L`adattamento premorboso degli schizofrenici

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L`adattamento premorboso degli schizofrenici
L’adattamento premorboso degli schizofrenici: variabili biologiche,
ambientali e caratteriali
Schizophrenics premorbid adjustment: biological,
environmental and characterial variables
LOREDANA SANGIOVANNI, GIUSEPPE BERSANI, PAOLO PANCHERI
Dipartimento di Scienze Psichiatriche e Medicina Psicologica, Università La Sapienza, Roma
RIASSUNTO. Nel periodo premorboso, gli schizofrenici mostrano spesso deficit di competenza sociale e carenze comportamentali. Molti studi hanno riscontrato una correlazione tra questi deficit e variabili cliniche presenti durante il decorso della
malattia. Anche se l’origine dei deficit premorbosi è da ricondurre a un patrimonio genetico predisponente, notevole importanza è stata attribuita all’ambiente di vita incontrato dal bambino durante il suo percorso di crescita. Il nucleo familiare, che
talvolta si è rivelato inesistente o molto precario, è sempre carente nella capacità di dare affetto e sicurezza al bambino e nelle abitudini comunicazionali, mostrando un più alto tasso di aggressività e di ansia inespressa. La scuola è ritenuta fondamentale per la formazione della personalità del bambino, sia perché l’istruzione sembra avere un valore protettivo verso i deficit sociali premorbosi e il deterioramento proprio della malattia schizofrenica, sia perché offre ai bambini un’occasione di
relazionarsi con i coetanei e di migliorare i rapporti interpersonali. Gli studi effettuati sull’adattamento premorboso degli
schizofrenici si sono avvalsi di due metodiche: le indagini retrospettive e gli High-Risk Project; proprio attraverso questi ultimi è stato possibile ipotizzare un percorso preventivo con l’obiettivo di migliorare i deficit comportamentali, aumentare la
competenza sociale e ridurre i fattori stressanti.
PAROLE CHIAVE: adattamento sociale premorboso, schizofrenia, personalità preschizofrenica, High-Risk Project.
SUMMARY. In the premorbid period, schizophrenic subjects often show deficits in social competence and behaviour deviance. Many studies have found the correlation between these deficits and clinical variables during the course of the disease.
Although the origin of the premorbid deficits it is referable to a genetic vulnerability, considerable importance has been attributed to life environment met from the child during their growth. The family sometimes is inexistent and unstable, always
showing inability to give affection and safety to the child and communication deviance, presenting also an high rate of aggressive attitude and unexpressed anxiety. The school is considered fundamental for the personality formation of children, on
one side because the instruction seems to have a protective value towards the premorbid social deficits and the deterioration
typical of the schizophrenic disease, and on the other side because offers to the children the opportunity to improve the interpersonal relationships. The studies leaded on the premorbid adjustment in schizophrenic subjects have utilized two methods:
retrospective studies and High-Risk Projects; specially thank to the last ones has been possible suppose a preventive path with
the target to improve the behavioural deficits, to increase the social competence and to reduce the stressful factors.
KEY WORDS: premorbid social adjustment, schizophrenia, preschizophrenic personality, High-Risk Project.
INTRODUZIONE
Già all’inizio del XX secolo l’adattamento sociale e la
personalità premorbosa degli schizofrenici avevano destato l’interesse speculativo dei grandi padri della psi-
chiatria. Mentre Schneider e Jaspers (1,2) ritenevano la
schizofrenia indipendente dalla personalità e dall’adattamento psicosociale premorboso, Bleuler (3) sosteneva
che un tipo di personalità “schizotimica” può predisporre alla schizofrenia e, infatti, nella Presentazione della
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Sangiovanni L, et al.
teoria dei sintomi schizofrenici attestò: «Quindi ci sono
anomalie caratteriali precoci che potrebbero essere manifestate in più della metà degli individui che in seguito
diverranno schizofrenici: la tendenza all’isolamento e al
ritiro, insieme ad un moderato grado di irritabilità».
I deficit attualmente più spesso riscontrati negli studi retrospettivi sugli schizofrenici includono ridotta capacità di attenzione, deficit di competenza sociale e
problemi comportamentali (Tabella 1). Dunque, gli
schizofrenici nel periodo premorboso appaiono meno
indipendenti, più legati al loro nucleo familiare e con
pochi rapporti interpersonali (4).
Usando il test proiettivo di Rorschach su un campione di adolescenti a rischio tra i 10 e i 17 anni e valutando le loro fantasie e le proiezioni della loro vita
interiore, si è notata un’alta percentuale di punteggi
che esprimono ira e aggressività inappropriata, eccessiva crudeltà (come l’abitudine di torturare gli animali) e umore depresso (5-7).
Volendo esporre il quadro tipico di un adolescente
che nell’età adulta si ammala di schizofrenia, dobbiamo riferirci a un soggetto che ha avuto sempre difficoltà a stringere amicizie e non ha mai stabilito rapporti con l’altro sesso. Di solito ci troviamo di fronte a
un ragazzo che non ha mai praticato sport, che non è
interessato a fare quello che fanno i suoi coetanei, che
occupa la maggior parte del tempo guardando la televisione o ascoltando la musica. Si tratta frequentemente di soggetti tendenzialmente chiusi, con scarse capacità in aritmetica, poca motivazione, nessun coinvolgimento nelle attività ricreative, poca tolleranza verso le
frustrazioni e talvolta difficoltà di attenzione (8).
FUNZIONAMENTO PREMORBOSO E PROGNOSI
Negli anni recenti numerosi studi a lungo termine
sul decorso e sugli esiti della schizofrenia hanno evidenziato che l’adattamento premorboso non solo è in
rapporto con il suo esordio, ma ha soprattutto un rilevante valore prognostico sulla sintomatologia e sull’outcome della malattia (9-11).
Tabella 1. Deficit premorbosi più frequentemente riscontrati
in letteratura in soggetti schizofrenici
Ritiro sociale
Minore indipendenza dal nucleo familiare
Problemi nei rapporti interpersonali
Difficoltà nei rapporti con l’altro sesso
Aggressività
Umore depresso
Poca tolleranza verso le frustrazioni
Difficoltà di attenzione
Molti ricercatori negli ultimi anni hanno puntato
l’attenzione sulla possibile distinzione tra schizofrenia
e altri disturbi psicotici, basandosi sulle caratteristiche
dell’adattamento premorboso (12,13). Langfeldt (14)
riteneva che l’evidenza di una personalità premorbosa
deficitaria poteva condurre ai criteri diagnostici di
schizofrenia, mentre un esordio sintomatologico, rapido e improvviso, a quelli di disturbo schizofreniforme.
Secondo Haas e Sweeney (15) il funzionamento psicosociale può individuare sottotipi di pazienti con diversi tempi e severità di sintomatologia. Un funzionamento premorboso consistentemente buono può far prospettare in più tarda età l’esordio dei sintomi psicotici,
il primo trattamento neurolettico e la prima ospedalizzazione.
Nonostante l’importanza di queste variabili precliniche nell’identificazione precoce delle diverse sindromi psicotiche, non è stato ancora chiarito se le variazioni del funzionamento premorboso psicosociale riflettano essenziali differenze nei processi della malattia oppure variazioni fenotipiche o addirittura una sindrome con singolare eziologia e fisiopatologia.
L’identificazione delle caratteristiche della personalità preschizofrenica si pone, inoltre, come nucleo speculativo in almeno tre aree di ricerca, con la finalità di
migliorare l’approccio clinico al paziente schizofrenico. Primo, si potrebbe proporre che i tratti premorbosi
psicopatologici si collegano alle più essenziali caratteristiche della malattia avanzata e così permetterne una
migliore comprensione. Secondo, se tali tratti sono sufficientemente specifici, potrebbero servire a indicare
gli individui a rischio sui quali attuare una prevenzione mirata. Infine, potrebbero avere rilevanza nella ricerca di manifestazioni più sottili del genotipo schizofrenico, dal momento che è stato proposto che tratti
schizoidi e schizotipici sono entrambi presenti negli
schizofrenici e in alcuni non psicotici, parenti di schizofrenici (16).
Gli studi finora effettuati hanno raggiunto l’obiettivo di tracciare un quadro complessivo dei rapporti tra
periodo prepsicotico e caratteristiche cliniche della fase conclamata (Tabella 2). Uno scarso adattamento
durante l’infanzia e soprattutto la prima adolescenza è
proprio di soggetti ad alto rischio per l’insorgenza di
schizofrenia nell’età adulta. Inoltre, secondo alcune ricerche, una storia di disadattamento giovanile correla
positivamente con la futura cronicizzazione della malattia (15).
Torgalsbøen (17) nel 1999 ha portato a termine uno
studio su un gruppo di 17 pazienti schizofrenici completamente guariti e 33 con sintomi persistenti. Attraverso un’analisi retrospettiva, con l’ausilio di due scale
di valutazione, la Global Assesment Scale (GAS) e la
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Tabella 2. Correlazioni tra adattamento sociale premorboso e variabili cliniche e di decorso in soggetti schizofrenici
Scarso adattamento sociale
Esordio precoce
Maggiore frequenza di ospedalizzazione
Maggior rilevanza di sintomi negativi
Maggior rischio di cronicizzazione
Peggior funzionamento sociale nella fase cronica
Sintomatologia più intensa
Esordio insidioso
Social Attainment Survey Premorbid Adjustment Scale (SASPAS), è giunta alla conclusione che un buon
adattamento premorboso ha una sostanziale associazione non solo con l’esito della malattia, ma anche con
la presenza/assenza di sintomi negativi durante il decorso.
Sulla stessa linea si pongono i risultati di Keefe, et
al. (18), secondo cui un funzionamento sociale povero
nel periodo premorboso è associato con la maggiore
severità dei sintomi negativi, minori sintomi positivi e
peggior funzionamento sociale.
Anche Cuesta, et al. (19) hanno rilevato la presenza
di sintomi negativi più severi nei pazienti schizofrenici
con personalità premorbosa schizoide-schizotipica,
proponendo l’ipotesi che la prevalenza e la gravità di
questi sintomi potrebbero essere dovute all’esacerbazione di tratti schizoidi presenti nel periodo antecedente l’esordio della malattia.
Knight, et al. (20) e Dworkin, et al. (21), in uno studio svolto presso l’università di Cambridge all’inizio
degli anni ’80, hanno esaminato il rapporto tra deficit
affettivi, competenze sociali, isolamento (fattore schizoide) e il successivo sviluppo di schizofrenia. Usando
metodi di studio combinati di follow-up e follow-back
hanno ottenuto dei dati che mostrano una rilevante
correlazione tra questi fattori e l’insorgere della malattia e, in particolare, tra un buon funzionamento preschizofrenico e la gravità dei sintomi nel decorso.
Haas e Sweeney (15) in uno studio del 1992 hanno
dimostrato che uno scarso adattamento premorboso
insieme a un lungo Duration Untreated Psychosis
(DUP) è associato a una psicosi a esordio molto insidioso e più difficilmente gestibile terapeuticamente
(22).
Un ulteriore dato interessante, emerso dalle ricerche degli ultimi anni, è che un adattamento sociale povero, esteso sia alla sfera sessuale sia interpersonale,
può suggerire un abbassamento dell’età di esordio della malattia, fino a quelle forme di schizofrenia a esordio precoce che sembrano avere una prognosi più infausta (23,24).
Alla luce di questi studi si può concludere che un
miglior funzionamento scolastico e sociale nell’infan-
zia e nell’adolescenza potrebbe rappresentare un fattore protettivo verso la cronicizzazione dei sintomi psicotici e rappresentare un indice prognostico di minor
numero di ricoveri durante la fase conclamata della
malattia e di un più accettabile funzionamento sociale
nei suoi postumi.
LE ORIGINI DEI DEFICIT PREMORBOSI
Secondo il modello di “stress-vulnerabilità” di Lieberman (25), sia fattori genetici sia organici sia psicosociali hanno un ruolo di causa nello sviluppo della
specifica vulnerabilità del periodo premorboso. Il rischio genetico può essere considerato il più potente
predittore di outcome schizofrenico, ma da solo potrebbe portare alla falsa identificazione dei soggetti a
rischio come preschizofrenici (26); infatti, da ben documentati studi sui gemelli monozigoti è emerso un
tasso di concordanza considerevolmente inferiore al
100% e talvolta anche al 50%, per cui sembra esistere
un altro fattore che incide sulla tendenza che i soggetti geneticamente predisposti hanno di ammalare: un
ambiente familiare e sociale sfavorevole (27,28).
Già dal 1962, Meehl (29) asseriva che esiste una comune predisposizione ereditaria, la “schizotaxia”, sia
verso la personalità schizotipica, tra le più eclatanti
manifestazioni di alterazione premorbosa, sia verso la
schizofrenia, e che, a seconda dell’ambiente di vita incontrato, questa predisposizione può progredire verso
la schizotipia o addirittura verso la schizofrenia conclamata (30).
In ultima analisi possiamo considerare la personalità preschizofrenica come intricata tra l’espressione di
geni schizofrenogeni, variazioni del temperamento individuale e influenza dell’ambiente sociale e familiare
(26).
Nel luglio del ’96 alcuni ricercatori inglesi (12) presentarono al Royal College of Psychiatrists di Londra
i risultati di una loro ricerca sull’adattamento premorboso, modificando le certezze fino allora acquisite. Secondo questo studio il disadattamento sociale degli
schizofrenici non sarebbe da correlare a un deficit del
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loro patrimonio genetico, né a complicanze ostetriche
perinatali. Esisterebbe tuttavia un rapporto lineare tra
un basso peso alla nascita e un adattamento premorboso inadeguato, tanto da costituire un continuum di
anormalità che partendo dallo sviluppo prenatale porta, attraverso il disadattamento adolescenziale, alla
chiusura sociale degli schizofrenici adulti.
Un ulteriore substrato biologico all’origine dei deficit del periodo premorboso è fornito dalla “teoria del
neurosviluppo”, secondo cui le alterazioni della personalità e dell’adattamento premorboso degli schizofrenici sono sottili manifestazioni di alterazioni cerebrali,
quali atrofia corticale, allargamento dei ventricoli e dilatazione dei solchi corticali. Queste alterazioni neuroanatomiche potrebbero evidenziarsi all’esordio della malattia schizofrenica nella prima età adulta, ma prima di questo momento essere la causa dei tratti di personalità schizoide-schizotipica e delle alterazioni comportamentali propri del periodo presindromico (31).
Una conferma a questa ipotesi viene fornita da uno
studio in cui sono stati correlati i risultati delle indagini TAC di pazienti schizofrenici cronici con i risultati
ottenuti da scale sull’adattamento premorboso. È
emerso che le anormalità alla TAC erano associate significativamente a un adattamento premorboso povero; inoltre, i dati ottenuti sembrano supportare l’ipotesi che, per ragioni non conosciute, i pazienti schizofrenici con disturbi dell’adattamento premorboso sono
più vulnerabili ad atrofia cerebrale dopo l’esordio della malattia (32).
gno scolastico di bambini con un alto rischio di ammalare oppure, attraverso indagini retrospettive, di soggetti divenuti schizofrenici.
In uno studio di coorte finlandese svolto nel 1998,
Isohanni I. e M. (34) hanno avuto il riscontro di significative differenze nei voti scolastici tra i bambini ad
alto rischio e gli altri membri della coorte usati come
controllo. L’anno successivo, gli stessi autori (35), approfondendo questi studi, hanno trovato addirittura
che voti scolastici eccellenti erano più comuni tra i maschi che nell’età adulta sarebbero diventati schizofrenici rispetto ai controlli sani.
Studi recenti hanno confermato l’ipotesi da tempo
accreditata che un più alto grado di istruzione sia associato a un minor rischio di ripetere il ricovero in pazienti al primo episodio di malattia (36). Sembra esistere un rapporto anche tra l’istruzione e l’outcome
della malattia (37-39), ma anche tra questa e il tasso di
suicidi durante la fase conclamata (40-42).
Se da una parte il livello di istruzione raggiunto prima dell’esordio della malattia può preannunciare un
decorso meno severo, una migliore qualità della vita e
un più efficiente funzionamento premorboso, è da sottolineare che, d’altra parte, la presenza di deficit comportamentali prepsicotici o addirittura un esordio precoce impediscono al soggetto di raggiungere un buon
livello di istruzione e ne condizionano il funzionamento successivo.
L’adattamento alla scuola
IL RUOLO DELLA SCUOLA
Il valore protettivo dell’istruzione
L’istruzione è un importante predittore di buon funzionamento sociale durante il decorso della malattia
schizofrenica e nel periodo premorboso. I pazienti
schizofrenici che hanno raggiunto un più alto grado di
istruzione oltre ad avere una meno intensa sintomatologia psicotica, con particolare riferimento all’alogia, ai
deliri, al comportamento bizzarro e all’apatia, hanno
una migliore qualità di vita, minor impairment cognitivo e una meno intensa atrofia corticale. Inoltre, una
maggiore istruzione correla positivamente con migliori punteggi alle scale di adattamento premorboso e
quindi con minori disturbi di personalità e di adattamento sociale nella fase prepsicotica (33).
Partendo dall’importanza dell’istruzione come fattore protettivo nel decorso della malattia schizofrenica, sono stati messi a punto numerosi studi tesi a individuare eventuali deficit nel rendimento e nell’impe-
Oltre che per esaminare le prestazioni scolastiche
dei ragazzi preschizofrenici, il giudizio degli insegnanti è stato utilizzato per valutarne l’adattamento alla
scuola e quindi anche la capacità di interazione con i
coetanei; infatti, da diversi studi di follow-back è emerso che la compromissione della capacità di relazionarsi con i compagni e con gli insegnanti può essere considerata un indicatore di rischio di esordio schizofrenico. L’attendibilità attribuita alle valutazioni degli insegnanti è dovuta alla possibilità che essi hanno di osservare come il bambino affronta le problematiche cognitive e sociali poste dalla scuola e di arricchirle del confronto con i compagni (43).
Zigler e Phillips (44) hanno estesamente esaminato,
con l’utilizzo della Zigler Scale, il rapporto tra competenza sociale premorbosa e l’outcome schizofrenico; i
dati raccolti hanno fornito il riscontro di una significativa correlazione tra un insufficiente adattamento alla
scuola e l’esordio di schizofrenia nell’età adulta.
In un recente lavoro di Van Os, et al. (45) si è giunti
alla conclusione che un comportamento caratterizzato
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da isolamento, passività e tratti schizoidi di personalità
in bambini ad alto rischio, desunto dalla valutazione
dei loro insegnanti, era predittivo di schizofrenia; Harvey, et al. (46), invece, avevano classificato i bambini ad
alto rischio di ammalare come aggressivi, distruttivi,
con minore capacità di concentrazione ed emotivamente instabili. Una possibile soluzione a questi risultati contrastanti è stata suggerita da Olin, et al. (47),
che, in uno studio effettuato dividendo il campione in
base al sesso, hanno trovato un comportamento premorboso predittivo di schizofrenia dominato da timidezza e isolamento sociale nelle ragazze; distruttivo,
disattento e antisociale nei ragazzi.
Dal Cophenagen High-Risk Project (48), in cui è
stato preso in esame il comportamento scolastico di un
gruppo di ragazzi ad alto rischio, si è desunto che i maschi disturbavano la classe con comportamenti inappropriati, erano sempre emotivamente tesi e solitari,
con minore partecipazione in classe e giudicati dai loro insegnanti come suscettibili a problemi emotivi e
psichici. Le ragazze che in seguito svilupparono schizofrenia erano invece più nervose e inibite e anch’esse
inclini a disturbi emotivi (47).
Watt (49) ha esaminato, con studi di follow-back, i
giudizi degli insegnanti sui risultati dell’adattamento
scolastico di un campione di adolescenti. Confrontando i giudizi sui futuri schizofrenici con quelli sui soggetti sani, sono giunti alla conclusione che i ragazzi
preschizofrenici tendono ad avere una “aggressività
asociale”, abitudini “sgradevoli”, conflitti interni, eccessiva inibizione e atteggiamento depressivo. Le ragazze sono invece descritte principalmente come eccessivamente inibite (Tabella 3).
Il comportamento scolastico di bambini ad alto rischio è stato utilizzato da Parnas, et al. (16) nella ricerca di qualche variabile che potesse discriminare il funzionamento premorboso dei soggetti con esito schizofrenico da quelli con disturbo di personalità schizotipica. Nonostante i deficit premorbosi indagati siano apparsi del tutto sovrapponibili, gli schizofrenici hanno
Tabella 3. Tratti caratteriali di ragazzi a rischio desunti dal
giudizio dei loro insegnanti (Olin et al., 1995; Crow et al.,
1995; Hien et al., 1998)
Uomini
Ritiro sociale
Timidezza
Comportamento antisociale
Inibizione
Discontrollo emotivo
Atteggiamento depressivo
Aggressività
Donne
++
+/+++
+
+++
++
+++
+++
+++
0
+++
+
+++
0
mostrato un minor controllo emotivo, sono cioè apparsi molto più lenti nel recupero emotivo dopo un episodio che li abbia turbati.
Un’eccezione ai risultati di questi studi è pervenuta
dall’Helsinki High-Risk Study (50), in cui i figli di madri con schizofrenia paranoide sono stati valutati dai
loro insegnanti come aventi maggiori motivazioni scolastiche e un migliore adattamento sociale rispetto ai
controlli della stessa classe.
LA FAMIGLIA
Numerose ricerche hanno permesso di accertare
che l’ambiente familiare svolge un ruolo di primo piano sulla formazione della personalità preschizofrenica;
sembra che esso sia più o meno gravemente carente,
soprattutto in tre aree: nella capacità di dare affetto e
sicurezza, nella validità e affidabilità delle abitudini comunicazionali e nel permettere ai figli di sviluppare
una sufficiente autonomia individuale (26).
Negli studi di Hirsch e Leff (51) la maggior parte di
coppie genitoriali ha mostrato manifestazioni conflittuali e aggressività reciproca in misura significativamente superiore rispetto a coppie di genitori sia di pazienti psichiatrici non schizofrenici sia di controlli sani.
Un carattere specifico di questa conflittualità sembra
essere che, per lo più, è poco agita apertamente, ma si
manifesta come una “muta ostilità”. Gli stessi autori
postulano, inoltre, che possa esserci una correlazione
tra il paziente con personalità premorbosa povera e
dominanza all’interno della famiglia del genitore di
sesso opposto.
La disgregazione dei rapporti tra il bambino e i suoi
familiari è stata da più parti ritenuta responsabile dello sviluppo di deficit sociali e di tratti di personalità devianti nel periodo premorboso; l’istituzionalizzazione,
la conseguente separazione dalle figure genitoriali e la
crescita in un ambiente impersonale sembrano incidere molto sullo sviluppo di disturbi emotivi e sociali e
della psicopatologia adulta (52).
I risultati del Copenhagen High-Risk Project (48)
hanno fornito un’ulteriore conferma all’ipotesi che la
crescita dei bambini ad alto rischio in un istituto di accoglienza abbia una significativa correlazione con l’esordio schizofrenico nell’età adulta; un risultato altrettanto importante raggiunto da questo studio è l’esistenza di un rapporto statistico significativo tra l’istituzionalizzazione e la prevalenza di sintomi positivi durante il decorso della malattia, soprattutto tra i soggetti maschi.
Anche l’instabilità del nucleo familiare dovuto alla
morte di uno dei genitori oppure alla loro separazione
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e alla successiva introduzione nella famiglia di una
nuova figura materna o paterna sembra assumere un
ruolo prognostico sfavorevole sull’outcome della malattia o quantomeno favorire lo sviluppo di anomalie
caratteriali nel periodo premorboso (26).
I ragazzi di sesso maschile sono apparsi particolarmente vulnerabili all’assenza del genitore dello stesso
sesso e, in particolare, i bambini con predisposizione
genetica per malattie psichiche che sono cresciuti senza la figura paterna hanno manifestato con una frequenza significativa tratti di personalità antisociale
(53).
STRUMENTI METODOLOGICI USATI
IN LETTERATURA
I deficit comportamentali presenti nel periodo premorboso possono essere studiati attraverso scale di valutazione che indagano retrospettivamente l’infanzia
di soggetti con diagnosi di schizofrenia oppure attraverso la metodica degli High-Risk Study (54) cioè seguendo e analizzando nel tempo un campione a rischio.
Le indagini retrospettive
L’unico strumento utilizzabile per ottenere informazioni retrospettive sull’adattamento premorboso di pazienti schizofrenici sono le scale di valutazione (Rating
Scale) (54-56). Esse forniscono una guida per la visione qualitativa e quantitativa dei disturbi del comportamento presenti prima dell’esordio della malattia negli
schizofrenici. Il loro uso permette, inoltre, di ottenere
informazioni addizionali attraverso il confronto dei
punteggi ottenuti con gruppi di riferimento standardizzati.
Le Rating Scale dell’adattamento premorboso sono
in grado di quantificare retrospettivamente le alterazioni comportamentali solo di quei pazienti nei quali la
diagnosi di schizofrenia è già stata emessa sul piano clinico.
La Phillips Rating Scale of Premorbid Adjustment
(Phillips, 1953) (58-60) è stata la prima a essere impiegata e tuttora è tra le più utilizzate. È costituita da item
che indagano l’adattamento premorboso dall’adolescenza fino ai due anni precedenti l’esordio della malattia. Contiene 5 sottoscale che riguardano aspetti della vita sociale e sessuale, storia delle relazioni interpersonali e adattamento attuale.
Un altro strumento molto utilizzato negli studi retrospettivi è la Premorbid Asocial Adjustment Scale
(PAAS) (53,59,61), basata sulle informazioni desunte,
in un’intervista semistrutturata, dai genitori, soprattutto la mamma, di pazienti schizofrenici. Il periodo indagato comprende la seconda infanzia e l’adolescenza.
Diversi studi hanno esaminato le capacità prognostiche di questa scala. Se indirizzata a una popolazione di
schizofrenici giovani sembra avere delle buone capacità predittive: un cattivo adattamento premorboso
(alto punteggio alla PAAS) è correlato a una prognosi
peggiore, mentre un buon funzionamento può essere
associato sia a una prognosi favorevole sia al decadimento proprio della condizione cronica. Quando rivolta a pazienti con schizofrenia cronica, la PAAS non dà
le stesse garanzie di previsione, anche perché, riferendosi al periodo dell’adolescenza, è impossibile ottenere informazioni dettagliate su pazienti per lo più anziani. Altre scale come la Ullmann-Giovanoni Self-Report Measures (59) e la Current and Past Psycopathology Scales (CAPPS) (59,62) sono usate solo raramente, mentre la UCLA Premobid Adjustment Scale (59),
che ha un rilevante utilizzo clinico, è un scala che misura l’adattamento socio-sessuale e i rapporti interpersonali durante l’adolescenza.
La Child Behaviour Check List (CBCL) (59,63), invece, è un questionario autosomministrato, rivolto alla
madre del paziente, che indaga il periodo che va dalla
nascita fino a 18 anni su un ampio spettro di comportamenti permettendo di ottenere informazioni su diverse dimensioni, come il comportamento ansioso-depressivo, il comportamento aggressivo, la labilità emotiva, i disturbi del pensiero e i problemi sociali.
Da uno studio di correlazione tra diverse scale retrospettive condotto da Levinson e Campus (59), si
evince che esse rappresentano uno strumento oltre che
prezioso anche molto delicato; infatti, sembra che il tipo di scala utilizzato costituisca un fattore cruciale. Si
è stabilito un differente potere predittivo tra le varie
scale a seconda dell’età del campione: la PAAS o la
UCLA sembrano più affidabili se utilizzate su un campione di soggetti giovani, mentre se l’età media è più
avanzata la Phillips Scale ha dimostrato di avere un
miglior valore prognostico.
Nonostante siano uno strumento imprescindibile
per conoscere la storia preclinica dei pazienti schizofrenici, gli studi retrospettivi sull’adattamento premorboso hanno dei limiti difficilmente superabili. In primo
luogo non è possibile ottenere informazioni esaurienti
per quei pazienti che si trovano in uno stato di schizofrenia cronica da molti anni e che quindi hanno un’età
avanzata, sia perché per i genitori è difficile ricordare
notizie molto particolareggiate sull’infanzia dei propri
figli, sia perché talvolta i genitori sono deceduti e le
informazioni desunte dal ricordo dei fratelli non sem-
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pre sono affidabili. A tale proposito alcuni Autori ritengono che le informazioni ricavate dalle scale retrospettive su pazienti cronici, confrontate con la situazione clinica attuale, sono poco significative (61).
Un ulteriore limite delle Rating Scale è che i dati
desunti, talvolta, possono essere influenzati dalla consapevolezza da parte degli intervistati che il bambino
di cui stanno parlando è diventato un malato di mente
e quindi portarli ad attribuire un significato patologico
anche a una condotta normale. Al contrario, soprattutto le mamme, tendono a minimizzare o addirittura
omettere quelle informazioni che possono ascrivere il
figlio in una fase già schizotipica prima dell’esordio
della sintomatologia conclamata, come se ne idealizzassero il comportamento infantile. Inoltre, gli studi retrospettivi sono compiuti su campioni di pazienti ospedalizzati con una sintomatologia più severa e poiché
questi hanno, per lo più, un funzionamento premorboso gravemente compromesso non sono rappresentativi
della popolazione generale di schizofrenici (16).
Gli High-Risk Study
Sulla base della scarsità di informazioni dettagliate
e talvolta non del tutto attendibili ottenute dagli studi
retrospettivi, è stato messo a punto un metodo di ricerca chiamato High-Risk Study (Tabella 4) che si pone l’obiettivo di ampliare le conoscenze sull’eziologia
della schizofrenia studiando gli individui con un aumentato rischio di svilupparla. Il più importante fattore di rischio per la schizofrenia è costituito dal patrimonio genetico; inoltre, non essendo stati ancora individuati dei fattori ambientali che costituiscano un rischio certo per lo sviluppo di questa malattia, l’unico
metodo attendibile per identificare i bambini ad alto
rischio è quello di seguire nel tempo quelli con una storia familiare di schizofrenia (64).
Anche se il primo studio H-R è stato pubblicato nel
1920 su un piccolo campione di individui figli di madri
schizofreniche (64), l’ampliarsi e l’approfondirsi di
questa metodica si sono avuti intorno agli anni ’60. Già
da subito ci si è posto il problema delle variabili da indagare e del periodo della vita del bambino da cui far
partire le indagini. Alcuni ricercatori, più interessati ai
processi di sviluppo osservabili nei primi anni di vita,
hanno iniziato le valutazioni del campione a rischio
dalla prima infanzia, mentre altri, considerando l’adolescenza il periodo in cui maggiormente possono manifestarsi alterazioni comportamentali premorbose,
hanno intrapreso le loro ricerche sugli adolescenti. Entrambe queste linee di studio si sono rivelate fertili di
risultati e hanno condotto all’identificazione di due diversi filoni di variabili da analizzare (54). Alcuni programmi di ricerca, come il Jerusalem Infant Development Study oppure il NIMH Israeli Kibbutz-City
Study (65), hanno focalizzato le loro indagini su bambini in età infantile. I risultati delle loro ricerche hanno
Tabella 4. Tratti patologici riscontrati negli High-Risk Study in soggetti a rischio di schizofrenia
HIGH-RISK STUDY
DEFICIT RISCONTRATI
The Copenhagen H-R Study
(Mednick, Parnas, Schulsinger, 1962)
Istituzionalizzazione
Instabilità del primo ambiente di vita
Passività durante l’infanzia
Comportamento inappropriato
Scarso controllo emotivo
Israeli H-R Study
(Marcus et al., 1987; Mirsky et al., 1995)
Deficit neurocomportamentali
Alti livelli di ansia
The New York H-R Study
(Erlenmeyer-Kimling, Cornblatt, 1997-2000)
Deficit di attenzione
Problemi comportamentali
Disturbi del pensiero formale
Deficit della memoria a breve termine
The Jerusalem Infant Development Study
(Hans et al.,1999)
Basso QI
Deficit di attenzione
Disfunzioni senso-motorie
NIMH Israeli Kibbutz-City Study
(Marcus et al.)
Scarsa competenza sociale
Deficit neurocomportamentali
The Stony Brook HR Project
(Weintraub et al., 1987)
Danni cognitivi
Deficit sociale
Deficit di attenzione
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Sangiovanni L, et al.
rilevato in questo periodo dello sviluppo la presenza di
disfunzioni senso-motorie, ADHD (Attention Deficit
Hyperactivity Disorder), disturbi cognitivi e basso QI.
Altre indagini si sono orientate verso l’identificazione
dei precursori di una futura psicosi nel rapporto tra il
bambino e l’ambiente, individuabili a partire dall’adolescenza. A tale proposito sono state indagate le dinamiche intrafamiliari, l’adattamento alla scuola, e la
presenza di stressor ambientali. Gli esiti di queste ricerche hanno portato all’evidenziarsi di conflitti tra i
genitori e tra genitori e figli, mancanza di stabilità nel
nucleo familiare, istituzionalizzazione o adozione del
bambino per inadeguatezza della famiglia di origine.
Nell’adattarsi alla scuola hanno mostrato difficoltà di
inserimento, mancanza di empatia con i compagni e
frequentemente problemi di disciplina (66,67).
Una delle più stimolanti aree della ricerca psichiatrica è l’interazione tra i fattori di rischio biologici e
psicosociali nello sviluppo della schizofrenia, gli HighRisk Study si posizionano in questa importante interfaccia con l’obiettivo di studiare i fattori di rischio genetici e ambientali e la loro interazione nell’eziologia
della schizofrenia. Il contributo del rischio biologico
può essere valutato dal confronto del campione di
bambini a rischio con un campione di controllo, mentre il contributo dei fattori ambientali dal confronto all’interno del campione di bambini ad alto rischio tra
quelli che in età adulta svilupperanno schizofrenia e
quelli che rimarranno sani (68).
Nelle famiglie con una predisposizione genetica alla
schizofrenia, in cui uno o più membri sono già affetti,
è difficile scindere il contributo dei fattori di rischio
ambientali da quello biologico perché certamente le
dinamiche comunicative intrafamiliari saranno influenzate dalla patologia già presente nella famiglia. Il
Finnish Adoptive Family Study (69) ha ovviato questo
problema metodologico seguendo nel tempo 247 famiglie adottive. Nello studio delle famiglie adottive è stato possibile discriminare i fattori di rischio genetici e
psicosociali in quanto i genitori biologici trasmettono
al proprio figlio le loro peculiarità genetiche e il primo
ambiente di vita, mentre i genitori adottivi forniscono
un ambiente familiare più duraturo. In 112 delle famiglie del campione il bambino adottato era nato da una
donna schizofrenica, mentre le restanti 135 costituivano il gruppo di controllo. Tra i bambini analizzati, 10
hanno sviluppato la malattia in età adulta, di questi, 8
erano geneticamente predisposti ma tutti erano vissuti
in famiglie adottive in cui erano presenti problemi psichici. I risultati di questo studio supportano l’ipotesi
che nel campione preso in esame una possibile vulnerabilità genetica ha interagito con l’ambiente di vita
adottivo.
La finalità primaria degli High-Risk Study è stata
quella di ricercare aree deficitarie nella personalità e
nell’ambiente di vita dei bambini a rischio, nello stesso
tempo, però, hanno contribuito a evidenziare particolari fattori che possono assumere un valore protettivo
verso il manifestarsi della malattia conclamata. Le variabili che maggiormente mostrano tale valore protettivo sono un alto livello di funzionamento del genitore
non malato, un buon rapporto genitori-figlio, la presenza di supporti sociali durante l’adolescenza, la stabilità dell’ambiente familiare e un alto QI.
In seguito all’analisi di queste variabili protettive sono
stati proposti modelli di intervento preventivo atti a salvaguardare questi bambini dai rischi ai quali quasi certamente andranno incontro. Le strategie di intervento finora suggerite propongono la creazione di centri di approccio preventivo ai quali affidare un piccolo numero di
soggetti a rischio e, sotto la tutela di personale altamente qualificato, tentare la correzione dei deficit comportamentali, aumentare la competenza sociale, ridurre i fattori stressanti e salvaguardare le capacità cognitive (70).
CONCLUSIONI
Dalla rassegna della letteratura internazionale è
emerso che la gravità dei sintomi presenti nel decorso
della schizofrenia e il degrado sociale a cui vanno incontro le persone che si ammalano non possono prescindere dai deficit comportamentali presenti nel periodo premorboso.
Nonostante qualche Autore tenda a ridimensionare
l’importanza di questi fattori prognostici, ritenendo
poco affidabili i metodi di ricerca usati, altri ne hanno
enfatizzato l’importanza parlando di uno “schizoidismo evolutivo” quale predisposizione dinamica all’esordio della malattia.
I deficit più frequentemente riscontrati prima dell’esordio della malattia conclamata si rivolgono in maniera predominante al rapporto del ragazzo con il
mondo esterno. Se in alcuni casi sembra prevalere il ritiro sociale, l’incapacità di relazionarsi con i coetanei,
la mancanza di rapporti con l’altro sesso, l’eccessiva
inibizione e un atteggiamento depressivo; talaltra si sono evidenziati comportamenti aggressivi e antisociali e
un minor controllo emotivo.
Notevole importanza è stata attribuita all’ambiente
familiare in cui il bambino cresce; esso è apparso spesso gravemente carente nelle capacità comunicative, nel
permettere al bambino di sviluppare sufficiente autonomia e nella stabilità del nucleo di origine.
Molto importanti per lo studio del periodo premorboso si sono rivelate le metodiche usate. Attualmente
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L’adattamento premorboso degli schizofrenici: variabili biologiche, ambientali e caratteriali
gli unici approcci utilizzati sono gli studi retrospettivi e
gli High-Risk Study. Questi metodi di studio sono apparsi carenti e hanno forse rappresentato la debolezza
di tali ricerche, non consentendo di differenziare adeguatamente l’adattamento dei bambini a rischio secondo alcune variabili, quali il sesso, l’estrazione sociale e l’ambiente di vita.
Appare importante sottolineare la necessità di perfezionare nel futuro i metodi di ricerca usati, ma nello
stesso tempo di proseguire le indagini sul periodo premorboso perché ciò appare fondamentale non solo per
chiarire ulteriormente l’eziologia della schizofrenia,
ma perché potrebbe rivestire un notevole interesse anche sul piano clinico. Infatti, la conoscenza delle problematiche incontrate nel periodo premorboso può
portare a formulare delle linee-guida per un percorso
di prevenzione mirata a migliorare la competenza sociale anche dopo l’esordio della malattia.
L’unico approccio preventivo finora messo a punto
consiste nell’individuare i ragazzi a rischio e nel sottoporli a un percorso che, attraverso il confronto con i loro coetanei e l’aiuto di psicologi e pedagogisti, miri a
migliorare il loro approccio con l’ambiente esterno, ad
aiutarli nel relazionarsi con gli altri, a gestire lo stress
e a stimolare le loro capacità cognitive.
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