1969.03.11 - Comunità dell`Isolotto

Transcript

1969.03.11 - Comunità dell`Isolotto
11.03.69 Zola Sonkosi e Sudafrica
BA019
(Interventi di: Daniele Protti, Enzo Mazzi, Paolo Bencivenni, GiampaoloPazzi, Sergio Gomiti, Zola
Sonkosi, Luciana Angeloni, Urbano Cipriani)
Daniele P.: E’ qui con noi il nostro amico Zola Sonkosi. Ha ventisei anni, è sudafricano ed è esiliato
da Sudafrica perché è stato condannato a quindici anni di galera dato che svolgeva una attività
considerata sovversiva dalle autorità razziste del Sudafrica. E’ riuscito a fuggire prima che lo
mettessero in prigione e naturalmente non può più tornare in Sudafrica. La sorella è in un campo di
concentramento, la madre e il padre sono là ed è da anni che non li vede. Ora lavora qui in Europa.
Cura il collegamento tra i vari movimenti rivoluzionari europei e i movimenti di liberazione africani
soprattutto per quel che riguarda l’Italia, la Francia, la Spagna, la Svizzera e l’Austria. Il suo lavoro
si incentra soprattutto su un tipo di collegamento con tutti i vari movimenti e per fare conoscere i
problemi dell’Africa del sud e per far conoscere lo sfruttamento, l’oppressione, la discriminazione
che viene perpetrata nel Sudafrica nei confronti di dodici milioni di africani e anche per trovare in
qualche modo degli aiuti, aiuti politici, aiuti economici, aiuti anche di medicine. La richiesta, per
esempio che ha avanzato poco tempo fa, l’altro ieri a Torino davanti a un gruppo di persone, che
alcuni medici che vogliono impegnarsi potrebbero andare a raggiungere nello Zambia i comitati di
guerriglieri che lavorano per la liberazione dell’Africa dai colonialisti e dagli sfruttatori. Una cosa
che mi permetto di dire io, e che non mi ha suggerito direttamente lui, anche se l'ho capito da
quanto mi diceva, cioè questa sera, alla fine, prima di uscire se potessimo lasciare qualcosa non
tanto per lui in quanto Zola ma per il suo movimento. Se qualcuno si vuole incaricare, poi, alla fine,
quando si finisce, di raccogliere qualcosa. E' un aiuto che noi diamo a lui e indirettamente a tutto il
movimento di liberazione degli africani. Ha preparato una breve introduzione su quella che è la
situazione nel Sudafrica con speciale riferimento alla posizione della Chiesa cattolica nei confronti
della discriminazione in Sudafrica. Zola poi è particolarmente documentato sui rapporti che lo Stato
italiano ha col Sudafrica. Sono d'accordo nel dire che è importante. Mentre i governo italiano
attraverso il suo ambasciatore alle Nazioni Unite dichiara di non condividere il sistema di governo
sudafricano e dichiara che non eviterà mai in nessun modo l'argomento del Sudafrica e di tutti gli
altri paesi razzisti, mentre proprio nello stesso momento in cui fa questa dichiarazione, in Sudafrica
la FIAT installa delle industrie che costruiscono aerei da guerra, e nello stesso momento
l'ambasciatore italiano in Sudafrica, rappresentante dello Stato italiano, della sede italiana diretto da
un ministro degli esteri socialista, Nenni, che cosa fa? Attua lo stesso tipo di discriminazione che
attuano i sudafricani bianchi. Non c'è nessun africano negro naturalmente impiegato nell'ambasciata
italiana, nessun negro africano può entrare nell'ambasciata italiana proprio come in un qualsiasi
altro locale del Sudafrica. E questo nonostante che l'ambasciata sia territorio italiano. Ecco quindi
che ci sono alcuni fatti molto gravi che compromettono gravemente la nostra presenza nel
Sudafrica. Zola batte soprattutto su questo punto che è questo: il razzismo dei bianchi sudafricani si
fonda su due grossi poteri, da una parte il potere economico e abbiamo visto come la FIAT è
impegnata. Vi cito un dato: l'Italia nel 1962 investiva in Sudafrica cinque milioni di sterline. Dopo
la dichiarazione alle Nazioni Unite, che vi dicevo prima, in cui si diceva di non collaborare in
nessun modo con questo Stato, dai cinque milioni di sterline si è passati ai quarantadue milioni del
'68. Questo per far vedere a cosa servono certe dichiarazioni. Si è ricordato, non per polemica
spicciola ma perché purtroppo è la verità, che il ministro degli esteri è socialista. Ora c'è un altro
fatto come dicevo. Il primo punto è la potenza economica e l'Italia ne è partecipe. L'altro pilastro su
cui si basa il razzismo in Sudafrica è la Chiesa, non solo la cattolica ma anche le Chiese protestanti.
Ma la Chiesa cattolica batte sempre tutti per quel che riguarda l'organizzazione e la perfezione. E
l'organizzazione e la perfezione vuol dire adeguamento alla struttura bianca sfruttatrice, colonialista
e razzista. Comunque ce ne potrà parlare meglio lui.
Zola Sonkosi: [parla in inglese, traduce Daniele P. Qui viene riportata solo la traduzione in
italiano].
Prima di tutto voglio esprimere la mia soddisfazione e la mia gratitudine da parte del Movimento
del Congresso Nazionale Africano nei confronti del popolo italiano per la sua partecipazione, il suo
interessamento in Sudafrica. Il problema della discriminazione razziale in Sudafrica si concentra su
un punto, cioè il fatto che tre milioni di bianchi opprimono e dominano su dodici milioni di negri.
Io credo che questo sia totalmente contrario a qualsiasi logica cristiana. L'intera popolazione del
Sudafrica è composta dal 50% da protestanti, il 30% da cattolici e il 20% da altre minoranze
religiose. La Chiesa cattolica nel Sudafrica è largamente isolata dalla vita della Chiesa universale. Il
Concilio Vaticano II° ha accentuato la tendenza di allargare la frattura tra le forme tradizionali di
organizzazioni pietistiche e le forme di relazioni pubbliche nei confronti della vita secolare il che è
fortemente accentuato nella Chiesa locale nel Sudafrica. La Chiesa cattolica nel Sudafrica è
fortemente integrata, compromessa in una società che reprime i negri e resiste a ogni tentativo di
rottura socialista. Praticamente dice questo: fino dal quindicesimo secolo c'è una tradizione dentro
la Chiesa che riporta alla situazione attuale, cioè una situazione che comprende tutta una serie di
privilegi che la Chiesa è riuscita ad ottenere nei confronti della colonizzazione dell'Africa intera e
che nel Sudafrica si è accentuata, si è concretizzata in un capitalismo basato su forme razziste,
militari e totalitarie. I cattolici del Sudafrica vengono aiutati, vengono sostenuti dalla gerarchia
vaticana per sostenere una specie di necessità cristiana che consiste nel rigettare tutte le istanze
sociali per superare quella che è l'attuale struttura sociale del Sudafrica. I cattolici sudafricani
vengono aiutati, vengono sostenuti dalla gerarchia vaticana nel mantenere, nel sostenere un sistema
sociale che opprime i negri. Questo è il discorso che è un po' difficile tradurre.
[A questo punto sembra che Daniele P. traduca da uno scritto di Zola piuttosto che tradurre le parole vive di Zola].
Essi hanno una notevole negligenza nei confronti delle angustie sociali e politiche della vita
contemporanea. I vescovi cattolici sudafricani come del resto il Vaticano nel Sudafrica hanno palato
spesso contro la segregazione tuttavia permettono che la segregazione razziale esista anche nelle
loro chiese.
[Riprende la traduzione dalle parole di Zola]
La pratica della segregazione benché non sia riconosciuta ufficialmente dal Vaticano esiste in tutte
le cattedrali, nelle società ecclesiali, nella amministrazione delle chiese, delle scuole, dei conventi,
dei seminari, negli ospedali che appartengono alla Chiesa cattolica. E’ venuto il momento nel quale
tutte le persone che hanno una fede religiosa nel mondo condannino apertamente l’attività del
Vaticano nel Sudafrica e lo costringano a perseguire più rigorosamente, a promuovere più
rigorosamente il cambiamento che deve avvenire nella pratica e che la legge di Cristo chiede. Il
Vaticano condanna il razzismo in generale ma lo permette, lo sopporta, lo adegua in qualche modo
nel Sudafrica. L’arcivescovo del Sudafrica ha tentato di iniziare un programma piuttosto rigoroso di
una riforma morale, psicologia e sociologica all’interno della Chiesa tuttavia il suo programma non
è stato approvato dl Vaticano come d’altronde riporta la corrispondente di Helder nell’aprile
del’68. Il Vaticano, là, nel proclamare la funzione all’interno della Chiesa la gerarchia vaticana ha
fallito nel dichiarare nel proclamare la dignità e la funzione all’interno della Chiesa degli africani.
La stampa cattolica, la stampa controllata dai cattolici nel Sudafrica è stata censurata spesso ogni
qualvolta nascevano delle controversie riguardanti l’andazzo sociale della gerarchia. L’arcivescovo
del Sudafrica ha chiaramente ceduto a tutte quante le pressioni di cui è stato oggetto dalla parte
della supremazia bianca. L’ordine religioso dei Paolini e dei Gesuiti nel Sudafrica hanno rifiutato di
mettere in pratica i veri insegnamenti di Cristo e continuano ad essere compromessi con l’apartheid,
la discriminazione razziale. Nel Sudafrica noi vediamo la segregazione di fatto a tutti i livelli della
Chiesa. La Chiesa nel Sudafrica sta soffrendo di tutte quelle limitazioni, di tutte quelle persecuzioni
che vengono provate anche dall’Isolotto. Non vi è alcuna prova, non vi è alcuna evidenza, non si
riesce veramente a riconoscere come la maggioranza dei cattolici bianchi nel Sudafrica sia
scandalizzata almeno dalla rigida separazione delle comunità all’interno della Chiesa basata sul
colore. A Johannesburg vi è un ospedale che viene tenuto dalle monache soltanto per bianchi ed è
stato costruito con una spesa di mezzo milione di sterline. A Pretoria una scuola per ragazzi bianchi
che è diretta dall’Associazione dei Fratelli Cristiani ed è stata fondata unicamente per insegnare ai
poveri, per insegnare alla povera gente e la costruzione di questa scuola a Pretoria ammonta a
quattrrocentomila sterline. Questa spesa di cui si parlava prima corrisponde più o meno al bilancio
annuale, al reddito annuale di tutta la nazione e corrisponde a ciò che viene speso annualmente per
tutte le scuole fondate dalle missioni per gli africani, tutto il sistema delle scuole delle missioni per
gli africani che contengono solamente novantamila ragazzi su dodici milioni di abitanti. La
parrocchia di Rosban, un sobborgo di Johannesburg che è abitata da bianchi molto ricchi ha
costruito la sua chiesa nel 1968 spendendo quarantasettemila sterline mentre i preti africani, nella
riserva africana che si trova vicino a Johannesburg, un campo di concentramento in pratica, con una
popolazione di mezzo milione di africani poveri hanno scritto una lettera molto forte per chiedere la
costruzione di una chiesa che costasse diecimila sterline. Ma non riescono naturalmente a trovare
questa cifra. La diocesi di Johannesburg, che è la più importante del paese da ogni punto di vista, ha
duecentosettantanove monache che insegnano nelle scuole bianche e soltanto 39 monache nelle
scuole missionarie per gli africani. Tutti i quattordici preti e cinquantuno diaconi che insegnano
nella diocesi insegnano soltanto nelle scuole bianche. Il numero dei cattolici bianchi di
Johannesburg ammonta a circa settantamila bianchi e centoquarantamila africani. Gli insegnanti
africani che lavorano nelle scuole delle missioni cattoliche sono pagati soltanto circa il 10% circa di
quello che percepisce un insegnante bianco con la stesa qualifica.
[Al giro 181 appezzatura sul nastro che impedisce i passaggio. Operare il passaggio a mano]
Pensioni, cassa malattia non esistono assolutamente. Lo stesso vale per i preti africani naturalmente.
Chiede se preferite andare avanti con delle domande o se può finire. Domande sul Sudafrica in
generale.
Voci varie: Qualche domanda. Facciamo delle domande, poi può riprendere.
Daniele P.: Una domanda era questa: Se come in certi Stati, in certi posti degli Stati Uniti
d’America ci sono chiese solo per i bianchi e chiese solo per i neri.
Zola S.: Esistono le chiese per soli neri e le chiese per soli bianchi.
Voce femminile: Nel papa hanno fiducia?
Zola S.: Se il papa non fa nulla, no certamente. Finché il papa non farà qualcosa di chiaro, di
preciso per il Sudafrica io non potrò avere alcuna fiducia in lui.
Voce maschile: Perché i preti africani neri non si ribellano a questa situazione e non fanno qualcosa
per i loro fratelli.
Daniele P.: [traduce] Zola conosce personalmente alcuni preti che hanno preso posizione nei
confronti della discriminazione razziale e che in qualche modo si sono ribellati. Ebbene, tutti questi
preti sono stati espulsi non solo dallo Stato, non solo sono stati imprigionati, denunciati, perquisiti
ma anche la gerarchia cattolica li ha espulsi, perché diventa sempre più difficile per un prete, e noi
ne sappiamo qualche cosa, muoversi per fare qualcosa per cambiare le cose.
Luciana A.: A parte che la gerarchia è dalla parte del potere, come vedono la presenza di missionari
bianchi nelle riserve dove insegnano e dove danno da mangiare perché mi risulta che nelle riserve
molti di questi negri mangiano un pasto al giorno ed è l’unico pasto che dà loro la missione. Come
vedono la presenza di questi missionari bianchi nelle riserve e se l’insegnamento della scuola dato
dai missionari occidentali ai neri delle riserve è un insegnamento che loro considerano utile ai fini
di una presa di coscienza della popolazione negra di questi problemi
[Ancora rottura e riappezzamento del nastro al giro 226]
Zola S.: La notizia secondo la quale viene dato del cibo dai missionari bianchi nelle riserve non
corrisponde al vero. Il ruolo dei missionari bianchi nei campi di concentramento degli africani nel
Sudafrica praticamente è nullo per quel che riguarda un aiuto sostanziale, concreto alla lotta della
popolazione africana in quanto che, inevitabilmente, necessariamente coprono quello del governo.
Per esempio, se un missionario agisce in modo non conforme a quello che è l’andazzo generale
delle missioni nel Sudafrica ci pensa subito il vescovo a sistemare le cose.
Daniele P.:[riporta la domanda] I negri hanno qualche modo di influire in qualche modo sul
Parlamento o almeno sulla vita del Governo dal punto di vista elettorale?
Zola S.: La costituzione del Sudafrica non prevede alcun diritto politico per i negri perché è fatta
solo per i bianchi. Bisogna ricordare che in tutta la colonizzazione dell’Africa e in particolare nel
Sudafrica c’è un fenomeno particolare che noi conosciamo almeno dai libri, cioè il fenomeno dello
schiavismo. Ebbene ancor oggi nel Sudafrica ci sono tutt’oggi gli schiavi. I negri non hanno diritto
di voto, non possono essere eletti al Parlamento, non possono entrare nell’esercito. In pratica sono
tenuti prigionieri in grandi campi di concentramento. Ora sta nascendo un moto di rivolta contro
tutto questo sistema. Aggiungo che è lo stesso tipo di rivolta che anche l’Italia conobbe nel secolo
passato con Garibaldi, Cavour, cioè contro la dominazione straniera.
Urbano C.: E’ vero che anche in Sudafrica esiste la pena della frusta per legge?
Zola S.: Si, c’è una legge che prevede che i prigionieri africani possono o debbono essere frustati e
questa legge è solo per i negri e non per i bianchi.
Urbano C.:La Chiesa cattolica ha preso posizione contro questa legge come si piglia posizione dalla
Società Protettrice degli Animali in Europa. Se ci fosse una legge che permette di fustigare un
animale si fa denuncia a questo tale che fustiga un animale e o andrebbe in galera o ha una multa.
Vorrei sapere se la Chiesa cattolica ha preso mai posizione almeno per questa fustigazione, per
questo tipo di legge.
Daniele P.:[riporta a braccio la risposta di Zola]: S. La risposta non può vertere unicamente su
questa legge perché questa legge rientra in tutto un complesso. La Chiesa cattolica non solo non ha
preso, almeno in Sudafrica, non solo non ha preso posizione contro questa e tutte le altre leggi che
proteggono la discriminazione razziale, ma addirittura hanno una posizione ufficiale che sostiene
tutto questo lavoro. Nel 1967 c'è stata una conferenza di tutti i vescovi sudafricani dalla quale è
uscito un comunicato che invitava tutti i preti del Sudafrica ad aiutare, a sostenere il regime politico,
sociale africano. Durante il Concilio Vaticano II° il cardinale austriaco Koenig cercò di condannare,
cercò di far prendere all'intero Concilio una posizione esplicita contro il razzismo proprio nel
Sudafrica. La sua proposta di dichiarazione nei confronti del razzismo in Sudafrica fu tramutata in
una generale dichiarazione del Concilio contro il razzismo in generale. In pratica quello che era un
atto ben preciso veniva diluito nel contesto di una affermazione molto generica che non coinvolgeva
direttamente la situazione del Sudafrica.
La chiarificazione che lui dava adesso alla precedente domanda in pratica risponde anche alla
seconda, cioè a questo: il movimento di liberazione sudafricano, nato nel 1910, fin dall'inizio ha
assunto un tipo di azione non violenta. Solo negli ultimi anni i sudafricani che non potevano
sopportare più quella situazione che si era verificata in precedenza, quella attuale in fondo, hanno
deciso di rivolgersi alla lotta armata come unico mezzo rimasto loro per cambiare le cose. E negli
ultimi anni in questa lotta armata che si sta verificando nel Sudafrica c'è stato anche un apporto di
alcuni protestanti e di alcuni cattolici ma a livello individuale. Gli aiuti maggiori per quello che
riguarda un contributo di idee, sia un contributo anche concreto, armi, materiali, eccetera, è venuto
da Cuba e dalla Cina. Il problema è questo: fino ad anno scorso si sono rivolti alle masse cattoliche
perché anche loro partecipassero in qualche modo al movimento di liberazione. Cioè hanno cercato
di sensibilizzare anche i cattolici, anche coloro che hanno una fede religiosa, perché prendessero
parte al movimento. Il problema più grosso col quale si sono scontrati in quel tipo di azione è stato
proprio il dilemma della scelta dell'azione rivoluzionaria, l'azione violenta. Cosa si può fare
diversamente quando la gente muore di fame, quando i bambini vengono uccisi, quando la
situazione è quella che è, quando non c'è nessun'altra alternativa, quando una azione di quaranta
anni di non violenza non è approdata a nulla, non è servita a niente? A questo punto è chiaro
che ognuno deve decidere. [Termina la prima parte della bobina. Si registra sulla seconda parte.]
Zola S.: Il primo a parlare di non violenza in Sudafrica fu lo stesso Gandhi il quale, prima di
iniziare la sua azione in India, come è noto, fu in Sudafrica. Tuttavia ben presto lo stesso Gandhi si
rese conto che quello che diceva, quello che proponeva, il suo programma di azione non violenta in
Africa non serviva a nulla come è dimostrato dalla storia. Lo stesso Martin Luther King, prima di
essere ucciso, pochi mesi prima di essere ucciso oltre a prendere una particolare posizione nei
confronti della lotta degli afroamericani negli Stati Uniti aveva dichiarato che non vi era più
nessun'altra via per i sudafricani se non quella di una rivolta decisa. E' chiaro che i sudafricani
sarebbero senz'altro per la non violenza. Però quando si trovano di fronte a ciò che succede in
Sudafrica, quando si trovano di fronte alle potenze europee e americane che si schierano per il
razzismo, si trovano di fronte al capitale europeo-americano che invia denaro, armi, materiali
industriali al Sudafrica, al governo razzista del Sudafrica cosa resta da fare? Questi governi nelle
conferenze internazionali prendono posizione contro il razzismo e la discriminazione razziale, poi
in pratica avviene tutto il contrario. E ha citato la FIAT, la Marelli, la Piaggio, la Pirelli, tutte
aziende che investono milioni, miliardi in Sudafrica.
Voce femminile: Ci sono dei giovani che conosco in Sudafrica non con lo spirito missionario ma
per svolgere un lavoro di carattere sociale. Vorrei sapere se vengono considerati dei missionari o
vengono accolti per il loro lavoro.
Zola S.: La politica instaurata dal capo del National Congress che ora è morto e ha ricevuto anche il
Premio Nobel per la pace. La linea politica del National Congress prevede una eguaglianza per tutti,
nessuno escluso, bianchi e neri. I neri non vorrebbero un domani una discriminazione alla rovescia.
Questo è molto chiaro. Dice che lui è per la libertà di tutti e per l'eguaglianza di tutti. Ora il
problema è questo: questi lavoratori che vanno in Sudafrica a fare un lavoro di tipo sociale, che
fanno in realtà? Quando arrivano là, o perché sono costretti o perché anche loro diventano razzisti
fanno soltanto un lavoro per i bianchi, lavorano soltanto nella comunità bianca e perché non
possono andare in quella nera e perché anche loro diventano razzisti perché è tutto il sistema che
condiziona il loro futuro. Attualmente ci sono in Sudafrica quarantaduemila lavoratori italiani. Sono
operai della FIAT, della Pirelli, eccetera. E tutti quanti, nella grande maggioranza, partecipano del
sistema razziale.
Voce maschile: Che rapporto c'è di differenza fra bianchi e neri sul lavoro. Quale assistenza
farmaceutica ha il bianco e quale il nero e che retribuzione.
Zola S.: Ricordo quello che ho detto prima riguardo agli insegnanti africani e quelli bianchi. Il
rapporto è in questi termini: un insegnante africano guadagna il 10% della paga di un insegnante
bianco e questo è un valore di riferimento anche per tutti gli altri lavori. Per quello che riguarda poi
l'assistenza, mutua, pensioni, eccetera, anche prima avevo detto che non esiste alcuna cassa malattia
per i negri mentre esiste per i bianchi. Per esempio: gli ospedali sono gratuiti per i bianchi e sono a
pagamento quelli separati, quelli cioè solamente per i neri. Poi l'istruzione è gratuita e obbligatoria
per i bianchi mentre per i neri non è affatto gratuita, non è affatto obbligatoria.
Voce maschile: Se è possibile una Confederazione dei neri o è impossibile e perché i bianchi
pongono il loro veto.
[La risposta è incomprensibile]
Luciana A.: Cosa chiede il Movimento di liberazione a noi bianchi in occidente visto che i bianchi
che sono là sono solo per opprimere. Qual è il compito specifico che lui si prefigge in questa sua
azione in occidente.[ Giro 068: rottura e riparazione del nastro]
Zola S.:[E' Daniele che riporta il discorso di Zola]: Per quello che riguarda la prima domanda: che
tipo di aiuto ci chiede mi ha detto di indicare alcune cose che sono scritte in una intervista che ha
fatto all'Unità sulla pagina di Torino di oggi. Cioè in pratica a noi come individui, qua in questo
momento, prima di tutto, chiede una cosa: che prendiamo posizione al più presto nei confronti del
Vaticano e cerchiamo di promuovere una azione per tutti i cattolici in Italia perché anche il
Vaticano prenda una posizione e un certo tipo di posizione. Non quella che ha avuto finora; bisogna
che cambi. In generale a tutti i cittadini italiani, e non lo chiede solo in Italia naturalmente, è un
aiuto di tipo politico e qui forse è meglio che legga.
Per esempio, le pantere nere degli Stati Uniti alla Conferenza di Kartum che si è svolta il 19
gennaio hanno promessi di mandare dei compagni, degli amici. A fare che cosa? A lottare con i
movimenti di liberazione africani, cioè la partecipazione. Se uno decide di andare in Sudafrica a
fare un certo tipo di lavoro, quale lavoro può fare? Quello che loro indicano non è tanto un lavoro di
tipo tradizionale, missionario quasi, assistenziale ma quello di andare a lottare insieme ai
movimenti di liberazione. C’è bisogno sì di medici, ma bisogno di medici che vadano a curare i
guerriglieri che vengono feriti. C’è bisogno sì di persone che vanno a costruire strade, ma che siano
persone che vanno a costruire strade per gli eserciti di liberazione. C’è bisogno insomma di persone
che siano disposte a condividere quello che veramente è vitale oggi per la rinascita dell’Africa e
dell’Unità africana. Un appello particolare è rivolto anche ai medici e a tutti coloro (che vogliono) –
e a tutti noi anche – nel senso di raccogliere materiale medicinale e mandarlo. Se noi volessimo
promuovere una raccolta di questo tipo potremmo farlo e mandarlo a lui e ci pensa poi lui a
mandarlo giù in Africa. E poi c’è anche un’altra cosa: c’è un lavoro politico da svolgere
direttamente qui. La FIAT ad esempio costruisce qui in Italia e là in Sudafrica aerei che vanno a
massacrare i guerriglieri sudafricani e non solo sudafricani. Noi potremmo fino da ora , da qui, in
Italia, chiedere di lottare pubblicamente contro questo assassinio che viene è perpetrato dalla FIAT.
Un’altra idea potrebbe essere quella di costituire qui a Firenze un Comitato di aiuto per il
Movimento di liberazione sudafricano, un comitato che si incarichi di raccogliere appunto medicine
e eventualmente anche fondi in denaro da mandare in Sudafrica e per sostenere le famiglie che sono
imprigionate e per sostenere i movimenti di liberazione. Per quel che riguarda la seconda domanda,
cioè il suo ruolo qui in occidente l’ha detto all’inizio, cioè praticamente è quello di girare l’Europa
per dire queste cose e cercare aiuti, quindi di far sapere tutte queste cose.
Voce femminile [La domanda è fatta lontano dal microfono e si capisce solo dalla risposta].
Zola S.: Per quel che riguarda la tua domanda, il Congresso Nazionale Africano è una
organizzazione politica che raccoglie tutti gli africani che lottano per la libertà e l’uguaglianza, per
una patria socialista. Questo African National Congress ha un comitato, una branchia che è una vera
e propria sezione militare, ha un campo di addestramento nello Zambia dove i militari destinati al
tipo di lotta armata, alla guerriglia in Sudafrica si esercitano per portare avanti questa lotta ed è
ovvio – dice – che accanto alla lotta armata nel Sudafrica esiste anche tutto un tipo di lotta non
violenta. Come in Vietnam, come in Algeria il punto al quale si vuole arrivare è il negoziato, la
discussione. Attraverso la lotta armata si cerca di porre il nemico in una situazione di svantaggio, di
pericolo. Con alle spalle un potere derivato dalle battaglie militari si può arrivare al tavolo dei
negoziati. Per questo all’azione violenta esiste anche un tipo di azione non violenta, cioè la
discussione.
Voce femminile [Nuovo intervento della solita voce femminile che fa notare la contraddittorietà
delle due opzioni: la violenza e le non violenza].
Zola S.:[Come sempre risponde in inglese. Daniele traduce a volte in maniera letterale a volte
traduce i concetti]: Prima di rispondere alle domande vuole mettere bene in chiaro un punto che è
questo: che loro non sono violenti, non amano, non vogliono la violenza e che sono costretti perché
sono costretti a usare certi metodi è unicamente per legittima difesa, per combattere per i propri
diritti e non per altro. Non è per usurpare nulla: è legittima difesa e ci tiene molto a mettere questo
bene in chiaro. La risposta alla domanda è questa: lungo il confine del Sudafrica con lo Zambia vi
sono alcune regioni che sono state occupate militarmente dallo ZAPU, la sezione militare
dell’African National Congress, e vengono gestite, controllate dallo ZAPU. Mi ricordavo che io
stesso (Daniele P) ho avuto modo di vedere fotografie e documenti venuti dall’Africa che provano
proprio, che mostrano come queste zone siano controllate dall’esercito di liberazione. E’ chiaro
però – ricordava – che non si può parlare di un controllo militare, cioè non si può parlare di una
avanzata graduale dell’esercito di liberazione fino a Johannesburg, per esempio. Non ci può essere
una conquista graduale del territorio. La guerriglia presuppone uno spostamento veloce da un posto
all’altro. L’esempio che mi viene in mente adesso è questo: i vietcong non hanno il possesso
territoriale del Vietnam del Sud, però di fatto lo controllano perché si rendono irreperibili.
Urbano C.: Se esiste almeno una chiesa cattolica dove ogni tanto, di nascosto, neri e bianchi
ascoltano la messa insieme
Zola S.:[Daniele P.]: Dice che c’è un’altra cosa da ricordare. La maggior parte dei preti nel
Sudafrica sono stranieri, non sono sudafricani, per cui appena sgarrano un po’ vengono espulsi dal
Paese. Viene loro ritirato il passaporto, eccetera.
Voce maschile: [ anche questa lontana dal microfono. Il senso della domanda si capisce dalla
risposta].
Zola S.:[Daniele traduce la risposta in italiano]: Dice che i negri nel Sudafrica svolgono un ruolo
molto importante nell’economia sudafricana. Cioè sono veramente il pilastro, la carne da macello su
cui si basa l’economia sudafricana. Il Governo sudafricano bianco si rende conto proprio del fatto
che tutto quanto si posa sullo sfruttamento dei negri e può diventare un’arma politica molto
importante per gli africani. Allora cosa fa? Tenta – e già ha cominciato a farlo – a sostituire agli
operai negri degli operai bianchi, immigrati, provenienti soprattutto dall’Italia, dalla Grecia, dalla
Spagna, e come esempio riporta un esempio che si conosce molto bene. L’80% dell’economia
sudafricana è controllata da un industriale israeliano, Open Mer, il quale, insieme a Rocil che è
quello famoso delle catene di banche in tutto il mondo, praticamente ha il possesso di tutta
l’economia sudafricana. Proprio in conseguenza di questa vertenza può diventare un’arma politica
molto grave per loro il fatto che siano tanti operai negri ha suggerito a Open Mar di stringere i
contatti economici con Israele e fare in modo che ci sia uno scambio di manodopera tra il Sudafrica
e Israele. Lui dice che non è che con questo noi siamo contro Israele pregiudizialmente, ma di fatto
constatiamo che tutto ciò che Israele guadagna dal Sudafrica serve a Israele per comprare in Francia
gli aerei mirage e i phantom, eccetera. In pratica la prosperità di Israele deriva in parte anche dallo
sfruttamento che ha in Sudafrica. E’ una catena.
Voce maschile: [la domanda è comprensibile solo dalla risposta].
Zola S.:[traduce Daniele P.]: Il fatto che facciano venire tanti emigranti dall’Europa è diretto
proprio ad escludere tutte la masse negre. Non esiste l’alternativa fra esclusione o integrazione. C’è
solo l’esclusione. Il discorso è questo: i bianchi si rendono conto del rischio che corrono di una
possibile rivolta di tutta la classe operaia negra, cioè di tutti i dodici milioni di negri. E’ chiaro che
proprio lavorando nell’industria l’operai negro può acquisire la coscienza di classe, può rendersi
conto, vedere, toccare con mano il meccanismo che lo opprime, il meccanismo che porta al suo
sfruttamento, mentre lasciarlo relegato in una riserva, in un campo di concentramento può giocare a
favore dei bianchi nel senso che praticamente questi neri sono costretti a vivere in una secolare
condizione di subordinazione ai bianchi, per cui, ad un certo momento interviene anche un
meccanismo psicologico che rende il negro passivo, mentre proprio il fatto di lavorare, di
impegnarsi e di vedere il meccanismo di sfruttamento lo porta naturalmente alla ribellione. E questo
è un rischio che non vogliono correre.
Riguardo per esempio alla storia dell’Australia, si vede come da una situazione iniziale in cui vi era
una minoranza bianca mentre tutto il resto della popolazione era indigena, del posto, di razza nera,
ora c’è il fenomeno contrario, c’è una larghissima maggioranza bianca. Per vari motivi
l’occupazione nera (al lavoro) è stata fatta morire di fame, sterminata. In Australia vi sono pervenuti
migliaia e migliaia di italiani, di rifugiati slovacchi, ungheresi, inglesi. Praticamente si è assistito a
questo cambiamento della popolazione. E’ lo stesso tentativo che cercano di fare in Sudafrica.
Enzo M.: Io vorrei ringraziare questo nostro amico prima di tutto per essere venuto qui a parlare dei
problemi del Sudafrica e in particolare mi ha colpito quel raffronto che ha fatto all’inizio tra ciò che
subiamo noi all’Isolotto e ciò che subiscono nel campo ecclesiastico il Sudafrica, s’intende: nel
campo ecclesiastico perché nel campo civile ne subiscono molto più di noi e non c’è paragone.
Questa è anche un po’ la nostra risposta – penso io - al suo appello. Lui ci ha chiesto di intervenire
presso il Vaticano perché cambi la sua posizione, la sua politica diremo. Il Vaticano ha una sua
precisa politica. Condannano noi perché facciamo politica. In realtà non c’è da fare nemmeno il
paragone fra la politica che fa il Vaticano e la politica che possiamo fare noi in senso molto ampio.
Dicevo dunque che questa è anche una risposta in fondo, in questo senso: che la nostra
testimonianza, quello che soffriamo qui, quello che subiamo in fondo non è altro che una continua
richiesta alla Chiesa e al Vaticano perché cambi radicalmente la loro politica, non soltanto nei
confronti del Sudafrica, il che sarebbe impossibile, ma nei confronti di tutti gli uomini, nei confronti
di tutti gli oppressi, nei confronti di tutti i discriminati. Sono convinto che non è possibile cambiare
la politica soltanto nei confronti di una porzione di oppressi. Bisogna cambiarla radicalmente nei
confronti di tutti. Quindi la nostra testimonianza è una continua pressione nella Chiesa perché
questa linea venga cambiata radicalmente. Credo che noi in questo momento non posiamo fare
qualche cosa di speciale. Non avrebbe nessuna efficacia. Noi ci troviamo da questo punto di vista
nella stesa condizione dei sudafricani. La nostra testimonianza però è sempre aperta. A
dimostrazione di questo è anche la lettera che noi sacerdoti dell’Isolotto e altri diciotto sacerdoti, la
lettera, insomma il documento che abbiamo reso pubblico e che è stato distribuito in tutta la città ed
è stato dato alla stampa nel quale noi ci dichiariamo chiaramente dalla parte dei negri contro i
razzisti. Noi ci dichiariamo schierati con loro, ci dichiariamo partecipi della loro lotta. Lo diciamo
chiaramente. E questa mi sembra una testimonianza che nasce, che scaturisce anche per gli altri
sacerdoti non dell’Isolotto da una presa di coscienza conseguente alla esperienza dell’Isolotto. Cioè
questi diciassette sacerdoti, oltre a noi tre dell’Isolotto, sono riusciti a fare questo documento così
forte, preciso anche nel campo del razzismo, proprio in conseguenza di una presa di coscienza che
hanno avuto dopo le vicende dell’Isolotto. Questa è già una testimonianza che mi sembra
importante. Inoltre vorrei dire un’altra cosa: noi non ci spaventiamo di essere solidali con dei popoli
che sono costretti ad imbracciare il fucile per operare la loro liberazione. Noi non ci
scandalizziamo, non ci scandalizziamo. Chi è che si scandalizza di questo fatto? Si scandalizzano
quei cattolici, si scandalizzano quelle sfere ecclesiastiche che non si sono scandalizzate quando le
guerre erano fatte dai ricchi. Allora mandavano anche i preti a combattere. Nella grande guerra
moltissimi preti sono andati a combattere. Alcuni erano cappellani militari ma molti sparavano,
molti preti. Ci fu la mobilitazione generale e molti preti andarono a combattere. E così anche nella
seconda guerra. In Italia i preti non andavano a combattere nella seconda guerra, però andavano
(come) cappellani militari, andavano a sostenere in qualche modo l’esercito, andavano a dire la
messa sul campo, andavano a dire la messa alle truppe che combattevano. Lo stesso avviene oggi in
tutti i posti dove i popoli cristiani combattono. Prendiamo nel Vietnam. Nel Vietnam viene detta la
mesa sul campo da cappellani militari americani i quali partecipano a loro modo alla guerra. Ora
dico: sono questi che si scandalizzano perché i popoli, come questi negri, sono costretti ad
imbracciare il fucile. E non lo fanno per una scelta, non lo fanno per difendere la loro ricchezza ma
lo fanno per impedire ai loro figli di morire di fame. Ora io non mi scandalizzo, mentre c’è chi si
scandalizza. Questo scandalo mi sembra una grossa ipocrisia. Dimostra ancora una volta che una
parte della Chiesa ha fatto una scelta: ha scelto di difendere le guerre dei ricchi, di parteciparvi e ha
scelto di condannare e di scandalizzarsi di fronte alla legittima difesa dei poveri. Questa è la
questione, sembra a me. E non so se lei ha la possibilità di comunicare con i cattolici che sono in
Sudafrica. Può portare questo contributo di gruppi, di comunità di cattolici anche italiani i quali
sono solidali, senza scandalizzarsi di questo fatto, anzi si scandalizzano molto che la gran parte dei
cristiani del Sudafrica sia disposta ad accettare che dei cristiani combattano per soffocare gli aneliti
di liberazione dei poveri e considerino antievangelico il combattere invece per la liberazione degli
oppressi. Io non credo di avere da dire altro. Non so se ha potuto capire.
Volevo dire un’altra cosa. Me ne ero dimenticato. Me ne ero dimenticato e mi sembra importante.
Dunque nella grande guerra per esempio del ‘15-’18 dicevo che molti preti sono andati a
combattere, non soltanto i preti ma molti laici, molti cristiani come nell’ultima guerra. Non solo, ma
oggi in Italia c’è un esercito, un esercito con tanto di carri armati, aeroplani, bombe e tante altre
cose, un esercito pronto per la guerra. Un esercito con le bombe e con i cannoni, le mitragliatrici, i
carri armati non so che ci sta a fare se non a tenersi conto per una eventuale guerra. Questo è un
popolo cristiano, un popolo cristiano attrezzato per la guerra. State bene a sentire. Lo sapete già
facilmente. Ci sono degli ambienti cristiani che addirittura negano ai cristiani, cristiani che si
rifanno al Vangelo, la possibilità di dire: “Io come cristiano mi rifiuto di fare la guerra, di fare il
militare”. Voi ricordate la polemica che c’è stata sul giornale, anche La Nazione, fatta da don
Stefani il quale diceva che non erano cristiani quelli che si rifiutavano di fare il militare, perché non
ubbidivano, perché erano disubbidienti. E sono queste poi le persone che si scandalizzano perché i
negri imbracciano il fucile quando proprio non hanno nessuna altra possibilità. Addirittura alcuni
cristiani sono stati condannati e imprigionati proprio per questo, perché si rifiutavano di fare il
militare. E nessuno li ha difesi, altro che qui, a Firenze, don Milani o padre Balducci mandati anche
loro in tribunale e condannati. Il Vescovo di Firenze, per esempio, non ha difeso né don Milani né
padre Balducci. Ha lasciato che venissero condannati senza dire una parola in difesa, senza dire che
don Stefani era nell’errore quando su La Nazione infieriva contro i condannati perché diceva che
non erano cristiani con tanto di Vangelo alla mano e con tanto di teologia alla mano. Questa è una
cosa vergognosa che a me sembra di dover denunciare questa sera e ogni volta che ci sarà
l’occasione.
Zola S.: [ Daniele,P. traduce]: Lui dice che è rimasto molto colpito non solo da noi ma anche da
don Mazzi perché dice che è l’unico prete che ha incontrato che abbia preso una posizione così
precisa e così decisa su quello che riguarda la lotta di liberazione anche armata contro il
colonialismo e contro l’oppressione in Sudafrica. E ha aggiunto che informerà di questo i cattolici
neri sudafricani scrivendolo sui notiziari clandestini che hanno per diffonderlo in Sudafrica
adeguatamente, perché può essere una cosa che solleva il morale di certi cattolici sudafricani. Dice
che ha conosciuto un altro prete a Roma piuttosto aperto ma non ha preso una posizione così chiara
e precisa.
Dice che in Italia, in Europa c’erano molti, anche sacerdoti, organizzazioni pacifiste, gruppi di
persone genericamente progressiste che erano decisamente contro il razzismo e la discriminazione
però tutti questi gruppi, questi preti, queste persone hanno abbandonato quel tipo di aiuto per il loro
Movimento nel momento in cui il Movimento è stato costretto ad imbracciare le armi per difendersi.
Ora Zola ripete che il fatto di usare le armi è una necessità, una costrizione.