Parte seconda 1 (Verso Colle Redentore: di pecore e novizie) All
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Parte seconda 1 (Verso Colle Redentore: di pecore e novizie) All
Che ci crediate o meno, romanzo di Gianluca Minotti, parte seconda, 1 Parte seconda 1 (Verso Colle Redentore: di pecore e novizie) All’alba del dieci settembre, nel giorno stabilito per la celebrazione del matrimonio, vestiti di tutto punto, Gorgio, Marisa, Giuliano, i signori Cianfrossi e il veterinario Viniti, si recarono alla stazione ferroviaria. Viniti e Gorgio, dandosi il cambio, spingevano un carrello, sul quale, adagiata sopra una tavola di compensato staccata appositamente dal muro divisorio tra la stanza di decompressione e il vano attiguo, riposava, beata, la signora Saveria. Beata perché fu l’unica a non doversi sobbarcare a piedi i due chilometri che separano l’alimentari dalla stazione, giacché il furgoncino delle consegne, proprio il pomeriggio precedente, era rimasto in panne. Marisa sfoggiava un abito in mikado di seta, bianco avorio, corto davanti e lungo dietro, con strascico, il velo in tulle a voliera. Bella. Ma di un bello che, vedendola camminare per Via America Latina, di sposarla veniva la voglia. Giunsero alla stazione che mancava un quarto d’ora, ed essendo il treno già sul primo binario, dopo aver fatto i biglietti, il signor Cianfrossi, in qualità di capofamiglia, ebbe il tempo di scegliere la carrozza che a suo avviso più si confaceva all’occasione. La penultima. Ché l’ultima era troppo dietro e la terz’ultima troppo avanti. La ispezionò. E dovette trovarla di suo gusto se, affacciatosi dal finestrino, ordinò a Gorgio e a Viniti di caricare la moglie. La quale non fu fatta sedere. Distesa sarebbe stata più a suo agio, asserì il veterinario, facendo notare agli altri come da un po’ la donna fosse solita restarsene sdraiata tutto il giorno. Era evidente, cioè, che stava bene così. E allora, occupati due gruppi di sedili, la lasciarono sulla tavola, posizionando il carrello in mezzo, lungo il corridoio di transito. Poi il treno partì. Stanchi e accaldati, Viniti e Cianfrossi proruppero in un profondo sospiro; e distesero le gambe. La qual cosa non piacque al controllore. Passato a compiere la sua missione d’obliteratore, l’uomo non solo s’adirò con il signor Cianfrossi perché aveva posato i piedi sul sedile di fronte con tutti i mocassini della festa, ma facendo il raffronto tra i biglietti esibiti e i viaggiatori, non gli tornavano i conti. In virtù di una certa abitudine professionale a simili calcoli, il controllore ci mise poco a constatare come i primi fossero in nu- 1 Che ci crediate o meno, romanzo di Gianluca Minotti, parte seconda, 1 mero inferiore di un’unità rispetto ai secondi: cinque biglietti contro sei persone. A nulla valsero le giustificazioni di Cianfrossi e le dottissime delucidazioni mediche di Viniti nel tentativo di render note all’uomo le condizioni della signora Saveria. Il controllore, rifacendosi al regolamento, dichiarò che non erano previste esenzioni di nessun tipo relativamente ai malati di cuore, ma che piuttosto esisteva un codicillo in cui era prevista la specifica casistica di carrelli adibiti a barella che potevano viaggiare solo accompagnati da personale ospedaliero. Infine il controllore staccò una multa di centocinquanta euro, e siccome nessuno pareva avere dietro così tanti soldi, toccò a Gorgio far fronte alla sanzione, ché proprio qualche giorno prima il signor Cianfrossi gli aveva pagato lo stipendio. Nonostante fossero le dieci del mattino, faceva talmente caldo che i sedili arroventati erano brace per i deretani, e poco scampo offrivano i finestrini abbassati: soltanto afa che stagnava tra gli effluvi dei campi concimati col letame; mentre nel vagone, inesorabile, s’alzava un tanfo rancido di sudore. La camicia del dottor Viniti, infatti, traspirava. Così come i calzini. Forse in parte per una cattiva qualità dei tessuti. In cerca di una posizione consona, e facendo scivolare avanti il sedile, Gorgio si concentrò per dormire. Ma lo sferragliare e fischiare del treno, il sobbalzare del sedile, il cigolìo del carrello della signora Cianfrossi – che mareggiava per il corridoio centrale, urtando gli scogli dei sedili – lo scoreggiare senza remore di Viniti, il quale a ogni rigirarsi lasciava partire uno schioppo, il ruminìo di Giuliano, alle prese con una gomma da masticare, lo sfrigolìo dei vetri incandescenti – sui quali friggevano gli insetti – lo sbattere della porta del gabinetto, da cui lo sciacquìo del water, glielo impedivano. Così come i rimbrotti del signor Cianfrossi, giacché, per il bottegaio, su Gorgio pendeva la colpa di non aver dotato il carrello di un apposito freno. Ed ecco il risultato. Gli toccava rincorrere la moglie in continuazione per evitare che, aprendosi magari una porta, infilasse un altro vagone, e ciao. Quando poi, dopo l’ennesimo urto, la tovaglia d’incerata che la copriva scivolò, rivelando Saveria in tutta la sua magrezza, il signor Cianfrossi prese a discutere con Viniti, mettendo in questione le cosiddette proprietà nutritive delle flebo che il veterinario aveva somministrato alla moglie fino a quello stesso mattino. Al che Viniti s’infervorò. Difese i benefici delle flebo fino allo stremo, inflebandosi lui stesso, lì, davanti a tutti. E che comunque il signor Cianfrossi stesse sereno: viste le condizioni in cui riversava, era altamente improbabile che la moglie potesse peggiorare ancora. E insomma, Viniti rassicurò il marito sulla situazione ormai del tutto 2 Che ci crediate o meno, romanzo di Gianluca Minotti, parte seconda, 1 stazionaria della sua signora, stando nel contempo bene attento a non scomodarsi troppo, poiché, con le ore che passavano, una flebo attaccata e il sole che cresceva d’intensità, egli era tutto un sudore che gli colava ovunque, e uno sbombardare col culo nel tentativo di sventolarsi. Adesso Viniti s’era allungato come sulla brandina dell’alimentari, e russava, rilasciando e gonfiando la bocca per poi nuovamente espletare soffi, metà gorgheggi, metà rantoli, in merito ai quali il signor Cianfrossi, ancora, ebbe ben presto da ridire. Seppure non a parole, ma soffiando, gorgheggiando, rantolando, ché s’era addormentato pure lui. Marisa intanto era tra le gambe di Giuliano, alla ricerca di quell’asta drizzatasi non così tante volte come lei avrebbe gradito. E Giuliano non ruminava più: deglutiva. Deglutiva, la saliva, certo, ma anche la gomma da masticare: una, due, sette volte, perché per sei gli tornò su. Strusciando sul pavimento, l’abito di Marisa si andava però imbrattando. La ragazza se ne avvide e fece per alzarsi, ma un lembo della gonna restò impigliato da qualche parte e si lacerò. Così, visto che oramai l’abito era comunque danneggiato, Marisa riprese l’attività da dove l’aveva interrotta. Nell’assistere a quella scena, Gorgio rimpianse i tempi andati, quando era lui al posto di Giuliano, e non trovando al momento altro modo per consolarsi, pensò di avviarsi al gabinetto. Ma proprio in quell’istante accadde qualcosa. O meglio, quel poco che stava accadendo finì di accadere e il treno si bloccò con un grande stridere di freni, sollecitati dal piede instivalato del macchinista. Un sobbalzo che destò Viniti e il signor Cianfrossi, interruppe l’esercizio di Marisa, afflosciò – forse per sempre – l’asta di Giuliano e scaraventò a terra la signora Cianfrossi. E dopo il sobbalzo, un portentoso rinculo fece scricchiolare l’intero vagone. Infine, quiete silente. Gorgio guardò dal finestrino per cercare di capire dove si fossero fermati. Stabilirlo sembrava però impossibile, giacché intorno si vedeva solo qualche casupola sperduta nella campagna. Chissà, forse erano stati costretti a quella sosta da una qualche precedenza e pazientare si doveva. Ma dopo mezzora erano ancora lì, fermi, con le porte chiuse, senza che nessun convoglio transitasse e senza nessuno venuto a dar ragguagli. 3 Che ci crediate o meno, romanzo di Gianluca Minotti, parte seconda, 1 E allora Gorgio si sporse dal finestrino. Ma non soltanto con la testa, bensì con tutto il busto, finché non disse che avanti c’era qualcosa, qualcuno, un capannello di persone, certo, ma che di più non distingueva. Neanche il tempo di rimettere la testa dentro, che Viniti, Cianfrossi, Giuliano e Marisa, già si stavano calando dagli altri finestrini. E sarebbero corsi via se Gorgio non li avesse richiamati: nella fretta, la signora Saveria era stata abbandonata tra i sedili, incastrata, con sopra la tavola e il carrello. Il signor Cianfrossi e il veterinario s’arrampicarono dentro il vagone per prestarle soccorso. Una volta sollevata da terra e rimessa sul carrello, Viniti espresse la necessità di trasportare la signora all’esterno in modo da farle respirare un poco d’aria di campagna. Non senza difficoltà, i due uomini alzarono il carrello per calarlo dal finestrino, ma non ci passava. Tentarono di calarlo di traverso. Niente. La tavola sporgeva. Tentarono da un altro finestrino. Allora Gorgio consigliò al bottegaio di scendere e farsi aiutare da Giuliano; poi, insieme a Viniti, calarono, nell’ordine: 1. il carrello, 2. la tavola; 3. la signora Saveria. Una volta all’aria aperta, però, a causa del terreno dissestato, non sembrò loro pratico portarsi dietro la signora. E così, avvolta nella sua incerata, la lasciarono sul ciglio della ferrovia, per poi finalmente incamminarsi. Un gregge di una ventina di pecore aveva invaso il binario. Il macchinista discuteva con il pastore, mentre il personale del Treno, tra cui il controllore, era indaffarato nel convincere gli animali a spostarsi. Un caprone, accovacciato di fronte alla motrice, assisteva indifferente ai richiami e ai fischi di chi voleva sloggiare lui e le sue protette. Accanto, raccolte in gruppo, dieci fanciulle vestite di bianco e con un velo in testa. Erano l’immagine incarnata della pudicizia: e infatti, come subito raccontò il pastore a Gorgio, erano novizie dirette al convento di Colle Redentore. Sennonché, perduto il treno alla stazione precedente e attese non più tardi del pomeriggio stesso dalla badessa, s’erano risolte di corrergli dietro, tagliare per i campi e costringerlo a fermarsi all’altezza di quella curva stretta che il convoglio doveva necessariamente percorrere a velocità ridotta. E tutto si sarebbe certo svolto secondo il loro piano, con il treno 4 Che ci crediate o meno, romanzo di Gianluca Minotti, parte seconda, 1 che in effetti si era arrestato, se non fosse stato per il gregge che stava pascolando nei pressi. Subito il caprone, forse ingannato dal colore bianco, aveva abbandonato le sue pecore ed era andato a sdraiarsi tra le novizie, pensando bene di far loro la guardia. Le pecore, affezionate a loro volta al vecchio caprone dopo anni di assidua e concorde pascolatura, e forse anche ingelosite dall’altro gregge, l’avevano seguito, mettendosi a brucare l’erba tra le traversine delle rotaie. E ora né il caprone né le pecore sembravano intenzionati a smuoversi: e questo nonostante tutti i tentativi di far marciare avanti e indietro le novizie, con la speranza che prima il caprone, di seguito le pecore, liberassero il binario. Il signor Viniti, presentandosi in qualità di fine conoscitore del comportamento animale, offrì il suo contributo. Si mise a quattro zampe, strusciò un po’ nell’erba, si profuse in un convincente belato, e iniziò a dimenare il culo, con il risultato che le pecore alzarono il muso, per poi però riprendere le proprie faccende. Le novizie, pentite per il trambusto provocato, e intimidite dagli sguardi di rimprovero del pastore e del macchinista, distesero una coperta sull’erba e si sedettero, stando bene attente a che le loro lunghe vesti castigate non rivelassero neanche una caviglia. Fu allora che si accorsero di essersi accomodate proprio in prossimità del signor Viniti. O, più probabilmente, il signor Viniti era caduto nell’identico errore del caprone, e scambiandole per pecore, strombazzava senza sosta a culo in aria, per richiamare l’attenzione e convincerle a seguirlo. A quella vista, le novizie, abituate a spettacoli di tutt’altra elevazione morale, si fecero all’unisono il segno della croce. Marisa, intanto, rimasta fino allora in disparte, iniziò a strillare dalla contentezza e a incitare Viniti a fare meglio la parte; poi, forse scontenta della prestazione, s’acquattò per terra e si mise anch’essa ad andar carponi. La sua performance riscosse immediato successo: e se anche le pecore mantennero imperterrite la loro indifferenza, non altrettanto il pastore, il macchinista, il controllore e gli altri addetti al treno, i quali, interrotte le proprie faccende, parvero apprezzare di molto quello spettacolo improvvisato. Il vestito stralciato, mostrava in tutta la sua nudità il sedere di Marisa, tanto che lo stesso Viniti, tornato indietro, e smettendo di belare per cominciare a nitrire, si soffermò a rimirare quel deretano su cui si frangevano i raggi del sole, rimandando tutt’intorno una lucentezza come da un vaso di porcellana. Le novizie, non credendo ai propri occhi, sgranavano il rosario. Il pastore, fattosi più appresso a Marisa, si lasciò andare a terra per meglio godere delle leggiadre forme. 5 Che ci crediate o meno, romanzo di Gianluca Minotti, parte seconda, 1 Il macchinista, il controllore, e gli altri membri di Trenitalia, si guardarono intorno titubanti; poi, come vincendo una certa timidezza, si misero anch’essi a quattro zampe, e tutti insieme inseguirono Marisa, la quale, risalita intanto per il prato, si stava infilando fra alcuni fitti cespugli, con Giuliano a correrle dietro. Non vedendosi più accerchiate da quegli estranei che avevano osato violare il loro eden, le pecore belarono in alto il loro giubilo. Le novizie, inginocchiate a pregare, strisciarono fin verso il fogliame e, scostati alcuni arbusti per meglio fissare in faccia il demonio, vennero trascinate dentro il cespo da enormi braccia mefistofeliche. Dopo che anche il signor Cianfrossi scomparve oltre i cespugli, Gorgio si ritrovò solo a meditare il senso dell’esistenza. Gorgio non seppe mai di preciso cosa accadde all’ombra di quella valletta che con le sue fronde impediva la visuale. Con lo schioppo dei rami e il frusciare dell’erba, giungeva però a lui un coro di sospiri. Le prime a riapparire furono le novizie. Si rassettarono la veste con le mani ancora appiccicose di liquidi proibiti, e volsero il viso all’alto dei Cieli, come cercando l’approvazione per l’esito della loro battaglia, volta a rimettere il diavolo all’inferno. Subito dopo, preceduti da risate catarrose, vennero fuori in fila indiana gli uomini, con le cinghia dei calzoni ancora dondolanti, e con le cicche in bocca a sfumazzare la loro virilità. E, per ultimi, Marisa e Giuliano. Lei, avanti: il corpetto dell’abito nuziale strappato, senza reggiseno, lasciava impudicamente ballonzolare le sue poppe; lui, subito dietro: i pantaloni arrotolati alle caviglie, la camicia aperta sul petto, si trascinava zompettando. E le sue gambe, così striminzite e flaccide, lasciavano intendere a Gorgio, non solo quanto facessero fatica a tenere in quel momento il passo della compagna, ma, più in generale, quanto inadeguate fossero a sostenere il cammino di Marisa per il resto della vita. Forse per una sorta di premonizione, o forse soltanto per un subitaneo sentimento di nostalgia, il signor Cianfrossi, uscito dal cespuglio recando in mano un mazzolin di rose e viole, si avviò verso il treno, chiamando a gran voce la moglie. Viniti, rammentandosi della lauta parcella che gli era pagata mensilmente dal consorte della sua assistita, trotterellò dietro al signor Cianfrossi, pronto a raccogliere al volo delle monetine che saltellavano dalle tasche sbottonate del bottegaio. L’intenzione era quella di restituirle al legittimo proprietario, e se poi se ne fosse dimenticato, farne obolo al sacro ordine delle novizie. 6 Che ci crediate o meno, romanzo di Gianluca Minotti, parte seconda, 1 Si erano appena allontanati da Gorgio e dagli altri, quando, inversamente proporzionali alle figure che rimpicciolivano, si levarono alte le grida. Gorgio, Marisa, Giuliano e le novizie si precipitarono a vedere cosa fosse accaduto. Che qualcosa di grave stesse accadendo, lo avvertì anche il caprone. Appena le novizie corsero via allarmate, abbandonò le rotaie e prese a inseguirle, tallonato a sua volta dalle pecore e, ancora dietro, dal pastore, dal macchinista, dal controllore e dagli altri uomini. La signora Saveria era scomparsa. Il signor Cianfrossi, il primo a giungere laddove l’avevano lasciata, strigliava Viniti, reo, a suo dire, di non averla vegliata a sufficienza. Dal canto suo, il veterinario pareva invece impassibile: non per aridità d’animo, ma perché l’esperienza gli aveva insegnato come in questi casi mantenere il controllo sia fondamentale per trasmettere fiducia e speranza. In proposito, snocciolò tutta la letteratura relativa a fatti analoghi: lui stesso era stato più volte testimone di sparizioni improvvise di pazienti gravemente ammalati, i quali, in un modo o in un altro, ancora in vita o già trapassati, prima o dopo venivano fuori. Come quella volta in cui una cavalla che gli era stata data in cura fuggì trascinandosi dietro tutto il calessino dove giaceva il figlio di appena tre anni del fattore. Il caso era dei più complessi, giacché anche il bambino era malato. Soffriva, infatti, di una preoccupante forma di tosse bronchiale. Grazie alla quale, però, diverse ore dopo – battendo i boschi del circondario e aiutandosi con i ripetuti colpi di tosse che gli giungevano di lontano tra gli alberi fitti e l’ancor più fitta notte – riuscì infine, egli, il dottor veterinario Viniti, a ritrovarli. Poco importava se poi la cavalla, al solo rivederlo, s’era imbizzarrita al punto da sbalzare il bambino in uno stagno, da cui lui, non sapendo nuotare, e avendo in generale con l’acqua un rapporto conflittuale, s’era guardato bene dal tuffarsi. Quest’esperienza tornava ora utilissima: gli suggeriva, cioè, il modo di risolvere il mistero della scomparsa della signora Saveria, tanto più che non essendo lei una cavalla, qualora fosse stata in grado davvero di spostarsi con le sue gambe, non sarebbe comunque potuta andare altrettanto lontana. Il ragionamento di Viniti non faceva una grinza e trovò tutti concordi: da Cianfrossi al macchinista, da Marisa a Giuliano, dal pastore al suo caprone, che era rimasto immobile ad ascoltare Viniti, con le corna all’insù, sbattendo un paio di volte le orecchie per scacciare le mosche. 7 Che ci crediate o meno, romanzo di Gianluca Minotti, parte seconda, 1 Insomma, il veterinario fece disporre i presenti tutt’intorno, secondo uno schema ripreso dai manuali sulla caccia grossa, e non soddisfatto del numero raggiunto, piazzò nello schieramento anche le pecore e il caprone. Ordinò a tutti di mettersi a quattro zampe e di procedere adagio, aprendo per bene i padiglioni auricolari in modo da cogliere il più lieve movimento e il pur minimo lamento. E proprio mentre il gruppo si apprestava a compiere il primo giro di perlustrazione, da una radio posizionata chissà dove, proruppe un motivetto ballabile che, istintivamente, indusse Viniti a dimenarsi, mandando a rotoli ogni suo piano e infrangendo il silenzio. Il veterinario si abbandonò a una danza sconnessa di mirabile destrezza, accompagnato da belamenti che tenevano il ritmo della canzoncina. Quando poi, però, il brano terminò, il caprone continuò a canticchiare. E anzi, senza sentire ragioni e dar retta agli ordini del pastore, stava proteso sull’orlo di un fossato, puntando le corna in giù . Naufragato il piano di Viniti, il signor Cianfrossi, seduto sull’erba, si tolse rabbiosamente le scarpe e le lanciò con stizza. Il macchinista gli si avvicinò, e dopo avergli offerto un goccio di un qualche intruglio che teneva con sé in una bottiglietta, adocchiati i mocassini del bottegaio, li raccolse, per poi, una volta sfilati i suoi stivaletti, indossarli con soddisfazione. Il controllore, che ai piedi portava un paio di Geox tutte consunte, si gettò sugli stivaletti e li calzò lasciandosi andare a un fischio di approvazione. In quel guazzabuglio in cui ci si dava da fare per aiutare il signor Cianfrossi, per forza di cose molti indumenti cambiarono di padrone, mentre altri gingilli riapparvero altrove. Ora Viniti si scagliava contro il macchinista, il quale spintonava il controllore, che a sua volta s’azzuffava con il pastore, il quale sincronizzava un paio d’orologi prima di metterli al polso. Nessuno, insomma, pareva badare al vecchio caprone che, sopra il terrapieno, belava nonostante la radiolina tacesse ormai da tempo. Sconsolato, scuoteva il muso da una parte all’altra, poi, rivolte le pupille alle pecore e alle novizie come a rassicurarle, scomparve nel fondo del fossato. Tempo due minuti e tornò su, tenendo avvolta tra le corna un’incerata che andò a consegnare al signor Cianfrossi. Il bottegaio, cacciati frettolosamente nelle tasche due portafogli – della cui provenienza, qualora gli fosse stata posta la domanda a bruciapelo, non avrebbe saputo dare risposta, se non aprendoli per sbirciare i relativi documenti – riconobbe all’istante l’incerata e, interdetto, non sapendo da dove provenisse e chiedendone ragione, la sventolò a Viniti. 8 Che ci crediate o meno, romanzo di Gianluca Minotti, parte seconda, 1 Il caprone, allora, per compiere fino in fondo il proprio dovere e finirla una buona volta, pensò che l’unica cosa da fare fosse scortare il bottegaio e il veterinario sull’orlo del fossato. Ma visto che i due non sembravano intenzionati a seguirlo, ne prese uno a calci e l’altro a cornate, e li depositò sul ciglio. Soltanto a questo punto, non si sa se prima Viniti, prima il signor Cianfrossi, o nello stesso istante, ma comunque soltanto dopo che il caprone, per costringerli a guardar giù, scendesse nuovamente, videro la signora Cianfrossi riversa sul fondo del fossato, indifferente a tutta la cagnara. Il gruppo si ricompose e si studiò il metodo più pratico per recuperare la donna, giacché era chiaro che se avessero dovuto aspettare i suoi comodi, tanto valeva iniziare a pensare al modo di attrezzarsi per la notte. Il macchinista suggerì di chiamare un elicottero della polizia ferroviaria; il pastore di rimandare intanto giù il caprone per prestarle i primi soccorsi; il controllore di lasciarla lì fintantoché non si lamentava; le novizie di pregare affinché intercedesse lo Spirito Santo; il signor Cianfrossi disse che si sarebbe calato Viniti, Viniti invitò il bottegaio a calarsi lui; Marisa chiese a Giuliano una prova d’amore, Giuliano raccolse un ciclamino e glielo donò; il caprone puntò le corna contro le pecore, le pecore belarono contro il caprone. Poi Gorgio propose di fare una cordata, di affidarsi, cioè, al contributo di ognuno per il recupero della donna. Ma appena chiese chi volesse scendere con lui nel fossato, chi sistemarsi lungo il declivio e chi sopra, si dileguarono tutti. Marisa presa dall’urgenza di urinare, Giuliano di defecare, il macchinista e gli uomini di Trenitalia di tornare in cabina per informare la stazione successiva del notevole ritardo, il pastore di radunare il suo gregge e Viniti di visitar le pecore. Il signor Cianfrossi ebbe un attacco di panico che lo costrinse a contare e ricontare il malloppo di banconote di cui era venuto misteriosamente in possesso senza essere in grado di raccapezzarsi. Sul luogo restarono Gorgio e le novizie. Gorgio chiese alle novizie di alzarsi le vesti. Esse ubbidirono. E sollevando le vesti, le fanciulle rivelarono la presenza di una corda che le teneva legate alle caviglie. Gorgio sciolse i dieci nodi e liberò le novizie e liberò la corda. Che servì per tirare su il carrello e la tavola, mentre la signora Cianfrossi, Gorgio se la caricò sulle spalle. Finalmente in salvo, la donna fu affidata alle cure di Viniti, il quale, sotto lo sguardo perplesso del caprone, la collegò a un respiratore artificiale. Un piccolo macchinario che, mantenendo i polmoni a una bassa temperatura, ne avrebbe rallentato di molto i tempi di imputridimento. Giacché, asseriva Viniti, che una madre 9 Che ci crediate o meno, romanzo di Gianluca Minotti, parte seconda, 1 assistesse al matrimonio della figlia con i polmoni in avanzato stato di decomposizione, era una cosa oltremodo ributtante. Per lei, per la figlia, nonché per i suddetti polmoni. Il treno fischiò. Era tempo di ripartire, ma non di salutarsi, ché le novizie dovevano raggiungere Colle Redentore, così come il pastore, a cui avevano raccontato come l’erba del convento fosse assai miracolosa. E così il signor Cianfrossi invitò tutti ad accomodarsi nel suo vagone. Proposta che non dovette garbare molto al caprone, il quale, salito comunque in carrozza con dignità, escrementò il proprio disappunto sul pantalone di Viniti. 10