News - Società Italiana di Fisica
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news Anno Internazionale della Luce: una cascata di eventi Dopo l’inaugurazione dell’IYL 2015 avvenuta a Parigi, presso la sede dell’UNESCO, dopo quella italiana avvenuta a Torino in gennaio, e dopo il simposio “Light&Life” a Varenna in luglio, eventi dei quali si è riferito nei precedent numeri di questa rivista e anche nella newsletter SIF Prima Pagina, in questo anno così speciale che mette la luce al centro dell’attenzione si sono susseguiti una serie di eventi e manifestazioni organizzati dalla Società Italiana di Fisica in collaborazione con diversi enti e associazoni, e viceversa. Per primo l’evento del 17-19 settembre a Capri nell’ambito degli EOS-SIOF Topical Meetings la cui sessione plenaria speciale “History of optics in Italy and future emerging applications” è stata organizzata, dalla Società Italiana di Ottica e Fotonica (SIOF) con la collaborazione della SIF. Di particolare rilievo i contributi di M. Bertolotti, che ha ripercorso la storia dell’attività di ricerca sul laser in Italia, e di D. Cuomo, che ha invece presentato una rassegna sulle fibre ottiche in Italia. Durante il 101° Congresso Nazionale della Parigi 84 < il nuovo saggiatore SIF di Roma, l’intera giornata di mercoledì 23 settembre è stata incentrata sul tema della luce con 5 relazioni generali plenarie e 3 su invito in ogni Sezione. Le relazioni generali hanno visto Illustri relatori alternarsi sui seguenti temi: scoperte e invenzioni relative alla luce (A. Bettini), luce visibile e invisibile (A. Cattai), luci quantistiche in metrologia (M.L. Rastello), luce di sincrotrone e progetto SESAME (G. Paolucci), luce e universo (S. Masi). La giornata si è poi conclusa con una tavola rotonda dal titolo “Luce e Tecnologia”, svoltasi presso la Sala della Protomoteca del Campidoglio, che ha passato in rassegna alcuni tra i più interessanti aspetti dell’ormai indissolubile legame tra luce e tecnologia. Il 16 ottobre si è svolto presso il Palazzo Edison a Milano il simposio “Luce e Innovazione”, promosso dalla Società Edison, che opera nel settore dell’Energia, e dalla SIF in collaborazione con la European Physical Society (EPS) e la Fondazione Alessando Volta. L’evento, inserito nel programma EDISON OPEN 4EXPO, moderato dalla giornalista scientifica Barbara Gallavotti, ha visto l’intervento di illustri scienziati, tra i quali anche il Premio Nobel S. Haroche, che hanno presentato relazioni sul ruolo della luce nel campo scientifico, tecnologico e artistico. La bellissima aula del palazzo Edison ha accolto un vasto pubblico anche di giovanissimi che hanno seguito tutte le relazioni con estremo interesse. Nel corso del simposio è stato conferito il Premio Europeo per la Fisica “EPS EDISON VOLTA” ai tre leader scientifici dell’esperimento satellitare Planck della European Space Agency (ESA), lanciato nello spazio per scrutare la prima luce emessa dall’universo “poco dopo” il Big Bang. Il 6 novembre, nella splendida cornice della Sala Ulisse dell’Accademia delle Scienze dell’Istituto di Bologna, si è svolto il simposio in onore di A. Zichichi “The discovery of nuclear antimatter” nel 50° anniversario della prima evidenza sperimentale da lui ottenuta al CERN nel 1965. Il simposio, organizzato dalla SIF in collaborazione con l’Accademia della Scienze di Bologna, l’Istituto Nazionale di Torino Giovanna Rasario, Luce d’acqua (detail), 2009. Fisica Nucleare e il Museo Storico della Fisica e Centro Studi e Ricerche “Enrico Fermi”, ha celebrato gli importanti risultati ripercorrendo la storia dell’antimateria e presentando lo stato dell’arte delle ricerche e le possibili prospettive future con le relazioni di L. Maiani, W. Barletta e S. Bertolucci. In chiusura A. Zichichi ha tenuto la Lectio Magistralis del Forum Laura Bassi dell’Accademia: “Status of the antimatter problem fifty years later”. Infine dal 9 al 14 novembre ha avuto luogo “Bologna s’illumina”, una settimana di incontri pubblici, laboratori, spettacoli ed eventi speciali dislocati in vari punti della città, tutti sulla luce, spaziando dalla fisica alla biologia, dall’astronomia alla chimica fino all’arte, alla storia, alla filosofia. La manifestazione, che ha coinvolto un vasto pubblico, è stata promossa dall’Università di Bologna, l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, l’Istituto Nazionale di Astrofisica, la Società Astronomica Italiana (SAIt) e la Fondazione Golinelli, in collaborazione con la SIF. Dopo l’esordio del 9 novembre con la conferenza di P. De Bernardis Bologna Milano nella Sala Stabat Mater dell’Archiginnasio, di particolare rilievo è stato l’incontro serale del 13 novembre all’Aula Magna di Santa Lucia, intitolato: “Dalle frontiere della scienza a Il mercante di luce“, moderato dal giornalista Patrizio Roversi, che ha visto gli interventi di L. Cifarelli, V. Balzani, G. Bignami, L. Rossi (in collegamento dal CERN) e R. Vecchioni (in veste di scrittore). A seguire gli eventi del sabato 14 novembre: la mattina presso la Fondazione Golinelli, con molte relazioni tra cui quelle di V. Cimino (storica dell’arte), P. Guidoni (astronauta), G. Bertolucci e A. Zoccoli, ancora sotto la vivace e divertente conduzione di P. Roversi, e il pomeriggio in chiusura all’Accademia delle Scienze dell’Istituto di Bologna, con le relazioni di A. Bettini, R. Simili, A. Roda e B. Marano. Sono state ripercorse le tappe della scoperta della natura della luce, in particolare a partire dalla pubblicazione del De Lumine, avvenuta 350 anni fa, come opera postuma del bolognese Francesco Maria Grimaldi. L’evento conclusivo italiano dell’IYL 2015 e organizzato dalla SAIt in collaborazione con la SIF, ha avuto luogo a Napoli, il 12 dicembre, presso l’Osservatorio Astronomico di Capodimonte dell’Istituto Nazionale di Astrofisica, con gli interventi “spaziali” di P. De Bernardis e L. Parmitano (astronauta). Mentre a livello internazionale, la cerimonia di chiusura dell’Anno Internazionale della Luce 2015 si terrà in Messico il 4-6 febbraio 2016, nella bella città di Mérida, poco distante dal sito archeologico Maya di Chichen Itza e di uno dei primi osservatori astronomici, El Caracol (il sito è patrimonio UNESCO). All’evento finale dell’IYL 2015 saranno presenti figure chiave di questo anno internazionale, tra cui leader e rappresentanti del mondo accademico, industriale, diplomatico e politico, provenienti da tutto il mondo. Luisa Cifarelli, Angela Oleandri Chichen Itza vol31 / no5-6 / anno2015 > 85 news INAUGURATA A GENOVA UNA NUOVA GRANDE MOSTRA SU ENRICO FERMI Lo scorso 22 ottobre, è stata inaugurata al Museo Civico di Storia Naturale “Giacomo Doria” di Genova, nell’ambito delle manifestazioni del Festival della Scienza 2015, la Mostra (http://www.mostrafermi. it/): ENRICO FERMI – A DUAL GENIUS BETWEEN THEORIES AND EXPERIMENTS / UNA DUPLICE GENIALITÀ TRA TEORIE ED ESPERIMENTI La Mostra, realizzata a cura del Museo Storico della Fisica e Centro Studi e Ricerche “Enrico Fermi” (Centro Fermi), in collaborazione con la Società Italiana di Fisica (SIF) e con il sostegno della Sezione INFN di Bologna, vuole illustrare le grandi conquiste scientifiche di Fermi, un uomo dalla mente creativa eccezionale, dalla duplice genialità “in equilibrio” tra teorie ed esperimenti. Queste conquiste, integrate nelle varie tappe della vita dello scienziato, sono presentate con una nuova chiave di lettura adatta al grande pubblico, compresi i giovanissimi, 86 < il nuovo saggiatore combinando in maniera innovativa oggetti (modelli e riproduzioni) e pannelli tradizionali con apparati espositivi avanzati, prodotti multimediali, filmati e sonori. Al centro della Mostra, l’esposizione dell’originale di un inedito quaderno di laboratorio di Fermi del 1934, ritrovato ad Avellino tra le carte del suo collaboratore Oscar D’Agostio, che testimonia una delle sue maggiori scoperte: la radioattività indotta da neutroni. La Mostra discende da un progetto, frutto di un gruppo di fisici e storici della fisica che ha operato per diversi mesi, e mira a mettere in rilievo la grandezza di Enrico Fermi, la sua straordinaria figura di maestro e di gigante della fisica del XX secolo attraverso la presentazione di vari aspetti, umani e scientifici, della sua vita. Enrico Fermi, paradossalmente più noto all’estero che in Italia, fu una mente creativa eccezionale, capace di avere geniali intuizioni in termini di comprensione teorica dei fenomeni e al contempo capace di progettare e realizzare ingegnosi esperimenti in grado di verificarle. Le sue teorie e le sue scoperte sperimentali hanno avuto un enorme impatto per la scienza moderna. La Mostra ripercorre le maggiori e formidabili conquiste scientifiche di Fermi, con una presentazione ricca di exhibit interattivi, pannelli retroilluminati, schermi tattili (touchscreen), oggetti esposti e video che la rendono adatta al grande pubblico, compresi i giovanissimi. La Mostra è organizzata in “tappe”. Oltre alla prima tappa che invita a visitare la Mostra, ci sono altre nove sezioni che coprono la parte scientifica della vita di Fermi, la sua vita privata e l’ambiente in cui ha lavorato, e per finire una sezione che illustra i progetti del Centro Fermi: 1. Invito alla mostra 2. Una vita scintillante 3. Il nostro universo di fermioni e bosoni 4. 5. 6. 7. La formidabile teoria dei raggi beta Un Premio Nobel tutto italiano Un ambiente creativo “Il navigatore italiano è sbarcato nel nuovo mondo …” 8. Il mistero dei raggi cosmici 9. E adesso gli acceleratori 10. L’ultimo dono di Fermi all’Italia 11. I progetti del Centro fermi. All’entrata della Mostra è stato allestito un piccolo bookstore dove sono presentati vari volumi e pubblicazioni della Società Italiana di Fisica collegati alla vita di Fermi, tra cui la novità editoriale Enrico Fermi e il quaderno ritrovato di F. Guerra e N. Robotti, che analizza il quaderno di laboratorio rinvenuto dagli autori stessi solo in anni recenti ad Avellino ed esposto per la prima volta nella Mostra. è inoltre presente nella Mostra un touchscreen dove sono riportate in forma digitale e liberamente sfogliabili tutte le pubblicazioni di Fermi nella rivista Il Nuovo Cimento. L’evento inaugurale della Mostra è stato la Lectio Magistralis di Antonino Zichichi, primo presidente fondatore del Centro Fermi e autore di una prima mostra itinerante inaugurata a Roma nel 2007, dal titolo: “Enrico Fermi e il fuoco nucleare di pace”. La conferenza di Zichichi, dal titolo: “Il più grande Galileiano del XX secolo – omaggio a Enrico Fermi” si è tenuta il 24 ottobre presso l’Aula Magna del Liceo Classico “Andrea D’Oria” di Genova, situato a pochi passi dal Museo Civico di Storia Naturale. In un’aula strapiena di scienziati, studenti e grande pubblico, Zichichi ha ricordato con la sua consueta passione, e l’innata capacità di rendere semplici i concetti più complessi, la straordinarietà di Enrico Fermi e la sua incredibile mente creativa che riusciva a eccellere in tutti i settori principali della scienza: l’analisi teorica, la progettazione di esperimenti e le invenzioni tecnologiche per realizzarli. Al termine della conferenza il pubblico è andato a visitare la Mostra manifestando grande soddisfazione e apprezzamento. La Mostra resterà aperta fino al 10 gennaio e a essa è abbinato un programma di conferenze e di proiezioni di documentari che si svolgeranno nel grazioso anfiteatro del Museo Civico. Siete tutti invitati ad andare! Varie sedi si sono fatte avanti per ospitare la Mostra in attesa che venga allestita a Roma, nella sua destinazione finale nel Museo Fermiano di via Panisperna, la sede istitutzionale del Centro Fermi, che sarà pronta, dopo una lunga fase di restauro, alla fine del 2016. Luisa Cifarelli, Angela Oleandri vol31 / no5-6 / anno2015 > 87 news il premio nobel per la fisica 2015 Photo © Takaaki Kajita Takaaki Kajita Il Premio Nobel per la Fisica 2015 è stato assegnato congiuntamente a Takaaki Kajita, dell’Università di Tokio dell’esperimento SuperKAMIOKANDE, e ad Arthur B. McDonald, dell’Università di Queen’s a Kingston, dell’esperimento SNO, “per la scoperta delle oscillazioni del neutrino, che dimostra che i neutrini hanno massa”. Che i neutrini abbiano massa non nulla, come i loro “fratelli” leptoni carichi e come i quark, non è in sé sorprendente, ma lo è perché il Modello Standard (MS) delle interazioni fondamentali è costruito assumendo che i tre neutrini abbiano massa nulla. In altre parole il meccanismo di Brout, Englert e Higgs, così come realizzato nel MS, non dà, unici tra i fermioni elementari, massa ai neutrini. Ci sono tre “famiglie” di leptoni, ciascuna composta di un leptone carico e del “suo” neutrino; (e–, νe ), (µ–, νµ ) e (τ–, ντ ) e le corrispondenti antiparticelle. Ciascuna famiglia è caratterizzata da un numero quantico addittivo, chiamato “sapore”. L’elettrone e il neutrino elettronico hanno “sapore elettronico” +1, il positrone e l’antineutrino elettronico, sapore elettronico –1. Analogamente per i sapori “muonico” e “tauonico”. Le interazioni deboli conservano i sapori, così, ad esempio, nel decadimento beta sono prodotti un elettrone e il suo antineutrino. Come si rivela il sapore di un neutrino? Interagendo con la materia il neutrino può produrre tramite scambio di W ± un leptone carico, che ne identifica il sapore. Il MS assume che un neutrino nato con sapore, ad esempio, muonico, quando interagisce produca sempre un µ, mai un elettrone o un τ. La conclusione è basata su di una serie di esperimenti ai laboratori con acceleratori di alte energie nella seconda metà del secolo scorso, su fasci di neutrini che viaggiavano nel vuoto su distanze dell’ordine delle centinaia di metri. A partire dagli anni ‘70 però, esperimenti in laboratori sotterranei, costruiti per ridurre i fondi radioattivi, cominciarono a mostrare che forse le cose stavano diversamente. Erano basati sull’osservazione di neutrini da sorgenti naturali, il sole e le collisioni di raggi cosmici nell’atmosfera. Rispetto agli esperimenti agli acceleratori, due sono le differenze importanti: 1) le distanze tra sorgente e rivelatore sono molto maggiori, migliaia di chilometri per i neutrini atmosferici, 150 milioni per i neutrini solari; 2) i neutrini percorrono un cammino, che è, almeno in parte, non nel 88 < il nuovo saggiatore Photo: K. McFarlane. Queen’s University / SNOLAB Arthur B. McDonald vuoto ma nella materia, molto densa nel caso dei neutrini prodotti nel centro del sole. Questa serie di esperimenti, a cui accennerò più avanti, culminarono con la scoperta dei due fenomeni premiati quest’anno. In effetti la motivazione del premio non è precisa, perché i fenomeni sono, appunto, due, l’oscillazione e la transizione adiabatica di sapore. Il primo fu definitivamente stabilito da SuperKAMIOKANDE [1], SK per brevità, con i neutrini atmosferici, il secondo da SNO [2] (Solar Neutrino Observatory) con i neutrini solari. Entrambi i fenomeni possono avvenire se i neutrini hanno massa non nulla. Entrambi gli esperimenti rivelano le particelle cariche, specificamente l’elettrone e il µ, prodotti dai rispettivi neutrini, tramite la luce emessa per effetto Cherenkov in acqua. Si tratta di grandi volumi in un contenitore le cui pareti sono coperte di fotomoltiplicatori. Questi danno l’immagine dell’intersezione del cono di luce, che avanza con la particella, con la parete. È un anello che fornisce le misure della direzione e dell’energia della particella. Inoltre la sua immagine più o meno netta permette di distinguere µ da elettroni. SK contiene 50 000 t di acqua, la cui parte centrale, per 22 000 t, è usata come volume di fiducia. La fig. 1 mostra SNO durante la costruzione mentre, la fig. 2 un anello Cherenkov in SuperK. SNO contiene 1000 t d’acqua pesante, che permette, con la presenza di neutroni, di rivelare, oltre ai leptoni carichi, anche le interazioni di neutrini con scambio di Z 0 che non producono un leptone carico. Questo tipo di interazione è indipendente dal sapore dei neutrini; tutti interagiscono con la stessa sezione d’urto. Comincio con le oscillazioni. Per semplicità supponiamo che ci siano solo due neutrini, νµ e ντ . Questi sono gli stati prodotti dall’interazione debole, ma, se i neutrini hanno massa e sono “mescolati”, non sono gli stati di massa definita, ma sovrapposizioni quantistiche di questi, chiamati ν2 e ν3, , dove θ23 è chiamato angolo di mescolamento (in realtà ce ne sono altri due, θ12 e θ13). Agli stati stazionari ν2 e ν3 corrispondono onde monocromatiche di frequenze dipendenti dalle loro masse m2 e m3 . Fig. 1 Il Solar Neutrino Obseravtory in costruzione. © Lawrence Berkeley National Laboratory, foto: Roy Kaltschmidt. Quindi un fascio di νµ di energia definita è un’onda dicromatica. Le due componenti monocromatiche sono inizialmente in fase, ma col tempo si sfasano e la probabilità di osservare il sapore diverso da quello iniziale, ντ nell’esempio, che inizialmente è nulla, gradualmente cresce, raggiungere un massimo e poi decrescere di nuovo, mentre quella di osservare νµ decresce, raggiunge il minimo e ricresce. Questo è il fenomeno delle oscillazioni, simile a tutti i sistemi quantici a due stati. In formule, la probabilità di osservare ντ in un fascio originalmente di νµ di energia E (in GeV) alla distanza L (in km) per una differenza di massa ∆m23 in eV è . Un esperimento a distanza sufficiente dalla sorgente può quindi rivelare la scomparsa del sapore originale, come deficit di flusso, o la comparsa del nuovo. Dato che le differenze di massa sono molto piccole, occorrono distanze grandi. A partire dalla metà degli anni 1980, si erano osservate anomalie nei neutrini atmosferici. La quantità misurata era il “doppio rapporto”, cioè il rapporto osservato/aspettato per i µ diviso per l’analogo per gli elettroni. Questa grandezza infatti è meno sensibile alle incertezze teoriche nel calcolo dei flussi attesi dei rapporti singoli. Esso veniva misurato in funzione dell’angolo con la verticale. All’aumentare di questo aumenta la distanza del punto di produzione, che è comunque in atmosfera, da una decina a 12000 km circa. A grandi lunghezze di volo il doppio rapporto diminuiva sostanzialmente. Ma non era chiaro quale ne fosse la causa. Ad esempio, erano troppi gli elettroni o troppo pochi i µ? Inoltre, l’effetto era mostrato dai rivelatori Cherenkov, ma poco o per niente da quelli traccianti. Alla conferenza “Neutrino 1998”, Takaaki Kajita presentò, a nome della collaborazione, i risultati di SK, che chiarivano definitivamente la situazione. Il flusso di νµ prodotti nell’atmosfera vicina risultò uguale alle previsioni, ma diminuiva al crescere della distanza sino a dimezzarsi a migliaia di chilometri. Inoltre, cosa importante, la variazione era diversa nei diversi intervalli di energia, esattamente come previsto dall’ipotesi di oscillazione. Al contrario, il flusso di νe risultò uguale alle previsioni su tutte le distanze e in tutti gli intervalli di energia. Era la Fig. 2 Un anello Cherenkov, il colore codifica l’intensità del segnale. © Kamioka Observatory, ICRR (Institute for Cosmic Ray Research), The University of Tokio. scoperta dell’oscillazione e del fatto che questa non avveniva verso νe . Tra i neutrini noti avrebbe dovuto essere verso ντ , ma SK non poteva escludere fosse verso qualche tipo di neutrino ignoto, o altro. È spesso difficile identificare il ruolo dei singoli ricercatori in un esperimento di grande collaborazione come SK, ma, in questo caso, quello di leadership intellettuale di Kajita nell’analisi dei dati sui neutrini atmosferici è chiarissimo. È però triste che Yogi Totzuka, che guidò la costruzione dell’apparato, ci abbia lasciato ormai da qualche anno. Storicamente, SK è il successore di un esperimento simile, ma più piccolo, KamiokaNDE appunto, acronimo per Kamioka (il luogo) Nucleon Decay Experiment, il cui obiettivo principale era la ricerca del decadimento del protone. L’esperimento rivelò i neutrini solari e quelli dalla supernova SN 1987a, il che portò al premio Nobel M. Koshiba, assieme a R. Davis di cui dirò più avanti, nel 2002, “per i contributi pioneristici all’astrofisica in particolare per la rivelazione dei neutrini cosmici”. I neutrini atmosferici dovevano essere studiati come la principale fonte di fondi al decadimento del protone, sia in KamiokaNDE sia in SK, e Kajita ricorda, nell’intervista telefonica da Stoccolma dopo l’annuncio del premio, “I noticed that there is something strange happening there. So that is the beginning of my research on neutrinos”. Nella stessa conferenza Neutrino1998, l’esperimento MACRO [3] nei Laboratori Nazionali del Gran Sasso (LNGS) dell’INFN, presentò i suoi dati sulla dipendenza dall’angolo con la verticale del flusso di νµ (non era sensibile a νe) integrato sull’energia. MACRO era un rivelatore tracciante e confermava il deficit a grandi distanze, in accordo col Cherenkov. Un decennio più tardi, l’esperimento OPERA al Gran Sasso su un fascio di νµ dal CERN, dimostrerà per osservazione diretta che i νµ scomparsi appaiono, nella maggioranza, come ντ . Dal punto di vista teorico, un fenomeno di oscillazione, in forma un po’ diversa, era stato ipotizzato già nel 1957 da B. Pontecorvo [4]. Si conosceva un solo tipo di neutrini allora, e l’ipotesi fu che l’oscillazione fosse tra neutrino ed antineutrino, in analogia ai mesoni K neutri e quindi con angolo di mescolamento massimo, di π/4. Subito dopo la scoperta del secondo neutrino nel 1962, i teorici K. Maki, M. Nakagawa e S. Sakata [5] ipotizzarono che i neutrini di sapore vol31 / no5-6 / anno2015 > 89 definito fossero mescolamenti degli autostati di massa e che ci potesse essere l’oscillazione . Uno studio fenomenologico più dettagliato fu fatto da B. Pontecorvo da solo nel 1967 [6] e con V. Gribov [7] nel 1968, considerando oscillazioni sia tra neutrini e antineutrini sia tra sapori diversi. La transizione adiabatica è un altro fenomeno capace di indurre il cambio di sapore tra i neutrini. A differenza delle oscillazioni, è un fenomeno dinamico, che avviene non nel vuoto, ma nella materia. È dovuto al potenziale di interazione tra neutrini ed elettroni. Questo è diverso per neutrini elettronici, che interagiscono sia con scambio di W ± sia di Z 0, e per gli altri sapori, che possono scambiare solo Z 0. Nel 1978 Wolfenstein [8] notò come la diffusione coerente in avanti modificasse l’indice di rifrazione dei neutrini in maniera diversa dei νe dagli altri. Il meccanismo rilevante, fu però proposto da Mikheyev e Smirnov [9] nel 1985. Esso avviene quando i neutrini attraversano un mezzo di densità variabile, come accade dal centro alla periferia del sole. Nel suo centro, dove la densità è molto grande, i neutrini sono prodotti col sapore elettronico, che, a quella densità, è anche autostato di massa. Gli autostati nella materia sono sovrapposizioni di stati di sapore definito diversi che nel vuoto, dipendenti dalla densità del mezzo. Può accadere, e nel sole accade per energie superiori a qualche MeV, che i neutrini che viaggiano verso l’uscita, incontrino un incrocio di livelli. Allora, – adiabaticamente, il νe si trasforma, per la precisione, in (νµ + ντ ) /√2. Si noti che l’oscillazione è un fenomeno cinematico, di interferenza, in cui conta la fase relativa delle onde che interferiscono, la transizione adiabatica non ha nulla a che fare con la fase, è, come detto, un fenomeno dinamico. A partire dagli inizi degli anni 1960, J. Bahcall [10] sviluppò il “modello solare standard”, che prevedeva accuratamente il flusso e lo spettro energetico dei neutrini prodotti nel nucleo del sole. R. Davis (premio Nobel con M. Koshiba per la fisica nel 2002, come sopra ricordato) costruì un esperimento radiochimico, sensibile ai soli neutrini elettronici nella parte di maggiore energia dello spettro, tramite la “rezione di Pontecorvo” νe + 37Cl → 37Ar + e–. Scoprì che ne arrivavano circa un terzo. Ci vollero quattro decenni per risolvere il problema, che divenne noto come “l’enigma dei neutrini solari”. Chi era il colpevole? Il modello solare? La fisica nucleare? Il neutrino? Tappa fondamentale fu il contributo di GALLEX [11] a LNGS, che per primo rivelò i neutrini elettronici solari a bassa energia, la parte dello spettro in cui le previsioni sono molto solide, tramite la reazione νe + 71Ga → 71Ge + e–. Nel 1995 la precisione raggiunta da GALLEX era tale che un secondo “enigma” emerse, l’enigma del 7Be-8B. Il problema è il seguente. Ci sono tre principali componenti della generazione dei neutrini elettronici nel sole: 1) la fusione pp (p+ p → d+e++ νe ), che domina, ma produce neutrino di energia bassa, 2) la reazione di 7 Be (7Be+e– → 7Li + γ + νe), 3) la reazione di 8B (8B → 24He+e++ νe ). GALLEX misurò la somma dei tre flussi. Sottraendo il flusso pp, che è ben noto dalla luminosità del sole, e il flusso del 8B, che era stato misurato da Kamiokande, si doveva trovare il flusso del 7Be. Ma il risultato fu un valore negativo, anche tenendo conto delle incertezze. Ma questo non può essere, perché, indipendentemente dai dettagli del modello solare, il 8B, osservato, è figlio del 7Be tramite la reazione 7Be + p → 8B + γ. Questo escludeva la “soluzione solare” del puzzle. Ma rimaneva aperta un’altra possibilità. Nel modello solare 90 < il nuovo saggiatore compaiono sezioni d’urto di processi nucleari a energie molto basse, dove la barriera coulombiana le rende piccolissime, così piccole che non erano state misurate. I valori nel modello erano ottenuti per estrapolazione da energie più alte. In particolare, il puzzle si poteva spiegare se l’estrapolazione della sezione d’urto 3He + 3He → 4He + 2p non avesse corrisposto alla realtà. La misura di così piccole sezioni d’urto deve essere fatta in sotterraneo, per evitare fondi eccessivi. E nei LNGS fu sviluppato il progetto LUNA. Nel 1998 LUNA pubblicò la misura della sezione d’urto menzionata alle energie a cui accade nel sole. L’estrapolazione era giusta. La “soluzione nucleare” del puzzle doveva essere scartata. A questo punto, il colpevole doveva essere il neutrino. Ma non c’era ancora la prova completa che si trattasse di conversione adiabatica. Bisognava stabilire sperimentalmente quale fosse il processo responsabile. Lo fece SNO. A. McDonald fu sin dall’inizio, nel 1984, la guida del progetto, della costruzione e messa in funzione dell’esperimento. Grazie all’uso di 1000 t di acqua pesante, come ricordato, l’esperimento era in grado sia di rivelare separatamente gli elettroni prodotti dai neutrini elettronici sia gli eventi, di “corrente neutra”, prodotti da tutti e tre i sapori. Nel 2002 il primo risultato [2]: il flusso dei primi era circa un terzo del modello solare, ma quello di tutti i sapori era esattamente quanto predetto da Bahcall. I neutrini dal sole oscillano. All’osservazione del giornalista nell’intervista “What a lovely result, and it also must be enormous fun to play with such kit”, McDonald risponde “It’s fun, once you get there” , non era stato facile, “[…] you have the ability to observe particles that come directly from the core of the sun”. L’esperimento BOREXINO a LNGS misurerà nel decennio successivo, le diverse componenti dello spettro dei neutrini elettronici solari. Vedi anche: http://www.nobelprize.org/nobel_prizes/ physics/laureates/2015/advanced-physicsprize2015. pdf A. Bettini Università di Padova, INFN, Sezione di Padova Bibliografia [1] [2] [3] [4] [5] [6] [7] [8] [9] [10] [11] Y. Fukuda et al., Phys. Rev. Lett., 81 (1988) 1562. Q. R. Ahmad et al., Phys. Rev. Lett., 89 (2002) 011301. M. Ambrosio et al., Phys. Lett. B, 566 (2003) 35. B. Pontecorvo; JINR Preprint, P-95 (1957). Z. Maki, M. Nakagawa, Y. Ohnuki and S. Sakata; Progr. Theor. Phys., 23 (1960) 1270. B. Pontecorvo; Zh. Eksp. Teor. Fiz., 53 (1967) 1717. V. Gribov and B. Pontecorvo, Phys. Lett. B, 28 (1969) 493. L. Wolfenstein, Phys. Rev. D, 17 (1978) 2369. S.P. Mikheyev and A.Y. Smirnov, Nuovo Cimento C, 9 (1986) 17. Per una storia del modello solare, J. N. Bahcall. “Solar Models: An historical overview”, Nucl. Phys. B (Proc. Suppl.), 118 (2003) 77. Per una storia degli esperimenti radiochimici, T. A. Kirsten. “Radiochemical solar neutrino experiments: door open for modern Astroparticle Physics.”, Il Nuovo Saggiatore, 31, n. 1-2 (2015) 46. news La Fisica universitaria in una prospettiva di genere: 1980-2015 Premessa L’esperienza diretta, prima ancora di qualunque statistica, ci mostra la permanente esistenza di profonde barriere culturali che hanno indirizzato e continuano a indirizzare e condizionare le scelte di studio di molte donne, pur motivate all’acquisizione di competenze avanzate e interessate a un possibile inserimento in professioni legate al mondo della ricerca teorica e applicata. Esiste un’evidente attrazione verso determinati percorsi formativi, quelli che oggi vengono comunemente identificati con le formule di “scienze umane” e di “scienze della vita”, mentre le donne appaiono tuttora in larga misura respinte da quegli ambiti di studio e di formazione che si caratterizzano per un più elevato contenuto tecnologico. Non indagheremo in questa sede le origini storiche e sociali di questi orientamenti e non analizzeremo in dettaglio i limiti specifici della nostra formazione primaria e secondaria, che a loro volta condizionano le scelte successive, ma ci limiteremo a sottolineare che non si tratta comunque di un fenomeno universale, almeno nel mondo attuale, in quanto in molti Paesi sviluppati questa polarizzazione delle scelte è oggi assai meno marcata, se non addirittura quasi assente. Per un’analisi più precisa di queste dinamiche ci vengono comunque in aiuto alcune statistiche1. Ci pare interessante confrontare la variazione della percentuale di ricercatrici universitarie nelle differenti aree disciplinari tra il 1980 e il 2015, tenendo conto del fatto che globalmente tale percentuale è passata dal 41% al 46%, per cui almeno a questo livello la presenza femminile, pur senza essere esattamente paritaria, non sembra soggetta a discriminazioni confrontabili con quelle presenti in altri contesti nazionali, come la politica e il management. Ebbene, pur nel quadro di un complessivo miglioramento della presenza femminile, ci sono aree che, partendo da valori del tutto rispettabili nel 1980, hanno visto una vera e propria recessione, come l’area delle Scienze Matematiche e Informatiche, passata dal 56% del 1980 al 41% del 2015, e l’area delle Scienze della Terra, passata dal 39% al 32%. L’area delle Scienze Fisiche è ferma al 26-27%, mentre l’unico settore delle scienze “dure” in cui l’evoluzione ha un segno positivo è quello delle Scienze Chimiche, giunte da un già significativo 44% all’attuale 59%. 1 Tutti i dati presentati sono il risultato di elaborazioni dell’autore a partire da fonti CINECA, ISTAT, Ufficio di Statistica del MIUR, dagli Annuari del Ministero della Pubblica Istruzione per gli anni 1983, 1987, 1992 e 1995 e dal Rapporto sullo stato del sistema universitario e della ricerca 2014 dell’ANVUR. Alcuni risultati relativi all’intero sistema universitario sono apparsi nell’articolo di F. Marzano e P. Rossi, Le dinamiche di reclutamento e di carriera delle donne nel sistema universitario italiano, ASTRID Rassegna 12 settembre 2008 n.77 e nell’articolo di R. Frattini e P. Rossi, Report sulle donne nell’Universita’ italiana, Menodizero, Anno III, N.8-9 (2012). Questi dati sembrano indicare soprattutto, a nostro parere, un grave limite del nostro sistema scolastico pre-universitario e della sua capacità di orientamento. Che cosa tiene lontane da discipline come la Matematica, l’Informatica, la Fisica, la Geologia o l’Ingegneria le ragazze italiane, che pure non sembrano refrattarie nei confronti di studi altrettanto impegnativi anche sotto il profilo “tecnologico” come quelli di Chimica, di Biologia o di Medicina? Tale fenomeno ha risvolti preoccupanti anche su un piano strategico, proprio in un Paese, come il nostro, che sta scontando una grave arretratezza rispetto agli altri Paesi avanzati e a quelli in via di sviluppo proprio nei processi di innovazione che coinvolgono in maniera sempre più importante lo sviluppo di competenze proprio in quei campi disciplinari che sembrano presentare minor interesse culturale (e in prospettiva professionale) per la maggioranza delle ragazze italiane. Esiste sicuramente un’immagine pubblica di alcune scienze che, almeno in Italia, le rende meno attrattive di altre in una prospettiva (per così dire) di genere, ancorché tale mancanza di capacità di attrazione non appaia riconducibile ad alcuna identificabile differenza tra maschi e femmine. Esiste tuttavia almeno un altro riconoscibile motivo che concorre ad allontanare le donne da determinate discipline: si tratta del feedback negativo derivante proprio dalla scarsa presenza femminile in quegli stessi ambiti. Se per alcune donne tale scarsa presenza può apparire come uno stimolo e una sfida, per la maggioranza è certamente un segnale di forte ostilità (e quindi di repulsione) da parte di contesti nei quali la preponderante presenza maschile lascia facilmente presagire anche livelli di competitività e di aggressività non facilmente accettabili proprio in un’ottica di genere. 2 L’andamento numerico complessivo e per fasce La presenza femminile all’interno della docenza universitaria nell’area fisica è sempre stata pesantemente minoritaria. In particolare nel 1980, all’inizio del periodo preso in esame, le donne rappresentavano soltanto il 14% del totale della docenza, con una distribuzione tra le fasce assai disomogenea, in quanto mentre la percentuale delle ricercatrici (RU) rappresentava il 27% della fascia, quella delle associate (PA) scendeva al 12% e quella delle ordinarie (PO) si riduceva a un misero 5%. Dopo una piccola risalita nella seconda fascia all’inizio degli anni Novanta la situazione rimase pressoché immutata fino all’anno 2000, quando le percentuali erano rispettivamente del 26% per le ricercatrici, del 15% per le associate e del 5% per le ordinarie, a rappresentare con tutta evidenza il fenomeno del “soffitto di vetro” per cui la progressione nelle carriere continuava a vedere le donne in posizione di costante svantaggio. A partire dall’anno 2000 sembrava essersi attivato un meccanismo di parziale recupero dello squilibrio di genere, con una risalita media di un punto percentuale ogni tre anni per le due fasce dei professori, vol31 / no5-6 / anno2015 > 91 News ANNO Ricercatrici Associate Ordinarie 1980 99 27% 98 12% 19 5% 1981 99 27% 98 12% 19 5% 1982 99 27% 98 12% 19 5% 1983 119 26% 98 12% 19 5% 1984 132 25% 100 12% 19 5% 1985 131 26% 135 13% 19 5% 1986 131 25% 135 13% 20 5% 1987 128 25% 136 15% 29 5% 1988 124 28% 146 14% 32 5% 1989 125 28% 144 14% 32 5% 1990 146 27% 139 14% 33 5% 1991 152 25% 133 14% 34 5% 1992 152 26% 151 14% 33 5% 1993 159 25% 154 14% 33 5% 1994 166 25% 150 15% 36 5% 1995 175 25% 148 15% 34 5% 1996 180 24% 143 15% 32 5% 1997 187 24% 140 15% 31 5% 1998 198 25% 141 15% 30 5% 1999 200 26% 144 14% 30 5% 2000 202 26% 137 15% 37 5% 2001 205 27% 150 16% 46 6% 2002 231 29% 149 16% 53 6% 2003 225 29% 144 16% 53 6% 2004 225 29% 143 16% 54 6% 2005 232 29% 153 16% 57 7% 2006 240 30% 162 17% 60 7% 2007 237 29% 160 17% 62 7% 2008 250 28% 154 17% 58 7% 2009 246 28% 148 17% 56 8% 2010 238 27% 143 18% 51 8% 2011 236 27% 144 18% 50 9% 2012 228 26% 136 18% 49 9% 2013 224 26% 133 18% 53 11% 2014 186 26% 162 20% 54 11% Tabella I. fig. 1 92 < il nuovo saggiatore fig. 2 paolo rossi: La Fisica universitaria in una prospettiva di genere: 1980-2015 fino ai valori attuali (20% per le associate e 11% per le ordinarie). Si deve tuttavia notare che, dopo una fase di rapida crescita fino al 30% del 2006, la percentuale delle ricercatrici ha iniziato a scendere (per il concomitante effetto delle promozioni e del blocco del reclutamento) ed è oggi nuovamente attestata intorno al 26% (tabella I e fig. 1). Nel complesso le donne oggi rappresentano il 20% del personale docente di ruolo nell’area della fisica, all’esito di un andamento sostanzialmente parallelo a quello della fascia degli associati; per effetto del blocco del turnover e della messa a esaurimento dei ricercatori, e anche per alcune considerazioni che saranno presentate nel seguito, questo valore ben difficilmente potrà essere superato nel futuro prossimo. 3 La dipendenza dal settore scientifico-disciplinare La presenza femminile nei diversi settori della Fisica non appare affatto omogenea. Escludendo dall’analisi i settori FIS/06 e FIS/08, nei quali i numeri sono troppo piccoli per essere statisticamente significativi, notiamo innanzitutto che il trend di crescita avviatosi a partire dal 2000 è comune a tutti i settori, ma con esiti molto differenti a partire da condizioni iniziali già molto diversificate. Così mentre il settore FIS/07 passa dal 19% del 1980 all’attuale 33% e il settore FIS/04 passa dal 14% al 23%, il settore FIS/01 si limita a progredire dal 16% al 19%, facendosi quindi raggiungere dai settori FIS/03 e FIS/05, che invece partivano dal 10 e dall’11%. Del tutto particolare l’andamento del settore teorico FIS/02 che partendo dal 6% è fermo da tempo sul 10%. Gli andamenti nelle fasce riflettono proporzionalmente l’andamento generale sopra descritto. 4 L’andamento del reclutamento L’andamento del reclutamento dal punto di vista del genere è forse il dato più interessante che si può estrarre dall’analisi. Per ottenere numeri statisticamente significativi e rimuovere le ampie fluttuazioni dovute all’erraticità delle scadenze concorsuali siamo stati tuttavia costretti a mediare su archi di tempo decisamente superiori all’anno: abbiamo quindi preso in esame sette periodi quinquennali. Notiamo in primo luogo che si conferma per il reclutamento la netta distinzione tra il ventennio 1980-1999 e il periodo che inizia nel 2000. Nel primo periodo i valori del reclutamento per ordinari e associati non differiscono se non marginalmente dai valori iniziali, mentre il reclutamento delle ricercatrici è addirittura percentualmente inferiore a quello iniziale, e questo spiega bene il motivo per cui le percentuali di presenza femminile fino al 2000 sono pressoché uguali a quelle riscontrate nel 1980. La situazione cambia bruscamente nel quinquennio 2000-2004, quando le percentuali di reclutamento passano al 30% per le ricercatrici, al 20% per le associate e al 10% per le ordinarie. Nel seguito, a spiegazione e conferma di quanto già osservato in precedenza, le percentuali per le due fasce dei professori continuano a crescere, fino a raggiungere rispettivamente il 25% per le associate e il 16% per le ordinarie, ma segnano un progressivo e preoccupante declino nel caso delle ricercatrici, anche se il fenomeno potrebbe essere in parte dovuto alla messa a esaurimento del ruolo e alla conseguente drastica riduzione del numero dei concorsi, che (come in casi simili) ha spinto alla prevalenza di logiche spesso perniciose per il reclutamento femminile. In ogni caso è importante osservare che, pur in presenza di un trend di crescita, le percentuali di presenza femminile nei ruoli potranno forse raggiungere le percentuali al momento del reclutamento, ma certamente non potranno mai superarli (fig. 2). 5 L’età media e la distribuzione in età al reclutamento Merita invece sottolineare che non si registrano significative differenze di genere per quanto riguarda la distribuzione in età al reclutamento, in tutti i casi assai ben descritta da una curva di Gompertz caratterizzata da una decrescita esponenziale della probabilità di ingresso in funzione della distanza dall’età media di reclutamento. Quanto all’età media, e con riferimento specifico all’ultimo quindicennio, si rileva una differenza di genere quasi trascurabile nella fascia dei ricercatori (0,7 anni in media di ritardo per le donne) e non si riscontra alcuna differenza significativa nella fascia degli ordinari, mentre nell’accesso alla fascia degli associati le donne sono penalizzate da un ritardo medio di circa due anni. 6 Conclusioni L’esito complessivo delle analisi che abbiamo riportato si può riassumere in poche (e frustranti) considerazioni. Da un lato è evidente che il divario di genere nella Fisica italiana è ancora elevatissimo e non accenna a diminuire se non per l’effetto demografico ritardato di una crescita avvenuta nei decenni precedenti a partire da livelli di divario ancor più gravi. I valori percentuali del reclutamento (molto inferiori al 50%) fanno prevedere che nel medio periodo il livello della presenza femminile si attesterà su tali valori, senza che si configuri al momento alcuna prospettiva di reale equilibrio. D’altro lato è altrettanto evidente che il fenomeno del “soffitto di vetro” è ben lontano dallo scomparire: la progressione di carriera delle donne avviene con probabilità decisamente inferiore a quella degli uomini, come rappresentato dal fatto che le percentuali di donne al reclutamento, oltre che basse in assoluto, risultano fortemente decrescenti risalendo la scala gerarchica (16% per le ordinarie, a confronto con il 25% delle ricercatrici). Il confronto con i dati riportati dal Rapporto She Figures 20132 mostra tuttavia che non si tratta di una specificità italiana, ma di un fenomeno diffuso in tutti i Paesi con cui ci compariamo: si tratta tuttavia di una ben magra consolazione. In conclusione il cammino verso un’effettiva parità di genere nel mondo della fisica appare ancora assai lungo e irto di ostacoli apparentemente non soltanto materiali, ma forse soprattutto sociali e culturali. Paolo Rossi Dipartimento di Fisica, Università di Pisa Paolo Rossi Paolo Rossi (Bologna 1952) è professore ordinario di Fisica Teorica all’Università di Pisa dal 2000 e membro del Consiglio Universitario Nazionale dal 2007. Da tempo si occupa delle dinamiche della docenza universitaria, con particolare attenzione ai condizionamenti di genere nelle carriere. 2 European Commission, She Figures 2013. Gender in Research and Innovation. vol31 / no5-6 / anno2015 > 93