La Stampa - Piemonte Dal Vivo

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La Stampa - Piemonte Dal Vivo
LA STAMPA
DOMENICA 26 GIUGNO 2016
Cronache .19
.
LE STORIE
La donna che ha inventato
la moda delle cene in bianco
Partita nel 2012 a Torino, oggi coinvolge 187 città
“Volevo ricreare l’atmosfera affettuosa del Sud”
A Moncalvo d’Asti Orsolina 28, cascina della fine del ’700 che è diventata una Opéra sulle colline
In Monferrato la cascina
dove insegnano le étoiles
Orsolina 28 trasformata in una “casa della danza”
Da Parigi la direttrice artistica Marie-Agnès Gillot
ALBERTO GIACHINO/REPORTERS
La cena in bianco del 2014 in piazza San Carlo a Torino
Perché il
bianco?
CRISTINA INSALACO
TORINO
SERGIO TROMBETTA
MONCALVO (ASTI)
I pavimenti sono in tappeto
Harlequin, le sbarre a tre altezze per allievi piccoli e
grandi. C’è un pianoforte
verticale. Su tutta la lunga
parete di fondo un unico
grande specchio e dall’altra
parte una vetrata da dove lo
sguardo spazia a perdita
d’occhio sul verde del Monferrato. Perché, nonostante
l’attrezzatura sia la stessa,
questa non è una sala ballo
dell’Opéra di Parigi, né del
Royal Ballet a Londra o dell’American Ballet Theatre a
New York. È Orsolina 28, una
cascina della fine del ’700 la
cui rimessa agricola è stata
trasformata in una casa della
danza, una Opéra sulle colline. Al pian terreno c’è la sala
Balanchine; al primo, più
spaziosa e con la vista mozzafiato, la sala Alvin Ailey
che può anche accogliere
spettacoli. Come avverrà nei
prossimi giorni, durante il
Festival di Vignale, quando
per esempio ospiterà le esibizioni dell’indiana Shantala
Shivalingappa e dell’israeliano Sharon Fridman.
L’anima è Simony
Balanchine e Ailey non sono
nomi scelti a caso, perché è
alle scuole di questi grandi
maestri che ha studiato Simony Monteiro Denegri,
l’anima di Orsolina 28 che ha
fortemente voluto questo
luogo e come direttrice artistica ha chiamato MarieAgnès Gillot. Specialissima
étoile dell’Opéra di Parigi,
Gillot è l’indimenticabile
protagonista di Orfeo e Euridice di Pina Bausch all’Opéra, interprete di Jerome Robbins o William Forsythe, ma anche del nostro
Pippo Del Bono con cui è stata anche in tournée in uno
spettacolo.
Sulle punte
Marie Agnès
Gillot: le sue
masterclass a
Moncalvo
sono il 10, 17
e 18 luglio
COURTESY OF JAMES BORT
no stata “viziata” dai più
grandi coreografi e dunque ho
una grande quantità di cose
da dare ai giovani. Non voglio
certo morire con questo sapere solo per me».
Tra Parigi e Moncalvo
Quando era giovane allieva
della scuola di danza dell’Opéra di Parigi Marie-Agnès
doveva portare un busto per la
scoliosi. Se gli insegnanti se ne
fossero accorti non sarebbe rimasta un giorno di più alla
scuola. Così lo indossava di
notte e di giorno lo nascondeva sotto il letto, pur di continuare a studiare. Le ballerine
sono gente di questa tempra.
Altrimenti come diventerebbero étoile? Lei spiega: «Come
diceva Martha Graham quel
che fa una grande ballerina
non è la tecnica, ma la passione. Forse il carattere forte mi
arriva dalla mia famiglia, impegnata nella Resistenza durante la guerra». Un sacro
fuoco che Gillot intende trasmettere a ragazze e ragazzi
che verranno alle sue masterclass (il 10, 17 e 18 luglio) o a
seguire, con altri maestri,
workshop di danza classica,
hip hop e modern secondo
l’articolato programma estivo
che ha organizzato.
Dunque da Parigi a Moncalvo perché «in questo momento della mia carriera sono
felice di poter trasmettere
tutto quanto ho ricevuto. So-
Della sua esperienza come
danzatrice Gillot ama ricordare Bausch e Robbins: «Erano
due perfezionisti. Pina mi
spiegava delle cose di me stessa di cui non avevo coscienza.
Era come una psicoanalisi di
danza. Mi faceva lavorare sul
tempo e lo spazio per raggiungere una qualità di movimento
speciale. Voleva che facessi
tutta la variazione di Euridice
come se fossi nell’acqua, come
se dovessi spostare lentamente una massa d’acqua». Di
Robbins invece ricorda la suprema musicalità ma del suo
cattivo carattere non ha avuto
esperienza: «Ho avuto la fortuna di non averlo mai visto
arrabbiato».
In questi giorni Gillot si divide fra Moncalvo e Parigi dove è interprete di uno dei brani
della serata Forsythe Aproximate sonata. «Mi occuperò di
Orsolina 28 negli spazi liberi
che mi lascia l’Opéra. Amo
questo posto, anche perché sono nata in Normandia e preferisco il verde e la natura al caos della città. A questo punto
della mia carriera posso liberamente scegliere in quali
spettacoli danzare e il resto
del tempo impiegarlo come
preferisco».
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Quando ha organizzato la sua
prima cena in bianco, il 5 luglio
2012, non immaginava che la
sua idea torinese si sarebbe
trasformata in un fenomeno di
massa. Antonella Bentivoglio
d’Afflitto, 51 anni, è la donna
delle «unconventional dinner»: le cene in cui migliaia di
persone vestite di bianco apparecchiano la tavola in parchi e piazze, trasformando un
pezzo di città in un salotto sotto alle stelle. La prima è nata a
Torino in Piazzetta Reale, con
un esordio di 21 invitati iniziali
che in pochi giorni sono diventati 2.400. Oggi le «white dinner» sono 187: si sono diffuse
in tutta Italia, da Venezia a Roma, da Napoli a Biella, e vedono la partecipazione di circa
300 mila persone. E l’anno
scorso a Venaria Reale, in provincia di Torino, è stato battuto il record di 21 mila presenze
per la cena in bianco più grande d’Europa.
La data di quest’anno
La data di quest’anno a Torino
è il 17 luglio, ma il luogo è ancora top secret. Verrà svelato
soltanto ventiquattr’ore prima, anche se gli organizzatori
nei giorni precedenti scriveranno su Facebook alcuni indizi per creare suspence. «Questa idea mi ha rivoluzionato la
vita», sorride Antonella Bentivoglio d’Afflitto. Che oggi è assessore alla Cultura di Venaria
Reale. Nata a Torino nel 1965,
e con origini amalfitane, Antonella si è occupata per trent’anni di strategie di marketing e organizzazione di eventi. Ha lavorato in un’agenzia
pubblicitaria e nelle Pagine
Gialle, si è occupata di marketing per il Salone del Libro, ed
è stata consulente per la Ferrero, prima di scegliere la strada della libera professionista.
Le «unconventional dinner»
sono nate pensando ad Amalfi.
«Al Sud la gente pranza in
strada, davanti a casa propria
- racconta - in un’atmosfera di
incontro, condivisione ed attenzione all’altro che ho voluto
ricreare nella mia città». Aggiunge: «Abbiamo un gran bi-
«Perché è
elegante,
semplice,
apartitico, e
di grande
impatto»
Secondo
Antonella
Bentivoglio le
«white dinner» sono così
attrattive
perché sono
portatrici di
bellezza e di
favola
MARCO CARMAGNOLA
«Abbiamo un gran
bisogno di buone
relazioni, viviamo in
una realtà in cui ci si
conosce troppo poco»
Antonella
Bentivoglio d’Afflitto
assessore alla Cultura di
Venaria Reale
per facilitare la pulizia dell’area, che spetta ai «commensali». Nel 2013 si era scatenata
una bufera a Torino per i contributi pubblici del Comune.
Dopo quell’anno esistono solo
più quelli privati, di aziende o
cittadini, per coprire le spese
vive. Per fare un esempio il costo per l’assicurazione, bagni
chimici e Tarsu per una serata
a Torino è di circa 16 mila euro.
Marchio registrato
187
21
le «white
dinner»
mila
presenze
Sono diffuse
in tutta Italia,
da Napoli a
Biella, da
Venezia a
Roma, con
circa 300 mila
persone
l’anno scorso
a Venaria
Reale:
un record, è
stata la cena
in bianco più
grande
d’Europa
sogno di buone relazioni, vivendo in una realtà in cui ci si
conosce poco, e ci si siede sull’autobus guardando fuori dal
finestrino».
Per quanto esistano alcune
imitazioni a pagamento in altre parti del mondo, come il
Canada, l’adesione alla cena è
gratuita. Partecipando si dà
però il consenso al rispetto di
alcune regole: ci si deve vestire di bianco, bisogna portarsi
da casa tavoli, sedie, bicchieri,
bibite e cibo, ed è vietata la
presenza di carta o plastica
Il marchio della cena in bianco
è registrato, e quindi l’unica
possibilità per essere autorizzati a replicare il format in Italia è diventare soci dell’associazione di promozione sociale
«To be Unconventional», di
cui Antonella Bentivoglio d’Afflitto è presidente. Lei continua ad essere l’anima delle cene in bianco, anche se quest’anno l’organizzazione è nelle mani del marito Carlo Bentivoglio e di Paolo Faretra. L’essere assessore non le lascerebbe il tempo per occuparsene.
Perché il bianco? «Perché è
un colore elegante, semplice,
apartitico, e di grande impatto
fotografico». Secondo lei le
«white dinner» sono così attrattive perché sono portatrici
di bellezza, in luoghi aulici o
periferici delle città. La gente
si sente parte di una favola romantica in cui si ride, si assaggia il tiramisù del vicino conosciuto pochi minuti prima, ci si
innamora.
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