Alessandro Mauro cl. 5D AS 2005/2006

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Alessandro Mauro cl. 5D AS 2005/2006
Alessandro Mauro cl. 5D A.S. 2005/2006
Sommario
1.
Intr oduzione
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 3
2.
I S e mic o n du tto r i
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 4
2. 1. C o s a s o no ? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p . 4
2. 2. Dove si tr ovan o?
2. 3. Dr ogaggio
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 5
2. 4. G iu n zion e P-N
3.
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 4
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 6
I C o m p o n e n t i E l e t t r o n ic i
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 7
3. 1. Ta p p e s to r ich e : da l tu b o a vuo to a l tr a n s is to r
3. 2. C o mp o n e n ti ch e u tilizza n o i s e mic o n du tto r i
3. 3. In te gr azion e
Il Diodo L.E.D.
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 13
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 17
4. 1. In tr od u zion e
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 17
4. 2. F u n zion ame n to, c olor i, aspe tti e le ttr ic i
4. 3. Applic azion i
4. 4. Il d iod o Lase r
Ap p lic a zio n e Pr a tica
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 22
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 23
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 25
5 . 1 . U s o d e i L E D p e r l a T r ic r o m i a
A 1.
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 25
Ap p e n d ice 1
In f o r ma zio n i a g g iun tive s u l S ilic io
e sul Ge r manio
A 2.
. . . . . . . p. 17
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 19
4. 5. O LE D: i le d o r ga n ic i
5.
. . . p. 8
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 12
3. 4. C e lle F o to Vo lta ic he
4.
p. 7
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 27
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 30
Ap p e n d ice 2
S in te si a d d itiva e sin tesi so ttr a tti va d e i c o lo r i . . . . . . . . . . . p . 32
B.
2
Bib l io g ra f ia e s ito g r af ia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p . 33
1.
Introduzione
E dopo 5 anni…
Non so se dare per scontato – dato che ormai lo sanno tutti – il fatto che la mia passione fin dai primi anni
d’età sia stata l’elettronica e derivati. Spesso mi sono sentito dire da molti “M a perché non sei andato a un
istituto tecnico?”, “M a che ci fai tu qua al Liceo?”. Inizialmente rispondevo “Eh, sì… non so neanche
io… forse era meglio se andavo altrove…”. M a dopo poco tempo ho iniziato a rispondere “Uno vale
l’altro…”. E infine rispondevo: “Beh… cos’ha che non va questo Liceo?”. Insomma, nonostante la mia
non grande simpatia per alcune materie umanistiche, mi sono trovato bene per una serie di ragioni che
non andrò ad elencare… diciamo solo – perché è giusto notarlo – che il Liceo Scientifico “Le Filandiere”
si è rivelato accogliente e offre poi, in uscita, tutte le possibilità che si desiderino.
…la tesina.
E’ certo però – e lo sapevo fin dai primi anni – che come “tesina” all’esame di maturità avrei portato un
argomento in tema con la mia passione: elettronica. Per derivati intendevo elettrotecnica, informatica,
automazione, tutte scienze che, soprattutto al giorno d’oggi, è impossibile slegare. Non credevo però che
decidere, scegliere definitivamente l’esatto argomento da affrontare sarebbe stato così difficile. E non è
neppure facile spiegare il perché; tuttora non lo capisco neppure io. Cercherò brevemente di spiegarlo.
Innanzitutto la mia passione se pur profonda, vive nel caos: basta guardare il laboratorio! I cosiddetti
progetti, come la tesina, giungono alla luce della mente quando meno me l’aspetto, come lampi. Poi passo
alla fase realizzazione (e/o ricerca). Poi viene un altro momento in cui di punto in bianco sparisce l’idea e
con essa la voglia di realizzarla… M a mi sto dilungando in introspezioni che non è il momento di
effettuare. Tornando a noi, dovevo trovare un argomento per la tesina. Ovviamente il primo criterio a cui
questo argomento doveva sottostare è che mi appassionasse particolarmente, altrimenti cadono le
premesse per cui valeva la pena di fare la tesina. Il secondo e terzo criterio da valutare consistono nel
fatto che l’argomento deve legarsi almeno in parte, e almeno per una materia, al programma svolto
durante gli anni di Liceo, e suscitare un minimo di interesse nel pubblico che dovrà ascoltare. Alcuni
insegnanti mi dissero, a suo tempo, che non aveva importanza ne l’uno né l’altro criterio, altri mi
facevano però giustamente capire che non è proprio così. Infatti inizialmente l’idea si concentrava su un
aspetto molto tecnico e specializzato1, che avevo affrontato per interesse personale. M a era solo un’idea.
Dopo alcuni suggerimenti ed ulteriori indecisioni, finalmente ho deciso di affrontare l’argomento “LED e
semiconduttori”.
« LED e semiconduttori »
I semiconduttori, come vedremo meglio nei prossimi capitoli, non sono altro che materiali, elementi
chimici come il silicio, che grazie alle loro proprietà elettriche permettono l’esistenza stessa
dell’elettronica moderna, per non parlare dei computer, che vivono di silicio. Ho deciso di soffermarmi su
una delle applicazioni dei semiconduttori, i LED, che non sono altro che le piccole “lucette” dei
televisori, delle radio, ormai di qualunque apparecchiatura elettrica. La cosa bella dei LED è che sono
economici, durevoli e soprattutto versatili, dato che sono usati dall’apparecchiatura più professionale al
più semplice dei giocattoli, per segnalare, illuminare, colorare, divertire, lavorare, e chi più ne ha più ne
metta!
Una nota di carattere generale: parlando di semiconduttori si va inevitabilmente incontro ad aspetti di
fisica complessi, che includono nozioni come “bande di energia degli atomi”, e studi matematici che ho
preferito tralasciare, e non inserire nemmeno in appendice perché a questa tesina non volevo attribuire un
carattere di quel tipo, ma cercare di toccare aspetti più interessanti e comprensibili.
Alessandro Mauro
1
un protocollo di trasmissione dati usato in illuminotecnica
3
2.
I Semic onduttor i
2.1 Cosa sono?
Gli elementi chimici si distinguono, solitamente, in conduttori elettrici e isolanti, a seconda della loro
struttura interna di legame. Ad esempio sono conduttori i metalli (è usato in particolare il rame) e isolanti
i non-metalli, le plastiche, le ceramiche. Tra queste due categorie trovano collocazione elementi come il
Silicio (Si) e il Germanio (Ge) che presentano caratteristiche intermedie e sono quindi detti
semiconduttori. I conduttori, come dice il termine, conducono l’elettricità lasciando “correre”, anzi più
precisamente “saltare” gli elettroni da un atomo all’altro. Gli isolanti invece a causa della loro struttura
più vincolante per gli elettroni non lasciano scorrere la corrente elettrica. Nei semiconduttori, invece, la
conducibilità 2 aumenta aumentando la temperatura, oppure introducendo delle impurità (elementi
estranei) e quindi alterando il loro reticolo cristallino. A basse temperature un semiconduttore si comporta
da isolante, mentre ha una certa conducibilità a temperatura ambiente; allo stesso modo introducendo un
atomo di Arsenico (As, che possiede un elettrone in più) nel reticolo del Silicio, avremo un elettrone
libero di muoversi e “trasportare” così una corrente elettrica aumentando la conducibilità del
semiconduttore).
2.2 Dove si tro vano?
Abbiamo detto che i materiali semiconduttori sono prevalentemente Silicio e Germanio, ma si possono
anche creare chimicamente dei semiconduttori composti (formati da molecole contenenti diversi
elementi). Ad esempio Arseniuro di Gallio, Arseniuro di Gallio e Alluminio, Fosfuro di Indio, Nitruro di
Gallio, Carburo di silicio. L’Arseniuro di Gallio (GaAs), caratterizzato da un’elevata mobilità degli
elettroni, è quello che trova maggiore applicazione nei dispositivi elettronici ad alta velocità e nei
dispositivi ad emissione di luce (i “nostri” LED di cui parleremo più approfonditamente, ma anche Laser,
generatori di M icroonde 3 e Onde Radar di piccola portata4).
Il silicio compone la crosta terrestre per il 25,7% e dopo l'ossigeno è il secondo elemento più abbondante
sul pianeta. Tuttavia il silicio non si trova mai in forma pura, ma sempre come ossido (ametista, agata,
quarzo, rocce cristalline, selce, diaspro, opale) e silicati (Granito, amianto, feldspato, argilla, hornblenda,
mica e altri). Una piccola nota per chi si sta dicendo: “ma parliamo arabo?”. Il silicio non è altro che
sabbia, e argilla. Questi due materiali ben noti a tutti e così diffusi sono costituiti, infatti, da diossido di
silicio. Per mezzo di opportune lavorazioni chimiche (processo di purificazione) è possibile ottenere da
queste rocce il silicio in forma elementare. Per ulteriori informazioni sul silicio vedere l’Appendice A1.
Il germanio invece si trova nell'argirodite (solfuro di germanio e argento), ma anche nel carbone, nella
germanite, in minerali di zinco e in altri minerali ancora. Si ricava commercialmente dalla polvere di
lavorazione dei minerali di zinco e dai sottoprodotti di combustione di certi tipi di carbone. Una grande
riserva di germanio è costituita, infatti, dalle miniere di carbone. Altre informazioni nell’Appendice A1.
2
Capacità di lasciar scorrere un flusso di corrente el ettrica, inversamente propo rzional e alla resistenza del materi ale.
Le microonde sono radiazioni elettromagnetich e con lunghezza d'onda compresa tra il campo delle onde radio e della
radiazion e in frarossa. Sono usate (an che se non p rodotte da semiconduttori, in questi casi) nei fo rni omonimi, per ponti radio,
telefoni GSM, comunicazione con i satelliti, maser (laser che produ cono radiazioni dello spettro delle microonde), ecc.
4
Come quelli installati sulle automobili per avvertire la presen za di un ostacolo.
3
4
2.3 Drogaggio
Abbiamo detto che i semiconduttori si comportano quasi da isolanti, a meno che non si aumenti
considerevolmente la temperatura o in presenza di “impurità”. Dato che la temperatura è un parametro
praticamente impossibile da controllare, semmai lo si vuole rilevare 5, la seconda possibilità è
fondamentale per costruire tutti i tipi di componenti elettronici. In questo caso si parlerà di drogaggio.
Drogare il silicio con atomi di Arsenico, Fosforo, Boro, ecc. significa inserire atomi di questi elementi fra
gli atomi di Silicio. Le percentuali di elementi droganti utilizzate per effettuare il drogaggio sono
bassissime, si parla per l'appunto di impurità elettroniche in quanto tali impurità sono in grado di
modificare le proprietà elettriche del semiconduttore ma non le proprietà chimiche dello stesso. L'entità
del drogaggio si misura in atomi per centimetro cubo. I drogaggi più bassi che si possono ottenere sono
dell'ordine di 1013 atomi/cm3. I drogaggi più elevati sono dell'ordine di 1020 atomi/cm3. Si noti che, come
precedentemente esposto, i numeri in gioco sono molto lontani dal numero di atomi di Silicio in un
centimetro cubo di materiale che è dell'ordine di 1024.
Il drogaggio serve appunto a creare una modificazione del numero degli elettroni negli ultimi livelli
(quelli più esterni, meno vincolati). Si può far in modo che venga a trovarsi un elettrone libero in più,
oppure una lacuna, cioè un “buco” dove manca un elettrone. Nel primo caso si parlerà di drogaggio di
tipo N (negativo), mentre nel secondo caso si ha il drogaggio di tipo P (positivo).
Drogaggio di tipo N.
L'atomo drogante ha un elettrone in più di quelli che servono per soddisfare i legami del reticolo
cristallino e tale elettrone acquista libertà di movimento all'interno del semiconduttore.
Per comprendere come si effettua il drogaggio di tipo N, consideriamo il caso del silicio. Gli atomi di
silicio hanno quattro elettroni di valenza (cioè quattro elettroni nel livello più esterno, quello che
interviene nei legami), ciascuno dei quali è legato in modo covalente a uno dei quattro atomi adiacenti di
silicio. Se un atomo con cinque elettroni di valenza, come uno del Gruppo VA della tavola periodica (ad
esempio Fosforo (P), Arsenico (As), o Antimonio (Sb)), viene incorporato nel reticolo cristallino al posto
di un atomo di silicio, allora quell’atomo avrà quattro legami covalenti e un elettrone senza legami.
Questi droganti sono chiamati “donatori”. Questo elettrone aggiuntivo è solo debolmente legato all'atomo
e può facilmente spostarsi conducendo una corrente elettrica.
Drogaggio tipo P.
L'atomo drogante ha un elettrone in meno di quelli che servono per soddisfare i legami del reticolo
cristallino e tale mancanza di elettrone, indicata con il nome di lacuna, si comporta come una particella
carica positivamente e si può spostare all'interno del semiconduttore.
Nel caso del silicio, un atomo trivalente (con tre elettroni di valenza), come il boro, sostituisce un atomo
di silicio nel reticolo cristallino. Il risultato è che un elettrone manca da uno dei possibili quattro legami
covalenti. Questi droganti sono chiamati “accettori”, e quello di gran lunga più usato è il Boro (B). I
diamanti blu, che contengono impurità di boro, sono un esempio naturale di semiconduttore drogato P.
5
Vedremo nel capitolo 3 come, nonostante un aumento di temperatura di aumenti la conducibilità di un semiconduttore, si
preferisca in ogni caso drogarlo per s fruttare l’effetto Joule come in un conduttore (ma con una maggiore precisione).
5
2.4 G i unzi one P-N
Una giunzione P-N può essere creata drogando regioni vicine di un semiconduttore con droganti di tipo P
e di tipo N. Notare che non è però possibile “incollare” due “pezzi” di silicio drogati differentemente.
Se una tensione elettrica positiva viene applicata al lato di tipo P, i portatori di carica positivi, le lacune,
maggioritari in questa regione sono spinti verso la giunzione, attratti dalla zona a carica negativa N.
Ugualmente, i portatori di carica maggioritari nel lato N, gli elettroni, vengono attratti dalla tensione
positiva e quindi sono attratti verso la giunzione. Poiché si ha un’abbondanza di portatori di carica presso
la giunzione, la corrente può scorrere attraverso di essa. Se invece la polarizzazione della tensione viene
invertita, le lacune e gli elettroni vengono allontanati dalla giunzione, lasciando una regione di silicio
quasi isolante che non consente il flusso di corrente.
La giunzione P-N è la base del dispositivo elettronico chiamato diodo, che consente il flusso di corrente
solo in una direzione del dispositivo. Due giunzioni p-n molto ravvicinate tra loro formano invece il
dispositivo a tre terminali transistore bipolare o transistor, che può essere quindi di tipo P-N-P o N-P-N).
Polarizzazione in diretta
Polarizzazione in inversa
Nelle figu re è indicato dalle frecce il flusso di elettroni, esattamente opposto a quello convenzionale della corrente elettri ca.
6
3.
I Co mponenti Ele ttr onici
3.1 Tappe stori che : dal tubo a vuoto al transi stor
Guglielmo M arconi fu sicuramente un pioniere dell’elettronica, realizzando le
prime applicazioni radio, anche se era da considerare più elettrotecnica in
quanto non si faceva ancora uso di alcun componente attivo. Un componente
attivo è un dispositivo all’interno del quale si svolge una certa attività che va
oltre al semplice scorrere o accumularsi delle cariche elettriche.
Nel 1904 è stata costruita la prima valvola termoionica o tubo a vuoto, ad opera
dell’ingegnere britannico John Ambrose Flemming, dell’University College di
Londra. Si trattò di un vero salto di qualità in quanto questo componente, del
tutto analogo ad un moderno diodo, permetteva di realizzare un raddrizzatore
cioè un dispositivo che trasformasse una corrente alternata in corrente continua.
La valvola termoionica 6 consiste in un tubo di vetro all’interno del quale è stato
Uno dei primi prototipi
di valvola termoionica
fatto il vuoto e sono stati inseriti due elettrodi: una piastrina detta anodo (carica
positivamente) ed un filamento detto catodo (carico negativamente). Il catodo
al passaggio della corrente si riscalda per effetto termoionico7 ed emette
elettroni che raggiungono l’anodo. La particolarità di questa valvola è che il
passaggio della corrente avviene in un’unica direzione e cioè dal catodo verso
l’anodo, in senso contrario la corrente non può passare.
Seguì a breve, ad opera di Lee de Forest nel 1907, la costruzione di un nuovo
tipo di valvola termoionica, chiamata triodo, perché tra il catodo e l’anodo
viene collocato un terzo elettrodo chiamato griglia. Gli elettroni nel loro
percorso si fermano alla griglia se questa ha carica positiva; viceversa corrono
ancora più veloci verso l’anodo se la griglia ha carica negativa che li respinge.
In poche parole con minime variazioni di corrente sulla griglia è possibile
controllare il flusso di elettroni dal catodo all’anodo e quindi grandi variazioni
di corrente tra i due elettrodi principali della valvola. Il triodo diventa quindi
l’analogo del moderno transistor, ed è capace di amplificare un segnale debole
(sonoro, ad esempio) in uno molto più forte.
Nel 1927 fu creato il tetrodo, una valvola a cui era aggiunta una seconda griglia detta griglia schermo, per
poter amplificare segnali in alta frequenza. In seguito fu introdotto anche il pentodo, con una terza griglia
detta di soppressione, per ridurre la distorsione. Il pentodo è il punto di arrivo dello sviluppo della valvola
termoionica ed era usato ad esempio nello stadio di ricezione delle vecchie radio.
Sino agli anni '60, tubi termoionici di vari tipi venivano impiegati in quantità in apparecchiature
elettroniche quali ricevitori e trasmettitori radio, televisori ed in generale in tutti i tipi di amplificatori di
segnali elettrici. Anche i primi calcolatori elettronici furono realizzati interamente mediante tubi
termoionici.
diodo
triodo
tetrodo
pentodo
6
Alcuni preferiscono definirl a valvola termoelettronica, in quanto tra i due elettrodi non vi è passaggio di ioni, ma di elettroni.
L'effetto termoionico, detto anch e effetto termo elettronico, è l'emissione di elettroni da parte di un materiale (tipicamente un
metallo) che si riscalda a s eguito del passaggio di una co rrente elettri ca. L'emissione degli elettroni avvien e perché qu esti
ultimi acquistano, in virtù del riscaldam ento del mat eriale, un'en ergia termica superio re alla lavoro di estrazione di quel dato
materiale.
7
7
Sebbene oggi i transistor, nelle loro varie forme e tipologie, abbiano soppiantato le valvole in quasi ogni
applicazione, esse restano gli unici mezzi per amplificare segnali a potenze molto alte, dell'ordine del
Kilowatt o ancora superiori, e per particolari apparati audio di alta fedeltà.
Un tubo a vuoto, il magnetron, è presente in ogni comune forno a microonde. Anche il tubo catodico dei
televisori non è altro che un particolare tipo di tubo termoionico.
Dopo la prima guerra mondiale l’elettronica si sviluppò molto rapidamente, soprattutto per merito della
radio, che in questo periodo era la sua applicazione di punta; nella teoria dei circuiti una pietra miliare fu
nel 1927 l'invenzione del primo circuito a reazione, che permetteva di raggiungere con pochi componenti
prestazioni nettamente superiori, mentre gli apparecchi radio si facevano sempre più sofisticati.
M a fu solo con la seconda guerra mondiale, all’inizio degli anni ’50, che
si ebbe la svolta. Già il 23 febbraio 1939 Russel Ohl scoprì casualmente
la giunzione P-N, esaminando la differenza di conducibilità tra due lati di
un cristallo di silicio con una crepa. Il 23 dicembre 1947 Walter Brattain
costruì il primo transistor e nel 1956 ricevette, insieme a William
Shockley e John Bardeen il premio Nobel per la fisica con la
motivazione: “per le ricerche sui semiconduttori e per la scoperta
dell'effetto transistor”. Il primo tipo di transistor sperimentato e poi
prodotto fu il transistor bipolare o BJT, in cui sia elettroni che lacune
contribuiscono al passaggio della corrente. In seguito furono creati altri
tipi di transistor, in cui il passaggio di corrente avveniva grazie ad un solo
Replica del primo transistor
tipo di portatori di carica (o elettroni o lacune), detti FET, acronimo di
Field Effect Transistor. Sia i FET che i BJT, nel tempo, hanno dato origine a molti tipi diversi di
transistor, usati per gli scopi più vari.
3 .2 Compon e n t i che u t i li z zan o i se mi con d u t t ori
Da quando è stato inventato il primo transistor, l’elettronica ha fatto passi da gigante e sono stati inventati
e costruiti così moltissimi componenti che utilizzano i semiconduttori per svolgere una determinata
funzione. Oltre al “semplice” diodo e al transistor, di cui esistono poi decine di tipologie e varianti, sono
stati costruiti diodi LED e Laser che sono in grado di emettere luce, Celle Fotovoltaiche capaci invece di
compiere la funzione inversa e cioè produrre una corrente elettrica grazie alla luce, e svariati tipi di
sensori, ossia dispositivi capaci di rispondere elettricamente variando un segnale (una corrente) in base
alla quantità di luce che li colpisce, alla temperatura, ecc.
Sarebbe interessante analizzare ciascuno di questi componenti, ma questa tesina rischierebbe di
trasformarsi in un trattato sull’elettronica, e mi sono già dilungato troppo con le premesse. Pertanto
cercherò di carrellare brevemente i principali componenti elettronici che sfruttano i semiconduttori, ossia
diodi e transistor, tralasciando per un attimo tutti gli altri componenti che se pur importanti sono meno
diffusi e il cui funzionamento è in linea di massima riconducibile ai due citati capostipiti.
IL DIODO
Abbiamo già visto nel paragrafo 2.4 come basti drogare differentemente due zone adiacenti
di un semiconduttore per creare una giunzione P-N, cioè un diodo. E’ sufficiente aggiungere
due contatti metallici per permettere il collegamento della zona P, chiamata anodo (A) e della zona N
chiamata catodo (K). Nel simbolo, la freccia è rivolta dall’anodo verso il catodo.
Per il funzionamento, rimando alle figure e spiegazioni del paragrafo 2.4 (sulla giunzione N-P).
Quando il diodo viene fatto attraversare da una corrente elettrica nel verso convenzionale, cioè dall’anodo
verso il catodo, si dice che il diodo è polarizzato in diretta. In questo caso il diodo si comporta da
8
conduttore, anche se presenterà una certa caduta
di tensione costante (a temperatura ambiente). I
diodi a giunzione P-N di silicio sono costruiti in
modo che questa caduta sia di circa 0,7 volt.
Quando invece una tensione positiva è collegata al
catodo, si dice che il diodo è polarizzato in
inversa. In questo caso nei pressi della giunzione
si crea una zona priva di portatori di cariche (che
vengono attratti alle estremità del diodo), e
pertanto il diodo si comporta quasi da isolante, tuttavia entro certi limiti. Si deve sempre considerare
infatti che in elettronica vi sono sempre dei limiti oltre i quali il componente risponde diversamente.
Infatti, se polarizzato in inversa, un diodo non è perfettamente isolante ma lascia passare una certa, se pur
infinitamente piccola, corrente di perdita. Se la tensione ai capi del diodo aumenta e supera un certo
valore di soglia detto tensione di Zener, il diodo si porta in conduzione perché al suo interno si vengono a
creare ulteriori elettroni di conduzione. Il diodo si dice in questo caso in regime di valanga o di
breakdown. Finché la potenza dissipata (e quindi la corrente) all’interno del diodo rimane entro certi
valori, la situazione non è dannosa per il diodo, anzi i diodi Zener sono espressamente progettati per
questa funzione. M a se si superano certi valori si provoca la distruzione del componente.
La tensione di lavoro (di caduta) non è sempre 0,7 volt perchè dipende dal tipo di giunzione. E’ più bassa
nel caso di diodi Schottky (0,2 v), al Germanio (0,2 v) o all’Arseniuro di Gallio (0,5 v), mentre è più alta
nel caso dei diodi LED (dipende dal colore, da 1,3 a 3 volt).
diodi LED e diodi Laser: li vedremo nel capitolo successivo.
Progettati appositamente per mantenere ai capi, lavorando in regime di valanga,
diodi Zener
una tensione pressoché costante.
In questi diodi la barriera di potenziale non si crea fra due zone di
diodi S chottky
semiconduttore diversamente drogate ma fra un metallo e un semiconduttore: il
vantaggio di questa struttura è che si elimina parte della zona svuotata intrinseca che in questi diodi è
molto più sottile del normale. Questo permette ai diodi Schottky di commutare (passare dallo stato di
conduzione a quello di interdizione e viceversa) molto rapidamente, riuscendo a raddrizzare tensioni
alternate fino a frequenze di oltre 300 M Hz;
Presso la giunzione si forma una sorta di condensatore. In questo modo il diodo
diodi Varicap
è come se fosse effettivamente un condensatore controllato in tensione, perché
la capacità diminuisce con l’aumentare della tensione inversa. Questo diodo è usato nella sintonia delle
radio moderne (prive di manopola della sintonia, che è in realtà un condensatore variabile necessario alla
selezione della frequenza portante di sintonia) e nei circuiti VCO (oscillatori controllati in tensione);
Fra le zone P ed N vi è una zona “i” (intrinseca) di semiconduttore
diodi PiN (o diodi di potenza)
non drogato, che aumenta la resistenza, ma viene invasa da portatori
di carica durante le fasi di conduzione. In questo modo il diodo può resistere a tensioni e correnti molto
più elevate senza distruggersi.
Altri tipi di diodo, usati più raramente, sono: il diodo Tunnel, diodo inverso, diodo a tempo di
transito, diodo Gunn, diodi IMPATT, TRAPATT, BARITT.
Particolarmente interessanti risultano essere i fotodiodi, il cui scopo è di rivelare la radiazione
luminosa (visibile o infrarossa) che colpisce il corpo del diodo stesso. La struttura interna di un
fotodiodo è molto simile a quella dei diodi PIN: la zona intrinseca è progettata per reagire alla luce
generando una coppia di portatori (un elettrone e una lacuna) che contribuiscono al passaggio di corrente
attraverso il diodo. Si usano in polarizzazione inversa: in questa condizione, la corrente che attraversa il
diodo è dovuta (quasi) esclusivamente alla luce incidente, ed è proporzionale all'intensità luminosa.
9
IL TRANSISTOR
Una doppia giunzione, quindi P-N-P
o N-P-N, dà origine ad un transistor
bipolare o BJT. La zona centrale, N
o P, è collegata al terminale detto
base B, mentre le due zone alle
estremità sono dette collettore C ed
emettitore E. Quando la giunzione
base-emettitore viene polarizzata direttamente, i
portatori di carica (elettroni e lacune) che transitano
attraverso di essa diffondono verso la vicina giunzione
collettore-base, dove vengono in gran parte catturati dal campo elettrico interno alla giunzione stessa, che
in questo modo viene percorsa da corrente anche se polarizzata inversamente.
Un transistor è cioè analogo al tristore, poiché è in grado di amplificare una debole corrente applicata
sulla base. Si può paragonare la base di un transistor ad un rubinetto che lascia passare o blocca il flusso
di corrente tra collettore ed emettitore. Il principale impiego del transistor è infatti come amplificatore di
segnali elettrici.
In generale si possono distinguere due circuiti. Uno è quello “d’entrata”: il segnale è applicato tra la base
e l’emettitore. Il secondo è quello d’uscita: una corrente scorre fra emettitore e collettore.
Le due versioni PNP e NPN del transistor sono complementari, infatti funzionano nello stesso identico
modo, ma le tensioni ai loro capi sono invertite.
In un transistor FET (transistor ad effetto di campo),
invece, i tre terminali sono chiamati gate G (porta), source
S (sorgente) e drain D (pozzo) rispettivamente, e l'effetto
transistor si ottiene tramite il campo elettrico indotto dalla
tensione applicata al terminale gate che respinge i portatori
di carica del silicio del canale fra source e gate, variandone
la resistenza elettrica: più la tensione fra gate e source è
grande, più ampia diventa la regione svuotata non
conduttrice, priva di portatori, e più cresce la resistenza elettrica fra souce e drain. Rispetto ai transistor
bipolari i FET presentano il vantaggio di avere il terminale di controllo (gate) isolato, in cui non passa
alcuna corrente: lo svantaggio invece è che un transistor FET non è in grado di offrire molta corrente in
uscita: in genere i circuiti con transistor FET hanno una alta impedenza di uscita, cioè erogano correnti
molto deboli.
Anche i FET come i transistor bipolari possono essere realizzati in due versioni canale P canale N
complementari, a canale P fiancheggiato da regioni N o a canale N fiancheggiato da
regioni P (come quello della figura); come nei bipolari il funzionamento è identico,
ma a polarità invertite.
10
I transistori MOS FET sono dei Fet in cui la tensione applicata
sul Gate non solo crea una zona svuotata priva di portatori, ma se
cresce oltre una tensione detta "di soglia", provoca una inversione
di popolazione nel silicio a ridosso dello strato di ossido: nella
figura a lato, le due regioni dei terminali di source e drain sono
ricavate da silicio P, e sono in comunicazione elettrica tramite il
"canale P" creato per inversione nello strato N che le separa,
grazie alla tensione applicata al gate sulla barriera superficiale di
ossido. Anche qui, è possibile invertire le regioni: in figura è
riportato un mosfet a canale p (p-mos), il suo complementare (nmos) si ricava con un substrato P su cui sono inserite le regioni N
di source e drain. Come nel caso dei bipolari, anche il funzionamento dei p-mos e degli n-mos è (quasi)
identico, ma a polarità invertite.
M entre i transistor BJT sono principalmente usati, per il loro alto guadagno, come amplificatori
nell'elettronica analogica, i M OSFET sono largamente utilizzati nell'elettronica digitale, soprattutto per la
loro struttura molto semplice che li rende facili da costruire e di economico impiego nei circuiti integrati:
un ulteriore vantaggio è il basso consumo di energia che si traduce in meno problemi di dissipazione
termica, mentre lo svantaggio principale è che sono più lenti nel cambiare stato rispetto ai transistor
bipolari. I moderni circuiti integrati a mosfet (microprocessori, DSP, microcontrollori, etc...) usano tutti la
tecnologia CM OS (complementary mos), in cui si usano transistor p-mos e n-mos accoppiati.
Con l'evolversi della tecnologia sono stati creati anche altri tipi di transistor, dotati di caratteristiche
diverse o adatti a usi particolari: per esempio il transistor unigiunzione (UJT) è un generatore di impulsi e
non può amplificare nè commutare. Gli IGBT (Insulated Gate Bipolar Transistor) invece sono dispositivi
ibridi fra i transistor bipolari e i M osfet, adatti a maneggiare forti correnti.
IL TERMISTORE
Ho voluto inserire anche quest’altro componente solo per fornire una
delucidazione sul discorso accennato nel capitolo 2.3 circa il rilevamento
di una temperatura. Si potrebbe dire che basti sfruttare la proprietà di un
semiconduttore di aumentare la propria conducibilità (diminuire la
resistenza) con l’aumento di temperatura. In realtà si preferisce drogare il
semiconduttore comunque: così facendo esso assume le caratteristiche di
un conduttore e si comporterà in maniera opposta nei confronti della
temperatura, aumentando la resistenza all’aumentare della temperatura
(come in una termoresistenza, composta da materiali metallici, ad es.
platino). L’unica differenza è che un termistore, il dispositivo che sfrutta
un semiconduttore drogato per rilevare una temperatura, risulta molto più
sensibile alle variazioni. Un termistore (come una termoresistenza) risponde sfruttando il principio noto
come effetto Joule, secondo il quale al variare della temperatura varia anche l’opposizione di un materiale
(conduttore o semiconduttore) al passaggio della corrente elettrica. Osservando una caduta di tensione
agli estremi del dispositivo è possibile risalire alla temperatura dell’ambiente o del fluido in cui è
immerso.
11
3 .3 I n t e graz ion e
Un circuito stampato visto
dal lato componenti e dal
lato delle piste di rame.
Sotto, dei circuiti integrati.
Per completare il discorso su diodi e transistor, occorre osservare altre due tappe
fondamentali della storia dell’elettronica. A partire dagli anni ‘50 si iniziò a
realizzare i primi circuiti stampati. Si tratta di piastre di materiale isolante, in
genere vetronite o bachelite, sulle quali sono disposti tutti i componenti
necessari alla realizzazione di un circuito. Su questa piastra, inoltre,
sono“stampate” delle striscioline di rame che consentono la connessione dei
diversi componenti. Inizialmente queste striscioline erano presenti solo nel lato
inferiore (monofaccia); successivamente anche in quello superiore (doppia
faccia); oggigiorno vengono interposte in diversi strati (o layer in inglese, il
tutto in 1,5 mm circa di spessore totale), per consentire una elevata integrazione,
cioè riduzione al minimo dello spazio ingombrato dal circuito.
Oltre all’integrazione del circuito stampato, negli anni ’60 furono costruiti i
primi circuiti integrati. Più precisamente il primo fu costruito nel 1958 da Jack
St. Clair Kilby, e conteneva circa dieci elementi. Un circuito integrato infatti
non è altro che un circuito completo costruito però in modo che ingombri uno
spazio ridotto. Un circuito integrato è racchiuso in un contenitore di materiale
plastico o ceramico; il suo livello di integrazione si misura in genere in quantità
di transistor in esso contenuti, anche se in realtà al suo interno trovano posto
anche diodi, condensatori, resistenze, ecc.
Al giorno d’oggi si trovano sul mercato circuiti integrati progettati per
specifiche funzioni ricorrenti nel mondo dell’elettronica, come oscillatori,
sintonizzatori, amplificatori, e le cosiddette porte logiche, ossia circuiti in grado
di svolgere le più elementari, ma fondamentali, operazioni matematiche usando
gli operatori logici AND, OR (vel), XOR (aut), NOT, e così via.
Assieme a questi integrati è stata introdotta la logica binaria, in cui
utilizzando solo segnali elettrici che o ci sono o non ci sono si
possono riprodurre le cifre 0 e 1 del sistema binario. Infatti risulta
molto più semplice affidarsi a questo sistema per eseguire ad esempio
dei calcoli o trasferire dei dati, anziché usare ad esempio il sistema
decimale (sarebbero serviti 10 livelli di tensione differenti per
rappresentare le 10 cifre da 0 a 9, il che avrebbe complicato la
situazione).
Con tutte queste premesse, siamo arrivati ai più moderni computer, le
cui schede madri (circuito stampato principale) sono costruite
addirittura a 15 strati, e i cui processori (circuito integrato principale,
detto anche CPU, Unità Centrale di Processo, perché il suo compito è
processare dei dati, eseguendo su di essi una funzione contenuta in un
programma) contengono anche 42 milioni di transistor, occupando
uno spazio di soli 2x2 cm circa!
Sopra, la tav ola di verità delle porte
logiche.
A lato, una moderna scheda madre e
un processore di computer.
12
3 . 4 C e l l e F o t o v ol t a i ch e
E’ doveroso considerare anche un diverso
utilizzo dei semiconduttori, non più
subordinati ad una fonte di energia elettrica
esterna, ma essi stessi come fonte di energia
elettrica.
Tramite il cosiddetto effetto fotovoltaico,
all’interno della cella omonima la luce
(meglio se solare perché dotata di
Tipico modulo in silico monocristallino
maggiore energia, essendo costituita da un
ampio spettro) colpisce dei cristalli di silicio ai cui capi si sviluppa una certa corrente continua.
La potenza elettrica sviluppata da una singola cella è molto
bassa, per questo le celle fotovoltaiche si riuniscono in genere a
formare un pannello o modulo fotovoltaico, ad esempio piccoli
moduli li possiamo trovare su una calcolatrice. Parecchi moduli
si riuniscono a loro volta a formare un campo fotovoltaico in
grado di fornire potenze anche elevate, tali da fornire corrente, a
seconda delle dimensioni, ad un’abitazione o tali da costituire
una centrale elettrica.
A tal proposito è bene considerare questa fonte di energia pulita
e rinnovabile; tanto se ne parla tuttavia il suo utilizzo rimane
limitato a causa dei costi dei pannelli.
Il rendimento di un pannello fotovoltaico, cioè la percentuale di
energia captata e trasformata rispetto a quella totale giunta sulla superficie del modulo, è compreso tra il
10% - 15% nei modelli commerciali, ma si stanno studiando prototipi che raggiungono il 30%. Il
rendimento può dipendere anche dall’irraggiamento cui le celle sono esposte, dall’angolazione di
incidenza dei raggi, e dallo spettro delle radiazioni luminose che li colpiscono. Dal rendimento dipendono
ovviamente, a parità di energia elettrica richiesta, le dimensioni del campo fotovoltaico.
Non bisogna comunque confondere il pannello fotovoltaico con il pannello solare, anche se spesso gli
viene erroneamente attribuito questo nome. Il pannello solare o collettore solare è un dispositivo che
concentra l'energia solare e la immagazzina per un uso successivo, ad esempio riscaldando l’acqua che
scorre in delle tubature.
Nel caso di un impianto fotovoltaico domestico, i pannelli saranno in grado di fornire tutti e 3 i kW di
energia normalmente disponibili in un’abitazione e una serie di accumulatori potranno immagazzinare
l’energia per essere utilizzata durante la notte.
Produzione
L'insieme di celle fotovoltaiche vengono collegate elettricamente, a formare un modulo, mediante ribbon,
ovvero sottili nastri in materiale conduttore, in genere rame stagnato. I moduli fotovoltaici più comuni
sono realizzati mediante pressofusione di più strati di materiale. Sopra una superficie posteriore di
supporto, in genere realizzata in un materiale isolante con scarsa dilatazione termica, come il vetro
temperato o un polimero come il tedlar, vengono appoggiati un sottile strato di acetato di vinile (spesso
chiamato con la sigla EVA), la matrice di moduli preconnessi mediante i già citati ribbon, un secondo
strato di acetato e un materiale trasparente che funge da protezione meccanica anteriore per le celle
fotovoltaiche, in genere vetro temperato. Dopo il procedimento di pressofusione, che trasforma l'EVA in
mero collante, le terminazioni elettriche dei ribbon vengono chiuse in una morsettiera stagna
generalmente fissata alla superficie di sostegno posteriore, e il "sandwich" ottenuto viene fissato ad una
cornice in alluminio, che sarà utile al fissaggio del pannello alle strutture di sostegno atte a sostenerlo e
orientarlo opportunamente verso il sole.
13
Le celle fotovoltaiche commerciali possono essere principalmente di 5 tipi:
- Silicio monocristallino, in cui ogni cella è costituita da un wafer prodotto
da un lingotto di silicio purissimo (rendimento 14%)
- Silicio policristallino, in cui il lingotto è prodotto mediante drogaggio
chimico (rendimento 13%);
- Silicio amorfo, in cui gli atomi silicei vengono deposti chimicamente in
Cella di silico policristallino
Cella in silicio microsferico
forma amorfa, ovvero strutturalmente disorganizzata, sulla superficie di
sostegno, permettendo la flessione del modulo (rendimento 6%);
Eterogiunzione, in cui viene impiegato uno strato di silicio cristallino
come superficie di sostegno di uno o più strati amorfi, ognuno dei quali
ottimizzato per una specifica sotto-banda di radiazioni (rendimento 16%);
Silicio microsferico, in cui si impiega silicio policristallino ridotto in sfere
del diametro di circa 0,75 mm ingabbiate in un substrato di alluminio.
Anche in questo caso è permessa la flessione del modulo (rendimento
10%).
Il pannello di silicio amorfo è quello che presenta un rendimento
notevolmente più basso, tuttavia ha un costo di produzione per ogni Wp 8
molto basso. In poche parole questo tipo di pannello è il più economico della
categoria a parità di potenza disponibile, anche se occorrerà il doppio di
superficie illuminata.
Tegole f otov oltaiche
Costi e fattibilità
Il costo di un impianto domestico è relativamente elevato, ma molti
stati agevolano l'investimento in questi impianti o con un contributo
a fondo perduto, oppure con l'acquisto della corrente elettrica
prodotta ad un prezzo favorevole.
Dopo una spesa di capitale iniziale, i moduli fotovoltaici odierni
hanno una vita stimata di 50 anni circa. Si può ipotizzare però che
dopo 25 anni vadano sostituiti per obsolescenza o perdita di
rendimento. inoltre gli accumulatori andranno sostituiti più spesso
per l’usura chimica. Sono appunto questi, legati alla consistente
spesa iniziale, i problemi che, nonostante le agevolazioni,
scoraggiano l’utente ad affidarsi a questo tipo di impianto.
Nel caso invece si voglia considerare la possibilità di costruire
impianti fotovoltaici per sopperire al bisogno energetico dell’intera
Italia (che per il momento si basa principalmente sull’acquisto Impianto ENEL a Serre, presso Salerno
dell’energia elettrica estera o su fonti combustibili non rinnovabili, e poche centrali eoliche o
idroelettriche), si dovrà far fronte non solo ai costi elevati, ma a problemi di spazio e di materiali. Per
coprire l’intero fabbisogno italiano occorrerebbe coprire di pannelli fotovoltaici 1860 km2, ossia lo 0,6%
del territorio italiano.
Tuttavia l’uso dei pannelli fotovoltaici non è così lontano. Già l’ENEL ha
costruito una centrale di questo tipo a Serre, presso Salerno (▲foto),
attivo dal 1994, in grado di erogare 3,3 M W (può cioè fornire energia a
più di 1000 abitazioni). Non è un certo un dato da ignorare, anzi è già un
grosso passo avanti. Inoltre vengono spesso utilizzati pannelli fotovoltaici
in tutti quei casi in cui sarebbe più dispendioso portare un elettrodotto. E’
il caso di case di montagna, isole, ma anche per l’illuminazione stradale
(◄ foto), e per altre segnalazioni luminose o rilevatori lungo le strade.
8
Wp = Watt di picco. Unità indicante la potenza elettrica massima disponibile in un istante all’uscita del modulo fotovoltaico.
14
Prodotti in commercio
La potenza più comune si aggira intorno ai 150 Wp a 24 V,
raggiunti in genere impiegando 72 celle fotovoltaiche. La
superficie occupata dai modelli commerciali si aggira in
genere intorno ai 7,5 mq/kWp, ovvero sono necessari circa
7,5 metri quadrati di superficie per ospitare pannelli per un
totale nominale di 1.000 Wp.
I costi al cliente finale variano da 4,00 a 6,00 €/Wp (a
gennaio 2006), con aumenti che si attestano intorno 10% su
base annua. La causa di questa instabilità di prezzo è da
ricercarsi nel profondo squilibrio tra domanda e offerta, che
al momento di scrivere sono in rapporto di quasi 10:1. In
altre parole, dal 2004 ad oggi la tecnologia e le economie di
scala dei produttori hanno dovuto fare i conti con una
domanda di mercato improvvisamente esplosa a livello
planetario, a causa sia dell'insicurezza sulle sorti degli altri
mercati energetici, sia delle politiche di incentivazione delle
fonti rinnovabili da parte di moltissimi governi. A fronte di
un incremento della domanda mondiale del 200% da giugno
2004 a giugno 2005, i produttori di silicio hanno risposto con
un incremento della produzione di "solo" il 60%. Il rimanente
squilibrio ha spinto verso l'alto le quotazioni (il s ilicio è un
materiale quotato in borsa).
Impianto da 12kW installato sul tetto di una scuola
Impianto f otov oltaico da 3kW per uso domestico
S toria
Le principali tappe della tecnologia fotovoltaica:
- 1839: il francese Alexandre-Edmond Bécquerel nota che "della corrente elettrica è generata durante
alcune reazioni chimiche indotte dalla luce". Scopre così l'effetto fotogalvanico negli elettroliti
liquidi.
- 1883: l'inventore statunitense Charles Fritz produce una cella solare di circa 30 centimetri quadrati a
base di selenio con un'efficienza di conversione dell'1-2 %.
- 1963 La giapponese Sharp produce i primi moduli fotovoltaici commerciali.
Funzionamento: l’effetto fotovoltaico
Il funzionamento è fondamentalmente semplice, o meglio è
la natura chimica dei semiconduttori che provvede a renderlo
così semplice. Abbiamo già detto che i semiconduttori
diventano quasi dei conduttori per aumento della
temperatura. Accade una cosa simile anche per assorbimento
di fotoni (le particelle cariche di energia che costituiscono
una radiazione luminosa).
Anche nel caso della Cella Fotovoltaica ci troviamo in
presenza di silicio drogato N o P, proprio come in un diodo,
ma stavolta a strati. Fra la zona N e quella P si forma un
campo elettrico. Proprio questo campo elettrico fa sì che il
passaggio dalla corrente, costituito proprio da elettroni, venga facilitato in una direzione e praticamente
impedito dall’altra. Una cella fotovoltaica sfrutta proprio questo fenomeno: è costituita da strati di
semiconduttori diversi che creano nella cella un campo elettrico fisso simile a quello del diodo.
Questo campo è situato il più vicino possibile alla regione del dispositivo che assorbe la luce. I fotoni
quando colpiscono un semiconduttore della cella fotovoltaica possono venirne riflessi, attraversarla o
esserne assorbiti. Questi ultimi sono quelli potenzialmente utili. Infatti un fotone assorbito può produrre
calore urtando il materiale semiconduttore oppure, se possiede abbastanza energia, può strappare un
15
elettrone da uno stato legato ed elevarlo ad uno libero nella banda di conduzione del materiale. Quindi si
può dire che la luce che viene assorbita da un semiconduttore produce due portatori di carica liberi:
l’elettrone nella banda di conduzione, e la buca nella banda di valenza.
La conversione da luce a energia elettrica effettuata dalla cella fotovoltaica avviene essenzialmente
perché i portatori di carica liberi, generati dalla luce, sono spinti in direzione opposta dal campo elettrico
incorporato. Una volta attraversato il campo gli elettroni liberi non tornano più indietro perché il campo
stesso gli impedisce di invertire la marcia.
Quindi quando la luce incide sulla cella fotovoltaica le cariche positive e quelle negative sono spinte le
une verso la parte superiore, le altre verso quella inferiore della cella, a seconda del tipo di cella. Se la
parte superiore e quella inferiore vengono collegate da un conduttore, le cariche libere lo attraversano, ed
è possibile così osservare una corrente elettrica. Fino a quando la cella rimarrà esposta alla luce,
l’elettricità fluirà con regolarità sotto forma di corrente continua.
16
4.
Il diodo L. E.D .
4 . 1 I n t r o d u z i o ne
M i sono voluto soffermare sul diodo L.E.D. per una serie di motivi.
Innanzitutto è un componente con cui, anche se non ce ne rendiamo conto,
abbiamo a che fare tutti i giorni: ci dice che ora è alla mattina, ci segnala
che la batteria del rasoio è scarica, lo vediamo acceso sulla TV, ci illumina
lo schermo del cellulare; poi andiamo al lavoro, prendiamo le chiavi e ce
n’è uno sul portachiavi; ce ne sono molti sul cruscotto dell’auto, anche le
luci posteriori dell’auto (se nuova) sono formate da LED; il semaforo è di
quelli nuovi, illuminati da led; altri led sono sparsi per l’ufficio, sul
computer, sul fax, sul telefono. C’è un tabellone a led per gli orari. Si
potrebbe continuare questa lista all’infinito tanto ne è diffuso l’utilizzo.
Insomma il LED è un nostro amico. E’ di una versatilità impressionante!
Economico, durevole, piccolissimo, i nuovi modelli sono anche molto
luminosi. Ci si possono costruire delle semplici spie che indicano quando qualcosa è acceso. Dei display
che indicano cifre. Dei pannelli che compongono scritte e semplici figure, come quelli dislocati lungo
un’autostrada, o degli schermi giganti installati nelle città in grado di visualizzare immagini come una
televisione, ma sono composti da centinaia di led colorati.
La cosa interessante è che lo stesso led o con poche differenze può essere usato nel più semplice dei
giocattoli (un portachiavi, ad esempio, come dicevo), o nella più professionale delle apparecchiature.
I moderni led ad alta luminosità hanno permesso anche la realizzazione di lampade e fari in grado di
ricreare una luce bianca o colorata, molto luminosa, relativamente fredda e soprattutto a risparmio
energetico.
La forza commerciale di questi dispositivi si basa sulla loro potenzialità di ottenere elevata luminosità
(quattro volte maggiore di quella delle lampade fluorescenti e filamento di tungsteno), basso prezzo,
elevata efficienza ed affidabilità (la durata di un LED è di molti ordini di grandezza superiore a quella
delle classiche sorgenti luminose, specie in condizioni di stress meccanici); inoltre essi non richiedono
circuiti di alimentazione complessi, possiedono alta velocità di commutazione e la loro tecnologia di
costruzione è compatibile con quella dei circuiti integrati al silicio.
4 . 2 F u n z i o n a me n t o , co l o r i , a s p e t t i e le t t r i ci
Nel 1961 Bob Biard e Gary Pittman della Texas Instruments inventarono i Light Emitting Diodes. M a il
primo LED che emetteva luce rossa visibile, utilizzando GaAsP (fosfuro arseniuro di gallio) è stato
sviluppato da Nick Holonyak Jr. della General Electric nel 1962.
L.E.D. Light Emitting Diode (Diodo ad Emissione di Luce)
I LED sono uno speciale tipo di diodi a giunzione p-n, formati da
un sottile strato di materiale semiconduttore drogato. Quando sono
sottoposti ad una tensione diretta per ridurre la barriera di
potenziale della giunzione, gli elettroni della banda di conduzione
del semiconduttore si ricombinano con le lacune della banda di
valenza rilasciando energia sufficiente da produrre fotoni. A causa
dello spessore ridotto del chip un ragionevole numero di questi
fotoni può abbandonarlo ed essere emesso come luce. L'esatta
scelta dei semiconduttori determina la lunghezza d'onda
dell'emissione di picco dei fotoni, l'efficienza nella conversione
elettro-ottica e quindi l'intensità luminosa in uscita.
17
Diversi semiconduttori per diversi colori
I LED convenzionali sono composti da vari materiali inorganici che producono i seguenti colori:
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
Arseniuro di Alluminio e Gallio - AlGaAs - rosso ed infrarosso
Fosfuro di Gallio ed Alluminio - GaAlP - verde
Fosfuro Arseniuro di Gallio - GaAsP - rosso, rosso-arancione, arancione, e giallo
Nitruro di Gallio - GaN - verde e blu
Fosfuro di Gallio - GaP - rosso, giallo e verde
Seleniuro di Zinco - ZnSe - blu
Nitruro di Indio e Gallio - InGaN - blu-verde, blu
Fosfuro di Indio, Gallio e Alluminio - InGaAlP - rosso-arancione, arancione, giallo e verde
Carburo di Silico - SiC come substrato - blu
Diamante (C) - ultravioletto
Silicio (Si) come substrato - blu (in sviluppo)
Zaffiro (triossido di dialluminio Al2O3) come substrato - blu
Caratteristiche elettriche
Nel momento in cui dobbiamo far accendere un led dobbiamo sempre
ricordarci che si tratta di un diodo, quindi non posiamo semplicemente
applicare una tensione ai suoi capi, come per una lampadina, ma
dobbiamo valutare due aspetti di questo particolare diodo.
Il primo è la corrente: se in un normale diodo, in polarizzazione diretta,
possiamo far circolare correnti, a seconda del modello, dell’ordine di
500mA o pochi Ampère; in un diodo LED la corrente sufficiente a
generare luce è di soli 5-6 mA, mentre quella massima è di circa 20 mA
(al massimo 30 mA per alcuni modelli, maggiore è la corrente maggiore è
la quantità di luce emessa). Se si supera tale valore, data la bassa
Tipologia
Caduta di resistenza interna che un diodo e ancor più un diodo LED presentano in
polarizzazione diretta, l’elemento finisce per surriscaldarsi per effetto
LED
tensione Vf Joule e distruggersi.
Il secondo aspetto è la tensione. In polarizzazione diretta il diodo
Infrarosso
1,3
presenterà una certa caduta di tensione (◄tabella), caratteristica per un
dato colore, e che rimarrà costante anche al variare della corrente. In
polarizzazione inversa invece il diodo supporta pochi volt di tensione, ma
Colore rosso
1,8
soprattutto basse correnti che altrimenti lo brucerebbero. Ovviamente in
polarizzazione inversa il LED non si accende.
Colore verde
2,0
In genere si usa quindi collegare in serie al LED una resistenza di
limitazione della corrente, alimentando quindi il LED in corrente
Colore giallo
1,9
continua. Il valore della resistenza va calcolato secondo la legge di Ohm,
tenendo anche conto della caduta di tensione imposta dal diodo: se voglio
che attraverso il diodo scorra una corrente If, ed il diodo ha caduta di
Colore arancio
2,0
tensione Vf, alimentando il tutto con una tensione Vs ed essendo la
resistenza in serie, ai capi di quest’ultima dovrà esserci una differenza di
Flash blu/bianco
3,0
potenziale pari a Vs – Vf, pertanto la R va calcolata con la formula
.
I led “flash” della tabella sono led di recente costruzione e commercializzazione in
grado di generare una luce particolarmente intensa e luminosa, ma soprattutto
ricreano due colorazioni che prima non erano ancora state raggiunte dai LED, cioè
il blu e il bianco.
18
4.3 A ppl i cazi oni
Tralasciando il comune uso come “spia”, volevo riportare, tramite foto accompagnate da breve
commento, tutti gli usi che mi vengono in mente di questo semiconduttore, fermo restando che oggi gli
utilizzi del LED sono moltissimi e nel prossimo futuro continueranno ad aumentare e a diffondersi.
Una delle prime “ evoluzioni” del led è stata il
cosiddetto display a 7 segmenti, che permette di
visualizzare cifre (quindi numeri) e alcuni
caratteri alfabetici utilizzando una matrice
composta da 7 segmenti ed un punto decimale.
Alcuni modelli poi disponevano di segmenti
addizionali per poter visualizzare la maggior
parte delle lettere dell’alfabeto.
I display più piccoli, come quelli delle vecchie
T V e delle sveglie, dispongono di un led per
ogni segmento e si trovano già “ pronti” in un
unico elemento plastico. Per realizzare display
più grandi, come quelli di un tabellone
eliminacode o un segnapunti, si usa una serie di
led puntiformi per ogni segmento.
Esistono anche versioni a matrice di punti (una
specie di griglia in cui ogni punto-led è
indipendente) per visualizzare anche piccole
immagini.
Modelli simili, ma formato gigante li si
possono trovare in luoghi pubblici, data la
rapida diffusione, per visualizzare l’ora, la data
e la temperatura o altre informazioni, e lungo le
autostrade per visualizzare messaggi molto
luminosi ad alta visibilità.
Pannello posto di fronte
ad un municipio
Fanalino posteriore e terzo stop
di automobile a LED
Segnalatore a LED posto sulle f errovie
Soprattutto in ambito stradale si stanno
sostituendo tutte le vecchie lampade ad
incandescenza con dei fari formati da
decine di led. Innanzitutto sono molto più
luminosi e quindi più visibili anche in
condizioni meteo avverse. In secondo
luogo sono molto più durevoli e se anche
un diodo dovesse rompersi, gli altri
continuerebbero a funzionare. Questo
vale per i fanali posteriori delle nuove
automobili (primo fra tutti il terzo stop),
per alcuni segnali stradali, i veicoli di
manutenzione (come la freccia in figura),
nuovi semafori (già installati in numerose
città), segnalazioni per le ferrovie (il cui
vantaggio è anche quello di poter mutare
il colore con un solo faro).
19
Interessante applicazione sono i
maxi
schermi
realizzati
interamente a LED. Essi
funzionano come un televisore
dove ogni pixel invece che
essere illuminato dal tubo
catodico è illuminato da un led.
Questa tecnica è utilizzata per
schermi da porre nelle città
(infatti la visione è apprezzabile
solo da una certa distanza), al
posto dei moderni, costosi e più
delicati schermi a cristalli
liquidi. Nei modelli che
utilizzano led rossi, verdi e blu è
possibile ricreare immagini con
un’elevata fedeltà dei colori,
come
si
può
vedere
nell’immagine a fianco.
Esistono già in commercio lampadine a LED che possono sostituire le nostre
ad incandescenza. Consumano molto meno, sono più durevoli ed efficienti.
Un ulteriore esempio, per dire
Esistono versioni a luce bianca o colorata.
che con i led si fa proprio di tutto.
Nel contempo l’illuminotecnica professionale sta già utilizzando led, soprattutto in ambito architetturale, per
illuminare strutture come hotel e locali. Particolarmente interessanti sono faretti che usano led rossi, verdi e blu per
riprodurre, sfumandoli come desiderato, qualunque tonalità di colore si voglia.
Piccoli faretti a led come
questi ▲ possono ricreari
colorazioni particolarmente
suggestive.
20
Vi sono molti altri utilizzi più “nascosti” del led, soprattutto quando esso sfrutta i raggi infrarossi. Ne cito
tre che mi paiono rilevanti o curiosi.
Il primo, molto semplice ma forse scontato, utilizza un led che emette
luce nel campo infrarosso, quindi invisibile all’occhio umano. Si tratta
dei telecomandi ad infrarossi come quello della televisione. Anche le
barriere ad infrarossi dei cancelli automatici o per antifurto sfruttano
led. Entrambi questi dispositivi funzionano allo stesso modo. Un led
emette gli infrarossi opportunamente modulati per trasmettere dei dati
(nel caso del telecomando) e comunque per distinguere questo segnale
luminoso dalla radiazione infrarossa presente nella luce solare. Un
fotodiodo invece riceve la radiazione e la trasforma in un segnale
elettrico che verrà opportunamente decodificato.
Anche il secondo uso del diodo led sfrutta una sorta di barriera ad
infrarossi, questa volta interrotta da un encoder, ossia una ruota
dentata, i cui denti interrompono il raggio ad infrarossi e forniscono
così informazioni sul moto della ruota stessa. Stiamo parlando di un
comune mouse per computer (a “palla”, non quelli ottici, che
d’altronde usano diodi led ma in modo differente). La palla (di
materiale pesante) scorre sul tappetino o sulla scrivania, due cuscinetti
ad essa adiacenti registrano il movimento in X e in Y tramite un
encoder di questo tipo.
L’ultimo utilizzo, che trovo curioso perché non ci avevo mai pensato,
consiste nella lettura della traccia audio da una pellicola
cinematografica. Quando andiamo al cinema, tutti sanno che il film è
proiettato a partire da una pellicola nella quale si susseguono i
fotogrammi. Qualcuno si è mai chiesto da dove provenga l’audio?
Ovviamente esso, per andare in sincrono alle immagini, deve essere
impresso sulla pellicola accanto ai fotogrammi (da qui il nome di
colonna sonora) 9. Negli anni Cinquanta fu fatto un tentativo di
incisione su traccia magnetica, ma risultava costoso applicare una
banda magnetica alla pellicola, inoltre si usurava e perdeva qualità
facilmente. Prima e dopo questo tentativo la traccia (analogica) è
sempre stata impressa come uno spettro sonoro trasparente su sfondo
scuro. In questo modo con una lampadina prima (come nella ◄figura
a lato), con un LED oggi, si va ad illuminare la colonna sonora e un
sensore dall’altro lato capterà le variazioni di luminosità e le
trasformerà in un segnale elettrico che è già audio analogico. Oggi vi
sono altre tracce oltre a quella analogica, digitali 10, ma vengono lette
sempre tramite LED e sensori a semiconduttore.
9
Per essere precisi esiste un metodo (il DTS digital theater system) secondo cui la traccia audio si trova in un CD-ROM, ma
sulla pellicola è comunque impresso un timecode per la sincronizzazione che viene comunqu e letto con il sistema ottico.
10
Oltre alla traccia dolby stereo, sono presenti la dolby digital, il timecode dts, e la SDDS (sony dynamic digital sound).
21
4.4 Il diodo Laser
Una piccola parentesi se la merita pure il dispositivo chiamato laser, anzi ve ne sono
vari tipi, noi consideriamo solo il diodo laser.
Funzionamento
Come i diodi LED, anche i diodi laser emettono luce tramite la ricombinazione di
elettroni e lacune nella zona di barriera del diodo: la differenza fondamentale è che
questa emissione è stimolata dalla luce stessa, e che la luce emessa è coerente.
Questo viene ottenuto con una struttura del diodo a sandwich con tre zone drogate in
modo diverso (n - p - p+) che presentano anche un diverso indice di rifrazione ottico:
in pratica, le zone di confine n-p e p-p+ si comportano come due specchi che
riflettono la luce emessa nel diodo e la confinano al suo interno. In questo modo i
fotoni in viaggio nel diodo stimolano gli elettroni e le lacune negli atomi di
semiconduttore a ricombinarsi emettendo un altro fotone con la stessa lunghezza
d'onda e la stessa fase di quello incidente, cioè stimolano una emissione coerente.
Normalmente i diodi laser sono realizzati in arseniuro di gallio o in arseniuro di
gallio e alluminio, per ottenere una differenza di indici di rifrazione fra le tre zone
che sia il più possibile alta.
Caratteristiche
Direzionalità:
il laser permette di emettere la radiazione in un'unica direzione. Più precisamente
l'angolo solido sotteso da un fascio laser è estremamente piccolo.
M onocromaticità: il laser emette una sola radiazione, o comunque una banda molto ristretta.
Brillanza:
in diretta conseguenza delle due precedenti, si ha che la quantità di energia emessa
per unità di angolo solido è incomparabilmente più elevata rispetto alle sorgenti
tradizionali. In particolare è elevato il numero di fotoni per unità di frequenza.
Coerenza:
mentre nell'emissione spontanea ogni fotone viene emesso in maniera casuale
rispetto agli altri, nell'emissione stimolata ogni fotone ha la stessa fase del fotone che
ha indotto l'emissione.
Impulsi ultra-brevi: è possibile costruire laser in grado di emettere pacchetti d’onde ad intervalli di tempo
estremamente piccoli. Attualmente si è arrivati al femtosecondo (10-15 secondi)
Utilizzi
I laser sono utilizzati in diversi ambiti: nelle telecomunicazioni per inviare segnali
attraverso le fibre ottiche; nell’industria per eseguire lavorazioni e forature molto
precise. E’ particolarmente utile in medicina, nella microchirurgia per operare in
modo preciso e non invasivo. Sono inoltre usati per rilevare misure molto grandi
come la distanza tra la Terra e la Luna.
Un importante e oggi diffusissimo utilizzo consiste nell’incisione e lettura di CD e
DVD (◄figura).
Laser di minore potenza sono utilizzati come puntatori, negli scanner di codici a
barre, nelle stampanti omonime (per imprimere il tamburo fotosensibile), e in tutte le
applicazioni di precisione (dove occorre un raggio fino che colpisca un punto
preciso). Ultimo utilizzo come effetto ottico
per spettacoli e discoteche, facendogli
compiere movimenti circolari ed ellittici e
sfruttando l’effetto “memoria” dell’occhio
umano, si possono ricreare figure geometriche
(figure di Lissajous ◄ fig.) e giochi di luce
particolarmente suggestivi (fig. ►).
22
4.5 O LED : i l e d organi ci
E’ nata da poco una nuova tecnologia: gli OLED, Organic Light Emitting
Diodes. Somiglianti ai diodi led come struttura, ma con delle differenze
sostanziali. La prima consiste nella composizione: anziché un semiconduttore
inorganico, negli Oled lo strato attivo è costituito da sostanze organiche. Ne
consegue che la struttura diventa flessibile e soprattutto non più puntiforme
come in un led ma planare, in fogli sottilissimi.
L’Unione Europea sta lavorando a questa tecnologia con il progetto Olla (Organic Led for Lighting
Application), con 24 centri ed industrie, e ha promesso il debutto per il 2008. L’Isof (Istituto per la sintesi
organica e la fotoreattività) del Cnr di Bologna, con il Laboratorio nazionale di nanotecnologie di Lecce,
è l’unico ente italiano del progetto Olla.
Benché la proprietà di elettroluminescenza posseduta da alcuni elementi organici s ia conosciuta da lungo
tempo, i primi tipi di display OLED non andarono mai oltre lo stadio di prototipo, in quanto richiedevano
tensioni di alimentazione troppo alte (oltre 100 V).
I primi display efficienti e a basso voltaggio (circa 10 V) furono presentati nel 1987 da Ching Tang e
Steve Van Slyke, e utilizzavano due strati organici.
Funzionamento.
Il materiale organico è un polimero conduttore elettroluminescente (plastica per esempio).Un elemento
viene definito organico in quanto contenente la struttura atomica del carbonio. Normalmente, gli strati
organici sono in grado di emettere solo luce bianca, ma con opportuni drogaggi (di composti
elettrofosforescenti) è possibile renderli in grado di emettere luce rossa (drogante fluorescente a base di
perilene dicarbossammide), verde (cumarina) o blu (β - DNA) (RGB): essendo questi i colori primari, è
possibile combinarli per produrre tutti i colori dello spettro visibile, in modo analogo a quanto accade in
qualunque display a colori.
La Universal Display Corporation, tuttavia, ha recentemente annunciato di aver realizzato un differente
tipo di display, in cui i tre microdisplay di ogni elemento sono sovrapposti anziché affiancati, il che
permette un notevole incremento della risoluzione.
23
Applicazioni.
Tramite la tecnologia OLED si punta in particolar modo a due ambiti di utilizzo:
Illuminazione: l’OLED a luce bianca produce una luce più bianca rispetto a quella dei led inorganici,
capace di riprodurre più fedelmente i colori degli oggetti illuminati. Inoltre la luce dell’OLED è fredda: la
temperatura emessa non supera i 35°C, contro i 70°C massimi a cui può arrivare un normale led. Unico
aspetto, se vogliamo, per cui il led supera l’oled è la durata: l’OLED dura meno di un comune led, ma
comunque di gran lunga più delle comuni lampade ad incandescenza11.
S chermi: grazie alla tecnologia OLED, sottilissima, flessibile e trasparente, sarà possibile creare monitor
e schermi avvolgibili e tascabili, inserire display negli occhiali e nelle finestre e fogli luminosi nei vestiti.
Prototipo di schermo OLED flessibile
Prototipo di TV OLED realizzato
dalla Samsung
Altro esempio di applicazione
degli OLED per mini display
Con gli OLED potremo avere computer che si avvolgono e occupano lo spazio di una penna!
(in figura un prototipo simulato al computer)
11
Una lampadina ad incandescenza dura, in media, 1.000 ore; una alogena 2.000; lampade fluorescenti (neon) 10.000; un led
50.000-100.000. L’OLED dura più di 10.000 ore.
24
5.
Applicaz ione prati ca
5.1 U so de i LED pe r l a Tri cromi a
Abbiamo già visto più volte, nei paragrafi 4.3 e 4.4 del capitolo precedente sui LED, come sia
possibile ricreare delle colorazioni a piacimento partendo da led dei tre colori Rosso (R), Verde
(G) e Blu (B). Questo sistema è detto comunemente RGB o sintesi additiva. Si veda
l’Appendice 2.
Come applicazione pratica, era mia intenzione realizzare un faretto di questo tipo, dotato di led Rossi,
Verdi e Blu ad alta luminosità. Tramite un opportuno controllo della luminosità di ogni categoria di led è
possibile ricreare tutti i colori desiderati, sfruttando il sistema RGB di sintesi additiva. Se tutti i led sono
accesi la luce risultante dovrà quindi essere prossima al bianco. Accendendo i soli led rossi e verdi dovrà
risultare una luce gialla, e così via.
Partiamo dagli elementi più importanti: i nostri LED. Quelli ad alta luminosità hanno il corpo trasparente,
ma non sempre il contatto più grande corrisponde al catodo (come nella figura a pag. 17). Infatti in quelli
blu è in genere l’anodo. Per identificare il catodo si può osservare sul lato del diodo una sorta di taglio. Se
non è osservabile, l’anodo corrisponde sempre al terminale più lungo.
Ad ogni modo abbiamo detto che ogni led deve essere collegato in serie ad una resistenza di limitazione
della corrente. Tuttavia i led possono essere collegati in serie calcolando le opportune cadute di tensione
totali.
Nel progetto ho intenzione di collocare 6 led per ogni colore, pertanto alimentando la sezione dei led a 12
volt posso creare due serie da 3 elementi per ogni colore: 3x3=9 volt, i 3 rimanenti “graveranno” sulla
resistenza. La corrente da far scorrere sui diodi sarà tarata in fase di collaudo, ma si può partire da un
valore di 15 mA minimi (contare che si parla della luminosità massima, che verrà regolata
successivamente). La resistenza andrà quindi da 3/0,015=200ohm circa. Proverò quindi i valori
commerciali da 100 – 120 – 150 – 190 ohm, con cui otterrò correnti di 30 – 25 – 20 – 16 mA.
Dato l’assorbimento elevato dei led, sarà necessario prevedere uno stadio amplificatore di potenza, ossia
dei semplici transistor. Dei BC337 tengono fino a 500 mA…per andare sul sicuro, ma vanno bene anche
dei BC547 (100mA). Anche la base del transistor va protetta con una R da 4k7ohm. A questo punto le
basi possono essere già regolate mediante trimmer ossia resistenze variabili in modo da fornire tensioni
entro un range: per la legge di Ohm varierà la corrente che arriva alla Base del TR, di conseguenza la
corrente che scorre entro i Led.
Volendo rendere la cosa più interessante, è possibile comandare il circuito dal computer. Innanzitutto
occorre disporre di un DAC (Digital to Analogical Converter) dal momento che il computer ragiona in
digitale mentre i led hanno bisogno di essere “dimmati” cioè regolati in tensione. Un economico DAC lo
si può costruire con un partitore resistivo a catena (detto di tipo R2R), in cui ogni R è associata (collegata)
ad un bit (una linea) di un byte. Volendo usare una risoluzione a 8 bit (256 livelli di luminosità per ogni
canale RGB), occorrerà poi disporre di un demultiplexer, ossia un dispositivo che legga dalla porta
(useremo quella parallela) del PC in successione i tre byte che ci occorrono per i tre canali.
Devo far notare che lo schema della sezione Demultiplexing-DAC è stato copiato da un articolo di Nuova
Elettronica, dato che era lì già pronto all’uso.
Per demultiplexare si usa l’integrato logico 74139 che provvede a convertire un ingresso binario a tre bit
in un’uscita decimale sequenziale. M entre per leggere e memorizzare ogni byte occorrono altri tre
integrati logici 74373. Infine per invertire il livello logico in uscita dal 74139 prima di inviarlo agli
ingressi di abilitazione degli 74373, occorre una porta logica NOT 7414 (o 7419, 7404, 7405, un
integratino di questi ne contiene 6).
25
Se il circuito è controllato da computer occorre però anche realizzare un programma, ossia un’interfaccia
utente che gli permetta di regolare il colore desiderato, e invii quindi l’informazione alla porta parallela,
prima un canale, poi il secondo e il terzo.
Propongo qui lo schema elettrico complessivo del circuito. La sezione digitale è alimentata a 5 volt,
utilizzerò quindi un alimentatore in grado di fornirmi queste due uscite c.c. stabilizzate.
L’ultimo aspetto da valutare è di struttura e ottica. Intanto bisognerà disporre i LED su un circuito
stampato possibilmente rispettando una figura a nido d’ape, in modo che i tre colori vengano disposti
omogeneamente. Se l’effetto non sarà quello desiderato, perché i led creano fasci troppo puntiformi, sono
portato a pensare che convenga porre dinnanzi una sorta di vetro smerigliato o qualcosa in grado di
smorzare e rendere più omogenei i fasci luminosi.
Esempio di
configurazione della
matrice di led
Esempio di involucro
> Note aggiunte a realizza zione del prototipo avvenuta:
I led v erdi più comuni in commercio non sono molto luminosi inoltre hanno un verde tendente al giallo. Pertanto, se non si
riescono a rep erire quelli più adatti, consiglio di inserire il doppio di led verdi rispetto agli altri colori. Infatti nel mio prototipo
con 6 led per colore, occorre dosare i led rossi e blu, perdendo in luminosità. Inoltre i trimmer di taratura così inseriti non sono
“pratici” per l’effettiva taratura, che ho preferito eseguire dal programma del computer.
26
A1.
Ap pendice 1
Inf or maz ioni aggiun tive sul Silicio e sul Ger manio
SI L I CI O
Il silicio è l'elemento chimico della tavola periodica degli elementi, che ha come simbolo Si e come
numero atomico il 14. Un metalloide tetravalente, il Silicio è meno reattivo del suo analogo chimico, il
carbonio. È il secondo elemento per abbondanza nella crosta terrestre, componendone il 25,7% del peso.
Si trova in argilla, feldspato, granito, quarzo e sabbia, principalmente in forma di biossido di silicio,
silicati e alluminosilicati (composti contenenti silicio, ossigeno e metalli). Il silicio è il componente
principale di vetro, cemento, semiconduttori, ceramica e silicone.
Caratteristiche
Nella sua forma cristallina, il silicio ha colore
Nome, Simbolo, N° Atomico Silicio, Si, 14
grigio e una lucidità metallica. Anche se è un
Serie chimica
metalloidi
elemento relativamente inerte, reagisce con
gli alogeni e gli alcali diluiti, ma la maggior
Gruppo, Periodo, Blocco
14 (IVA), 3, p
3
parte
degli acidi (eccetto l'acido fluoridrico)
Densità, Durezza
2330 kg/m , 6,5
non lo intaccano. Il silicio elementare
Colore
grigio scuro con riflessi bluastri
trasmette più del 95% di tutte le lunghezze
Proprietà atomiche
d'onda della luce infrarossa.
Generale
Peso atomico
28,0855 amu
Raggio atomico
110 pm
Raggio covalente
210 pm
Raggio di van der Waals
118 pm
Configurazione elettronica
Ne3s2 3p 2
e- per livello energetico
2, 8, 4
Stato di ossidazione
4 (amfoterico)
Struttura cristallina
Cubica a facce centrate
Proprietà fisiche
Stato di aggregazione
solido (nonmagnetico)
Punto di fusione
1687 K (1413,85 °C)
Punto di ebollizione
3173 K (2899,85 °C)
Volume molare
12,06 × 10 -3 m3 /mol
Calore di vaporizzazione
384,22 kJ/mol
Calore di fusione
50,55 kJ/mol
Pressione del vapore
4,77 Pa a 1683 K
Velocità del suono
n.d.
Applicazioni
Il silicio è un elemento molto utile, ed è
vitale per molte industrie. Il diossido di
silicio in forma di sabbia e argilla è un
importante ingrediente del cemento e dei
mattoni, ed è molto importante per la vita
animale e vegetale. Le diatomee estraggono
la silice dall'acqua per costruire i muri
protettivi delle loro cellule; gli equiseti lo
concentrano nel fusto della pianta usandolo
per conferirgli robustezza e notevole
resistenza alla masticazione, per scoraggiare
gli erbivori.
Altri usi:
* È un materiale refrattario usato nella
produzione di materiali ad alte temperature, e
i suoi silicati sono impiegati nella
fabbricazione di smalti e terraglie.
* Il silicio è un importante costituente di
alcuni tipi di acciaio.
27
* La silice della sabbia è un componente
principale del vetro.
* Il carburo di silicio, chiamato anche
carborundum, è uno dei più importanti
abrasivi.
* Il silicio può essere usato nei laser per
produrre luce coerente con una lunghezza
d'onda di 4560 angstrom.
* I siliconi sono composti flessibili contenenti
legami silicio-ossigeno o silicio-carbonio;
sono ampiamente usati in forma di gel per
impianti artificiali del seno e per le lenti a
contatto.
* Il silicio idrogenato amorfo si è mostrato
promettente per la produzione di celle solari e
apparati elettronici a basso costo.
* La silice è uno dei principali ingredienti dei
mattoni a causa della sua bassa attività
chimica.
Varie
Elettronegatività
1,90
Capacità calorica specifica
700 J/(kg*K)
Conducibilità elettrica
2,52 × 10 -4 /m ohm
Conducibilità termica
148 W/(m*K)
Energia di prima ionizzazione
786,5 kJ/mol
Energia di seconda ionizzazione 1577,1 kJ/mol
Energia di terza ionizzazione
3231,6 kJ/mol
Energia di quarta ionizzazione
4355,5 kJ/mol
Energia di quinta ionizzazione
16.091 kJ/mol
Energia di sesta ionizzazione
19.805 kJ/mol
Energia di settima ionizzazione 23.780 kJ/mol
Energia di ottava ionizzazione
29.287 kJ/mol
Nona energi a di ionizzazione
33.878 kJ/mol
Decima energia di ionizzazione 38.726 kJ/mol
Isotopi stabili
iso
NA
TD
DM
DE
DP
S toria
Il silicio (dal latino silex, silicis che significa
29
Si 4,67%
Si è stabile con 15 neutroni
selce) venne identificato per la prima volta da
30
Si 3,1%
Si è stabile con 16 neutroni
Antoine Lavoisier nel 1787, e venne
32
32
Si sintetico
276 anni
β0,224
P
successivamente scambiato per un composto
da Humphry Davy nel 1800. Nel 1811 Gay
iso = isotopo
NA = abbondanza in natura
Lussac e Thenard probabilmente prepararono
TD = tempo di dimezzamento
del silicio amorfo impuro attraverso il
DM = modalità di decadimento
riscaldamento di potassio con tetrafluoruro di
DE = energia di decadimento in MeV
DP = prodotto del decadimento
silicio. Nel 1824 Berzelius preparò del silicio
amorfo usando all'incirca lo stesso metodo di Lussac. Berzelius inoltre purificò il prodotto attraverso
successivi lavaggi.
28
Si
92,23%
Si è stabile con 14 neutroni
Disponibilità
Il silicio è il principale componente degli aeroliti, che sono una classe di meteoroidi nonché della tectite,
che è una forma naturale di vetro.
Calcolando in base al peso, il silicio compone il 25,7% della crosta terrestre e dopo l'ossigeno è il secondo
elemento più abbondante sul pianeta. Il silicio elementare non si trova in natura, appare in genere come
ossido (ametista, agata, quarzo, rocce cristalline, selce, diaspro, opale) e silicati (Granito, amianto,
feldspato, argilla, hornblenda, mica e altri).
Produzione
Il silicio viene preparato commercialmente tramite riscaldamento di silice ad elevato grado di purezza, in
una fornace elettrica usando elettrodi di carbonio. A temperature superiori a 1900°C, il carbonio riduce la
silice in silicio secondo l'equazione chimica SiO2 + C → Si + CO2. Il silicio liquido si raccoglie in fondo
alla fornace, e viene quindi prelevato e raffreddato. Il silicio prodotto tramite questo processo viene
chiamato silicio di grado metallurgico ed è, come minimo, puro al 99%. Nel 2000, il silicio di grado
metallurgico costava circa 1,23 $/kg.
Purificazione
L'uso del silicio nei semiconduttori richiede una purezza più elevata di quella fornita dal silicio di grado
metallurgico. Storicamente sono stati usati un numero di metodi diversi per produrre silicio ad alta
purezza.
28
Metodi fisici. Le prime tecniche di purificazione del silicio erano basate sul fatto che il
silicio viene fuso e risolidificato, l'ultima parte di silicio che solidifica contiene la
maggior parte delle impurezze. Il primissimo sistema di purificazione, descritto nel 1919
e usato su scala limitata per la fabbricazione di componenti dei radar durante la seconda
guerra mondiale, richiedeva la polverizzazione del silicio di grado metallurgico e la sua
parziale dissoluzione in acido. Quando veniva polverizzato, il silicio si spezzava in modo
che le zone più deboli e ricche di impurità restassero all'esterno del risultante grano di
silicio. Come risultato, il silicio ricco di impurità era il primo a disciogliersi quando
trattato con l'acido, lasciando un prodotto più puro.
Nella fusione a zona, il primo metodo di purificazione del silicio ad essere utilizzato su
scala industriale, sbarre di silicio di grado metallurgico venivano riscaldate partendo da
una delle sue estremità, fino a quando questa iniziava a fondersi. Il riscaldatore quindi
veniva lentamente spostato lungo la sbarra mantenendo una piccola porzione fusa mentre
il silicio si raffreddava e risolidificava dietro di essa. Poiché la maggior parte delle
impurità tendeva a rimanere nella parte fusa piuttosto che risolidificarsi, alla fine del
Sbarra
processo queste si erano spostate nell'ultima parte della sbarra ad essere fusa. Questa monocristallina
di Silicio
estremità veniva quindi tagliata e gettata, ripetendo il processo se una purezza più elevata
era necessaria.
Metodi chimici. Oggigiorno il silicio viene purificato convertendolo in un composto che può essere
purificato più facilmente del silicio stesso, e quindi convertito di nuovo in silicio puro. Il triclorosilano è
il composto di silicio più comunemente usato in questo processo, anche se a volte si utilizzano anche il
tetracloruro di silicio e il silano. Questi composti, liquidi o gassosi, vengono purificati per distillazione
frazionata fino ad ottenere una miscela di composti di solo silicio. Dopodichè questi gas vengono soffiati
sopra a del silicio ad alta temperatura e si decompongono, depositando silicio policristallino ad alta
purezza.
Nel processo Siemens, sbarre di silicio ultrapuro sono esposte al triclorosilano a 1150°C; il gas di
triclorosilano si decompone e deposita dell'altro silicio sulla sbarra, allargandola secondo la reazione
chimica 2 H SiCl3 → Si + 2 HCl + SiCl4. Il silicio prodotto da questo e da processi simili viene chiamato
silicio policristallino. Il silicio policristallino ha un livello di impurità pari a 1 parte per miliardo o
inferiore.
A un certo punto, la DuPont produsse silicio ultrapuro facendo reagire il tetracloruro di silicio con vapori
di zinco ad alta purezza a 950°C, producendo silicio secondo la formula SiCl4 + 2 Zn → Si + 2 ZnCl2.
Comunque questa tecnica era afflitta da problemi pratici (come il cloruro di zinco, un sottoprodotto, che
si solidificava bloccando le linee) e venne abbandonata a favore del processo Siemens.
Cristallizzazione. Il processo Czochralski viene spesso usato per creare cristalli singoli di silicio ad alta
purezza, che vengono impiegati nei semiconduttori a stato solido.
Isotopi
Il silicio ha nove isotopi, con peso atomico che varia tra 25 e 33. Il 28Si (l'isotopo più abbondante, con il
92.23%), il 29Si (4.67%), e il 30Si (3.1%) sono stabili; il 32Si è un isotopo radioattivo prodotto dal
decadimento dell'argon. La sua emivita, dopo un lungo dibattito, è stata determinata in circa 276 anni, e
decade per emissione beta in 32P (che ha emivita di 14,28 anni) e quindi in 32S.
Precauzioni
Una seria malattia dei polmoni chiamata silicosi è molto frequente tra i minatori, i tagliatori di pietre e
altri lavoratori che sono impegnati in lavori dove polvere di silicio viene inalata in grandi quantità.
La S ilicon Valley
Poiché il silicio è un importante elemento dei semiconduttori e di tutta l'industria elettronica, la regione di
Silicon Valley in California, nota per le numerose aziende di informatica ed elettronica, prende il suo
nome da questo elemento (Silicon in inglese).
29
GERMA N I O
Il germanio è l'elemento chimico di numero atomico 32. Il suo simbolo è Ge. È un metalloide lucido,
duro, bianco-argenteo dal comportamento chimico simile a quello dello stagno; come esso, forma un gran
numero di composti organometallici.
Generalità
Nome, Simbolo, Numero atomico germanio, Ge, 32
Serie chimica
metalloidi
Gruppo, Periodo, Blocco
14 (IVA), 4 , p
Densità, Durezza
5323 kg/m 3 , 6
Aspetto
bianco-grigiastro
Proprietà atomiche
Peso atomico
72,64 amu
Raggio atomico (calc.)
125 (125) pm
Raggio covalente
122 pm
Raggio di van der Waals
nessun dato
Configurazione elettronica
[Ar]3d10 4s2 4p2
elettroni (e-) per livello energetico 2, 8, 18, 4
Caratteristiche
Il germanio ha un aspetto metallico lucido, e la
stessa struttura cristallina del diamante. Inoltre è
importante notare che tale elemento è un
semiconduttore, con proprietà intermedie fra
quelle di un conduttore e di un isolante. Allo
stato puro, il germanio è cristallino, fragile e
mantiene il suo aspetto lustro se esposto all'aria a
temperatura ambiente. Tecniche di raffinamento
a zona hanno permesso la creazione di germanio
cristallino per semiconduttori con solo una parte
di impurità su 10 milioni.
S toria
Nel 1871 il germanio (dal latino Germania) fu
uno degli elementi di cui Dmitri M endeleev
Struttura cristallina
cubica a facce centrate predisse l'esistenza; poiché nella sua tavola
periodica la casella dell'analogo del silicio era
Proprietà fisiche
vuota, egli predisse che si sarebbe trovato un
Stato a temperatura ambiente
solido
nuovo elemento che in via provvisoria battezzò
Punto di fusione
1211,4 K (938,3°C)
exasilicio. L'elemento in questione fu più tardi
scoperto da Clemens Winkler nel 1886. Questa
Punto di ebollizione
3093 K (2820°C)
scoperta fu una importante conferma dell'idea di
-6
3
Volume molare
13,63×10 m /mol
M endeleev della periodicità degli elementi.
Calore di evaporazione
330,9 kJ/mol
Lo sviluppo del transistor al germanio aprì la
Calore di fusione
36,94 kJ/mol
porta ad infinite applicazioni dell'elettronica allo
T ensione di vapore
0,0000746 Pa a 1210 K stato solido: dal 1950 fino al 1970 circa il
mercato del germanio per semiconduttori crebbe
Velocità del suono
5400 m/s a 293,15 K
costantemente. Durante gli anni '70 venne
Varie
gradualmente sostituito dal silicio, le cui
Elettronegatività
2,01 (Scala di Pauling) prestazioni come semiconduttore sono superiori
anche se richiede cristalli molto più puri, che non
Calore specifico
320 J/(kg*K)
potevano essere fabbricati facilmente nei primi
Conducibilità elettrica
1,45/(m·ohm)
anni del dopoguerra. Nel frattempo aumentò
Conducibilità termica
59,9 W/(m*K)
moltissimo la domanda di germanio per fibre
Energia di prima ionizzazione
762 kJ/mol
ottiche per reti di comunicazioni, per sistemi di
Energia di seconda ionizzazione
1537,5 kJ/mol
visione notturna agli infrarossi e catalizzatori per
reazioni di polimerizzazione; questi tre usi hanno
Energia di terza ionizzazione
3302,1 kJ/mol
Stati di ossidazione
30
4 (anfotero)
Energia di quarta ionizzazione
Energia di quinta ionizzazione
4411 kJ/mol
9020 kJ/mol
rappresentato l'85% del consumo mondiale di germanio nel
2000.
Isotopi più stabili
iso
NA
TD
DM
DE
DP
70
Ge
21,23%
Ge è stabile con 38 neutroni
72
Ge
27,66%
Ge è stabile con 40 neutroni
Applicazioni
Diversamente dalla maggior parte dei semiconduttori, il
germanio ha un piccolo intervallo di banda proibita, cosa che
73
Ge
7,73%
Ge è stabile con 41 neutroni gli permette di rispondere in modo efficiente anche alla luce
74
Ge
35,94%
Ge è stabile con 42 neutroni infrarossa. Viene quindi usato nella spettroscopia infrarossa e
in altri equipaggiamenti ottici che necessitano di rivelatori di
iso = isotopo
NA = abbondanza in natura
infrarossi estremamente sensibili. L'indice di rifrazione e le
TD = tempo di dimezzamento
proprietà
di dispersione del suo ossido nelle lenti degli
DM = modalità di decadimento
obiettivi grandangolari delle macchine fotografiche e dei
DE = energia di decadimento in MeV
DP = prodotto del decadimento
microscopi.
I transistor al germanio sono ancora utilizzati negli
amplificatori per chitarra elettrica dai musicisti che vogliono ricreare il carattere autentico degli
amplificatori dei primi tempi del rock and roll.
La lega germaniuro di silicio (SiGe) sta diventando rapidamente un importante materiale semiconduttore
per l'uso in circuiti integrati ad alta velocità: i circuiti integrati basati su giunzioni Si-SiGe possono essere
molto più veloci di quelli che usano solo silicio.
Altri usi:
* Come agente legante;
* Come fosforo in lampade fluorescenti;
* Come catalizzatore.
Alcuni composti del germanio hanno una bassa tossicità per i mammiferi ma molto alta per certi batteri:
sono perciò stati creati medicinali basati su tali composti.
Disponibilità
Il germanio si trova nell'argirodite (solfuro di germanio e argento); ma anche nel carbone, nella
germanite, in minerali di zinco e in altri minerali ancora.
Il germanio si ricava commercialmente dalla polvere di lavorazione dei minerali di zinco e dai
sottoprodotti di combustione di certi tipi di carbone. Una grande riserva di germanio è costituita, in effetti,
dalle miniere di carbone.
Questo metalloide si può estrarre anche da altri minerali per distillazione frazionata del suo tetracloruro
volatile. Questa tecnica permette la produzione di germanio ultrapuro. Nel 1997 il costo commerciale del
germanio è stato di 3 dollari americani al grammo. Nel 2000 il prezzo del germanio era 1,15 dollari al
grammo (o di 1.150 dollari per chilogrammo).
31
A2.
Ap pendice 2
Sintesi additi va e sintesi sot trattiva dei colori
Thomas Young era un medico-scienziato che continuò gli studi sul
colore che in precedenza fece Isaac Newton, il quale ipotizzava che
ogni sensazione di colore doveva corrispondere a una diversa
lunghezza d’onda della luce in arrivo al nostro occhio. Young,
partendo dal fatto allora noto dell’esistenza di tre colori primari (dalle
mescolanze dei quali derivano tutti gli altri), ne cercò la spiegazione
non più nella proprietà della luce, ma in quelle dell’occhio umano. E
questa fu la chiave per capirne il funzionamento. Young avanzò
l’ipotesi che i recettori per la visione diurna fossero soltanto di tre tipi
e che ciascun tipo corrispondesse a una tinta primaria.Ogni altra tinta
sarebbe risultata dalla stimolazione simultanea dei tre tipi di recettori.
Egli basò i suoi esperimenti sulla mescolanza o sintesi additiva dei colori, usando tre filtri che non si
discostassero dal Rosso vivo, dal Verde e da un Blu al limite del violetto (filtri che, non a caso,
corrispondono grosso modo alle regioni di sensibilità dei tre tipi di coni della retina) era riuscito a
produrre tutti i colori sovrapponendo i filtri facendoli attraversare da fasci luminosi e giostrandone in
modo opportuno le relative intensità. Quindi il nostro cervello elabora una tripletta di segnali che è
rigorosamente caratteristica di una colorazione,colorazione associata alla radiazione luminosa che arriva
sulla retina e che stimola tutti e tre i coni, ovviamente in misura differente a seconda della composizione
spettrale ad essa associata. Dunque, un dato colore può essere generato con molte combinazioni di bande
luminose. Sintesi additiva Il bianco, in particolare, è ottenibile miscelando tre tinte primarie:verde, rosso e
blu ma che siano dosate con precisione, in modo da generare lo stesso tristimolo della luce del sole. Si
ottiene il bianco usando anche una terna diversa, derivata dalle combinazione a due a due dei tre colori
primari: giallo = verde + rosso, ciano = verde + blu, magenta = blu + rosso. Il nero non può essere
generato, in sintesi additiva, corrispondendo a esso la totale assenza di luce.
In conclusione si chiama sintesi additiva il meccanismo di miscelazione dei primari RGB per ottenere
tutti gli altri colori perché si basa sulla somma di luce tendente quindi al bianco. Questo metodo è
utilizzato ogni qual volta venga prodotta una luce colorata, quindi negli schermi TV, a LED, ecc.
Anche la sintesi sottrattiva è molto importante, perché è quella che
interviene nella comune esperienza di osservazione dei colori. La
colorazione delle cose comporta meccanismi sottrattivi, in quanto si
basa sulla loro capacità di assorbire componenti cromatiche della luce
che illumina, piuttosto che di emetterne di proprie. Il colore è dato
dalle componenti che non sono assorbite. L’esperimento di Young, fu
quello di sovrapporre tre filtri colorati Giallo, Ciano e M agenta
(complementari dei primari) facendoli attraversare da un unico fascio
di luce bianca. In tale disposizione, ciascun filtro sottrae alla luce
bianca quella particolare regione di lunghezza d’onda che è in grado
di assorbire. Dove i filtri si sovrappongono gli effetti di sottrazione si
cumulano, così che il risultato è del tutto differente dal metodo
additivo, quando prima si otteneva il bianco come risultato del mescolamento di una coppia di colori
complementari, diciamo Rosso e Ciano, ora questa coppia dà il nero. In conclusione, i pigmenti e tutti gli
oggetti che noi vediamo colorati, lo sono perché quando vengono investiti dalla luce essi riflettono solo
quella “del loro colore” mentre assorbono tutta l’altra.
Il metodo di sintesi sottrattiva è detto anche CM Y (Cyan, Magenta, Yellow) ed è usato ad esempio per la
stampa ad inchiostro (dove gli inchiostri si sovrappongono come i filtri di Young).
32
B.
Bibliografia e Sitografia
Capitolo 2. I S emiconduttori
La maggior parte della sitografia è tratta da Wikipedia, l’Enciclopedia Libera.
In particolar modo si citano le seguenti voci (principali), da cui possono anche esser state prelevate immagini:
http://it.wikipedia.org/wiki/Semiconduttore
http://it.wikipedia.org/wiki/Fisica_dei_semiconduttori
http://it.wikipedia.org/wiki/Drogaggio
Capitolo 3. I Componenti Elettronici
Bibliografia: Clelia Forghino, Luigi Salerno, Lidia Xodo, Tecnica e Formazione vol. 3, M orano Ed.
(alcune tappe storiche e semplici spiegazioni sui componenti elettronici).
La maggior parte della sitografia è tratta da Wikipedia, l’Enciclopedia Libera.
In particolar modo si citano le seguenti voci (principali), da cui possono anche esser state prelevate immagini:
http://it.wikipedia.org/wiki/Valvola_termoionica
http://it.wikipedia.org/wiki/Diodo
http://es.wikipedia.org/wiki/Diodo
http://it.wikipedia.org/wiki/Transistor
http://it.wikipedia.org/wiki/BJT
http://it.wikipedia.org/wiki/Termistore
http://it.wikipedia.org/wiki/Pannello_fotovoltaico
http://www.vivoscuola.it/US/RSIGPP3202/solare/fisicaF V.htm
http://www.ivirgil.it/set/EnergiaVXA/celle_fotovoltaiche.htm
Capitolo 4. Il Diodo L.E.D.
Bibliografia: Clelia Forghino, Luigi Salerno, Lidia Xodo, Tecnica e Formazione vol. 3, M orano Ed.
(le applicazioni del laser)
Focus n. 163 (maggio 2006) (M ondatori) – articolo “La luce spalmabile” a pag. 24 (alcune
informazioni sui Led e sugli Oled, alcune immagini)
La maggior parte della sitografia è tratta da Wikipedia, l’Enciclopedia Libera.
In particolar modo si citano le seguenti voci (principali), da cui possono anche esser state prelevate immagini:
http://it.wikipedia.org/wiki/LED
http://it.wikipedia.org/wiki/Laser
http://it.wikipedia.org/wiki/OLED
Appendice A1. Informazioni aggiuntive sul Silicio e sul Germanio
L’appendice A1 è tratta interamente da Wikipedia alle voci:
http://it.wikipedia.org/wiki/Silicio
http://it.wikipedia.org/wiki/Germanio
Appendice A2. Sintesi additiva e sintesi sottrattiva dei colori
L’appendice A2 è tratta interamente dal sito Light Education – Educazione alle tecniche della luce:
http://lighteducation.com/article.php?sid=99
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