anno III numero 31

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anno III numero 31
anno III
numero 31
novembre 2006
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BUON COMPLEANNO DYLAN
[
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Dylan Dog compie 20 anni. Il personaggio che ha segnato la rinascita del settore in Italia festeggia il suo anniversario
in un periodo particolarmente felice per il mondo dei fumetti.
In edicola le pubblicazioni di antologie dedicate a fumettisti si accavallano, in tutta Italia prolificano le fumetterie,
aumentano i festival dedicati ai comics e il cinema sembra aver riscoperto il genere con una serie di adattamenti in
pellicola eccezionali. Il salento stesso vede crescere il numero di appassionati, di manifestazioni legate al mondo dei
fumetti e di addetti ai lavori (quest’anno anche la casa editrice Manni dedicherà la sua Agenda 2007 al mondo dei
fumetti). La gente ha ancora bisogno di sognare, di appassionarsi alle storie, di nutrirsi di fantasia e di bello... e questo
è incoraggiante. Tra manga, produzioni americane, italiane, sud americane, l’offerta è oggi sterminata. Sono lontani i
tempi di Nembo Kid, del fumetto foriero di sani valori e nazionalismo. Oggi il fumetto può essere irriverente, eccitante,
inquietante... oggi il fumetto è lo specchio, e forse lo è sempre stato, della nostra società, ne è la trasfigurazione in
pagina, la mediazione attraverso gli occhi e la mente dei suoi creatori. Ci sembrava doveroso chiudere un discorso,
cominciato mesi fa, sulle interazioni tra le varie arti con questo ultimo capitolo. Musica e video, musica e copertine,
musica e fumetti.
Strano ma vero, il rock and roll ha un legame forte con il fumetto e viceversa (molte canzoni citano o sono dedicate
a loro). Ne abbiamo approfittato per ricostruire un breve storia con i momenti salienti della sua storia e abbiamo
colto l’occasione per realizzare alcune interviste. Abbiamo parlato con Paola Barbato, sceneggiatrice di Dylan Dog,
Leo Ortolani, autore dell’esilarante Rat Man, il grande Staino ed altri ancora. Come sempre abbiamo omesso nomi
importanti (non abbiamo, ad esempio, parlato di Andrea Pazienza, di Milo Manara, delle mitiche serie Squalo) ma lo
spazio è tiranno. Resta il senso di questo numero che vuole essere un omaggio a un mondo capace di appassionare
grandi e piccini, un amore, quello per il fumetto, che può unire lettore e personaggio anche per una vita. In compenso
troverete al loro posto le consuete rubriche e gli appuntamenti più cool del prossimo mese.
Buona lettura
Osvaldo Piliego
CoolClub.it
Via De Jacobis 42 73100
Lecce
Telefono: 0832303707
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Sito: www.coolclub.it
Anno 3 Numero 31
novembre 2006
Iscritto al registro della
stampa del tribunale di
Lecce il 15.01.2004 al n.844
Direttore responsabile
Osvaldo Piliego
Collettivo redazionale
Dario Goffredo, Pierpaolo
Lala, C. Michele Pierri,
Cesare Liaci, Antonietta
Rosato
Hanno collaborato a questo
numero: Loris Romano,
Davide Castrignanò,
Roberto Cesano,
Federica Pacella, Max di
MondiSommersi, Erik Chilly,
Berardino Amenduni,
Anna Puricella, Federico
Baglivi, Davide Rufini, Ilario
Galati, Valentina Cataldo,
Gianpaolo Chiriacò,
Giancarlo Bruno, Nicola
Pace, Camillo Fasulo,
Giovanni Ottini, Livio Polini,
Rossano Astremo, Vito
Lubelli, Mauro Marino,
Raffaella De Donato,
Miriam Serrano, Simone
Rollo, Sabrina Manna, Dario
Quarta.
Ringraziamo Pick Up
a Lecce e le redazioni
di Blackmailmag.com,
Primavera Radio di Taranto
e Lecce, Controradio di
Bari, Mondoradio di Tricase
(Le), Ciccio Riccio di Brindisi,
L’impaziente di Lecce,
QuiSalento, Pugliadinotte.
net.
Progetto grafico
dario
Impaginazione
Danilo Scalera
Stampa
Martano Editrice - Lecce
Chiuso in redazione nel
giorno di festa.
BUON COMPLEANNO DYLAN
}
4 Musica
& Fumetti
6 Leo Ortolani
8 Paola
Barbato
9 Staino
13 Keep Cool
29 Coolibrì
35 Be Cool
40 Appuntamenti
Buon compleanno dylan
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BREVE
STORIA DEL FUMETTO
di Ro b e t o C e s a n o
1895
Negli Usa, sull’edizione domenicale
del quotidiano New York World
appare un’unica vignetta con
protagonista un ragazzino orientale
vestito di stracci gialli, Yellow Kid.
Nello stesso anno i fratelli Lumiere
inventarono il cinema.
1905
Wimar McCoy conquista i lettori con
Little nemo fumetto paragonato
all’Alice di Lewis Carrol.
1909
In Italia nasce il Corriere dei piccoli,
prima testata antologica dedicata
ai fumetti.
1928
Walt Disney realizza il
primo cartone animato
con Topolino. Nel
1934 sarà il turno di
Paperino.
1932
italiano.
L’editore Nervini
pubblica in Italia il
settimanale Topolino,
tra le più longeve
testate del mercato
1934 - 1 9 3 6
Alex Raymond crea Rip Kirby e
Flash gordon mentre Lee Falk Idea
Mandrake e The phanton (l’uomo
mascherato), gli antesignani dei
moderni supereroi.
1938
Con la pubblicazione
di Superman nasce
la D.C. comics
storica casa editrice
americana. L’anno
successivo per essa
Bob Kane crea
Batman. Personaggio
icona del fumetto
d’oltreoceano
1948
Luigi Bonelli crea in tandem con
Galleppini la serie Tex Willer un
successo da oltre cinquanta anni.
ROCK’N’ROLL comics
“Vorrei essere la chitarra di Keith Richards”
Andrea Pazienza
Correva l’anno 1954 e nasceva il rock
con Elvis the “Pelvis”. Ma qui dobbiamo
parlare di fumetti e non appare certo
così scontato il connubio con il rock.
Eppure non è così, musica e fumetto,
un’accoppiata
all’apparenza
così
distante e impossibile, sono uniti da un filo
rosso sia che si tratti di tradurre canzoni in
immagini sia che si prospetti l’occasione
di realizzare biografie a fumetti di artisti
famosi.
Elvis Presley era un fan dei super eroi e
in particolar modo di Capitan Marvel
(Capitan Meraviglia in Italia), precursore
di colui che diventerà il super famoso con
super poteri: Superman. L’autore, saputo
del gradimento da parte del re del rock,
addirittura ridisegnerò il costume di
Cpt Marvel rifacendosi agli abiti di “The
Pelvis”. Ma si tratta solo di una curiosità.
Passando invece al rapporto stretto tra
musica e fumetti, bisogna dire grazie alla
DC comics che, sin dalla metà degli anni
‘50 realizzò una serie di albi con un primo
numero dedicato a Pat Boone, cantante
famosissimo di quegli anni.
Ma è sicuramente di Stan Lee il progetto
più avventuroso di unire musica e fumetto.
Nel numero unico World’s Greatest Songs
(1954) le intenzioni erano infatti quelle di
raffigurare a fumetti i testi delle canzoni,
ma l’idea non superò la prima edizione.
Comunque per l’allora giovanissimo Lee
il futuro preserverà un grande successo
con l’amazing Spider man.
Una vera e propria rivoluzione avvenne
invece negli anni 60. Il clima sociale,
politico e culturale cambiò radicalmente,
fermenti e contestazioni iniziarono a fare
capolino; l’epicentro fu la California, in
particolare San Francisco, dove iniziò a
circolare una stampa alternativa che
si opponeva al tradizionale sistema dei
media con le sue informazioni manipolate.
In questo contesto il fumetto e la musica
assunsero una particolare valenza
culturale, il fumetto cambiò volto, divenne
più aggressivo con nuovi stili grafici,
con espliciti riferimenti al sesso, alla non
violenza, alle droghe psichedeliche e alla
musica rock. Così nel 1967 San Francisco
diventò per tutti gli hippie e le loro
“good vibrations” la capitale dell’amore
cosmico e così l’estate di quell’anno
viene ricordata come The Summer of
Love. Con le droghe psichedeliche
nacque la musica psichedelica; Frank
Zappa uno dei precursori che con i suoi
CHaos! Comics
Mothers of Invention aveva già due
dischi all’attivo. In quel clima acido
così cool dove si fumavano canne,
si consumavano mescalina e peyote
(fonte di ispirazione di numerosi artisti
dell’epoca) nacque un nuovo modo di
fare e fruire di fumetti. Musica da sballo e
niente Superman, il nuovo emblema dei
fumetti di questo nuovo spirito diverranno
i Freak Brothers (The Faboulos Furry Frerak
Brothers). I tre fratelli apparvero per la
prima volta nel 1967 su un numero di The
LA Free Press, fanzine della scena hippy; i
tre strafattoni nascono da quella cultura,
sono i figli dei disegnatori underground
che
creano
personaggi
bizzarri,
eccentrici e scorretti. I fratelli Fricchettoni,
pazzi anarcoidi e sballati, ne incarnano
in pieno i valori, creati da Gilbert Shelton,
a cui si affiancano altri grandi nomi
altrettanto rilevanti nel binomio musica
fumetto: primo fra tutti il grande Robert
Crumb creatore di personaggi come Fritz
the Cat, felino ipersessuato e libidinoso,
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1950
La United Features Syndacate
pubblica le strisce di Charles
Schulz, i Peanuts. L’inizio di uno dei
capitoli più importanti della storia
del fumetto. Charlie Brown, Linus e
Snoopy sono entrati nell’immaginario
collettivo di tutto il pianeta
1951
ribelle e dall’animo hippie, o di
Mr. Natural il barbuto vecchio
saggio (ma anche ciarlatano)
che palpa il sedere delle
ragazze. Poi c’è Skip Williamson:
non solo fumettista ma anche
pregevole illustratore ha esposto
le sue opere in tutto il mondo,
ha pubblicato vari libri e ha
ricevuto numerosi premi tra cui
il Golden Award. Inoltre Victor
Moscoso che ha disegnato molti poster
per i raduni rock del periodo psichedelico
di San Francisco. Si è dedicato inoltre alla
realizzazione di memorabili copertine per
dischi di Jerry Garcia, Bob Wier, Herbie
Hancock. Infine Rick Griffin: surfista,
appassionato motociclista, scomparso
prematuramente proprio a causa di un
incidente in moto, ha vissuto in pieno
periodo psichedelico californiano. Insieme
ad Alton Kelly, Stanley Mouse, Victor
Moscoso e Wes Wilson, era conosciuto
come uno dei “Big Five” della psichedelia.
Molto vicino al mondo della musica rock
ha realizzato illustrazioni e copertine per
famosi artisti tra cui i Grateful Dead. Il tutto
si può ammirare su Zap! Comix, vera e
propria summa della scena underground
californiana e fucina di alcuni dei migliori
autori del periodo. Fumetti con un forte
legame con la musica, storie in cui
l’anarchia che le pervade includono le
convulsioni musicali di quel periodo, ad
esempio Robert Crumb era anche un
buon musicista.
Negli anni ’80 e ’90 il rapporto musica
fumetto
abbandonò
radicalmente il campo
della psichedelia per
diventare platealmente
commerciale, ma anche
questo rappresentava
lo
“zeitgeist”,
ossia
l’industria
culturale
diveniva sempre più
potente e pervasiva,
ed anche il fumetto
veniva
re-incanalato
dopo l’esperienza hippy. Bisogna
comunque dire che le più
popolari case editrici come la
Dc e la Marvel sporadicamente
si sono dedicate a eventi e
personaggi del mondo musicale.
Mentre una produzione più
underground la Revolutionary
Press tra il 1989 e il 1992 realizzò
una collana chiamata Rock’n
Roll Comics, tra i protagonisti
di questa serie Guns n’ Roses, Metallica,
Bon Jovi, Rolling Stones. Poi fu la volta
di un’altra collana simile Rock Fantasy
Comics, 18 numeri che vedevano tra i
protagonisti i Pink Floyd, Led Zeppelin, Jimi
Hendrix ed altri ancora. C’è da dire che
la qualità globale delle due produzioni
non nera eccelsa.
Forse il miglior lavoro a proposito è
stato fatto dalla Chaos! Comics che ha
dedicato i suoi sforzi, nel rapporto musica
fumetto, soprattutto in relazione al mondo
dell’Heavy Metal prima e del Nu Metal
poi. Produrre fumetti ispirati ai gruppi o
alle loro canzoni ed allegarvi il cd; ciò
è accaduto con Megadeth, Slayer,
Metallica, Anthrax ed Insane Clown
Posse. C’è inoltre da segnalare la serie
dedicata ai Kiss (alcuni numeri sono stati
pubblicati in Italia dalla Panini Comics).
In Italia a tal proposito ricordiamo il
lavoro dei Tre Allegri Ragazzi Morti,
gruppo rock il cui leader, Davide Toffolo
è anche un notevole autore di fumetti
(tra l’altro allievo di Andrea Pazienza)
che appunto ha realizzato un progetto, in
cui musica e fumetto si toccano, anzi si
fondono. Da una serie chiamata Cinque
Allegri Ragazzi Morti nascono i TARM. O
viceversa? I personaggi si animano, dalla
carta passano al palco e agli strumenti e
poi ritornano sulla carta per poi diventare
cartoon, senza soluzione di continuità.
Tanti anni di “americani” non hanno fatto
un Toffolo.
Loris Romano
Osama Tezuka
indiscusso padre
dei manga
pubblica Astroboy
Tetsuwan Atom
primo di una lunga
serie di opere che garantiranno la
fortuna del fumetto nipponico.
1957
In Argentina Oesterheld Assieme
a Lopez pubblica Eternauta
Opera tristemente nota per aver
profetizzato la dittatura e per la fine
del suo creatore disperso come
desaparecido.
1961
Stan Lee e Jack
Kirby pubblicano
per la Marvel
comics i Fantastici
4 inaugurando
l’età dei
Supereroi con
“superproblemi”. In pochi anni
la Marvel diventerà il colosso
fumettistico per antonomasia ma
sarà l’uomo ragno il simbolo della
casa editrice.
1962
Le sorelle Giussani
creano il controverso
Diabolik geniale
ladro senza scrupoli
che scandalizzò
l’Italia ben pensante
e generò decine di
emuli
1964
L’argentino Quino
fa debuttare su
un settimanale
nazionale la piccola
contestatrice
Mafalda, striscia
satirica che rivaleggia con i Peanuts
per notorietà e poesia.
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1965
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Nasce Linus, la più famosa ed
impegnata rivista a fumetti italiana.
Su Linus saranno pubblicati molti titoli
celebri. Nello stesso anno nasce Alan
Ford, la serie più longeva di Max
Bunker e Magnus.
1965
Guido Crepax crea, sulle pagine di
Neutron, Valentina, personaggio
culto del fumetto italiano a quale
è legata l’intera carriera di Crepax.
Le avventure onirico erotiche di
Valentina divennero un fenomeno di
costume nell’Italia della rivoluzione
sessuale.
1967
Hugo Pratt pubblico Una ballata dal
mare salato la prima avventura del
marinaio Corto Maltese.
1971
La tragica morte di
Goren, la fidanzata
dell’uomo ragno
segna la fine
dell’innocenza
del genere supereroistico ed il suo
processo di maturazione.
1974
In Francia l’eclettico fumettista
Moebius fonda assieme ad altri
autori la rivista Metal Hurlant che
raccoglierà i migliori prodotti
dell’avanguardia fumettistica
europea.
1975
Len Weinn
e Dave
Cichruem
creano la
seconda
multietnica
formazione
dei mutanti Marvel, gli X-men.
Tuttavia sarà l’inglese Cris Claremont
a decretare il successo trentennale
della testata supereroistica più letta
e copiata degli ultimi anni
1978
La Rai cominicia a trasmettere
insieme a molte reti regionali i
cartoni animati giapponesi che
influenzeranno gli attuali trentenni
italiani.
Intervista a Leo Ortolani
“Fletto i muscoli e
Difficile
fare
un’intervista a Leo
Ortolani
da
fan
sfegatato. Tutto è
partito dalle storie
di Venerdì12 e del
suo fedele servitore
Giuda, passatemi da
un amico all’università
a fine anni ‘90, poi
sono arrivati Bedelia,
Isolda, Ciurga, gli avventurieri dell’Ultima
Burba e, ovviamente, Rat-Man, Brakko,
Cinzia la barbara ... etc...etc..etc.
Una serie di personaggi che vivono
avventure come parodie di supereroi tra
‘sfighe’, sfortune, goffaggini, sarcasmo,
ironico cinismo e tanto humour a
crepapelle.
Avresti mai immaginato il successo
raggiunto con i vari personaggi nati in
quest’ultima quindicina d’anni?
A dire il vero non immaginavo nemmeno
che sarei arrivato al 2006, con questi
personaggi…
Rat-man è stato definito pavido,
impacciato, brutto dalla straordinaria
capacità di perdere tutte le occasioni di
successo in un’escalation di brutte figure
da guinness dei primati. Devo dire che mi
ci ritrovo molto (eh eh eh), che sia questo
il successo del topo, di venerdì12 e di
tutta la cricca “Ortolani”?
L’insuccesso come fonte di successo…
Peccato che non sia applicabile agli
approcci in discoteca! Diciamo che
questa è soltanto una delle letture più
immediate che si ricavano dalla lettura
dei miei fumetti. Non si ride solamente, a
volte si pensa. Poi si ride. Così si dimentica
quello che si è pensato. Molto liberatorio.
Ah!Ah!Ah!…Uhm. Stavamo dicendo?
“Fletto i muscoli e sono nel vuoto!”
– sembra il motto di battaglia dell’uomo
medio, tra arguzie, piccole cattiverie,
umanità e voglia di eroismo parandosi
il culo al momento opportuno. Come
nasce l’idea di tanti anti-eroe ossia
personaggi che sono l’esatto opposto
del mito dell’eroe senza macchia e
senza peccato, vincitore comunque e
suo malgrado sul male?
Basta guardarsi in giro. Ho visto pochissimi
eroi.
I tuoi personaggi e fumetti sono
‘ecletticomico’,
eccezionalmente
intrisi di sagacia, ironia (non sempre
politically correct!), sottile e bonaria
canzonatura di atteggiamenti comuni e
di alcuni malcostume che caratterizzano
la società, ricchi di riferimenti e
rimandi al mondo dei fumetti, a quello
cinematografico, televisivo e popolare.
Non è detto che siano di facile
comprensione, ma una volta entrati nel
‘tunnel’, il lettore viene “accalappiato” in
uno stato di religiosa dipendenza (vedi
me!). Quanto assomigliano a te i vari
personaggi e in quale di essi ti identifichi
maggiormente?
C’è sicuramente un po’ di me in tutti i miei
personaggi. Ma in fondo non mi posso
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1978
Moebius avvia la collaborazione
con il regista underground Alejandro
Jodorowsky, con l’opera L’incal
Nero.
1979
Art Spiegelman
vince il premio
Pulitzer con il fumetto
Maus riuscita
epopea sull’orrore
dell’olocausto. È la
prima volta che un
comic vince un premio letterario.
1982
Katsuhiro Otomo inizia a pubblicare
Akira, la serie fantasicentifica più
importante degli ultimi decenni.
Akira diventerà un film animato che
darà avvio all’invasione dei fumetti
giapponesi in occidente.
1986
sono nel vuoto!”
identificare in nessuno in particolare,
loro sono loro e io sono io…guai, se mi
mescolassi con loro. Soprattutto con
Cinzia.
I primi anni? Come vive un giovane
disegnatore quando non lo conosce
nessuno.. e... se non è cambiato molto
(soprattutto in termini economici)...
quando poi diventa famoso?
Economicamente vive meglio quando
il lavoro ha successo, questo sarei uno
sciocco a negarlo. Se invece intendi la
qualità della vita, vivo come un recluso.
Non riesco a trovare un equilibrio tra vita
e lavoro. E questo da 11 anni. Vedi tu
come son messo. Per il resto, sono sempre
la solita carogna di un tempo.
Ti chiedono autografi, foto, incontri di
dubbia moralità, Cinzie disperate che ti
rincorrono per strada?
No. Qualche autografo, ma solo se
faccio incontri con i lettori nei negozi di
fumetti o alle fiere.
Alla fine, ora che ci penso, non ti avevo
mai visto prima, mi daresti una tua foto
con dedica?
No. Credimi, è meglio così.
A volte impazzisco per riuscire a trovare
il nuovo numero di Rat-man (nonostante
sia riuscito a curare il mio stato di
dipendenza, continuo ad andare in
astinenza), è più facile vincere a qualche
“gratta&vinci” che trovare l’ultimo
numero. Mi domando continuamente
se sia una scelta voluta o è solo il solito
problema della distribuzione di prodotti
di nicchia in Italia?
Può darsi che sia perché abiti in una
zona geografica a basso contenuto di
Rat-Man. Rat-Man non viene stampato
in milioni di copie, è vero, ma basta
andare in fumetteria o in un giornalaio
fornito e lo trovi senza grossi problemi.
Però a volte bisogna fare un piccolo
sforzo all’inizio e magari costringere
l’edicolante a procurartelo. Lo può
fare benissimo e se non lo fa è perché
è antipatico. O gli siete antipatici voi. A
quel punto, passate alle minacce.
Hai mai ricevuto proposte da qualche
“multinazionale” del fumetto? Se si, cosa
ti ha fatto desistere? Ora che Spagna,
Stati Uniti e anche altri paesi han mostrato
interesse verso l’eroe-topo? Se ottenessi
lo stesso successo avuto in Italia....
Cosa sono le multinazionali del fumetto?
In Spagna è stato un flop, gli USA non
sanno nemmeno che esisto. Meno male
che in Italia è andata bene!
Mi ha molto colpito uno degli ultimi
episodi che son riuscito a beccare in
uno dei viaggi lungo la penisola. Un
pescatore in mare, su una barca, alla
ricerca della storia da scrivere. E’ difficile
creare continuamente nuove storie,
gag e personaggi senza cadere nella
ripetizione. Il lettore ricerca ciò che gli è
piaciuto e allo stesso tempo ha fame di
novità; come caspita fa uno scrittore di
fumetti a dormire sonni tranquilli di fronte
alle continue richieste dei fan?
Semplice. Dorme pochissimo!
Davide Castrignanò
Con Watchman di Alan Moore
e Dave Gibbons e Batman dark
knight returns di Frank Miller nasce
il “rinascimento americano”,
periodo di splendore in cui il fumetto
popolare acquisisce la dignità delle
arti maggiori ed inizia ad essere
considerato come genere adulto.
1986
Nell’autunno Tiziano Sclavi ed
Angelo Stano creano Dylan Dog per
la Bonelli Editore, la serie più venduta
e seguita del mercato italiano.
All’indagatore dell’incubo sono stati
dedicati numerosi studi e continue
ristampe delle sue storie.
1988
Esordisce The sandman per i testi
di Neil Geyman e le matite di Sam
Kieth. La serie ha vinto numerosi
premi ed è stata considerata uno
dei capolavori letterari del ‘900.
1990
Frank Miller idea
Sin City, titolo
headboiled tra i
più letti al mondo
1991
Masamane Shirow in Giappone
pubblica Ghost in the shell la serie
cyber punk culto. Da essa sarà
tratto il più riuscito film d’animazione
moderno.
2000
Con il primo Spiderman si inaugura la
stagione dei film di successo tratti da
serie di fumetti. L’impatto di queste
mega produzioni hollywoodiane
ha cambiato la vita dell’editoria
fumettistica che sta vivendo un
momento di forte attenzione
mediatica.
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Il lato femminile
diI n t e r vdylan
doG
ista a Paola Barbato
Buon compleanno dylan
Una storia in due parti, a colori, per
festeggiare i vent’anni di vita editoriale di
Dylan Dog: Xabaras! e In nome del padre
sono infatti i due albi pubblicati in queste
settimane dalla Bonelli Editore. I disegni
sono di Bruno Brindisi mentre i testi portano
la firma di Paola Barbato. Classe 1971 nata
e cresciuta sul lago di Garda, l’autrice è
approdata quasi per caso nella scuderia
Bonelli affermandosi tra i lettori come una
delle più apprezzate (ha firmato anche il
prestigioso numero 200). Da ex fan di Dylan
Dog passata nel 1998 dall’altra parte della
barricata, tiene molto in considerazione
ciò che i fan dicono sui suoi albi. A maggio
è uscito per Rizzoli Bilico il suo romanzo
d’esordio.
Lei si è distinta per l’originalità ed il forte
distacco dalle tematiche e dalle atmosfere
alla Sclavi, conquistando i favori dei lettori
e degli addetti ai lavori. Non a caso le sono
stati assegnati gli ultimi episodi celebrativi
della serie. Come si sente nel ruolo di
autrice di punta della serie italiana di
maggior successo?
Per quanto possa suonare come falsa
modestia, non mi sono mai ritenuta tale.
Ho ammiratori ma anche detrattori, come
la maggior parte degli autori di Dylan Dog.
Probabilmente la mia diversità da Tiziano è
maggiormente “marcata” e quindi
fa più rumore.
Dylan Dog è diventato nel corso di
questi venti anni un vero e proprio
fenomeno di costume in Italia,
paese prevalentemente poco
attento al medium fumettistico.
Com’è mutato il fumetto nel corso
di questi due decenni? È ancora in sintonia
con i lettori come qualche tempo fa?
Dylan è “fisiologicamente” cambiato in
maniera naturale per via di diversi fattori.
Quello principale è che inizialmente
Dylan rispecchiava i sogni, le idee, le
posizioni e ovviamente l’anima del proprio
autore, Tiziano Sclavi, che ne scriveva la
maggior parte delle storie. Con il graduale
allontanamento di Tiziano nuovi autori sono
subentrati, e sono state le loro anime a
rispecchiarsi in questo fumetto così umano
e così vicino alla sensibilità dei lettori. I
lettori stessi sono cambiati, le loro esigenze
rispetto alla sorpresa di un personaggio
che era “nuovo” nel 1986 sono aumentate,
la serie ha preso nuove caratteristiche,
nuove strade, man mano che gli argomenti
venivano trattati esaurendosi sempre più
(250 storie sono tante!).
Nel panorama fumettistico nazionale lei
è una
Tanti auGuri Dylan DoG
Dylan Dog compie 20 anni. Ne è passata di acqua sotto
i ponti da quando apparve in edicola uno stralunato
investigatore “very british” invischiato in una visionaria
avventura di zombies, “poetici” scienziati matti e
suggestive riflessioni esistenziali; scuotendo così dal suo
torpore il marcato fumettistico italiano, con l’impatto di
un meteorite e riscuotendo un successo di vendite oltre
ad un tam-tam mediatico inediti per una serie italiana.
Nell’arco di due decenni, il fumetto ideato da Tiziano Sclavi (autore schivo e misterioso,
entrato come la sua “creatura” nell’immaginario collettivo) ha rivoluzionato il linguaggio
dei comics popolari del nostro paese, generando decine di epigoni e trainando la
storica Sergio Bonelli Editore verso una seconda giovinezza editoriale, caratterizzata
dalla nascita di una decina di nuovi titoli.
Merito di storie “fatte della stessa materia dei sogni ( e degli incubi)”, in cui spesso i mostri
non sono freaks o entità sovrannaturali ma uomini in tutta la loro squallida mediocrità;
dell’eterno rapporto Amore-Morte e di figure femminili quali l’adorabile svampita Anna
Never, l’affascinante strega Kim, la generosa ed ironica prostituta Bree e Morgana,
l’archetipo del primo grande amore (in realtà ella è la madre di Dylan per la gioia
degli “edipici” lettori italiani). Ma sopratutto del suo protagonista: quel Dylan Dog che
rappresenta, con le sue fattezze alla Rupert Everett, l’adolescente dentro di noi per la
sua fervida, lucente, immaginazione il suo cuore di tenebra e la volontà caparbia di non
cedere agli orrori della grigia età adulta. Non ci resta che augurarti buon compleanno
Dylan (anche a te “divino” Groucho) e altre mille di queste storie....
Roberto Cesano
delle poche autrici note. Qual è il
problema? Ci sono poche fumettiste o è
garantito loro poco spazio?
Credo che poche di loro si propongano,
per quanto ne so. Non è una questione
sessista, ma di quantità: su 100 sceneggiatori
nuovi che si presentano solo 5 sono donne.
Poi tutto sta nelle qualità del singolo, ma
statisticamente partono svantaggiate.
Cosa pensa del momento favorevole che
il fumetto sta vivendo attualmente? I film
tratti dai comics sbancano al botteghino;
un po’ dovunque nascono eventi (mostre,
fiere, festival) e la stampa italiana pare
essersi accorta di questo campo editoriale.
Qual è il motivo di questo cambiamento?
Ci sono molte proposte e la qualità media
è alta. Credo che ad aver fiducia nel
fumetto siano stati per primi gli addetti ai
lavori, proponendo cose sempre nuove
e in molti casi coraggiose. L’attenzione
degli altri media a questo punto diventa
automatica.
È uscito da poco il suo primo romanzo.
Che tipo di differenti esigenze soddisfano
letteratura e fumetto per uno scrittore?
Sono due cose analoghe ma molto
diverse. Il fumetto è disciplina, rigore e
regole all’interno delle quali bisogna lasciar
confluire la fantasia. È indubbiamente un
lavoro complesso che richiede grande
padronanza della tecnica. La scrittura
invece è autoregolamentata, personale,
una materia per certi versi meno
controllabile e quindi dagli esiti più incerti.
Sono due mestieri che si completano: la
ragione da un lato, la passione dall’altro.
Quali sono secondo lei i fumettisti e le opere
che hanno segnato più profondamente il
mondo dei comics?
Non mi ritengo abbastanza esperta
e padrona della materia da poter
dare una risposta a questa domanda.
Sinceramente.
Se ne avesse l’opportunità quali modifiche
apporterebbe su Dylan Dog. Crede che la
sua sia ancora una formula riuscita?
Inserirei
una
maggiore
continuity
e probabilmente farei evolvere il
personaggio, dandogli maggior maturità.
Ma probabilmente sbaglierei, credo che
Dylan sia perfetto così com’è.
Roberto Cesano
CoolClub.it
LaIntervistasatira
e’
un
indice
di
democraZia
a Sergio Staino
Non è facile raccontare
Sergio Staino in poche
righe. Eclettico come
sanno essere solo gli
artisti toscani, Staino è
sicuramente uno dei
più grandi disegnatori di
fumetto satirico italiani.
Ma nella sua carriera
non c’è stato solo il
fumetto. C’è stata anche la rivista Tango,
da lui fondata nel 1986, e che per anni
ha raccolto tra le sue pagine le migliori
firme della satira italiana; c’è stata la tv,
per cui, tra l’altro, nel 1993, ha firmato
il varietà Cielito lindo, una sorta di Zelig
ante litteram; ci sono stati i film che ha
sceneggiato; c’è ancora oggi il teatro.
E poi c’è Bobo: più che un fumetto, il
suo alter-ego. Insieme alla moglie Bibi
ed ai figli Ilaria e Michele, Bobo è, ormai
per molti, un insostituibile compagno di
viaggio, che, dalle pagine dell’Unità,
spiega, senza compromessi e con poche
battute imbevute di ironia e franchezza,
la “terza verità” sulle quotidiane battaglie
politiche.
Da insegnante di applicazioni tecniche
a disegnatore: come si è avvicinato al
mondo delle vignette satiriche?
In realtà il disegnatore viene molto prima
dell’insegnante di educazione tecnica.
L’insopprimibile desiderio di disegnare
e di raccontare il mondo attraverso
linee tracciate in penna o matita mi
ha accompagnato fin dalla primissima
infanzia, da quando, intorno ai 3 anni,
mia mamma iniziò a farmi copiare con
il suo aiuto i disegni dei libri di fiabe che
mi aveva letto. L’elemento satirico arriva
invece, come sempre, in età matura.
Bisogna essere un po’ abbruciacchiati
dalla vita per raggiungere la capacità di
rileggere le cose che non vano in chiave
divertente.
Pensa che la satira abbia dato un
contributo alla crescita della società
italiana? Ed alla politica italiana?
Certo che sì. La satira, come qualunque
settore della cultura e dell’informazione,
produce e mette in circolo interpretazioni
del mondo che possono essere più o
meno azzeccate, più o meno intelligenti,
ma che comunque arricchiscono il
dibattito collettivo. Credo anche che
il volume e la qualità della satira sia un
buon indice di democrazia della società.
È scontato che qualunque istituzione
fondamentalista, dalle dittature politiche
o militari fino agli integralismi religiosi, la
prima cosa che fanno è prendersela con
il riso e quindi con la satira. Al contrario
una politica seria ed onesta, non può
trovare che il giovamento da un’azione
satirica che sottolinea ed esalta le mille
ipocrisie che ovviamente esistono anche
nelle migliori famiglie.
Molti generi fumettistici hanno perso o
stanno perdendo l’interesse del pubblico.
Secondo lei, limitandoci a parlare
dell’Italia, qual è il futuro della satira?
Come sempre, quando un nuovo
“media” entra sulla scena del mondo,
quelli vecchi non scompaiono ma
si ritagliano posizioni che potremmo
definire “di nicchia”. È successo al teatro
con l’arrivo del cinema, è successo al
cinema con l’arrivo della televisione, sta
succedendo alla televisione dopo l’arrivo
di internet, ecc.... Penso quindi che la
satira disegnata, quella che faccio io,
manterrà un suo pubblico limitato di
fan, mentre quella più di massa, quella
che fa più male al potere, si eserciterà in
linguaggi più attuali, dalla tv al computer.
Già oggi è così: basta pensare alle
trasmissioni televisive della Guzzanti o al
Blog di Beppe Grillo.
Cosa ha pensato dopo la reazione
islamica alle vignette su Maometto?
Ho pensato che non dovevamo
accettare quel ricatto. Ho pensato che
non dovevamo metterci lì a giudicare se
le vignette erano belle o brutte, se erano
giuste o ingiuste, se erano offensive o no.
Ho pensato che l’unica cosa seria da
fare era difendere la libertà di parola e
B uon compleanno dylan
di espressione da un attacco forsennato
dell’oscurantismo religioso. Purtroppo
non è andata così. Purtroppo molti miei
compagni di ideali hanno pensato di
comprendere le ragioni dei popoli arabi,
dimenticando che non erano i popoli
ad attaccare le vignette ma gruppi di
fanatici liberticidi, e quindi se la sono
presa più con gli autori tradendo lo spirito
illuminista, europeo o arabo che fosse.
Nonostante barba e capelli bianchi, Bobo
ha compiuto 25 anni: cosa ama di più di
lui e cosa, invece, gli rimprovera?
Barba e capelli bianchi ce li ho io e non
Bobo, e questa è una cosa che gli invidio
molto. Per il resto mi assomiglia assai,
forse non più fisicamente ma da un punto
di vista politico e sentimentale siamo
due gocce d’acqua. Se ho qualcosa
da rimproverargli è un qualcosa che
devo ovviamente rimproverare anche
a me, ma non sono così masochista da
raccontarlo in pubblico.
Noi auguriamo a Bobo ancora 100 anni
di successi. Può chiedergli di fare un
augurio anche al nostro giornale?
L’augurio migliore che può fare Bobo
è identico a quello che posso fare io e
che, anzi, vi ho già fatto. Quale augurio
migliore, infatti, se non concedervi
un’intervista, con stima e con tanto
affetto?
Federica Pacella
Buon compleanno dylan
CoolClub.it C
10
CoolClub.it
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B uon compleanno dylan
WWW.dacronico.com
Ilfumetto visto dalla puGlia
Intervista a Giuseppe De Luca e Ketty Formaggio
Giuseppe De Luca e Ketty Formaggio
sono due giovani fumettisti salentini.
Nel loro studio di Casarano, ogni giorno
preparano tavole per le riviste ed i
giornali (a tiratura nazionale) per i quali
lavorano. Timido e silenzioso lui, solare e
vivace lei, nel fumetto esprimono tutta la
loro creatività ed il loro talento. Abbiamo
approfittato della loro esperienza per farci
spiegare come funziona il “mercato” del
fumetto e per capire un po’ quale sia il
mondo del fumettista.
Potete parlarci un po’ della vostra attività
e di come siete approdati al mondo del
fumetto?
G. Da autodidatta ho appreso le
tecniche, poi ho fatto esperienza sul
campo con piccole collaborazioni
editoriali e con il fu Intrepido. Poi il fumetto
su scala nazionale con l’associazione
Alex Raimond e Freebooks.
K. Dopo una scuola del fumetto ed
esperienze lavorative per il gruppo
Benetton, ho collaborato con alcuni
fumettisti veneti. Ma non è stata una
scelta meditata; semplicemente, mi ha
trascinato la passione. Ora collaboro
stabilmente con Giuseppe e sono
colorista in servizio alla RedWhale.
Quanto è cambiato il modo di fare
fumetto oggi rispetto a ieri?
G. Non credo che sia cambiato molto
rispetto ad una volta.
K. Sono ancora giovane, ma credo resti
tutto uguale: foglio, matita e fantasia.
Il computer serve per comunicare
più velocemente e per raccogliere
informazioni.
In genere, chi legge un fumetto, sa poco
o nulla di chi lo ha scritto, disegnato e
colorato. Voi che rapporto avete con il
vostro pubblico?
G. Non c’è molto rapporto con il pubblico,
in verità.
K. Alle fiere del fumetto il pubblico di
solito è entusiasta dei disegni fatti dal
vivo e del contatto con l’autore. Io ho
dei contatti con appassionati tramite il
web, dove è facile scambiarsi opinioni e
cercare un piccolo spiraglio di visibilità. A
tal proposito, il nostro sito è http://www.
draconico.com.
Sono più i gusti dei lettori a determinare
il “mercato” del fumetto o è il fumetto a
trascinare il pubblico? Vi siete mai trovati
nella situazione di dover rappresentare
qualcosa che non vi piacesse?
G. Sì, ed è una cosa che mi pesa. Trovo
che sia importante credere fino in fondo
in quello che si fa.
K. I gusti dipendono chiaramente dal
target dei lettori, ma gli editori italiani
spesso non ne tengono conto. Certo,
ho dovuto lavorare su cose che non
condividevo appieno, credo sia una
cosa comune.
Ketty, tu hai vissuto e lavorato fino a pochi
anni fa al Nord. Quale differenza trovi tra
l’essere fumettista in Veneto e l’esserlo in
Puglia?
K. È vero che il fumetto si fa nel proprio
studio per spedire poi il lavoro finito, ma mi
sono resa conto che è molto importante
per un lavoratore del settore mantenere
e creare nuovi e continui contatti con
altri autori a case editrici. Da quando mi
trovo nel Salento, a causa dei costi elevati
degli spostamenti, non sono più in grado
di frequentare regolarmente mostre,
convegni e fiere del settore. Il fumettista
in sostanza deve anche essere manager
di se stesso e i rapporti di persona sono
fondamentali.
Se foste nati cento anni fa, quale
personaggio avreste voluto inventare?
G. L’Uomo Ragno.
K. Lupo Alberto di Silver.
Cosa consigliate ai giovani (in particolare
ai giovani salentini) che vogliono lavorare
nel mondo del fumetto?
G. La carriera dei fumettisti è come quella
dei cantanti: ci sono 5 o 6 che riescono a
fare i soldi, gli altri vanno in giro a fare il
piano bar.
K. Io suggerisco di continuare a insistere nel
proprio sogno. Ma l’aspirante fumettista
deve essere conscio che questo è un
mondo ingiusto e dove anche i più bravi
vengono ignorati.
Federica Pacella
Keep Cool
Pop, Alternative, Metal, Elettronica, Lounge,Italiana, Indie
la musica secondo coolcub
Koop
Koop Islands
Compost/Family Affair
Nu-Jazz / *****
Imbattendomi nel primo album di questo
duo di Uppsala (Svezia), mi venne da
pensare che la globalizzazione non era poi
così male, se portava a prodotti di quello
spessore e così unici. Waltz for Koop (2002)
infatti combinava l’elemento “sverige” e
in qualche misura post-romantico della
produzione con il supporto straordinario
di una cantante giapponese, Yukimi
Nagano, che sembrava essere venuta
fuori da qualche party degli anni ’50, sia
per la voce che la sua presenza scenica;
un mix di sonorità che ti facevano
pensare più al ghiaccio di un cocktail che
a quello del circolo polare artico. Ora,
dopo un silenzio lungo quattro anni, e al
centro di un bizzarro caso di esposizione
mediatica - Simona Ventura e soci hanno
ben (e tardivamente) pensato di citare il
precedente lavoro del duo svedese nella
sigla di testa di Quelli che il Calcio con la
strepitosa Summer Sun - Oscar Simonsson
e Magnus Zingmark, dopo aver ricevuto
tributi dal mondo del jazz elettronico
sotto forma di cd di remix (gli Alternative
Takes di Waltz for Koop), tributo che
suona anche un po’ italiano grazie
al nostro Nicola Conte, sono tornati.
con un’opera attesissima. E l’attesa
è a dir poco ben ripagata. I 35 minuti
complessivi dell’album non possono
essere visti come un difetto, quando
la quantità è sacrificata in nome della
qualità come in questo caso. La Nagano
è sempre al proprio posto, sempre
fascinosa e supportata per l’occasione
da Mikael Sundin, vero e proprio alterego delle sue perfomance. Torna come 4
anni fa anche Rob Gallagher (a.k.a. Earl
Ginger) e si aggiunge per l’occasione
Ane Brun, all’esordio assoluto, che canta
l’opener Koop Islands blues. Il lavoro
suona Koop dall’inizio alla fine, però
non si possono ignorare i passi in avanti,
gli elementi nuovi. Anche se forse è più
opportuno parlare di passi indietro, di
elementi riscoperti dalla tradizione: gli
elementi swingy e il massiccio utilizzo di
percussioni rimandano a maestri come
Henry Mancini o Ennio Morricone, ai
Caraibi più che ai fiordi. L’atmosfera è
sempre da cocktail, ma il tessuto sonoro è
ancora più elaborato, pur rispecchiando
perfettamente i canoni della tradizione
jazz. E in più, a metà cd circa, la vera
bomba, quella I see a different you,
cantata (e non è un caso) proprio da
Yukimi Nagano. Anche Forces Darling
merita la citazione, rappresentando da
sola la summa, in quanto a scelte, voci,
sonorità, climi, del duo svedese, giunto al
terzo album (e che a breve compierà 10
anni di attività). Magari Simona Ventura
non ci metterà quattro anni stavolta.
Consigliatissimo, anche a chi a pensa
che il jazz sia una cosa da vecchi o da
gente con la puzza sotto il naso. E ai noglobal. Con una domanda: perché si
sono truccati nella copertina?
Berardino Amenduni
KeepCool
14
The Lemonheads
The Lemonheads
Power –pop / ***
Per molti di noi Evan Dando è un mito, tra la fine
degli anni 80 e l’inizio degli anni 90 pochi come lui
hanno saputo raccontare di una generazione che
non voleva diventare grande.
Padrone di una grammatica musicale senza fronzoli,
semplice, compatta, melodica. Gruppi come i suoi
Lemonheads e i Dinosaus Jr di John Mascis e Lou
Barlow hanno lasciato una lunga scia di proseliti, La
musica dei Lemonheads non è mai stata grunge,
mai veramente punk, mai veramente pop. Evan
Dando bello come un angelo finì a un certo punto
per bruciarsi le ali dopo album bellissimi. Oggi dopo
vari episodi di cui uno solista, i Lemonheads tornano con un album che ha in sé il
tiro chitarristico, la sensibilità pop, i momenti più romantici di un uomo che sembra
sfornare canzoni con una spontaneità irritante. È tutto dove ti aspetti che sia, ma
non vorresti fosse diverso, power pop nel modo più semplice e bello con influenze
folk. Alla band rimaneggiata nel corso degli anni si è aggiunto anche il già citato
Mascis. Risultato assicurato.
Osvaldo Piliego
Forro in the dark
Forro in the dark
Ponderosa
Forro / ***
Il forro è la musica
tipica del nord est del
brasile, una musica
che non è famosa
come il samba o la
bossa, una musica
che si suona per fare
festa dopo una lunga
giornata di lavoro.
Il forro si suona con
sezione di strumenti
molto semplici e ha in sé l’allegria
agrodolce tipica della musica brasiliana.
Quando poi Mauro Refosco (già
percussionista di Caetano Veloso, Bebel
Gilberto, David Byrne) chiama un po’ di
amici per un jam nascono i Forro in the
Dark.
Insieme a lui in questo progetto troviamo
Smokey Hormel (chitarrista di Beck e
Tom Waits) e il fisarmonicista Rob Curto
(Klezmatics). Le esperienze musicali e lo
spessore dei singoli si incontrano senza
mai prevaricare uno sull’altro. L’album
riprende molti brani della tradizione (Luiz
Gonzaga su tutti), rivitalizzandoli con
suoni e soluzioni nuovi. Tutto diventa
più spesso, i bassi sono prepotenti e
avvolgenti, gli arrangiamenti ricamati a
pennello. Il Forro è musica trascinante, il
suo andamento è sensuale, e i Forro in
the dark assecondano questo ritmo lo
esaltano grazie a un grande Refosco.
L’apporto di Rob Curto conferisce a tutto
un che di esotico, contamina con suoni
che ti aspetteresti di ascoltare nell’est
dell’Europa e non in Brasile.
Osvaldo Piliego
Jarvis Cocker
Jarvis
Rough trade
Pop / **
Con i suoi Pulp è stato una
delle icone del Brit-pop,
popstar anticonformista,
cantore con dei vizi e
delle virtù della middle
class. Se si può azzardare
Jarvis Cocker era il lato
impegnato del calderone
inglese di quegli anni. Da
personaggi come lui ci si aspetta molto,
soprattutto alla prova del debutto solista.
Jarvis ha in sé lo spirito del glam e la
classe innata di un crooner navigato e
in questo disco lo dimostra ampiamente.
Il tutto ha l’eleganza che si addice a
un personaggio come lui. Tra sixities e
seventies, Jarvis è a suo agio nelle ballate
caramellate come nelle tirate più rock. la
sua voce è inconfodibile, sembra rompersi
quando osa, ma riscalda quando è bassa
e vicina. Ci si aspettava di più però. Con
questa prova Jarvis non aggiunge niente
alla sua carriera, si muove sicuro, non osa.
Il risultato è un disco che ci fa rimpiangere
i Pulp e non salutare un artista maturo.
Osvaldo Piliego
Gleba
Gleba
Universal
Rock italiano / ***
Non c’è molto da stare attenti alle
etichette, non c’è molto da riflettere o
da pensare. Questo
esordio ufficiale (dopo
i due autoprodotti
alle
spalle)
dei
brindisini Gleba è
puro rock italiano: nei
suoni, nei testi, negli
arrangiamenti, nella
struttura dei brani.
Con il rock non c’è da
sottilizzare e in questo i Gleba sono molto
rock. Il loro è un disco onesto, ricco di
brani orecchiabili, impreziositi dalla voce
di Alfredo Genovese (autore anche dei
testi), potente (in molti brani si sente un
retroterra di scuola americana) e tenace.
Come tenaci sono stati i quattro ragazzi
che dopo una dura gavetta, concerti
in giro per tutta Italia, la collaborazione
artistica con Fabrizio Barbacci (già
produttore di Ligabue, Negrita, Francesco
Renga), sono giunti a questo cd
firmato Universal (e non è poco). “Nel
disco c’è un po’ tutta la nostra storia”
spiega Alfredo. “Racconta come
siamo nati (Come mi vuoi scritta
nel ‘93) e come siamo diventati (In
un attimo del 2003). Racconta di
donne, di amori, di sesso; di amici
che arrivano e di altri che partono.
Racconta di paure, tristezza e felicità.
Racconta essenzialmente emozioni. E
le suona queste emozioni, così come le
abbiamo sentite noi in quell’istante”.
Ciculu
KeepCool
15
Charlotte Gainsbourg
5:55
Because/Atlantic 2006
Chansons / ****
Inutile stare a parlare delle sue origini, di quanto
sicuramente sia difficile per lei portarsi dietro quel
cognome. D’altronde lo dice lei stessa di non
nominarle il padre, “for my own sake”. Per non parlare
poi della madre, Jane Birkin, il cui mito si perpetua
nel nome di una delle borse più invidiate e ricercate
nel mondo della moda, omaggio ad un’icona
immortale. Forse anche per questo Charlotte ha
aspettato venti anni prima di tornare a cantare,
dopo lo scandaloso duetto col padre (Lemon Incest)
e un album adolescenziale, agli albori del fenomeno
delle Lolite del pop (Charlotte For Ever). 5:55 è un bel lavoro pop dalle forti tinte
intimiste, sottolineate dalla voce di Charlotte, il più delle volte un sussurro che non
osa, che non vuole farlo, o che – viene il dubbio, mentre le tracce scorrono – non
può. In linea con la grande timidezza dell’attrice e ora nuovamente cantante
francese, che pare abbia registrato le tracce cantando dietro ad un lenzuolo,
per concentrarsi meglio e non guardare in faccia i collaboratori. Probabilmente
si deve a questi ultimi il merito di un album tutto sommato convincente: Jarvis
Cocker dei Pulp, autore tra l’altro del testo della molto sergeiana The Songs
That We Sing, Neil Hannon dei Divine Comedy, Nigel Godrich, produttore dei
Radiohead, David Campbell (il padre di Beck) agli arrangiamenti, gli Air, la cui
presenza pervade l’intero album (la traccia d’apertura, che dà il titolo all’album,
ricorda irrimediabilmente Cherry Blossom Girl). La Gainsbourg paragona l’amore
ad una operazione chirurgica (The Operation), canta la sospensione della vita e
dei sentimenti durante un volo aereo (AF607105), il tutto in maniera piana, senza
manifestazioni vocali eccessive, come se la forza di certi versi preferisse farla
implodere (Our love goes under the knife/the heart was rejected by the host).
Ottima colonna sonora per l’autunno che tarda ancora ad arrivare, e per le foglie
che sono ancora troppo attaccate agli alberi.
Anna Puricella
The Walkmen
A Hundred Miles off
Talitres records / Promorama
Rock / ****
Con
il
loro
precedente
Bows
and arrows si erano
conquistati a pieno
diritto un posto sul
podio
accanto
a The Strokes e
Interpol. Tra le band
di New York più cool
del momento The Walkmen tornano
con un disco ispirato e maturo. Se Dylan
avesse 25 anni oggi, forse suonerebbe
questa musica. Sembra suggerircelo
in più momenti la voce tagliente di
Hamilton Leithauser (a partire dal brano
di apertura Louisiana) che quasi deraglia
a volte, si fa strada rauca tra le chitarre
che fanno muro, l’organo, la batteria
dinoccolata. Tra momenti più folk e quelli
post punk (Tenley town) questi ragazzotti
di Whashington trasferitisi nella grande
mela riescono a inserire anche brani
scala classifica (non per niente la band è
anche apparsa nel telefilm per teen ager
O.C.). L’andamento quasi svogliato di
Lost in Boston quasi li avvicina ai cuginetti
fighetti Strokes. Ma The Walkmen hanno
qualcosa in più alle spalle e meno lacca
sui capelli e la esprimono con un suono
non facile, con strutture che hanno fatto
tesoro dei Television. Per alcuni una
conferma, per altri una sorpresa questo
A Hundred of miles è la dimostrazione
che una volta sbucciata, la grande mela
nasconde una polpa saporitissima. (O.P.)
Beck
The Information
Interscope/ Universal
Rock-hop / ***
La
copertina
è
anonima, come una
tela bianca, per essere
precisi a quadretti. Poi
apri il disco e all’interno
trovi una serie di
stickers con cui puoi
personalizzare il disco.
In Inghilterra dicono che siccome si offre
qualcosa in più per invitare all’ acquisto il
disco non sarà ammesso nelle classifiche.
Ma Beck non ne ha bisogno. Da tredici
anni a questa parte, da quando stupì
tutti con Mellow gold, forse non se n’è
mai interessato, neanche quando ha
realizzato i suoi dischi più “commerciali”.
Forse la copertina di The Information è
un po’ metafora della sua musica, un
collage che in tutti questi anni ha attinto
un po’ ovunque. in questo disco Beck
sembra fare una carrellata sulle sue
influenze: l’hip hop (Elevator Music), il
funky (Cellphone’s dead), il blues, il folk,
tutto fatto in mille pezzi e rimontato. A
ogni brano è anche associato un video,
roba casalinga, kitch, come alcune sue
trovate musicali. Il groove è quello di
sempre, la poliedricità pure. Elettronica e
acustica convivono come solo lui sa fare.
Ben tornato. (O.P.)
The Skygreen Leopards
Disciples of California
Jagjaguwar
Hippie Pop-folk / ***
Glenn Donaldson, titolare
del progetto insieme
a Donovan Quinn, è il
boss della minietichetta
californiana “Jewelled
Antler Collective”, sotto
la quale si sono riuniti
tutti quegli improbabili
personaggi che sui giornali passano
sotto il titolo di weird-folkers (tra i quali i
Balck forest / black sea e Cristina Carter,
visti da queste parti un annetto fa).
Eppure questi strambi leopardi, giunti
al loro quinto album (il secondo per la
Jagjaguwar, e il primo con una vera e
propria sezione ritmica, composta da
KeepCool
16
Jasmyn Wong alla batteria e Shayde
Sartin al basso) hanno ben poco a che
spartire con gli sperimentalismi della
scena da cui provengono. Qui attingono
a piene mani dal pop-folk psichedelico
anni ’60, mettendoci dentro davvero
poco in quanto a innovazione. Ma chi li
critica come banali revivalisti credo che
non abbia presente lo spirito che muove
un californiano ad abbandonarsi a certe
nenie. Queste sono cose che hanno nel
sangue, e se la ricerca può essere una
passione, la tradizione è una necessità
fisiologica. Lo stesso sentimento che ha
mosso quel pazzoide di Lynch a girare un
film (splendido a mio avviso) come Una
storia vera. E di fatto, le loro canzoni non
sembrano nemmeno scritte per essere
ascoltate da qualcuno, come se non
gliene freghi nulla che c’è un disco da
registrare, da promuovere, da vendere;
sembra che il loro unico interesse sia
suonarle quelle canzoni, con la stessa
premura con cui bisogna respirare: chi
davvero ne gode sono loro stessi, e se
fossero scritte per essere cantate con gli
amici giusto nel campetto dietro casa
(come quello disegnato in copertina) non
credo che cambierebbe granchè. Quindi
inutile giudicare con troppi pregiudizi,
basta chiudere gli occhi e attendere che
la brezza della Bay area vi accarezzi.
Gennaro Azzollini
Keith
Red thread
Lucky Number / Audioglobe
Pop / ***½
Buon esordio questo
dei Keith. La band
di Manchester si
schiera subito dalla
parte più elegante
della
musica
inglese, quel sound
fatto di velluto, di
chitarre cristalline,
beat scanditi e voci
che sembrano appartenere a un lord
parente di Dorian Gray. E ci sono Morrisey
e gli Smiths tra le influenze a far subito
capolino, gli anni 80, ma anche il gusto un
po’ shoegaze della Manchester anni 90.
Mona Lisa’s child ha un andamento da
dance floor, la dilatata Unsould Thougts ne
fa emergere il lato più romantico. Hanno
l’aria divertente degli Housemartins quella
un po’ snob dei Menswear, un arpeggio
rubato ai Radiohead (Gunshot reverly) e
il successo assicurato da una manciata
di brani veramente accattivanti. (O.P.)
Pecksniff
Honey, you’re murdering me
Black candy / Audioglobe
Twee-pop / ***
Per ascoltare alcuni
dischi
bisogna
necessariamente
predisporsi.
Per
ascoltare i Pecksniff
bisogna mettere da
parte per un attimo la
seriosità e lasciarsi prendere dal gioco.
Sembrano ricordarci, i Pecksniff, che la
prima cosa che la musica dovrebbe
trasmetterci è allegria. E ci riescono
accompagnandoci per mano nel loro
immaginario fiabesco. Voce maschile
a cui fa da contro altare puntuale
quella femminile (sembra quasi Grease
ambientato nelle scuole medie) folk pop
zuccheroso, che ti fa l’occhiolino. Ma c’è
una sorta di contraddizione nella musica
dei Pecksniff, la stessa insita nel titolo del
loro ultimo album Honey, you’re murdering
me (Tesoro, tu mi uccidi). Come se tutto
fosse ricoperto da un velo leggero di
malinconia, come i Belle and Sebastian a
cui sono accostati da molti. L’apparente
disimpegno dell’album nasconde poi
una cura negli arrangiamenti, l’utilizzo di
qualsiasi cosa (c’è anche la musica di un
videogioco), catturata anche in bassa
fedeltà, che impreziosisce le trame dei
brani. (O.P.)
parte da Philadelphia, nuovo polo
della musica soul americana, evolutasi
verso territori che strizzano l’occhio
all’elettronica. Duplaix, in questo senso, si
definisce addirittura come “missionario”
sul suo stesso website, a dimostrazione di
una certa consapevolezza del ruolo di
trendsetter che sta rivestendo soprattutto
nel suo paese. Le doti, di certo non
mancano, sia vocali sia a livello di suoni, in
un piccolo capolavoro di stile, coronato
da alcune pezzi che meritano citazione
speciale, in particolare For Life, uno dei
pochi pezzi potenzialmente appetibili
alle radio commerciali, e A life worth
living, in cui le doti di artista polivalente
emergono tutte in un mix tra soul, lounge
e percussioni. Un’artista da seguire in tutte
le sue perfomance. Come cantante,
produttore o dj eclettico, aspettatevi di
trovarlo nei migliori progetti provenienti
da oltreoceano in questi anni.
Dino “doonie” Amenduni
The Black angels
Passover
Light in the attic records/ Promorama
Psych-rock / ****
Gruppi e dischi come questi sono una dichiarazione
di intenti. Gli “angeli neri” sono un viaggio nel lato
più oscuro e psichedelico della musica, il passaggio
a un’altra dimensione del sentire. L’evoluzione degli
Spacemen 3, l’esasperazione dei 13 floor elevator.
Figli deviati dei Pink floyd (un brano The Sniper at the
Gates of Heaven evidente citazione di At the Piper
gates of Dawn, primo album dei Pink Floyd appunto)
questi texani hanno la carica sciamanica del miglior
Jim Morrison. Sono figli del wave (ci riconoscerete
dentro anche i Joy Division), minimi ma efficaci come
il punk, penetranti e ossessivi come un mantra. Una
volta entrati nella musica dei Black Angels sarà difficile
uscirne prima dell’ultima traccia, un viaggio musicale lungo un’ora. Ed è proprio
alla fine del viaggio (Call to arms) che emerge lo spettro dei Velvet Undergound e
il cerchio si chiude in una suite lunga ben 18 minuti.
Vikter Duplaix
John Legend
Torna sulle scene il poliedrico artista di
Philadelphia, a distanza di 4 anni dal suo
precedente International Affairs. Cambio
di etichetta, ma non di stile, né di impatto
sulla scena musicale. Leggendo l’elenco
di collaborazioni che Vikter può vantare
in questi ultimi anni, è facilmente intuibile
il livello qualitativo dei suoi prodotti e il
grado di rispetto che può vantare da parte
dei colleghi: sono finiti nella sua rete (o lui
è finita nella loro, poco importa) Erykah
Badu, Jazzanova, Masters at Work, Roni
Size, King Britt, Jazzy Jeff (un’istituzione
della musica black). E anche questo Bold
and Beautiful vanta credit importanti,
a partire da Little Louie Vega come
produttore, o avvalendosi di Raphael
Saadiq o Esthero, artista canadese dal
futuro certamente splendido, alla voce.
Un album che rispecchia perfettamente
un tempo, una sensazione, un mood
che giunge da qualche anno a questa
Uno dei ritorni più attesi
di questa stagione. Bè,
uno che fa Legend
di cognome (e non è
quello all’anagrafe) o
ha un ego smodato,
o è autoironico, o è
leggenda sul serio. Se
poi pensiamo che questo cognome non
è nato per caso, ma gli è stato affibbiato
dal suo fido cuginetto, tale Kanye West,
giusto uno dei migliori produttori hip-hopsoul-echipiùneha della storia recente,
c’è da ascoltare sempre i suoi prodotti
con un briciolo di ammirazione devota. A
27 anni Legend torna con la prova della
maturità, e non si fa prendere dalla fretta,
dalle sirene dal mercato, da richiami
eccessivamente pop. Un elemento
sicuramente a suo favore. Ha deciso
di diventare il nuovo Stevie Wonder,
possiede le doti tecniche necessarie per
Bold and beautiful
Barely breaking heaven
Nu-soul / ****½
Once Again
Columbia
R’n’b, soul / ***½
KeepCool
17
Virginiana Miller
Fuochi fatui d’artificio
Radio Fandango
Rock d’autore/ ***
Quando le parole hanno un peso alcuni
dischi possono essere di più che sola
musica. Quando poi questa musica
ha un suo percorso, un suo osare nelle
vicinanze del rock il discorso si infittisce
e si fa interessante. I Virginiana Miller
sono un gruppo che riesce a mettere in
musica storie scritte con lingua, originalità
e vividezza rare nel panorama italiano.
Non è un caso che le atmosfere di un
loro album abbiano ispirato Direttissimi
altrove, un romanzo di Giampaolo
arrivarci, e vuole onorare il pesantissimo
(e finto) cognome che porta. L’album
è quindi una rincorsa continua tra
citazioni, dallo stesso Wonder (Each
day gets better) a Marvin Gaye (Again,
canzone che vede come protagonista
un soldato di fronte ai dubbi su cos’è la
guerra e se esiste una guerra giusta), con
richiami anche allo standard pop di Burt
Bacharach, che veleggia nel fantastico
organo di Save Room, traccia d’apertura,
primo singolo, miglior traccia dell’album
allo stesso tempo. Arriviamo a circa metà
album e sentiamo John giocare con il
piano, ci si aspetta una nuova Ordinary
People e invece ci troviamo a PDA – We
Just don’t care, una canzone scritta nel
2006, ma che non avrebbe sfigurato per
eleganza (e forse anche per il sound un
po’ datato) in qualche catalogo Motown
degli anni ‘60. Legend scrive questo
album per sé stesso, ed è piuttosto palese
il rifiuto dell’ammiccamento, a tutti i livelli.
Allo stesso tempo sembra intrappolato
nelle logiche del mercato, che si aspetta
il cd da 50 minuti, e così la seconda parte
dell’album si trascina stancamente,
con qualche episodio che ci salva da
un quasi inevitabile torpore, Another
Again su tutte. Meritevole anche
la bonus track finale. Consapevoli
che davanti a tanto talento sarà
impossibile per tutti valutare questo
Once Again come un album meno
che sufficiente, ci aspettiamo allo
stesso modo che John Legend diventi
John Legend, e non “il cugino di..” o
“il nuovo…”
Dino “doonie” Amenduni
Franklin Delano
Come Home
Ghost records / Audioglobe
Alt-country-rock / ****
Passaporto italiano ma
piedi in America per i
Franklin Delano. Questo
nuovo album Come
home (il terzo) hai in sé
lo spirito della band e
ne registra la crescita
il
cambiamento.
Cambiamento nella formazione con
l’uscita della batterista Vittoria Burattini
ma anche nell’approccio alla forma
canzone che sembra cambiare marcia
prendendo uno svincolo in direzione
del pop. Per questo album Fabio
Iocca e Marcella Riccardi hanno fatto
proprio le cose per bene. Brian Deck
(già produttore dei Modest Mouse) ai
comandi, Chicago sullo sfondo e in studio
gente del calibro di Nick Broste dei Wilco
e Jim Becker dei Califone sono la cornice
di un disco notevole. Sono cresciuti i
Franklin Delano, hanno ampliato orizzonti
musicali riuscendo a tenere tutto insieme
senza perdere niente ma acquistando
semmai. Ed ecco che rispetto al passato
è la melodia a tenere legati insieme l’alt
country, il soul (ascoltate i fiati su IKnow
my way), il rock and roll malato (Motel
Room), coretti, noise, psichedelia. I
bolognesi Franklin Delano si confermano
una delle realtà indie più interessanti in
Italia, e non solo (O.P.)
Duozero
Esperanto
Small Voices / Audioglobe
Elettronica / ****
L’Italia
ha
n u o v a m e n t e
qualcosa di rilevante
da dire nell’ambito
elettronico,
e
questa volta è una
piccola
etichetta
di Andria, la Small
Voices, a parlarci
attraverso Esperanto,
produzione
di
Fabrizio Tavernello e Enrico Marani, noti
come Duozero. Tredici tracce oscure
e viscerali, ambietazioni cinematiche
quasi da terrore psicologico, musiche
ammalianti, lamenti da synth e field
recordings, drammatiche sfide sonore
che si intrecciano a un sottobosco di
parole. I due si servono di una miriade di
voci che sembrano diventare la colonna
portante di tutto il loro progetto, tra le
tante voci quella di Massimo Zamboni
in The Rhyme of the Ancient Mariner.
Tra le tracce più affascinanti di questo
esperimento musicale ben riuscita è
il cerchio, dove giochi di voci teatrali
catturano su profondi passaggi sonori.
Ottima release, stupefacente nel vero
senso della parola, da avere, alla faccia
dell’esterofilia dilagante.
Federico Baglivi
Simi. Fuochi fatui d’artificio è l’ultimo
album dei Virginiana Miller. Licenziato
dalla neonata Radio fandango, il disco
ha in sé tutta la maturità di una delle
band più meritevoli del rock italiano. È
un disco sui rimpianti, sui trent’anni, sulle
poche speranze rimaste. Esemplare
l’incipit di Dopo la festa “Povera stella
filante con le calze smagliate ora che sei
caduta chi ti rialza se il ragazzo perbene
ti ha voltato le spalle spalle”. Ma c’è
anche musica e tanta, in bilico tra
reminescenze wave, discese soniche,
risalite più melodiche, atmosfere alla
Bad Seeds. Un disco intenso, doloroso,
liberatorio
(O.P.)
Mersenne
Stolen dresses
Urtovox / Audioglobe
Indie / ***
Urtovox vince il Mei come
migliore indie label italiana
e non possiamo che fare
gli auguri. L’etichetta
fiorentina ha confermato
uscita dopo uscita un
fiuto impeccabile. Una
vocazione per l’indie
che le ha assicurato una scuderia di tutto
rispetto e che si arricchisce, giorno dopo
giorno di nuove e interessanti band. I
Mersenne sono una di queste. Sono in
tre, vengono da Bologna (ormai patria
conclamata dell’indie italiano) e sono
cresciuti a piadine e distorsioni. A chi si
chiede che fine abbiano fatto le college
band, quelle scanzonate che tra pop, birra,
hanno illuminato gli anni 90 con canzoni
che messa da parte la tecnica andavano
all’osso della musica e riscoprivano il piacere
di suonare, ecco la risposta. Stolen dresses
è figlio di questi anni, di queste band, di
questo suono. Personalità mutevole quella
dei Mersenne che attingono a destra e a
manca confezionando un disco a presa
rapida. Bella prova.
Dani Siciliano
Slappers
!K7/Audioglobe
elettronica / ***
Come nel precedente
Likes, Dani Siciliano ci
ammalia nuovamente
con
spezzettamenti
aritmici, talvolta dolci e
sincopati, il tutto sotto
la regia del compagno
Herbert e nuovamente per la !K7.
Frammenti musicali ricombinati insieme,
11 pezzi di elettronica minimale, che non
si discostano troppo da Likes, arricchiti
da improbabili mix di campionamenti.
Ha l’effetto di suscitare interesse anche
in chi ascolta elettronica da anni e si
è quasi convinto dell’appiattimento
sterile verso il quale si avvia la musica da
software. Con i tempi che corrono riuscire
a suscitare un minimo di interesse è cosa
buona, visto la mancanza cronica di idee
che sappiano superare gli onnipresenti e
stanchi glitches. Più abbordabile rispetto
KeepCool
18
Caetano Veloso
Cê
Emarcy
Tropicalismo /*****
Un disco crudo, scarno, scheletrico. Qualcosa
che non ti aspetti di certo e, nonostante quella
vocalità rimandi subito ad un’unica esperienza
artistica, fai quasi fatica a riconoscerlo. Cê è
un lavoro di una bellezza sconcertante, perché
annulla le certezze per rimettere a nudo un
grande autore, uno dei più grandi che ancora
abitano questa terra, marcando così una distanza
siderale rispetto ai lavori di molti conterranei appartenenti alla sua generazione.
Caetano è quello che si è conservato meglio e con rigore può permettersi colpi
di coda senza sembrare minimamente patetico: ben venga quindi un disco rock
propriamente inteso, non tanto perché “chitarra-basso-batteria” (il figlio Moreno
insieme a Pedro Sa, Marcelo Callado e Ricardo Dias Gomes), quanto perché è
la pasta di cui sono fatte queste canzoni ad essere rock. Momenti di quiete e
momenti di smaccata elettricità si alternano in una selezione di canzoni raramente
così efficaci. Minhas Lagrimas, capolavoro dell’intero disco, è un lamento sorretto
da un bordone ruvido che carica tensione, che minaccia di deflagrare ad ogni
passaggio, salvo poi placarsi definitivamente. Roba che per trovare momenti di
così assoluta emozione bisogna andare a ritroso negli anni e perdersi nella vasta
produzione del tropicalista. Non sono da meno gli episodi più nervosi del lotto, con
Musa Hibrida talmente satura di wah-wah da poterla definire hendrixiana, o l’Outro
(che, a dispetto del titolo rappresenta l’incipit del lavoro) che proietta Caetano
in una dimensione psichedelica che (quasi) mai aveva frequentato sinora. C’è
spazio per un’altra ballad strappacuore e nervi come Nao Me Arrependo e per
tanto altro ancora in un disco, il primo in lingua portoghese da 6 anni a questa
parte, che segna uno dei ritorni più convincenti dell’anno.
Ilario Galati
a Likes, anche Slappers non perde gli
avanguardismi, e riesce ad avvalersi
anche di strumenti non propriamente
elettronici; ma è la stupenda voce che
vince su tutto, sia essa su canoniche tracce
avvicinabili al pop che su sconnessioni
poco ballabili e avanguardie a volte
pretenziose. In definitiva, un album per
chi volesse continuare ad ascoltare
elettronica: Slappers non vi stancherà,
pur non essendo esaltante come il lavoro
precedente continua a dire qualcosa.
Federico Baglivi
Zero db
Bongos, bleeps and basslines
Ninja Tune
Elettronica / ***½
Si attendono sempre
con ansia gli album
dei gruppi specializzati
in dance e remix: li si
attendono per capire
di che pasta sono fatti,
quali sono le loro prospettive di lungo
termine, la loro capacità creativa a partire
da 0, oltre la rivisitazione. C’è anche da
dire che spesso, salvo alcuni rari fenomeni
(vedi Tiga, Soulwax, Mylo), l’attesa viene
quasi sempre mal riposta: gli album
appaiono poco organici, con ottimi
picchi di qualità alternati a veri e propri
riempitivi richiesti dalla casa discografica
per non pubblicare un prodotto che duri
20 minuti. Questo album si trova tutto
sommato in una posizione intermedia:
Chris Vogado e Neil Combstock, aka
Zero db, portano a casa un prodotto
onesto, ma (volutamente?) incompiuto.
Il titolo già rivela la disorganicità del
prodotto, in cui si balla (nel vero senso
della parola) tra scissione e integrazione
di standard musicali completamente
diversi, uniti forse solo da una certa
vocazione “brazilera”, tipica peraltro
delle loro produzioni precedenti (remix
in particolare). Un album comunque
godibile, con ospiti alla voce in grande
crescita (in particolare Spank Rock,
che canta Samba do Umbigo), alcune
ottime idee (l’incendiaria opener A
pomba Girou), episodi meno creativi
ma comunque apprezzabili (Anything’s
possibile) e addirittura un escursione pop
(On the One and Three, che con una
certa sorpresa può essere considerato
l’episodio meglio riuscito dell’intero
album). Tenete d’occhio Te Quiero se
volete stupire i vostri amici anticonformisti
con prospettive diverse per il trenino
di capodanno. Un cd che piacerà da
impazzire ai dj, che potranno trovare
qui diversi stimoli per i loro set, ma che
può essere consigliato a tutti gli amanti
dell’elettronica. Poi però, di corsa a
cercarvi i loro remix.
Dino “doonie” Amenduni
Justine Electra
Soft Rock
V2
Elettronica / ***
Immaginatevela,
australiana,
in uno squat
berlinese a lato
della
stazione
ferroviaria.
Immaginatevela
comporre musica
con il sottofondo
dei
treni
e
contornata da
ragazzi e ragazze
che vanno e
vengono, magari neanche troppo lucidi.
Immaginatevela, perché questo è ciò
che faceva e forse ancora fa nella sua
vita, mettere musica nei clubs techno
e nelle feste squat, accompagnare le
basi con la sua voce soft e nel frattempo
prendere contatti con coloro che presto
diventeranno i suoi amici e forse anche
collaboratori. Questo disco è frutto del
suo spostamento dalla pacifica isola
australiana all’incasinatissima Berlino,
delle passeggiate nelle lunghe vie oscure
e periferiche, dei tanti diversi personaggi
che ha incontrato nella vita e di cui
ha ascoltato storie e sensazioni, di una
passione forte e innata per la musica.
Questo disco, dolce ed elettronico,
chitarra acustica e pacemaker di
seconda mano, matite e righelli, è
un insieme di contraddizioni che si
conciliano perfettamente come già il
titolo preannuncia . Soft Rock, tredici
brani, sperimentazione pura è il primo
lavoro di Justine Electra, una ragazza che
ha già osservato ascoltato visto e vissuto
tanto e intensamente.
Valentina Cataldo
KeepCool
19
Pentatonik
The Five Angels
Dukebox / Goodfellas
Elettronica / *****
Un disco semplicemente
e sorprendentemente
meraviglioso, da avere;
e potrei fermarmi qui.
The Five Angels dei
Pentatonik
contiente
dieci
tracce
che
passeggiano
tra
elettro-pop, ambient, glitches, idm,
synth-pop e post rock. Quasi tutte le
tracce catturano dal primo ascolto; tra le
migliori The Remembrance of You Touch
e Credo, dove sembra di ascoltare le più
suggestive ambientazioni di un disco di B.
Fleischmann o Urlich Schnauss, stupendo
anche l’electro/synth-pop arricchito da
glitches occasionali in Cassiopeia. Una
affascinante e spiazzante esplosione
post-rock di otto minuti in Zeitgeist ti fa
domandare se quello che stai ascoltando
è lo stesso disco di Cassiopeia. Una varietà
di idee e generi mescolate in dieci tracce,
senza per questo farne uscire un pasticcio,
generi che si compenetrano nello stesso
brano: batterie reali, glitch, chitarre
elettriche distorte e synth intrecciati
tra di loro a fare uscire paesaggi sonori
inaspettati. Un disco sorprendente.
Federico Baglivi
Contriva
Separate Chambers
Morr Music / Promorama
Elettronica / ***
Nella grande famiglia
Morr le collaborazioni
e gli intrecci di gruppi
si sprecano; con i
Contriva ci troviamo di
fronte a membri che
sono o sono stati in band
come Komeit, Notwist, Mina, Lali Puna;
L’ultima release Separate Chambers
conferma in pieno le nuove scelte Morr
in merito alle produzioni, uno solo è
l’elemento profondamente rilevante:
l’elettronica è ormai quasi impercettibile;
probabilmente Thomas Morr prima del
2003 non avrebbe mai prodotto un disco
del genere. Ma ovviamente tutto cambia
e tutto si evolve, le chitarre acustiche
Subtle
For Hero:For Fool
Lex
Hip-pop / **1/2
+
Kill the vultures
Careless Flame
Jib Door
Avant hip-hop / ****
+
Fat Jon &
Styrofoam
The Same Channel
Morr Music
Elettronica-rap / ***
Ecco tre nuove uscite di out-hip-hop, tutte innovative ma ben
distinte tra di loro. Partiamo dal ritorno dell’astuta formazione
guidata dall’ex-Clouddead Doseone. Mantengono la loro
vena eclettica, e la loro tendenza a stracaricare le canzoni di
idee, divagazioni, sperimentazioni, e l’hip hop ormai sembra
ormai lontano (semmai fu vicino). Non che sia sparito del
tutto, la rap-poetry rimane ancora il loro indubbio punto di
partenza, ma di certo si sono allontanati un bel po’ dal cortile
di casa. La vera novità rispetto al vecchio progetto, anch’esso
fuori dagli schemi, sta forse però nell’attitudine, da cupa a
solare, dei musicisti. Le loro ispirazioni visionarie attingono ora
dal black, funk, soul, dance, folk, rock, digital-pop, facendo
davvero un allegro imbroglio. A volte riuscito e a volte no,
dettano legge ed ecco che anche la
Morr ha il suo gruppo alla Belle&Sebastian
un po’ più post-rock e un po’ meno folk.
Undici tracce di intrecci di chitarre, basso
e batteria, con tratti elettronici ridotti
all’osso. In definitiva l’idea Morr di portare
avanti il nuovo discorso dell’evoluzione
dei glitches, intrecciati agli strumenti
canonici, sta portando sempre più
spesso alla produzione di album che
strizzano l’occhio al post-rock. Separate
Chambers non è disco mediocre, anche
se per i puristi del glitches, se ancora ce
ne sono, probabilmente lo è, tuttavia non
sembra essere neanche un disco capace
di lasciare un segno al suo passaggio.
Federico Baglivi
Guido Premuda - Gilberto
Grillini - Alessandro Dalla
Blues Explorations
Silta Records
Modern Blues / ****½
Alla domanda “cosa è il blues?” si
risponde in molti modi: “il blues è un
genere musicale; è uno stato d’animo;
è il linguaggio di un popolo sottomesso;
devo dire. Probabile che dal vivo sappiano rendere più
coinvolgente l’esecuzione dei loro pezzi ma il disco pecca
di incontrollata eccentricità e straripante barocchismo,
come se, partiti tutti insieme per un bel viaggetto, a poco a
poco i musicisti ti lasciano indietro trascinati dalle loro fughe
esplorative; al che tu, stanco di stargli dietro, decidi di metterti
a fare qualcos’altro e non li stai più a sentire.
Tornano anche gli incredibili Kill the vultures di Minneapolis,
che con questo secondo album si confermano essere la
cosa più eccitante in ambito avant hip-hop, con le loro
claustrofobiche battute metalliche e campionamenti di
crudo blues e jazz noir dei sobborghi sparati da dj Anatomy.
Le voci dei tre Mc, in particolare quella gonfia e minacciosa di
Nomi, contribuiscono come sempre a mantenere in tensione
l’ascoltatore per tutta la durata del disco. Se proprio vogliamo
trovare qualcosa da ridire è che sostanzialmente il nuovo
album non si distacca di una virgola dal modello imposto nel
precedente, ma, se la formula funziona così bene, perchè
dovrebbe?
Concludiamo con questa collaborazione tra il chitarrista /
laptop producer belga Styrofoam (all’anagrafe Arne van
Petegem) e il dj rapper nero Fat Jon, di Cincinnati. I due si
sono incontrati nel 2001 ad un workshop ad Anversa. Da lì
amicizia e rispetto hanno dato il via al processo che ha
portato alla realizzazione di questo disco di interessante
contaminazione tra glitchs e beats, chitarre acustiche e triphop, con inaspettate tendenze retrò-futuristiche. Uno strano
mix di melanconia digitale, dub, downtempo, monologhi
hip hop e spunti funkeggianti con l’inserimento di qualche
ipotetica hits (“the Middle”). Una buona riuscita che allarga
gli orizzonti del catalogo Morr Music.
Gennaro Azzollini
KeepCool
20
AA. VV.
Rogues Gallery: Pirate Ballads, Sea
Songs & Chanteys
Anti/Epitaph
Ballate piratesche / ****
Non era un progetto di facile realizzazione.
Nelle mani di chiunque altro si sarebbe
trasformato certamente in un guazzabuglio
poco appagante per l’ascoltatore. Invece
questo Rogue’s Gallery, due cd per un totale
di 43 pezzi, centra appieno l’obiettivo. Il merito
naturalmente è di quel geniaccio di Hal Willner,
già direttore d’orchestra di tributi di valore assoluto quali quelli
realizzati per Charles Mingus, Kurt Weill, Thelonious Monk,
Edgard Allan Poe, il nostro Fellini, e via dicendo. E il rischio che
qualcun altro mettesse le mani su queste “ballate piratesche,
canzoni di mare e canti di marinai” c’era tutto, visto che
l’idea primigenia pare sia venuta a Johnny Depp e Gore
Verbinski, rispettivamente attore e regista della fortunata
è molto altro ancora”. Ma, volendo
riassumere, si potrebbe dire che il blues
è quella carica melodica che riesce a
dir tanto ma che sottintende ancora di
più. Esplorare il blues, allora, significa - tra
le altre cose - sviscerare quel potenziale
melodico. Vuol dire riprendere alcune
delle mille permutazioni di uno stile e
proporre nuove riletture di una simbologia
sempre viva. Indagando, riemergono i
grandi artisti che si sono confrontati con
le varie dimensioni del blues: riappare il
rituale di Better Git It In Your Soul, il feeling
di quel maestro di lirismo che era Miles
Davis, i tanti blues di Ornette Coleman,
padre del free jazz ma in realtà melodista
strepitoso. I tre musicisti impegnati in
Blues Explorations (cui si aggiunge un sax
soprano in alcuni brani) si confrontano
con tutto questo, rivelando un sound
enorme, dove spicca la chitarra di Guido
Premuda: una sintesi di John Scofield
e Mick Goodrick. È soltanto un’altra
divagazione blues, ma di una classe
eccezionale.
Gianpaolo Chiriacò
Paolo Lattanzi Group
Night Dancers
Silta Records
Jazz / ****
Liscio,
ampio,
concentrato ancorché
disinvolto,
ricco
di
colori e suggestioni:
il repertorio di Night
Dancers
offre
una
panoramica completa
di tutte le possibili
variazioni sul tema “linea melodica più
improvvisazione”. Quello di Paolo Lattanzi
è un gruppo giovane (e non si direbbe),
poliglotta, rampante (nel senso buono),
onnivoro. I cinque saltellano come grilli tra
il passo rilassato di Cicerchi’s Wanderlust
e la leggera inquietudine della title track;
tra i poliritmi di In A Dark Room e il mood
cinematografico di When It Doesn’t
Matter. Stimoli motori ed emotivi, una
pulsazione incontestabile e costante, un
approccio vigoroso - incisivo ma sempre
disteso - sono le risorse essenziali per una
saga cinematografica ispirata alle gesta del
pirata Jack Sparrow. Passiamo ai contenuti: un
progetto di questo tipo non può che essere
disomogeneo per definizione, ma il modo in cui
i tanti convenuti si avvicinano al materiale è di
alto livello: Bono, Sting, Nick Cave, Stan Ridgway,
Dave Thomas, Brian Ferry, Lou Reed, Jarvis
Cocker, Richard Thompson… Insomma un cast
stellare che in alcuni casi sorprende: immenso
Sting quando interpreta Blood Red Roses,
gigantesco Thomas nella scheggia impazzita di
Dan Dan, elegante Reed contrappuntato dal
suo amico Antony. Naturalmente non tutto è a
questo livello ma il progetto, che non era affatto semplice, non
può che considerarsi riuscito. Aggiungeteci pure il bel artwork
(anche se il booklet è piuttosto avaro di notizie), l’unicità della
proposta e il prezzo contenuto e avrete uno dei progetti più
originali dell’anno. Peccato solo manchi Tom Waits, forse il più
adatto a misurarsi con queste canzoni corsare.
Ilario Galati
formazione che si inserisce tra le proposte
più accattivanti del jazz contemporaneo.
La provenienza variegata dei cinque due italiani, uno spagnolo, un francese e
un russo - garantisce la spontaneità di ogni
intervento. Quando anche l’esperienza
aumenterà, avremo a che fare con un
congegno musicale infallibile.
Gianpaolo Chiriacò
l’utilizzo di compact disc neri simil-dischi
in vinile da entrambe le facce.
Giancarlo “Zanca” Bruno
AA.VV.
La musica per i
Tuareg è necessaria
perché rappresenta l’unica memoria
di un popolo che non ha luoghi dove
conservarla. La musica Tuareg sembra
racchiudere in sé l’origine stessa della
musica, nei suoi ritmi, nei suoi recital
sembra di sentirne l’essenza. Se si fa
attenzione, si scorge, anzi si riconosce in
questo suono il Blues. Una struttura fissa
su cui la musica e le parole cambiano in
continuazione a seconda del particolare
sentire del momento. I Tinariwen sono dei
musicisti combattenti. Tra gli esponenti
della nuova musica africana, insieme ad
artisti come Alì Farka Tourè, Femi Kuti, Afel
Bocoum, oggi hanno deposto le armi
e usano la musica come unico mezzo
per proclamare la propria libertà. Uscito
nel 2004 l’album Amassakoul viene oggi
distribuito in Europa con un dvd (The
Soul Rebel of African Desert). In questo
disco è come se la musica facesse il
giro del mondo per poi tornare a casa.
Da una parte le canzoni della tradizione
africana, dall’altra la strumentazione e
gli stilemi del rock moderno. Una sorta
di eterno ritorno in cui si scopre come
Hendrix, i Rolling Stones, i Doors siano figli
di mamma Africa. Un richiamo all’ordine
e alla semplicità, un invito a riscoprire
l’anima della musica.
Osvaldo Piliego
Sister Bossa Vol. 7
Irma Records
Nova bossa nova / ****
Nel settimo volume
di Sister Bossa quello
che subito si nota
ascoltando il cd e
leggendo i credit è
la differenza fra la
scuola italo-brasiliana
e quella giapponese;
la prima più acustica, ricercata e intima,
la seconda un po’ troppo spesso alla
ricerca di un ritornello da far canticchiare
e condita di suoni elettronici non proprio
all’ultimo grido (vedi la traccia di apertura
Luz do so di Kaleido with I-Dep). I Nova
40 presentano Sim ou nao, un’elegante
traccia con suoni dosati, percussioni non
invadenti… un bel mix tra la storia della
musica brasiliana e la scena attuale; la
selezione ad opera del dj giapponese
Taka Sakano prosegue con I’ve got
the world on a string, uno stupendo
brano arrangiato con raffinatezza, in
cui la cantante giapponese Karen
Aoki (supportata da eccellenti musicisti
italiani) mostra il suo legame con le
melodie jazz più marcatamente bop.
Il pure stile brasiliano, che potremmo
definire old school, di Ithamara Koorax
sottolineato
dall’utilizzo
della
sola
chitarra acustica, percussioni e birimbao
(Côco Perenuê), si alterna alle delicate
sonorità house/lounge di Cris Delanno
che maneggia con cura lo standard
Outra Vez di Jobim (il remix qui proposto
è quello di S-Tone Inc). Un altro bel colpo
per la Irma Records che si conferma una
delle etichette ai vertici della scena easy,
nu-jazz e latin. Il digipack è perfetto per
Tinariwen
The soul rebel of
african desert
Ponderosa
World / ****
Dan Sartain
Join Dan Sartain
one little indian
Rock / ***½
A meno di un anno
dall’esordio con il riuscito
Dan Sartain vs The Serpientes, questo
outlaw dell’Alabama ritorna con un nuovo
KeepCool
lavoro che lo vede ancora protagonista
di un rock’n’roll poco mediato e senza
fronzoli, che farà la gioia degli amanti di
certa american music. Join Dan Sartain
è un lavoro meno sorprendente ma
più variegato del suo predecessore: il
ragazzo è cresciuto non poco e mostra
uno spettro compositivo più vario e più
attento ai particolari. Le danze si aprono
con Drama Queens, piccola memorabilia
punk-roots: un minuto e mezzo di urgenza
e spontaneismo che lasciano pochi
dubbi circa le capacità interpretative del
nostro, che però è in grado di assumere
con scioltezza anche altri ruoli. Quello
del crooner acustico à la Neil Young, e
The World is Gonna Break Your Heart ne
è un ottimo esempio. Ma anche quello
del compositore meticcio che flirta
con i suoni della frontiera pensando
a Ennio Morricone e all’epopea del
west anche se, a dire il vero, non sono
sempre rose e fiori: ad una epocale
Flight for The Finch, con tanto di ottoni
mariachi e chitarra assassina, si passa
alla stereotipata Totem Pole. Nonostante
alcune piccole cadute, Join Dan Sartain
è un disco complessivamente riuscito,
che regala, ascolto dopo ascolto, certe
vibrazioni molto gradite. Rispetto al
precedente viene naturalmente meno
l’effetto sorpresa, ma il livello medio delle
composizioni è onesto e conferma Dan
quale uno dei più interessanti interpreti
dell’ultima stagione.
Ilario Galati
Magnolia Electric Co.
Fading Trails
Secretly Canadian
Blues-folk / ***
Ammettiamolo,
da
quando Molina ha
dato vita a questo
suo progetto elettrico
di blues-folk revival,
di
neilyoungiana
memoria,
l’unico
album
decisamente
riuscito (ma anche di più, una vera
bomba) è quello live, Trials and errors.
Il resto sarebbe scorretto dire che sia
scarso, ma la decisione di dare la
precedenza alla ruvidità delle chitarre
invece che alla liricità del suo cantato
aveva spiazzato un po’ tutti, e di certo
le canzoni mancavano di spessore, forse
anche a causa di una produzione poco
azzeccata che rendeva tutto troppo
piatto e lineare (cosa che appunto non
avviene nel live). Con questo nuovo
album, che esce in contemporanea
con un suo lavoro solista, Molina sembra
cercare una via di mezzo: rimane
l’impostazione di band (in brani come
Montgomery e Lonesome Valley), ma
sono le ballate (Memphis Moon, Talk To
Me Devil, Again), e i momenti di scarno
cantautorato (il piano di The Old Horizon
e le conclusive Spanish Moon Fall & Rise e
Steady Now) a prevalere, e gli stessi brani
più tirati (come l’iniziale Don’t Fade On
Me) rimandano chiaramente ai momenti
più concitati dei suoi primi album quasi
che i Magnolia electric co volessero
imitare i songs:ohia. Ci si potrebbe
21
Nebula
Apollo
Liquor and Poker/Goodfellas
Fuzz rock / ****
Gli alfieri del fuzz rock sono come la ruggine, non
dormono mai, e dopo averci regalato album di
straordinaria intensità – To the Center e Charged
su tutti – tornano ora con un disco che ci svela una
band davvero in stato di grazia. Apollo è il quarto
album ufficiale (senza contare il gran numero di
EP e split) che la band californiana, nata da una
costola dei Fu Manchu, ha realizzato in quasi dieci
anni di frenetica attività. Di pochi gruppi, credo, si possa dire che siano andati in
crescendo, album dopo album, come i Nebula, capaci di ritagliarsi fin dagli esordi
un forte seguito fra gli appassionati di stoner e di un certo heavy rock, grazie ad una
proposta capace di flirtare con la psichedelia più classica, come con il rock’n’roll
più selvaggio e aggressivo. Apollo, però, è il classico disco che rischia di essere
sottovalutato proprio perché sommerso da un mare di robaccia commerciale e
momentaneamente “cool”: un ascolto veloce, un buon giudizio affrettato e via!
E invece no! Perché questo è un disco meraviglioso, intelligente, aperto. Forse la
cosa più coraggiosa che abbiano fatto i Nebula: mantenere intatta l’originaria
anima dello space-rock fondendola con punk e hard rock. Scusate se è poco!
Camillo “RADI@zioni” Fasulo
addirittura domandare a questo punto il
senso della permanenza di due progetti
se sostanzialmente rimangono invariati gli
stili compositivi. Ad ogni modo, l’album
più riuscito con questa ragione sociale.
Gennaro Azzollini
Daemonia
Dario Argento tribute/Live in Los
Angeles
Deep Red/Self
Horror-metal/****
I Daemonia per i più
possono rappresentare
una sorpresa o un nome
mai sentito, infatti sono
una band di recente
formazione che gode
di un vasto seguito negli
U.S.A ed in estremo
Oriente. La sorpresa è che i Daemonia
non sono altro che la reincarnazione
moderna ed heavy-metal, ad opera di
Claudio Simonetti, di quello che fu un
grande progetto musicale italiano degli
anni Settanta, i Goblin, gruppo che tanto
ha dato con le proprie oscure fantasie
musicali al cinema horror italiano ed in
particolare alle opere di Dario Argento.
Simonetti con l’aiuto di altri tre musicisti,
provenienti dal mondo metal italiano,
ha riletto e rielaborato in chiave metal,
i grandi classici musicali dei film horror,
dei quali per la maggior parte egli fu
uno dei compositori. Live in Los Angeles
rappresenta la registrazione, su DVD, del
concerto tenuto dalla band al Prog-West
Festival in California. La scaletta dei brani
eseguiti è di altissimo spessore, basta
pensare a titoli come: L’alba dei morti
viventi, Demoni, Hallowen, Inferno Matter
Tenebrarum e l’intramontabile e stupenda
Profondo rosso, che in versione heavy
risulta ancora più agghiacciante. Per chi
ama queste sonorità il box è un acquisto
obbligatorio. La visione e l’ascolto di
questo gioiellino musicale, ci consente di
godere di parte di quella esperienza unica
che fu la creatura Goblin e ci consente
di viaggiare attraverso suggestioni, disagi
ed all’allucinazioni notturne a contatto
con mostruose e spaventose entità
evocate dalla musica; insomma un vero
e proprio incubo sonoro.
Nicola Pace
Ministri
I soldi son finiti
OtoRecords-Maninalto/Venus
Rock / ***
Non
è
sicuramente
n o r m a l e
comprare
un
cd e trovare,
appiccicato
sulla copertina,
un
euro
da
spendere
e
spandere
a
piacere,
o
da
regalare
a qualche musicista di strada. È la
provocazione de I soldi sono finiti cd
di esordio dei Ministri che sentenzia il
de profundis del mercato discografico
italiano. Nel libretto c’è infatti una
“ironica” rendicontazione completa
dei costi di produzione del cd dalla
preproduzione alla registrazione in sala,
dall’ufficio stampa alla grafica, dalla
stampa alla promozione con tutte le
possibilità di risparmiare e gestire al meglio
le risorse a disposizione. Un business plan
per far vedere quanto costa la musica.
Ma sotto la provocazione c’è ben altro.
Il trio, composto Federico Dragogna
(chitarra-cori), Davide Autelitano (bassovoce) e Michele Esposito (batteria),
propone infatti puro rock d’impatto e di
qualità con testi grintosi e schietti, come
nella title track dove i Ministri ripetono
“noi non siamo puliti / suoniamo per non
lavorare mai”.
Gazza
KeepCool
22
Hogwash
Half Untruths
Urtovox
Indie / **** ½
Come
suggerisce
il
titolo del disco, sarebbe
una
mezza
falsità
accostare il solo nome
dei Pavement alla band
bergamasca. È come
dire che gli Yuppie
Flu sono solo il corrispettivo italico dei
Grandaddy. Sembra riduttivo e limitante,
ma serve quantomeno a fornire un
punto di partenza dal quale inquadrare
il mondo sonoro degli Hogwash. Riduttivo
perché, oltre ai bei ricami puntocroce
delle chitarre che ricordano tanto
Malkmus e soci (Weak Brother, Crude
ma soprattutto Bikeride), ci sono anche
personali riletture della canzone folk-rock
americana stile Grant Lee Buffalo e Giant
Sand (su tutte la dolce e bellissima Red
Heart Shaped Petal). In canzoni come
Fools Do Pay? e Goodbye Letters poi, non
è difficile riconoscere una certa attitudine
sardonica e cazzona propria di Dinosaur Jr
e Sebadoh. In ordine sparso si avvertono
pure tracce di Wilco, Eels, Gomez, Belle
and Sebastian... tutto elaborato in una
talentuosa e personalissima visione
d’insieme. Tredici deliziose tracce cantate
in inglese che si muovono tra chitarre
al limite del deragliamento e atmosfere
bucoliche a base di organi, mandolini
e flauti pastorali. Un gran bel disco,
ben suonato e ben confezionato (alle
manopole Alberto Ferrari dei Verdena),
che mantiene alta la bandiera dell’indierock tricolore. Mentre metà dei gruppi
succitati arranca. O non esiste più.
Giovanni Ottini
Esa
Tu sei bravo
Funk ya mama / Warner
Hip-hop / ***
Quando esplode un
genere e nuove mode
si fanno avanti spesso
ci si dimentica di chi di
questo genere, almeno
in questo paese, ne
ha gettato le basi. E’
il caso di Esa che a distanza di tre anni
da Tutti gli uomini del presidente (primo
Federico Sirianni
Dal basso dei cieli
UPR – 2006
Folk d’autore / *** ½
“Se togliamo l’uso del cappello, il paragone
non regge”, risponde così Federico Sirianni
quando accostano la sua musica a quella di
Vinicio Capossela. È inutile però negare il forte
richiamo alle sonorità e all’impostazione di una
certa cultura alla quale si rifà lo stesso Capossela
(soprattutto del periodo Ballo di San Vito, tanto
per intenderci) ma Federico Sirianni va oltre. Dal
basso dei cieli, secondo cd del cantautore che si muove tra Genova e Torino, è
un disco che si fa ascoltare con piacevolezza, è un caleidoscopio gigante che
mescola suoni e atmosfere, richiami cinematografici (come nella intro dedicata
a Ennio Morricone) e letterari, Balcani e Italia, Bulgaria e Sud America, blues e
patchanka. Un disco di frontiera, è stato definito, nel quale ci sono molta sostanza
e una forma ricercata. Sirianni riesce a giocare con la lingua, con le rime, con
le metafore, con le assonanze. A quattro anni di distanza dall’esordio di Onde
Calndestine è un piacevole e più consistente ritorno. (pila)
lavoro solista) sforna un nuovo lavoro
che non deluderà gli amanti del rapper.
Molte le collaborazioni degne di nota
(Fish, Tormento, Inoki) in un disco che
sa fondere al punto giusto sonorità
elettroniche, funky e reggae mantenendo
inalterata l’anima inconfondibile dell’mc
calabrese. Ottimi i testi, diretti e vecchio
stile e originale la sequenza dei brani che
alterna pezzi ballabili (Throw your hands
up e Speranza&Amore) a motivi classici
(Lo sapete che, Mai le stesse). Anche le
basi si rivelano azzeccate confermando
sperimentazione e capacità di fondere
campioni e basi suonate in un mix
accattivante e mai banale. Un disco
interessante per un autore esplosivo.
Papa Ciro
Sodastream
Reservations
Homesleep
Folk-pop/****
Nella
musica
dei
Sodastream è come
se una lotta ancestrale
si svolgesse. Da un
lato la luce, dall’altro
l’oscurità. La forza di un
gigante (Pete Cohen)
dalla voce cavernosa
percuote il contrabbasso mentre di
contro un efebo dalla voce angelica
(Karl Smith) accarezza delicato una
chitarra. Un contrasto fisico e sonoro che
in un gioco di luci e ombre finisce per
diventare equilibrio.
Ormai sdoganati dal calderone del
new acoustic movement di cui erano
solo coevi i Sodastream non cambiano
formula perché coerenti a una poetica
che è fuori dal tempo.
Legati da un filo sottile agli anni settanta,
con lo spirito di Nick Drake che aleggia
nei dintorni, i Sodastream riescono a
unire una vena classica, a tratti quasi da
musica da camera, con il folk.
Ma la loro musica è anche di più, è
della stessa materia di cui sono fatti i
sogni, delicata, irraggiungibile, sembra
addirittura non appartenere a questa
terra. Con questo nuovo Reservations,
i Sodastream sembrano addirittura più
introspettivi, minimali nell’orchestrazione,
ma
complessi
degli
intrecci
tra
contrabbasso e chitarra. Il tutto è
semplicemente toccante.
Osvaldo Piliego
Uzeda
Stella
Touch and Go/Wide
noise rock/****
Sono passati ben otto
anni dall’ultimo disco
Different section wires,
KeepCool
una lunga attesa, ma ne è valsa la pena.
Gli Uzeda (from Catania, Sicily) sono
una delle band indie più importanti del
panorama italiano. Ritornano con Stella,
nuovo album, ancora una volta sotto
la produzione di Steve Albini (Big Black,
Rapeman, Shellac,…), confermano la
formula noise che li ha fatti amare dal
pubblico in giro per il mondo. La durata,
abbastanza breve, è di circa 30 minuti
suddivisi in otto tracce. Un consiglio,
se incontrate gli Uzeda non provate
a nominare il “post rock” altrimenti si
incazzano, come affermano loro, questa
è una definizione che significa tutto e
niente. In questo periodo di gestazione
molteplici sono stati i progetti e gli interessi
che la band ha curato e portato avanti,
come il progetto Bellini, a cui partecipano
Giovanna Cacciola (voce) ed Agostino
Tilotta (chitarra). A completare gli Uzeda
ci sono Davide Oliveti e Raffaele Gulisano,
rispettivamente batteria e basso. Stella,
nonostante il nome italiano, è cantato in
lingua inglese, lo stile inoltre è molto vicino
a quello delle bands rock del sud degli
Stati Uniti. Questo gruppo deve essere un
orgoglio per l’Italia e quest’album, ricco
di energia, tensione, schizofrenia, è una
prova di altissima qualità.
Livio Polini
Squarepusher
Hello Everything
Warp/Self
Indietronica/***1/2
Tom
Jenkinson,
conosciuto al pubblico
come
Squarepusher,
grande
maestro
dell’indietronica e della
ricerca nu jazz, nonché
bassista di buon livello,
dopo un ottimo disco come Ultravisor,
ampiamente apprezzato sia dai fans che
dalla critica, torna in questa occasione
con Hello Everything, ci regala così un
altro gioiello di rara ed infinita bellezza.
Dodici tracce per il decimo album,
estroso e stravagante, entusiasmante
ed affascinante, tendenzialmente più
melodico rispetto al passato. Miscugli
jazz, blues, sogni acidi, manifestazioni
eleganti di stile classico si scontrano con
l’interferenza ed il disordine, il disequilibrio
della modernità, abili esercizi elettronici,
23
padronanza nel basso, sperimentazione,
drum machine tarata con arte e
sapienza, presenza di alcuni ricordi
stilistici del passato, citazioni breakbeat,
ma soprattutto voglia di acustico, una
tendenza che ultimamente sembra sia
tornata di moda. La contaminazione
musicale, sono molti gli artisti che provano
ad esporsi in questo senso, spesso, però,
con risultati modesti, pochi raggiungono
invidiabili livelli come quelli ottenuti da
Jenkinson, un esempio per molti, unico
nel modo totalmente personale di creare
scenari incantevoli ed immaginari.
Livio Polini
Poppy’s portrait
Room ep
Polyester 2006
Rock / ***
A continuazione e quasi conclusione
di un ciclo, iniziato col non distante afish, esce adesso room ep. Mezz’ora di
musica per quattro lunghi pezzi, per lo
più strumentali, sulla scia del precedente
lavoro, stessi effetti distorsioni atmosfere,
stessa grafica ma soprattutto stessa
intensità. Il figlio di Giorgio, il chitarrista,
è nato mentre questo disco prendeva
forma e la stanza 408 non è buttata
lì a caso tra i titoli... Il primo pezzo, così
come l’ultimo, è suddiviso in tre atti, titoli
e sottotitoli in contrapposizione, quasi a
costituire quello che può sembrare un
concept album. Una carica emotiva
forte esplode nei suoni, che variano
tanto anche all’interno dello stesso
brano. I nove minuti iniziali - tutti di Room
308 - spaziano tra sonorità confuse (che
richiamano quelle del primo album) e
chitarre più pulite, grida caotiche e versi
ripetuti, nella conclusione l’esplosione
vera e propria, e chi ha assistito a un
live della band sa bene cosa intendo.
Secondo e terzo pezzo sono cantati,
a recuperare un formato-canzone
più canonico (e neanche troppo). A
chiudere altri tredici minuti, toccanti, di
Luce e vento. Un probabile futuro più
“rock” e meno “psichedelico” si prospetta
- secondo indiscrezioni - per il gruppo che
da poco ha cambiato formazione. Per
ora, goodbye Poppy’s, a presto.
Valentina Cataldo
The Blow
Paper Television
Tomlab/Wide
Indiepop/***1/2
Giudicare Paper Television non è cosa semplice.
Da un lato si potrebbe dire non è nulla di nuovo,
assomiglia a qualcosa che hai già sentito, non
lo so, sarà che ascoltiamo sempre tanta roba.
Dall’altro qualcuno mi dovrà spiegare perchè
diventa una fatica enorme lasciare quel disco lì, a
due passi, riposto nella sua custodia. Queste tracks
sono altamente contagiose e rimangono (anche
contro la propria volontà) bloccate nel cervello. Il lavoro svolto da Khaela Macirich
e Jona Bechtolt (in arte The Blow) è di buon livello, il suono fresco e coinvolgente,
una bella formula per un gustoso alternative pop, una splendida voce femminile,
inserimenti electro, qualche groove che rianimerebbe proprio chiunque, anche
i più pigri, quelli che lasciano la forma del proprio corpo sul divano davanti la tv
modello Homer Simpson, quelli che hanno i calli nelle mani e non perché lavorano
in campagna, e neanche per colpa della masturbazione, ma per tornei infiniti
di calcio alla Playstation. Il gioco è fatto, una splendida scatola cinese dove
all’interno del primo pacco ne trovi un altro e poi un altro e un altro ancora, fino a
scorrere tutto il disco ed arrivare alla fine, e anche se nell’ultima scatola non c’è
niente di particolarmente sorprendente, richiudi tutto e come stregato ricominci
daccapo.
Livio Polini
KeepCool
24
Gianmaria Testa
Da questa parte del mare
Radio Fandando/Edizioni Fuorivia
Poesia Italiana / ****
Sicuramente il cantautore piemontese Gianmaria Testa è uno dei migliori interpreti della musica d’autore
italiana degli ultimi anni. Purtroppo il cantautore piemontese Gianmaria Testa è meno conosciuto, per
vari motivi, rispetto a suoi (anche meno illustri) colleghi. Da questa parte del mare, uscito per Radio
Fandando ed Edizioni Fuorivia e distribuito da Edel, è il suo sesto album. Conosciuto per molto tempo
più in Francia (utilizzato come “colonna sonora” di un suo romanzo dallo scrittore marsigliese JeanClaude Izzo, quando ancora i due non si conoscevano) che in Italia, Testa ha infilato una serie di ottimi
lavori partendo da Montgolfières e passando per Extra-Muros, Lampo, Il Valzer di un giorno e Altre Latitudini.
Da questa parte del mare è un concept album (come si diceva un tempo) interamente dedicato alla migrazione. Una profonda
riflessione fatta da un uomo sensibile che si trovò, per caso, ad assistere ad uno sbarco da questa parte dell’Adriatico. Un
evento difficile da metabolizzare che ha portato dopo più di un decennio alla stesura di tutti i brani che, tra poesia e immagini
bellissime, raccontano la decisione di andare, il viaggio, l’arrivo, la disumanità di una vita difficile. Gianmaria Testa sa che il
nostro è un punto di osservazione privilegiato ma non dimenticata di quando eravamo noi a partire. E lo fa con due brani. Il
primo è Ritals, dedicato proprio a Jean-Claude Izzo, figlio “francese” di un emigrato salernitano, un “rital”, come i francesi degli
anni ’50 chiamavano gli italiani andati in Francia per cercare lavoro, e scomparso pochi anni fa. Il secondo è un brano del 1927
(firmtato Bixio-Cherubini) e si intitola Miniera.
Prodotto da Paola Farinetti per Produzioni Fuorivia, Da questa parte del mare ha la direzione artistica di Greg Cohen ed è
suonato da Gabriele Mirabassi, Paolo Fresu, Enzo Pietropaoli, Piero Ponzo, Claudio Dadone, Philippe Garcia, Luciano Biondini
e Bill Frisell. Testa si è esibito in Italia, Francia, Canada, Austria, Germania, Svizzera, Belgio, Olanda e Stati Uniti (nel 2005 ha
suonato a New York, Los Angeles, Chicago e Cleveland dove ha riscontrato un grande e inaspettato successo di pubblico) e
nel suo nuovo tour toccherà anche la Puglia. Giovedì 21 dicembre sarà a Lecce mentre venerdì 22 chiuderà gli appuntamenti
autunnali a Bari. (pila)
L’Amara Terra Mia
dei Radiodervish
Da pochi giorni è uscito il nuovo lavoro discografico dei
Radiodervish, gruppo italo palestinese composto da Nabil
Salameh e Michele Lobaccaro. Si tratta di un doppio (cd e
dvd) che racconta l’ultima avventura del duo a metà strada
tra musica e parole. Amara Terra mia è infatti un fortunato
spettacolo (prodotto da Antonio Princigalli) che narra di terre,
viaggi, partenze e approdi nel quale alcune delle canzoni più
note dei Radiodervish si intrecciano con i testi letti da Giuseppe
Battiston. Parole e musiche che raccontano i legami tra Oriente
e Occidente, la precaria mobilità e la fragilità di essere umani in
costante movimento, non soltanto fisico e corporeo, ma anche
psichico e intellettuale. Il cd, che si apre con le versioni inedite,
cantate in italiano e arabo, di due canzoni di Domenico
Modugno (Amara terra mia e Tu si na cosa grande), contiene
la registrazione dal vivo dello spettacolo. Il dvd offre invece il
video clip della title track diretto da Franco Battiato e girato tra
Melpignano e il porto di Otranto e Gramsci e l’hashish, quinto
atto dello spettacolo.
Dove nasce l’idea dello spettacolo?
Lo spettacolo ha avuto una evoluzione molto lenta. L’idea di
base è partita da un desiderio di accostare la letteratura alla
musica. Nella nostre intenzioni c’era la convivenza tra i nostri
brani e i testi letterari che più ci avevano ispirato. Ad un certo
punto, grazie alla collaborazione con Giuseppe Battiston,
siamo giunti alla piena maturità e abbiamo cercato di dare
una struttura di spettacolo a questa intuizione.
Che testi avete usato?
La nostra idea è stata quella di accostare i testi della migrazione
- nel senso di partenza e approdo fisico e psichico – a brani
musicali. Tra i testi c’è il reportage Io, vittima del Cpt della
giornalista francese Giovanna Boursier al quale abbiamo
affiancato Amara terra mia. Si tratta di una nostra rilettura
del grande Domenico Modugno, figlio di una Puglia che lega
questa sponda del Mediterraneo con l’altra. A parte la bellezza
indiscussa delle sue canzoni secondo noi non viene spesso
valorizzato al punto giusto il suo respiro mediterraneo. Modugno
è stato un autore ribelle che ha accostato diversi dialetti
cantando in napoletano e sentendosi siciliano pur essendo
assolutamente pugliese.
Un intreccio di lingue e sonorità che è proprio dei
Radiodervish.
All’inizio venivamo etichettati come un gruppo italo palestinese
ma la definizione credo sia molto più semplice. Noi siamo un
gruppo dell’Italia di oggi, siamo il mosaico che rispecchia
questa società multiculturale che è si evoluta che produce,
crea, lavora.
Questo cd segna anche il passaggio ad una nuova etichetta
Dopo anni bellissimi con Il Manifesto siamo approdati alla Radio
Fandango di Domenico Procacci. Un punto di trasformazione
importante per la produzione e per la distribuzione. Attualmente
stiamo già lavorando materialmente al prossimo cd che
dovrebbe uscire in primavera. (pila)
KeepCool
La favola
del raGaZZo
con la voce
di un anGelo
Intervista a Ramona Cordova
Il poco più che ventenne Ramon ha preso
il nome d’arte dalla nonna. Il suo disco è
come una fiaba: la storia di un ragazzo su
un’isola che si innamora di una ragazza
gitana dopo aver bevuto una pozione. Il
ragazzo alla fine verrà abbandonato ma
sarà finalmente libero. Il suo primo album
The Boy who floated freely ha sbancato
prima in America, poi ha conquistato
la Francia ed ora esce in Italia con
Sleepingstar/Goodfellas.
La tua vita sembra un favola e anche il
tuo esordio discografico ha un che di
magico. Dopo tanto peregrinare in giro
per il mondo eccoti finalmente in Italia.
Parlaci un po’ di questo lungo anno di
concerti e di successi.
È stato veramente irreale. Non mi sarei mai
aspettato che questa musica mi avrebbe
portato in giro per il mondo, e che piacesse
così tanto alle persone. Sono stato in così
tanti paesi e ho anche conosciuto un
sacco di persone fantastiche.
In te, nelle tue origini, si incontra il mondo
(ndr Ramon è di origine spagnola e
portoricana da parte del padre e haitiana
e delle filippine da parte della madre).
Anche la tua musica sembra la fusione di
moltissime cose. Da cosa ti senti ispirato?
Certo, la vita mi ispira. Penso che tutto
nella mia vita sembra terminare quando
alla fine esce fuori dalla mia musica. La
mia famiglia, i miei amori, le mie esperienze
e nuove cose che ho imparato, visto e
sentito.
Dietro The Boy who floated freely c’è una
storia, il disco è una sorta di concept, ce
lo racconti.
Bene, era un’idea che avevo… di
raccontare una storia attraverso la mia
musica ed usarla come elemento di
stimolo per l’immaginazione visiva e di
coesione. Ho sentito un sacco di concept
album e non ho mai potuto vedere la
storia, nemmeno attraverso le parole,
non vedo nessuna connessione o altro. Io
volevo costruire una storia che sembrasse
anche una vecchia favola.
La tua voce è incredibile, da dove viene?
Come l’hai scoperta?
Io ho sempre avuto la mia voce, perciò
non mi sembra così strano. Sono stato
sempre capace di cantare in tonalità
alte. Ma penso che sia stato solo
recentemente, mentre scrivevo questo
album, che ho scoperto come usare la
mia voce in questo modo particolare.
Volevo che suonasse come Snow White
(bianca neve), e così ho provato.
Il tuo nome è spesso associato a quello
di Anthony and the Johnsons, Devendra
Banhart. Cosa pensi di questi di questi
artisti? Credi ci siano delle vicinanze nel
vostro modo di fare musica?
Sento sempre queste associazioni. Ho
avuto la possibilità di ascoltare solo un
paio di canzoni di Anthony and the
Johnsons. Credo che posso vedere la
similitudine. (da quello che ho sentito la
musica di Anthony sembra veramente
genuina a toccante). Non vedo la
vicinanza con Devendra, solo il fatto
che ogni tanto entrambi cantiamo con
la voce tremolante e qualche volta
suoniamo da soli con la chitarra in
concerto. Ho avuto difficoltà ad entrare
nella sua musica.
Quali artisti ti hanno influenzato nel tuo
percorso musicale? Che tipo di musica
ascolti ora?
Sono partito con Huey lewis and the
news (quegli di The power of love di
Ritorno al futuro). Mio padre ascoltava un
sacco Julio Iglesias, Bob Dylan, I Beatles,
Josè Feliciano, Gipsy kings e Simon and
garfunkel. In questi giorni ho ascoltato
molto gli album bollywood di Asha Bhosle
e quelli etiopici di Thaloun Gèssèssè. Mi
piacciono molto the rachel’s e anche i
libri.
Come definiresti la tua musica?
Penso che la dovresti classificare
nello stesso modo in cui classifichi Cat
Stevens. Più o meno proprio come un
tipo che canta canzoni con una chitarra
acustica.
Osvaldo Piliego
KeepCool
26
Marti
Unmade Beds
Green fog records/Venus
Rock / ***
LettiIntervistasfatti
Marti è l’alter-ego di
Andrea Bruschi, attore
genovese con la passione
per la musica, che coltiva
da svariati anni e che solo
adesso esce allo scoperto.
Unmade Beds è un disco
dalle tinte forti, figlio di
molte figure chiave della
wave e del dark. Echi di
Tindersticks e Nick Cave in
questa prima prova che sorprende per
una produzione molto curata (opera di
Paolo Benvegnù) e per la maturità della
scrittura. Andrea Bruschi ci racconta
questo Unmade Beds, pubblicato
dall’etichetta Green Fog Records.
Facciamo un po’ di storia. Come e
quando nasce Marti?
Il progetto è nato per una esigenza
esistenziale che aveva bisogno di assumere
la forma di canzone. La band nasce nel
2001 e i componenti sono sia toscani che
liguri, senza contare che abbiamo avuto
ospiti nel disco dei musicisti ungheresi.
Marti è il mio pseudonimo: io immagino
questo personaggio come un supereroe
che invece di andare a salvare l’umanità
canta le sue canzoni dark-wave. L’idea
di base della band e quella di tirar
fuori un mondo dalle sonorità che sono
legate alla musica che ho ascoltato per
vent’anni e con la quale sono cresciuto,
soprattutto britannica e tedesca.
Ma in realtà immagino ci sia qualcos’altro.
Nello scatto di copertina appari molto
ossuto e inquietante… sembri Nick Cave!
Beh, c’è naturalmente anche lui insieme
a Bowie, Johnny Cash, Martin Gore, ma
anche la musica di Kurt Weill. Sono la mia
fonte di ispirazione continua e anche la
ragione che mi ha fatto alzare dal letto
la mattina. L’idea principale era quella di
creare una commistione tra un classico
set up rock e una piccola orchestra,
infatti nel disco c’è spazio per l’oboe,
la fisarmonica, e dal vivo
abbiamo una sezione di
sax. Volevamo riprodurre un
certo sound con strumenti
veri, a prescindere dai
sintetizzatori, anche se
naturalmente li abbiamo
usati.
E la musica italiana? Anche
nella
nostra
canzone
d’autore abbiamo illustri
esempi di musica oscura…
Certo, basti pensare a De Andrè che
rileggeva Leonard Cohen. In generale
sono molto legato alla musica della mia
Genova.
Ma ci vivi ancora?
Vivo tra Genova e Roma e negli ultimi
anni ho avuto una esperienza negli Usa.
Genova resta il mio punto di riferimento e
la base del mio viaggio.
Che mi dici dell’altra attività che svolgi,
quella di attore?
Ho appena fatto un film sull’assassinio di
Guido Rossa per mano delle B.R. diretto
da Giuseppe Ferrara, il regista de Il
Caso Moro, I Banchieri di Dio e altri film
politici…
…film dell’impegno civile, di quelli
che non si fanno più. Del resto, morto
Volontè…
…e già, anche se sono riuscito a lavorare
in alcune produzioni di questo tipo come
Il Partigiano Johnny.
Domanda obbligata. Che differenza c’è
tra il recitare e lo scrivere canzoni?
La libertà e la liricità che raggiungi nello
scrivere e nel cantare canzoni non puoi
paragonarla alla recitazione. Forse solo
il teatro può dare emozioni simili ma la
musica supera tutto.
Non temi che qualcuno possa considerare
questa tua attività di musicista come una
attività secondaria?
Ma no, chi se ne frega. Comunque
basta venire a casa mia e vedere la
a Marti
Raffinato
ma
per
certi
versi
revivalista, l’esordio
dei Marti, alterego
dell’attore,
cantante
e
pianista genovese
Andrea
Bruschi,
rappresenta
una
certa
sorpresa
nell’asfittico panorama del rock
italiano. Pubblicato su Green Fog
Records (l’etichetta dei Meganoidi),
questo Unmade Beds è un lavoro
fortemente esterofilo, e non solo
perché l’idioma scelto è quello di
Albione, ma soprattutto perché i
modelli di riferimento e le ispirazioni
provengono tutti da oltre-manica e
da oltre-oceano, non dimenticando
certe esperienze vissute nel vecchio
continente a cavallo tra gli anni
70 e gli 80. Il cd suona che è una
bellezza, merito anche del lavoro di
produzione di Paolo Benvegnù, e farà
la gioia di coloro i quali dalla musica
cercano profondità ed eleganza
formale. Le canzoni si reggono su
buoni spunti melodici (God’s Thick
Gold Wrist Watch, September In The
Rain) con sonorità debitrici tanto ai
Tindersticks quanto ai Roxy Music, ma
a volte il ‘sofisticato ad ogni costo’
prende il sopravvento lasciando così
naufragare alcune buone intuizioni.
Pur non brillando per originalità, questo
Unmade Beds vanta comunque un
lotto di canzoni ben costruite, la cui
forza risiede proprio nella raffinatezza
e nella classe con le quali il gruppo
genovese agghinda i propri brani.
Ilario Galati
quantità enorme di vinili che ho per
fugare ogni dubbio. Io comunque nasco
come musicista, poi ho fatto la scuola di
recitazione e ho cominciato a fare l’attore
perché mi sembrava possibile camparci
ma non ho mai smesso di scrivere canzoni
al mio Fender Rhodes. Certo, mi ha aiutato
molto Paolo Benvegnù che ha prodotto il
disco.
Che tipo di produttore è Paolo?
Anzitutto voglio dire che Paolo come
musicista ha raccolto poco rispetto a
quello che ha seminato e a quello che
vale. Sia con gli Scisma che da solista.
Diciamocelo chiaramente, il suo disco
(Piccoli Fragilissimi Film, ndr) è un disco da
Premio Tenco. Come produttore ha svolto
un ruolo essenziale perché anzitutto mi
ha spronato a incidere Unmade Beds.
Noi siamo amici da dieci anni e il suo
appoggio è stato fondamentale. È stato
un componente aggiunto dei Marti
perché ha capito subito il sound che
volevamo.
Ilario Galati
KeepCool
27
La nuova bossa del Salento
Inter v i s t a a d A g n e s e M a n g a r o
Il suo disco uscirà in primavera con Irma
Records, è salentina ma la sua musica
abbraccia il mondo. Abbiamo parlato
con Agnese Manganaro in attesa di
sentirla cantare. Intanto in radio è in
programmazione il suo primo singolo E
vai via.
Come hai scoperto la musica? E la tua
voce?
È la musica ad aver scoperto me. Perché
ognuno di noi nasce con un proprio
carattere, e allo stesso modo tutti nascono
con una musicalità dentro, che nel tempo,
come il carattere, prende forma. Ma non
c’è un momento esatto… piuttosto dei
ricordi, che mi permettono di collegare
le occasioni importanti della mia crescita
musicale nel tempo. Il tempo mi è stato
amico ed ha fatto il suo percorso intorno
a me e alle mie passioni. Ho scandagliato
le mie potenzialità canore cantando
generi differenti, perché volevo trovare
la mia strada e, quando ho trovato la
mistura giusta, ho iniziato a scrivere le
mie canzoni, avviando la ricerca intorno
alla voce e all’espressione. Ad un certo
punto sono anche stata ammessa al
conservatorio ma, nonostante avessi
buone prospettive da soprano leggero,
gli ho presto preferito un corso di
respirazione ed emissione vocale, che
alla fine si è protratto per più di due anni.
Credevo, infatti, che una ricerca sulle
proprie predisposizioni dovesse partire
dal “fare chiarezza” sui mezzi più adatti
al proprio fine ossia, prima di imparare a
cantare dovevo imparare ad emettere
suoni.
Come mai in una terra votata alla
tradizione le tue influenze sembrano
arrivare addirittura dall’altra parte
dell’oceano, c’è del Salento nella tua
musica?
Mi piace abbracciare altre musiche,
perché da tutte mi sento abbracciata.
La musica ha molti aspetti differenti,
può essere piacevole o spiacevole,
interessante,
divertente
o
noiosa,
comunque la musica non discrimina
chi la ascolta. Allo stesso modo non si
può più parlare di “generi musicali“.
Preferisco piuttosto parlare di influenze,
o di memorie, ossia di quegli elementi
che tutti insieme fondano la piattaforma
su cui un compositore condensa la sua
opera, forse non sempre totalmente
nuova, ma unica, perché il suo bagaglio
di memorie è unico. Credo che la musica
sia un dono troppo grande, anzi credo
che nella musica alberghi l’universo ed io
non voglio perdere l’occasione di sfiorarlo
con un dito. Per questo è importante
scrivere composizioni che continuino
ad allietare le menti, l’udito ed il cuore
dei figli che verranno. Il Salento è vivo
soprattutto nei miei testi che, attraverso i
miei occhi, ne raccontano il sentimento.
Le persone che mi hanno visto crescere,
che incontro, che ammiro, chi mi turba,
chi mi emoziona, le persone vive... dalle
quali sono stata ispirata per la stesura di
questo disco, molte sono della mia terra.
Quindi rispondo: si. C’è il Salento nella
mia musica!
Qual è il tuo ruolo nella stesura dei brani,
chi altro c’è dietro le tue canzoni?
Sono autrice della melodia e del testo
di tutti i brani. Alcuni sono scaturiti dalla
pratica della soglia minima di coscienza,
altri in risposta a stimoli esterni; tutti
comunque per ispirazione. Scrivo per
soddisfare una necessità ingombrante.
Quella di far fluire fuori da me l’insieme
dei pensieri di una vita, dando loro una
forma sonora naturale. Ci sono anche
delle collaborazioni per me importanti,
di musicisti che stimo. Tra i coautori
infatti ci sono, mio fratello Francesco
con cui ho scritto un paio di brani e
Luca Tarantino che ha scritto l’armonia
delle mie melodie. Il singolo E vai via
è stato prodotto da Roberto Vernetti.
Luca Tarantino invece, oltre ad essere il
Produttore Artistico dell’intero album ne
ha curato gli arrangiamenti.
Ci parli un po’ del tuo album?
Amo le melodie dissonanti e, come
accade nella bossa nova, uso contrastare
un testo impegnativo a un ritornello
solare. Per metodo utilizzo il bridge come
variazione dinamica e mi piacciono sia gli
arrangiamenti scarni sia quelli orchestrali,
che scelgo in base al carattere
della canzone. I miei testi parlano di
cose piuttosto umane. Racconto la
quotidianità, le piccole cose che fanno
di ogni giorno un gran giorno, la fragilità
degli sguardi, la consapevolezza dei
complici, la nostalgia dei sorrisi, la gioia
degli incoscienti, la purezza dell’energia
umana, la pienezza del niente, la frivolezza
dell’apparire, l’insensatezza dell’amore e
la libertà del mare. Chi scrive ha il dovere
di non deludere sé stesso prima ancora
che gli altri. Questo pensiero mi ha donato
la pazienza di attendere il momento per
uscire allo scoperto, sino a quando ho
percepito di avere qualcosa da dire. La
ricompensa è nel fatto che il mio lavoro è
impreziosito dalla collaborazione di bravi
musicisti, come Teo Ciavarella (piano),
Luca Tarantino (chitarre), Cristian Lisi
(contrabbasso e basso), Lele Veronesi
(batteria), Roberto Rossi (percussioni)
e tanti altri amici. Ho avuto la fortuna
di registrare buona parte del disco
nell’ottimo Groove Factory di Bologna e
(non meno importante) di farmi coccolare
dalla mia casa discografica. Penso che,
con tanti presupposti favorevoli, possa
ritenermi soddisfatta del mio primo lavoro
discografico.
Osvaldo Piliego
KeepCool
28
SALTO
NELL’INDIE:
fromSCRATCH
Dalla passione di alcuni studenti
fuorisede nasce in Toscana un’etichetta
che promuove musica e non solo.
fromSCRATCH è il nuovo capitolo del
nostro viaggio tra le realtà indipendenti
italiane. Lontana da velleità commerciali
ma con l’unico interesse di inseguire
“nuovi” suoni. Ne abbiamo parlato con
Alez.
Tutto in casa fromSCRATCH ha un che di
artigianale e familiare, ci racconti un po’
della vostra storia?
L’Associazione
fromSCRATCH
nasce
come sede operativa ad Arezzo e
Firenze verso la fine del 2002 con
l’intento di dare maggiore visibilità ad
alcune band organizzando concerti e
mini tour. L’Associazione ad Arezzo ha
anche un suo spazio multimediale per
piccoli concerti, reading, proiezioni e
performance, nonché mostre d’arte
contemporanea organizzate per dare
visibilità a giovani artisti. L’etichetta
è nata quasi come conseguenza
naturale a queste attività, con l’intento
di documentare e promuovere un certo
tipo di musica a noi congeniale. La
prima uscita è stata Inside the whale dei
Miranda, poi, la compilazione Collisioni
in cerchio, con 15 band toscane e non,
My new lifestyle degli Uber, La quinta
essenza della mediocrità dei NEO, Rectal
exploration secondo CD dei Miranda.
Artigianale? Familiare? Aggettivi ben
accetti, grazie; difatti si tratta di una
piccola cerchia di amici che si dividono
i ruoli nel portare avanti la “macchina”,
io, Giuseppe Caputo e Piero Carafa tutti
e tre ex studenti fuori sede, accomunati
dal forte interesse nel metterci in gioco
e realizzare qualcosa di nostro, più altri
amici che ci danno una mano e ci su/
sopportano volentieri.
Dietro fromSCRATCH sembra si nasconda
una filosofia, una linea astratta che lega
le cose e che esce dagli schemi, ce ne
parli?
Abbiamo molta passione per quel che
facciamo; è un’attività che assorbe e
richiede molte energie, ma è una cosa
in cui davvero crediamo. Non considero
il nostro operato “fuori dagli schemi”,
se non forse per i gusti musicali… boh,
di certo non abbiamo velleità da “Mtv
generation”, quello sì. Il lato eccitante di
questa attività è il contatto costante con
persone nuove, quindi nuove esperienze,
curiosità, dubbi, scelte, e il fatto di non
relegare il tutto al solo produrre musica,
ma accompagnarla, affiancarla ad altri
aspetti artistici. Forse è questo particolare
che in qualche modo caratterizza
fromSCRATCH, quella “linea astratta” a
cui ti riferivi.
Quali sono le vostre produzioni al
momento?
È appena uscito uno split Cd Ziu Zau,
la nostra prima (e non ultima, spero)
collaborazione con i pazzi di Madcap
Collective. Si tratta di un cd che vede
accomunato l’estro di due sghembi
folksinger che curiosamente hanno o
stesso nome: Paolo Moretti/LittleBrown
proveniente da Treviso e l’altro Paolo
Moretti/Pentolino’s Orchestra di Firenze.
Tra qualche mese inoltre avremo la
possibilità di far uscire il nuovo EP dei Neo,
trio avant jazz punk, dal titolo Problemi,
dubbi, perplessità. Poi, si è creato un
archivio
“fotografico-artistico”
degli
eventi organizzati (mostre, concerti etc)
grazie all’amico Luigi Gaudioso e una
piccola produzione di DVD con riprese
e montaggi di Massimiliano Bertozzi, che
documentano in modo essenziale alcuni
concerti eseguiti in Associazione (lista
consultabile sul nostro sito).
Ho visto che promuovete iniziative di
incontro, cross over artistici, ce ne parli?
Sì, come dicevo all’inizio, per noi la
produzione di eventi isolati, slegati, è
un po’ limitante, ci piace mischiare le
acque (della serie, complichiamoci di più
la vita) ma è così, ovvero crediamo che
la creatività abbia bisogno dell’apporto
di più esperienze, sempre conformi però
a un’idea di partenza. Il processo di
mettere in gioco più personalità, giovani
artisti, videomaker, musicisti di varia
estrazione, grafici, scrittori e quant’altro,
intorno alla musica o ad altre espressioni,
credo sia la formula più adatta per poter
scoprire nuove interrelazioni e contatti
che diversamente andrebbero dispersi.
Quali sono i vostri progetti in cantiere?
Di idee e progetti ce ne sarebbero molti,
come, registrare il secondo volume delle
“fromSCRATCHsessions”, che consiste
nel far suonare insieme più band,
anche molto diverse tra loro. Inoltre,
ultimamente ci stanno arrivando molte
richieste di co-produzioni e la possibilità
di essere coinvolti in collaborazioni
con altre band o etichette affini non
può che entusiasmarci. Vorremmo
pensare ad una possibile distribuzione
del nostro catalogo ed eventuale
booking all’estero, compatibilmente
con le nostre forze e possibilità. Certo, ci
piacerebbe anche avere più attenzioni
da parte di enti e locali in Toscana che si
occupano di musica e cultura, per poter
organizzare eventi di più ampio respiro e
con maggiore continuità.
Come si può accedere al catalogo
fromSCRATCH?
I nostri cd possono essere ordinati online (magari prima cogliendone qualche
assaggio in mp3), o in qualche negozio
o CSA italiani, oppure c’è la vendita
diretta durante i live delle “nostre” band.
Abbiamo avuto la possibilità di farci
distribuire da Mandai in Belgio, mentre in
Italia è la Goodfellas a distribuire l’ultimo
cd dei Miranda Rectal exploration che
sta avendo particolare attenzione dalla
critica anche con ottime recensioni; (tra
l’altro, proprio in questo periodo la band
è in tour coi newyorkesi Talibam!). Questo
per il momento è ciò che abbiamo
realizzato e che abbiamo in cantiere.
Info: www.fromscratch.it
Osvaldo Piliego
Coolibrì
Narrativa, Noir, Giallo, Italiana, Sperimentale
29
la letteratura secondo coolcub
E poi siamo arrivati alla fine
Joshua Ferris
Neri pozza
****
“Eravamo irritabili e strapagati”. Un
attacco formidabile che raccoglie
insieme la forza, la bellezza e il senso del
romanzo d’esordio di questo giovane
scrittore americano, primo libro della
nuova collana Bloom di Neri Pozza. Una
storia tutta all’interno di un’agenzia
pubblicitaria di Chicago, scritta in prima
persona plurale. Una storia terribilmente
realistica, fatta di simpatie e rancori,
chiacchiere e pregiudizi che scorrono
attraverso le giornate di un gruppo di
colleghi che sanno tutto di tutti: “ogni
pettegolezzo, ogni storia d’amore,
ogni invidia e segreta generosità”. E se,
sulle prime, può sembrare che il ruolo
di ognuno dei protagonisti, racconti
qualcosa del suo carattere, della sua
vita, pagina dopo pagina è evidente
che il lavoro avvolge la vita intera di
Larry, Joe, Marcia, Tom e anche di Lynn,
il capo terribile che sta scarificando la
sua vita per questo lavoro. E di riflesso, gli
scampoli di vita privata vengono riversati
sul lavoro e attraverso il lavoro vengono
risolti. Perché nessuno ci conosce meglio
dei nostri colleghi, nessuno più di loro
ascolta le nostre telefonate private e i
nostri sfoghi pubblici. E quando arrivano
i licenziamenti, anche le storie e i rapporti
personali si slegano e si riallacciano in
modi nuovi, come quando, sull’orlo del
licenziamento, Benny confessa a Jim
di pensare che lui è un idiota: “se gli
avessi detto che non lo era, avrebbe
capito che pensavo il contrario”.
Nemmeno immagina che a breve ci
sarà un imprevisto capovolgimento dei
ruoli. Molto prima di arrivare alla fine,
scopriamo, se già non lo sapessimo, che
è possibile essere un creativo strapagato
e annoiarsi a lavoro. È possibile pensare
di abbandonare tutto per andare in
India, ma solo per dieci minuti: il tempo di
una pausa caffé, poi ognuno torna alla
sua scrivania o tutti insieme in riunione
col capo. “Certi giorni sembravano
più lunghi di altri. Certi giorni duravano
quanto due giorni interi. Purtroppo non
erano mai i giorni del fine settimana. [...]
Ci ritrovavamo a desiderare che il tempo
scorresse più in fretta, cosa che alla lunga
non faceva bene alla salute”. Ma se la
noia traspare in queste pagine, è la noia
collettiva dei protagonisti. E anche se
non mancano i colpi di scena, il racconto
vive soprattutto delle meccaniche che
regolano il malcontento, la competizione
e il successo in un mondo del lavoro
dorato e terribile. (F.T.)
Coolibrì
30
Apocalisse da camera
Andrea Piva
Einaudi
Sceneggiatore dei film Lacapagira e Mio cognato (diretti
dal fratello Alessandro), presente nell’antologia La qualità
dell’aria (minimum fax, 2004), con il racconto Un muro di
televisori, Andrea Piva dà alle stampe il suo romanzo d’esordio,
Apocalisse da camera, edito da Einaudi Stile Libero.
Il protagonista della storia è Ugo Cenci, giovane assistente di
Filosofia del Diritto presso l’Università di Bari, nella vita del quale
donne e sesso sono il centro perenne dei suoi pensieri, avvolti in un maschilismo
devastante. Legato ai genitori da un rapporto malato e contraddittorio, Ugo è
dedito a un uso costante di alcol, tabacco. Da qualche anno porta avanti con
le studentesse più “promettenti” un fiorente mercatino del sesso in cambio del
superamento degli esami. Tutto sembra scorrere nella più assoluta tranquillità
sino a quando il professor Frappelle gli comunica che all’interno dell’Università
cominciano a girare strane voci sul suo conto. È l’inizio dell’intensa giornata nelle
quale il percorso esistenziale di Ugo subisce virate inaspettate tali da costringerlo
a mettere in discussione la sua scala di valori. Piva si dimostra abile nell’alternare
registro comico e tragico, con effetti a tratti grotteschi, grazie ad una scrittura che
si lascia andare ad acrobatici manierismi, dalla quale emergono a chiare lettere
i peggiori vizi di una generazione che sembra aver smarrito la bussola, senza per
questo voler dipingere uno scenario catastrofico, come dimostrato, poi, dalla
chiusura felice.
Rossano Astremo
Un solitario amore
L’eterna notte dei bosconero
C’è un solco profondo
che separa l’esistenza
irrequieta di Beppe
Salvia dalla metodica
e maniacale dedizione
nella produzione di
versi. È proprio da
questa antitesi netta
che nasce l’opera
di uno dei poeti più
singolari del Novecento
italiano, nato a Potenza nel 1954 e morto
a Roma, giovanissimo, il 6 aprile del 1985.
Oggi è possibile leggere tutti i suoi testi
grazie alla pubblicazione di Un solitario
amore, libro edito da Fandango, curato
da Flavia Giacomazzi ed Emanuele
Trevi, autore anche dell’introduzione
al testo. Salvia non è un poeta di facile
lettura. Endecasillabi tortuosi, ricerca di
armonie, di rime, assonanze, consonanze,
enjambement, scontro frontale con la
tradizione lirica italiana. Tutto questo è
la poesia di Beppe Salvia. Accanto a
questo armamentario formale, però, si
accostano squarci di pensiero di assoluta
profondità, versi epifanici dai quali
traspare l’essenza contenutistica della sua
poesia, l’indagine continua e conflittuale
della sua presenza nel “mondo”. I versi
di Salvia sono pura geometria dolente,
costruzioni architettoniche neoclassiche
dalle fondamenta di zucchero filato: un
minimo soffio ne determina il crollo. Fuor
di metafora, ciò che rimane è la fragilità
del poeta, la sua paura di non saper
vivere, il suo ricorrente dialogare con la
morte, il vortice opprimente che s’agita
nello stomaco al pensiero della fine di
tutto. Ciò che rimane è un pugno di versi,
antidoto eterno alla sopraggiunta fine.
Rossano Astremo
L’eterna notte dei Bosconero evidenzia
la verve multiforme di
Flavio Santi, scrittore
mai domo, sempre
alla ricerca di interstizi
creativi nei quali ficcarsi
per poter sperimentare
senza remore. Poeta,
tra i migliori della
sua
generazione,
traduttore, critico e
romanziere,
Santi,
nel suo nuovo libro, sposta la lancetta
del tempo, cavalcando l’onda di una
storia suggestiva e da ultimare, come un
puzzle irrisolto che necessita di definitiva
ricomposizione. 16 marzo 1832. Pochi
giorni prima della sua morte, Goethe è
impegnato nella stesura del suo Diario.
Ultimi giorni. Confessioni, un testo nel
quale lo scrittore fa emergere i ricordi
terrificanti della sua permanenza in Sicilia,
nel lontano 1787. Dieci giorni nei quali il
Male si palesa in tutta la sua liquida
totalità. Una sorta di traccia nascosta
o, meglio, ascoltata al contrario, del
suo Viaggio in Italia, che getterà nuova
luce sulla composizione del Faust.
Una narrazione-matrioska, in cui gli
affabulatori si susseguono, e s’intersecano,
s’aggrovigliano e si compenetrano, tutti a
gettare luce sull’oscura vicenda che vede
protagonista, in una Palermo squamata
e onirica, la famiglia Bosconero, ed in
particolar modo Federigo Bosconero,
pallido individuo colpito da continui
attacchi d’amnesia e narcolessia,
custode di quel “potentato del male”
che tutto divelle e squarcia, affascinando
e turbando un Goethe storditoSanti
abbandona l’ambientazione friulana del
primo romanzo, di certo più consona per
una storia gotica, scagliando il lettore
Beppe Salvia
Fandango
Flavio Santi
Rizzoli
in questa Sicilia mostruosa, dominata
dal sangue, che ricorre iterativamente
nella storia, impestando e disgustando il
lettore, una Sicilia il cui vampirismo può
essere letto come una grande metafora
della mafia e della corruzione.
Rossano Astremo
Cordelia
Nicoletta Vallorani
Dario Flaccovio Editore
Il nuovo romanzo della
scrittrice
milanese
Nicoletta
Vallorani
è un unico, lungo
respiro,
un’apnea
per
un’immersione
letteraria nella testa
della protagonista, la
bambina
Cordelia.
Cordelia ha otto anni,
ma ne dimostra sei. A
detta sua, ma anche della madre e del
pediatra, è una bambina con problemi
di comunicazione, che la rendono un
soggetto difficile. Il nodo fondamentale
della vita di Cordelia, che è anche il
senso che si snoda lungo le pagine,
è la conoscenza. Le parole, infatti,
sono scatole serrate da lucchetti: ogni
lucchetto ha una chiave che sottende
al significato delle parole. Come trovare
la chiave? Per Cordelia esiste una sola
strada: i colori. Ogni persona ha un
colore, secondo un dualismo parallelo
a quella parola-chiave. Finché lei non
troverà il suo colore, non avrà la chiave
per aprire la stanza segreta della
conoscenza. Da qui si dipana l’azione
del romanzo: Cordelia decide un giorno
di non andare a scuola, approfittando
dell’assenza della tata straniera Martha e
della distrazione di una madre assente. In
giro per la città alla ricerca del suo colore,
Cordelia cercherà anche se stessa,
guidata dal suo istinto, dal coraggio e
soprattutto dalla necessità di scoprire fin
dove si spinge il suo patto con il silenzio.
Utilizzando una scrittura infantile eppure
profonda, minima eppure graffiante,
la Vallorani scende nella testa della
protagonista dall’incipit alla conclusione,
generando un’opera apparentemente
facile, dove invece ogni parola ha un
senso oscuro e dove tutti i pensieri di
Cordelia, che costruiscono il racconto,
sono una congerie di dolorose riflessioni
sulle differenze e sul disagio.
Vito Lubelli
Altrestorie
Mirosa Sambati
Besa
La scrittura è catarsi.
Allevia,
accudisce
il sentire, lo indirizza,
da sfogo e costruisce
un orizzonte possibile.
Governa, la scrittura,
capace di domare
il respiro, di chiedere
tregua al divenire
dell’inesausto. Mirosa
Sambati in Altrestorie determina un altro
Coolibrì
sé, lo raffigura nell’inquieto che placa la
sua morsa. “Non vedo uscite: o cambia
modi o me ne vado da qui. Torno alla mia
solitudine. Debbo ringraziare qualcuno?
Non me ne vado invece. Per quel che ho
detto prima. Per questa storia che pare
non significhi nulla e invece a qualcuno
servirà. Qualcosa la scriverò a fare…”.
Racconti, cronache, corrispondenze che
danno respiri al dolore e portano odori,
nomi di fiori e segreti di luoghi, trattenuti
per la paura di perderli. Le Altrestorie sono
pretesti, portano nomi, personaggi reali e
immaginari, piccole vicende di quotidiano
cariche di interrogazioni. Un percorso
d’amore, tutto al femminile. Amore per
la scrittura, passione per la parola che
dà forma e genera e partorisce e invera.
Amore per il lettore chiamato a custodire
una relazione sempre unica, esclusiva,
che traduce palpiti e fa tracce. “Scrivo.
E se mi chiedessero per l’ennesima volta
perché, risponderei con un sorriso o con
un ghigno: perché ho letto”. Narrare è
colmare il vuoto, non aver mai ragione
del tempo. Inseguire la purezza in un oggi
che ti lascia sgomento, con le cretinerie
del quotidiano e i grossi problemi. È
tenersi stretti ad un albero pensando che
il cuore, così rinchiuso nei suoi anfratti,
forse non cesserà il suo battito, il suo vitale
venire.
Mauro Marino
Gay - La guida italiana in 150 voci
A cura di Daniele Del Pozzo e Luca Scarlini
A. Mondadori – Strade Blu
Come
sempre
in
ritardo, in Italia si
pubblica un dizionario
della
cultura
gay
quando in altri paesi
europei circolano già
da tempo. Del Pozzo
e Scarlini si avvalgono
della collaborazione di
45 autori per costruire
un
alfabeto
gay,
che comunque non promette di essere
esaustivo. Presenti le arcinote icone Patty
Pravo, Raffaella Carrà, Renato Zero,
come anche il contributo fondamentale
di associazioni quali il Mario Mieli, il
Cassero, l’Arcigay, per accennare poi a
figure emblematiche, come la Romanina
o il nostro conterraneo Giò Stajano. Non
mancano le definizioni di termini che
cominciano a diffondersi nel linguaggio
dei media italiani, spesso abusati e
carichi di equivoci. Basti pensare alla
mancata distinzione tutta italiana tra
outing e coming out. Sebbene la cultura
gay stia imponendo i suoi ritmi e gusti
anche nel Belpaese, gli stereotipi sono
ancora ben saldi, e poco contano gli
sforzi di personaggi pubblici o politici
dichiarati, programmi tv (basti pensare
a Commesse, altro mito gay, alle serie tv
di La7, a programmi come I magnifici 5,
pillole di un gusto gay molto raffinato),
quando il vero cambiamento deve
avvenire dapprima nelle coscienze
individuali. L’impressione è purtroppo
quella di uno sforzo enciclopedico rivolto
più ai conoscitori che a neofiti o curiosi,
31
i quali si fermeranno ancora una volta
all’aspetto goliardico dei Gay Pride
e all’esuberanza delle drag queen,
piuttosto che comprendere le necessità
di un mondo sfaccettato e complesso,
estremamente bisognoso di esprimersi.
Anna Puricella
Appunti di vista. Esperienze e
testimonianze di riabilitazione
psichiatrica
AA.VV.
I libri di Icaro
C’è un ritorno dalla
malattia mentale?
Profondamente
è
cambiato
lo
scenario e chi lo
attraversa. I volti
dei ‘matti’ oggi
sono diversi da
quelli che hanno
conosciuto anni e
anni di psichiatria
e ancora diversi da quelli che hanno
vissuto il manicomio. Oggi presso i
servizi di cura sempre con maggiore
frequenza, approdano giovani persone
che mutano l’inquietudine in malattia,
il disagio esistenziale in un mal d’animo
che non si da risposte. Giovanissimi,
acculturati, mediamente benestanti, abili
nell’esercitare il diritto alla salvaguardia
della privacy, socialmente attivi, per
i quali il diritto primario è diventato il
diritto alla reversibilità della propria
malattia prima che diventi, incoraggiata
dall’atteggiamento manicomiale, uno
status definitivo. È necessaria dunque
una nuova consapevolezza in chi è
chiamato a confrontarsi con la malattia
sul fronte terapeutico – riabilitativo. La
riabilitazione non è l’intrattenimento del
malato, ma è la ricostruzione della sua
piena cittadinanza. Questo è un dettato
fondamentale soprattutto se relazionato
al
malato
‘psichiatrizzato’.
Quella
persona che ha sul volto, in ogni gesto,
nello sguardo, il segno inconfondibile di
anni e anni di ricoveri e di psicofarmaci;
una persona impoverita, senza speranze
da nutrire, socialmente isolata, dimentica
dei suoi diritti, abituata a non veder
rispettata la sua dignità. Goffmann
diceva che il manicomio ammala
di un ‘altra’ malattia, contagiosa e
cronica, che non è la malattia mentale:
il contagio è l’accettazione della
violenza subita. Di queste interrogazioni
è fatto Appunti di Vista. Un report di
lavoro ben costruito, con un’ampia
bibliografia che ci aiuta nel desiderio di
approfondimento. Un racconto denso
di esperienze che nell’ascolto e nella
creatività sperimentano il disincanto
della malattia mentale, un ‘mormorio’
che toglie il suo ingombro e si fa pittura,
scrittura, invenzione gestuale; progetto di
una comunicazione non omologata che
scardina la consuetudine nutrendosi di
stupore. Il libro, curato dalla psicologa e
psicoterapeuta Maria Antonietta Minafra,
raccoglie le testimonianze degli operatori
della riabilitazione psichiatrica del centro
diurno del CSM del Dipartimento di Salute
Mentale della Ausl/Lecce 1. Un’avventura
collettiva, condivisa tra le tante persone
che, a vario titolo, sono entrate in contatto
con questa realtà. Una raccolta di voci
che nasce dal desiderio di illustrare, a
scopo divulgativo, un percorso fatto di
sperimentazioni e rivisitazioni nella ipotesi
di coinvolgere anche i non addetti ai
lavori. Contiene un resoconto del lavoro,
dei destini e delle storie di vita che si
sono intrecciate lungo cinque anni di
lavoro e che hanno lasciato un segno nel
cammino professionale e umano di chi
ne ha preso parte.
Mauro Marino
Charlotte sometimes
Massimo Ricciuti
Graus Editore
Magia, romanticismo
e malinconia. Sono
questi gli ingredienti di
Charlotte sometimes,
favola underground
ambientata in una
Napoli proliferante di
arte e creatività. Sono
gli anni ottanta, quelli
di David Bowie e dei
New Order, ma anche
quelli cupi e new romantic dei Cure.
La città si anima di una flora colorata
e luccicante, tanto che potrebbe
trattarsi dei mitici vicoletti del quartiere
Piccadilly di Londra. È qui che il Kid, un
adolescente turbato da un’infanzia piena
di abbandoni, alimenta il suo sogno:
diventare una rock star. La favola rock
‘n roll prende corpo quando compare
nella sua vita e in quella dei suoi amici
punk la bella Charlotte, femme fatale
“colorata”. I suoi anfibi, il suo caschetto
camaleontico e il suo modo di parlare e
dire “ok” la rendono unica e magnetica
soprattutto perché rappresenta la chiave
per la realizzazione dei sogni, la magia
che, a volte (sometimes), si fa realtà. Il
riferimento costante al Piccolo Principe
di Saint-Exupéry non è casuale; tutti i
protagonisti di questa favola aspettano la
loro stella, un Petit Prince che renderà le
loro vite meno inquiete. Storia di incontri
fatali e di adolescenze turbate dalla forza
dei sogni, Charlotte sometimes risulta
essere un intreccio di codici linguistici
differenti, dalla musica alla poesia, dalla
fotografia al cinema. Ogni scena è
costruita per dare agli occhi la possibilità
di vedere il set dell’azione e per donare
all’udito l’opportunità di immaginarsi una
splendida colonna sonora anni ottanta
che spazia dagli Style Council agli
Ultravox, fino agli Eurythmics. Massimo
Ricciuti, scrittore e sceneggiatore,
trasforma una storia semplice di amicizia e
amore adolescenziale in una scanzonata
e deliziosa fiaba underground zeppa di
“polvere magica” e di interpreti irreali.
Pagina per pagina questo racconto svela
la volontà di essere un ottimo riferimento
per tutti quelli che amano la musica.
Ma anche per chi crede che esistono
incontri che magicamente sconvolgono
Coolibrì
32
Ti Credevo più romantico
Antonio Iovane
Barbera Editore
È il 20 marzo 2002 quando il grande comico Gerry Bellotto
entra negli studi della città televisiva minacciando di farsi
saltare in aria. Una decisione maturata dopo alcuni mesi di
esilio dalla scatola magica, causati da un grave incidente e
dal suo “passare di moda”. Il giornalista e scrittore Antonio
Iovane, all’esordio sulla lunga distanza dopo la raccolta di
racconti La gang dei senzamore uscita lo scorso anno sempre
per Barbera Editore, ci racconta la parabola incredibile di
questo ragazzo che voleva assomigliare al grande Jerry Lewis
e che, partendo da un ristorantino romano, dove raccontava
barzellette e faceva sbellicare di risate i clienti, prima approda
al cinema (nei filmettini alla Giovannona Coscialunga) e poi
diventa il re della televisione trash. Un successo irresistibile che
gli concede fama e denaro fino a quando qualcosa non si rompe e la carriera di
Gerry, a poco più di cinquanta anni, sembra definitivamente essere conclusa.
Iovane però, e forse non poteva essere altrimenti, ci regala un interessante spaccato
della storia della televisione e della società italiana degli ultimi quarant’anni tanto
che, in alcuni frangenti, l’ironica e amara storia di Gerry sembra solo un pretesto
per andare ben oltre. I personaggi che vengono citati e in qualche modo coinvolti
sono molti, alcuni inventati (ma con una impressionante vicinanza alla realtà, basti
pensare a Berlusconi o Maurizio Costanzo) altri reali.
Il racconto si dipana attraverso la ricostruzione biografica che lo stesso Iovane
(è nominato per nome e cognome all’interno del romanzo) fa nelle vesti di
giornalista. Egli attraverso i quaderni di Bellotto ripercorre le tappe della sua
carriera intervistando attori e starlette, amici di infanzia e nemici. TI credevo più
romantico è un romanzo che si fa leggere rapidamente, che ti tiene incollato
(perché vuoi sapere che fine farà Bellotto) e instaura quel meccanismo del “ah,
è vero” proprio dei libri che ti danno informazioni dove non te le aspetti (come
quelle sulla fine ingloriosa fatta dai protagonisti di Arnold). E poi ha una scrittura
che oscilla tra registri vari e che segue, anche lessicalmente, le evoluzioni del
protagonista. Iovane poi infila battute di una ironia pungente che ti strappano
sorrisi malinconici. Ti credevo più romantico è un libro multiuso e questo è il suo più
grande merito.
Pierpaolo Lala
la realtà.
Raffaella De Donato
Ragionevoli Dubbi
Gianrico Carofiglio
Sellerio
Dopo una piccola
pausa in casa Rizzoli
con Il passato è
una terra straniera,
il magistrato barese
Gianrico
Carofiglio
torna con il terzo
episodio della saga
dell’avvocato Guido
Guerrieri pubblicata
da Sellerio. Ragionevoli
dubbi vede al centro la storia di un
uomo condannato in primo grado per
traffico di droga. Di ritorno da un viaggio
in Montenegro con la moglie (mezza
cinese e mezza napoletana) e la figlia
di quattro anni Fabio Paolicelli viene
fermato al porto di Bari con quaranta chili
di cocaina nella macchina. Per salvare la
moglie si addossa una colpa non sua. In
primo grado viene difeso da un misterioso
avvocato calabrese ma operante a
Roma che si presenta come suo “amico”.
Dopo la condanna l’avvocato Guerrieri
viene contattato dalla moglie dell’uomo
e decide, tra rimorsi di coscienza e dubbi
profondi (riconosce nel suo assistito un
picchiatore fascista con il quale aveva
avuto a che fare nei caldi anni ’70) di
assumere il caso. La controinchiesta
coinvolgerà l’amico poliziotto, un vecchio
compagno di università ora magistrato e
l’avvocato calabrese. Il racconto scivola
via tra vita privata, flashback, rimorsi e
soprattutto una parte finale dedicata
al procedimento in aula. La novità più
significativa di Carofiglio è proprio questa.
Farci vedere (come in numerosi telefilm)
la storia con gli occhi di un avvocato
un piccolo eroe umano, malinconico e
senza moralismi. Dopo commissari, giudici,
carabinieri, ispettori privati il racconto ha
al centro il personaggio forse più odiato
e controverso della giustizia, almeno in
Italia, l’avvocato. Che nei romanzi del
magistrato scrittore esce invece sempre
lindo e pulito, con poche ombre e molte
luci. (pila)
Diario di un dolore
C. S. Lewis
Adelphi
Se togliamo quella coltre di pudore
che copre le nostre paure, quel po’ di
vigliaccheria e di senso di inettitudine che
tutti ci accomuna, allora forse possiamo
capire cosa deve aver provato Lewis a
scrivere questo diario, un taccuino di
appunti rimediato in casa a cui affidare
il suo sbigottimento faccia a faccia alla
più grande paura di un essere umano:
perdere qualcuno che amiamo. Un uomo
di fronte alla morte, di fronte alla perdita
della sua compagna, un cristiano di fronte
alla porta sbattutagli in faccia da Dio.
Parole forti, piene di senso di inettitudine,
di impotenza, parole anche di egoismo.
Perché non si capisce bene cos’è che
fa male, se il dolore o quell’affezione al
dolore che si sviluppa in noi, quel volerlo
sentire, sguazzarci dentro per affermare
la nostra esistenza nel dolore e per il
dolore. Ma non solo di Joy Davidman
Gresham morta di cancro si parla, ma di
tutte le morti, di tutti gli amori e di tutti gli
scherzi crudeli di Dio. Non esistono nomi
in questo libro, solo un io che descrive,
che si strugge e contempla il suo dolore,
che chiede come si fa ad affermare
l’esistenza di un Dio buono “lento all’ira e
grande nell’amore” se questo ha messo
in croce il suo unico figlio. Ma soprattutto,
come uomo cristiano e scrittore cristiano,
come lui stesso si descrive, la sua forza nel
capire che la sua moglie imperfetta, quale
si sentiva, a un ceto punto non aveva
bisogno di lui, ma di quel Qualcuno, che
aveva permesso tutte le sue sofferenze.
Miriam Serrano
Noi la farem vendetta
Paolo Nori
Feltrinelli
Parto
con
una
banalità (e me scuso).
Paolo Nori è uno di
quelli autori al quale
si
reagisce
senza
mezze misure. O la sua
scrittura ti prende e vai
avanti nelle storie che
racconta o ti fermi
abbastanza
presto
quasi stizzito dai “ciò”
e da quella artefatta sgrammaticatura da
parlato. Il suo nuovo lavoro Noi la farem
vendetta è un esperimento abbastanza
strano e abbastanza riuscito. Lo scrittore
parmense racconta e ricostruisce
infatti, attraverso una intensa ricerca
storiografica e con il suo inconfondibile
stile, gli scontri di Reggio Emilia del 7
luglio del 1960. Quel giorno nell’Emilia
rossa lo Stato italiano si macchiò di colpe
gravissime. Nori ricorda, fa ricordare,
ripercorre i governi e le discussioni
parlamentari e di piazza che costruirono
il clima che condusse alla morte, per
mano delle forze dell’ordine, di Lauro
Ferioli, Ovidio Franchi, Emilio Reverberi,
Marino Serri, Afro Tondelli e che portò
alle conseguenti dimissioni del primo
ministro democristiano Tambroni. Un libro
che racconta come eravamo ma tutto
sommato anche come ancora siamo.
E come sottolinea lo stesso Nori “in un
certo senso, se non fosse un’espressione
abusata, si potrebbe anche dire che è
un romanzo d’amore”.
Scipione
L’albergo di Vincente
Eugenio Cardi
Giulio Perrone Editore
Quando ci si aggira per un posto dove
qualcuno è morto cruentamente c’è
Coolibrì
qualcosa nell’aria, forse un odore, un
sapore che risveglia nell’uomo i più
arcani istinti. Un uomo che uccide un
altro uomo. La specie che va contro i suoi
stessi interessi, il padre che vede la morte
del figlio, Eraclito sosteneva che la guerra
fosse proprio caratterizzata da questo: la
conversione dell’ordine naturale, i padri
che seppelliscono i figli. La conversione
di quest’ordine cosa può provocare a
distanza di anni? Lo sbarco in Normandia
è veramente solo una data storica e
una serie di film connessi? No, perchè un
carico di sangue ha sempre un prezzo, e
il prezzo può andare oltre una spiaggia
intrisa di sangue, un ricovero per fucili
usurati dalla salsedine e ualche elmetto
arrugginito. La guerra lascia un carico
che può far impazzire anche la mente
più equilibrata, e far coprire il sangue
con sangue nuovo, quasi non ci fosse
altro metodo per coprire l’odore di quello
vecchio. Vincente ha un piccolo albergo
sulle coste della Normandia, sì, proprio
lì vicino. Dove c’è un albergo le vite si
intrecciano, il mondo gir più velocemente,
e accade che il filo degli eventi entri
più velocemente nella trama, come se
fosse Aracne stessa a costituire il disegno
invece di una delle More. E cosa ne è di
lui e del suo albergo dopo un arrivo senza
prenotazione? Cosa vogliono una bella
donna di mezza età e il suo figlio solitario?
Che cosa scatenerà il Destino contro di
loro? Per saperlo bisogna leggere....
Miriam Serrano
Premiata Forneria Marconi
Donato Zoppo
Editori Riuniti
Donato Zoppo è un
inguaribile animatore
di musica, cultura
e,
principalmente,
di Rock Progressivo.
L’attività
indefessa
all’interno di numerose
redazioni, l’erudizione,
i contatti ramificati in
tutta Europa (e non solo) hanno fatto di
lui un punto di riferimento per gli amanti
del genere. A lui, quindi, l’onore e l’onere
di narrare l’avventura della Premiata
Forneria Marconi a trentacinque anni
dal suo inizio. Il libro parte dai Quelli (la
prima versione della PFM); passa dalla
partecipazione a incisioni epocali (La
canzone del sole e La buona novella,
tanto per dirne due); si sofferma sugli
anni della consacrazione e arriva fino
ai giorni nostri, spesi tra mastodontiche
opere rock e un tour denso e complesso.
Zoppo descrive con cura la genesi di
ciascun disco, riporta il responso di critica
e pubblico, commenta la struttura dei
brani, cita le parole dei protagonisti.
L’esperienza dell’autore si rivela nella ricca
bibliografia, nell’elaborata appendice,
nell’abbondanza di informazioni. La sua
non è una penna scintillante, epperò sa
illustrare con chiarezza lo spirito dei tempi
in cui hanno operato, e continuano ad
operare, musicisti di immutato prestigio
che, secondo la definizione di Fernanda
Pivano, sono dei bravi ragazzi ma sono
33
pure dei gran figli di puttana. A proposito
di musica e fumetti, poi, occorre segnalare
un album tra i meno conosciuti ma tra i più
geniali della PFM: Passpartù, con testi di
Gianfranco Manfredi e disegni di Andrea
Pazienza. Il misto di ironia e idealismo che
accomuna gli artisti coinvolti in questo
lavoro, pubblicato - non a caso - nel
1978, si posiziona tra i primi posti di una
ipotetica scala di valori del Rock.
Gianpaolo Chiriacò
Freak Brothers storie di fine
secolo
Gilbert Shelton
Stampa Alternativa
Sono ormai due anni
che lavoriamo sull’idea
di editoria underground,
ed è per questo motivo
che quando gli amici
di Coolclub ci hanno
avvisato che questo
mese si sarebbe parlato
di fumetti, ci siamo tuffati
a capofitto nello scaffale
più variopinto di Ergot per tirare fuori la
superchicca degli ultimi 30 anni. Gilbert
Shelton grande illustratore statunitense,
nonché disegnatore di copertine di
Lp, nel 1969 crea gli esilaranti Fabulous
Freak Brothers ovvero Phineas, Freewillin’
Franklin e Fat Freddy, tre Hippie sfigati alle
prese con la vita quotidiana, acquisto
e vendita di droghe, viaggi lisergici che
portano in gattabuia, tipe con le piattole
che li costringono ad interminabili pruriti,
poliziotti veri o immaginari che spuntano
anche dal frigorifero snaturato dal suo
ruolo di contenitore di cibo. Si dice che
Shelton si sia ispirato a Robert Crumb nella
creazione dei suoi Freak, innegabili sono
le affinità così come è certo che il fumetto
USA di quegli anni è inconfondibile
per i balzi dalla striscia minuziosa e
particolareggiata alla pagina unica
utilizzata come esclamazione o come
slogan, della drug-culture, del sesso libero,
dell’antirazzismo, tematiche tipiche della
cultura underground d’oltreoceano anni
’70.
Simone Rollo
Pandemonio
Jimi Hendrix – Angeli e
Chitarre
Stefano Tavernese
Editori Riuniti
A
noi
giovincelli
che all’epoca non
c’eravamo,
può
risultare
complicato
c o m p r e n d e r e
appieno
l’impatto
che ha provocato
questo
chitarrista
mancino sul mondo
musicale di fine anni
‘60. Se molto spesso,
e a torto, non gli si
riconosce il giusto valore di compositore
e cantante, è invece innegabile la
rivoluzione che ha portato in atto come
musicista e performer. Da umile strumento
d’accompagnamento ritmico capace
di semplici linee melodiche, nelle sue
mani, la chitarra elettrica si trasforma
nell’emblema stesso della musica rock.
Hendrix ne moltiplica le possibilità sonore,
valorizza al massimo le sue caratteristiche
(difetti
compresi),
aggiungendo
nuove pagine al vocabolario dello
strumento. Quando nelle sue debordanti
performance dal vivo scatena l’inferno in
terra, tutto è sotto il suo assoluto controllo.
La quantità disumana di volume che
fluisce dai suoi amplificatori, si piega
come burro al suo servizio, e con quel
modo di strapazzare e di spremere la
stratocaster, sembra quasi volerne tirare
fuori il succo stesso della musica.
Con largo aiuto di spartiti e intavolature
per chitarra, Stefano Tavernese, da anni
redattore della rivista Chitarre, cerca
di fare luce sull’evoluzione tecnico
stilistica del guitar hero per eccellenza,
procedendo in ordine cronologico nella
sua breve e intensa carriera, con pochi
ma esaurienti cenni biografici e senza
tralasciarne il lato umano. Per gli irriducibili
della sei-corde.
Giovanni Ottini
Gianluca Morozzi
Fernandel
Gianluca Morozzi è sorprendente, tra Guanda e Fernandel
sforna un libro dopo l’altro e non sbaglia un colpo. Sia quando
si prende sul serio, sia quando si prende in giro, Morozzi ha la
capacità di arrivare subito e conquistare. Dedito non solo alla
narrativa classica ma anche alle elucubrazioni musicali (L’Emilia
o la dura legge della musica, Guanda) si cimenta, questa volta
per Fernandel (la sua casa madre), con una illustoria (collana
che unisce amabilmente storie e illustrazioni). Per questa nuova avventura
Morozzi si affianca a Squaz, noto disegnatore del circuito underground. Il risultato
è Pandemonio, un libro allucinante: in un condominio Gesù bambino è chiuso
in un microonde, il batterista degli Who si reincarna in un tavolo da biliardo, le
fidanzate quando sono tre, rompono le palle il triplo. Il tratto di Squaz è essenziale
come le parole di Morozzi. Il tutto è una cavalcata incredibile di fantasie e incubi,
un “trip” strepitoso. Quando due talenti si uniscono il risultato non può che essere
sorprendente. Un viaggio che vola via in pochissimo, purtroppo, ma che rimane.
Osvaldo Piliego
Coolibrì
34
VENticinQue anni DI
marcos y marcos
Nel panorama della piccola editoria
italiana un posto di rilievo è sicuramente
occupato dalla Marcos Y Marcos. La casa
editrice milanese quest’anno a compiuto
i 25 anni di vita con una decisione che
sembrava folle. Nel 2006, saranno
pubblicate infatti 14 novità, anziché le
tradizionali 17. Il risultato? Le vendite sono
cresciute del 15 per cento. La Marcos
ha sicuramente segnato il mercato “Se
oggi John Fante non è più uno scrittore
relegato alla polvere, forse lo si deve a
questa casa editrice” spiegano orgogliosi
Claudia Tarolo e Marco Zapparoli. “Se le
copertine dei capolavori di Boris Vian,
ovvero La schiuma dei giorni, e di John
Kennedy Toole, ovvero Una banda di
idioti, sono così inconfondibili, lo si deve
allo stile grafico che Marcos y Marcos
ha inaugurato a partire dai primi anni
Novanta”.
Ma come nasce l’idea della Marcos y
Marcos?
Nel 1981 due amici, Marco Franza e
Marco Zapparoli, stampano edizioncine
di poesia, in tiratura limitata, aggraziata
e numerata. Subito seguite da ripescaggi
di racconti di classica e contemporanei.
Prima di mettere le mani su veri inediti,
e di discreto livello, ci abbiamo messo
parecchio. Avevamo 21 anni, ed
eravamo piuttosto ignoranti. E non
particolarmente ambiziosi. Volevamo
procedere
con
calma.
Tuttavia,
gironzolando tra librai, tipografi, editori,
gente piena di erudizione e di consigli
opportuni, l’appetito si è accresciuto.
E nel 1991 è nata finalmente la collana
“portante”, gli alianti, in cui sono usciti
Vian, Toole, Fante, Lem, Lahiri, Cavina,
Lardner, i premiati fratelli Strugatzki e i
fratelli Ervas, e così via.
Come avete visto cambiare il mondo
dell’editoria e in particolare della piccola
editoria in questi 25 anni?
Il fenomeno più evidente è quello della
moltiplicazione sempre più frenetica
delle case editrici e delle novità proposte
rispetto a un mercato sinistramente
stabile nella sua drammatica debolezza.
Questa febbre della crescita disorienta
i lettori e obbliga i librai a prestazioni
acrobatiche per offrire un minimo di
spazio a tutti o quasi; inevitabilmente,
in questa estenuante “lotta per la vita”,
la maggior parte dei libri sono destinati
a soccombere prima di aver avuto la
possibilità di incontrare i loro lettori. È una
selezione crudele e non sempre vince il
migliore...
Quali sono i vostri autori di punta, a quali
siete più legati?
Tra i classici, certamente Lem, Toole, Vian,
Dürrenmatt e Hilsenrath. Tra i nuovi autori,
Cristiano Cavina e i fratelli Ervas stanno
proponendo romanzi che hanno il pregio
di parlare sul serio del nostro paese. Il
che, in tempi di opprimente narcisismo,
stilismo, giovanilismo, è già un bel passo
avanti.
Quest’anno avete deciso di pubblicare
meno novità. Come mai? Qual è stata la
molla che vi ha condotto a questa scelta?
A distanza di circa 10 mesi siete pentiti?
Siamo convinti che i libri abbiano bisogno
di tempo: per sceglierli, per curarli, per
promuoverli. Ci sembra che la corsa
affannosa alla produzione nella speranza
di imbroccare il grande successo generi
soltanto sprechi a danno della qualità.
Noi preferiamo offrire pochi libri, curarli
al massimo e soprattutto investire
tempo e risorse per farli conoscere. A
distanza di dieci mesi, possiamo dire
che i risultati hanno superato le nostre
più rosee aspettative. Rispetto all’anno
scorso, abbiamo venduto più libri pur
producendone di meno. I librai hanno
premiato il nostro tentativo di allentare
la pressione numerica e di migliorare il
dialogo sui contenuti.
Nel marasma generale di libri ed editori
come può una piccola casa editrice
“aggredire” il mercato ed essere
competitiva?
Può essere competitiva senza aggredire.
Occorre cercare i libri con lo stesso
spirito con cui un bravo cuoco predilige
ingredienti di origine locale, freschi, di
stagione. E non trattati. Tanto meglio se
poi a scegliere i libri ci sono due “anime”:
una maschile (Marco Zapparoli) e l’altra
femminile (Claudia Tarolo). Occorre
poi rivolgersi ai lettori senza dire troppo
balle. Parlare alla sua intelligenza e
curiosità, invece di perder tempo
dicendo che qualcosa è bello perché è
fantastico. O che è imperdibile perché
10 recensori americani hanno detto che
è inimmaginabilmente al di sopra di ogni
altro libro ricevuto negli ultimi duecento
anni.
Mi citate alcuni colleghi editori che
stimate e guardate con apprezzamento?
Nel nostro paese resistono magicamente
numerose case editrici indipendenti rette
dalla passione e dalla tenacia di chi ci
lavora. Ci sentiamo affini a tutte quelle
che difendono la dimensione artigianale
e lavorano davvero sulla ricerca. Le prime
che ci vengono in mente: Iperborea, Il
Castoro, Cortina.
Quale autore vi siete fatti sfuggire? Quale
vorreste “rubare”?
Per la verità tendiamo a essere contenti
di quello che abbiamo, e crediamo
fermamente nel destino: se siamo arrivati
in ritardo con qualche offerta, vuol dire
che doveva essere così. Quando ci
portano via un autore ci rallegriamo di
aver liberato tempo e risorse. Insomma,
senza un pizzico di follia, questo lavoro
non lo fai.
Consigli ad un giovane editore che vuole
avviare una nuova impresa?
Ricordarsi che non basta saper leggere
ma occorre davvero saper fare i conti.
Rimboccarsi le maniche, prepararsi al
peggio e festeggiare ogni più piccola
vittoria; confrontarsi con la spietata
realtà dei numeri e cercare risposte con
creatività. Soprattutto, non smettere mai
di ascoltare.
Pierpaolo Lala
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Be Cool
31
il cinema secondo coolcub
N – Io e Napoleone
Paolo Virzì
Medusa
****
Anno 1814. Napoleone, uno dei più
grandi imperatori che la storia ricordi è
in esilio sull’isola d’Elba, a Portoferraio,
dove ormai anziano e stanco vive alcuni
degli ultimi anni della sua vita tra intrighi,
malinconia e un fascino che non cede allo
scorrere del tempo. Liberamente ispirato
all’omonimo romanzo di Ernesto Ferrero, il
film di Virzì è solo uno dei tanti adattamenti
cinematografici dedicati alla figura del
tiranno francese (nel film Daniel Auteil),
eppure riesce ad essere a suo modo
innovativo e dissacrante. Ironizzando sulla
figura di un nobile decaduto, il regista
livornese coniuga dramma e commedia
come nella migliore tradizione italiana di
Age e Scarpelli dando linfa nuova ad un
racconto noto ed abusato. L’intreccio
vede protagonista il giacobino Martino
Papucci (uno straordinario Elio Germano)
che mescolatosi al popolino elbano
che adora il dio-Napoleone, riesce ad
avvicinarlo fino a scriverne le memorie
e a tramare nell’ombra il suo assassinio.
Ma il destino, come la Storia dimostra,
ha dei piani diversi. Interessante il
film e ottimo il cast che al di là del
perfetto binomio Auteil-Germano vede
la Bellucci nei consoni panni di una
baronessa suadente, Mastrandrea e la
Impacciatore rinfrancati dalla consueta
rappresentazione di verace romanità
e Massimo Ceccherini per una volta
comico senza dimostrarsi volgare.
Presentata alla neonata e riuscita Festa
del cinema di Roma, la pellicola è stata
anche accompagnata da polemiche
riguardanti simpatiche analogie tra
l’imperatore e l’onnipresente Berlusconi,
che seppur presenti (ovviamente per
quanto riguarda il declino annunciato di
uomo che si credeva invincibile) lasciano
il tempo che trovano, anche perchè la
produzione è targata Medusa. In ogni
caso un lavoro ben riuscito che come
unica nota stonata ha paradossalmente
il legame stretto tra il regista e la
commedia, che se da un lato gli permette
di confezionare un prodotto originale,
dall’altro gli impedisce di osare e di
prendere il volo staccandosi da alcuni
clichè. Ma non è grave perchè il film di
Virzì oltre l’aspetto semplice e talvolta
semplicistico
nasconde
importanti
spunti sui miti e la loro costruzione, sulla
malinconia della vita e sul bilancio che
ogni uomo, presto o tardi, fa della sua
esistenza. Napoleone e la sua immensa
figura sono solo un mezzo, una lente
attraverso cui scrutare in maniera
amplificata quello che passa attraverso
quel meraviglioso e incerto viaggio che
chiamiamo vita.
C. Michele Pierri
Be Cool
36
La
sconosciuta
Giuseppe
Tornatore
Medusa
****
A distanza di sei
anni dalla sua ultima
pellicola, Malena,
ecco l’atteso ritorno
di Giuseppe Tornatore. La sconosciuta
doveva essere, anche secondo il
regista, una sorta di “riempitivo” in
attesa di quello che forse è uno dei
progetti più ambiziosi del cinema
italiano contemporaneo, Leningrad
(annunciato per il 2008). Si è rivelato,
invece, uno degli esempi più riusciti di
thriller psicologico degli ultimi tempi,
nonché uno dei film più acclamati
alla prima “Festa Internazionale del
Cinema” di Roma. Racconta di Irena,
ragazza ucraina, che giunge in una città
del Nord Italia in cerca di occupazione.
Trova subito un appartamento e un
lavoro, come bambinaia, presso una
famiglia borghese di orafi. Della donna
si sa poco. Con il passar del tempo,
sembra che questa riesca trovare un
equilibrio stabile nella nuova realtà.
Quando ecco che la sconosciuta si
trova di fronte al passato, al male,
The Namesake
Mira Nair
Mirabai Films-Cine Mosaic
****
Presentato alla Festa Internazionale del
Cinema di Roma, tra le discusse attese
amate e criticate diverse premiere,
spicca per bellezza e profondità The
Namesake. Girato tra l’India e l’America,
con attori indiani e in lingua indi e
inglese, quello della già nota Mira Nair è
un film che ritrae i nostri tempi, tempi di
mistione di culture e fusione di mondi, di
contraddizioni e arricchimenti, di viaggi
solo andata e di ritorni. Un matrimonio
combinato ha unito Ashoke e Ashima e
li ha portati lontano dalla caotica e viva
Calcutta in una ancor più caotica e viva
New York, città gelida e sconosciuta,
come è per loro sconosciuta la mentalità
della gente che la popola. Non è facile,
soprattutto per Ashima, ambientarsi
lontano dal calore della sua famiglia,
dai colori e dai paesaggi che rendono
l’India quella che tutti immaginiamo e a
cui la bellezza della fotografia di questo
alla violenza, che ha le sembianze
dell’aguzzino Muffa (Michele Placido).
È da questo punto in poi che il trascorso
della donna si svela, attraverso l’uso di
differenti piani temporali, di flashback.
I diversi episodi, macchiati dall’orrore,
descritti in maniera cruda, non risultano
mai superflui; si rivelano piuttosto sempre
pezzi essenziali del puzzle psicologico
e drammatico che Tornatore va a
costruire. I temi della schiavitù sessuale,
da una parte, e della maternità negata,
dall’altra, non rappresentano mai solo
una denuncia sociale. Sono elementi
caratterizzanti, essenziali di una trama
che si fa man mano incalzante. I vortici,
le spirali, rappresentate dalle scale
a chiocciola, le geometrie sceniche
“hichcokkiane” (che non nuocciono
mai alla “personalità” di questa
pellicola) e soprattutto le musiche
di Ennio Morricone, impreziosiscono
questo film di genere. Tornatore, che ci
aveva abituato a personaggi maschili,
è bravo questa volta a descrivere la
psicologia femminile e la donna, non
più solo icona o sogno (vedi Malena
su tutti). La magistrale prova di Xenia
Rappoport (Irena), sconosciuta attrice
teatrale russa, è supportata da un cast
stellare, composto da Placido, Favino,
Buy, Haber, Gerini.
Sabrina Manna – Zero Project
film rende il giusto merito. Il titolo italiano
sarà Il destino nel nome - The Namesake,
(letteralmente L’Ononimo) e fa riferimento
alla difficile e significativa scelta del
nome attribuito al figlio dei due, Gogol,
come il famoso scrittore russo. Tratto dal
racconto di Jhumpa Lahiri, questo lavoro
è ricco di dettagli, segni, flashback e
musiche accurati toccanti taglienti. Ci
ha lasciato dentro un attimo di silenziose
riflessioni, suggestioni varie, un’ulteriore
presa di coscienza su quanto importante
e il-limitato sia l’amore che unisce una
famiglia. Dovunque i suoi pezzi si trovino,
sparsi per il mondo.
Valentina Cataldo
Scoop
Woody Allen
Medusa
***½
Un Woody Allen
divertente,
ma
soprattutto
divertito, in questo
suo
ruolo
da
singolare e timido
prestigiatore/
impavido
e
temerario cronistainvestigatore.
Scarlett Johansson
brava, e sempre
affascinante, anche nella parte da
“imbranata” studentessa della provincia
americana, in vacanza in Inghilterra.
Secondo film londinese quindi per
l’affiatata coppia, per l’occhialuto e
sempre più “nonnino” genio di Manhattan
che dopo Match point, il delitto
senza castigo, adesso racconta quasi
l’opposto: lo svelamento di un delitto che
pareva impunibile. Durante un bislacco
esperimento di smaterializzazione, sul
palcoscenico di una sorta di “teatro
parrocchiale”, nel “magico” box del
prestigiatore la bionda studentessa di
giornalismo entra in comunicazione con
un noto giornalista da poco defunto,
che sfugge per qualche secondo al
traghetto della morte, a bordo del quale
si trovava. L’intraprendente “chronicler”
fornisce alcuni fondamentali indizi per
realizzare un memorabile scoop su un
insospettabile lord inglese e una serie di
delitti di un serial killer. Misteriosi omicidi
a Londra, parafrasando il vecchio film
girato a Manhattan da Woody Allen,
con lui allora c’era la compagna Diane
Keaton, oggi “la figlia” Scarlet. E nella
loro indagine giornalistica sempre humor,
gaffe, qualche battuta “alleniana” da
appuntare, bei posti, perfino un po’ di
“brivido” e una poco truce figura della
morte. In sintesi: 100 minuti, o poco meno,
di allietante e rasserenante visione. (da.
qua)
Fascisti su Marte – Una vittoria
negata
Corrado Guzzanti
Dopo una lunga e meticolosa lavorazione
(circa tre anni) arriva nelle sale Fascisti su
marte il film di Corrado Guzzanti evoluzione
dei brevi cinegiornali realizzati nella
fortuna trasmissione di Rai Tre (l’ultima del
comico romano prima del lungo “esilio”)
Il Caso Scafroglia. Il film, satira dell’Italia
passata e contemporanea, racconta
l’epopea del gerarca fascista Barbagli
dall’arrivo sul pianeta rosso. Nel cast Lillo,
Marco Mazzocca e il giornalista Andrea
Purgatori. Una pellicola coraggiosa!
The departed
Martin Scorsese
Leonardo Di Caprio, Matt Damon, Jack
Nicholson, Martin Sheen, Alec Baldwin,
Mark Wahlberg mettono in scena il
nuovo, attesissimo, film di Martin Scorsese
(e si parla già di capolavoro). Al centro
della storia una guerra tra la Polizia locale
e una banda della malavita organizzata
di Boston.
A casa Nostra
Francesca Comencini
Nuova
pellicola
per
Francesca
Comencini. Dopo Mobbing arriva A
Casa Nostra, film a episodi nel quale
la vita di alcune persone, molto diverse
tra loro, viene vista attraverso il comune
denominatore del denaro, legale o
illegale, poco o tantissimo. Rita, un
capitano della Guardia di Finanza,
cerca di smascherare Ugo un banchiere
che opera nell’illegalità, attorno a loro
ruotano tutti gli altri personaggi. Nel cast
Luca Zingaretti, Valeria Golino, Giuseppe
Battiston e Bebo Storti.
Buon compleanno dylan
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Comics psicHiatrico
Intervista a Ned Bajalica
Ned Bajalica nasce in Svizzera nel 1975
e si trasferisce a Lecce in tenera età per
rimanervi fino ai sedici anni. Poco dopo
si trasferisce a Roma, dove frequenta
la scuola Internazionale di Comics e, in
brevissimo tempo, diventa uno strettissimo
collaboratore di Jacovitti. Nei successivi
cinque anni lavorano insieme a progetti
come Rap (Balocco Editore) e Cocco
Bill di Quà e di Là (Sergio Bonelli Editore).
Per 4 anni interrompe la sua attività di
disegnatore per aprire la prima fumetteria
a Lecce. Nel 2005 conosce il celebre Paolo
Crepet, con il quale inizia la lavorazione
di Ci Vediamo Domani. Dopo numerosi e
fortunati saggi e racconti per lo psichiatra
si tratta della prima esperienza nel mondo
del fumetto. Per Ci vediamo Domani
Crepet si affida completamente a Ned
Bajalica.
Ned, come sei arrivato a Crepet e alla
decisione di voler raccontare queste
storie?
C’è stato un periodo della mia vita (ma direi
che c’è ancora) in cui leggevo tantissimi
libri di psicologia. Mi interessava scrutare
l’animo umano, capire il perché di tante
situazioni che portano a gesti o situazioni
estreme. Insomma volevo abbattere quei
pregiudizi che condizionavano le mie
opinioni... Tra i tanti libri letti, quelli di Crepet
mi hanno emozionato e mi hanno spinto
a intraprendere questa grande sfida. Ho
inviato una mail a Crepet, chiedendogli
il permesso di adattare quattro racconti
tratti da alcuni suoi libri. Così è nato questo
libro.
A un certo punto della tua vita hai smesso
con il “fare fumetti” ed hai iniziato a
venderli…
La morte di Jacovitti fu per me un colpo
forte e improvviso, il dolore mi spinse a
dare un taglio al disegno, ma non al
fumetto. Aprii così una fumetteria per
stare un po’ “dietro le quinte” del fumetto
e vederlo con un’ottica diversa. È stata
un’esperienza unica, consigliabile a tutti i
fumettisti.
Prima di Ci Vediamo Domani avevi uno
stile totalmente diverso, umoristico e simile
al tratto di Benito Jacovitti con il quale hai
collaborato per anni. Come si è evoluto il
tuo stile da “umoristico” ad essenziale?
Dopo la morte di Jac, persi l’interesse per
il disegno e decisi di smettere. Quasi non
me ne fregava più niente... ma come si
fa a reprimere le proprie passioni? Quindi,
presi la decisione di superare l’esperienza
col grande maestro e voltare pagina,
cercare qualche strada nuova, qualcosa
con cui riuscissi a identificarmi... Lo stile di
Ci vediamo domani è nato pian piano
nella mia testa, mentre si materializzavano
i vari protagonisti della storia.
Il fumetto è una parte di te o è tutta la
vita?
Che domanda! Diciamo che è una grande
parte di me che mi accompagnerà per
tutta la vita. Amo il mio lavoro, credo nel
fumetto come mezzo di comunicazione
giovane, efficace e immediato.
Ritieni che le scuole di fumetto ricoprano
una funzione essenziale nella crescita
artistica di un fumettista e che possano
al tempo stesso costituirsi come mezzo di
promozione di questo genere letterario?
Entrambe le cose. Ci sono scuole del
fumetto, come la leccese Lupiae Comix
che con un budget minimo formano
l’allievo graficamente e culturalmente,
facendogli conoscere una moltitudine di
autori, generi e stili differenti. E soprattutto
s’insegna il significato della parola fumetto:
in cui la dimensione del “raccontare
per immagini” non significa meramente
disegnare. Questo è fondamentale per un
fumettista.
Max - Mondi Sommersi
CRONACA VERA, DANIEL CLOWES
Daniel Clowes spia come farebbe
Carver se sapesse disegnare.
In silenzio, metabolizza i discorsi
dei vicini di tavolo nell’ultimo
fast-food all’angolo e racconta
il quotidiano di provincia con
maniacale dovizia di particolari
e delicatezza clinica. Vite minime
cui Daniel Clowes dispensa minuti
di notorietà e immortalità. Un
ibrido tra Cronaca Vera e Spoon River (ma senza la presunzione
di regalarci la “morale della favola”) scorre impetuoso/impietoso
trasversalmente per tutta la produzione clowesiana. Antieroi del
vicinato e leggende di quartiere si vestono di poesia precaria
e fragile. Capita così che la vita tiepida di due adolescenti di
provincia abbia un peso talmente denso da trapassarti attraverso
i polpastrelli, pagina dopo pagina, fino ad andare via con
estrema delicatezza. Nessuna soluzione. Storie che cominciano
in corsa e non finiscono. Come quelle che origli in treno. Clowes
articola le vignette su tavole regolari, convenzionali con un tratto
marcatamente retrò e chiaroscuri grigliati. Smorfie caricaturali e
anatomie da manuale sullo stile delle illustrazioni enciclopediche
anni ’70. Un tratto freddo e distaccato si direbbe.
Daniel Clowes originario di Chicago, classe 1961, esordisce a 25
anni pubblicando la serie Lloyd Llewelyn (che ha subito l’onore
di vedere pubblicata dalla rivista culto Love & rockets dei fratelli
Hernandez) e The Uggly Family; a partire dal 1988 decide di
dare vita ad Eightball, un’antologia aperiodica che possa
raccogliere la fertile sperimentazione dell’autore attraverso
storie autoconclusive e brevi serie, divenendo evidentemente
il capostipite della nuova generazione di graphic-novelist
statunitensi (Chester Brown, Craig Thompson, Adrian Tomine,
etc.). Proprio dalle pagine di Eightball faranno capolino opere
imprescindibili quali Like a velvet glove cast in iron, David
Boring e la più nota Ghost World (che gli varrà la nomination
agli Oscar 2002 per la sceneggiatura dell’omonimo film di Terry
Zwigoff). Ghost World, mondo fantasma; probabilmente quello
che gli spettatori non vedono, o quello che è talmente vicino
a te da essere, per diffusa ipermetropia umana, prescindibile.
Enid e Rebecca sono due amiche comuni, in un anonimo
paese americano come tanti, il mondo le costringe ad essere
“anticonformiste” e loro non aspettano altro. Grazie a questa
scelta abbiamo la possibilità di vederci recensita una cittadina
di mediocri maghi sensitivi, di hippies della domenica, di adepti a
sette sataniche, di ragazzine alla moda, di manager pedofili e di
cinquantenni che cercano amori tra gli annunci dei quotidiani. E
la loro presenza disadattata, nostalgica piuttosto che annoiata
o innamorata, si tende nervosamente in bilico tra passato e
futuro in una provincia fantasma. Ché anche la partenza per
l’università arriva a commuoverti. Niente espressionismo o realityshow. Cronaca vera, Daniel Clowes.
Erik Chilly (www.recensimenti.blogspot.com)
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Saloni, festival, rasseGne:
il fumetto si mette in mostra
Quaranta anni di incontri e presentazioni,
ospiti internazionali e anteprime. Il
Lucca Comics & Games, il più longevo
appuntamento italiano dedicato ai fumetti,
compie quaranta anni. Dal 1 al 5 novembre
si sono radunati nella città toscana migliaia
di appassionati e curiosi per festeggiare la
“nona arte”. Nel corso di questi anni tra i
padiglioni espositivi ci si è potuti imbattere
in autori del calibro di Hugo Pratt, Lee Falk,
Gianluigi Bonelli, Moebius, Will Eisner, Stan
Lee, solo per citarne alcuni. Non a caso per
onorare al meglio questo anniversario sono
state realizzate una mostra e un curatissimo
volume per raccontare – attraverso
cronache, ricordi, immagini e memorabilia
– la storia di questi 40 anni. Fra i grandi
ospiti di Lucca Comics 2006 una menzione
speciale spetta all’americano Jeff Smith,
autore di Bone (nella foto accanto), una
delle serie di maggiore successo degli
ultimi anni, pubblicata negli Stati Uniti
fra il 1991 e il 2004. (Tutte le info su www.
luccacomicsandgames.com).
Lucca è solo l’esempio più longevo e
importante. Il movimento fumettistico
italiano è in forte espansione. Lo testimoniano
la costante attenzione da parte di riviste
non specializzate e la nascita di numerosi
saloni, festival, fiere che mettono in mostra
il fumetto e l’animazione. È praticamente
impossibile fare un censimento completo
degli appuntamenti ma proviamo a
segnalare alcune delle prossime o passate
edizioni.
Dal 4 all’8 ottobre si è tenuta Romics, la
rassegna internazionale del fumetto e del
cinema di animazione giunta alla sua sesta
edizione e ospitata dalla capitale. (www.
romics.it)
Neanche una settimana dopo (dal 13 al
22 ottobre) e nella poco distante Viterbo
è andato in scena la prima edizione del
Festival del fumetto e dell’animazione
indipendenti, con tutti, o quasi, i protagonisti
della rinascita della scena indy italiana e
non solo. (www.indayscomix.com)
Guardando al futuro invece sabato 11
novembre (e nei due week end successivi)
apre i battenti a Rapallo la XXXIV edizione
della Mostra Internazionale dei Cartoonists.
Il tema di quest’anno sarà “Scuola di
f u m e t t o ” ,
con
ospiti
le
principali scuole
che insegnano
la nona arte.
(www.rapallocartoonists.com)
Il 2 e 3 dicembre
Milano ospita Fumettopoli, la mecca dei
collezionisti di tutte le nuvole parlanti.
(www.fumettopoli.com)
A febbraio (10 e 11) nuovo appuntamento
nel capoluogo lombardo con il Festival
del fumetto, giunto alla sua terza edizione,
che si svolge interamente all’interno dei
padiglioni del Parco esposizioni Novegro.
(www.festivaldelfumetto.com)
Dal nord al sud, dal 27 al 29 aprile a Napoli
torna Comicon. Salone internazionale
del fumetto e dell’animazione, tra eventi
collaterali,
mostre,
stand
espositivi,
proiezioni, incontri. I prossimi quattro anni
di Napoli Comicon saranno all’insegna
dei colori: Ciano, Magenta, Giallo e
Nero. Il colore del 2007 sarà Ciano. (www.
comicon.it).
A maggio va in scena la tredicesima
edizione di Torino comics. Salone e mostra
mercato del fumetto. (www.torinocomics.
com)
Nello stesso mese si svolge anche la seconda
edizione del Mantova Comics & Games
che si candida, secondo gli organizzatori
“a rappresentare uno dei principali
appuntamenti del calendario fieristico per
i lettori, i giocatori, gli addetti ai lavori ma
non solo: i giochi, le mostre e le conferenze
hanno infatti permesso di raggiungere un
vasto pubblico di appassionati ma non
solo”. (www.mantovacomics.it)
Il Cartoon Club, festival internazionale
del cinema d’animazione e del fumetto,
ritorna come di consueto nel mese di
luglio e la città di Rimini si trasforma nella
capitale degli eroi di cartone e del fumetto
con mostre, proiezioni, incontri, iniziative
speciali, spettacoli e sorprese (www.
cartoonclub.it).
Sempre in estate si tengono il Festival
Internazionale Cinema d’Animazione e
Fumetto a Dervio (www.dervio.org/festival)
e l’HatriaCartoon in provincia di Teramo
(www.hatriacartoon.it).
Nel Salento sono due le rassegne dedicate
al fumetto. La prima è più longeva, la
prossima sarà la quinta edizione, e si
svolge in agosto a Santa Maria al Bagno
(Nardò). Nuvole di Carta è un festival
tra fumetti ed invenzioni che vuol essere
la proposta salentina agli appassionati
di comics. Si tratta di una “due giorni”
dedicata al fumetto e alla fantasia con
diversi appuntamenti per i bambini e
gli adulti. Tra gli ospiti di queste edizioni
Angelo Stano, il “papà” grafico di Dylan
Dog, la Melevisione, Roberto Diso, Claudio
Castellini.
Nel giugno 2006 l’associazione “Il Cantiere”
di Maglie ha organizzato la prima edizione
del Salento Fiera del Fumetto con la
partecipazione di Giuseppe De Luca, Ketty
Formaggio e del grande Sergio Staino (vedi
interviste a pagina 9 e 11).
A ppuntamenti
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lE STRADE MAESTRE DI kOREJA
“Un cartellone che guarda al futuro e ai
movimenti che agitano la scena artistica
contemporanea. Il meglio del teatro
europeo arriva a Lecce – afferma Franco
Ungaro, direttore organizzativo di Koreja per una stagione fuori dal comune perché
rispettiamo molto il pubblico ritenendolo
capace di esercitare al meglio le sue
capacità intellettive e critiche, evitando
di somministrare la solita e mediocre
paccottiglia televisiva”.
È questo il senso della nuova stagione
teatrale di Strade Maestre promossa dai
Cantieri Teatrali Koreja di Lecce, Provincia
di Lecce e Regione Puglia (e ancora una
volta ignorata dal Comune di Lecce).
Dopo la retrospettiva dedicata a Eugenio
Barba e la nuova dello studio di Koreja su
Il calapranzi di Harold Pinter per la regia di
Salvatore Tramacere, la rassegna entra nel
vivo.
Giovedì 9 e venerdì 10 novembre la
trentatreenne coreografa Sonia Gomez
e la madre sessantottenne Rosa Vicente
mettono in scena tra musica, danza e
parole Mi madre y yo, Un’analisi acuta,
attenta e senza falsi moralismi della società
spagnola contemporanea.
Sabato 11 e domenica 12 la compagnia
spagnola di Marta Galan presenta i
due spettacoli Lola e Machos (vedi foto
piccola). Nel primo Santiago Maravilla offre
una rivisitazione disorientata e poetica
della femminilità utilizzando i codici estetici
del punk, il trash e la canzone romantica.
Machos racconta invece un mondo
claustrofobico, patetico e eccessivo.
Martedì 14 e mercoledì 15 la coreografa
e ballerina salentina Barbara Toma (nella
foto in alto) presenta Freedom nel quale
affronta per la prima volta un tema che ha
segnato la sua adolescenza, quello della
follia. Freedom è un duetto sull’amore, sulla
sofferenza, immagini dell’adolescenza, del
difficile e sofferto rapporto con la madre,
nel tentativo di mostrare un altro lato della
follia. Un omaggio alla follia partendo dal
rapporto tra paziente e parente. Matto e
normale. Malato e sano.
Ancora spazio alla danza giovedì 16
novembre con Solo goldberg improvisation
della Compagnia Virgilio Sieni Danza e
venerdì 17 (in replica sabato 18) con lo
spettacolo di danza interattiva Danxy music
di Ariella Vidach e a seguire Soliloquy! della
compagnia barese Res Extensa.
Venerdì 24 e sabato 25 ultimi appuntamenti
Dal suono all’immaGine dall’immaGine al suono
Martedì 21 novembre si terrà a Galatina
la presentazione ufficiale del corso Dal
suono all’immagine dall’immagine al
suono organizzato dall’Assessorato alle
Politiche giovanili e dal Centro Progetto
Giovani, in collaborazione con Coolclub,
che si svolgerà dal 4 al 17 dicembre
(iscrizione gratuita). Il corso si comporrà
di due fasi. I ragazzi saranno seguiti
dall’attore e regista Ippolito Chiarello e
dal critico musicale Gianpaolo Chiriacò.
La prima fase del corso vedrà i docenti
interagire in un percorso teorico teso
a illustrare il legame tra immagine e
musica. A seconda delle abilità e delle
inclinazioni dei ragazzi il laboratorio
potrà intraprendere diversi percorsi volti
alla realizzazione di immagini e musiche
originali, alla produzione di materiale
video originale con l’utilizzo di brani
musicali già editi e allo stravolgimento
di materiale video e audio già esistente.
Info e iscrizioni 0836564097
per il mese di novembre con Circhio lume
della Compagnia Tardito/Rendina, uno
spettacolo costruito a quadri, che accosta
scenette da cinema muto, utilizzando
un linguaggio in bilico tra il tragico e il
grottesco. Un linguaggio clownesco, un
po’ caricato che racconta le debolezze
umane, i moti dell’anima e i drammi
della vita. Vestiti un po’ da clown, un po’
da ballerini malinconici, i tre attori della
compagnia lavorano come equilibristi
sulle panche, danzano al suono di musiche
strampalate e volteggiano al centro di un
circo irreale. Una scrittura per “cerchio”
che utilizza un linguaggio in equilibrio sul
crinale dell’ironia, che sempre sfiora il
ridicolo.
Venerdì 1 e sabato 2 dicembre il Teatrino
Giullare di Sasso Marconi presenta Finale
di partita di Samuel Beckett (premio
Nazionale della Critica 2006). Una partita a
scacchi tra attori-giocatori che muovono
le pedine e pedine personaggi che
muovono una delle storie più significative
ed enigmatiche della drammaturgia del
Novecento.
In Strade Maestre non manca la sezione
delle arti visive con mostre e installazioni
curate per il secondo anno da Angela
Serafino. Dal 28 ottobre sino a maggio,
il foyer sarà abitato dalle personali di
Giuseppe Scarciglia, Stefania Alemanno,
Cristina Cary, Daniela Zampagliene (artista
venezuelana), Adalgisa Romano, Marzia
Quarta e Dragan Rajsic.
Ingresso 10 euro (ridotto 7). Info www.
teatrokoreja.com; 0832.242000 – 240752.
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Scenastudio
La redazione di CoolClub.it non è responsabile
di eventuali variazioni o annullamenti.
Gli altri appuntamenti su www.coolclub.it
Per segnalazioni: [email protected]
AAA.
Giovani attori cercasi
Tra poesia e impeGno civile
Lo spazio Scenastudio di Lecce presenta
una rassegna nuova, fresca, fatta di
giovani talenti alla ribalta di stampa e
pubblico. Atto unico – tra poesia e impegno
civile presenta titoli che recuperano
la dimensione essenziale del teatro,
ponendo nel rapporto parola-ascolto,
attore-spettatore il binomio fondante della
propria forma espressiva.
Si parte giovedì 16 e venerdì 17 novembre
con la compagnia teatrale Scena muta
che presenta Confessioni. Quando il peso
sulla coscienza si fa insostenibile, quando
non riesci a dormire, quando devi urlare
al mondo il tuo segreto, chiunque può
diventare il tuo confessore. Lo spettacoloperformance, di e con Ivan Raganato, è un
viaggio nel tempo in cui i vari personaggi,
rappresentati dall’unico attore in scena,
confessano ad ignari spettatori, coinvolti
loro malgrado in una sorta di cena, le loro
colpe, desideri e peccati.
Giovedì 23 e venerdì 24 la compagnia
teatrale Teatro scalo mette in scena
Muccia. Lo spettacolo, di Michele Bia in
collaborazione con Franco Ferrante, è un
monologo che narra la storia di un ragazzo,
il bonaccione del paese che difende la sua
scelta di rimanere al Sud, contrariamente
agli amici che partono al Nord per trovare
lavoro, affermando che nel Meridione
lavoro ce n’è: basta trovarlo. Attraverso
la storia di Muccia si vuole narrare una
condizione comune a molti, per cercare
di capire questo nuovo fenomeno che
ridisegna le cartografie di flussi umani,
materiali e simbolici, ridefinisce tempi e
spazi di vita, determina su scala mondiale
e a vari livelli l’emergere dell’insicurezza
come stato d’animo epocale.
Muccia ha partecipato al progetto
organizzato dall’Università di Bari “Vite
precarie e tempo di narrare”, un ciclo di
appuntamenti, tra convegni e momenti
artistici, che parlano di precarietà.
Giovedì 30 novembre e venerdì 1 dicembre
la compagnia Prima quinta approda a
Lecce con il pluripremiato spettacolo Ad
un passo dal cielo “W la mafia” di Aldo
Rapè. Calogero Nicosia ha 30 anni. Da
bambino aveva visto cadere sotto i colpi
della mafia i suoi genitori, e diciottenne ha
deciso di vivere in alto, ad un passo dal
cielo. Lì ha scoperto la bellezza della libertà,
l’autenticità della natura, ha conosciuto se
stesso. Lassù è invincibile, può combattere
il mostro, può evitare i suoi colpi e può
anche riuscire, con rabbia e dolore, a
deriderlo gridando “W la mafia”.
Giovedì 7 e venerdì 8 dicembre il tarantino
Alessandro Langiu propone 25 mila granelli
di sabbia.
Il monologo tratta il complesso e
conflittuale rapporto della modernità
con il territorio e i suoi protagonisti, come
i ragazzi di “venticinquemila granelli di
sabbia”: Panz, Nunzio e Mustazz. È una
storia di oggi. Siamo negli anni settanta a
Taranto, durante i quali sono stati costruiti
i quartieri accanto all’impianto siderurgico
dell’Italsider, oggi Ilva.
Ingresso 10 euro (ridotto 7). Sipario ore
21.00. Lo Spazio Scenastudio è in via Sozy
Carafa 48/B a Lecce. Info 0832 279356;
www.scenastudio.it
Il panorama teatrale salentino si
arricchiesce di nuove esperienze. A
Calimera prende il via la Scuola Biennale
L’Attore sul Palco di Somnia Theatri. I
docenti di quest’anno saranno: per il
primo anno (corso di base) Federico
De Giorgi, attore e direttore artistico
e Sabrina Chiarelli, attrice formatasi
presso l’Accademia Teatrale Permis
de Conduire di Roma; per il secondo
anno (corso avanzato) la direzione
sarà affidata all’attore-regista Renato
Grilli. Info: 380/526 8 526 328/60 15 767;
[email protected].
Il Db D’Essai di Lecce ospita invece i
nuovi corsi dell’associazione culturale
Teatro La Nasca nata dall’esperienza
decennale dell’attore e regista Ippolito
Chiarello. I laboratori teatrali sono tre
e saranno tenuti da Ippolito Chiarello
(nella foto in alto) in collaborazione con
Cecilia Maffei e Graziana Arlotta.
Arrivano i Mostri è dedicato ai più
piccoli, Fuoriscena è il laboratorio rivolto
ai giovani, a tutti quelli che hanno
interesse ad avvicinarsi per la prima volta
al mestiere del teatro mentre Inscena
è il laboratorio avanzato che mira
all’allestimento di testi Shakespeariani
e a costruire una Compagnia Stabile.
lunedì 20 novembre ore 19 ci sarà
l’Incontro di presentazione dei corsi
Fuori Scena e In Scena presso il db
d’Essai. Per informazioni 0832390557 349 57 69 458
appuntamenti
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Musica
Ogni mercoledì / Live alla Negra Tomasa di
Lecce
Ogni giovedì / Sulle strade del Jazz con dj
Zanca e ospiti al Prosit di Lecce
Mercoledì 8 / Gianfranco Rizzo Soul Band
alla Negra Tomasa di Lecce
Venerdì 10/ Giovanni Allevi per Timezones al
Palamartino di Bari
La ventunesima edizione di Timezones
festival di musiche possibile prende il via
con il concerto del pianista Giovanni Allevi.
Dopo l’album No Concept, uscito nel
maggio 2005, che ha riscosso ampi consensi
di critica e di pubblico, è uscito Joy (Ricordi/
SonyBmg Music Entertainment), il nuovo
album di pianoforte solo. Inizio ore 21:30.
Ingresso 20 euro. Info www.timezones.it
venerdì 10/ Plung in allo ZenzeroClub di Bari
sabato 11/ Alessio Bertallot allo ZenzeroClub
di Bari
sabato 11/ Alpha e Omega all’Istanbul Cafè
di Squinzano (Le)
In questa serata dello storico locale
underground
salentino
spazio
alla
tradizione giamaicana che incontra le
basse frequenze del dub anglosassone. Un
progetto che valica i confini di un genere
musicale, creando uno stile unico. Ingresso
4 euro. Info 3209794012.
sabato 11/ Fuorioraria per Timezones al Pala
Martino di Bari
Enrico Ghezzi, Maurizio Martuscello, Mario
Fasullo presentano Fuorioraria. d(e)rive out
of music all’interno del ricco programma
di TimeZones. L’incontro tra un maestro del
linguaggio visivo e due fra i compositori
più affermati della scena
musicale
sperimentale dà luogo a un progetto di
grande interesse: un megaschermo su cui si
susseguiranno (e talvolta si sovrapporanno)
immagini ritagliate (in Blob style) riprese da
7 diverse fonti video, immagini sonorizzate
dal vivo da Maurizio Martusciello e Mario
Masullo (Mass) con l’obiettivo di arrivare ad
una sorta di transfert fra immagini e musica;
e per la prima volta, alla fine, sarà la musica
ad ascoltare le immagini. In apertura la
performance audiovisiva in dolby surround
5.1 About Ingmar Bergman di Mar.core.
Inizio ore 21:30. Ingresso 15 euro. Info www.
timezones.it
domenica 12/ Distant city per TimeZones al
Pala Martino di Bari
Il titolo-tema è Distant City. La percezione su
cui si è lavorato è quella dell’inappartenenza
e del sogno legati ad un’immagine della
città che si allontana, lasciandoci estranei
al suo dinamismo e al contempo al suo
torpore. Sul palco Mirko Signorile (piano),
Pasquale Bardaro (vibrafono), Vincenzo
Bardaro (drum set), Giorgio Vendola
(contrabbasso) affiancano il polistrumentista
Davide Viterbo e il grande compositore
Renè Aubry. In apertura spazio al chitarrista
Marco Cappelli. Inizio ore 21:30. Ingresso 15
euro. Info www.timezones.it
sabato 11/ Numero 6 alla Saletta della
Cultura di Novoli (Le)
martedì 14/ Langhorne Slim al Bohemien di
Bari
mercoledì 15 / Violet Soul alla Negra Tomasa
di Lecce
venerdì 17/ Jazzle-Pierluigi Balducci Small
Ensemble al Teatro Paisiello di Lecce
venerdì
17/
Niobe
per
TimeZones
all’Auditorium Vallisa di Bari
Il festival di musiche possibili Time Zones
ospita Niobe. Il suo stile è costruito
attorno ai suoni della lingua; le sue
onde vocali contribuiscono a rendere
l’atmosfera incantata ed unica, mentre
gli arrangiamenti strumentali risultano
assolutamente singolari ed ineffabili. Suoni
sorprendenti interrompono il flusso di ritmi
insoliti, spesso realizzati con l’ausilio del
sintetizzatore o anche in presa diretta. Dal
cupo suono di un basso alla melodia di
una chitarra acustica chiusa in un loop a
spirale; Niobe sa avvolgere l‘ascoltatore in
un viaggio sognante e rarefatto. Inizio ore
21:30. Ingresso 10 euro. Info www.timezones.
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CoolClub.it
sabato 18/ Zenzerology allo ZenzeroClub di
Bari
sabato 18/ Freddie Krueger alle Tre Masserie
di Aradeo (Le)
sabato 18/ Montecarlo Night con Tob
Lamare all’Istanbul Cafè di Squinzano (Le)
sabato 18/ Festa Dilinò a Cursi (Le)
Grande serata all’insegna della musica dal
vivo per festeggiare il quarto compleanno
di Dilinò, il centro di produzioni musicali di
Muro Leccese che ormai da anni rinnova
il suo anniversario di nascita con una
manifestazione che vede protagonisti
i suoi progetti e le sue produzioni,
accompagnandoli a numerosi ospiti della
musica salentina e non. La serata, infatti,
nell’ormai nota e affascinante cornice
del Palazzo de Donno di Cursi avrà come
momento live i concerti di due tra i maggiori
gruppi
salentini,
nonché
protagonisti
della scuderia artistica di Dilinò: Crifiu e
Mascarimirì. Saliranno sul palco, inoltre,
numerosi ospiti, tra gli amici e i collaboratori
di Dilinò, struttura ormai tra le più impegnate
quotidianamente a livello nazionale nella
produzione e promozione dei suoi progetti,
originali ed inediti, a metà strada tra la
tradizione e la contemporaneità. Ingresso
libero + consumazione 3 euro. Inizio ore
21.30. Info: www.dilino.com.
sabato 18/ Hic Niger Est al Circolo Arci ZEI di
Lecce
sabato
18/
Fennesz
per TimeZones
all’Auditorium Vallisa di Bari
Di base a Vienna, Christian Fennesz ha
acquistato una eccezionale reputazione
internazionale, imponendosi come uno
dei più innovativi compositori di musica
elettronica. Le sue pubblicazione possono
essere reperite su label quali Touch e Mego,
etichette che hanno reinventato il suono
digitale degli ultimi 25 anni, ma il lavoro
di Fennesz si distingue immediatamente
per l’incredibile carica emozionale e la
straordinaria abilità tecnica. Inizio ore 21:30.
Ingresso 10 euro. Info www.timezones.it
domenica 19/ Barbara Morgenstern per
TimeZones all’Auditorium Vallisa di Bari
Dopo aver suonato per un lungo periodo con
alcune band locali, aver cantato a capella e
aver avuto cattive esperienze con contratti
firmati per le major, dieci anni fa Barbara
Morgenstern ha cominciato a concentrarsi
sulle sue canzoni. La Morgenstern è un’artista
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di perfetta eleganza minimale, fresca icona
di un nuovo modo di intendere l’approccio
pop. Inizio ore 21:30. Ingresso 10 euro. Info
www.timezones.it
martedì 21 novembre/ Jam Session al Mind
the gap di Nardò (Le)
Roberta&Carlo presentano Jam Session,
un live itinerante dedicato ai musicisti
appassionati di tutti i generi. Dodici
appuntamenti per dodici locali tra le
province di Lecce e Brindisi. Info 3282703046,
3293538359. Inizio ore 21.00. Ingresso
gratuito.
mercoledì 22 novembre/ Sodastream +
Jackie O’Motherfucker
per TimeZones
all’Auditorium Vallisa di Bari
Doppio appuntamento per il Festival
TimeZones, diretto da Gianluigi Trevisi.
L’Auditorium Vallisa di Bari, che quest’anno
compie venti anni, ospita infatti Jackie
O’Motherfucker e Sodastream. Il primo
è il progetto del polistrumentista Tom
Greenwood. I Sodastream sono invece
un duo australiano composto da Pete
Cohen (contrabbasso, voci) e Karl Smith
(voce, chitarra, piano). I loro concerti
sono straordinari per intensità: quello che
impressiona è come riescano a tenere
incredibilmente alta la tensione emotiva
pur creando atmosfere delicate e rilassate.
Più spesso in duo che in trio (con batteria)
dal vivo riescono ad rapire senza scampo lo
spettatore, portandolo in un mondo in cui
non è possibile non emozionarsi. Inizio ore
21:30. Ingresso 10 euro. Info www.timezones.
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giovedì 23/ Soothsayers allo ZenzeroClub di
Bari
giovedì 23/ My way my ai Sotterranei di
Copertino (Le)
La redazione di CoolClub.it non è responsabile
di eventuali variazioni o annullamenti.
Gli altri appuntamenti su www.coolclub.it
Per segnalazioni: [email protected]
A ppuntamenti
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da giovedì 23 a domenica 26 / La città del
libro a Campi Salentina (Le)
venerdì 24/ Peter Hock (New order) dj set
allo ZenzeroClub di Bari
venerdì 24/ Diamanda Galas per Timezones
al Palamartino di Bari
Diamanda Galas è una delle cantanti che
hanno rivoluzionato il concetto stesso di
“canto” attraverso l’uso dell’elettronica
e un’espressività da ossessa. L’ultimo cd
Songs of Exile comprende canzoni ispirate a
testi di poeti esiliati tra i quali Cesar Vallejo
(Perù), Paul Celan (Romania), Gerard De
Nerval (Francia) e Henri Michaux (Belgio),
trasformate in musica dalla Galás; presenta,
inoltre, alcune poesie di PierPaolo Pasolini
e del poeta salvadoregno Miguel Huezo
Mixco nonché canzoni del compositore
armeno Udi Hrant, del compositore greco
Papioannou e degli americani John Lee
Hooker e Bosie Stuyvesant. Inizio ore 22.00.
Ingresso 20 euro. Info www.timezones.it
sabato 25/ Dj Suv all’Istanbul Cafè di
Squinzano (Le)
Dj Suv è cresciuto artisticamente dentro
una delle etichette più importanti per il
drum’n’bass, ovvero la Full Cycle, dove
come compagni di etichetta ci sono ad
esempio Roni Size e Krust. Suv è sicuramente
il più etnico di tutta l’etichetta, le sue
produzioni sono sempre state influenzate
dalle varie sonorità dei popoli con tradizioni
ancora in primo piano, il suo primo album
e’ un ottimo esempio. Ritmi spagnoli, sud
americani e africani fanno la loro parte
nella costruzione sonora di tutte le tracce.
Il suo dj set richiama questi echi lontani di
paesi ancora legati alle tradizioni ma allo
stesso tempo li propone affiancati dalle più
moderne soluzioni sonore. Info 3209794012
sabato 25/ Questlove allo ZenzeroClub di
Bari
sabato 25 e domenica 26/ Mei a Faenza
domenica 26/ Two dollar Guitar all’Istanbul
Café di Squinzano (Le)
La storia dei Two Dollar Guitar comincia
a Hoboken, NJ, USA quando Tim Foljahn
s’incontra con l’amico Steve Shelley mitico
batteristadei Sonic Youth. Dopo i primi cd
con vari tipi di influenze che caratterizzano i
lavori di chi non si ferma a una sola sonorità
ma sviluppa sempre nuovi sound c’è
l’arrivo del bassista Dave Motamed che da
l’apporto decisivo a quello che è l’attuale
formazione del gruppo.
L’ultimo CD Weak beats lame-ass rhymes
porta a maturazione la progressione del Lowfi psychedelic folk che caratterizza la storia
recente del gruppo. A questo si aggiunge
il lavoro con la bassista Janet Wygal e la
cantautrice Christina Rosenvinge vocals
and guitar. Dopo un anno di registrazione il
gruppo è in tour in tutto il mondo e approda
anche all’Istanbul Café di Squinzano.
Ingresso 8 euro (+2 di prevendita). Inizio 22.30.
Info www.coolclub.it - www.twodollarguitar.
com
domenica 26/ Noa al Teatro Politeama
Greco di Lecce
giovedì 30/ Giuseppe di Gennaro al Rubens
di Lecce
giovedì 30/ Alibia al Jack’n’jil di Cutrofiano
(Le)
venerdì 1 dicembre/ Alibia al Goblin’s Pub
di Brindisi
sabato 2/ Bandabardò allo ZenzeroClub di
Bari
sabato 2/ Alibia (live) all’Istanbul Cafè di
Squinzano
domenica 3/ Camera 237 ai Sotterranei di
Copertino (Le)
martedì 5 dicembre / Jam Session al
Mulligan’s di Maglie
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