello è emerso infatti che il completamento non
riguarda tutto il complesso (albergo ristorante e struttura balneare) ma solo
l'edificio destinato ad utilizzazione ricettiva, che è completato nella sua
struttura e che è definito nei volumi e nelle superfici realizzate anche sulle aree
occupate.
Ci troviamo davanti ad una situazione, da tempo denunciata dal Circolo locale
di Legambiente e dal Wwf, sempre più ingarbugliata.
Vico Equense
Gli scheletri dell'ecomostro di Alimuri,
uno schiaffo all'immagine e al
paesaggio naturalistico della penisola
sorrentina, dal 1971 presidia maestoso
una delle conche più belle del golfo di
Napoli. Nel 1964 viene rilasciata la
licenza per costruire, sulla spiaggia
della conca di Alimuri, un albergo di
100 vani.
Nel 1967 la licenza viene rinnovata per la costruzione di 50 vani più
accessori per un altezza massima di 5 piani. Nel 1971 la Soprintendenza ordina
la sospensione dei lavori ma il ministero della Pubblica Istruzione accoglie il
ricorso proposto dal titolare della licenza. Nel 1976 la Regione Campania
29
Legambiente - Mare monstrum 2004
annulla le licenze rilasciate dal Comune perché in contrasto con il Programma
di Fabbricazione, ma il Tar Campania nel 1979 ed il Consiglio di Stato nel
1982 annullano gli atti adottati dalla Regione. Nel 1986 i lavori sono sospesi
dal Comune di Vico Equense perché si rendono necessari lavori di
consolidamento del costone roccioso retrostante. Completare l'ecomostro di
Alimuri avrebbe un duplice “effetto”: dare corso all'ennesimo assalto al
patrimonio ambientale della penisola sorrentina e rendersi responsabili di
un’opera a rischio, costruita alle pendici di un costone roccioso fragile, inserito
nella zona rossa, quella a maggior rischio, dell'ultimo piano d’intervento per il
dissesto idrogeologico realizzato dall'Autorità di Bacino del Sarno. Basti
pensare che i solai del complesso di Alimuri risultano attualmente sfondati da
numerosi "fori" del diametro anche superiore al metro provocati da ripetuti
crolli di blocchi lapidei staccatisi dal costone. L'amministrazione comunale di
Vico Equense ha fatto rientrare l'area tra quelle di maggior pericolosità, censite
nel nuovo Piano di Protezione Civile Comunale.
Il 23 aprile 2003 viene stipulato un singolare accordo tra il Comune di Meta e
quello di Vico Equense che di fatto si sarebbe “spogliato” delle proprie
competenze istituzionali in merito alla tutela e salvaguardia del territorio
delegandole a quello contiguo di Meta. L’accordo stabiliva esplicitamente:
“che il Comune di Vico Equense si impegna a rilasciare la concessione di
demolizione del manufatto (ndr del complesso di Alimuri) al Comune di Meta
nel caso di esito positivo di acquisto dell’aerea”. Ma l’acquisto non è mai
avvenuto poiché i proprietari non hanno mai dato il via libera. A questo punto
la Regione Campania resta in attesa di proposte da parte dei proprietari e
l’ecomostro continua a dominare la conca della penisola sorrentina.
L’ecomostro “legalizzato” di Pozzano a Castellammare di Stabia
Era luglio di due anni fa,
quando i volontari di Legambiente, a
bordo della Goletta Verde, con un blitz
sulle coste vesuviane denunciarono
l’ecomostro “legalizzato” di Pozzano.
Un blitz che suscitò numerose
polemiche con istituzioni, sindacati,
partiti politici. L’accusa solita: gli
ambientalisti sono contrari allo
sviluppo e denunciano uno scempio
dopo che si sta ultimando.
Siamo a Castellammare di Stabia, proprio dove cominciano le curve
della Costiera sorrentina.
Era un complesso industriale, costituito da un edificio a volte e da due
torri dei forni, che si trova a 10 metri dalla statale e a due passi dal
bagnasciuga, ora è un albergo a quattro stelle, “Sirene del Golfo”, che a
settembre ospiterà i primi turisti.
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Legambiente - Mare monstrum 2004
Nell’Italia degli ecomostri abusivi, questo edificio però ha una storia a
sé: non è l’ennesima testimonianza di leggi violate e norme calpestate, ma un
monumento al cattivo gusto con tanto di certificato di legalità, una colata di
insensibilità ambientale in un angolo d’Italia dove la natura da spettacolo.
Insomma, è uno scempio, ma uno scempio in regola.
“Un intervento di tipo conservativo delle strutture preesistenti rappresentando
ciò … un obiettivo principale .. capace di garantire l’identità del complesso”:
sono questi alcuni dei passaggi della Relazione descrittiva dell’intervento di
recupero, approvata dalla Conferenza dei servizi il 30 ottobre 1998, dello
stabilimento "Calce e Cemento" in località Pozzano a Castellammare di Stabia.
Venne presentato come un progetto di recupero archeologico-industriale, di
fatto del vecchio edificio a volte non è rimasto nulla, al suo posto sono stati
costruiti due edifici ex novo che diventeranno ben presto dei lussuosi alberghi
con oltre 250 posti letti e come corollario una sala congresso e una paninoteca.
Inoltre, il parcheggio è stato ottenuto dall’altra parte della strada, sotto la
montagna franata sette anni fa causando la morte di quattro persone, in una
zona ad altissimo rischio idrogeologico. L’intera operazione di “recupero” del
vecchio cementificio grava come un macigno sul paesaggio dell’intera penisola
Sorrentina, realizzato in un’area di inedificabilità assoluta come regolamentato
dal Piano paesistico della Penisola Sorrentina. Il grimaldello utilizzato è
contenuto nella delibera del Consiglio regionale della Campania, la n. 53/1 del
18 novembre 1998, con la quale è stata concessa una deroga al PUT (Piano
Urbanistico Territoriale della penisola Sorrentina approvato con legge
regionale n. 35 del 27 giugno 1987). Tale delibera ha previsto la permanenza
dello stabilimento "Calce e Cemento" e il suo riutilizzo a fini turistici privato,
nonostante le innumerevoli contestazioni mosse dall’opinione pubblica e dalle
associazioni ambientaliste, in prima fila Italia Nostra, Wwf e Legambiente,
sull'opportunità di sottrarre al pubblico godimento uno dei più bei tratti di costa
Sorrentina. Dopo il blitz di Legambiente, la Regione Campania il 23 luglio
2003 convocò una riunione a Palazzo Santa Lucia. Con non poco imbarazzo
Regione, Provincia, Comune di Castellammare e i titolari dell’impresa che sta
costruendo il complesso turistico, ammettevano che il complesso era davvero
brutto e si impegnarono di correre ai ripari, proponendo soluzioni capaci di
ridurre, almeno, l’impatto ambientale.
Dopo questa riunione i soli risultati ottenuti sono stati la riduzione dell’impatto
dell’alluminio anodizzato e del bianco, che contrastava con le rocce, e infine
sono stati piantati più alberi in giardino. Stop. Le torri, reperti di archeologia
industriale, sono diventate due dépendance e il corpo centrale oggi contiene –
se possibile – più cemento che prima.
Inoltre lo scempio è stato portato a termine con un finanziamento pubblico del
50%.
Pozzano rappresenta non solo un simbolo di aggressione all’ambiente costiero
ma soprattutto un monito per evitare che attraverso le deroghe si riesca a
scavalcare gli strumenti di pianificazione territoriale.
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Legambiente - Mare monstrum 2004
L’Hotel Castelsandra nel Parco nazionale del Cilento e Vallo di Diano
(Comune di Castellabate – Salerno)
Un vasto complesso immobiliare a destinazione alberghiera costruito su
di una collina, nel cuore del Parco nazionale del Cilento e Vallo di Diano.
Siamo nel comune di Castellabate in provincia di Salerno dove, a partire dalla
metà degli anni ’80, in assenza di qualsivoglia lecito titolo concessorio, in una
zona incontaminata soggetta a vincolo di inedificabilità e destinato all’uso
civico boschivo, è stato costruito l’Hotel Castelsandra. Il complesso
alberghiero è stato confiscato perché ritenuto oggetto di reinvestimento e di
riciclaggio di attività illecite e criminali da parte del clan camorristico dei
Nuvoletta.
Sull’annosa vicenda che va avanti ormai da un decennio si è aperta una
nuova e più incisiva fase, grazie anche al notevole impegno profuso in questi
anni dalla Dott.ssa Margherita Vallefuoco, Commissario di governo per i beni
confiscati. Il Sottosegretario di stato per l’economia e la finanza Maria Teresa
Armosino, infatti, nella seduta della Camera dei deputati del 28 novembre 2001
ha espressamente risposto in merito all’interrogazione parlamentare sull’Hotel
Castelsandra che: “l’area interessata dalla costruzione e contraddistinta da un
vincolo di inedificabilità assoluta, prevista dal Piano regolatore generale
adottato dal Comune di Castellabate. Di conseguenza l’edificazione realizzata
non è neppure suscettibile di un provvedimento di sanatoria edilizia”. Inoltre,
“Il soggetto giuridicamente tenuto a procedere ad ogni attività occorrente per la
demolizione secondo le regole tipiche dettate in argomento dalla legge n.47/85
è il Comune di Castellabate. Solo in caso di inerzia ingiustificata del comune,
l’ente parco nazionale potrà ad esso sostituirsi, attivando le procedure di
demolizione e rivalendosi, successivamente, sul comune per i costi sostenuti”.
L’ecomostro di Villa Tozzoli
La storia degli abusi di Villa Tozzoli alla Gaiola (Na) dura da tempo e sta
diventando un luogo simbolo della lotta all’abusivismo a Napoli. In uno dei
posti più suggestivi e affascinanti della costa napoletana impreziosito dai resti
della villa-città di Velio Pollione, che si affacciano proprio sulla spiaggetta,
prolungandosi per oltre 150 mt. sotto il livello del mare, si sta perpetrando uno
scempio intollerabile. Infatti sulla spiaggia della Gaiola, proprio sul terreno che
affaccia sull’arenile e su quel tratto di mare che costituisce il Parco sommerso
di Gaiola, riconosciuto di alto valore paesaggistico ed archeologico da un
recente decreto del Ministero dell’Ambiente, un aristocratico diplomatico in
pensione, per l’esattezza un ex ambasciatore demolendo ed inglobando resti
archeologici, ha realizzato abusivamente un salone per ricevimenti. In pochi
anni la superficie di un immobile di 100 metri si è a poco a poco trasformata in
una enorme sala di ricevimenti di oltre 500 mq che si estende fino ai resti della
Villa di Velio Pollione.
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Legambiente - Mare monstrum 2004
Tra una condanna per abusi edilizi, il rigetto da parte degli Uffici
competenti di 12 domande di condono, un risarcimento economico per danno
ambientale in favore di Comune di Napoli e della Legambiente, oltre che di un
vicino leso nel suo diritto a vivere nella sua profonda natura, quasi selvaggia,
un posto unico al mondo, e diverse ordinanze di demolizione (sia del Tribunale
di Napoli, confermata anche dalla Corte di Appello e lo scorso maggio anche
dal Tar), Villa Tozzoli ha continuato ad ospitare ricevimenti.
Fino al 2 agosto 2003, quando inizia la demolizione del manufatto voluta
dal Comune di Napoli. Nello stesso giorno arriva la sospensiva del Tar e
l’abbattimento viene lasciato quasi a metà: solo il 70% dell’edificio, infatti,
viene buttato giù. Il 6 agosto muore il proprietario e nell’avvicendarsi delle
pratiche burocratiche per il cambio degli eredi la sospensiva del Tar resta,
ancora oggi, in attesa di discussione.
La saracinesca della vergogna
Punta Perotti a Bari, uno degli ecomostri più famosi d’Italia, è ancora lì.
Con qualche anno in più, ancora più brutto ma in piedi e tutto intero. Il
Comune ha persino proseguito l’opera di riqualificazione del lungomare “Pane
e Pomodoro”, dove sorge Punta Perotti, restituendo alla città un pezzo
importante di identità. Dopo anni di rimbalzi di responsabilità, accuse, lavate di
mani, finalmente si è stabilito che deve essere il Comune di Bari ad abbattere
l’ecomostro, la “saracinesca” come lo chiamano i baresi. Eppure nulla si è
mosso in questi anni. Le speranze sono deposte nella nuova amministrazione
comunale che si appena insediata.
In data 28 maggio 2003 la Corte di Cassazione ha depositato la sentenza
con cui ha rigettato gli incidenti di esecuzione proposti sia dagli ex proprietari
del complesso di Punta Perotti, sia dal Comune di Bari. Quest'ultimo, in
particolare aveva impugnato l'ordinanza del gip del Tribunale di Bari che aveva
individuato nel Comune il soggetto competente a demolire.
Con la sentenza in argomento la Cassazione ha affermato il potere dovere dell' Amministrazione comunale di procedere alla demolizione del
manufatto abusivo". La Suprema Corte, inoltre, nel citare la regola giuridica di
riferimento, contenuta nell’art,. 7 della L. n.47 del 1985, ha fatto riferimento
alla eccezionale possibilità che il Comune decida di non procedere alla
demolizione in considerazione di una duplice valutazione del C.C. in ordine
alla prevalenza di un interesse pubblico che vada in senso contrario alla
demolizione, nonché al presupposto accertamento in ordine alla compatibilità
urbanistica e/o ambientale del manufatto.
Detta eccezionale possibilità, incidentalmente e marginalmente
rappresentata dalla Cassazione sta diventando il nuovo grimaldello per
rimettere in discussione le certezze ed i risultati tanto faticosamente raggiunti.
Legambiente ritiene che la valutazione discrezionale cui è chiamato il
Consiglio comunale non possa legittimare lo stesso ad una scelta arbitraria, ma
dovrà essere condotta alla stregua dei criteri indicati dalla norma che non
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Legambiente - Mare monstrum 2004
potranno che condurre alla demolizione, stante l'evidente contrasto del
manufatto con gli interessi ambientali (se così non fosse non vi sarebbe stata
alcuna pronuncia giurisdizionale in ordine al carattere abusivo), nonché la
assoluta insussistenza dell'interesse pubblico alla conservazione dello stesso. A
quest'ultimo riguardo, anzi, l’interesse pubblico milita in senso assolutamente
contrario al mantenimento dell’ecomostro, come dimostrato dalla rivolta della
cittadinanza barese, che dovrebbe identificare l'interesse pubblico di cui il
Comune deve tener conto ai sensi dell'art.7 della L. n.47 del 1985.
La “Pietra” di Polignano a Mare
Nel febbraio del 1998 è scattata l'operazione “Pietra Igea”, condotta dagli
uomini del Coordinamento provinciale del Corpo forestale di Bari su delega
del sostituto procuratore Roberto Rossi contro una lottizzazione abusiva nel
Comune di Polignano a Mare. L'area, in località Ripagnola, si estende su
quattro ettari, e al momento del blitz già ospitava un volume complessivo di
oltre 26.900 metri cubi di cemento: un complesso turistico, con albergo,
negozi, ristorante e villini annessi. Diciannove i “corpi di fabbrica” già
sequestrati nell'area soggetta a vincolo paesaggistico, sette le condanne, tra
primo e secondo grado, nei confronti dei responsabili di questo scempio.
Il caso Ardea (Roma)
Perché, in materia di abusivismo edilizio nella Provincia di Roma,
esiste un “caso” Ardea? Esiste un "caso" Ardea per almeno 3 motivi:
1) i dati Istat relativi al numero dei residenti nei comuni della Provincia di
Roma registrano nel comune di Ardea, uno dei nove Comuni costieri, un vero e
proprio “boom residenziale”. Si pensi che nel 1991 la popolazione residente si
attestava su 16.854 unità, mentre nel 2001 Ardea raggiunge 26.711 residenti,
con una crescita di 9.857 residenti, ed un incremento, rispetto al 1991, pari al
58%;
2) uno studio della Regione Lazio, risalente all’inizio degli anni '80, stimava
nel Comune di Ardea il 10% del totale dell'abusivismo;
3) secondo i dati forniti dagli stessi Amministratori di Ardea, tra il primo e il
secondo condono edilizio, l’antica “Città dei Rutili” assomma 19.000 domande
di condono: un rapporto altissimo, quindi, tra numero delle domande di
sanatoria e residenti.
Ma naturalmente tutto ciò non è sufficiente per poter parlare di “caso Ardea”,
senza tener conto anche della situazione attuale. L’indagine ha preso in
considerazione il periodo 1994 – 2001 e i dati che emergono dipingono una
situazione a dir poco preoccupante. In tale periodo si stima che nel comune di
Ardea sono stati realizzati 337.940 metri cubi di cemento illegale, con un
consumo di suolo stimabile in 60 ettari. In altre parole, sono stati consumati
illegalmente 205 metri quadrati di suolo al giorno. Inoltre, il rapporto tra
edilizia legale e produzione abusiva pende a favore di quest'ultima: circa
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Legambiente - Mare monstrum 2004
220.000 metri cubi realizzati legalmente a fronte di 337.940 realizzati
abusivamente.
C'è ne è abbastanza quindi, per parlare di “caso” Ardea.
L’isola dei Ciurli di Fondi
L’isola dei Ciurli, un’area agricola di grande valore paesistico, “ospita”
21 scheletri in cemento armato illegali. Il Tar di Latina con una sentenza
dell’ottobre 1997 ha giudicato l'intera lottizzazione abusiva. Il Comune di
Fondi, anziché avviare le procedure per l’acquisizione della lottizzazione al
patrimonio pubblico e prevedere un piano di demolizione degli edifici, ha
invitato i titolari della lottizzazione a sospendere i lavori e a presentare una
proposta di lottizzazione. Il 29 settembre 1998 il Consiglio comunale di Fondi
ha approvato il “progetto di lottizzazione convenzionato e relativo schema di
convenzione”. Sulla vicenda è intervenuto l’Assessore regionale
all’Urbanistica che nel 1999 ha dichiarato il provvedimento comunale
illegittimo per violazione delle norme fissate dal PRG, procedura che fosse
stata rispettata avrebbe di fatto ridotto notevolmente i volumi in gioco della
lottizzazione. Ovviamente la delibera comunale non è stata successivamente
annullata. Questo è l’ultimo passaggio di una lunga storia iniziata nel 1972 che
attraverso provvedimenti di sospensione dei lavori, sequestri giudiziari e
ordinanze di sanatorie si è trascinata fino ai nostri giorni. Il Circolo
Legambiente di Fondi, da tempo in prima linea contro l’ecomostro, ha
presentato contro la decisione del Comune un esposto alla Procura della
Repubblica di Latina.
L’assalto di cemento alla Baia di Campese (Isola del Giglio)
Una colata di cemento ha sommerso la baia di Campese davanti alla
Torre Medicea sull’isola del Giglio. L’albergo realizzato lungo la via
Provinciale in prossimità del centro abitato è arrampicato sul pendio che
scende dolcemente a mare, rappresenta sicuramente uno scempio non solo
visivo, ma soprattutto ambientale. Il cantiere, non ancora ultimato, è stato
oggetto di numerosi sopralluoghi dell’Ufficio Tecnico comunale che hanno
ravvisato notevoli violazioni urbanistiche in merito alle previsioni perimetrali e
all’eccedenza di volumetria, ma soprattutto una difformità del progetto alle
previsioni del Piano regolatore generale. Grazie, infatti, ad alcuni articifici
tecnici, varianti, perizie geologiche ed ad una serie di sviste, è stata consentita
la realizzazione di volumi notevolmente superiori rispetto alle indicazioni
contenute nel PRG comunale. Il Tribunale amministrativo ha revocato il
provvedimento di annullamento della concessione edilizia disposta dall’Ufficio
Tecnico comunale per vizio di forma. Nel frattempo sull’intera vicenda sta
indagando la Procura di Grosseto per appurare eventuali violazioni
urbanistiche.
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Legambiente - Mare monstrum 2004
Lo Spalmatoio di Giannutri
Una lunga fila di fatiscenti immobili in cemento armato per circa 11.000
metri cubi, fa bella mostra di sé da oltre 10 anni nell'insenatura dello
Spalmatoio a Giannutri, isola che fa parte del Parco nazionale dell'Arcipelago
Toscano. Delle costruzioni, iniziate negli anni '80 dalla società Val di Sol e poi
interrotte, rimangono oggi alcuni scheletri in cemento e qualche villetta in
completo stato di abbandono. Dopo oltre 10 anni di oblio, la nuova società che
ha acquisito gli immobili ha chiesto al Consiglio direttivo dell'Ente Parco il
nulla-osta per “recuperare” il complesso. Ma la richiesta non ha avuto più
seguito.
Il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio ha acquistato alla
fine di febbraio 2004 alcune proprietà nell’Isola di Giannutri, messe all’asta dal
Tribunale di Grosseto. Si tratta di tre dei sei lotti in cui era stata divisa la
proprietà della società Porto Romano nell’Isola di Giannutri, all’interno
dell’area del Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano. Un risultato raggiunto
grazie all’impegno profuso dal Giudice Fallimentare Daniela Gaetano, che sin
dall’inizio del procedimento si è adoperata per permettere agli Enti Pubblici di
far valere il diritto di prelazione, e che è riuscita così a soddisfare sia gli
interessi dei creditori della società che quelli della collettività. Seguendo
l’esempio della Regione Toscana, che il mese scorso si era aggiudicata proprio
a Giannutri una importante area su cui insiste una antica villa romana e dove
intende realizzare un parco archeologico, anche il Ministero dell’Ambiente e
Tutela del Territorio dunque ha scelto la strada dell’acquisto diretto,
contribuendo in modo sostanziale a “salvaguardare” dalla speculazione un’area
che costituisce un vero e proprio “gioiello” nel panorama delle aree protette del
nostro paese.
Il sipario sul lungomare di Sanremo
Cala il sipario sul lungomare di Sanremo. E’ questo il triste destino che
incombe su di un tratto della passeggiata a mare denominata Trento-Trieste,
uno dei pezzi più suggestivi e caratteristici della riviera ligure. Il rischio per gli
appassionati frequentatori potrebbe ben presto trasformarsi in realtà se venisse
ultimato l’albergo in fase di costruzione sul lungomare sanremese. Lo scempio
prende le mosse da una errata rilevazione del dislivello, ormai acclarato
tecnicamente, esistente tra le aree di sedime dove sono state impiantate le
fondamenta dell’albergo e il livello della passeggiata. La differenza riscontrata
è superiore ai due metri. Ma davanti a tali fatti, denunciati dal Circolo
Legambiente di Sanremo, l’amministrazione comunale fa finta di nulla,
considerando, anche, che non è il primo caso. Nel gennaio 1996, infatti, dopo
la realizzazione di un primo lotto delle opere a terra del porto privato di
Portosole, scoppia il precedente: una interpellanza consiliare solleva la
questione dirompente delle altezze per un’altra infrastruttura di servizio al
porto. I controlli successivi rilevarono che l’altezza del volume realizzato
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Legambiente - Mare monstrum 2004
superava l’altezza della passeggiata e dei giardini di circa 1 metro, per un
errore nelle tavole del Piano Particolareggiato e precisamente nell’indicazione
della quota della passeggiata. Intanto la Soprintendenza sollecita
l’Amministrazione Comunale ad “adottare provvedimenti cautelativi” e davanti
all’inerzia della Giunta Comunale nell’agosto del 1997 esprime un severo
giudizio di irregolarità delle opere eseguite e caldeggia il ripristino delle
inquadrature panoramiche alterate. Inoltre, lo stesso Piano Particolareggiato L1
Portosole, per la realizzazione delle opere a terra a completamento del porto
privato, prescrive esplicitamente la necessità di salvaguardare il litorale
prevedendo che la localizzazione delle nuove volumetrie deve tener conto delle
visuali godibili sia da mare che da terra nei confronti dei giardini di Villa
Ormond.
Dall’Amministrazione comunale ancora nulla; anzi alla richiesta del
Circolo di Legambiente di rivedere il Piano risponde affidando un incarico per
un parere tecnico ad uno noto professionista, il quale - pur riconoscendo
l’errore - arriva a sostenere che l’interesse pubblico attuale è quello di
mantenere ciò che è costruito, seppure viziato.
A seguito degli esposti di Legambiente il cantiere è stato sequestrato dalla
Procura di Sanremo, i vertici della società di Cnis Portosole, sono stati rinviati
a giudizio per le irregolarità edilizie ed ambientali.
Il prossimo 9 luglio inizierà il processo su questa vicenda, il Circolo
Legambiente Sanremo e Legambiente nazionale chiederanno di costituirsi parte
civile per i danneggiamenti ambientali e di immagine che ha subito la città di
Sanremo. Da più parti si chiede che anche il Comune di Sanremo si costituisca
parte civile.
Lo "scheletrone" di Palmaria
Circa 10.000 metri cubi di cemento incombono sul paesaggio del Parco
Regionale delle Cinque Terre. Uno scheletro abusivo alto 30 metri nel Comune
di Portovenere di cui Legambiente chiede la demolizione e il recupero
dell'area, tra le più suggestive di Palmaria.
La vicenda inizia nel 1975 quando il Sindaco di Portovenere rilascia una
concessione edilizia per la realizzazione di un albergo e di un residence di 45
appartamenti, con annessi servizi e infrastrutture. Nello stesso anno la Pretura
blocca la speculazione, mette sotto sequestro il manufatto e rinvia a giudizio i
titolari della società lottizzatrice, il Sindaco e l'impresa. La sentenza è poi
confermata anche in appello. Si attende ancora un intervento della Giunta
regionale. La Giunta comunale di Portovenere ha votato una delibera che
rigetta definitivamente la richiesta di condono presentata dai proprietari. Il 23
maggio 2002 è stato raggiunto un accordo tra la regione Liguria, il Comune di
Portovenere e la Sovrintendenza per i beni architettonici e per il paesaggio
della Liguria che sembrava dovesse portare in breve tempo all’abbattimento
dello scheletrone di Palmaria è passato già un anno e l’ecomostro continua a
sfregiare da oltre 30 anni uno dei tratti di costa più belli della Liguria. Il neo-
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Legambiente - Mare monstrum 2004
sindaco di Portovenere ha dichiarato in questi giorni che l’ecomostro sarò
abbattuto interamente, spazzando via l’idea di tenere in piedi il primo piano.
Speriamo che sia la volta buona.
5.3 Assalto alle coste: storie di abusi e di scempi lungo la penisola
5.3.1 Puglia
Il tacco di cemento: storie di abusivismo e mala gestione del territorio
Salentino
E’ la “salentinità” a cui fa appello la sagace lucertola di Coppula Tisa, il
movimento guidato dal regista Edoardo Wispeare, a richiamare centinaia di
salentini in tutt’Italia, pronti a mettersi in rete, per difendere la bellezza del
proprio paesaggio dalla minaccia di nuove ondate di cemento selvaggio. La
società civile si organizza “compra e demolisce il brutto” quel brutto che nel
Salento è strettamente legato al fenomeno dell’edilizia selvaggia e delle
lottizzazioni incontrollate.
Da tre anni la costa “Otranto-Santa Maria di Leuca” (Sito di Interesse
Comunitario secondo la direttiva Habitat della Comunità europea e area
destinata a parco in base la legge 19/97 della Regione Puglia) può vantare un
esempio di “Mare monstrum” in piena regola: seimila metri quadrati di
cemento sulla costa di Santa Cesarea Terme a Porto Miggiano. Metafora del
brutto e della malagestione del territorio che diventa una delle principali
vertenze del Circolo Legambiente Tricase. Dalla piana di Porto Miggiano e
davanti alle telecamere televisive della RAI consegna nel 2001 l’indesiderata
bandiera nera, simbolo dei pirati delle coste, alla società costruttrice e al
Comune di Santa Cesarea che aveva concesso la realizzazione dell’ecomostro.
La procura della Repubblica di Lecce ipotizzata per l’intervento edificatorio il
reato di lottizzazione abusiva. Lo scempio ambientale diventa l’emblema del
consumo, dell’abuso e dell’uso non corretto del territorio, ma è anche una
risposta esemplare e un impegno fermo da parte della magistratura e delle forze
dell’ordine che danno battaglia con una continua attività di sequestri giudiziari
su tutto il territorio costiero, a cominciare dal Comune di Salve, località Torre
Pali, per proseguire con quello di Gagliano del Capo, località Ciardo, quello di
Nardò, località Sant’Isidoro e quello di Castrignano del Capo, località Tre
Porte.
Si registrano, inoltre, non pochi casi di interventi sulla roccia per la
costruzione di discese e stabilimenti balneari (come il caso località Tre Porte) e
improbabili passeggiate sul mare come il caso località Porticelli nel comune
di Diso: uno sbancamento della roccia in pieno stile che riesce a superare il
vaglio del parere di incidenza ambientale.
A Tricase, invece, la lunga e discussa vicenda sull’ampliamento della
passeggiata sul lungomare cittadino sembra registrare una battuta d’arresto, in
seguito alla richiesta del circolo locale di Legambiente al Ministero
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Legambiente - Mare monstrum 2004
dell’Ambiente sulla necessità di assoggettare alla procedura di Incidenza
Ambientale l’interevento previsto. Di contro il Comune di Tricase
commissiona uno screening ambientale alla Università di Lecce per verificare
lo stato di fatto del tratto incriminato: la relazione tecnica passata in tutto
silenzio, dà ragione alla Legambiente sulla esigenza di un’azione di ripristino
e ripopolamento dell’habitat naturale già compromesso dalla realizzazione del
primo lotto del progetto.
Alcuni casi esemplari del Salento:
Porto Miggiano (Santa Cesarea Terme)
Sembra ormai arrivata al momento della verità la questione riguardante
la piana di Santa Cesarea Terme. In pochi ci credevano nel 2001 quando il
Circolo Legambiente Tricase, organizzava le prime azioni di protesta contro un
progetto faraonico, si pensi a 6.000 mq di superficie e a più 60.000 mc di
volumetria. Finalmente la magistratura chiude le indagini e rinvia a giudizio
dodici persone tra cui amministratori, tecnici e costruttori, per i reati di
lottizzazione abusiva, abuso d’ufficio e falso ideologico. A breve il processo.
Sant’Andrea (Melendugno)
Sant’Andrea è un meraviglioso e incontaminato lembo della costa
salentina, sottratto fino ad oggi, alla furia cementizia degli speculatori che in
questi anni hanno già consumato, devastandoli, luoghi meravigliosi come San
Foca, Roca e Torre dell’Orso, tutte località della marina di Melendugno, in
Provincia di Lecce.
Il sito, circondato da pineta e macchia mediterranea ancora integre, è stato
sottoposto a lavori di sbancamento con massiccia asportazione di un intero
tratto di costone roccioso che ne ha letteralmente cambiato i connotati ,
provocando un notevole e irreversibile danno al territorio e al paesaggio.
Al posto del costone è stato creato un gradone di oltre 4 metri di base per
altrettanti di altezza e per una lunghezza di circa 50 metri. L’intervento rientra
in un progetto più vasto che, almeno formalmente dovrebbe servire al
contenimento dell’erosione marina fino a coprire il tratto della costa nord di
Sant’Andrea.
A seguito di un sit-in ed altre iniziative da parte dei circoli di Legambiente di
Martano e di Lecce, il Sindaco del Comune di Melendugno ha sospeso i lavori
e organizzato una tavola rotonda invitando oltre ai Sindaci dei Comuni
limitrofi (Otranto e Carpignano Salentino) i responsabili dei Circoli della
Legambiente allo scopo di chiarire e determinare gli interventi futuri.
Le tre porte (Castrignano del Capo)
Al di sopra di alcune grotte di altissima valenza archeologica, sulla
litoranea Leuca – Gallipoli, il Comune di Castrignano del Capo rilascia
regolare concessione edilizia per la costruzione di uno stabilimento balneare
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Legambiente - Mare monstrum 2004
con materiale del tutto amovibile. Progettista e direttore dei lavori nella
persona dell’assessore all’ambiente dello stesso Comune. Fortunatamente gli
uomini del Corpo Forestale dello Stato hanno però posto sotto sequestro l’area
avendo riscontrato sul posto l’avvenuto sbancamento della costa.
Posto Rosso (Alliste)
In località Cisternelli - Posto Rosso nella Marina di Alliste, gli uomini
della Polizia Provinciale hanno apposto i sigilli ad un manufatto in avanzato
stato di realizzazione, eretto senza alcun tipo di autorizzazione, tanto meno
delle autorità comunali. La costruzione è stata peraltro individuata in terreno
sottoposto a vincolo paesaggistico, indicata nel PRG come E2, zona agricola
speciale. Dopo i necessari accertamenti catastali ed amministrativi, è scattato
subito il sequestro onde evitare la prosecuzione dei lavori ed ulteriori danni
irreversibili all’ambiente.
Torre Pali (Marina di Salve)
Gli uomini della Guardia di finanza di Tricase, guidati dal Tenente
Danilo Persano, hanno posto sotto sequestro due immobili in fase di
costruzione di rispettivamente 250 e 120 metri quadrati che stavano per essere
ultimati in una zona sottoposta a vincolo idrogeologico e paesaggistico in
località Torre Pali, una tra le più belle marine di Salve. Il dato emerso in molti
sequestri della Tenenza della Guardia di Finanza di Tricase è che gli abusi
edilizi sono stati commessi in prevalenza da cittadini residenti nel Nord Italia
(Emilia Romagna, Veneto..) che ignorando la regolamentazione regionale
tentano di edificare contando di aderire all’ultimo condono edilizio che in
Puglia, però, non consente di condonare in presenza del vincolo paesaggistico.
Santa Maria di Leuca (Castrignano del Capo)
Gli uomini della Compagnia Carabinieri di Tricase, diretti dal Tenente
Paolo Palazzo hanno sequestrato un’abitazione abusiva che faceva bella mostra
di sé sull’alta e suggestiva scogliera di S. M. di Leuca, precisamente in località
Ciardo. L’autore dell’illecito è anche questa volta un cittadino settentrionale,
un medico di Pescara intento a terminare la sua abitazione in zona sottoposta a
vincolo paesaggistico e idrogeologico. Insieme al furbo proprietario sono stati
denunciati due tecnici e due funzionari del Comune di Castrignano del Capo
insieme all’ingegnere progettista e al titolare dell’azienda che ha effettuato i
lavori.
Porto Selvaggio (Nardò)
In un’area sottoposta a vincolo paesaggistico gli agenti del Corpo
Forestale dello Stato di Gallipoli in località Cucchiara, Porto Selvaggio –
Marina di Nardò,
sequestrano delle costruzioni abusive in corso di
realizzazione consistenti in una piattaforma in cemento armato della
dimensione di 180 mq. Sul posto era presente il proprietario del terreno il quale
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Legambiente - Mare monstrum 2004
ha dichiarato di essere sprovvisto di qualsiasi autorizzazione ad edificare.
L’area in questione, immersa tra gli ulivi, è soggetta a vincolo paesaggistico.
5.3.2 Sardegna
Is Arenas
Tornano ad accendersi i riflettori sulla vicenda Is Arenas, concernente
la realizzazione di un gigantesco progetto turistico - alberghiero da parte della
società “ Is Arenas” s.r.l. nell’omonima pineta, nei comuni di Narbolia e San
Vero Milis, in provincia di Oristano. Infatti, dopo ripetuti tentativi di ricoprire
di cemento le dune boscate di questa zona, che dal 1996 è formalmente un SIC,
ora questo progetto potrebbe davvero concretizzarsi. Ciò in virtù del fatto che il
ministero dell’Ambiente e Tutela del Territorio ha affermato recentemente che
l’area di Is Arenas non presenta le caratteristiche ambientali per qualificarsi
come sito di interesse comunitario.
Ma riepiloghiamo brevemente i fatti.
Il progetto originario della società “Is Arenas” prevedeva la realizzazione di un
complesso alberghiero e di una serie di campi di golf, per un totale di 450.000
metri cubi di cemento da riversare in quest’area protetta. Tale progetto è stato
poi ridimensionato dai piani paesistici a 220.000 metri cubi. Nel 1999, dietro
concessione di un’autorizzazione rilasciata dal comune di Narbolia, è avvenuta
la costruzione all’interno del SIC di un percorso golfistico costituito da 18
buche; mentre nel 2000 la Regione Sardegna ha approvato una parte del
progetto senza però ritenere necessaria la Valutazione d’Impatto Ambientale,
così come previsto dalle Direttive Comunitarie, né la Valutazione d’Incidenza,
richiesta per le opere da realizzare nei SIC.
Al verificarsi di tali eventi, il 18 aprile 2000 l’allora Ministro dell’Ambiente,
Edo Ronchi, ha inviato alla Regione un’apposita diffida di blocco dei lavori a
Is Arenas e di revoca di tutte le autorizzazioni già concesse.
Nello stesso periodo la Commissione Europea ha avviato la procedura
infrazione nei confronti dello Stato Italiano per violazione del diritto
comunitario, ossia per la mancata ed errata applicazione della Direttiva Habitat.
Con tale provvedimento lo Stato italiano è stato obbligato a ripristinane lo stato
dei luoghi com’era in origine. Tuttavia il percorso golfistico è, allo stato
attuale, ancora funzionante.
E arriviamo alle recenti affermazioni del ministero dell’Ambiente e Tutela del
territorio, contenute nel documento firmato dal direttore generale del
dipartimento per l’assetto dei valori ambientali del territorio. In esso si legge
che l’area di Is Arenas non dovrebbe essere considerata un SIC a causa della
“non sussistenza dei valori naturali che giustificano l’individuazione di un sito
Natura 2000 e la mancanza di presupposti gestionali coerenti con le finalità
della direttiva Habitat sin dai tempi della sua proposta.”. L’accoglimento di tali
considerazioni potrebbe determinare la cancellazione dei vincoli ambientali
sulle dune boscate di Narbolia e l’immediata archiviazione della procedura di
infrazione, per venir meno dell’oggetto del contenzioso.
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Legambiente - Mare monstrum 2004
In sostanza, il cemento ad Is Arenas avrà “finalmente” il via libera.
Lottizzazione del Lido dei Coralli, località Stazzareddu (Sassari)
Partiamo dalla fine per raccontarvi una storia di lottizzazioni che sa di
incredibile, nella quale la burocrazia si intreccia con la rapacità di imprenditori
senza scrupoli e nella quale si rischia per un inammissibile vincolo formale di
ricoprire con 95mila metri cubi di cemento una delle zone più belle e ancora
meglio conservate della costa sarda, in piena area SIC del Monte Russu, nel
Comune di Aglientu, in provincia di Sassari. Uno scempio contrastato per oltre
15 anni e che oggi per un’assurda beffa amministrativa causa del decadimento
dei Piani Territoriali Paesistici, voluto proprio dalle associazioni ambientaliste
le quali con un ricorso al TAR ne contestavano l’impostazione complessiva e
l’efficacia in termini di gestione del paesaggio, fa sì che del momentaneo vuoto
di vincoli di tutela ne approfitti, senza legge e senza scrupoli, proprio la
Società Lido dei Coralli S.r.l. per realizzare quel villaggio turistico contrastato
da anni.
Tutto ha inizio nel novembre 1989, con la delibera n°99 del Consiglio
comunale di Aglientu per l’approvazione del progetto di lottizzazione in loc.
“Stazzareddu” della società Exomena spa di Bologna sull’area del SIC Monte
Russu ITB000006(costa settentrionale della Sardegna, Comune di Aglientu,
provincia di Sassari). Si tratta di un intervento edilizio di tipo “villaggio
turistico” residenziale, per una volumetria complessiva di 95.000 mc. Nel
dicembre 1989 per l’intervento richiamato l’Assessorato Enti Locali Finanze e
urbanistica decreta il Nulla Osta n°1425/U e sempre nello stesso mese il
Comune di Aglientu autorizza la società Exomena alla realizzazione del piano
di lottizzazione-sub zona omogenea F.16 “Lido dei coralli” in località
“Stazzareddu”. Circa un anno dopo nel novembre 1990 la Giunta Regionale
con delibera n° 47/40 concede il Nulla Osta per la realizzazione
dell’insediamento indicato, a condizione che sia trascritto nei registri
immobiliari con l’obbligo di mantenere nel tempo la destinazione ricettivoalberghiera dell’opera. Trascorrono 5 anni ed il 30 agosto 1995 l’Assessorato
Regionale Pubblica Istruzione Ufficio Tutela del Paesaggio ex art. 7 della legge
1497/39 concede un’autorizzazione relativa alla realizzazione di un complesso
turistico alberghiero nell’ambito del comparto n°1 della lottizzazione “Lido dei
coralli” (non compete più alla società Exomena ma alla società Basilesus).
Detta autorizzazione ha validità per un periodo di 5 anni.
Il Comune di Aglientu il 22 dicembre 1997 rilascia la concessione edilizia n°
2104 per opere di urbanizzazione del comparto n°1. Lo stesso Comune di
Aglientu, solo un anno dopo presenta alla Commissione Europea il fascicolo di
candidatura per il finanziamento al 75% del progetto LIFE “Juniper dunes”. Il
progetto Life Natura “Juniper dunes”, presentato dal Comune di Aglientu,
approvato e finanziato dalla Commissione Europea (Life 99 Nat./it./006189),
che prevede di “riportare gli habitat della fascia costiera in uno stato di
conservazione soddisfacente arrestandone il degrado……, conservare la
biodiversità della flora, la presenza di specie d’interesse fitogeografico,
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Legambiente - Mare monstrum 2004
l’originalità delle formazioni vegetali, la continuità territoriale degli habitat, il
valore paesaggistico del sito”. Da giugno 1999, ogni intervento nella zona
ricade sotto l’obbligo della valutazione d’incidenza ambientale. Il 2 giugno
1999 con una altalenante condotta l’Ufficio Tecnico del Comune di Aglientu
autorizza alla variante in corso d’opera alla concessione edilizia n° 2104 del
22.12.1997, per la realizzazione di un complesso turistico alberghiero sul
comparto n°1 del P. di L. “Lido dei coralli”, alla società “Lido dei coralli” che
nel frattempo ha preso il posto della Basileus. Validità per un periodo di 5 anni.
Il 12 ottobre 1999 viene rilasciata la concessione edilizia n° 2210 relativa alla
variante in corso d’opera ala realizzazione del comparto n° 1 ed a metà
dicembre dello stesso anno viene presentata la domanda di variante al piano di
lottizzazione “Lido dei coralli” in località Monti Russu.
A maggio 2000 si autorizza l’abitabilità con n° 3122 relativamente alle opere
eseguite per la costruzione del comparto n°1 del Piano di Lottizzazione “Lido
dei coralli”, mentre a giugno dello stesso anno il Consiglio comunale di
Aglientu con delibera approva la variante al P.di l. della società “Lido dei
coralli” in località “Stazzareddu”. L’Assessorato Difesa Ambiente R.A.S., il 28
settembre 2000 risponde all’esposto del Gruppo di Intervento Giuridico e al
Ministero dell’Ambiente, in cui si comunica che non risultano autorizzazioni di
sorta per il progetto immobiliare in località Monti Russu, e che la società “Lido
dei coralli” ha presentato relazione per la valutazione d’incidenza ambientale in
data 07.09.2000. Il 17 marzo 2001, il R.A.S. Ufficio Tutela del Paesaggio
approva la variante al Piano di Lottizzazione del comparto F16 “Lido dei
coralli”. L’Assessorato Difesa Ambiente R.A.S., l’11 luglio 2001 approva la
realizzazione del progetto inerente la lottizzazione turistica in località
"Stazzareddu”, nel comune di Aglientu (Pubblicazione BURAS del
04.08.2001), e subito dopo il 1 agosto comunica che l’O.T.I. ha deciso di
escludere l’intervento di cui trattasi dalla Valutazione di Impatto Ambientale.Il
5 settembre 2002 la Legambiente Sardegna presenta la denuncia contestando il
contrasto delle concessioni con i Piani Territoriali Paesistici (incongruenza
delle interpretazioni tra l’art.4 e gli artt. 17, 18) e la mancanza di opportuna
Valutazione di Impatto Ambientale (necessaria perché l’intervento di
95.000mc fa parte di uno più ampio di 350.000mc previsto dal P.di F. e quindi
gli effetti devono cumularsi nella valutazione), ed a novembre dello stesso
anno presenta il ricorso straordinario al Capo dello Stato contro il Comune di
Aglientu e la Società Lido dei Coralli s.r.l. per l’annullamento della variante al
Piano di Lottizzazione proposto dalla società. A gennaio 2003, la società Lido
dei Coralli chiede che il ricorso straordinario al Capo dello Stato sia deciso in
sede giurisdizionale. Si prosegue il giudizio davanti al TAR Sardegna. Il 3
marzo 2003, il TAR, con ordinanza del 26.02.2003, accoglie la richiesta di
annullamento presentata dalla Legambiente Sardegna, contro il comune di
Aglientu e nei confronti della società “Lido dei Coralli” s.r.l., in merito alla
delibera n°18 del 1 luglio 2002 e di tutti gli atti collegati e consequenziali. Tale
delibera prevedeva la variante al piano di lottizzazione (del 1976) proposto
dalla società “Lido dei Coralli” s.r.l. in località Stazzareddu, per la
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Legambiente - Mare monstrum 2004
realizzazione di un villaggio turistico di 95000mc in una delle zone più belle e
meglio conservate del Mediterraneo. La variante era stata approvata
erroneamente riferendosi all’art.4 delle Norme Tecniche di Attuazione del
Piano Territoriale Paesistico n°1 della Gallura.
Per lo stesso articolo di legge, debitamente applicato la delibera è stata
annullata.
Le varianti, alle lottizzazioni, sono infatti possibili se l’intervento è comunque
conforme alle previsioni del Piano Tutela Paesistica, cosa che non è avvenuta.
Secondo l’articolo 17 delle stesse norme, l’ambito di tutela della zona in
questione è definito “2a” dove <<...prevale l’esigenza di una tutela delle
caratteristiche naturali… sono possibili trasformazioni che non determinino
apprezzabili modificazioni dello stato dei luoghi>> e ancora all’art.30 le
volumetrie che il Piano Urbanistico Comunale deve individuare debbono
essere <<...limitatissime… per strutture a carattere ricettivo alberghiero>>.
In base a queste, e altre indicazioni della nostra Associazione, il TAR,
<<…con riguardo alle rigorose limitazioni previste dall’art.4 e dall’art. 17
delle norme di attuazione del P.T.P. n°1 per gli insediamenti compresi in
ambito 2a>>, accoglie la richiesta della Legambiente Sardegna <<…avuto
anche riguardo al rilevante pericolo di danno per i valori tutelati>>.
Ad aprile dello stesso anno, la società Lido dei Coralli presenta il ricorso al
Consiglio di Stato, contro il comune di Aglientu e la Legambiente Sardegna,
per l’annullamento dell’ordinanza del TAR Sardegna, il quale all'udienza del
06 maggio 2003, con Ordinanza n. 1791/2003 "Rilevato che l'ordinanza
cautelare impugnata non merita le censure mosse, atteso che, vertendosi in
tema di variante ad un precedente piano di lottizzazione, sembra che doveva
effettivamente tenersi conto delle rigorose limitazioni previste dalla N.T.A.
(Artt. 4 e 17) del Piano Territoriale Paesistico per gli insediamenti nell'ambito
2A", respingeva l'appello proposto dalla soc. Lido dei Coralli Srl.
Ad ottobre 2003 su ricorso al TAR Sardegna di alcune associazioni
ambientaliste, vengono annullati i Piani Territoriali Paesistici, perchè non
tutelavano adeguatamente le aree individuate dagli stessi come meritevoli di
tutela. La società Lido dei Coralli S.r.l. ricorreva allo stesso TAR Sardegna
che, sulla base dell’annullamento della normativa di tutela rappresentata dai
Piani Territoriali Paesistici, accoglieva il ricorso della Ricorrente. Il 5
novembre 2003 viene fissata l’udienza di merito per la discussione del ricorso
Legambiente/Comune di Aglientu e Società Lido dei Coralli S.r.l. Legambiente
impugna la sentenza proponendo ricorso al Tar Sardegna, il quale 11 febbraio
2004 si pronuncia rigettando il ricorso, affermando che, decaduti i Piani
Territoriali Paesistici (ottobre 2003), le disposizioni di omogeneizzazione non
conservano alcuna efficacia ai fini della tutela del territorio.
La Legambiente si sta attivando, con il proprio ufficio legale, a ricorrere al
Consiglio di Stato.
In ultimo non si può non rilevare che dentro il SIC di Monte Russu, sono
presenti 3 Camping con circa 4000 presenze complessive e una volumetria di
15.000 mc del Borgo di Vignola, costruito sulla spiaggia negli anni cinquanta.
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Legambiente - Mare monstrum 2004
Inoltre altri 553.000 mc di volumetria residenziale, già realizzati e occupati
durante l’estate da circa 9.500 abitanti, confinano direttamente con il sito
circondandolo da tutti i lati. Attualmente quindi, la popolazione stagionale che
grava direttamente sul sito ammonta a circa 12.500 abitanti. Tenendo conto che
la parte terrestre del sito copre una superficie di circa 16 Kmq, si tratta di una
densità di popolazione di circa 780 persone al Kmq. Se fossero realizzati gli
altri 350.000 mc che il Comune di Aglientu prevede di costruire dentro il sito,
la popolazione turistica che si riverserebbe su di esso ammonterebbe a 18.500
persone di cui 6.800 residenti dentro il sito e altri 11.700 residenti ai suoi
confini. La densità di popolazione salirebbe a 1556 persone al Kmq. L’impatto
antropico sarebbe devastante e incontrollabile.
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Legambiente - Mare monstrum 2004
5.4 Ruspe contro il cemento selvaggio
5.4.1 Sicilia
Mentre le ruspe in Sicilia contro gli abusi edilizi sono ferme per la
sanatoria nazionale e per la legge sul riordino delle coste, che presto il governo
regionale, guidato da Salvatore Cuffaro si appresta ad approvare, gli unici che
demoliscono gli immobili abusivi sono gli uomini della Capitaneria di Porto.
Con un’azione incessante, dopo aver trovato un piccolo gruzzolo tra le pieghe
del bilancio regionale gli uomini della guardia costiera guidati, dall’ammiraglio
Vincenzo Pace, hanno demolito vecchie fabbriche, ruderi che un tempo erano
ristoranti, autofficine e fatiscenti depositi per reti e pesce. Tutto sul lungomare
di Palermo restituendo così ampi tratti di costa ai cittadini palermitani. Sono
diversi i capannoni industriale e grossi depositi andati giù sotto i colpi delle
ruspe della Capitaneria di Porto. Da mesi, in silenzio e, lontano dai riflettori,
gli uomini della guardia costiera, con alcune ditte specializzate, stanno
ripulendo il litorale est della costa palermitana dagli immobili abusivi che sono
stati abbandonati dopo il sequestro dell’autorità giudiziaria. Dalla Bandita ad
Acqua dei Corsari, sono almeno otto i grossi manufatti abbattuti, che hanno
consentito di recuperare un ampio tratto di costa. Qui sono stati abbattuti
vecchi magazzini, a dir poco fatiscenti, a ridosso delle case, nei pressi del
porticciolo, utilizzati dai pescatori per conservare le reti e le cassette per il
pesce.
Altri due edifici, di fronte all’ospedale Buccheri La Ferla, vicino all’area
utilizzata come posteggio, sono finiti giù sotto i colpi delle ruspe: un ex
ristorante e una vecchia officina meccanica. Qui per ripulire la zona sono
dovuti intervenire gli uomini di una ditta specializzata nello smaltimento
dell’amianto. Un altro grosso intervento è stato realizzato sul lungomare nei
pressi dello Sperone: ad andare giù una vecchia falegnameria abusiva
abbandonata dopo che le forze dell’ordine avevano posto i sigilli. Anche qui,
una volta ripulita l’area, la città ha riconquistato un’ampia zona che adesso
dovrà essere riqualificata.
“Per mettere a segno questi interventi abbiamo attinto ai fondi contenuti in un
capitolo del bilancio regionale. Un capitolo dove c’erano delle risorse
economiche che nessuno aveva mai utilizzato per abbattere gli edifici abusivi –
afferma l’ammiraglio Vincenzo Pace. Con i nostri uomini abbiamo innescato
un meccanismo virtuoso per riuscire, grazie all’opera del Genio civile opere
marittime e all’avvocatura di Stato, ad abbattere gli immobili e a recuperare le
somme spese chiedendo i soldi agli abusivi”. Un’azione che sta dando i suoi
frutti non solo perché già alcuni immobili sono andati giù, ma perché una
prima pratica di rimborso sta per arrivare a buon fine. “Abbiamo chiesto
all’avvocatura dello Stato di aprire un contenzioso per ottenere i soldi spesi
dall’amministrazione per le demolizioni – aggiunge l’ammiraglio Pace – So per
certo che una pratica è già a buon fine”. Non a caso proprio in questi mesi un
altro vecchio capannone utilizzato per la raccolta di ferro vecchio è andato giù
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Legambiente - Mare monstrum 2004
sotto i colpi delle ruspe. Una volta scaduta la convenzione, l’imponente
struttura di 700 metri quadrati, costruita abusivamente a Sant’Erasmo in pieno
demanio, era stata trasformata in discarica abusiva. Anche questa dopo, cinque
anni dal sequestro, è finita sotto i colpi della ruspa della ditta che si è
aggiudicata l’appalto della Capitaneria di Porto. Al posto del grande capannone
di ferro e mattoni sono rimasti solo dei cumuli di materiale edile abbandonati.
Accanto alla demolizione è stata iniziata una nuova azione di risanamento
ambientale, visto che sul posto c’erano quintali di eternit e materiale di ogni
tipo. Oltre ad abbattere una grossa costruzione in pieno demanio l’operazione
della Capitaneria è servita anche per bonificare una grossa area. “Questo
immobile era stato sequestrato cinque anni fa – raccontano dalla Capitaneria –
solo adesso è stato possibile abbatterlo. Non è solo necessario reperire i fondi
per buttare giù le costruzioni abusive, ma è anche indispensabile accertarsi che
non ci siano ricorsi pendenti e che il lungo iter sia stato eseguito in modo
preciso. Solo alla fine dopo anni arrivano le ruspe”. Ruspe che sarebbero
pronte ad abbattere altri immobili abusivi e ripulire anche altri tratti di costa
per i quali è necessaria la collaborazione con l’amministrazione comunale di
Palermo visto che diversi immobili si trovano tra il demanio e il territorio
comunale. “Invitiamo l’amministrazione comunale di Palermo – afferma
l’ammiraglio Vincenzo Pace – a darci una mano per buttare insieme altri metri
cubi di cemento abusivo che si trovano in territorio comunale e nel demanio.
Speriamo che le nostre operazioni proseguano anche in altre zone della città e
che riescano a restituire il mare ai cittadini”. E l’azione della Capitaneria sta
producendo anche effetti persuasivi nei confronti di proprietari di altre
costruzioni abusive. Non a caso un cittadino, avendo visto che l’azione della
Capitaneria andava avanti, ha pensato bene di demolirsi da solo e a sue spese
un grosso magazzino costruito abusivamente sul lungomare di Palermo in via
Messina Marine, nei pressi degli ex bagni Virzì a due passi dal lido Trieste. Un
magazzino di 200 metri quadrati, utilizzato come deposito detersivi, che nel
corso delle indagini della Capitaneria di Porto, coordinate dalla Procura di
Palermo, è stato sequestrato e sarebbe stato demolito. Il proprietario li ha
preceduti per evitare l’addebito degli alti costi da parte dell’avvocatura dello
Stato. Ha pagato alcuni operai che hanno abbattuto il magazzino che stava lì
almeno da più di 25 anni. Il fascicolo su questo immobile era stato aperto nel
1975. Il proprietario era stato denunciato per occupazione abusiva del demanio
e per aver violato i sigilli apposti dall’autorità giudiziaria. Solo adesso, quando
gli era stata notificata l’ingiunzione di sgombero che preannunciava l’arrivo
delle ruspe della ditta che si era aggiudicata la gara indetta dalla Capitaneria di
Porto, ha deciso di buttare a terra il grosso manufatto. “Il proprietario si è reso
conto che ormai la nostra azione non si sarebbe fermata. Lungo il litorale non è
il primo immobile che buttiamo a terra – afferma il capitano di corvetta Vito
Ciringione della Capitaneria. Ha fatto una scelta dettata dal buon senso che gli
ha evitato in futuro di pagare gli alti costi per la demolizione, se l’abbattimento
l’avremmo effettuato noi con la ditta da noi incaricata. Già l’avvocatura dello
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Legambiente - Mare monstrum 2004
Stato ha avviato diverse pratiche per recuperare sugli abusivi i soldi da noi
spesi per demolire diverse grosse fabbriche sul lungomare in questi mesi”.
Accanto alle fabbriche e ai capannoni abusivi, le ruspe della Capitaneria stanno
liberando anche il litorale di Carini, comune palermitano, dalle piattaforme in
cemento costruite sulla spiaggia e sugli scogli. Una di queste è andata giù in
questi mesi sempre nel corso di un’operazione della Capitaneria di Porto, sul
lungomare Cristoforo Colombo a ridosso del mare, in pieno demanio, una
grossa piattaforma in cemento con sorpresa. Sotto l’ammasso di cemento sono
state trovate dalla ditta a cui sono stati affidati i lavori di risanamento della
costa due fosse biologiche rudimentali dove venivano raccolti i liquami dei
villini costruiti sulla costa. Liquami, che andavano a finire a mare senza alcun
filtro. La prova delle tante denunce fatte da molti ambientalisti in questi anni
sulla vera causa dell’inquinamento dei cinque chilometri di costa del mare di
Carini, è provocato proprio dagli scarichi a mare dei villini che si vedono
percorrendo l’autostrada. L’operazione di risanamento condotta dalla
Capitaneria di Porto è coordinata dalla Procura della repubblica di Palermo.
“Questo non è il primo intervento che facciamo a Carini – afferma il capitano
di corvetta Vito Ciringione della Capitaneria – è da mesi che siamo impegnati a
ripulire la costa dalla cementificazione compiuta in passato. Non solo, stavolta
ci siamo imbattuti anche nella vicenda delle fosse biologiche davvero dannose
per la salute del mare e dei cittadini che ne usufruiscono in estate. Per questo
abbiamo iniziato, di concerto con l’Azienda sanitaria di Carini e con l’ufficio
tecnico del comune, un’azione di controllo sugli scarichi a mare dei villini.
Un’azione che ha permesso di scoprire numerosi illeciti”. Sui primi trenta
villini, controllati a ridosso del mare e nei pressi della piattaforma dagli uomini
della Capitaneria e dell’Asl di Carini, sono scattate trenta sanzioni
amministrative in violazione del decreto legislativo numero 152/99. Trenta
sanzioni ciascuna della quale avrà come conseguenza diretta l’emanazione da
parte dell’ufficio tecnico del Comune di altrettante ordinanze di ripristino dei
luoghi e di rifacimento, all’interno della proprietà privata dei villini, di una
fossa imhoff a norma. Un sistema di raccolta dei liquami che non faccia più
arrivare la melma a mare e che consenta finalmente di avere anche in quei
chilometri di costa un mare più pulito.
5.4.2 Puglia
Una realtà difficile quella pugliese sul fronte della lotta all’abusivismo
edilizio, in cui è da segnalare, positivamente, l’iniziativa assunta dalla Procura
generale di Lecce e della Prefettura. Qui, grazie all’impegno del sostituto
procuratore Ennio Cillo (uno dei fondatori dei Centri di azione giuridica di
Legambiente), è stato avviato un intenso lavoro teso a rendere davvero
esecutive, con la demolizione degli immobili abusivi, le sentenze di condanna
passate in giudicato. Un lungo lavoro di verifica, che ha coinvolto anche
l’Ance (Associazione nazionale costruttori edili) di Lecce, Brindisi e Taranto:
dall’Ance è stata assicurata la disponibilità di imprese edili per effettuare
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Legambiente - Mare monstrum 2004
l’intera procedura di demolizione, fino allo smaltimento degli inerti. Particolare
curioso, come ha ricordato lo stesso Procuratore generale Fancesco Toriello
durante l’inaugurazione dell’anno giudiziario 2004, “il prezzo, raffrontato su
un caso specifico, è risultato nettamente inferiore a quello richiesto dalla Difesa
(il Genio militare, ndr) per la sola demolizione”. “Confido di potere a breve,
con la collaborazione delle altra Autorità – ha aggiunto il Procuratore generaleavviare concretamente questo sistema di demolizioni, che ovviamente dovrà
tenere conto dell’intervenuto condono edilizio, per le opere divenute sanabili,
ma che potrà finalmente, con la demolizione delle opere non condonabili,
contribuire ad attuare il ripristinare della legalità e del territorio”.
Con un emendamento alla legge n. 324 del 2003 che trasferisce dai Sindaci ai
Prefetti la competenza delle demolizioni, nel caso di inadempienza da parte di
chi ha commesso l'abuso edilizio, la Prefettura di Lecce, con l’ausilio e
l’incoraggiamento del Sottosegretario all’interno Alfredo Mantovano ha
attivato una serie di incontri con le amministrazioni comunali al fine di snellire
le procedure per l’abbattimento delle opere non sanabili per le quali gli abusivi
non hanno provveduto nel termine previsto alle demolizioni.
La Procura Generale di Lecce ha fornito, su richiesta del Prefetto, un prospetto
della situazione al 31-03-2004 sulla demolizione dei manufatti abusivi per
violazione dell’art. 20 lett. C delle Legge n. 47/85 riguardanti le sole sentenze
passate in giudicato distinte per anno e per comune.
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Legambiente - Mare monstrum 2004
TABELLA: sentenze passate in giudicato per abusivismo edilizio
COMUNI
1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004
ALESSANO
1
ALLISTE
2
1
6
CASTRIGNANO
1
DEL CAPO
CASTRO
1
1
COPERTINO
1
1
4
CORSANO
1
1
1
2
4
DISO
1
MARITTIMA
GAGLIANO DEL
2
1
1
8
3
CAPO
GALATONE
2
2
GALLIPOLI
1
2
2
1
2
4
7
2
LECCE
2
1
3
4
3
MELENDUGNO
1
1
2
1
2
1
MORCIANO DI
1
2
1
LEUCA
MURO LECCESE
1
NARDO’
2
5
6
16
15
13
ORTELLE
1
OTRANTO
2
1
2
PARABITA
1
PATU’
1
1
PORTO
2
16
37
35
46
29
48
1
CESAREO
PRESICCE
1
RACALE
1
3
4
3
4
2
SALVE
1
3
SANNICOLA
1
2
TAVIANO
2
1
3
TIGGIANO
1
TRICASE
1
2
1
UGENTO
2
1
1
1
2
7
1
UGGIANO LA
1
CHIESA
VEGLIE
1
VERNOLE
1
1
2
1
TOTALE
10
30
65
52
75
83
111
7
Fonte: Procura Generale della Repubblica di Lecce aggiornato al 31-03-2004
TOTALE
1
9
1
2
6
9
1
15
4
21
13
8
4
1
57
1
5
1
2
214
1
17
4
3
6
1
4
15
1
1
5
433
Da questi dati si evince che il Comune di Porto Cesareo risulta in testa alla
classifica per il maggior numero di case abusive da abbattere, basti pensare
anche che in tale comune, l’attività edilizia è molto florida se consideriamo che
a fronte di 4800 abitanti sono presenti 8000 appartamenti.
50
Legambiente - Mare monstrum 2004
PORTO CESAREO - Sentenze per Anno
60
50
40
30
20
10
0
48
46
37
35
29
16
2
1997
1
1998
1999
2000
2001
2002
2003
2004
Fonte: Procura Generale della Repubblica di Lecce
Elaborazione: Legambiente Tricase
I cinque comuni con il maggior numero di demolizioni da effettuare sono:
49,42
4,85
3,93
3,46
3,46
GALLIPOLI
RACALE
GAGLIANO
DEL CAPO
UGENTO
13,16
NARDO’
60,00
50,00
40,00
30,00
20,00
10,00
0,00
PORTO
CESAREO
Percentuale
Demolizioni per Comuni
Comuni
Fonte: Procura Generale della Repubblica di Lecce
Elaborazione: Legambiente Tricase
Parte infatti da Porto Cesareo il tentativo di ripristinare la legalità nel Salento.
E’ da questo Comune, simbolo dell’abusivismo per eccellenza (quasi 800
costruzioni abusive), che per la prima volta le ruspe entrano in azione. Il
Sindaco Fanizza, dispone per il 12 febbraio il primo abbattimento, ma qualcosa
va storto: il proprietario, un anziano cardiopatico, si asserraglia in casa
costringendo le autorità preposte a rinviare alla settimana successiva.
Il 20 febbraio le ruspe ritornano in azione: vengono abbattute 4 case, l’ultima
in località “Belvedere” dove il tutto degenera in rissa e il conducente del mezzo
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Legambiente - Mare monstrum 2004
viene aggredito e minacciato. Il giorno dopo viene occupato il cantiere per
impedire le successive demolizioni. Interviene lo Stato: Il sottosegretario
all’Interno Mantovano promette rinforzi.
Il 6 marzo si presentano alla presenza del Ministro 100 agenti di polizia che
presidiano i luoghi deputati alle demolizioni. Vengono abbattute altre 5 villette.
Ma non è tutto, la Procura di Lecce presenta un’altra soluzione,
l’autoabbattimento.
In pratica all’immobile abusivo demolito utilizzando l’opzione fai da te
vengono rimossi i sigilli e riconsegnato il terreno ai proprietari. Il Sostituto
Procuratore Generale di Lecce, Ennio Cillo spiega che la prospettiva
dell’autodemolizione può essere praticata fino al 31 luglio, termine ultimo per
la scadenza del condono edilizio. Fino al 31 luglio il soggetto può scegliere: o
paga e condona oppure demolisce e ha l’unica possibilità di estinguere il reato
e di evitare la confisca.
In diversi hanno praticato questa soluzione, alcuni casi sono stati registrati
anche nel vicino Comune di Nardò.
52
Legambiente - Mare monstrum 2004
6. L’erosione della costa
Le nostre ampie spiagge sono il risultato di una politica di rapina del
territorio, essendo il prodotto di frane ed erosioni accelerate, innescate da una
progressiva riduzione della copertura boschiva. A questo riguardo è necessario
sottolineare che vi è una evidente conflittualità fra la “difesa del suolo” e la
“difesa delle coste”; ogni intervento teso a ridurre il rischio di alluvioni o di
frane avrà una immediata ricaduta negativa sull’equilibrio delle spiagge; si
dovrà trovare il modo di compensare i litorali per quanto perderanno, in termini
di sedimenti, per gli interventi necessari alla messa in sicurezza dei bacini
idrografici
Con l’abbandono delle campagne, iniziato già nel XIX secolo, e la
ricrescita del bosco, congiuntamente agli interventi di bonifica, di
stabilizzazione dei versanti ed estrazione di inerti dagli alvei fluviali, i delta
fluviali hanno iniziato a ritirarsi. L’erosione partì dalle foci fluviali, che
avevano acquisito una forma prominente in mare, e si propagò poi
progressivamente alle spiagge più distanti, che inizialmente ricevevano ancora
i materiali erosi nei settori costieri posti sopraflutto.
Nello stesso periodo, anche a seguito della sconfitta della malaria, era
iniziato il flusso migratorio dall’interno verso la costa, dove si vennero a
concentrare insediamenti urbani ed industriale e vie di comunicazione. Molti
insediamenti costieri furono costruiti in prossimità del mare quando già
l’erosione stava producendo i suoi effetti.
Il fenomeno divenne così preoccupante che fu promulgata una legge
specifica, quella del 4 luglio 1907 “Legge per la difesa degli abitati
dall’erosione marina”, che prevedeva l’intervento automatico dello Stato
laddove gli insediamenti abitativi erano minacciati dall’erosione. Nella legge
erano contemplate tre possibilità: la costruzione di pennelli, di scogliere
parallele a riva o di ogni altro lavoro idoneo a fermare l’erosione.
In quegli anni la difesa dei litorali era di fatto la protezione delle
strutture abitative e delle vie di comunicazione, dato che non si era ancora
affermato il turismo balneare e, tanto meno, una coscienza ambientalista.
Da qui dovrebbe già essere più chiaro come la destabilizzazione
dell’ambiente costiero sia il frutto bacato di diversi fattori, a partire dall’intensa
antropizzazione anche poi per fini turistici industriali, e dall’impoverimento
dell’apporto di materiale solido dei fiumi al mare, determinato dalla massiccia
estrazione di materiale dagli alvei e dagli interventi di regimazione dei corsi
d’acqua, che in molti casi si sono rivelati inutili o dannosi.
Delle tre possibilità della L. 4/7/1907, di fatto furono attuate solo le
prime due, ossia la costruzione di scogliere parallele ed ortogonali a riva,
rinunciando alla possibilità di percorrere strade diverse ed innovative.
Ciò fu determinato da vari fattori, il primo dei quali risiede nel fatto che
il personale tecnico chiamato ad intervenire era costituito da ingegneri
formatisi nella costruzione dei porti, e per loro le scogliere costituivano la
soluzione più ovvia per proteggere la costa dall’attacco delle onde.
53
Legambiente - Mare monstrum 2004
Furono costruiti anche molti pennelli, bloccando il flusso dei sedimenti
lungo riva ed aggravando l’erosione nei tratti di litorale non protetti.
In altri paesi, ed in particolare del Nord Europa, la risposta fu
completamente diversa. In queste zone da secoli venivano effettuati dragaggi di
estuari e di imboccature lagunari, dove erano posizionati i porti principali. Le
conoscenze tecniche acquisite e la disponibilità di draghe idonee furono messe
a disposizione per la soluzione del problema dell’erosione costiera e si poté
dragare la sabbia dove si trovava in eccesso e refluirla o trasportala dove
mancava.
In Italia, la mancanza di porti in estuari ed in lagune, con l’eccezione di
Venezia, non aveva favorito né lo sviluppo di simili tecnologie né l’affermarsi
di una mentalità idonea ad utilizzarle.
Una scarsa attenzione ai problemi ambientali e una limitata conoscenza dei
processi costieri portò anche alla costruzione, in quegli anni, di porti lungo le
coste basse, che intercettano ora il flusso dei sedimenti lungo riva e causano, o
incentivano, l’erosione delle spiagge poste sottoflutto.
Molte spiagge italiane sono oggi protette da scogliere aderenti o
parallele e da pennelli che stravolgono il paesaggio costiero, creano erosione
sottoflutto, impediscono una ottimale utilizzazione dell’arenile ed hanno
elevati costi di manutenzione.
Un quadro delle attuali tendenze evolutive dei litorali italiani è difficile
da realizzare poiché i vari tratti costieri sono stati analizzati con diversi criteri
ed a scale diverse. L'Atlante delle Spiagge Italiane, compilato da ricercatori
afferenti a diverse sedi universitarie e con il finanziamento del CNR, dà un
quadro omogeneo in scala 1.100.000 di tutti i litorali italiani, ma i vari fogli
sono stati compilati in un intervallo temporale che va dal 1981 al 1995. Nel
1998, nell'ambito delle ricerche condotte dal Gruppo Nazionale Difesa
Catastrofi Idrogeologiche del CNR è stata prodotta una carta del rischio
costiero in scala 1:750.000 partendo proprio dalle conoscenza che si erano
acquisite con la compilazione dell'Atlante delle Spiagge, ed aggiornando e
rileggendo i dati alla luce delle conoscenze più recenti. I vari tratti costieri sono
stati attribuiti alle classi di rischio Molto alta, Alta, Bassa e Nulla sulla base
delle tendenze evolutive degli ultimi decenni, della morfologia dell’entroterra e
della presenza ed efficacia delle opere di difesa.
Le difficoltà di giungere ad un quadro omogeneo dipendono anche dai
problemi di definizione: quale è l'accuratezza dei rilievi su cui si basano i
confronti fra linee di riva relative ad anni diversi? Quale è il limite dello
spostamento che fa passare una spiaggia "stabile" nelle classi "in erosione" o
"in avanzamento". L'errore medio delle misure può essere tranquillamente di 5
metri, cosa che comporta un possibile errore di 10 metri nel confronto fra
rilievi effettuati in momenti diversi. Infine, vi sono tratti di litorale in cui la
costa arretra di 20 metri all'anno ed altri in cui gli spostamenti sono di poche
decine di centimetri all'anno: è ovvio che non possono essere considerati nello
stesso modo.
54
Legambiente - Mare monstrum 2004
Un altro aspetto è legato alla presenza di opere di difesa: dove queste
hanno funzionato, i rispettivi tratti di costa vengono considerati stabili o in
accrescimento. Non solo, ma la difesa di un punto può determinare
l'avanzamento della costa per diverse centinaia di metri o per chilometri
sopraflutto che, sebbene tendenzialmente in erosione, vengono inseriti nella
categoria "in avanzamento".
Con queste premesse i quadri regionali, ed ancor più quelli nazionali,
devono essere letti con grande cautela e solo una approfondita ed aggiornata
conoscenza dei processi in atto e delle realtà territoriali coinvolte può fornire
indicazioni attendibili sullo stato dei nostri litorali.
Dati pubblicati sullo stato dei litorali italiani
Regione
Lunghezza Atlante delle spiagge
spiagge
(%)
A
S
E
Liguria
182
3
79
18
Toscana
215
10
55
35
Lazio
260
8
71
21
Campania 202
9
64
27
Calabria
589
2
64
34
Sicilia
661
5
79
16
Sardegna 482
7
70
23
Basilicata 44
2
25
73
Puglia
308
5
47
48
Abruzzo
112
2
69
29
Molise
34
3
68
29
Marche
149
3
64
33
Emilia
134
7
83
10
Romagna
Veneto
132
14
77
9
Friuli
81
4
94
2
Italia
3612
3
70
27
Mare Monstrum ‘02
Lungh.
355
470
290
350
690
996
1900
53
% eros.
15
17
18
58
67
12
1,5
57
125
25
145
130
16
13
160
100
7,5
4,2
Atlante delle spiagge Italiane: A = Avanzamento, S = Stabile, E = Erosione.
Mare Monstrum: Lunghezza dei tratti considerati e % dei tratti in erosione.
Il quadro che emerge è comunque preoccupante, anche perché molti
tratti di litorale sono in erosione nonostante siano stati pesantemente difesi con
scogliere di ogni tipo, che hanno determinato una degrado paesaggistico ed una
riduzione del valore economico della spiaggia.
Negli ultimi anni anche in Italia si è cominciato ad utilizzare protezioni
morbide nella difesa dei litorali: scogliere sommerse e ripascimento artificiale
delle spiagge, spesso senza alcuna protezione.
Il ripascimento artificiale, con sedimenti provenienti da dragaggi marini
o da cave a terra costituisce oggi la tecnica privilegiata nella difesa dei litorali
ed è in linea con le raccomandazioni espresse all’UN Intergovernment Panel on
55
Legambiente - Mare monstrum 2004
Climate Change 2001. Le continue richieste di materiali da utilizzare nei
ripascimenti spingono la ricerca di sedimenti in mare verso fondali sempre
maggiori ed anche su depositi lontani. Draghe con capacità di carico crescenti
consentono un notevole abbattimento dei costi unitari della sabbia, ma solo su
interventi di grandi dimensioni, e si rende quindi necessario un coordinamento
a livello regionale ed interregionale dei progetti.
Negli ultimi anni, alcuni tratti della costa italiana sono stati oggetto di
importanti interventi di ripascimento con sabbia prelevata sulla piattaforma
continentale, che hanno portato ad una espansione dell’arenile di svariate
decine di chilometri, spesso consentendo una drastica riduzione delle difese
tradizionali: sui litorali del Veneto, dell’Emilia Romagna e del Lazio sono stati
versati più di 20 milioni di metri cubi di sedimenti, e quasi tutti gli interventi di
difesa costiera oggi in fase di realizzazione o di progetto si basano su
consistenti ripascimenti. Le spiagge che proteggono la Laguna Veneta sono
state difese con circa 13 milioni di metri cubi di sedimenti dragati in mare
nell’Alto Adriatico, pur con la stabilizzazione con opere rigide. Nel Lazio sono
stati fatti interventi di ripascimento su 22 km di spiagge ed altri sono tuttora in
atto. Anche in Europa la tendenza è verso un aumento dei ripascimenti
artificiali ed attualmente si valuta che ogni anno vengono portati sulle spiagge
circa 28 milioni di metri cubi di nuovi materiali, per la gran parte dragati in
mare. La Spagna, che per la difesa delle coste che si affacciano sul
mediterraneo si era inizialmente affidata a difese strutturali, negli ultimi 5 anni
ha sviluppato ben 400 interventi di ripascimento, per un volume totale di
sabbia di ben 110 milioni di metri cubi.
Ma se è oggi possibile progettare opere di difesa costiera più morbide,
con minore impatto sulle spiagge poste sottoflutto e in grado di preservare i
valori paesaggistici originari, si pone sempre il problema della sostituzione
delle vecchie scogliere.
Queste hanno modificato talmente la linea di riva ed i fondali antistanti
che non è possibile più una loro semplice sostituzione con le nuove opere. E’
necessario studiare nuove soluzioni per gestire questa fase di transizione e di
riconversione delle vecchie “hard structures” nelle nuove “soft protections”. E
in questo pochissime sono le esperienze a livello internazionale a cui ispirarsi,
anche perché le vecchie soluzioni all’italiana non sono state esportate in molti
paesi.
Alcune esperienze fatte recentemente, accompagnate da prove su
modelli fisici, dimostrano che in molti casi è possibile un ritorno alla spiaggia,
ossia una graduale riduzione delle scogliere senza pregiudicare la stabilità della
costa e delle infrastrutture in essa presenti. A sud di Marina di Pisa
recentemente è stata costruita una spiaggia in ghiaia davanti ad una scogliera
aderente, con lo scopo di ridurre la riflessione delle onde e favorire
l'avvicinamento della sabbia verso costa, mentre davanti all'abitato è iniziato
l'abbassamento delle scogliere parallele e la costruzione di spiagge, sempre con
materiali grossolani, che vanno a sostituire le scogliere aderenti che proteggono
la strada e le case. Qui ogni chilometro di litorale è difeso da 2,3 chilometri di
56
Legambiente - Mare monstrum 2004
scogliere, che hanno trasformato un litorale basso e sabbioso in una costa
rocciosa in cui anche il solo accesso al mare è estremamente pericoloso. Il
nuovo intervento darà a questo centro abitato una spiaggia, seppure in ghiaia,
ampia più di 20 metri e l'abbassamento delle scogliere parallele consentirà un
maggior ricambio idrico. Se il sistema evolverà verso condizioni più naturali,
sarà possibile in futuro abbassare ulteriormente le scogliere o ridurre le
dimensioni dei sedimenti che formano la spiaggia.
E’ comunque un percorso che impone fasi di sperimentazione e che
necessita di nuove normative, di ampio consenso nelle popolazioni residenti e
di tempi molto lunghi.
L’aspetto più problematico è proprio quest’ultimo: il ritorno della
spiaggia a condizioni morfologiche più naturali, se raggiungibile, richiede un
graduale adattamento delle strutture alla nuove condizioni che si vanno via via
a determinare. E’ però vero che già i primi cambiamenti hanno una notevole
visibilità, tale spesso da fare cambiare completamente faccia alle località
interessate. Si possono verificare alcune resistenze locali, poiché le scogliere,
anche se estremamente impattanti, sono a volte viste come una componente
ormai “naturale” del paesaggio.
Il consenso, e quindi la partecipazione delle popolazioni, può essere
ottenuto con una forte campagna di sensibilizzazione e con la presentazione di
quei pochi casi in cui questo processo è già stato avviato.
Questo recupero del fronte mare, in litorali pesantemente occupati da
strutture di difesa, offre nuove possibilità di ripensamento dell’interfaccia terra
- mare e di valorizzazione di tutta la fascia costiera. Oggi, in molti casi, la
transizione fra la terra e il mare avviene in una strettissima fascia occupata
dalle scogliere; la nuova configurazione consentirà un passaggio graduale, con
una maggiore vivibilità di queste aree.
La creazione di una nuova spiaggia, al posto degli attuali accumuli di
scogli, dovrà quindi essere accompagnata da un ampio progetto urbanistico di
riqualificazione di una vasta parte del territorio costiero. Solo in questo caso il
passaggio dalle difese rigide alle protezioni morbide sarà occasione di
riqualificazione ambientale.
Anche laddove le difese costruite nei decenni passati hanno determinato
la permanenza della spiaggia si cerca di ridurre la presenza delle scogliere
emerse, come si sta attualmente studiando a Marina di Massa (Toscana), dove
sono stati costruiti quattro setti sommersi sperimentali, ortogonali a riva, in un
tratto posto sottoflutto alle difese rigide e soggetto ad un'erosione di 4 metri
all'anno; i primi dati indicano che il processo erosivo è stato fermato senza
produrre alcun impatto negativo sul litorale. Ciò rende ottimisti sulla
realizzazione di un progetto che comporta la parziale demolizione delle
scogliere poste più a nord, dove su ogni chilometro di costa vi sono ben 1,7
chilometri di scogliera.
In un breve tratto del litorale di Ostia, a Procida, a Marina di Ravenna e
ad Alassio si sta cercando di bloccare l'erosione con tubi drenanti (sistema
Beach management system “Bms”), che abbassano il livello di saturazione in
57
Legambiente - Mare monstrum 2004
prossimità della linea di riva, favorendo così l'infiltrazione dell'acqua dell'onda
che risale la battigia, in modo da ridurre la quantità di acqua che torna verso il
mare e che contribuisce all'erosione della spiaggia.
Questo sistema, brevettato dall’Istituto geotermico danese ha già
riscosso notevole successo nel Nord Europa.
L'interesse per l'ambiente costiero ed il valore economico della spiaggia
spingono quindi verso la ricerca di sempre nuove soluzioni per la difesa
morbida dei litorali, ma contemporaneamente emerge la consapevolezza che
non tutte le spiagge sono difendibili, anche perché in molti casi è proprio la
loro erosione che garantisce l'afflusso di sabbia a settori limitrofi. Così come
molte delle soluzioni fin ad ora adottate per contrastare l’erosione su alcune
spiagge hanno determinato l’arretramento di arenili limitrofi.
E’ bene anche richiamare l’attenzione riguardo ai possibili effetti
sull’ecosistema per lo sfruttamento delle cave di sabbie sottomarine, come
giacimenti cui attingere per il rinascimento morbido delle spiagge litoranee.
Riguardo alle esperienze sin ora realizzate, in particolare dagli spagnoli, gli
effetti sulla popolazione ittica e quindi sulla pesca sembrerebbero non esserci.
Anzi, per effetto del rimescolamento dello strato di limo presente sui
giacimenti, si avrebbe addirittura un effetto positivo sulla produzione primaria
e quindi sulla popolazione ittica, per la liberazione di nutrienti.
E’ evidente che per avere maggiori garanzie sugli eventuali disturbi
dell’azione di dragaggio delle sabbie sottomarine, sarebbe necessario avviare
una fase conoscitiva, oltre a quella attuale di monitoraggio, da affidare ad
organismi scientifici estranei alle fasi istituzionali di intervento.
Vale la pena inoltre sottolineare che le soluzioni tecnologiche
intervengono di fatto per limitare degli effetti e che a queste è comunque
necessario affiancare politiche di gestione del territorio in grado di frenare
invece le cause che determinano l’erosione non naturale delle coste.
Il mancato apporto solido dei fiumi dovuto all’estrazione di inerti e alla
cementificazione degli alvei è sicuramente una delle principali cause
dell’erosione costiera. Analogamente la selvaggia cementificazione sulle coste
e l’assenza di sistemi di protezione ha fatto sparire le dune e le retrodune, veri
serbatoi di spiagge e naturali barriere antierosione.
Nel secolo passato sono andati perduti quattro quinti delle dune della
nostra Penisola.
Il fatto che circa l'80% delle spiagge mondiali è in erosione dimostra
che questo processo dipende anche da fattori globali, e principalmente
dall'innalzamento del livello marino, ai quali non è semplice e rapido trovare
rimedio.
Recentemente la Commissione europea ha reso noti i risultati dello
studio “Living with Coastal Erosion in Europe: Sediment and Space for
Sustainability” da cui emerge che già un quinto della superficie costiera dei
paesi dell’unione allargata è soggetto ad una riduzione della linea di costa
compreso tra 0,5 e 2 metri l’anno con casi particolarmente gravi che arrivano
sino a 15 metri.
58
Legambiente - Mare monstrum 2004
Mappa dell’erosione sulle coste italiane in base allo studio europeo
Regione
Erosione molto
Erosione alta
Erosione moderata
alta (zona rossa)
(zona arancione)
(zona gialla)
Liguria
*
Toscana
*
Lazio
*
Campania
*
Calabria
*
Sicilia
*
Sardegna
*
Basilicata
*
Puglia
*
Abruzzo
*
Molise
*
Marche
*
Emilia
*
Romagna
Veneto
*
FriuliVenezia
*
Giulia
Sulle cause e sulle risposte messe in atto dai vari paesi emerge inoltre –
a parte alcune sostanziali differenze- anche una diffusa negligenza
nell’applicazione delle procedure di valutazione dell’impatto ambientale,
richieste della legge comunitaria, delle attività umane sui processi e gli habitat
costieri. Di conseguenza, i costi per ridurre l’erosione costiera sono aumentati,
con spese a carico dei contribuenti.
Lo studio fornisce anche delle raccomandazioni per contrastare il
fenomeno a livello europeo, che consistono sostanzialmente nel rafforzare
l’elasticità costiera ristabilendo un equilibrio sedimentario; intervenire con atti
pianificatori e di investimento, ma anche attraverso l’approfondimento delle
attuale conoscenze..
Il convivere con l'erosione è la nuova sfida che ci aspetta e se saremo
costretti a difendere in ogni modo
litorali intensamente urbanizzati,
parallelamente dovremo consentire all'erosione di procedere negli ambienti più
naturali, considerando che in molti casi la delocalizzazione di piccole strutture
ha dei costi economici, e certamente ambientali, assai minori di quelli della
difesa ad oltranza. In questo quadro è poi evidente che non è pensabile
proseguire nell'edificazione delle fasce costiere, ben sapendo che sarà fra breve
necessario intervenire per difendere gli stessi insediamenti.
59
Legambiente - Mare monstrum 2004
7. Il mare inquinato
La Campania non solo si conferma anche quest’anno in testa alla
classifica del mare inquinato, ma anche con un numero di reati alla normativa
sugli scarichi decisamente in rialzo, ben 379 reati, rispetto ai 136 dello scorso
anno. Grande balzo in avanti della Sardegna che dal settimo posto passa al
secondo posto con 180 reati rispetto ai 57 dello scorso anno. Terzo posto
stabile per la Calabria che si attesta più o meno sugli stessi numeri dello scorso
anno 102 contro i 101 dello scorso anno. Da segnalare, per contro, la buona
performance della Toscana che dal secondo posto dello scorso anno con 105
infrazioni accertate, scende quest’anno all’undicesimo posto con “solo” 27
infrazioni.
1
2
3
4
5
6
7
8
9
LA CLASSIFICA DEL MARE INQUINATO NEL 2003
Regione
Infrazioni
Persone
accertate
denunciate
o arrestate
Campania ↔
379
127
Sardegna ↑
180
43
Calabria ↔
102
69
Puglia ↔
86
49
Liguria ↔
85
18
Lazio ↔
84
39
Marche ↑
79
33
Sicilia ↔
76
39
Emilia Romagna ↑
42
26
Sequestri
effettuati
9
8
25
12
2
13
4
2
5
10
11
Abruzzo ↑
Toscana ↓
36
27
4
18
2
0
12
13
14
Veneto ↔
Basilicata ↑
Friuli Venezia Giulia ↓
18
15
12
12
3
6
1
0
0
15
Molise ↔
totale
3
1.224
1
487
0
83
Fonte: elaborazione Legambiente su dati Comando Carabinieri tutela ambiente, Guardia di
finanza, Corpo forestale dello Stato e delle Regioni a Statuto speciale e Capitanerie di porto.
60
Legambiente - Mare monstrum 2004
7.1 Le caratteristiche del Mediterraneo
Il Mediterraneo è un mare per sua natura semi-chiuso, ma nonostante
ciò non ha una chimica propria.
Una caratteristica distintiva del Mediterraneo è la sua salinità – se
paragonata all’Atlantico – e la concentrazione relativamente bassa, anche nelle
acque più profonde, di alcuni costituenti chimici. Questo fenomeno è causato
dal flusso continuo attraverso lo stretto di Gibilterra, che riceve acqua di
superficie povera dall’Atlantico ed esporta acqua profonda, relativamente ricca,
dal Mediterraneo. Questa costituzione è tale da evitare l’eccessiva
eutrofizzazione del Mediterraneo.
Approssimativamente dopo 80 anni, quasi tutte le sostanze disciolte
nelle acque superficiali hanno subito un aumento di concentrazione pari al 5%
e refluiscono in Atlantico, questo è alla base della costituzione tipica di questo
bacino.
Le acque del Mediterraneo sono oligotrofiche, tranne in prossimità dei
grandi delta dei fiumi, e i sedimenti si presentano di solito con un basso
contenuto di carbonio organico a causa della scarsa produttività biologica
dell’acqua e alla presenza di alte concentrazioni di ossigeno nelle acque
profonde.
L’eutrofizzazione del Mediterraneo è quindi un fenomeno legato
pressoché all’ambiente costiero, dove la scarsità di ossigeno è correlata a
scarichi di reflui urbani, foci dei fiumi ecc.
A causa della forte stratificazione delle acque di superficie,
l’eutrofizzazione raggiunge punte più alte in estate, quando le concentrazioni di
ossigeno si riducono in modo massiccio e valori più bassi durante il
rimescolamento verticale invernale.
Le concentrazioni delle sostanze naturali ed inquinanti presenti nei
sedimenti sono assai più elevate delle concentrazioni disciolte nell’acqua
marina, sia per fenomeni di rimescolamento che per azioni di fissazione che
avvengono sul sedimento stesso per effetti chimici e metabolici.
I dati disponibili in letteratura mostrano che i livelli più alti di sostanze
inquinanti si trovano nei sedimenti estuariali e in prossimità di scarichi
industriali e che i livelli diminuiscono andando verso il mare aperto.
Comunque non sono solo le fonti antropogeniche che possono influenzare le
concentrazioni di sedimenti: infatti la composizione geochimica naturale degli
ambienti terrestri prospicienti la costa o la composizione mineralogica dei
sedimenti marini stessi possono influenzare molto i livelli di base.
Chiaramente per le sostanze provenienti da sintesi chimica quali i
pesticidi organoclorurati o il PCB ad esempio, il valore di fondo nei sedimenti
marini dovrebbe essere nullo. Tuttavia la loro attuale diffusa distribuzione e le
loro caratteristiche di persistenza nell’ambiente sono tali da generare una sorta
di “fondo antropico” inevitabilmente riscontrabile con le attuali metodologie
analitiche.
61
Legambiente - Mare monstrum 2004
7.2 Il programma di monitoraggio per il controllo marino-costiero
per il triennio 2001 - 2003
Il Programma di Monitoraggio dell'ambiente marino-costiero, svolto
dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio in collaborazione con
le 15 Regioni italiane bagnate dal mare e pianificato nel triennio 2001-2003, è
iniziato ufficialmente a giugno 2001 ed è tuttora in corso. Infatti in un recente
comunicato stampa, il Ministero ha dichiarato che è stato rifinanziato tale
programma per il periodo 2004-2005. Questo risultato si è ottenuto grazie
anche all’intervento di Legambiente e WWF, che hanno evidenziato
l’importanza del programma di monitoraggio e del rinnovo del finanziamento
in una iniziativa congiunta organizzata a ridosso della scadenza.
L’importanza
del
programma
di
monitoraggio
si
basa
fondamentalmente su alcuni aspetti che possono essere riassunti come segue.
Innanzitutto per la prima volta esiste nel nostro Paese un monitoraggio
ambientale che copre tutto il territorio nazionale costiero, caratterizzato da una
omogeneità nelle metodiche analitiche di riferimento e nella modalità di
campionamento. Inoltre l’intercalibrazione avvenuta tra i laboratori in questi
anni, la formazione permanente, il confronto costante tra gli addetti in periodici
incontri di approfondimento che hanno visto coinvolte tutte le competenze
necessarie del settore (operatori, istituti di ricerca, istituzioni, associazioni
ambientaliste, ecc.) ha portato alla nascita di una vera e propria comunità di
operatori ed esperti unitaria e articolata.
Infine l’affidamento delle attività analitiche alle Arpa, che già sono
impegnate in attività di controllo sul territorio, ha offerto l’opportunità di avere
una maggiore sorveglianza e conoscenza delle situazioni territoriali e la
presenza di un unico centro di coordinamento individuato nel ministero, ha
garantito l’omogeneità di un monitoraggio su scala nazionale e svolge il ruolo
di verifica delle attività di controllo e sorveglianza sul mare.
L’emanazione di normative europee e nazionali riguardo alla
conoscenza dell’ambiente marino-costiero, ha portato ad impostare il
monitoraggio in corso, con criteri più complessi e a definire aree e metodiche
di campionamento e modalità di analisi uniformi e più consone ai livelli di
conoscenza richiesti.
L’attività prevede l'organizzazione di una rete di osservazione della
qualità dell'ambiente marino, consentendo di definire lo stato di qualità del
mare da un punto di vista "ambientale-ecologico" nelle zone maggiormente
sottoposte agli apporti inquinanti da terra e da mare nonché di approfondire ed
organizzare le conoscenze su questi delicati ecosistemi. Questa avviene
attraverso campionamenti in aree sottoposte a particolari pressioni antropiche,
le cosiddette aree critiche, e aree scarsamente sottoposte a questo tipo di
impatto che assumono quindi la funzione di controllo o aree di bianco.
Le indagini sono state focalizzate su 81 aree inquinate significative localizzate
lungo le coste italiane: 63 di queste sono state scelte come aree critiche, e le
altre 18 come aree di controllo.
62
Legambiente - Mare monstrum 2004
All’interno di ogni area d’indagine vengono effettuati transetti disposti
perpendicolarmente lungo la linea di costa, su cui sono posizionate le stazioni
di prelievo che per le acque sono fissate in tre punti: alto, medio e basso
fondale a seconda della batimetrica rispetto alla linea di costa e su cui vengono
condotte analisi con cadenza quindicinale per la ricerca di 13 parametri fisicochimici. Per i sedimenti le stazioni di campionamento sono individuate in
corrispondenza della fascia di sedimentazione della frazione pelitica e variano
quindi in funzione della geomorfologia della costa. Le analisi sui sedimenti,
che riguardano tra gli altri parametri le sostanze persistenti e gli idrocarburi,
vengono ripetute due volte l’anno, analogamente alle misure di bioaccumulo su
un bivalve, il mitilo. Una volta l’anno inoltre verranno effettuate anche
indagini - ove presenti - sulle praterie di Posidonia oceanica.
7.3 Qualità delle acque marino costiere
Le acque costiere rappresentano l’interfaccia principale tra i fattori di
pressione localizzati sulla costa, o nell’immediato entroterra, e i grandi spazi
oceanici, verso i quali prima i fiumi e poi le correnti marine ne veicolano e
diffondono gli effetti. Inoltre, proprio in questa ristretta fascia di mare si
sviluppano i più complessi ecosistemi marini (praterie di Posidonia,
coralligeno, ecc.), vi hanno luogo fondamentali fasi dei processi che regolano
la vita negli oceani (zone di riproduzione, risalita di acque profonde, ecc.) e, in
definitiva, si ha il maggior livello di biodiversità e di ricchezza ambientale:
tutto ciò rende queste acque particolarmente importanti e sensibili ai
cambiamenti.
7.4 Indice Trix
Un'altra elaborazione dei dati del Programma sulla qualità delle acque
marine è contenuta nell’Annuario dei dati ambientali 2003 dell’Apat.
L’Agenzia utilizza i dati Si.Di.Mar. del ministero dell’Ambiente e della tutela
del territorio e li elabora nell’indicatore Trix (è un indice di trofia sulla quantità
di biomassa fitoplanctonica e nutrienti), sottolineando come non sia stato
possibile utilizzare altri indici, come quello della balneabilità delle coste o di
qualità batteriologica (Iqb), alla luce dei gravi ritardi nella pubblicazione dello
scorso anno del “Rapporto sulla Balneazione” da parte del ministero della
Salute.
«Il valore dell’indice Trix - stando a quanto scrive l’Apat - per tutta
l’estensione delle coste dimostra che nel 93% delle stazioni di monitoraggio si
raggiunge l’obiettivo ambientale previsto dalla normativa, corrispondente a
uno stato trofico elevato (74% delle stazioni) o buono (19% delle stazioni).
Solo un 5% delle stazioni è in uno stato mediocre e il 2%, localizzato nel
litorale adriatico dell’Emilia Romagna, in uno stato scadente. La stazione di
Porto Garibaldi, in corrispondenza del comune di Goro, presenta le condizioni
peggiori. La situazione critica localizzata sulle coste emiliano romagnole
63
Legambiente - Mare monstrum 2004
dipende essenzialmente dal carico veicolato in mare dal Po, al confine tra
Veneto ed Emilia Romagna, che raccoglie gli scarichi di 16 milioni di abitanti,
determinando un fattore di pressione tale da influenzare le acque adriatiche sia
dal punto di vista produttivo, sia idrologico (densità). La circolazione del
bacino tende a trasportare gli apporti padani lungo le coste romagnole in
direzione Sud, con diluizione e mescolamento limitati. Lungo il litorale
tirrenico, la maggior parte dei punti monitorati sono in stato trofico elevato. I
siti critici, con uno stato trofico mediocre, si trovano in corrispondenza delle
foci di alcuni fiumi quali il Fiume Morto nella provincia di Pisa, il Marta nella
provincia di Viterbo e il Sarno nella provincia di Napoli. Tutti i siti del bacino
ionico e delle coste della Sardegna presentano condizioni di scarsa trofia e,
quindi, elevato stato ambientale».
Nella figura sottostante viene
indicato l’indice di stato trofico
(TRIX), classi di qualità sulle
medie annuali 2001-2002 nelle
acque costiere comprese entro i
500 m da riva (fonte: dati
Si.Di.Mar.
(Ministero
dell’Ambiente e della tutela del
Territorio).
7.5 Indice CAM
I risultati sulla qualità delle acque, ottenuti dal programma di
monitoraggio marino-costiero attualmente in atto, vengono invece riassunti
attraverso un sistema di valutazione, l’indice CAM (Classificazione delle
Acque Marine), che in pratica rappresenta una sintesi di tutti i parametri
analizzati attraverso un giudizio che si esprime in alta, media e bassa qualità.
La finalità dell'indice CAM è quella di fornire un giudizio sulla qualità
delle acque intesa anche come rischio igienico-sanitario basata su dati
oceanografici di base. In particolare le variabili utilizzate sono: nitrati (NO3);
64
Legambiente - Mare monstrum 2004
nitriti (NO2); ammoniaca (NH4); fosfati (PO4); silicati (SiO4); salinità;
trasparenza; clorofilla a.
Nella tabella che segue vengono riportati i risultati relativi alle stazioni
sottocosta, campionate con cadenza quindicinale durante il periodo giugno
2001 – dicembre 2003.
2001
qualità (%)
n.
staz.
n.
alta
camp.
98
ABRUZZO
4
56
13
BASILICATA
3
39,0
CAMPANIA
7
98,0 41,0
37
CALABRIA
7
98,0
27
EMILIA ROMAGNA 4
56,0
77
FRIULI
4
56,0
2
LAZIO
6
60,0
63
LIGURIA
5
70,0
MARCHE
5
69,0 59,5
17
PUGLIA
7
93,0
SARDEGNA
8
112,0 79,5
TOSCANA
6
84,0 54,6
73
VENETO
5
70,0
MOLISE
2
28,0 3,6
*
SICILIA
9
*
* : non sono stati eseguiti campionamenti
REGIONI
alta qualità:
media qualità:
bassa qualità:
2002
qualità (%)
n.
alta media bassa
camp.
79
21
0
96
26.4
68
5.6
72
45
12
43
168
15.4
84
0.6
168
34
59
17
96
79
20
1
96
0,8 43,7 55,5
135
37
33
30
120
43
52
5
120
20
49
31
168
74
21
5
192
55
23
22
144
66
32
2
110
0
77
23
44
*
*
*
*
media bassa
2
79
17
63
64
21
55
26
33,3
52
17
27,4
27
82,1
*
0
8
42
0
9
2
43
11
7,2
31
3,5
19
0
14,3
*
2003
qualità (%)
n.
camp.
96
69
168
119
96
96
115
119
120
168
192
144
99
38
112
alta media bassa
82
13
40
39,5
44
86
0,9
42
77,3
16,7
66,1
37,5
80,8
55
47,32
acque incontaminate
acque con diverso grado di eutrofizzazione, ma ecologicamente integre
acque eutrofizzate con evidenza di alterazioni ambientali anche di origine antropica
Fonte: elaborazioni Legambiente su dati del
Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio
L’elaborazione dei giudizi ottenuti sulle
singole stazioni di
campionamento, rapportate al numero di stazioni, mette in evidenza una
situazione non drammatica per quanto riguarda la qualità delle acque dei nostri
mari, da un punto di vista ecologico, ma neanche una situazione di eccellenza.
Un quadro tutt’altro che rassicurante emerge dai dati del Lazio. Infatti
la percentuale di campioni che testimoniano un’elevata qualità raggiunge il
valore massimo del 2% nel 2001, mentre rimane al di sotto dell’1% negli altri
due anni di monitoraggio. Più del 50% dei valori risultanti dalle analisi
ricadono invece, almeno per il 2002 e 2003, nella fascia della bassa qualità.
Una situazione analoga ma per certi versi migliore viene presentata dai
dati derivanti dalla Campania; in questo caso l’alta percentuale di campioni
65
18
0
61
26
21
39
60,5
0
37
19
13
1
44,3 54,8
41
17
24,2 2,5
61,3
22
26
7,8
30,55 31,94
19,2
0
37
8
51,78 0,89
Legambiente - Mare monstrum 2004
rappresentativi di una bassa qualità coincide all’incirca con quella relativa ad
una qualità elevata. Questo perché la prima percentuale si è ottenuta
prevalentemente dalle analisi eseguite alle foci del Sarno e del Volturno e in
corrispondenza della città di Napoli; mentre i valori che rientrano nella fascia
di qualità elevata derivano soprattutto dalla zona del Parco Nazionale del
Cilento (P. Licosa e P. Tresino).
Altre regioni presentano prevalentemente una qualità media delle acque
marine sottocosta, con percentuali di valori molto basse che ricadono nella
fascia di bassa qualità. Ad esempio la Calabria, l’Emilia Romagna, la Puglia e
la Basilicata (nel 2001 e nel 2002). Anche la Sicilia manifesta un andamento
di questo tipo, mai dati sono parziali perché ha iniziato il monitoraggio solo nel
2003
La Liguria presenta invece una situazione positiva durante il primo
anno di monitoraggio con il 63% di valori nel campo dell’elevata qualità,
mentre nel 2002 si riscontra praticamente la stessa percentuale per tutte e tre le
fasce di qualità e nel 2003 la percentuale relativa alla bassa qualità è
nettamente inferiore rispetto a quelle relative alla media ed alta qualità.
Le Regioni che eccellono per la qualità delle acque, facendo un bilancio
per tutti e tre gli anni di monitoraggio, sono l’Abruzzo, in cui non si sono mai
riscontrati valori che ricadono nella fascia della bassa qualità (0% in tutti e tre
gli anni), il Friuli Venezia Giulia, il Veneto, la Sardegna, le Marche (nel 2001 e
nel 2003) e la Toscana (nel 2001 e nel 2002).
7.6 Qualità dei sedimenti
7.6.1 I parametri indagati
L’elaborazione fatta sui dati forniti dal ministero dell’Ambiente e della
tutela del territorio si è concentrata su 12 inquinanti, più precisamente su:
- 6 metalli (arsenico, cadmio, cromo totale, mercurio, nichel e piombo);
- 2 idrocarburi (gli Ipa, idrocarburi policiclici aromatici, totali e il
benzoapirene);
- 2 pesticidi (Aldrin e Ddt);
- i Pcb (i famigerati policlorobifenili);
- il tributilstagno (Tbt).
I dati sono riferiti al monitoraggio fatto nel 2001 (secondo semestre),
2002 (primo e secondo semestre) e 2003 (primo e secondo semestre). Le
concentrazioni trovate nei sedimenti marini con il Programma sono state
confrontate con quelle limite previste dal decreto approvato alla fine dello
scorso anno (tabella 2 dell’allegato A del Decreto ministeriale 6 novembre
2003, n. 367 - Regolamento concernente la fissazione di standard di qualità
nell’ambiente acquatico per le sostanze pericolose, ai sensi dell'articolo 3,
comma 4, del decreto legislativo 11 maggio 1999, n. 152) e riportate in tabella.
66
Legambiente - Mare monstrum 2004
Sostanza
Valore Limite (D. 367 del 6/11/2003)
DDT
0,5 microgrammi / Kg s.s.
ALDRIN
0,2 microgrammi / Kg s.s.
BENZO (a) PIRENE 0,03 mg / kg s.s.
IPA totali
0,2 mg / Kg s.s.
PCB
4 microgrammi / Kg s.s.
TBT
5 microgrammi / Kg s.s.
ARSENICO
12.000 microgrammi / Kg s.s.
CADMIO
300 microgrammi / Kg s.s.
CROMO TOTALE
50.000 microgrammi / Kg s.s.
MERCURIO
300 microgrammi / Kg s.s.
NICHEL
30.000 microgrammi / kg s.s.
PIOMBO
30.000 microgrammi / Kg s.s.
Fonte: Gazzetta Ufficiale (Anno 145° - Numero 5 dell’ 8 Gennaio 2004)
7.7 Le fonti potenziali e la pericolosità degli inquinanti
Ma sono così pericolosi gli inquinanti indagati in questo dossier? E
dove vengono utilizzati prima di finire nell’ambiente e quindi in mare?
La maggior parte di questi sono materie prime e/o prodotti
dell’industria. Tra i più pericolosi figurano sicuramente i metalli a maggior
densità (almeno 7,5 g/cm3, che per questo motivo sono definiti pesanti): il
cadmio, il mercurio, il nichel e il piombo. Sono invece metalli non pesanti, ma
ugualmente tossici, il cromo (soprattutto nella forma esavalente, il Cr (VI)), e
l’arsenico.
Il cadmio è ampiamente utilizzato per la produzione di leghe a basso
punto di fusione utilizzate per le saldature, la ricopertura di superfici poco
resistenti alla corrosione e nel passato per la costruzione di accumulatori (quelli
appunto al nichel-cadmio).
Il mercurio è, da parte sua, un metallo molto “familiare” nella vita
quotidiana di ognuno di noi (tutti ne “custodiscono” una piccola quantità in
casa nei comuni termometri) ed è l’unico che è allo stato liquido a temperatura
ambiente. Il mercurio viene utilizzato nell’industria principalmente come
catodo delle celle ad amalgama degli impianti di elettrolisi del cloruro di soda
(tecnica comunemente utilizzata in molti petrolchimici nei cosiddetti impianti
cloro-soda; quello di Priolo dell’ex Enichem agli inizi del 2003 è stato al centro
dell’inchiesta “Mar rosso” della procura di Siracusa, che ha portato all’arresto
di 17 tra dirigenti e dipendenti dello stabilimento per aver smaltito in mare,
secondo l’accusa, i reflui al mercurio del processo industriale), ma viene usato
anche per produrre manometri, lampade, apparati elettrici, etc.
Al pari del mercurio, anche il nichel è molto impiegato nell’industria,
soprattutto per fare numerose leghe con altri metalli (per produrre circuiti
magnetici, acciai speciali, resistori riscaldanti per forni elettrici e stufe, etc.),
per fungere da catalizzatore in diversi processi organici di idrogenazione, per
67
Legambiente - Mare monstrum 2004
l’applicazione di rivestimenti inossidabili (la “nichelatura”) e per la produzione
di elettrodi e accumulatori. Il nichel è largamente utilizzato anche per la
colorazione in nero di filati nell’industria tessile e manifatturiera.
Per la fabbricazione di accumulatori viene utilizzato anche il piombo.
Circa il 50% di questo metallo viene impiegato nell’industria per produrre gli
accumulatori acidi, ma viene usato anche per le guaine dei cavi elettrici, come
materiale schermante per le radiazioni, nell’industria bellica, e fino a qualche
anno fa come additivo antidetonante nelle benzine per autotrazione. Sono
ampiamente noti gli effetti dannosi di questo metallo pesante sui sistemi
ematopoietico, nervoso e renale.
Passando invece ai metalli non pesanti, il cromo viene diffusamente
utilizzato per la produzione di acciai speciali come quelli inossidabili, per la
concia delle pelli, per il trattamento galvanico anti-corrosione delle superfici, la
cosiddetta “cromatura”, e come catalizzatore in molti processi chimici.
L’arsenico invece non ha impieghi massicci e viene utilizzato come indurente
in leghe di piombo e stagno, nel drogaggio dei semiconduttori, come insetticida
e pesticida in agricoltura.
Tra tutti gli idrocarburi, e cioè quei composti organici costituiti da
atomi di carbonio e idrogeno, i policiclici aromatici (detti Ipa) si distinguono
perché contengono diversi anelli benzenici. A partire dal benzoapirene, sono
tutti composti cancerogeni, che si producono dal traffico automobilistico e
durante l’attività di estrazione e raffinazione del petrolio.
I pesticidi sono composti organoclorurati utilizzati massicciamente in
agricoltura. I Pcb, da parte loro, sono idrocarburi aromatici clorurati usati
diffusamente nel passato nell’industria elettrotecnica (e ancora oggi presenti in
molti trasformatori elettrici e condensatori), proprio per la loro capacità
isolante al fuoco e al calore, l’inerzia chimica e la ridotta variabilità delle
caratteristiche nel tempo, ma sono stati utilizzati anche come plastificanti e
solventi. Il tributilstagno, infine, è un composto organico a base di stagno,
utilizzato come biocida in agricoltura ma anche come antiincrostante nelle
vernici nautiche, ed è anche per questo che lo si ritrova nell’ambiente marino.
Praticamente tutti questi composti, e in particolar modo il cadmio, il
mercurio, il Ddt e i Pcb, sono tossici, bioaccumulabili e fortemente persistenti
nell’ambiente, alla luce della loro scarsissima biodegradabilità. Sono una
minaccia reale per l’equilibrio dell’ecosistema marino, per la flora e la fauna, e
ovviamente per l’uomo.
Sono, come vedremo, inquinanti molto presenti nei sedimenti marini
costieri, dove si ritrova la gran parte delle sostanze immesse nell’ambiente,
facendo diventare l’ecosistema marino una sorgente continua di questi
contaminanti. In mare arrivano in genere perché trasportati dai fiumi, dove
scaricano (in alcuni casi anche illegalmente) gli stabilimenti produttivi,
industriali o artigianali, o, come nel caso dei pesticidi utilizzati in agricoltura,
per dilavamento superficiale dei terreni coltivati o da coltivare. In alcuni casi
gli scarichi industriali sono effettuati direttamente in mare, vista la
localizzazione abbastanza ricorrente di impianti a ridosso della costa (l’acqua
68
Legambiente - Mare monstrum 2004
marina desalinizzata è spesso utilizzata nei cicli industriali). Una volta arrivati
in mare gli inquinanti cominciano a circolare nell’ambiente marino fino a che
non sedimentano sul fondo o attecchiscono ad alghe, microrganismi o piccoli
invertebrati. E da qui cominciano il loro “viaggio” che li porterà più o meno
direttamente alla specie vivente che li ha prodotti, l’uomo.
Questi veleni infatti sono destinati ad entrare nella catena alimentare e
si concentrano negli organismi marini ai vari livelli trofici, provocando effetti
dannosi sia da un punto di vista riproduttivo, sia a livello del sistema endocrino
e immunitario. Gli effetti più gravi si manifestano negli organismi che si
trovano ai livelli più elevati della catena trofica e quindi nell’uomo, attraverso
l’alimentazione con prodotti provenienti dall’ambiente marino. Gli effetti sulla
salute sono ancora più gravi se si considera che molti di questi inquinanti
arrivano nel corpo umano anche per altre vie (si pensi alle tracce di pesticidi
che restano su ortaggi e frutta destinati all’alimentazione umana o agli
idrocarburi che respiriamo in un centro cittadino o nei pressi di una raffineria
di petrolio).
7.8 I risultati del monitoraggio, regione per regione
Il quadro che emerge da un’attenta analisi dei risultati del monitoraggio
è che è diffusa generalmente lungo tutta la costa una scarsa qualità
dell’ambiente marino: il mare risulta con assoluta evidenza essere il deposito
finale della maggior parte dei contaminanti prodotti ed utilizzati in ambiente
terrestre.
L’altro dato particolarmente significativo e preoccupante è la presenza
di alte concentrazioni di sostanze inquinanti in alcune delle aree cosiddette di
bianco, ovvero quelle che dovrebbero essere scarsamente sottoposte a impatto
antropico e industriale e che per tale motivo assumono la funzione di controllo.
Il fatto di trovare elevatissime concentrazioni di cromo nei sedimenti
prelevati in alcune stazioni dell’area ligure, dove per decenni la Stoppani di
Cogoleto ha sversato i reflui industriali non ci stupisce, ma il fatto che alte
concentrazioni di altri inquinanti si ritrovino in alcune aree di bianco è un dato
che deve assolutamente far riflettere. E indurre a prendere provvedimenti
concreti.
Ma veniamo al dettaglio della situazione delle regioni costiere italiane,
iniziando dall’Abruzzo.
ABRUZZO
Sono quattro le stazioni: la foce del fiume Pescara, Ortona (Ch), Vasto
(Ch) - che rappresenta l’area di bianco - e Giulianova (Te).
Sui sedimenti prelevati alla stazione nei pressi di Giulianova sono state
trovate concentrazioni elevate di Ipa (4 sforamenti su 4, il picco di 3,2 mg/Kg è
sedici volte superiore al limite di legge) e Pcb (2 su 4, in entrambi i casi circa 8
volte superiore al limite).
69
Legambiente - Mare monstrum 2004
Alla foce del fiume Pescara sono stati rilevati sforamenti relativamente
agli Ipa (in tutti e quattro i campioni con un picco di 1,08 mg/Kg, oltre cinque
volte il limite di legge) e ai Pcb (2 campioni su 4, con una concentrazione
massima di quasi 30 microgrammi/Kg, sette volte superiore al limite previsto
dal decreto).
Nell’area antistante ad Ortona sono state rilevate concentrazioni elevate
di Ipa (4 campioni su 4, con un picco di 1,43 mg/kg oltre sette volte superiore
al limite di 0,2) e Pcb (2 su 4, in un caso il limite di legge è stato superato di
oltre dieci volte).
Nella stazione di Vasto, nonostante sia il bianco della regione, sono
stati rilevati 3 superamenti dei limiti su 4 prove relativamente agli Ipa totali (il
picco massimo, con +150% rispetto al limite di legge, è stato registrato nel
secondo semestre 2002) e 2 superamenti (su 4) sui Pcb.
BASILICATA
Le stazioni campionate sono tre: Nova Siri alla foce del fiume Sinni nel
comune di Policoro (Mt) - che è il bianco -, Metaponto alla foce del fiume
Basento nel comune di Pisticci (Mt) sulla costa ionica e la fiumara di
Castrocucco nei pressi di Maratea (Pz) sulla costa tirrenica.
La stazione di Nova Siri, nonostante sia il bianco regionale, supera i
limiti sul tributilstagno (5 campioni su 5, con valori più o meno doppi rispetto
al massimo consentito), Cromo (4 su 5, con un massimo superiore 28 volte il
limite di legge) e Nichel (4 su 5, con un picco fino a cinque volte il massimo
consentito).
Per quanto concerne invece la fiumara di Castrocucco sono stati
superati i limiti di legge sul tributilstagno (5 volte su 5, con valori sempre
doppi al limite) e sull’arsenico (3 su 5).
Anche a Metaponto si registra lo sforamento del limite sul tributilstagno
in 5 campioni su 5, con un picco massimo di oltre 20 microgrammi/Kg rispetto
ai 5 previsti dal decreto ministeriale.
CALABRIA
La Calabria ha iniziato il monitoraggio nel 2002 e ha fissato le stazioni
a Crotone, Caulonia (Rc), nella frazione di Pellaro del comune di Reggio
Calabria, alla foce del fiume Mesima presso Nicotera (Vv), Vibo marina (Vv),
e le due aree di bianco presso Paola (Cs) sul Tirreno e l’area protetta marina di
Capo Rizzuto (Kr) sullo Ionio.
La stazione di Crotone sfora i limiti di legge sull’arsenico (3 volte su 3,
con un massimo tre volte superiore al limite consentito dalla legge) e sugli Ipa
(1 su 2, con un valore 15 volte più alto del limite di legge).
A Vibo marina sono state rilevate alte concentrazioni di Ipa (1
superamento su 2 misure e il valore misurato è 32 volte superiore al limite di
legge) e arsenico (1 su 3), mentre a Pellaro i superamenti sono stati rilevati
sugli Ipa (1 su 2) e sul piombo (1 su 3). A Mesima invece sfora solo l’arsenico
(1 su 3).
70
Legambiente - Mare monstrum 2004
La stazione di Paola, area di bianco per la costa tirrenica, supera i limiti
per quanto concerne l’arsenico, il cromo, il nichel e i Pcb (per tutti e quattro i
casi 1 superamento su 3 campioni), mentre quella ionica di Capo Rizzuto sfora
addirittura 3 volte su 3 i limiti sull’arsenico.
CAMPANIA
La Campania ha fissato stazioni di campionamento a Napoli, Portici
(Na), alla foce del Sarno nel comune di Castellamare di Stabia (Na), a quella
del Volturno nel comune di Castel Volturno (Ce) e del Picentino nel comune
di Pontecagnano (Sa), a Punta Tresino nel comune di Castellabate (Sa), e
proprio nello stesso territorio comunale ha fissato l’area di bianco a Punta
Licosa.
Nelle stazioni della regione Campania si trova di tutto, dall’arsenico al
cadmio, dal cromo al mercurio, dal nichel al piombo. E non mancano Ipa,
benzoapirene e Pcb.
Come purtroppo era prevedibile la stazione della foce del Sarno risulta
la più critica: 4 superamenti dei limiti di legge del cromo totale su un totale di 5
campioni (con una punta di quasi 124mila microgrammi/Kg contro un limite di
50mila), mentre 3 sforamenti su 5 sono relativi al cadmio, piombo (con
concentrazioni quasi tre volte superiori ai limiti) e 2 su 5 relativi al Pcb (con un
picco di 32 microgrammi/Kg rispetto al limite previsto di 4).
Preoccupante la contaminazione di arsenico (5 superamenti su 5 prove)
con valori anche doppi rispetto ai limiti di legge, a Punta Tresino e a Punta
Licosa, che lo ricordiamo è l’area di bianco regionale. Elevate infine le quantità
di piombo, Ipa e mercurio nella stazione di Napoli con 3 superamenti su 5
campioni.
EMILIA ROMAGNA
Sono quattro le stazioni di riferimento in Emilia Romagna: Porto
Garibaldi nel comune di Comacchio (Fe), Lido Adriano a Ravenna, Cesenatico
(Fo) e Cattolica (Rn) che rappresenta l’area di bianco.
I contaminanti trovati in concentrazioni al di sopra dei limiti di legge
nei sedimenti sono nichel, cromo, Ddt, Ipa e Pcb. Il nichel in particolare lo si
ritrova in tutte e quattro le stazioni: a Porto Garibaldi e addirittura a Cattolica,
area di bianco, gli sforamenti riguardano tutti e cinque i campionamenti fatti
durante il triennio del programma, con punte che superano anche del doppio il
limite di legge. Oltre al nichel, a sorpresa nell’area di bianco regionale sono
stati trovati anche Ddt (2 superamenti su 5) e Pcb (1 su 5).Il cromo invece
supera i limiti di legge 3 volte su 5 a Porto Garibaldi e 1 su 5 a Lido Adriano.
In quest’ultima stazione si rileva anche una certa contaminazione da Ddt (2
sforamenti su 5) e da Ipa (1 su 5).
FRIULI VENEZIA GIULIA
Sono quattro le stazioni del Friuli Venezia Giulia: Porto Nogaro a San
Giorgio di Nogaro (Ud), Baia di Panzano nei pressi di Duino (Ts), Punta
71
Legambiente - Mare monstrum 2004
Sottile nelle vicinanze di Muggia (Ts), e l’area marina protetta di Miramare,
che rappresenta l’area di bianco. In questa regione sembra esserci una
emergenza metalli pesanti: sono infatti elevatissime le concentrazioni di cromo,
mercurio, nichel e piombo in tutte e quattro le stazioni friulane (con 4 o 5
sforamenti su 5 campioni in totale).
Punta Sottile, oltre che da questi metalli pesanti, è minacciata anche
dagli Ipa, dal benzoapirene, dal Pcb e dall’Aldrin (di questo pesticida qui è
stata misurata la più alta concentrazione di tutto il programma triennale di
monitoraggio). Molto simile è la situazione di Baia di Panzano, mentre a Porto
Nogaro è stata misurata la maggior concentrazione di mercurio con 10 mg/Kg
(il limite di legge è 0,3).
Anche l’area di bianco di Miramare non è risparmiata dagli inquinanti:
il cromo in un caso supera di 3 volte il limite di legge, il mercurio di 10 e il
nichel addirittura di 15. E ancora il piombo e gli Ipa superano i limiti 5 volte
sui 5 prelievi fatti nel triennio, mentre il benzoapirene in 3 campioni su 5.
LAZIO
Le stazioni del Lazio sono sei: la foce del fiume Marta (Vt), Ladispoli,
(Rm), la fiumara Piccola a Fiumicino (Rm), la foce del Rio Martino (Lt), la
località Monte Argento (Lt) e l’area di bianco di Isola di Zannone nel Parco
nazionale del Circeo (Lt).
Si riscontra un diffuso inquinamento di arsenico, Ddt, piombo e
tributilstagno in diverse stazioni. Una di quelle più colpite sembra essere quella
di Ladispoli (Rm) che fa l’en plein (3 sforamenti su 3 campioni) su arsenico,
Ddt (con concentrazione fino a 7 volte superiore al limite massimo consentito
dalla legge) e piombo. Sempre in questa località vanno segnalati i superamenti
ai limiti consentiti per Ipa totali, benzoapirene, cadmio, mercurio, nichel e
tributilstagno.
Anche la foce del fiume Marta (Vt) non è messa poi così bene: 3
sforamenti su tre campioni totali sul Ddt e piombo, ma non mancano anche
superamenti per tributilstagno, arsenico, cromo e nichel. Un quadro poco
rassicurante che riguarda anche le stazioni di Monte Argento, Rio Martino
(entrambe in provincia di Latina), Fiumicino (Rm) e in misura minore anche il
“bianco” regionale dell’Isola di Zannone.
LIGURIA
Il porto di Imperia, Vado Ligure (Sv), la foce del torrente Lerone nel
comune di Cogoleto (Ge), quella del Magra presso Marinella di Sarzana (Sp) e
Punta Mesco (“bianco” localizzato nell’Area marina protetta delle Cinque
Terre) sono le stazioni di campionamento liguri.
Qui il quadro è veramente imbarazzante: i sedimenti marini di quasi
tutte le stazioni risultano fortemente contaminati da cromo, nichel, piombo e
arsenico. E non mancano mercurio, Pcb, cadmio, benzoapirene, Ddt e Ipa.
A farla da “padrona” è la stazione del torrente Lerone, dove per molti
anni ha scaricato molti veleni la Stoppani di Cogoleto. Che ritroviamo
72
Legambiente - Mare monstrum 2004
puntualmente nei sedimenti analizzati: cromo totale ovviamente (la
concentrazione massima trovata è stata di oltre 7200 mg/Kg, pari a 145 volte il
limite di legge), nichel (oltre 895 mg/Kg, e cioè quasi 30 volte il limite di
legge) piombo, arsenico e Pcb (fino a 10 volte in più del massimo consentito
dal decreto ministeriale), ma anche mercurio, cadmio, Ipa, benzoapirene e Ddt.
Non sono da meno però anche Vado Ligure e Imperia, dove si
segnalano sforamenti ai limiti praticamente su tutti gli inquinanti. A Vado
Ligure le concentrazioni di mercurio nei sedimenti superano per 5 volte su 5 i
limiti (fino a 4 volte la concentrazione massima consentita), mentre a Imperia
l’arsenico arriva a livelli fino a 5 volte il limite di legge.
Da sottolineare come anche in Liguria il campione preso come bianco,
cioè Punta Mesco, presenti elevate concentrazioni di cromo, nichel e piombo, e
in misura minore di arsenico e cadmio.
MARCHE
Le stazioni scelte nelle Marche sono quasi tutte foci di fiumi: il Foglia a
Pesaro, l’Esino vicino a Falconara (An), il Chienti vicino Civitanova Marche
(Mc), il Tronto a sud di San Benedetto (Ap) e l’area di bianco è rappresentata
dal Monte Conero (An).
Il Ddt contamina una buona parte dei sedimenti delle cinque stazioni
marchigiane (per 2 volte anche nell’area di bianco del Conero), mentre si
rilevano alcuni sforamenti ai limiti previsti per l’arsenico (in 4 stazioni) e il
nichel (in 2).
MOLISE
Anche il Molise ha scelto come stazioni due foci di fiumi: il Trigno al
confine con l’Abruzzo e il Biferno a sud di Termoli (Cb). In questa regione
non ci sono aree di bianco.
Gli Ipa sono per 2 volte su 2 superiori ai limiti di legge in entrambe le
stazioni, mentre per il Tbt si rilevano sforamenti in 3 casi su 5. Altri
superamenti ai limiti si hanno per il Nichel (al Biferno) e per il benzoapirene
(alla foce del Trigno).
PUGLIA
In Puglia sono due le aree di bianco: le aree marine protette presso le
isole Tremiti (Fg) e a Porto Cesareo (Le), mentre sono considerate aree critiche
Manfredonia (Fg), Barletta (Ba), Bari, Brindisi e la località Chiatona a
Palagiano (Ta). Ricordiamo che Manfredonia, Brindisi e Taranto ospitano tre
delle principali aree industriali italiane.
Il nichel supera i limiti di legge in tutte le stazioni (comprese le due di
bianco) per almeno 1 campione su 5, con Manfredonia che sfora per ben 3
volte. Superano i limiti anche il cadmio e il piombo a Brindisi e a Manfredonia.
73
Legambiente - Mare monstrum 2004
SARDEGNA
Anche in Sardegna sono due aree marine protette le aree di bianco:
l’Isola dell’Asinara (Ss) e capo Carbonara (Ca). Le altre stazioni sono a
Alghero (Ss), alla foce del Tirso presso Oristano, nell’area tra S. Antioco e
Portoscuso (Ca), Cagliari, Arbatax (Nu) e Olbia (Ss). Vale la pena ricordare
che nel fiume Tirso scarica l’area industriale “montana” di Ottana (è
praticamente al centro della Sardegna), mentre gli altri poli industriali sono
nelle vicinanze dell’Isola dell’Asinara (petrolchimico di Porto Torres), nel
golfo di Cagliari (raffineria e petrolchimico di Sarroch) e a Portoscuso (polo
metallurgico).
Nei sedimenti delle stazioni sarde si trova di tutto: cadmio, Pcb,
arsenico, piombo, cromo, Ipa, Ddt e Tbt. La stazione che sfora su tutti gli
inquinanti è quella della foce del Tirso, ma anche quella di S.AntiocoPortoscuso non è messa poi così bene (qui superano i limiti cadmio, piombo,
Pcb, Ipa e arsenico).
SICILIA
Le stazioni siciliane sono localizzate nei golfi di Palermo, Milazzo
(Me), Augusta (Sr), Gela (Rg), Castellamare (Tp), alla foce del fiume Irminio
nei pressi di Marina di Ragusa (Rg), mentre le aree di bianco sono l’Isola
Maraone e l’area marina protetta di Ciclopi. Alcune delle stazioni sono
localizzate nei pressi di aree industriali come quella di Augusta (nel triangolo
industriale di Priolo-Augusta-Melilli), Gela (raffineria e petrolchimico) e
Milazzo (raffinerie). In questa regione sono disponibili solo i dati del secondo
semestre 2003.
I risultati delle analisi mostrano come ci sia lo sforamento dei limiti sul
mercurio nella stazione di Augusta (e questo non stupisce alla luce dei risultati
dell’inchiesta della magistratura del 2003 sul petrolchimico di Priolo dell’ex
Enichem - vedi paragrafo 2.2.2), di cadmio in tutte le stazioni e di arsenico in 4
di queste.
TOSCANA
Sono sette i punti di campionamento toscani: la foce del fiume Morto
(Pi), Antignano (Li), Marina di Castagneto (Li), Carbonifera (Li), la foce del
fiume Ombrone (Gr) e l’area di bianco a Portoferraio nell’isola d’Elba.
Preoccupanti i dati su alcuni metalli pesanti: sforamenti in tutto il
triennio e in tutte le stazioni (anche quella di bianco) per quanto riguarda
cromo e nichel (in entrambi i casi il picco è stato registrato a Marina di
Castagneto con valori pari rispettivamente a 153 mg/Kg, oltre 3 volte superiore
al limite di legge, e 112 mg/Kg, quasi 4 volte il massimo consentito dal
decreto). Molto simile la situazione sul mercurio, e non mancano i superamenti
dei limiti di arsenico, piombo, tributilstagno e Ipa.
74
Legambiente - Mare monstrum 2004
VENETO
Il Veneto monitora quattro stazioni: Caorle (Ve), la foce del Piave a
Jesolo (Ve), il Porto di Lido nord di Cavallino (Ve), Porto Caleri ad Albarella
(Ro). A Pellestrina vicino Chioggia (Ve) c’è l’area di bianco.
I metalli pesanti contaminano praticamente tutti i sedimenti della costa
veneta. Il dato più eclatante è quello di Cavallino, dove si rileva la presenza
elevata di tutti i metalli analizzati, in particolare mercurio, cromo, piombo,
nichel, cadmio, ma anche arsenico, Ipa e Pcb.
Non sono comunque esenti da inquinamento neanche le altre stazioni
dove si sono rilevate elevate concentrazioni di mercurio (con il massimo della
concentrazione rilevata a Caorle), cromo e cadmio. Da notare i superamenti dei
limiti di cromo e mercurio nell’area di bianco.
Tabella relativa ai valori di concentrazione dei composti organici
(pesticidi: DDT e Aldrin; policiclici aromatici: Benzo(a)Pirene, IPA, PCB;
organo metalli: TBT) riscontrati nei sedimenti marini durante il triennio di
monitoraggio 2001 - 2003. Sono evidenziati i casi in cui si ha almeno un valore
al di sopra del limite previsto dal D. n.367 del 6/11/2003.
valori al di sopra del limite di legge (n.367 del 6/11/2003) su numero totale di campioni per anno
DDT
Aldrin
Benzo(a)Pirene
IPA
PCB
TBT
REGIONI
2001 2002 2003
0/4 0/8 1/4
ABRUZZO
EMILIA ROMAGNA 0/4 0/8 5/8
0/4 0/8 0/8
FRIULI
MARCHE
4/5 2/10 5/10
0/1 0/2 0/1
MOLISE
0/5 0/10 0/10
VENETO
0/5 6/10 5/10
LIGURIA
0/6 0/12 0/12
TOSCANA
0/7 0/14 0/14
CAMPANIA
* 9/12 6/6
LAZIO
0/3 0/6 0/6
BASILICATA
0/7 0/14 0/14
PUGLIA
0/8 0/16 6/16
SARDEGNA
* 0/14 0/7
CALABRIA
*
*
*
SICILIA
* : non sono stati eseguiti campionamenti
2001
2/4
0/4
0/4
0/5
0/1
0/5
0/5
0/6
0/7
*
0/3
0/7
0/8
*
*
2002
0/8
0/8
0/8
0/10
0/2
0/10
0/10
0/12
0/14
0/12
0/6
0/14
0/16
0/14
*
2003
2/4
0/8
1/8
0/10
0/1
0/10
0/10
0/12
0/14
0/6
0/6
0/14
0/16
0/7
*
2001
0/4
0/4
1/4
0/5
0/1
0/5
2/5
2/6
1/7
*
0/3
0/7
0/8
*
*
2002
0/8
0/8
5/8
0/10
¼
0/10
0/10
0/12
1/14
1/12
0/6
0/14
0/16
0/14
*
75
2003
0/4
0/8
4/8
0/10
0/5
0/10
1/10
0/12
1/14
0/6
0/6
0/14
0/16
0/7
*
2001
3/4
0/4
3/4
0/5
0/1
0/5
3/5
0/6
2/7
*
0/3
0/7
0/8
*
*
2002
7/8
0/8
6/8
0/10
2/4
2/10
0/10
0/12
2/14
2/12
0/6
0/14
0/16
3/7
*
2003
4/4
2/8
6/8
0/10
3/5
0/10
1/5
5/12
3/14
0/6
0/6
0/14
9/16
0/7
*
2001
4/4
0/4
2/4
0/5
1/1
0/5
2/5
0/6
2/7
*
0/3
0/7
0/8
*
*
2002
4/8
0/8
4/8
0/10
1/2
1/10
4/10
0/12
1/14
0/12
0/6
0/14
2/16
0/9
*
2003
0/4
2/8
0/8
0/10
0/1
0/10
2/10
0/12
1/14
0/6
0/6
0/14
2/16
0/7
*
2001
*
0/4
0/4
0/5
0/2
0/5
0/5
0/6
0/7
*
3/3
0/7
0/8
*
*
2002
0/8
0/8
4/8
0/10
2/6
0/10
0/10
12/12
0/14
6/12
6/6
0/14
1/16
0/14
*
2003
0/4
0/8
0/8
0/10
4/5
0/10
0/10
12/12
0/14
6/6
6/6
0/14
0/16
0/7
*
Legambiente - Mare monstrum 2004
Tabella relativa ai valori di concentrazione dei metalli pesanti
(Arsenico, Cadmio, Cromo, Mercurio, Nichel e Piombo) riscontrati nei
sedimenti marini durante il triennio di monitoraggio 2001 - 2003. Sono
evidenziati i casi in cui si ha almeno un valore al di sopra del limite previsto
dal D. n.367 del 6/11/2003.
valori al di sopra del limite di legge (n.367 del 6/11/2003) su numero totale di campioni per anno
As
Cd
Cr totale
Hg
Ni
Pb
REGIONI
2001 2002 2003
0/4 0/8 0/4
ABRUZZO
EMILIA ROMAGNA 0/4 0/8 0/8
0/4 0/8 0/8
FRIULI
MARCHE
1/5 0/10 3/10
0/1 0/4 0/5
MOLISE
VENETO
3/5 3/10 4/10
LIGURIA
4/5 6/10 2/10
TOSCANA
4/6 8/12 7/12
CAMPANIA
2/7 7/14 6/14
* 7/12 1/6
LAZIO
BASILICATA
1/3 1/6 1/6
0/7 0/14 0/14
PUGLIA
SARDEGNA
1/8 0/16 2/16
* 4/14 5/7
CALABRIA
*
*
SICILIA
4/8
* : non sono stati eseguiti campionamenti
2001
0/4
0/4
0/4
0/5
0/3
1/5
2/5
1/6
1/7
*
0/3
1/7
1/8
*
*
2002
0/8
0/8
0/8
0/10
0/6
5/10
1/10
0/12
3/14
0/12
0/6
0/14
2/16
0/14
*
2003
0/4
0/8
1/8
0/10
0/5
5/10
5/10
0/12
3/14
0/6
0/6
3/14
4/16
0/7
8/8
2001
0/4
2/4
3/4
0/5
0/3
2/5
4/5
6/6
1/7
*
1/3
0/7
0/8
*
*
2002
1/8
0/8
7/8
0/10
0/6
9/10
8/10
11/12
3/14
1/12
1/6
0/14
0/16
0/14
*
2003
0/4
2/8
6/8
0/10
0/5
7/10
8/10
12/12
1/14
0/6
2/6
0/14
1/16
1/7
1/8
2001
0/4
0/4
4/8
0/5
0/1
4/5
1/5
6/6
3/7
*
1/3
0/7
0/8
*
*
2002
0/8
0/8
8/8
0/10
0/4
9/10
3/10
7/12
1/14
3/12
0/6
0/14
0/16
0/14
*
2003
0/4
0/8
8/8
0/10
0/5
8/10
2/10
6/12
5/14
0/6
0/6
0/14
0/16
0/7
1/8
2001
0/4
4/4
3/4
1/5
0/3
3/5
5/5
6/6
0/7
*
1/3
6/7
0/8
*
*
2002
0/8
5/8
4/8
1/10
1/6
3/10
9/10
11/12
2/14
4/12
1/6
7/14
0/16
0/14
*
2003
0/4
7/8
7/8
2/10
0/5
3/10
9/10
12/12
2/14
0/6
3/6
0/14
0/16
1/7
0/8
7.9 La depurazione in Italia
Le acque reflue urbane, che in passato contenevano quasi
esclusivamente sostanze biodegradabili, presentano attualmente maggiori
problemi di smaltimento a causa della presenza sempre più ampia di composti
chimici di origine sintetica, impiegati prevalentemente nel settore industriale. Il
mare, così come i fiumi ed i laghi, non è in grado di ricevere una quantità di
sostanze inquinanti superiore alla propria capacità autodepurativa senza vedere
compromessa la qualità delle proprie acque ed i normali equilibri
dell'ecosistema. L’autodepurazione, che avviene attraverso differenti e spesso
complessi meccanismi, comporta una sorta di recupero e riutilizzazione dei
materiali costituenti le sostanze inquinanti. Essa avviene attraverso processi
chimici (idrolisi), fisici (diluizione, sedimentazione e adsorbimento) e biologici
(biodegradazione, bioaccumulo animale e vegetale, etc.). E' evidente quindi la
necessità di depurare le acque reflue artificialmente attraverso sistemi di
trattamento che imitino i suddetti processi che avvengono naturalmente.
La conseguenza diretta dell'utilizzo dell'acqua, per attività domestica e
cicli industriali, è pertanto la produzione di scarichi che, per poter essere
restituiti all'ambiente, devono necessariamente essere sottoposti ad un
trattamento depurativo.
76
2001
0/4
0/4
3/4
0/5
0/3
2/5
3/5
0/6
2/7
*
0/3
2/7
0/8
*
*
2002
0/8
0/8
6/8
0/10
0/6
4/10
8/10
1/12
6/14
6/12
0/6
0/14
2/16
0/14
*
2003
0/4
0/8
7/8
0/10
0/5
5/10
7/10
2/12
2/14
2/6
0/6
0/14
3/16
1/7
0/8
Legambiente - Mare monstrum 2004
Quindi l'acquisizione di informazioni riguardante i sistemi di fognatura
e gli impianti di depurazione costituisce un valido strumento per valutare
l’entità dell’impatto delle attività che si svolgono sulla costa e nelle zone
interne del paese sull’ecosistema marino, soprattutto per quanto riguarda la
zona sottocosta.
7.9.1 Obiettivi fissati dalla normativa
Il raggiungimento degli obiettivi principali fissati dal recente D.lgs.
152/99 e smi, che definisce la disciplina generale per la tutela delle acque,
dovrà essere conseguito attraverso l’adeguamento dei sistemi di fognatura e
depurazione degli scarichi idrici nell’ambito del servizio idrico integrato, come
previsto dalla legge 5 gennaio 1994, n. 36 “ Disposizioni in materia di risorse
idriche”.
In base a quanto stabilito dall’art.27, comma 1 del D.lgs. 152/99 e smi,
gli agglomerati devono essere provvisti di reti fognarie per le acque reflue
urbane:
- entro il 31 dicembre 2000 per agglomerati con numero di abitanti
equivalenti superiore a 15.000 a.e.;
- entro il 31 dicembre 2005 per agglomerati con numero di abitanti
equivalenti compreso tra 2.000 e 15.000.
Il comma 2 prevede, inoltre, che devono essere provvisti di reti fognarie
tutti gli agglomerati con oltre 10.000 abitanti equivalenti, le cui acque reflue
urbane si immettono in acque recipienti considerate “ aree sensibili”.
Valutare lo stato dell’arte ad oggi non è cosa semplice, perché non
esistono fonti di dati omogenee sulla copertura del sistema di depurazione
sull’intero territorio aggiornate ed esaustive.
I dati più aggiornati si riferiscono alla capacità di depurazione dei 103
capoluoghi di provincia, raccolti per Ecosistema urbano 2004 di Legambiente e
i dati relativi ai 52 ATO (ambiti territoriali ottimali) insediati raccolti dal
Comitato di vigilanza sull’uso delle risorse idriche.
7.9.2 La capacità di depurazione per i 103 capoluoghi di provincia italiani
L’indicatore preso in considerazione è denominato Capacità di
depurazione ed è espresso in valore percentuale (Ecosistema Urbano 2004).
Questo parametro considera gli abitanti allacciati al servizio fognario, quelli al
servizio di depurazione, il numero dei giorni di funzionamento e la capacità
(abitanti equivalenti) degli impianti di depurazione e, nel caso il COD in uscita
superi i 125 mg/l, l’efficienza di depurazione (misurata dal rapporto tra COD in
uscita e COD in ingresso).
Nella tabella sottostante vengono considerati i valori di questo
indicatore per i 103 comuni capoluogo. La situazione resta critica ad Imperia,
Milano e Trapani, gli unici comuni in cui i sistemi di depurazione mancano o
coprono ancora solo una piccola parte della città. Il numero di abitanti
77
Legambiente - Mare monstrum 2004
allacciati è inferiore al 50% della popolazione ancora in 13 comuni, mentre
sono passati da 63 a 71 quelli in cui si supera l’80%. In media, i 103 comuni
registrano una percentuale di depurazione intorno al 79% (+2% rispetto al
2001), valore che scende di circa sei punti percentuali se calcoliamo la media
ponderata in base al numero di abitanti (in primo luogo per l'influenza di
Milano). Gli impianti di depurazione dichiarano reflui in uscita generalmente a
norma e solo in tre casi sono superiori al valore limite di 125 mg COD previsto
dal D.lgs 152/99 (Brindisi, Foggia e Frosinone). Appena al di sotto del limite i
valori dichiarati da Lecce (124 mg COD).
Nella tabella vengono considerati i valori della Capacità di depurazione per i
103 comuni capoluogo di provincia
posizione
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
24
24
24
24
28
28
30
30
32
32
32
32
Città
Aosta
Bari
Bologna
Cagliari
Campobasso
Gorizia
Isernia
Lecce
Livorno
Mantova
Massa
Oristano
Pavia
Perugia
Piacenza
Ragusa
Rieti
Sassari
Savona
Siena
Sondrio
Torino
Vercelli
Lecco
Verbania
Trieste
Cremona
Trento
Rimini
Terni
Caltanissetta
Matera
Caserta
Crotone
Bolzano
Capacità posiCapacità posiCittà
Città
di dep. zione
di dep. zione
100%
Pescara
93%
Salerno
36
69
100%
Biella
93%
Brescia
36
69
100%
Varese
93%
Belluno
36
73
100%
Parma
92%
Venezia
39
73
100%
Bergamo
92%
Pesaro
39
75
100%
Grosseto
92%
Chieti
39
76
100%
Cosenza
92%
Enna
39
77
100%
Prato
92%
Ferrara
39
78
100%
Roma
91%
Asti
44
79
100%
Genova
91%
Firenze
44
80
100%
Modena
90%
Ravenna
46
80
100%
Verona
90%
Brindisi
46
82
100%
Siracusa
89%
La Spezia
48
83
100%
Cuneo
89%
Vibo Valentia
48
84
100%
Potenza
88%
Napoli
50
84
100%
Novara
88%
Messina
50
86
100%
Teramo
88%
Avellino
50
87
100%
Lodi
88%
Frosinone
50
88
100%
Ascoli Piceno
88%
Agrigento
50
89
100%
Arezzo
87%
Nuoro
55
90
100%
Reggio Emilia
87%
Macerata
55
91
100%
Viterbo
86%
Padova
57
92
100%
L'Aquila
86%
Pistoia
57
92
99%
Vicenza
85%
Pordenone
59
94
99%
Ancona
85%
Treviso
59
95
99%
Udine
84%
Palermo
61
96
99%
Como
84%
Taranto
61
97
98%
Forlì
84%
Catania
61
98
98%
Pisa
83%
Reggio Calabria
64
98
95%
Rovigo
82%
Benevento
65
100
95%
Catanzaro
82%
Imperia
65
Nd
94%
Lucca
82%
Milano
65
Nd
94%
Alessandria
81%
Trapani
68
Nd
94%
Foggia
80%
69
94%
Latina
80%
69
Fonte: Legambiente – Ecosistema Urbano 2004 (Comuni, dati 2002)
78
Capacità
di dep.
80%
80%
79%
79%
77%
76%
75%
70%
66%
65%
65%
61%
60%
59%
59%
58%
57%
56%
51%
48%
44%
42%
42%
32%
26%
21%
20%
15%
15%
11%
0%
0%
0%
Legambiente - Mare monstrum 2004
7.9.3 La situazione del sistema di fognatura e degli impianti di
depurazione in Italia
Nel “Secondo rapporto sulle ricognizioni sulle opere di adduzione,
distribuzione, fognatura e depurazione”pubblicato nel maggio 2003 dal
Comitato di vigilanza sull’uso delle risorse idriche sono stati analizzati i dati
trasmessi da 52 ATO. Il campione, riguarda quindi il 60,2% della popolazione
nazionale, corrispondente circa a 35 milioni di abitanti su un totale
complessivo di 57,5 milioni. Per molte regioni, come Piemonte, Umbria,
Marche, Lazio, Puglia, Basilicata, Calabria e Sicilia i dati disponibili
rappresentano il 100% della popolazione residente. Per il Veneto e l’Emilia
Romagna invece i dati analizzati interessano rispettivamente il 45% e il 9 %
della popolazione. La rappresentazione che ne deriva fornisce tuttavia una
significativa visione di insieme della situazione.
Nella tabella viene indicato il numero dei comuni e degli abitanti
residenti su cui sono state eseguite le ricognizioni esaminate dal Comitato per
la vigilanza sull’uso delle risorse idriche e la rappresentatività del campione
espressa in percentuale.
REGIONE
COMUNI
CONSIDERATI
Piemonte
1209
POPOLAZIONE
RESIDENTE
CONSIDERATA
4.291.541
Veneto
245
2.003.520
45
Emilia Romagna
18
352.000
9
Toscana
255
3.225.378
91
Umbria
92
836.168
100
Marche
246
1.441.760
100
Lazio
377
5.209.982
100
Abruzzo
204
752.864
59
Campania
356
5.072.274
87
Puglia
258
4.090.068
100
Basilicata
131
610.330
100
Calabria
409
2.070.992
100
Sicilia
390
5.107.850
100
ITALIA
RAPPRESENTATIVITÀ
DEL CAMPIONE (%)
100
4190
35.064.627
61
Fonte: elaborazione Legambiente su dati
del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio: Comitato per la vigilanza sull’uso
delle risorse idriche – “Lo stato dei servizi idrici, Anno 2002”.
79
Legambiente - Mare monstrum 2004
Il grado di copertura del sistema fognario negli ambiti presi in esame si
attesta mediamente intorno all’84% della popolazione residente. La percentuale
tende però a ridursi al 78 e al 79% per quanto riguarda la Sicilia e il Lazio
rispettivamente.
Per quanto riguarda la tipologia dei sistemi di fognatura questi sono
prevalentemente a rete mista (72%), mentre in alcuni ambiti con territori
costieri (ad esempio in Toscana e in Veneto) si osserva una significativa
separazione delle reti tra acque nere (acque di scarico) e acque bianche (acque
di pioggia). Alla separazione delle reti viene normalmente associata una
ottimizzazione tecnico-economica del sistema di smaltimento e trattamento
delle acque reflue, in particolare per gli eventi di pioggia.
Un dato importante proviene dalla percentuale di scarichi privi di
trattamento rispetto al totale degli scarichi. Questo parametro indirettamente
fornisce un quadro dei terminali che già sono sotto controllo e di quelli su cui è
necessario intervenire. Dalla tabella emerge che mediamente il 36% degli
scarichi si riversa nei corpi idrici e nel suolo senza subire alcun trattamento di
depurazione. Si passa da valori medi assai ridotti in Piemonte (22%), nel
Veneto (11%) ed in Emilia Romagna (21%) a valori crescenti fino a pervenire
al 47% della Calabria e al 62% della Sicilia.
La copertura di depurazione rappresenta la percentuale di popolazione
servita dal servizio di depurazione rapportata alla popolazione residente e
individua il livello di servizio raggiunto nel trattamento dei reflui domestici. Il
quadro che emerge dalle ricognizioni effettuate indica che il 73% della
popolazione nazionale dovrebbe usufruire del servizio di depurazione. Se si
osservano le medie regionali la situazione rimane più o meno la stessa in tutte
le regioni passando da un minimo del 58% in Veneto e Toscana ad un massimo
del 91% in Puglia. Analizzando invece i dati per i singoli ambiti il campo di
variazione è molto esteso e si passa da un minimo del 33% ( a Media Valdarno
e Macerata) ad un massimo del 98% a Roma.
80
Legambiente - Mare monstrum 2004
In tabella per le regioni considerate sono indicati alcuni parametri descrittivi
del sistema fognario e degli impianti di depurazione.
COPERTURA
COPERTURA
SCARICHI PRIVI
DEL SERVIZIO LUNGHEZZA DEI
DEL SERVIZIO
DI
TIPI DI RETE (%)
REGIONE
DI
DI
TRATTAMENTI
FOGNATURA
DEPURAZIONE
DEPURATIVI (%)
(%)
(%)
bianca mista nera
Piemonte
88
8
87
12
22
68
Veneto
Emilia
Romagna
Toscana
65
16
68
30
11
58
82
16
65
19
21
78
86
14
53
39
38
58
Umbria
81
13
84
5
27
81
Marche
82
9
80
11
34
68
Lazio
79
6
83
11
26
84
Abruzzo
90
1
84
20
14
78
Campania
86
3
93
4
42
70
Puglia
94
9
0
91
23
91
Basilicata
92
0
53
47
13
85
Calabria
89
6
58
36
47
74
Sicilia
78
10
69
21
62
64
ITALIA
84
9
72
22
36
73
Fonte: elaborazione Legambiente su dati
del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio: Comitato per la vigilanza sull’uso
delle risorse idriche – “Lo stato dei servizi idrici, Anno 2002”.
7.10 Balneabile sì, balneabile no, balneabile forse!
La balneazione nel nostro Paese è regolata dal DPR. 470/82 che è stato
modificato con Legge 422/2000 e recentemente con il Decreto Legge del 31
marzo 2003 n° 51 convertito in legge il 30 maggio 2003 n° 121.
In base al DPR 470/82 la stagione balneare va dal 1° maggio al 30
settembre e il periodo di campionamento va dal 1 aprile al 30 settembre con
cadenza bisettimanale: quindi per poter stabilire la balneabilità di un tratto di
mare sono necessari almeno 12 campionamenti; se sono 11 viene decretata la
non balneabilità per insufficienza di campionamento. Le acque vengono
dichiarate balneabili per la stagione balneare in corso sulla base dei risultati di
campionamenti effettuati l’anno precedente: quindi la costa balneabile nella
stagione 2003 è quella in cui almeno 12 campionamenti effettuati nel 2002
sono risultati favorevoli con le percentuali previste (80% dei risultati favorevoli
per i parametri batteriologici; il 90% per gli altri).
81
Legambiente - Mare monstrum 2004
Entro il 1° aprile di ogni anno le zone di balneazione devono essere
determinate dalle Regioni - tramite delibera - in base quindi ai dati raccolti
l'estate precedente. Spetta ai Comuni delimitare su questa base prima del 1°
maggio, con ordinanza del sindaco, le zone non idonee alla balneazione
ricadenti nel loro territorio.
Con le modifiche apportate dalla Legge 422/2000, se nel corso della
stagione balneare durante i campionamenti di routine, si verifica che le analisi
effettuate su un campione risultano sfavorevoli anche solo per un parametro
(temperatura, trasparenza, coliformi ecc.), il laboratorio che effettua i controlli
deve mettere in atto ispezioni dei luoghi per verificarne la causa e dovrà anche
effettuare le analisi su cinque campioni prelevati in giorni diversi nello stesso
punto. Se in più di un campione (quindi ne bastano due) anche uno solo dei
parametri non sarà entro i limiti, la zona dovrà essere temporaneamente vietata
alla balneazione.
Su queste acque dovranno comunque continuare i controlli con la
frequenza prevista (due al mese) e i risultati dei 5 prelievi suppletivi non
dovranno essere utilizzati per ottenere la percentuale dei campioni favorevoli
per definire la balneabilità della stagione balneare successiva.
Se sulle acque dichiarate temporaneamente non idonee si verificano due
analisi favorevoli consecutive per tutti i parametri, queste potranno essere
nuovamente adibite alla balneazione.
Con l’ulteriore modifica apportata attraverso il Decreto Legge del 31
marzo 2003 n° 51 convertito in Legge il 30 maggio 2003 n° 121, si dà la
possibilità di riaprire le spiagge dichiarate non idonee alla balneazione sulla
base di quanto sopra , se si verifica l’eventualità che due prelievi effettuati a
partire da aprile e durante la stagione balneare in corso, diano risultati
favorevoli per tutti i parametri. Il quadro a questo punto appare ulteriormente
complicato: questo potrebbe significare che con delibera della Regione,
potranno essere riaperte durante la stagione balneare in corso, spiagge già
dichiarate non balneabili qualora due prelievi risultino favorevoli per tutti i
parametri. Ma questa eventualità potrà verificarsi a questo punto in aprile,
maggio, giugno e così via e non è necessario che i prelievi siano consecutivi.
Qualora infine il tratto in questione sia riaperto alla balneazione, secondo
quanto previsto da questo nuovo provvedimento, dovranno essere effettuate
analisi ogni 10 giorni, durante tutto il periodo di massimo affollamento (chi lo
stabilisce qual è?) e nel caso che almeno due campioni diano risultato non
favorevole anche per uno solo dei parametri dovrà nuovamente essere revocata
la balneazione.
7.10.1 Qualità delle acque di balneazione in Italia
La pubblicazione dei dati relativi alla qualità delle acque di balneazione
era stata una conquista acquisita in anni di vertenze e di polemiche suscitate
dall’attività di Goletta Verde. Da un paio d’anni a questa parte però il
Ministero della salute, non sembra tenere in conto il diritto d’informazione dei
bagnanti e mostra una forte reticenza alla divulgazione dei dati relativi alla
82
Legambiente - Mare monstrum 2004
balneabilità delle acque nel nostro Paese. Infatti lo scorso anno sono stati resi
pubblici a fine agosto, ovvero a fine stagione balneare anziché all’inizio come
previsto dalla normativa e quest’anno la pubblicazione sul sito dei dati sintetici
è stata “costretta” dalla divulgazione di dati da parte di un’agenzia di stampa,
che li aveva avuti per via indiretta.Dai dati emerge che dopo una diminuzione
verificatasi tra il 1995 e il 2001 (-32%), i chilometri di costa vietati alla
balneazione per motivi di inquinamento sono tornati ad aumentare, nonostante
una contemporanea crescita delle deroghe, giungendo ad attestarsi intorno ai
430 km (il 5,8% della costa italiana), per poi diminuire a circa 406 km nel
2003. Le situazioni più critiche restano quelle della Campania (il 17,4% della
costa) e del Lazio (il 12, 5 % della costa). Crescono i tratti di costa inquinati in
Abruzzo (+1,4%) e diminuiscono invece significativamente in Veneto (-5,5%)
e in Emilia Romagna (-4,3%).
Se ai tratti di costa non balenabile per inquinamento si aggiungono
quelli non sufficientemente campionati o non controllati affatto, che risultano
ugualmente non balenabili, la costa complessivamente non fruibile diventa
lunga complessivamente 1.480 km, ovvero il 20%.
Quattro regioni hanno utilizzato il decreto di deroga per valori inferiori
ai limiti di legge per la saturazione dell’ossigeno, in particolare Emilia
Romagna per le province di Ravenna e Ferrara per un totale di 14, 4 km, il
Veneto per le province di Rovigo e Venezia per un totale di 14,7 km, il Lazio
per la sola provincia di Roma su 13,1 km infine le Marche per 3 km della
provincia di Ascoli Piceno.
E’ utile sottolineare che a differenza dei monitoraggi di cui si è parlato
precedentemente, i dati del Ministero della Salute si riferiscono unicamente
condizioni igienico sanitarie delle acque marine e non sulla loro qualità
complessiva.
83
Legambiente - Mare monstrum 2004
In tabella vengono indicati i km di costa non balneabili per il periodo
1995 – 2003. Inoltre viene indicata la percentuale per ciascuna regione e per
tutta l’Italia di costa vietata alla balneazione nell’anno 2003.
Regioni
km di costa vietati temporaneamente o permanentemente
per inquinamento
1995
1998
2001
2002
2003
% costa 2003
Liguria
11,1
13,6
12
12
8,8
2,5
Toscana
16,8
11,9
11
12
7,7
1,3
Lazio
79,9
69,5
36
42
45,3
12,5
Campania
145,2
89,1
84
87
81,8
17,4
Basilicata
1,6
2,4
2
2
1,6
2,6
Calabria
29,9
52,9
36
49
51,4
7,2
Puglia
47,7
50,4
61
50
48,6
5,6
Molise
0,6
0,7
1
2
0,7
2,0
Abruzzo
8,6
8,2
7
8
9,9
7,9
Marche
15,9
11,7
11
10
10,4
6,0
3
3
3
9
3
2,3
7,4
2,7
3
13
4,1
2,6
5
0
0
0
0
0
148,7
68,2
71
74
69,2
4,7
71
63,3
62
62
63,2
3,7
Emilia Romagna
Veneto
Friuli Venezia Giulia
Sicilia
Sardegna
Totale
592,4
447,6
401
431
405,7
Fonte: elaborazione Legambiente su dati del Ministero della Salute
84
5,5
Legambiente - Mare monstrum 2004
8. Mediterraneo e Mutamenti climatici
Il cambiamento del clima è stato definito dall'IPCC
(Intergovernamental Panel for Climate Change) come una variazione
attribuibile, direttamente o indirettamente, alle attività dell'uomo, che creano
alterazioni della composizione dell'atmosfera globale. Il cambiamento
climatico generato dai cambiamenti globali si va ad aggiungere alla normale
variabilità climatica su un periodo di tempo confrontabile.
L'aspetto climatico costituisce senza dubbio la componente più visibile
e anche più nota dei cambiamenti globali dell’atmosfera, sebbene questi
operino anche attraverso meccanismi più complessi e profondi che innestano
reazioni, più o meno note, sul pianeta terra ed i suoi ecosistemi.
L’aumento della temperatura superficiale del globo terrestre implica
infatti una serie di cambiamenti che vanno ad influire in maniera diretta sugli
ecosistemi, modificando sensibilmente le strategie adattative di sopravvivenza
degli organismi, e ampliando (o riducendo) la biodiversità propria di una
determinata nicchia ecologica.
E proprio dal riscaldamento del pianeta verrebbe secondo uno studio
dell' Università di Leeds in Gran Bretagna la più grave minaccia alla
biodiversità. L’indagine condotta in sei aree del mondo particolarmente
rappresentative dal punto di vista del patrimonio naturalistico, ha accertato che
i cambiamenti climatici potrebbero provocare la progressiva estinzione di un
quarto degli animali e delle piante. Una percentuale compresa fra il 15 e il 37%
di tutte le specie che abitano le aree prese in esame potrebbe infatti estinguersi
nel giro di tre o quattro anni, ma ad essere minacciate potrebbero essere un
milione di specie se si estendono le proiezioni a tutto il pianeta.
In ambiente terrestre l’aumento della temperatura è infatti un fattore
limitante per gli organismi (come conseguenza di una riduzione del range
termico utile per lo svolgimento dei processi biologici), e comporta una
selezione importante; in ambiente acquatico tale variazione si traduce invece
spesso in aumento della biodiversità, sia a livello di fauna che di flora.
Il bacino del Mediterraneo, caratterizzato in passato da valori medi di
temperatura tali da classificarlo come mare temperato, ha subito negli ultimi
decenni l’influenza delle variazioni termiche globali che hanno interessato tutto
il pianeta.
Secondo recenti studi, l’innalzamento delle acque del globo, sarebbe di
15 centimetri negli ultimi cento anni, e le stime future prevedono, da qui al
2100, una crescita del livello medio degli oceani da un minimo di 15 centimetri
(con un aumento del riscaldamento medio di 1,4 °C) a un massimo di 90 (con
un riscaldamento medio di 5,8 °C). L’innalzamento delle acque del
Mediterraneo è previsto di 20-30 centimetri, ma potrebbe essere anche doppio
nelle aree sensibili al fenomeno della subsidenza: le aree a rischio sono 33,
localizzate soprattutto nelle coste del Nord Italia.
Secondo un modello realizzato in Versilia dall’ICRAM, che può essere
utilizzato per tutte le aree costiere italiane, la costa arretrerebbe di diverse
85
Legambiente - Mare monstrum 2004
decine di metri entro il 2100 se l'ambiente fosse completamente abbandonato a
se stesso con ricadute sia sull'ambiente che sui sistemi produttivi.
L' invasione marina delle aree costiere basse e delle paludi costiere
accelera l'erosione, aumenta la salinità negli estuari
e nei delta a causa
dell'ingresso del cuneo salino, produce una maggiore infiltrazione di acqua
salata negli acquiferi della fascia litorale, riduce le zone umide di acqua
dolce e salmastra. Tutto ciò ha come effetto uno stravolgimento negli
ecosistemi e negli habitat di flora e fauna, con una conseguente possibile
diminuzione di variabilità genetica.
Sulle cause dell’innalzamento del mare lo scioglimento dei ghiacciai
non sembra avere una influenza cosi determinante, quanto piuttosto
l'innalzamento della temperatura stessa.
L’aumento e la distribuzione della temperatura tra i diversi strati
dell’acqua marina, ha come conseguenza la modificazione della circolazione
delle masse d’acqua, che oltre ad innalzare il livello del mare, provoca il
determinarsi con maggiore frequenza di eventi meteorologici che sarebbero
invece eccezionali.
Gli effetti più conosciuti dei cambiamenti globali in mare riguardano le
grandi masse oceaniche, basti pensare a El Niño che è un fenomeno climatico
che dura diversi mesi, e che si manifesta circa ogni quattro anni. Le prime
avvisaglie si presentano attorno a dicembre, quando i satelliti rilevano un
aumento significativo della temperatura sulla superficie dell’Oceano Pacifico,
lungo una vasta area che va dalle coste peruviane in direzione di quelle
australiane. La variazione provoca la morte del plancton e dei pesci, e proprio
per questo, la prima conseguenza di El Niño è un periodo di scarsa pescosità in
quelle acque.
Con una serie di effetti a cascata, El Niño è poi in grado di influenzare
il clima di tutto il mondo. Da principio, il riscaldamento delle acque provoca la
morte dei coralli dall’altra parte dell’Oceano Pacifico, lungo le coste
australiane (e nel 1998 ha interessato anche vaste zone dell’Oceano Indiano).
Inoltre, la temperatura anomala del mare influenza i venti e origina
perturbazioni che portano uragani e alluvioni lungo le coste dell’America del
Nord. Per contro, l’Australia e il Sudest asiatico e le regioni dell’Africa
centrale e meridionale devono affrontare periodi di siccità. Pur essendo un
fenomeno periodico, la frequenza e l’intensità di El Niño si sono accentuate
negli ultimi decenni.
Ma gli effetti dei cambiamenti climatici si fanno sentire anche nei
bacini minori, quale il Mediterraneo, dove si verificano profonde e complesse
alterazioni. Tutte modificazioni che innescano a loro volta immense reazioni
nella componente vivente e negli ecosistemi sino ad incidere profondamente
sulla produttività e la biodiversità marine, fattori a loro volta connessi agli
aspetti sociali, economici e culturali.
Il Mediterraneo, a causa della sua condizione di mare semichiuso e
fortemente abitato, va incontro a peculiari modificazioni che, sebbene spesso
non appaiano eclatanti, incidono profondamente sull'intero sistema.
86
Legambiente - Mare monstrum 2004
Tra gli effetti riconducibili ai cambiamenti climatici si osservano
modificazioni significative, che possono essere ricondotte a variazioni nelle
temperature stagionali, al cambio delle stagioni e all’aumento dell’anidride
carbonica che incidono sull’ecologia e la biologia delle specie marine. Ad
esempio determinando cambiamenti qualitativi e quantitativi dei nutrienti
presenti nelle acque marine con conseguenti ripercussioni sulla produzione
primaria, cioè il fitoplancton. Fenomeno questo che può essere messo
probabilmente in relazione con la formazione delle mucillagini.
Le variazioni sul fitoplancton possono avere effetti molto importanti sui
livelli successivi della piramide trofica, inducendo mutamenti della qualità e
quantità delle comunità che occupano i livelli successivi, in particolare sullo
zooplancton, sino ad arrivare al necton, e quindi agli animali marini che
occupano i vertici della piramide alimentare.
Secondo uno studio francese riportato sulla rivista Nature, le
temperature attuali del Mediterraneo potrebbero mettere a repentaglio la
sopravvivenza di un gamberetto della famiglia dei Misidi, e già adesso il krill
che è una popolazione di piccoli crostacei di cui si cibano principalmente i
cetacei, sta sparendo per lo stesso motivo. L’innalzamento della temperatura
sta mettendo a rischio anche le gorgonie, piccoli animali marini dall’aspetto di
piante di vari colori che vivono fissate alle scogliere sommerse e che sono
suscettibili anche di minime variazioni climatiche.
Il fitoplancton, negli oceani e nei mari della fascia temperata compreso
quindi il Mediterraneo, segue un ciclo annuale in accordo con il succedersi
delle stagioni, è quindi evidente che qualsiasi effetto che determini uno
squilibrio delle stagioni può ripercuotersi negativamente sulla sua attività di
produzione primaria e di conseguenza creare squilibri su tutta la catena
alimentare. Determinando quindi anche possibili variazioni nella quantità e
nella qualità delle specie pescabili.
Gli effetti dei cambiamenti climatici possono essere anche messi in
relazioni con le alterazioni nella biodiversità sia nella flora che nella fauna;
questo può significare il verificarsi di variazioni relative a modificazione
genetiche all'interno delle specie, perché si selezionano organismi capaci di
vivere in condizioni ambientali mutate.
Sebbene l’aumento medio della temperatura del mare si attesti su valori
decisamente modesti (circa quattro decimi di grado per decade), nettamente più
sensibile risulta la variazione correlata alla temperatura superficiale (SST –
Surface Sea Temperature)
Il bacino del Mediterraneo ha visto un deciso trend crescente della SST dal
1970 fino ai giorni nostri e si sono raggiunti nell’ultimo decennio valori
decisamente elevati tali da accomunare la temperatura del Mediterraneo a
quella dei mari tropicali (come ad esempio il Mar dei Caraibi).
In particolare nell’estate 2003 si è registrato un aumento di temperatura
delle acque a livello superficiale molto superiore alle medie stagionali.
L’ENEA ha recentemente presentato uno studio basato su osservazioni
satellitari della temperatura superficiale del Mediterraneo dal 1985 in cui si
87
Legambiente - Mare monstrum 2004
evidenzia come essa presenti un ciclo annuale con un massimo di circa 26°C in
estate ed un minimo di circa 15°C in inverno. Nel corso del 2003, invece
l’andamento regolare osservato nei precedenti 18 anni è stato stravolto dai
valori insolitamente alti di SST registrati nel periodo estivo dove sono state
raggiunte temperature medie prossime ai 29°C. Valori ben al di sopra della
media degli anni precedenti ed al di fuori dei limiti osservati di variabilità
interannuale. L’uso dei dati di telerilevamento spaziale ha permesso di
quantificare esattamente sia l’ampiezza, sia la distribuzione spaziale e
temporale dell’anomalo riscaldamento del mar Mediterraneo durante l’estate
del 2003; anomalia riscontrata sia a livello locale che in termini di media di
bacino. Localmente sono stati raggiunti valori spesso oltre il 32°C in zone dove
usualmente i massimi si aggiravano intorno ai 27°C. Più in dettaglio le aree
dove il riscaldamento è stato maggiore sono state quelle del golfo del Leone e
del mar Ligure, Tirreno, Ionio settentrionale ed Adriatico nel mese di giugno.
In queste aree l’anomalia termica ha raggiunto, in media i 4°C con punte
intorno ai 5°C nel mar Ligure, alto Tirreno e sul lato Italiano del mar Adriatico.
In Luglio il fenomeno, pur mantenendosi su valori estremamente elevati si è
attenuato presentando valori massimi di quasi 3°C ad est della Sardegna e nella
zona tra la Tunisia, la Sardegna e la Sicilia. Nel mese di agosto si è avuto di
nuovo un innalzamento della temperatura con valori intorno ai 4°C nella zona
del golfo del Leone e del mar Ligure. Nel mese di settembre l’anomalia termica
è andata attenuandosi scendendo sotto 1°C.
8.1 L’invasione di specie aliene
Uno degli effetti più visibili negli ultimi anni dei mutamenti climatici in
atto nel Mediterraneo è dato dall’invasione di specie ittiche immigrate dalla
zona indo-pacifica ed atlantica. Tali specie sono state definite “aliene” poiché
entrano in competizione con le specie autoctone, talvolta prendendone il posto
e colonizzando vaste aree del bacino. La triglia del mar Rosso, ad esempio,
viene ormai comunemente pescata e venduta, oppure le vongole filippine in
Adriatico che importate dagli allevatori hanno letteralmente soppiantato le
specie di vongole endemiche. Il più delle volte, però, l’invasione di specie
aliene rappresenta una grave minaccia per le specie autoctone, andando a
compromettere seriamente l’equilibrio dell’ecosistema. Fino a qualche
decennio fa, dicono gli studiosi, i pesci alieni soccombevano o si estinguevano
lentamente, sopraffatti dall'estraneità del nuovo ambiente. Oggi non è più così.
Si integrano e prolificano. In pericolo, insomma, è la biodiversità, cioè
il patrimonio naturale, unico e irripetibile, che caratterizza un habitat rispetto a
un altro.
La portata del fenomeno lascia ipotizzare un fenomeno di “
tropicalizzazione del Mediterraneo”, causato anche dall’innalzamento della
temperatura medie dell’acqua marina. Quest’ultimo fenomeno è dovuto
all’effetto serra e a tal proposito si parla, anche, di “meridionalizzazione”, cioè
88
Legambiente - Mare monstrum 2004
di spostamento a nord delle specie ittiche termofile del Mediterraneo, abituate
ai climi più caldi.
Si sta favorendo, ad esempio, l'immigrazione di pesci amanti dei climi
caldi, come il pesce pappagallo (che prima viveva solo a Lampedusa e ora
anche a Ustica e nelle Eolie), la Donzella pavonina, che sta soppiantando
quella mediterranea, i pesci Vela o l'Aguglia imperiale, i pesci Balestra e
alcune specie di Carangidi.
Questo fenomeno genera diversi problemi: c'è la possibilità che nascano
competizioni con le specie autoctone e si corre il rischio dell’ibridazione, senza
contare i pericoli per la salute dell’ambiente e dell’uomo. Inoltre, va
considerato che le specie aliene occupano un livello trofico addizionale nelle
catene alimentari e la competizione con le specie indigene continuerà fino a
quando non verrà raggiunto un nuovo equilibrio.
Per quanto riguarda l’immigrazione di specie ittiche indopacifiche, nel
1902, è stato ritrovato il teleosteo “Atherinomorus lacunosus”, il quale può
essere considerato la prima specie ittica proveniente dal Mar Rosso ritrovata
nel Mediterraneo.
Dal 1946 in poi, i rinvenimenti di specie penetrate attraverso il Canale
di Suez sono divenuti più frequenti e senza segni di declino, tanto che il
fenomeno è stato definito “ lessepsian migration” dal nome del fondatore della
società che si occupò dell’apertura del canale.
Il fenomeno dell’immigrazione di specie tropicali e subtropicali si sta
verificando massicciamente anche attraverso lo Stretto di Gibilterra che ha
sempre garantito, a differenza del Canale di Suez, una continuità con mari
extra-mediterranei. La continuità con il Mediterraneo rende difficile valutare
esattamente le specie atlantiche di recente immigrazione, anche perché con
l’intensificazione delle campagne di studio, può avere reso possibile la scoperta
di specie rare, già esistenti, nel Mediterraneo.
Si ritiene che circa trenta specie ittiche tropicali e subtropicali,
immigrate dall’Atlantico, hanno raggiunto una biomassa non trascurabile ,
estendendosi anche al Mediterraneo centrale.
Oltre ad un’immigrazione definibile “geografica” delle specie aliene, vi
sono altri fattori che agevolano, attualmente, la penetrazione di faune ittiche
aliene del Mediterraneo. Tra le fonti di introduzione di specie non indigene nel
mar Mediterraneo si possono citare:
lo sviluppo dell’acquacoltura, protesa alla diversificazione della
produzione e alla ricerca di nuove specie a rapida crescita e alta
resistenza;
l’importazione di specie ittiche per gli acquari;
le acque di zavorra delle navi cisterna prelevate in mari tropicali e
scaricate nel Mediterraneo, le quali, se non trattate opportunamente,
possono costituire un veicolo di uova e larve delle specie tropicali;
la costruzione della diga di Assuan, nel 1965, che ha abbattuto la soglia
di bassa salinità che costituiva una barriera alla dispersione delle specie
indopacifiche, riducendo la portata del Nilo;
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Legambiente - Mare monstrum 2004
-
-
l’avvenuto aumento della temperatura dell’acqua, che è uno dei fattori
nell’ambito del cambiamento climatico in atto, caratterizzato da un
incontestabile mutamento delle stagioni e dall’aumento dell’anidride
carbonica; esso interessa soprattutto il bacino di levante del
Mediterraneo;
la creazione di “enclave” artificiali con caratteristiche fisiche estranee
all’ambiente originale, come è il caso degli effluenti termici delle
centrali;
lo sfruttamento incontrollato delle risorse e il degrado ambientale.
Il cambiamento climatico globale è un forte catalizzatore dei
meccanismi sopra citati. Il cambiamento globale però non si manifesta
attraverso l’aumento della temperatura, ma anche nel cambio di stagioni e
nell’aumento dell’anidride carbonica che incidono sulla biologia e
sull’ecologia delle specie marine.
Recenti studi hanno dimostrato come l’inquinamento di pesticidi,
idrocarburi clorurati e metalli pesanti, incida su pesci e mammiferi marini,
portando a erosione genetica, modificazione dei cicli riproduttivi e
abbassamento difese immunitarie delle specie. Molte di esse si stanno
indebolendo e la presenza di specie indigene stressate, lascia ampi spazi alle
specie immigranti.
La maggior parte delle specie tropicali sono molto più competitive di
quelle Mediterranee. Inoltre il Mar Rosso, ad esempio, costituisce un ambiente
molto selettivo dove vivono 1500 specie (contro le 550 del Mediterraneo), per
cui una volta trovata una nicchia favorevole, possono dilagare facilmente.
Secondo le previsioni, in futuro, queste invasioni biotiche sono destinate a
diventare la causa principale di disgregazione ecologica, a causa della rapidità
nella diffusione delle specie esotiche. Tutto ciò è da ricondursi, inoltre, alla
crescente mobilità della popolazione umana, al veloce sviluppo tecnologico dei
mezzi di trasporto, all’aumento del turismo e dei viaggi e al libero commercio
in tutto il mondo.
Malgrado la difficoltà di stimare i costi provocati da questa invasione
anomala di specie aliene, alcuni studi ipotizzano che questi si possano stimare
intorno ai dieci miliardi di Euro all’anno. Solo negli Stati uniti si valuta un
costo annuale pari a circa 138 miliardi di dollari. Questi enormi danni hanno
promosso iniziative a livello internazionale, come la Convention on Biological
Diversity (Cbd) del 1992 nella quale si raccomanda di “prevenire
l’introduzione di specie aliene, controllarle/radicarle, in quanto costituiscono
una minaccia agli ecosistemi, agli habitat e alle specie”.
Malgrado il riconoscimento dei danni causati dagli “alieni”, svariati
ostacoli limitano lo sviluppo di una seria ed effettiva politica per risolvere il
problema. Da una parte le nostre conoscenze limitate degli aspetti biologici
dell’epidemiologia delle invasioni biotiche – inclusi vettori, parametri
ecologici che influenzano la capacità delle specie aliene di diventare invasive,
schemi di dispersione – limitano la capacità di predizione e la possibilità di
90
Legambiente - Mare monstrum 2004
sviluppare e implementare adeguate misure di gestione. D’altra parte, il
problema è particolarmente complesso e comprende aspetti non biologici,
come le vie di penetrazione, le tecniche agricole, le leggi sulle importazioni, le
regole di management e le responsabilità a livello nazionale e internazionale.
Pertanto il fenomeno è esteso all’intera area mediterranea, anche terrestre, ma
soprattutto riguarda tutti i mari del Pianeta.
Si parla, oggi, di “epidemiologia” delle invasioni biologiche, per meglio
descrivere e studiare un fenomeno che sempre di più assume le caratteristiche
di una vera e propria epidemia. Occorre incrementare le misure di prevenzione,
promuovere lo studio e lo sviluppo di metodi di controllo efficaci.
Negli ultimi anni le università, l’ICRAM ed altri enti hanno lavorato e stanno
creando una mappa con tutte le specie aliene, inclusi gli invertebrati e i vegetali
marini, per mettere a punto le metodologie di conservazione e gestione del
patrimonio ittico del Mediterraneo.
8.2 Storie e curiosità legate al cambiamento climatico
Da diversi anni si stanno diffondendo nel Mediterraneo, e soprattutto
nel Canale di Sicilia, pesci che erano sconosciuti in questo mare. Sempre più
spesso si leggono sui giornali notizie di avvistamenti o catture di specie mai
viste prima, dalle forme e dai colori non proprio tipici dei nostri mari.
Sono pesci che provengono da acque più calde e che sono arrivati attraverso il
Canale di Suez e si sono stabiliti favorevolmente nel bacino del Mediterraneo,
perché in queste acque la temperatura si è innalzata e si sono quindi create
condizioni adatte alle esigenze di queste specie. Tra questi pesci quasi nessuno
ha importanza economica, ma la loro presenza testimonia un cambiamento del
clima e può rappresentare una minaccia per le specie autoctone, sia per la loro
maggiore capacità di adattamento che può determinare competizione per lo
stesso habitat, ma anche perché spesso le specie aliene sono dotate di maggiore
aggressività, e vanno ad ampliare la fascia dei predatori.
Anche la diffusione di alcune specie di piante ha provocato non pochi
problemi sulla stabilità delle popolazioni presenti nel Mediterraneo, come nel
caso della Caulerpa taxifolia, (alga originaria dei Caraibi dove non raggiunge
dimensioni e diffusione allarmanti) che dalla prima volta in cui è stata
segnalata (1984), ha raggiunto una distribuzione di oltre 13.000 ettari di
superficie (Pizzolante, 2002).
Tra le specie che più spesso si ritrovano nelle reti dei pescatori
professionisti o attaccati alle lenze di quelli sportivi, il pesce balestra,
chiamato "pisci puòrcu" perché fuori dall'acqua la sua vescica natatoria emette
dei suoni simili a grugniti, la donzella pavonina, il pesce pappagallo,
caratterizzato da un vero e proprio becco estremamente duro che il pesce usa
per sminuzzare il corallo e altre concrezioni e procurarsi il cibo e il pesce
palla. Un esemplare di pesce palla, una delle specie più gradite nella cucina
giapponese, nonostante sia molto velenoso, è stata pescata lo scorso gennaio di
fronte a Sciacca, in provincia di Agrigento, con estremo stupore e meraviglia
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Legambiente - Mare monstrum 2004
del pescatore che si è trovato tra le mani un pesce mai visto. Anche nelle acque
dell’isola di Pantelleria, la scorsa estate, alcuni pescatori dilettati hanno preso
alla lenza un pesce tropicale di colore rosso vivo, mai visto dalla popolazione
locale.
Lo sviluppo di queste specie nel Mediterraneo ha, in alcuni casi,
provocato danni alle popolazioni ittiche già presenti. Recentemente infatti sono
stati attaccati gli allevamenti di mitili in Puglia da parte del Pesce balestra (La
Stampa, 2003) che nei luoghi di origine si nutre di coralli e molluschi dal
guscio ben più resistente delle cozze.
Abitudini simili al Pesce balestra si trovano anche nel Pesce pappagallo
e nel Pesce palla che sono dotati, così come il Pesce balestra, di un apparato
mandibolare formato da una robusta dentatura in grado di frantumare
l’involucro esterno degli invertebrati.
In quanto a dentatura robusta un’altra specie divenuta ormai frequente
nei nostri mari tanto da meritarsi l’appellattivo proprio del bacino è il
Barracuda mediterraneo. E’ un pesce della famiglia degli Sfirenidi cui
appartiene anche l’autoctono luccio di mare, ha il corpo allungato, il dorso
bruno scuro e il ventre bianco. La testa è allungata con la mandibola inferiore
più lunga di quella superiore; i denti sono sottili e molto penetranti adatti ad
afferrare e stritolare le prede e infatti la sua dieta è composta quasi
esclusivamente di altri pesci. Il barracuda mediterraneo è più piccolo del
“cugino” tropicale, con dimensioni che oscillano tra 1 e 3 kg, ma sono stati
pescati anche esemplari di 10 kg. Fino a una decina d'anni fa questa specie era
praticamente sconosciuta sia ai pescatori professionisti che a quelli sportivi e la
sua cattura era considerata rara ed occasionale. Negli anni seguenti il barracuda
mediterraneo ha aumentato la sua diffusione e in poco tempo ha surclassato la
spigola nella classifica delle prede più catturate dagli amanti dello spinning. Al
momento è possibile trovarlo in quasi tutti i mari della penisola, compreso il
mar Ligure. Comunque gli hot spot continuano a rimanere la Sardegna e la
Corsica.
Analogamente pesci serra, aguglie imperiali e lampughe vengono
segnalate ormai quasi ovunque nel centro-sud d’Italia e alcune specie come le
lampughe sono state segnalate persino al largo delle foci del Po.
Ed è in Adriatico, vicino Venezia, che circa quattro anni fa i pescatori
di due unità di pesca di Chioggia, specializzate nella cattura del pesce azzurro
hanno visto levarsi tra le braccia divaricate delle rete una enorme coda a
ventaglio. Dietro la coda a ventaglio un’enorme sagoma nera lunga circa una
quindicina di metri che dopo alcuni colpi robusti dentro la rete è riuscita ad
aprirsi un varco e ad allontanarsi. Nonostante lo stupore e la stranezza di questo
episodio, nella rete dei pescatori Chioggiotti era finito un capodoglio. Ma se i
capodogli arrivano a Venezia, dove sono finiti i nostri tonni?
I tonni pescati nelle tonnare del trapanese sembra infatti che non
abbiano più le caratteristiche tipiche dei tonni che tradizionalmente finivano
sotto gli arpioni dei tonnaroti di Favignana o Bonagia, ossia i grandi
riproduttori di 10-14 anni di età di provenienza atlantica, e di enorme stazza.
92
Legambiente - Mare monstrum 2004
Nelle acque siciliane si pescano ormai solo tonni di quattro, cinque anni che
pesano 50-60 kg.
Il motivo di questo declino del tonno rosso delle Egadi, secondo
Raimondo Sarà, un biologo siciliano che da decenni studia questa specie, non è
imputabile alle 'tonnare volanti' dei Giapponesi accusate di affamare i nostri
pescatori lasciandoli all’asciutto, accaparrandosi tutti i tonni che transitano in
quelle acque, grazie al loro micidiale sistema di pesca. Le tonnare volanti
nipponiche, secondo il ricercatore, catturano infatti i tonni 'di ritorno' , ovvero
quelli che hanno già superato le isole Egadi. Il vero motivo dei cambiamenti di
rotta del tonno rosso, che non si è estinto, ma ha molto probabilmente scelto
altre rotte migratorie per la sua riproduzione, sta verosimilmente nelle
modificazioni dell’ambiente marino, tra cui anche l’aumento di temperatura
può aver avuto la sua parte, che hanno agito come azioni di disturbo, tanto da
indurlo a navigare in altre acque.
8.2.1 Il caso della Laguna di Venezia
L’incremento e la velocizzazione dei traffici commerciali, con il
conseguente accorciamento delle distanze - geografiche e temporali - e la
diffusione delle tecniche di introduzione volontaria di specie esotiche
(solitamente per uso commerciale) hanno infatti consentito ad alcuni organismi
il più agevole superamento delle barriere biogeografiche.
La presenza di tali ospiti indesiderati può comportare, in un caso come
quello della Laguna di Venezia, per interferenza con gli elementi originari di
un determinato contesto ambientale, una serie di conseguenze sgradite, in
primo luogo la riduzione e la scomparsa di intere popolazioni indigene come il
Tapes decussatus altrimenti detto a Venezia “caparozzolo” o “concolo”. Infatti,
i nuovi arrivati possono trovarsi in una situazione di assenza di fattori limitanti
(predatori, parassiti, scarsità di risorse alimentari…): si affrettano quindi ad
occupare nicchie ecologiche non disponibili nell’ambiente di provenienza, con
conseguente riduzione delle risorse e delle opportunità per le forme viventi
locali, rese in tal modo meno competitive.
L’introduzione di specie alloctone ai fini produttivi come quella della
“vongola verace asiatica” Tapes (Ruditapes) philippinarum ( Adams &
Reeve,1850) è avvenuta nelle acque italiane a partire dal 1983, con una fase
sperimentale di allevamento condotta proprio nella laguna di Venezia. Lo
scopo era quello di verificare l’adattamento alle condizioni ambientali dell’area
in questione per poter eventualmente iniziare l’allevamento di questa nuova
specie. Infatti, rispetto alla vongola verace nostrana, quella filippina denota una
maggiore resistenza alle variazioni di temperatura e salinità, si adatta a una
maggiore gamma di substrati e, aspetto molto importante, ha un tasso di
crescita ben più elevato. Tali caratteristiche produttive hanno determinato
effetti sia per la competizione con forme viventi locali, sia per i danni prodotti
dai diversi attrezzi utilizzati nelle acque lagunari.
93
Legambiente - Mare monstrum 2004
Infatti oltre che un danno diretto alla biodiversità della compagine
faunistica lagunare originaria, può essere causa di rilevantissimi danni
ambientali per le modalità di raccolta poco rispettose dei delicati equilibri
idrogeologici ed ecologici della laguna stessa, che, per il sommovimento
violento dei fondali lagunari dove si riproducono i molluschi, comporta una
perdita annua di sedimenti dal bacino lagunare stimata in circa 1 milione di m3.
La Laguna di Venezia, che costituisce un ambiente di eccezionale
valore ambientale oltre che storico, si differenzia sensibilmente dagli altri
ambienti lagunari costieri mediterranei a causa di una serie di concomitanti
fattori geografici, climatici, ambientali e biologici tali da conferirle affinità più
marcatamente nord-europee piuttosto che tipicamente mediterranee.
Tali peculiarità ambientali e biologiche, spesso definite anche come
sub-atlantiche, potrebbero rappresentare, almeno in parte, il motivo per il quale
la Laguna di Venezia costituisce la prima stazione di arrivo per numerose
specie esotiche nell’area mediterranea.
La Legambiente Veneto e il Gruppo per la salvaguardia
dell’ambiente “La Salsola” ha intervistato gli esperti del Museo civico di
Storia Naturale di Venezia che, a conferma dello scenario sopra descritto, da
tempo hanno rivolto la loro attenzione al problema dell’introduzione di specie
alloctone in laguna, sviluppando specifiche banche dati che consentono di
monitorare l’arrivo e l’eventuale insediamento di organismi esotici e hanno
avviato uno specifico programma di ricerca per la verifica dei possibili
meccanismi di interazione con le specie autoctone presenti. La considerazione
e la presa di coscienza, sulla presenza e diffusione di organismi alloctoni in
laguna di Venezia ed in Italia, si è tradotta in una mostra denominata
“TURISTI PER CASO” inizialmente ideata dal Museo civico di Storia
Naturale del Delta del Po di Ostellato e integrata dallo staff scientifico del
Museo civico di Storia Naturale di Venezia, nella quale vengono censite
numerose specie di crostacei e molluschi provenienti dall’area indopacifica,
atlantica e australe.
94
Legambiente - Mare monstrum 2004
9. La pesca “miracolosa”
9.1 La pesca di frodo
Situazione stazionaria per quanto riguarda le posizioni delle regioni
nella classifica della pesca di frodo. Si confermano anche quest’anno la Sicilia,
la Puglia e la Campania nelle prime tre posizioni, anche se con valori in ascesa
rispetto all’anno precedente per quanto riguarda le prime due e in decremento
per la Campania. Se, infatti, la Sicilia sale da 983 infrazioni a 1229 (+25%) di
quest’anno e la Puglia passa da 791 a 1020 (+28%), la Campania scende da
755 a 534.
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
13
14
15
LA CLASSIFICA DELLA PESCA DI FRODO NEL 2003
Regione
Infrazioni Persone denunciate Sequestri
accertate
o arrestate
effettuati
Sicilia ↔
1229
95
474
Puglia ↔
1020
284
517
Campania ↔
534
91
267
Lazio ↑
452
55
323
Sardegna ↑
259
22
1488
Calabria ↑
258
64
215
Veneto ↓
248
130
258
Emilia Romagna ↔
239
36
155
Liguria ↔
218
49
174
Marche ↓
212
14
349
Toscana ↓
197
21
402
Abruzzo ↓
135
10
79
Friuli Venezia Giulia ↔
52
4
171
Molise ↔
7
1
10
Basilicata ↔
0
0
0
totale
5.060
876
4882
Fonte: elaborazione Legambiente su dati Guardia di finanza,
Corpo forestale dello Stato e delle Regioni a Statuto speciale e Capitanerie di porto.
9.2 I casi esemplari
La “miniera” datteri
Il dattero di mare (Lithophaga lithophaga) è un mollusco bivalve
perforatore che colonizza le rocce calcaree, fino a 35 metri di profondità. Ad
eccezione di alcune zone in cui è divenuto una vera rarità, non è una specie in
via di estinzione, ma la sua cattura provoca la distruzione delle scogliere in cui
vive: i datteri vengono raccolti spaccando e sminuzzando la roccia con picconi,
scalpelli e addirittura martelli pneumatici. Il risultato è la completa rimozione
della copertura biologica dei substrati duri superficiali (da 0 a 15 metri di
95
Legambiente - Mare monstrum 2004
profondità), con conseguente desertificazione dei fondali. Si tratta di uno dei
più gravi fenomeni di erosione della biodiversità in Mediterraneo. Il dattero
vive nel suo cunicolo scavato nella roccia, in gallerie fusiformi che
costituiscono dei veri e propri microhabitat popolati da un gran numero di
organismi. Gli ambienti più minacciati dalla cattura del dattero sono quelli
litoranei di falesia calcarea, particolarmente abbondanti proprio nelle aree
prescelte per l’istituzione di riserve marine e risultato di processi evolutivi
particolarmente lunghi e complessi. Le zone più battute dai datterai nel nostro
paese sono le coste della penisola sorrentina, in particolare i fondali dell’area
marina protetta di Punta Campanella, le coste pugliesi, quelle delle Cinque
Terre e del litorale spezzino e le coste sud orientali della Sicilia.A causa della
pesca del dattero, siti caratterizzati dalla presenza di comunità complesse e che
svolgono un’attiva funzione filtratrice dell’acqua, si trasformano in deserti
rocciosi. Un dattero raggiunge 5 cm di lunghezza dopo circa 20 anni: una
crescita così lenta costringe i pescatori di datteri (datterai) a cambiare
continuamente luogo di raccolta, distruggendo ettari di fondale e riducendo al
tempo stesso la produzione di nuove larve. Le tecniche di immersione
subacquea consentono oggi a chiunque di accedere ai banchi, senza difficoltà e
senza limitazioni di tempo e profondità. Per prelevare i datteri vengono
utilizzati piccozze, scalpelli, martelli pneumatici e persino piccole cariche
esplosive, una vera catastrofe ambientale, uno dei più gravi fenomeni di
erosione della biodiversità in Mediterraneo paragonabile solo ai disastri
ecologici causati dal naufragio delle petroliere.
Il divieto di raccolta, detenzione e commercio di dattero di mare vige
nel nostro paese sin dal 1988. Più recentemente il decreto del 16 ottobre 1998
ha prorogato questo divieto. Una circolare del Ministero delle Politiche
Agricole ha chiarito infine che è perseguita allo stesso modo anche
l’importazione dall’estero di datteri di mare. Dunque chi offre datteri, sia in
pescheria che al ristorante, è di sicuro fuori legge.
Nonostante tutto, ogni anno in Italia vengono raccolte tra le 80 e le 180
tonnellate di datteri, equivalenti a 6-15 milioni di individui e a 4-10 ettari di
fondali desertificati. Ogni consumatore di datteri contribuisce in maniera
sostanziale a questo scempio: basti pensare che un piatto di linguine ai datteri
ne contiene circa 200 grammi, pari a 16 individui: pochi rispetto ai milioni di
cui si è detto, molti se si considera che per raccoglierli si è distrutto un
quadrato di fondale di 33 centimetri di lato.
Le cifre del disastro
15-25 kg: il prelievo giornaliero da parte di un datteraio “professionista”
500 kg: il prelievo giornaliero di datteri lungo la penisola sorrentina
30.000 mq i fondali desertificati dai datterai ogni anno nel Salento
70.000 mq di fondali desertificati ogni anno lungo la penisola sorrentina
2 milioni di euro: il giro d’affari annuale dei datterai nella sola penisola
sorrentina
1000 cmq: le dimensioni dell’area distrutta per un piatto di linguine ai datteri
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Legambiente - Mare monstrum 2004
Il pesce all’acqua pazza in Campania
Lo avevamo denunciato nei rapporti Mare monstrum degli ultimi due
anni. E negli ultimi mesi del 2004 il fenomeno è esploso in modo allarmante.
L’emergenza frutti di mare fuorilegge a Napoli e provincia è arrivata puntuale
con l’avvicinarsi dell’estate. I dati sui casi di epatite A segnalati e raccolti
dall’Asl Napoli 1 mostrano una decisa impennata nel corso del mese di aprile:
ben 65 contagi, ventisei contagi fino al 26 aprile e addirittura 39 casi nei
quattro giorni successivi. Il totale dall’inizio dell’anno è di 11 contagi, 108 fino
al 30 aprile, contro i 16 segnalati nei primi quattro mesi del 2003. Un aumento
di oltre sei volte. Per l’Istituto Superiore della Sanità, che da fine marzo si
occupa dell’emergenza sanitaria in Campania, si tratta di un problema molto
più serio di un allarme e sul sito www.epicentro.iss.it il problema in Campania
viene etichettato come <<epidemia di epatite A>>. La spiegazione è semplice:
vendita di frutti di mare “rinfrescati”, ossia conservati in bacinelle d’acqua di
dubbia provenienza e vendita e somministrazione di mitili mal cucinati.
Immediatamente è scattato un controllo sul territorio congiunto da parte di
Guardia Costiera, Guardia di finanza, Polizia, Vigili urbani per controllare a
tappeto pescherie, banchetti, spesso abusivi che sorgono come funghi in ogni
angolo di strada, e che offrono abusivamente cozze, e vongole. E’ bene invece
sapere che i mitili e le vongole per essere venduti correttamente devono essere
imbustati nei sacchetti dei centri di stabulazione, con tanto di etichetta dove
deve essere indicata la data di produzione), devono essere custoditi
all’asciutto, in frigorifero ed essere consumati nei sei giorni successivi dalla
data di uscita dallo stabilimento che li ha “purificati”. Le pescherie che
acquistano i sacchi contenenti frutti di mare, hanno quindi l’obbligo di non
“risciacquarli” in acqua perché è obbligatoria la loro conservazione in
frigorifero.
A Napoli, insomma più che di mucca pazza è lecito parlare di “pesce
all’acqua pazza” e sono soprattutto i frutti di mare infetti a preoccupare. E lo
sfizio di regalarsi una spaghettata o magari la famosa “impepata” per i cittadini
diviene un rischio. Rischio che talvolta si estende anche ad altre specie ittiche:
spigole ed orate scongelate con acqua torbida, cozze e calamari decorati con
spicchi di limone sulle bancarelle di mezza città, ma immersi in acqua di
dubbia provenienza. A Napoli le zone a rischio per la vendita di prodotti ittici
sono localizzati a Porta Nolana, Porta Capuana, Lavinaio, Borgo Sant’Antonio
Abate, Via Cinthia, Pianura ed Agnano. Secondo i dati SEIEVA (Sorveglianza
Epidemiologica Integrata Epatite Virale Acuta) dell’Istituto Superiore della
Sanità controllando il fattore di rischio "consumo frutti di mare", potrebbe
essere evitato fino ad oltre il 40% dei casi di epatite.
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Legambiente - Mare monstrum 2004
10. Mare amaro. Casi esemplari di danni alle coste
10.1 Sicilia
Dall’erosione delle coste ai porti selvaggi
L’erosione è un male che rischia di distruggere per sempre le spiagge siciliane
e con esse un importante valore ambientale sul quale si basa buona parte
dell’economia turistica della regione.
Le cause dell’erosione sono note: cementificazione dei corsi d’acqua,
urbanizzazione costiera con distruzione delle dune, porti e barriere di difesa
che interferiscono sul trasporto solido.
Ci si aspetterebbe che si intervenisse su queste cause per risolvere il
problema. Ma così non è stato ed ancora non è: la politica dell’emergenza è
preferita a quella della corretta pianificazione degli interventi; troppo forti gli
interessi in gioco. Solo in qualche caso, come a Capo d’Orlando in provincia di
Messina, è stato avviato ed è stato concluso un intervento di ripascimento della
spiaggia sulla base di un progetto che muoveva dall’accertamento delle cause.
Ma ci sono voluti più di 10 anni.
Altri interventi dello stesso tipo che
interessano le coste tirreniche della provincia sono bloccati da contenziosi
amministrativi legati all’assegnazione degli appalti. Nella maggior parte degli
altri casi si insegue il problema con interventi di “somma urgenza” consistenti
nella posa di scogliere frangiflutti che spostano l’erosione da un punto all’altro
esaltandone gli effetti: decine di milioni di euro letteralmente gettati in mare.
La speranza di una riconversione del sistema si era affacciata con la
programmazione dei fondi di Agenda 2000. Il Piano Operativo Regionale ha
previsto infatti una forte dotazione finanziaria per l’esecuzione di interventi di
ricostruzione e di riequilibrio delle spiagge intervenendo sulle cause
dell’erosione. Ma questa importante occasione rischia di essere sprecata.
Scorrendo l’elenco degli interventi proposti e finanziati con i fondi del POR,
per un investimento che supera i 126 miliardi di lire, ci si accorge
dell’incoerenza tra gli obiettivi e le opere previste, solo apparentemente
mascherata da titoli accattivanti: dietro la definizione “riqualificazione della
spiaggia” si nascondono interventi distruttivi, spesso progettati alla fine degli
anni ’80 e poi accantonati; altri, quasi certamente riprodurranno il fenomeno
erosivo o, bene che vada, si risolveranno in uno spreco di denaro con il quale si
sarebbe potuto rimuovere le cause scatenatati.
Gli esempi non mancano, ma due tra questi sono davvero clamorosi:
1) A Tusa è stato finanziato un intervento per la posa di una barriera
parallela alla linea di costa, che dovrebbe proteggere una inesistente
flottiglia di barche. Fin qui si tratterebbe del solito copione se non si
trattasse dello stesso progetto avanzato negli anni ‘90 (evidentemente la
situazione della flotta non era e non è così drammatica) che lo stesso
Consiglio Comunale di Tusa aveva ritirato con delibera del 1994
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Legambiente - Mare monstrum 2004
riconoscendone l’inutilità e la dannosità. Dopo quasi dieci anni nei
quali nessuno si era accorto del problema, il progetto è stato riproposto
tale e quale sfruttando i titoli e la dotazione del P.O.R.
2) A Sant’Alessio Siculo è stato approvato un intervento gigantesco (circa
33 miliardi di lire) basato sulla realizzazione di una barriera parallela
alla costa, una radente a difesa del muro del lungomare ed in mezzo il
ripascimento di sabbia. Fin qui si potrebbe osservare che il progetto
prescinde dalle precise indicazioni su cause e possibili rimedi formulate
da una Commissione Regionale nominata dal Presidente della Regione,
che la barriera soffolta riprodurrà la riflessione delle onde, che quella
radente sarebbe inutile, a meno non la si voglia intendere come una
sfiducia degli stessi progettisti circa la funzionalità di quanto loro stessi
propongono, che si rischia di spostare l’erosione nel Comune di Santa
Teresa di Riva. Sarebbe già motivi sufficienti per gridare allo scandalo.
Ma c’è di più: dell’intera opera è stato finanziato un primo stralcio,
relativo alla posa delle due scogliere, e per il ripascimento poi si vedrà.
Ma intanto che succederà? S. Alessio Siculo dovrà aspettare del tempo
per rivedere un poco della sua ex spiaggia e la vicina S. Teresa di Riva
vedrà scomparire inesorabilmente la propria.
Altro capitolo nero della storia marinara della Sicilia sono i porti. Per
un’isola è certamente importante averene, ma quando si pensa di farne uno
ogni tre chilometri allora, forse, c’è qualcosa che non quadra. Con buona pace
del quadro di riferimento regionale, anch’esso non esente da stranezze, non c’è
comune costiero che non si dia da fare per avere il suo bravo porto.
Il solo Piano di Riqualificazione Urbana e Sviluppo Sostenibile del Territorio
(PRUSST) Valdemone, tanto per citare un esempio, prevede l’inserimento nei
programmi di finanziamento di ben 11 nuovi porti in circa 150 Km di costa.
In soli 70 km, tra Tusa e Patti, sulla costa tirrenica della provincia di Messina
ne sono previsti otto, uno per comune, tranne quello di Piraino per
l’esattezza.E’ abbastanza evidente che se fossero realizzati tutti si finirebbe con
l’avere un posto barca ogni due abitanti e che gli effetti delle opere mare
finirebbero col far scomparire quelle spiagge la cui balneabilità dovrebbe
attirare eventuali diportisti.
Anche in questo caso, è sempre il turismo ad essere usato come
grimaldello per pesanti trasformazioni del territorio costiero che ne
distruggeranno la bellezza e quindi i presupposti di quelle attività che si
vorrebbero favorire.
Il caso più clamoroso in questo senso è dato dal Porto di Taormina,
previsto in località Villagonia che, ove realizzato, distruggerebbe uno dei più
importanti paesaggi costieri della Sicilia e dell’intero Mediterraneo.Il progetto,
la cui straordinaria invadenza è stata già esibita sulle pagine dei più autorevoli
quotidiani italiani, prevede la costruzione di una diga foranea di oltre 800 metri
di lunghezza per 6 metri di altezza, la realizzazione di banchine e moli nonché
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Legambiente - Mare monstrum 2004
pontili galleggianti, ma anche la devastazione della spiaggia della baia su cui
verrebbero scaricate centinaia di migliaia di metri cubi di cemento per le opere
di edilizia portuale (come si vedrà più avanti si tratta semplicemente di un
escamotage che nasconde la realizzazione di edifici altrimenti vietati dalla
legge) e di servizi al Porto; ed ancora un’area di parcheggio posta a monte
dell’attrezzatura stessa che sconvolgerebbe i delicati equilibri geomorfologici
dei ripidi versanti.
Taormina già soffre di insostenibili problemi di congestione ambientale
ed insediativa che tendono a degradarne la qualità ambientale e quindi anche
dell’offerta turistica. Un così pesante incremento di nuove attrezzature e
soprattutto di nuove attività ricettive è un’operazione assolutamente da evitare,
tanto più se le stesse, come nel caso in questione, costituiscono un inaccettabile
attacco al paesaggio che rappresenta il più importante bene che fa di Taormina
un luogo unico. Una simile operazione è superficialmente giustificata come
elemento di promozione dell’economia turistica ma, in realtà, produrrebbe
certamente l’effetto opposto: il degrado dell’offerta turistica di Taormina e
quindi l’esaurimento della sua fonte economica principale. E’ infatti di tutta
evidenza che l’offerta turistica di Taormina si è potuta affermare nel mondo
proprio perché espressione di un modello orientato verso criteri di qualità, che
ha fatto di questa località (come di poche altre) l’archetipo di un turismo che ha
nella bellezza e nell’identità territoriale il suo punto di forza, capace di
competere sul mercato globale del turismo. Caso più unico che raro in Sicilia!!
Se si dovesse invertire questo modello scegliendo la strada del consumo del
territorio e del paesaggio per far posto ad opere quale il porto turistico (del
tutto inutile dal momento che dista poche centinaia di metri da quello di
Giardini Naxos) e ad ulteriori e immotivati insediamenti (ben oltre la capacità
di carico del territorio), non è difficile prevedere il declino di Taormina e della
sua economia turistica. E’ utile ricordare anche che la zona interessata dal
progetto è sottoposta a vincolo paesaggistico ai sensi della Legge 431/85 e
seguenti ed è segnalata dalle Linee Guida del Piano Territoriale Paesistico
Regionale come area a rilevante suscettività paesaggistica ed ambientale, oltre
a rientrare nella fascia di inedificabilità assoluta di cui all’articolo 15 della
legge regionale n. 78/76 in cui sono vietate nuove costruzioni ad eccezione di
quelle destinate alla diretta fruizione del mare. Il progetto preliminare, che il 25
giugno 2004 sarà esaminato in conferenza dei servizi, prevede all’interno del
porto alcune vere e proprie strutture ricettive e commerciali la cui
realizzazione, non potendo ragionevolmente (ma anche ai sensi delle
giurisprudenza sull’argomento) rientrare tra quelle tipologie sopra descritte per
cui è prevista la deroga, sarebbe del tutto illegale. L’impatto ambientale del
progetto si prefigura come devastante: esso cancellerebbe importanti profili
paesaggistici, rilevanti unità morfologiche ed ecosistemi tipicamente
mediterranei di assoluto pregio che storicamente hanno costituito il “logo”
Taormina nel mondo. Secondo autorevoli notizie di stampa, il rispetto del
vincolo paesaggistico si esaurirebbe nell’incredibile e grottesca soluzione del
rivestimento delle opere in cemento con mattonelle di ceramica siciliana.
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Legambiente - Mare monstrum 2004
Davanti all’evidente rischio di banalizzazione del vincolo paesaggistico,
Legambiente Sicilia ha chiesto all’assessore Fabio Granata di assumere tutte le
necessarie iniziative per far valere un vincolo tanto importante ed impedire la
realizzazione di un progetto che si configura come attacco sfrontato ed
arrogante ad un patrimonio paesaggistico di interesse mondiale, nonché di
sottoporre la questione al parere del Consiglio Regionale dei Beni Culturali del
quale ha sollecita l’insediamento. La risposta dell’assessore non si è fatta
attendere e fa ben sperare.
"Il dato paesaggistico e ambientale dell'insenatura fra Giardini Naxos e
Taormina rappresenta un unicum di straordinaria valenza che nessuno può
pensare di intaccare. I porti turistici sono fondamentali per la Sicilia ma i
progetti devono essere sostenibili, coerenti e razionali": questa la risposta di
Fabio Granata, che ha insistitito sull'intesa con le forze politiche locali e
dell'associazionismo: "Sia da parte dei consiglieri comunali di Giardini Naxos
che da parte di associazioni e della societa' civile, ho ricevuto sollecitazioni a
supervisionare la vicenda autorizzativa e in pieno accordo col soprintendente
Villari non mi tirero' indietro", ha assicurato l'assessore che ha concluso:
"Taormina affascinava e affascina i grandi viaggiatori del turismo d'elite
proprio per l'incommensurabile bellezza del suo paesaggio, per questo tutelarlo
e' un dovere. Per non sradicare Taormina e non trasformarla in una copia
improbabile e sbiadita di Palma de Mallorca", tanto più che "la zona e' tutelata
dal vincolo paesaggistico".
Un
successivo
pronunciamento
del
Consiglio
Regionale
dell’Urbanistica sul progetto mette, almeno per il momento, uno stop
all’intervento.
L’organo regionale ha infatti bocciato il progetto proposto dalla
Russotti Finance. Ancora non è stato pubblicato il verbale della riunione, ma
dalle indiscrezioni trapelata sulla stampa pare proprio per gli stessi motivi che
avevano suscitato l’allarme di Legambiente e dell’opinione pubblica
nazionale.La battaglia sembra vinta, ma non bisogna abbassare la guardia
perché l’intervento potrebbe essere riproposto in altre forme.Proprio per questo
è nostra intenzione, informare e sensibilizzare l’opinione pubblica sui rischi
connessi ad interventi di questo tipo. Specialmente in Sicilia, molti guasti
all’ambiente hanno avuto come copertura una malintesa concezione dello
sviluppo che è stata però fatta propria da larga parte dell’opinione pubblica.
La sfida che dobbiamo sostenere è proprio quella di ribaltare questo
modello spiegando, e possibilmente dimostrando, come il vero “sviluppo” sia
legato alla conservazione della bellezza e dell’identità territoriale.
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Legambiente - Mare monstrum 2004
10.2 Toscana
Sabbia tossica. Il caso di Rosignano Solvay
Secondo quanto riferisce il Rapporto 124 del sito Unep Map è una fra le
quindici località costiere più inquinate d’Italia, ma il suo colore artificiale è
talmente suggestivo che ne ha fatto, nel corso degli anni, uno dei set preferiti
per l’ambientazione di spot pubblicitari, calendari, video musicali. E’ la
spiaggia di Rosignano Solvay, il comune costiero toscano che deve il suo nome
all’insediamento industriale che per anni ha scaricato a mare la soda.
Ma quel che preoccupa di più è la presenza di mercurio sversato nel
corso dei decenni dalla Solvay. Si stima infatti che siano almeno 500 le
tonnellate di mercurio depositate lungo le spiagge bianche fino ad una distanza
di 14 Km dalla linea di battigia. Il mercurio presente non è affatto tombato o
inerte, ma è in circolo a causa delle mareggiate e delle radiazioni solari.
Uno studio del CNR di Pisa (Prof. Ferrara, anno 2000) ha evidenziato
infatti che tramite le radiazioni solari nelle ore più calde, ogni Mq di mare
emette in atmosfera 164 nanogrammi di mercurio, che si vanno ad aggiungere
ai 480 Kg di mercurio che in vapore escono ogni anno dall’impianto
industriale.
Isola d’Elba. Un mare in gabbia
Una sentenza della Corte di Cassazione ha definitivamente sancito che
tutte le spiagge debbono poter essere raggiunte liberamente. Non possono
esistere reticolati, sbarre e “strade private” che impediscano l’accesso dei
cittadini, perché la costa e le spiagge sono di tutti. Purtroppo, all’Elba in molte
spiagge non è così. Oltre ai casi di coste chiuse, inaccessibili, introvabili, ci
sono anche le segnalazioni di malcostume, di abusi sulle coste, di occupazione
di tratti di arenile da parte di stabilimenti balneari che tendono ad occupare più
di quanto dovrebbero e di titolari di licenze per affittare sdraio ed ombrelloni
che occupano le spiagge come se avessero una concessione. Vediamo alcuni
casi significativi.
Cala dei frati (Portoferraio)
E’ una spiaggia di ghiaia bianchissima di circa 100 metri, a un tiro di schioppo
dalla spiaggia delle Ghiaie, ma irraggiungibile via terra. Esisteva uno stradello
che partiva dalla strada della Padulella, ma è stato chiuso e l’intera fascia
costiera è stata recintata da privati. Il Comune aveva promesso di liberarla
entro l’estate 2002, non è stato fatto nulla.
Costa di Remontò (Cote Tonda) (Marciana marina)
Sono vietate tutte la costa e tutte le spiaggette tra la spiaggia del Bagno e
quella dello Schioppo. Proprio dalla spiaggetta dello Schioppo partiva un
sentiero che permetteva di raggiungere questo tratto di costa. Il sentiero è
crollato da anni e Remontò è irraggiungibile da terra, completamente
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Legambiente - Mare monstrum 2004
privatizzati costa e spiaggette a beneficio delle ville nate nella fascia costiera
sotto la provinciale tra Procchio e Marciana Marina.
Acqua della Madonna, Maccarello (Marciana marina)
I sentieri che portavano a queste due spiaggette di ghiaia sono stati inghiottiti
dalla macchia o chiusi da proprietà private. Non esiste nessuna segnalazione
anche per altre piccole insenature tra Sant’Andrea e Punta della Zanca.
Sant’Andrea (Marciana marina)
Numerose lamentele per l’ occupazione della spiaggia, anche parte dell’arenile
con barche tirate in secco, e per il traffico di natanti a noleggio vicino alla
spiaggia che, oltre che pericolosi, procurano un discreto inquinamento.
Il Cantone (Marciana marina)
Nonostante le proteste di cittadini e turisti, il tratto di spiaggia libera del
Cantone, sul lato ovest dell’arenile di Procchio, è stato fortemente ridotto a
vantaggio della concessione dell’hotel del Golfo. Il fazzoletto di spiaggia libera
rimasto è in ombra già nel primo pomeriggio.
Calandri (Campo nell’Elba)
Sono due spiaggette non segnalate, accanto a Galenzana, prima raggiungibili
con sentieri. Oggi l’accesso è impedito da una recinzione in legno.
Galenzana (Campo nell’Elba)
E’ una delle spiagge simbolo per gli ambientalisti elbani che da sempre lottano
perché questa magnifica spiaggia non venga trasformata in un porto o
completamente privatizzata. L’accesso pubblico che portava alla scogliera e
poi alla spiaggia è crollato e Galenzana è raggiungibile solo con un nuovo
sentiero più in alto che evita accuratamente un tratto di costa ormai
privatizzato. Tutto il retro spiaggia è recintato da privati
Colle Palombaia (200 scalini) (Campo nell’Elba)
Da anni Legambiente Arcipelago Toscano, il WWF e i cittadini (questa è la
spiaggia dei Sanpieresi) denunciano un uso improprio di una porzione di questa
bella spiaggia di ghiaia e sabbia nera. Negli ultimi anni sono sorti manufatti e
costruzioni di dubbio gusto e depositi di materiale (compreso letame di cavallo
per concimare palme che lì non ci potrebbero stare) con il chiaro tentativo di
appropriarsi di una vasta porzione di costa. La spiaggia è compresa nel Parco
Nazionale dell’Arcipelago Toscano.
Capo d’Arco (Rio Marina)
La costa è interamente privatizzata da un villaggio per “VIP”. Una sbarra
impedisce l’accesso all’area molto prima della spiaggia e della scogliera che
sono a completo uso dei proprietari delle abitazioni di Capo d’Arco.E’ forse il
caso più eclatante di privatizzazione della costa elbana.
Vigneria, Direttore (Rio Marina)
L’accesso via terra è impedito dalla proprietà mineraria.
Spiagge di Francesche, Calamita,Cannello (Capoliveri)
Sono spiagge inaccessibili via terra perché ricadono nel compendio minerario.
In questi casi è lo Stato ad impedire il libero accesso alle spiagge.
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Legambiente - Mare monstrum 2004
Straccolignino, (Capoliveri)
L’accesso alla spiaggia è privato, l’unica alternativa è un pericoloso sentiero
sugli scogli che congiunge la spiaggia a Straccoligno.
10.3 Puglia
Amianto in spiaggia. Torre Quetta a Bari
E’ un tratto di costa di ben dodici chilometri a sud di Bari, uno dei più
frequentati dai bagnanti e che ora è lugubremente delimitato da una fettuccia di
plastica bianca e rossa. Non ci sono sdraio, niente ombrelloni o asciugamani e
gli unici frequentatori autorizzati sono i tecnici dell’Arpa Puglia in tuta bianca,
cappuccio e mascherina che, come fossero sul set di un film da “day after”,
prelevano campioni di sabbia da analizzare. Torre Quetta era una delle spiagge
più frequentate dai baresi, oggi è off limits per la presenza di residui d’amianto
scaricati negli anni e provenienti dalla Fibronit, una fabbrica chiusa da quasi un
ventennio che produceva materiali per l’edilizia a base d’amianto.
Quelli trascorsi sono stati mesi caratterizzati da bracci di ferro e
rimpalli di responsabilità fra il sindaco di Bari e i vertici dell’Arpa riguardo la
necessità di chiudere quel tratto di costa alla balneazione. Alla fine i risultati
delle analisi hanno costretto il primo cittadino a chiudere la spiaggia. I dati
ufficiali parlano di circa un centinaio di morti per mesotelioma riconducibili
alla presenza della Fibronit, ma secondo la Consulta delle Associazioni per
l’emergenza ambientale le morti accertate sarebbero almeno il doppio. La
campagna elettorale a Bari ha vissuto anche attorno alla vicenda della spiaggia
di Torre Quetta ed Emiliano, neoeletto sindaco di Bari, ha dichiarato la nascita
del parco urbano sull’area di Torre Quetta. Il Parco della Rinascita, questo il
nome scelto per il parco, prevederà l’inedificabilità assoluta su tutta l’area.
Lo scalo Marina di Novaglie (Gagliano del Capo)
Potrò o non potrò mai più fare il bagno allo Scalo di Novaglie?. Se lo
chiede un turista che da 30 anni abitualmente villeggia a Novaglie, e che per i
suoi problemi di deambulazione da sempre è costretta a fare il bagno nel
canalone dello scalo, unico posto a lei accessibile. E’ difficile dare una risposta
chiara alla povera bagnante, e come lei a quei quasi 100 villeggianti abituali
dello Scalo, soprattutto famiglie con bambini, anziani, disabili che non
riescono ad accedere altrimenti a Novaglie. La situazione della splendida perla
salentina si è notevolmente complicata negli ultimi mesi, per via dell’avvio di
una privatizzazione massiccia del Demanio Marittimo a favore del ristorante
adiacente al canalone che ha stravolto la situazione di accessibilità al mare. N
Non sono bastate 4.000 firme dei cittadini raccolte dal comitato SOSCOSTA “Tricase-Novaglie-Leuca”, non è bastata una massiccia mobilitazione
che ha avuto ampio eco sulla stampa e sulle TV, non è bastata una occupazione
simbolica di Novaglie il 16 maggio e un convegno contro la privatizzazione
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Legambiente - Mare monstrum 2004
con i sindaci del sud Salento. L’ufficio regionale del demanio marittimo, ha
concesso, punto e basta. Ma è stata così forte la foga “concessiva” della
Regione che il proprietario del ristorante per inerzia è arrivato a costruire una
piattaforma, sempre sul demanio marittimo e sotto gli occhi di tutti, di quasi
100 metri, del tutto abusiva prontamente sequestrata dai vigili urbani e dai
Carabinieri, con relativa denuncia alla Procura della Repubblica di Lecce.
Sono molti i lati oscuri della vicenda: ad esempio, sembra inspiegabile
la facilità con cui si è ottenuta la concessione a Novaglie, data la morfologia
del territorio assolutamente non adatto a un turismo di massa, come quello che
lasciano intendere tali politiche del territorio. Nonostante tale zona sia
individuata come “sito di interesse Comunitario”, ed in dirittura d’arrivo la
costituzione del Parco naturale Otranto S.M. di Leuca – Bosco di Tricase, non
si spiega come si possono conciliare con la creazione di servizi e stabilimenti
balneari.
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Legambiente - Mare monstrum 2004
11. Le vittorie di Mare Monstrum
Si arricchisce di anno in anno il bottino di successi raccolti da
Legambiente, grazie all’assegnazione delle bandiere nere e alle battaglie
denunciate in Mare monstrum. E’ una strada impervia, faticosa e piena di
ostacoli, ma i risultati raggiunti in termini di denunce, dopo cinque anni di
attività sono piuttosto soddisfacenti, perché è stata proprio l’assegnazione della
bandiera nera a bloccare molti scempi esemplari ai danni delle coste italiane, o
comunque è servita a far punire i malfattori. Vediamo di seguito i casi più
significativi dell’ultimo anno.
Le nuove ….
Diga sulla Foce Chioma (Livorno)
E’ praticamente già un epilogo la pronuncia del Consiglio di Stato
nella quale si dichiara “legittima l’ingiunzione di demolizione ordinata dal Tar.
La diga costruita davanti al porticciolo di Chioma deve essere abbatuta.”
Sembra avviarsi così, a felice conclusione una battaglia ambientalista durata
molti anni. La struttura incriminata è una diga frangiflutti lunga circa cento
metri e alta quattro, largamente impattante sul tratto di costa interessato, già
compromesso dall’erosione che procede inesorabile anche in questo tratto
roccioso. L’azione del moto ondoso compromessa dalla costruzione della diga,
modifica gravemente i processi morfologici di erosione e deposito che regolano
la costa limitrofa, mettendo anche in serio rischio le cosiddette “argille a
palombini”, una formazione geologica cretacica che con le sue pieghe ha reso
famoso questo tratto di paesaggio. L’ingiunzione di demolizione del Consiglio
di Stato arriva a seguito dei provvedimenti già intrapresi dalla Procura di
Livorno, che sequestrò l’opera, e dalla Capitaneria di Porto che ritirò
l’autorizzazione ai lavori, in quanto i lavori autorizzati, prevedevano soltanto la
messa in sicurezza della foce, a protezione di un punto di ormeggio per una
quarantina di imbarcazioni, ma di fatto la situazione appare molto diversa e
induce a far credere che la barriera protettiva abbia costituito il pretesto per
realizzare un porto “mascherato”, in barba ai piani regolatori e al piano
regionale.
Il complesso residenziale di Fossa Maestra (Massa Carrara)
Abbattuto anche l’ecomostro del Residence Paradiso adiacente alla
spiaggia di Marina di Carrara. Un abuso che dal 1992 troneggiava in un’area
dove in realtà il Piano regolatore prevedeva "attrezzature collettive balneari”.
La battaglia portata avanti dal circolo locale di Legambiente, dopo varie
vicissitudini ha finalmente concluso il suo iter, ora bisognerà vigilare perché si
realizzi al più presto il ripristino e recupero dell'area umida, prevista dal Piano
strutturale in vigore.
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Legambiente - Mare monstrum 2004
Lo strano caso dell’isola di Cerboli (Livorno)
Cerboli è un isolotto calcareo nel canale di Piombino, a circa 8
chilometri dall’Elba. Rientra nel perimetro del Parco Nazionale
dell’Arcipelago Toscano ed è una zona di protezione speciale ZPS di Bioitaly.
L’isola, che ha una estensione di 0,04 kmq., è interamente ricoperta di macchia
di cisto marino, gariga e lentisco. Le sue caratteristiche faunistico-botaniche
non sono ancora del tutto studiate e note ma, per certo, ospita endemismi
vegetali ed animali dell’Arcipelago ed una sottospecie di lucertola che vive
solo in quell’ambiente, la “ Pordacis sicula cerbolensis”. Sull’isola sono stati
segnalati anche esemplari di Marangone dal ciuffo” Phalacrocorax aristotelis”,
un piccolo cormorano che nidifica in sole 30/40 coppie in tutto l’Arcipelago
Toscano. Gli unici segni del lontano passaggio dell’uomo, sono una piccola
cava dismessa e qualche rudere diroccato.
La storia ha inizio nel giugno 2001, quando l’allora Prefetto di Livorno
(poi finito nelle vicende giudiziarie sulla malaedilizia all’Elba) rispondendo ad
un comunicato di Legambiente e Italia Nostra contrario alla trasformazione
dell’isolotto di Cerboli in un’improbabile base della Protezione civile,
affermava di essere a conoscenza del cambio di proprietà dell’isola e spiegava
che i nuovi acquirenti sarebbero stati favorevoli ad un utilizzo dell’isola “non
certo a fini speculativi”. Ma chi erano i veri proprietari di Cerboli? La prima
società che acquista Cerboli è la J. Livingston srl, immobiliare, commerciale e
finanziaria, con sede a Massa, che risulta inattiva, con nessun dipendente e
fornisce un recapito fittizio. La J. Livingston è costituita da due soci: un privato
ed una società immobiliare e finanziaria, la Fingestim srl di Massa, che detiene
la quasi totalità delle quote societarie. Anche la Fingestim non ha dipendenti ,
risulta inattiva e fornisce come recapito della sede amministrativa quello di
un’altra società, la “ Palazzo di vetro srl” di Massa. Il recapito telefonico è di
altra località e l’intestatario è defunto da anni. La sede operativa di Fingestim
risulta a Viareggio, ad un indirizzo fittizio e con un recapito telefonico che
rimanda all’elenco di Massa, più precisamente al “ Centro Studi Apuano”,
associazione ospitata nello stesso stabile della “ Palazzo di vetro srl”. La
Fingestim sembrerebbe la proprietaria dell’isola di Cerboli, ma non è così. La
Fingestim, costituita fra 3 soci elbani nel 1999, il 24/04/2001 ha ceduto il 99%
delle sue quote alla Simtex Management Limited ed il restante 1% all’ingegner
Uberto Coppetelli (altro nome che in futuro appare spesso nelle vicende
giudiziarie elbane) che il 5/04/2001 ne era diventato amministratore unico. La
Simtex Management Limited non è iscritta a nessuna Camera di Commercio
italiana e sembra essere inizialmente una società off-shore, probabilmente con
sede nell’isola di Man, ma successive indagine la ubicano presso la City di
Londra. La proprietà dell’isola di Cerboli è dunque nascosta da un intrico di
scatole cinesi, ma una cosa è certa: si tratta sempre di società immobiliari che
hanno tra i propri fini l’attività edificatoria, finanziaria, commerciale diffusa ed
anche la gestione di sale da gioco.Nel luglio 2001, con un blitz di Goletta
Verde, Legambiente porta il caso Cerboli all’attenzione nazionale e da quel
momento si assiste ad un eclissarsi degli appetiti speculativi. Che tuttavia non
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Legambiente - Mare monstrum 2004
si placano del tutto fino all’estate 2003 quando Legambiente denuncia la messa
in vendita dell’isola dalla misteriosa Simtex. Dopo di ciò tutto sembra sfumare,
anche se le preoccupazioni sul futuro di Cerboli rimangono intatte.
Il porto di S. Felice Circeo (Latina)
Un’altra bandiera andata a buon fine quella assegnata lo scorso anno
per l’ampliamento del Porto di S. Felice Circeo, che dopo la stroncatura del
Tar, dell’Unione Europea, delle associazioni e dei comitati locali vede
finalmente lo stop definitivo da parte del Consiglio di Stato che ha rigettato le
opposizioni presentate dalle parti in causa. La vicenda prende il via nel maggio
del 1999, quando la PENTA Srl, società a responsabilità limitata con unico
socio, con sede in Ferentino (Fr), presentava alla Capitaneria di Porto di Gaeta
una richiesta di concessione demaniale marittima cinquantennale per
l’ampliamento del Porto turistico di S. Felice Circeo. Detto progetto prevedeva
un incremento di oltre 200 posti barca, rispetto agli attuali 250 accoglibili, con
conseguente realizzazione di tutte le infrastrutture necessarie (pontili,
parcheggi ecc.) ed andava ad interessare una superficie totale di 56.650 mq, di
cui mq. 500 di area terrestre e mq. 56.150 di specchio d’acqua. L'area
demaniale interessata dall'ambizioso progetto ricadeva in un delicato contesto
ambientale, essendo sottoposta a vincolo paesaggistico (d.lgs. 29 ottobre 1999,
n. 490 - d.m. 20 luglio 1967) e a un “doppio” vincolo naturalistico, essendo il
promontorio del Circeo, sul quale sarebbe andato a ricadere parzialmente
l'intervento, compreso nel territorio del parco nazionale del Circeo che è, a sua
volta, compreso nell’elenco dei Siti di importanza comunitaria e nelle zone di
protezione speciale. Il progettato ampliamento del Porto di San Felice Circeo,
oltre ad avere pesanti ripercussioni a livello ambientale, si poneva anche in
contrasto con una Delibera del Consiglio Regionale che, pur prevedendo la
possibilità di un ampliamento del porto esistente, stabiliva che esso non doveva
essere eccessivo, considerate le “difficoltà di collegamento stradale, la ripidità
delle pendici incombenti e la limitata disponibilità delle aree terrestri”, e
consigliava di studiare provvedimenti per l’eliminazione della barra sabbiosa
che si forma presso l’imboccatura portuale, auspicando prioritariamente che il
Comune assuma iniziative decise per una razionalizzazione del porto esistente.
Quello che ancora sorprende di tutta la vicenda è come sia stato possibile
rilasciare alla società Penta Srl la concessione demaniale per l'ampliamento del
porto di San Felice Circeo nonostante le diverse segnalazioni ed esposti
inoltrati da Legambiente, e da privati cittadini, alle autorità competenti,
ricalcanti peraltro le perplessità espresse in prima battuta da tutte le
amministrazioni coinvolte nel procedimento circa l'illegittimità della procedura
e l'inopportunità dell'intervento, perplessità poi tutte condivise dai successivi
interventi.
Villaggio Coppola (Caserta)
Fra i successi eccellenti di quest’anno è senz’altro da annoverare la
completa demolizione di tutte le torri del Villaggio Coppola “Pinetamare”.
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Legambiente - Mare monstrum 2004
Dopo una battaglia che si è trascinata per anni e anni, all’inizio di quest’anno,
finalmente le ultime tre, delle otto torri del villaggio abusivo sono state
abbattute Per descrivere sinteticamente la storia di questo scempio bastano
poche parole: dune mobili e una splendida pineta di proprietà demaniale
sostituite da un “paese privato e abusivo” per oltre 15.000 abitanti, un mostro
di pietre e cemento lungo quattro chilometri costituito da otto grattacieli
identici di dodici piani, con almeno ottanta appartamenti l'uno, 1300 posti auto,
hotel e residence, pizzerie e rosticcerie, un porto privato per seicento posti
barca, una chiesa e un cinema. Ma il progetto di recupero del Villaggio
Coppola non si deve fermare e dare corso al progetto di riqualificazione
dell’intera area. Nel frattempo 101 ettari della Pineta Grande, sopravvissuti al
degrado, sono stati affidati al Corpo Forestale per un periodo sperimentale di
tre anni, in modo che siano garantiti manutenzione e ripristino del verde
L’ecomostro di Punta Alice a Cirò Marina (Crotone)
E’ stato demolito a Ciro Marina, l’alto fabbricato, edificato negli anni
Settanta e mai del tutto finito, prospiciente le spiagge di Punta Alice.
L’ecomostro, su cui Legambiente aveva puntato i riflettori, è caduto sotto
l’urto delle ruspe dopo che il Comune del crotonese aveva emanato
un’ordinanza di demolizione. La costruzione, che avrebbe dovuto ospitare uno
stabilimento balneare, era stata realizzata in assenza di concessione edilizia e
insisteva su un’area demaniale. La struttura portante in cemento armato era alta
una quindicina di metri e presentava tre piani, un attico, due corpi di fabbrica a
piano terra e una passerella. L’ultimo proprietario dell’immobile non si è
opposto alla demolizione.
Stalettì (Catanzaro)
In questo caso si tratta di una vittoria parziale, perché l’ecomostro di
Villaggio Lo Pilato con i suoi 16mila metri cubi continua a deturpare la Baia
di Copanello di Stalettì, sul versante ionico catanzarese, ma comunque di
vittoria si tratta perché la parte più evidente, uno scheletro di tre piani costruito
proprio sulla scogliera è caduto sotto i colpi delle ruspe. La demolizione è
avvenuta in tempi molto rapidi grazie anche allo stanziamento di 40.000 euro
messi a disposizione dal ministero per l’Ambiente e la Tutela del territorio.
Calasetta e i fanghi rossi di Portoscuso (Cagliari)
Importante vittoria quella raggiunta nel comune sardo di Portoscuso
(Ca), in località Sa Foxi – Portovesme, dove esiste da tempo un bacino di
stoccaggio di fanghi rossi prodotti dalle attività industriali della società
Eurallumina. Il territorio circostante ha già pagato un pesante tributo al dio
della produttività, l’ambiente appare definitivamente compromesso, eppure
gli appetiti dell’Eurallumina non sembravano essere finiti visto che aveva
richiesto alla Regione Sardegna di realizzare una discarica di 80 ettari a mare
per 10 milioni di metri cubi di fanghi rossi.
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Legambiente - Mare monstrum 2004
Per fortuna, le battaglie per fermare questo scempio hanno avuto ragione, è
stata bloccato l’ampliamento della discarica a mare che vedrà, invece, il suo
ampliamento nella parte interna. Così come è stato bloccato il vergognoso
ripascimento delle spiagge di Calasetta con la sabbia contaminata proveniente
dai lavori di escavazione del Porto industriale di Portoscuso. I fondi già
accantonati dalla precedente Giunta a questa operazione (€ 206.055,88) sono
stati destinati ad altri capitoli di spesa, e per la gestione delle spiagge, su
pressione di Legambiente, saranno acquistati specifici macchinari per la
pulizia e la rimozione delle alghe spiaggiate in modo anomalo.
…. e quelle storiche
La Stoppani di Cogoleto (Genova)
Era il 2001 quando fu assegnata la bandiera nera alla Stoppani di
Cogoleto, l’azienda produttrice di cromo che per oltre un secolo ha inquinato il
litorale antistante le spiagge di Arenzano e Cogoleto con cromo, cadmio ed
altri metalli pesanti. La fabbrica ha inquinato anche il torrente Larone a causa
del dilavamento dei fanghi stoccati nella discarica di Molinetto, le falde
sotterranee sono risultate inquinate con valori ben 24.000 volte oltre i limiti di
legge e problemi di inquinamento persistente si riscontrano anche sul mare e in
atmosfera. Dopo l’assegnazione della bandiera nera, e dopo un’infinita serie di
procedure giudiziarie, finalmente la fabbrica del cromo è stata chiusa e l’area è
stata inserita nei siti da bonificare indicati dalla legge 426/98. Ora è arrivato
finalmente il momento di avviare la bonifica dell’area per intraprendere
iniziative economiche specifiche che non sono certo quelle della produzione
chimica, ma semmai di turismo di qualità, tutela dell’ambiente e valorizzazione
del territorio.
Villa Marina a Marina di Ravenna
Grazie alle pressioni fatte da Legambiente e all’assegnazione della
bandiera nera è stata bloccata la lottizzazione del “Villa Marina”
dell’industriale Giacobazzi, che aveva chiesto e ottenuto la concessione per la
costruzione di una mega-struttura balneare sulla spiaggia di Marina di
Ravenna che, una volta realizzata avrebbe stravolto l’unico tratto di spiaggia
libera sulla quale si sono ancora mantenuti intatti i cordoni dunosi. Il tutto in
un’area paesaggisticamente e ambientalmente vincolata, nonché Sito di
Importanza Comunitaria.
Ex colonia Varese a Milano Marittima
Anche in questo caso uno splendido tratto di duna miracolosamente
scampato all’urbanizzazione massiva di quest’area è stato vittima per anni di
una serie di interventi vandalici e oggetto di mire speculative, nonché
trasformato in pista per gare di motocross. Dopo l’assegnazione della bandiera
nera, l’area è stata cintata, i rombi delle moto sono spariti e sono stati bloccati i
progetti di speculazione.
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Legambiente - Mare monstrum 2004
Il porto di Fossacesia (Chieti)
Qui, purtroppo l’assegnazione della bandiera nera nel 2000 non è
riuscita a bloccare la realizzazione, ormai purtroppo quasi completata, di un
porticciolo turistico per circa 400 posti barca su uno degli ultimi tratti di costa
non cementificata del litorale adriatico in prossimità della foce del fiume
Sangro, all’interno dell’istituendo Parco Nazionale della Costa Teatina.
Tuttavia gli strali congiunti di Legambiente, Wwf e Italia Nostra, che
si sono mobilitati per impedire la costruzione del porto, alla fine hanno sortito
qualche effetto presso l'Unione europea che ha avviato un procedimento di
infrazione nei confronti della Regione Abruzzo per l'intervento in un Sito di
Importanza Comunitaria. Infatti, la speculazione nell’area di grande interesse
naturalistico, interessata da flussi migratori avi faunistici, è stata
particolarmente favorita dall’atteggiamento piratesco dell’amministrazione
regionale, che dopo aver riconosciuto il valore naturalistico della zona, in un
secondo momento, per consentire la realizzazione del porto, l’ha declassata. Il
tutto per fare spazio ad un porto che oltre ai posti barca prevede bar, ristoranti,
minimarket, negozi e strutture di pronto intervento. E come se non bastasse, a
completare il quadro, ci sono i dati dell’Ucina che confermano come la
domanda della navigazione da diporto poteva essere soddisfatta dalle vicine
strutture di Pescara, Ortona e Vasto. Ma grazie al furore cementificatorio di
Regione ed enti locali, il litorale abruzzese rischia di raggiungere in un
brevissimo arco di tempo una densità di aree portuali da Guinness dei Primati:
una ogni 13 chilometri. Nella stessa fascia di litorale, infatti, è già in
programma la costruzione di nuovi attracchi, sebbene gli stessi operatori
economici del settore abbiano espresso la propria perplessità rispetto a nuovi
progetti.
Porto Miggiano, Comune di Santa Cesarea Terme (Lecce)
Qui, nonostante l’allarme lanciato da Legambiente lo scempio ai danni
di uno dei paesaggi cartolina del Salento si è compiuto. Ciò nonostante, a
fermare i lavori sono stati i sigilli della Guardia di Finanza su ordine dei
sostituti procuratori della Repubblica. Iscritti nell’elenco degli indagati per i
lavori relativi alla costruzione del complesso turistico dotato di ristorante, bar,
due piscine di acqua salata, appartamenti e parcheggi su circa 45mila metri
quadri: i fratelli Merico della Società turistico Alberghiera che ha realizzato la
struttura, l’imprenditore Montinari e l’ex Assessore di Lecce Fausto Giancane,
rispettivamente responsabile e tecnico per la Sis immobiliare proprietaria del
comparto interessato; Aldo Bleve direttore dei lavori; Giuseppe Maroccia
della “Maroccia Costruzioni” e il responsabile del Piano urbanistico Pietro
Paolo Maggio.
Bagaglino Country Village di Stintino (Sassari)
Qui la bandiera nera assegnata al villaggio turistico Bagaglino
Country Village di Stintino, è servita a mandare in galera l’industriale
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Legambiente - Mare monstrum 2004
bresciano Mario Bertelli, responsabile di una delle più grosse colate di cemento
realizzata sulle coste sarde, di fronte all’isola dell’Asinara, quantificabile in
322mila metri cubi, 1400 ville per un totale di 7000 posti letto. Un complesso
turistico parzialmente abusivo che ha letteralmente sconvolto Punta Su
Torrione, un’area di straordinario valore naturalistico. Un bell’esempio di
quell’imprenditoria che Legambiente combatte con ogni mezzo: fatta di un
facile rapporto con le banche, fin troppo disponibili a finanziare l’impresa, un
complesso di società che rende difficile ai creditori l’individuazione delle
responsabilità, e poi un intrigo di sub appalti a piccole società artigiane saldate
con modalità di pagamento quanto meno discutibili: si parla di cambiali, di
tratte non autorizzate e quindi non protestabili, di appartamenti in permuta
supervalutati, senza considerare che in alcuni casi la società capofila ha cercato
la transazione offrendo ai creditori, secondo quanto riferito da un quotidiano
locale, partite di biciclette e di computer, mobili per uffici e addirittura
prosciutti e mortadelle.
Ma oltre alle bandiere nere, tra vittorie riportate dalle tante battaglie
portate avanti da Goletta Verde e denunciate in questo dossier, sono senz’altro
da annoverare gli abbattimenti degli ecomostri, i più “maestosi” casi di
abusivismo edilizio che deturpano le nostre coste. Oltre al Villaggio Coppola e
al Villaggio Paradiso di Fossa Maestra sopra citati fra i successi dell’ultimo
anno, vediamo quali sono stati gli abbattimenti eccellenti degli ultimi anni.
Villaggio Sindona di Lampedusa
Completamente abbattuti i dodici scheletri di cemento armato in stato
di completo abbandono che hanno deturpato per quasi vent’anni una delle aree
costiere più belle e interessanti dell’isola, Cala Galera, in zona A della Riserva
naturale. La costruzione dell’ecomostro isolano risaliva al 1973 su un’area del
demanio comunale, soggetta a vincolo paesaggistico ai sensi della legge
1497/39. Nel 1968 il Comune vende l’area alla società Interfinanza s.p.a. di
Michele Sindona, che avrebbe dovuto realizzarci un villaggio turistico. Nel
1986 viene emanato un decreto dell’Assessore Regionale al Territorio e
Ambiente per l’apposizione del vincolo di inedificabilità assoluta su un’ampia
fascia costiera, che comprende anche l’area di Cala Galera. Nel 1991 viene
approvato il piano regionale dei Parchi e delle Riserve che prevede l’istituzione
della Riserva di Lampedusa. Nel 1996, l’istituzione della Riserva Naturale
Orientata “Isola di Lampedusa” conclude definitivamente il processo di tutela e
chiude ogni possibilità di sfruttamento edilizio di queste aree, in cui nel
frattempo sono sorti i dodici scheletri. Il 22 marzo 2001, il Sindaco di
Lampedusa rigetta la domanda di sanatoria presentata nel 1986 dall’attuale
proprietario ai sensi della legge regionale 37/85 e firma l’ordinanza di
demolizione.
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Legambiente - Mare monstrum 2004
Baia Punta Licosa di Montecorice (Salerno)
Nel marzo del 2002 le ruspe della legalità hanno spianato 80.000 metri
cubi di cemento abusivo in pieno parco del Cilento. Certo la devastazione
operata per la lottizzazione del complesso residenziale Baia Punta Licosa di
Montecorice, in provincia di Salerno che ha devastato otre 10 ettari di un intero
bosco di rarissimi pini d’Aleppo non sarà facile da risanare, ma sicuramente si
è messa positivamente la parola fine ad una vicenda protratta per oltre
vent’anni, nella quale, come capita abbastanza spesso nel nostro Paese, lo
scempio edilizio si fonda anche su concessioni e licenze “regolarmente”
rilasciate, che determinano un lunghissimo strascico giudiziario.
Lungomare di Mondragone (Caserta)
Sempre in Campagna un’altra vittoria messa a segno è quella
dell’abbattimento sul lungomare di Mondragone di un moncone di cemento
armato mai ultimato, che da oltre vent’anni ha fatto bella mostra di se. Si
trattava di un pontile d’attracco che partendo dalla terra ferma, attraversava
l’intero arenile e si protraeva per qualche decina di metri nel mare. Il progetto
originario risalente al 1971, prefigurava un pontile di attracco per piccole
imbarcazioni, che si sarebbe dovuto addentrare per oltre 256 metri nel mare e
consentire così, anche, una gradevole passeggiata panoramica. I lavori partiti
agli inizi degli anni ’80 non sono mai stati ultimati, non solo per lungaggini
tecnico-burocratiche, ma soprattutto per lo stop decretato il 20 settembre 1990
dall’allora Ministro dei Beni Culturali e Ambientali che ritenne l’opera
incompatibile con la vocazione turistico-balneare dell’area.
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