autore degli affreschi della cripta del Peccato Originale a Matera

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autore degli affreschi della cripta del Peccato Originale a Matera
a cura di Rossella Villani
La grotta, più che cripta, si presenta come un’aula a forma di rettangolo irregolare che accoglie una serie
La parete di fondo narra gli episodi salienti della Genesi: la Creazione della Luce e delle Tenebre, la Creazione di Adamo, la Creazione di Eva dal costato di Adamo, Eva tentata dal serpente, Eva offre il frutto
proibito ad Adamo.
Il primo episodio raffigurato a partire da sinistra, la Creazione della Luce e delle Tenebre, è metaforicamente rappresentato da una coppia di opposti: una donna, dalla tunica decorata con perline e dai capelli
spartiti sulla fronte, che alza in alto le braccia, simboleggiante la Luce, e un uomo dalle braccia legate e
incrociate sul grembo, che allude al Buio. Il Creatore è qui rappresentato con il volto giovanile e imberbe
e con il nimbo crucesignato, mentre con la destra benedice e con la sinistra stringe il rotolo della Legge.
Le iscrizioni UBI (DOM)IN(U)S DIXIT FIAT LUX e (E)T D(OMI)N(U)S DIXIT FIAT TENE(BRA)
guidano all’esegesi della rappresentazione.
Se il Creatore imberbe deriva dalla tradizione paleocristiana, ripresa nell’arte carolingia e ottoniana, del
tutto originale risulta la rappresentazione figurata della Luce e delle Tenebre.
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di affreschi sulla parete di fondo e all’interno di tre ampie nicchie absidali nella parete di sinistra.
CULTURA
Gli affreschi della cripta del Peccato Originale
a cura di Rossella Villani
centrati sul contrasto Luce-Tenebre, la fonte da cui il fantasioso pittore trasse ispirazione. In particolare, secondo lo
studioso, egli si ispirò per la raffigurazione della Luce alla
“Sancta Mater Ecclesia” dell’Exultet Vat. Lat. 9820 .
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Nino Lavermicocca, identifica negli Exultet, gran parte in-
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A sinistra si sviluppano le varie scene del Peccato Originale. Nella prima Adamo è in piedi, accanto al Re-
dentore, del tutto simile al Creatore precedente ; nella seconda scena appare soltanto la mano di Dio nell’atto della creazione; nella terza scena Eva viene fuori dal costato di Adamo, il quale, con un atteggiamento di
devota gratitudine, protende le braccia verso la mano creatrice di Dio; nella quarta Eva, in piedi, è affiancata
dal serpente, attorcigliato all’albero del peccato; nella scena finale Eva offre il frutto ad Adamo.
La sequenza è accompagnata dalle seguenti iscrizioni esplicative: DEX(TE)RA D(OMI)NI DIXIT ADAM;
EBA; U(B)I (E)BA DIX(IT) A(D)AM CO(MEDE) (FRUCTU)M (HU)NC.
Tutta la parete è ravvivata da uno splendido tappeto di fiori di color rosso ed è bordata, in alto, da una cornice gialla ornata di nero, con decorazioni puntiformi bianche e gemme rosso-nere.
Lavermicocca rileva l’assenza, nelle illustrazioni miniate, del tema del Peccato Originale che trova invece,
sede, ben più aulica, in cicli pittorici e mosaici di basiliche paleocristiane, con i quali non possono instaurarsi confronti e connessioni, dato il carattere popolare delle pitture materane .
Certo invece è, per la scena relativa alla Tentazione di Eva in cui la donna ignuda, coperta dalla sola foglia
polilobata appare dubbiosa accanto all’albero su cui è avviluppato il serpente, il riferimento iconografico
alle antiche pitture murali delle Catacombe romane, che narravano interi episodi biblici.
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scovo: un diacono, con tunica drappeggiata, mantello giallo
e tonsura sul capo, versa acqua, da un’anfora, sulle mani del
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Più in basso è raffigurata la purificazione liturgica di un ve-
prelato, raffigurato con una tunica chiara coperta da una casula
pallio latino, decorato da corolle e triangoli e con un piccolo
copricapo a punta.
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rosa, decorata ai bordi da puntini, sulla quale pende il corto
Secondo Nino Lavermicocca la scena può alludere ad un momento preciso della liturgia terrena, la “lavanda
delle mani” che si diffonde a partire dall’VIII secolo, ma soprattutto nel X, grazie all’opera dei benedettini,
oppure può essere in relazione con il programma complessivo della decorazione della cripta e, quindi, riferirsi all’ “omnem clerum” presente nei rotoli di Exultet .
Sulla parete di sinistra le tre nicchie absidali contengono altrettante triarchie.
La prima presenta San Pietro, affiancato da Sant’Andrea e San Giovanni. Dell’immagine di Sant’Andrea
(SCS ANDRE) rimane soltanto il capo ricciuto con i grandi occhi neri. San Pietro (SCS PETRUS), colto
nell’atto di benedire, calza sandali e indossa un’ampia e drappeggiata tunica grigia a bande gialle e mantello rosso. Alla sua sinistra San Giovanni (SCS IOANNES), rivestito anch’egli di tunica e mantello, alza la
destra con la palma tesa, mentre, con la sinistra, mostra un libro riccamente rilegato.
Secondo Lavermicocca l’iconografia della scena conferma il favore goduto dalla rappresentazione di S.
Pietro nell’arte altomedievale, soprattutto in ambito campano, ove forte era tra l’altro la presenza greca.
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Inoltre il fatto che S. Andrea, fondatore della
chiesa di Costantinopoli, sia raffigurato in po-
vo della chiesa di Roma, è indice, secondo lo
studioso, del riferimento a temi iconografici
che accompagnarono, prima e durante lo scisma (1054), le discussioni attorno al primato di
La seconda triarchia mostra la Madonna con
Bambino, adorata da due figure femminili. La
prima di queste è priva di nome, la seconda è
indicata con la scritta: SCA LUCOTIA .
La Madonna Regina indossa un sontuoso abito, color arancio, ricamato a cerchi e bordato di gemme che si
infittiscono sulle spalle. Dal copricapo gemmato, a tre punte, cade un velo bianco che giunge quasi fino ai
piedi e che, nel tratto terminale, si arricchisce di una frangia seghettata. Sul viso ovale scendono i capelli
scuri divisi, sulla fronte, in due composte bande.
Le figure laterali, più piccole rispetto alla centrale, secondo lo schema della Deesis quindi, sono abbigliate
anch’esse con tuniche e dalmatiche, ma meno preziose e vistose di quelle della Vergine.
Secondo Nino Lavermicocca la Madonna Regina simboleggerebbe, nell’ambito del carattere devozionaleliturgico della decorazione, la “Ecclesia” trionfante nei suoi martiri, identificazione che si rifà sicuramente
alla teologia bizantina .
Inoltre lo studioso rimanda, per i confronti iconografici e stilistici, ad un gruppo omogeneo di opere, quali
gli affreschi di Santa Sofia a Benevento e quelli di S. Vincenzo al Volturno, alcune illustrazioni della “Benedictio Fontis” Casanatense, le miniature dell’Exultet Vat. Lat. 9820, la decorazione della grotta dei Santi
a Calvi, gli affreschi della chiesa dell’Angelo ad Olevano sul Tusciano, tutti datati tra la seconda metà del
IX secolo e l’XI.
IBIDEM, p. 408.
Poiché non esiste alcuna Santa nota come LUCOTIA, N. Lavermicocca (IBIDEM, p. 409) propone che l’iscrizione vada integrata con
altre lettere non più visibili che permetterebbero di interpretare la
scritta come: LUCE LETITIA
IBIDEM, p. 409.
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Roma .
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sizione subordinata rispetto a S. Pietro, vesco-
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La terza composizione rappresenta i tre Arcangeli. Al centro San Michele (SCS MIHAEL) , con tunica
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grigia a fasce gialle e mantello rosa, dello stesso colore delle ali, appare nell’atto di benedire con la destra
e di reggere un piccolo scettro con la sinistra. La figura di San Gabriele (SCS GBRIE), molto rovinata, è
identica a quella opposta di San Raffaele (SCS RAFAEL). Entrambe reggono, con la mano sinistra, una
sfera grigia e nera simboleggiante il globo terrestre e, con la destra, una croce rossa; indossano tuniche
grige a bande rosse, sotto un mantello bianco. I visi dei tre Arcangeli sono contornati da nimbi gialli orlati
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di nero e da una riccia capigliatura scura.
Anche lo stile della triarchia angelica rimanda a rappresentazioni occidentali, già citate a proposito della
triarchia con la Madonna Regina, tra cui l’Annuncio a S. Zaccaria in Santa Sofia a Benevento, gli Arcangeli
nella scena del Risveglio nell’Exultet Vat. Lat. 9820, gli angeli nella scena di Battesimo nella chiesa ad
Olevano.
Le triarchie sono alleggerite dalla presenza della decorazione floreale verde e rossa, già presente sulla pare-
te di fondo. Soltanto sotto la triarchia apostolica è visibile un motivo decorativo insolito, costituito da larghe
fasce a denti di sega sovrapposte, di diverso colore.
Le restanti pareti, un tempo anch’esse decorate, appaiono oggi spoglie o ricoperte da piccoli frammenti di
affreschi illeggibili che secondo Lavermicocca illustrano un ciborio con clipeo circondato dai quattro evan-
gelisti ed un clipeo sorretto dagli arcangeli Michele e Raffaele, come del resto chiariscono le didascalie:
LUCAS IOANES EU(ANGE)LISTA e A(RCH)ANG(ELUS) GABRI(E)L; MICH(AI)L.
Per quanto riguarda il primo, Nino Lavermicocca fa risalire l’origine del tema iconografico in un’opera del
patriarca di Costantinopoli, Germano, il quale ne fornisce anche l’esegesi.
Tuttavia oltre a diverse raffigurazioni orientali, abbiamo la presenza del soggetto anche in ambito occidentale già dall’VIII secolo, come fa notare il De Francovich a proposito delle miniature irlandesi e continentali. Mentre in tempi più recenti e in ambito più strettamente italo-meridionale esso riappare nei codici
miniati e negli Exultet .
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alla sfera benedettina, in particolare campana. Così Lavermicocca rinviene esempi nel nartece di Sant’Angelo in
Formis e nella cripta di Ausonia, ma ancora nel Salterio di
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Il clipeo sorretto da Arcangeli perviene, invece,
Stoccarda, nella chiesa dei Martiri a Cimatile, nella “bene-
grotta di Olevano, tutti risalenti al X secolo.
L’intero ciclo di affreschi denuncia una chiara mano latina,
per la libertà espressiva ed iconografica dei temi trattati,
oltre che per il semplice disegno di sapore provinciale che
contraddistingue le figure costruite, oserei dire, con la sola
linea di contorno.
Anche l’espressione dei volti allucinati, l’estro compositivo del pannello della Genesi e la nota allegra e
insolita, ma stupenda, della decorazione floreale riconducono ad un ambiente di cultura occidentale e latineggiante.
Si aggiunga, inoltre, che la Madonna viene raffigurata con un viso e un’espressione giovanili, in contrasto
con la regola dell’arte sacra orientale che vuole la Vergine non giovane, ma in veste di “anziana vedova
altolocata”, e con i capelli che fuoriescono dal velo, laddove nell’iconografia bizantina essi sono accuratamente coperti.
Il pittore del Peccato Originale dovette, con ogni probabilità, essere un benedettino legato alla tradizione
estetica e religiosa dell’arte romana, influenzato da schemi formali orientali che seppe mirabilmente fondere nell’arte che gli era propria.
Secondo Nino Lavermicocca gli affreschi risalirebbero ad un periodo compreso tra la seconda metà del
IX secolo e l’XI secolo, più precisamente intorno alla metà del X , durante la diaspora degli insediamenti
monastici latini nel territorio promossa dai Principi di Salerno.
G. DE FRANCOVICH, Osservazioni sull’altare di Ratchis a Cividale e sui rapporti tra Occidente e Oriente nei secoli VII e VIII d.C., in “Scritti di Storia dell’arte in onore di M. Salmi”, Roma, 1961, I, pp. 173-234.
Cfr. N. LAVERMICOCCA, p. 419.
IDEM, p. 410.
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dictio Fontis” casanatense e nella chiesa dell’Angelo nella
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Egli vi intravede “la contaminazione di elementi non facilmente separabili gli uni dagli altri, di quella
secondo il De Francovich , da forti influenze dell’arte siriano-palestinese del V-VIII secolo”.
La Grelle, chiamando in causa S. Sofia a Benevento e S. Vincenzo al Volturno, ne sottolinea “l’estrosità di
soluzioni iconografiche, la vivacità della narrazione, la cifra naturalistica, la dilatazione espressionistica
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cultura artistica definita “mediterranea” cha va dalla Spagna mozarabica all’Italia longobarda, marcata,
ed anticlassica”, oltre “al sermo vulgaris denso di laicità ed espressionismo occidentale” con cui stravolge
Valentino Pace, invece, reitera la datazione delle pitture al IX secolo, ovvero al tempo in cui forte era la
presenza longobarda in Basilicata e in cui Matera gravitava nell’orbita del Ducato di Benevento.
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G. DE FRANCOVICH, Osservazioni sull’altare di Ratchis a Cividale e sui rapporti tra Occidente
e Oriente nei secoli VII e VIII d. C, in “Scritti di Storia dell’arte in on. Di M. Salmi”, Roma, 1961, I, pp.
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omogenee della civiltà rupestre nell’ambito dell’Impero Bizantino: La Cappadocia”, C.D. Fonseca, Congedo Editore, 1981;
G. DE FRANCOVICH, Osservazioni sull’altare di Ratchis a Cividale e sui
rapporti tra Occidente e Oriente nei secoli VII e VIII d. C, in “Scritti di Storia
dell’arte in on. Di M. Salmi”, Roma, 1961, I, pp. 173-234.
A. GRELLE IUSCO: Catalogo della Mostra, Arte in Basilicata, Roma, 1981, p.
13.
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la liturgia bizantina e “all’irruenza popolaresca che nulla perde nella dilatazione mistica e visionaria” .
a cura di Rossella Villani
M. D’ELIA: I beni artistici e storici in Lucania, in “Mezzogiorno, Lucania, Maratea”, 1987;
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L’alto Medioevo, a cura di C. Bertelli, Milano, 1994, pp. 275-279;
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1981, p. 233.
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