Sul diritto di coabitazione con l`animale domestico

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Sul diritto di coabitazione con l`animale domestico
Opinioni
Speciale riforma
Regolamento
Sul diritto di coabitazione
con l’animale domestico
di Marianna Sala - Avvocato in Milano
Il nuovo art. 1138 cod. civ. dichiara espressamente che il regolamento condominiale non può contenere norme che vietino il possesso o la semplice detenzione di animali domestici in casa o, comunque, all’interno del
condominio. Dal momento della sua entrata in vigore, la nuova norma non si limiterà a disciplinare i regolamenti condominiali futuri, ma al contrario si applicherà anche a quelli già in essere, facendo caducare tutti i
divieti e le limitazioni vigenti.
Con la Riforma sul condominio (legge n. 220/2012)
è stato modificato l’art. 1138 cod. civ., con l’introduzione un nuovo ultimo comma secondo cui «le
norme del regolamento non possono vietare di possedere o detenere animali domestici».
Dal momento in cui entrerà in vigore la nuova normativa (il 18 giugno 2013), nei regolamenti di condominio non potranno più essere inserite disposizioni volte a limitare il diritto di ciascun condomino a possedere o a detenere un animale familiare.
Ogni eventuale futura introduzione di clausole in
contrasto con detto divieto si considererà come
non apposta.
Dubbi sono stati sollevati in ordine alla portata applicativa della nuova norma (se, cioè, essa possa valere anche per i regolamenti condominiali approvati prima della Riforma e tuttora in corso) ed alla sua
derogabilità con delibere condominiali approvate
all’unanimità. Nonostante la tesi contraria sia stata
autorevolmente sostenuta (1), diverse ci sembrano
le ragioni che inducono a sostenere l’inderogabilità
e l’applicabilità anche ai regolamenti condominiali
vigenti del nuovo art. 1138 cod. civ. Prima di procedere con la loro analisi, appare opportuno chiarire lo
status quo anteriore all’approvazione della Riforma.
Divieti agli animali domestici
nei condominii: la situazione ante Riforma
Prima dell’approvazione della Riforma in materia
condominiale, spesso accadeva che i regolamenti
contenessero limitazioni - più o meno estese - alla
detenzione di animali all’interno delle abitazioni.
L’opinione prevalente espressa in giurisprudenza (2)
le inquadrava nella categoria delle servitù, e più pre-
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cisamente delle servitù reciproche (3), in quanto si
trattava di clausole volte ad incidere sui diritti soggettivi dei singoli condomini, con la reciproca limitazione di poteri e facoltà sulle proprietà esclusive.
Da ciò conseguiva che tali disposizioni avessero natura contrattuale e, come tali, dovessero essere approvate e potessero essere modificate solo con il
consenso unanime dei comproprietari, dovendo neNote:
(1) Si vedano: A. Cirla, Sempre ammessi gli animali domestici, in
IlSole24Ore, 22 novembre 2012, pag. 31; Rezzonico, Tucci, a cura di, Condominio, la nuova guida per amministratori e condomini, Milano, 2012, 4.
(2) «Le clausole del regolamento condominiale che impongono
limitazioni ai poteri e alle facoltà spettanti ai condomini sulle parti di loro esclusiva proprietà incidono sui diritti dei condomini, venendo a costituire su queste ultime una servitù reciproca», in tal
senso v. ex multis Cass. 3705/2011, Cass. n. 13164/2001, Cass.
n. 3749/1999.
(3) Quella delle servitù reciproche è una figura di elaborazione
giurisprudenziale, sorta dall’esigenza di regolamentare i reciproci interessi dei proprietari di immobili vicini. La reciprocità deriva
dal fatto che si tratta di servitù costituite rispettivamente a favore ed a carico dei fondi tra cui esse intercorrono: fondi che, in tema di condominio, consistono nei singoli appartamenti di proprietà esclusiva dei condomini, su cui vengono imposte limitazioni di uso contenute nel c.d. regolamento contrattuale condominiale. Quanto alla struttura giuridica della servitù, la dottrina ha
precisato che «Qui invero il rapporto di reciprocità tra i fondi non
opera all’interno di un’unica servitù - che, come tale, sarebbe
inammissibile, giacché “devesi escludere che lo stesso fondo
possa rivestire contemporaneamente, in ordine alla medesima
utilità oggettiva, la qualità di dominante e di servente” - ma postula due o più servitù distinte, ancorché del medesimo tipo; e il
fondo che in una di esse figura come servente viene considerato in un’altra come dominante, ferma restando l’indipendenza
delle vicende relative a ciascuna servitù: così che, per esempio,
dall’estinzione di una di esse non deriva l’estinzione delle altre»
(v. Bigliazzi Geri, Breccia, Busnelli, Natoli, Diritto Civile 2, Diritti
Reali, Torino, 1988, 258).
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cessariamente rinvenirsi nella volontà dei singoli la
fonte giustificatrice di atti dispositivi incidenti nella
loro sfera giuridica.
Per tale ragione, il divieto di tenere animali domestici negli appartamenti non poteva essere contenuto negli ordinari regolamenti condominiali, approvati dalla maggioranza dei partecipanti - non potendo detti regolamenti importare limitazioni delle facoltà comprese nel diritto di proprietà dei condomini sulle porzioni del fabbricato appartenenti ad essi
individualmente in esclusiva (4) - ma poteva essere
previsto solo in regolamenti condominiali di natura
contrattuale, pena la loro inefficacia (5).
La situazione post Riforma: efficacia
retroattiva ed inderogabilità del nuovo
art. 1138 cod. civ.?
Come detto, alcuni dei primi commentatori (6)
hanno delineato una tesi restrittiva delle norme
della Riforma in tema di animali domestici, sostenendo che essa non potrebbe applicarsi che per
l’avvenire, in virtù del principio generale di irretroattività delle leggi di cui all’art. 11, comma 1 disp.
prel. cod. civ. (secondo cui la legge «non dispone
che per l’avvenire»). Da ciò conseguirebbe che il
vecchio regolamento, contrattuale e trascritto, che
prevedesse ad esempio il divieto alla detenzione di
cani di grossa taglia, manterrebbe la propria efficacia. Non solo, secondo questa primo orientamento,
l’art. 1138 cod. civ. sarebbe addirittura derogabile
con regolamento contrattuale, approvato all’unanimità dai condomini.
La tutela del rapporto uomo-animale:
un interesse a copertura costituzionale
Si tratta, a ben vedere, di una tesi non condivisibile,
in quanto non tiene in dovuto conto l’evoluzione
del diritto vivente e la nuova valorizzazione del rapporto uomo-animale, già affermatasi a livello europeo e nazionale.
A livello europeo, si considerino il Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (che all’art. 13 riconosce gli animali come esseri senzienti) e la Convenzione europea per la protezione degli animali da
compagnia (Strasburgo, 13 novembre 1987), ratificata in Italia con legge n. 201/2010, dove si prevede
«che l’uomo ha l’obbligo morale di rispettare tutte le
creature viventi», e «in considerazione dei particolari vincoli esistenti tra l’uomo e gli animali da compagnia» si afferma «l’importanza degli animali da
compagnia a causa del contributo che essi forniscono alla qualità della vita e dunque il loro valore per
la società».
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A livello nazionale, è innegabile che, tra i diritti riconosciuti e difesi dal nostro Legislatore, vi sia quello alla tutela degli animali di affezione. Si pensi alla
legge-quadro in materia di animali di affezione e
prevenzione del randagismo (legge 14 agosto 1991,
n. 281), che all’art. 1 afferma «lo Stato promuove e
disciplina la tutela degli animali di affezione, condanna gli atti di crudeltà contro di essi, i maltrattamenti ed il loro abbandono, al fine di favorire la corretta convivenza tra uomo e animale»; alla legge n.
189/2004, che ha introdotto nel codice penale i
nuovi delitti di “animalicidio” e di maltrattamento
di animali, di cui agli artt. 544-bis e ss. cod. pen.,
sancendo positivamente il riconoscimento della tutela del sentimento (umano) per gli animali (7); al
c.d. codice del turismo (D.Lgs. 23 maggio 2011, n.
79), che all’art. 30 afferma «... lo Stato promuove
ogni iniziativa volta ad agevolare e favorire l’accesso
ai pubblici servizi e nei luoghi aperti al pubblico dei
turisti con animali domestici al seguito»; al nuovo
codice della strada (art. 31 legge n. 120/2010 (8) e
Note:
(4) Cfr. Cass. civ., 4 dicembre 1993, n. 12028.
(5) In tal senso, v. Cass. civ., sez. II, 15 febbraio 2011, n. 3705, secondo cui «Il divieto di tenere animali negli appartamenti di un edificio condominiale non può essere contenuto negli ordinari regolamenti condominiali, approvati dalla maggioranza dei partecipanti, non potendo tali tipi di regolamento disporre delle limitazioni alle facoltà connesse con il diritto di proprietà dei singoli condomini,
sulle porzioni di fabbricato appartenenti agli stessi in via esclusiva.
Tali disposizioni esigono, infatti, di essere approvate all’unanimità,
pena la loro inefficacia anche nei confronti di quei condomini che,
con il loro voto, abbiano concorso alla loro approvazione ed hanno,
quindi, natura contrattuale e non regolamentare, non limitandosi,
semplicemente, a disciplinare l’uso dei beni comuni».
(6) Cfr. nota 1. Sostiene Cirla che «nulla cambia [però] per i regolamenti in essere perché la nuova disposizione di legge, in quanto
non diretta a tutelare un interesse di ordine pubblico, è destinata
ad avere efficacia solo per il futuro, in forza del principio generale
vigente nel nostro ordinamento della irretroattività della legge».
(7) A conferma della tutela positiva del sentimento per gli animali, si veda l’art. 5 della stessa legge n. 189/2004, che recita
che «lo Stato e le Regioni possono promuovere di intesa (…) l’integrazione dei programmi didattici delle scuole e degli istituti di
ogni ordine e grado, ai fini di una effettiva educazione degli alunni in materia di etologia comportamentale degli animali e del loro rispetto, anche mediante prove pratiche». È evidente che la
norma viene a scolpire nel diritto positivo un principio che costituisce ormai patrimonio della coscienza sociale contemporanea,
quello del rispetto degli animali.
(8) Art. 31 legge n. 120/2010 (“Modifiche agli articoli 177 e 189
del decreto legislativo n. 285 del 1992 [c.d. Codice della strada],
in materia di mezzi di soccorso per animali e di incidenti con danni ad animali”):
«1. Al comma 1 dell’art. 177 del D.Lgs. n. 285 del 1992, dopo il
secondo periodo sono aggiunti i seguenti: “L‘uso dei predetti dispositivi è altresì consentito ai conducenti delle autoambulanze,
dei mezzi di soccorso anche per il recupero degli animali o di vigilanza zoofila, nell’espletamento dei servizi urgenti di istituto,
individuati con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei tra(segue)
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successivo decreto attuativo ministeriale 9 ottobre
2012 n. 217 (9), pubblicato sulla G.U. n. 289 del 12
dicembre 2012), che ha fissato l’obbligo di fermarsi
a soccorrere l’animale ferito in caso di incidente, individuando le condizioni alle quali il trasporto di un
animale in gravi condizioni di salute può essere considerato in stato di necessità.
Non solo. Sempre a livello nazionale, anche la giurisprudenza si è pronunciata in favore del riconoscimento della tutela del rapporto uomo-animale.
Sono sempre più numerose le pronunce che hanno
riconosciuto il diritto di visita in carcere al cane
del detenuto, in quanto membro della famiglia
(10), o quelle che hanno ammesso il diritto di visita in ospedale al cane del paziente ricoverato, in
quanto si afferma che il rapporto uomo-animale
costituisce una attività realizzatrice della personalità umana (11).
Infine, la stessa pubblica Amministrazione dimostra
un crescente interesse alla salvaguardia del rapporto
affettivo che si instaura con gli animali domestici:
ne è un esempio la decisione di aprire i dormitori
pubblici ai cani dei senza tetto, assunta dal Comune
di Bologna nell’ambito del Piano Antifreddo.
Del resto, questa mutata sensibilità sociale - recepita dalla giurisprudenza - è confermata dagli stessi
sondaggi. In base al Rapporto Eurispes 2011, in Italia, ormai, più di una famiglia su tre vive con un animale in casa, che rappresenta una vera e propria
compagnia (41,7%); in molti casi questo rapporto
finisce per essere considerato un legame molto simile a un’amicizia (31,3%) del quale non si può fare a
meno.
È evidente allora che il rapporto uomo-animale non
solo abbia avuto riconoscimento normativo, ma anzi, in base all’evoluzione della coscienza sociale e dei
costumi, esso costituisca oramai un interesse da trarsi dal tessuto connettivo della Costituzione, in base
alla previsione dell’art. 2 Cost. (12), aperto al soggiorno dei valori man mano riconosciuti, nel tempo,
dalla Società, come diritti inviolabili (anche se
“inespressi”).
Art. 1138 cod. civ.: la necessità
di una lettura costituzionalmente orientata
Non si può, pertanto, leggere il nuovo art. 1138 cod.
civ. prescindendo dal rilievo costituzionale assunto
dalla tutela del rapporto uomo-animale.
Del resto, già prima della novella, di fronte all’emersione del nuovo interesse a copertura costituzionale,
la posizione giurisprudenziale ante Riforma - che
ammetteva le limitazioni alla detenzione di animali
nei condomini, purché contenute in regolamenti
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Note:
(continua nota 8)
sporti. Con il medesimo decreto sono disciplinate le condizioni
alle quali il trasporto di un animale in gravi condizioni di salute
può essere considerato in stato di necessità, anche se effettuato da privati, nonché la documentazione che deve essere esibita, eventualmente successivamente all’atto di controllo da parte
delle autorità di polizia stradale di cui all’art. 12, comma 1”.
2. All’art. 189 del D.Lgs. n. 285 del 1992 è aggiunto, in fine, il seguente comma: “9-bis. L’utente della strada, in caso di incidente comunque ricollegabile al suo comportamento, da cui derivi
danno a uno o più animali d’affezione, da reddito o protetti, ha
l’obbligo di fermarsi e di porre in atto ogni misura idonea ad assicurare un tempestivo intervento di soccorso agli animali che
abbiano subito il danno. Chiunque non ottempera agli obblighi di
cui al periodo precedente è punito con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 389 a euro 1.559. Le
persone coinvolte in un incidente con danno a uno o più animali
d’affezione, da reddito o protetti devono porre in atto ogni misura idonea ad assicurare un tempestivo intervento di soccorso.
Chiunque non ottempera all’obbligo di cui al periodo precedente
è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una
somma da euro 78 a euro 311”».
(9) All’art. 6 del decreto attuativo ministeriale 2012/217 definisce
lo stato di necessità, precisando che «Ai sensi dell’art. 177, comma 1, del codice della strada, un animale è considerato in stato
di necessità quando presenta sintomi riferibili ai seguenti stati
patologici: a) trauma grave o malattia con compromissione di
una o più funzioni vitali o che provoca l’impossibilità di spostarsi
autonomamente senza sofferenza o di deambulare senza aiuto;
b) presenza di ferite aperte, emorragie, prolasso; c) alterazione
dello stato di coscienza e convulsioni; d) alterazioni gravi del ritmo cardiaco o respiratorio».
(10) In tal senso v. Magistrato di Sorveglianza di Vercelli, decreto
24 ottobre 2006, est. Del Piccolo, che valutando in primis che
«tra i principi generali dell’ordinamento giuridico italiano vi è sicuramente anche quello della “tutela degli animali d’affezione”»
e in secundis che «il “favor familiae” cui si ispirano numerose
norme costituzionali (art. 29-31 Cost.) consente di considerare
meritevole di attenzione il legame affettivo nei confronti dell’animale domestico» riconosceva al detenuto il diritto a ricevere la
visita da parte del proprio cane.
(11) In tal senso v. Trib. Varese, Ufficio Volontaria Giurisdizione, decreto 7 dicembre 2011 (g.t. G. Buffone). Il caso in esame è quello
di un anziano soggetto, mentalmente capace ma fisicamente ormai quasi allettato e per questo trasferito in una residenza per anziani, che chiedeva di poter ricevere visite periodiche da parte del
proprio cane. Visto il rifiuto della casa di cura, il paziente si rivolgeva al Giudice Tutelare che gli riconosceva il diritto di visita, affermando che «nell’attuale ordinamento, il sentimento per gli animali ha protezione costituzionale e riconoscimento europeo, cosicché deve essere riconosciuto un vero e proprio diritto soggettivo
all’animale da compagnia; diritto che quindi va riconosciuto anche
in capo all’anziano soggetto vulnerabile dove, ad esempio, nel caso di specie, tale soggetto esprima, fortemente, la voglia e il desiderio di continuare a poter frequentare il proprio cane».
(12) Art. 2 Cost. «La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali
ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei
doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale».
Sul valore dell’art. 2 Cost. quale clausola aperta volta al riconoscimento dei valori man mano riconosciuti in base all’evoluzione
della coscienza sociale e dei costumi si richiamano gli scritti autorevoli di chi, già in data risalente, sosteneva che «si potrebbe
interpretare l’art. 2 Cost. nel senso che si sia voluto affermare
non già un diritto generale di libertà, ma piuttosto un principio
che non si esaurisce interamente nelle singole fattispecie previste, e perciò consente all’interprete di desumerne dal sistema
altre non contemplate specificamente» (in tal senso C. Mortati,
Istituzioni di diritto pubblico, Padova, 1969, II, 949.
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contrattuali, ed inquadrandole nella figura delle servitù reciproche - appariva quanto meno inadeguata
e si avvertiva la necessità di un intervento legislativo, volto ad esprimersi, una volta per tutte, su quello che poteva già desumersi, de iure condito, dai principi generali dell’ordinamento.
Approvando il nuovo testo dell’art. 1138 cod. civ., il
Legislatore si è dimostrato sensibile all’evoluzione
della coscienza sociale, riconoscendo l’esistenza di
un nuovo diritto, quello - appunto - alla tutela del
rapporto uomo-animale, che si estrinseca anche nel
diritto alla coabitazione.
È inevitabile, allora, che la nuova norma vada ad incidere anche sui regolamenti condominiali vigenti,
determinando l’immediata caducazione delle clausole che vietano o limitano la detenzione degli animali domestici. A sostegno di questa posizione, soccorrono i due argomenti tradizionalmente utilizzati
dalla giurisprudenza in tema di successione di leggi
nel tempo: innanzitutto, si potrebbe aderire alla tesi
della nullità sopravvenuta, che - distinguendo tra la
disciplina del fatto generatore del rapporto (soggetta alla legge del suo tempo) e la disciplina degli effetti del rapporto (assoggettati alla legge in cui si
realizzano) - ritiene che l’entrata in vigore della
nuova normativa comporti la nullità (non retroattiva) delle clausole in contrasto con essa (13); in alternativa, ci si potrebbe riferire alla tesi dello ius superveniens, secondo cui «in ipotesi di nullità derivante da “ius superveniens“, a rapporto validamente
instaurato, la norma sopravvenuta, in luogo di incidere sulla validità del contratto, priva il rapporto
della capacità di produrre effetti ulteriori» (14).
Qualunque sia l’argomentazione cui si voglia aderire, il risultato che a noi pare innegabile è il medesimo: la nuova norma di cui all’art. 1138 cod. civ. è
destinata ad operare non solo per i regolamenti futuri, ma anche per quelli attualmente in uso, facendo
caducare tutti i divieti e le limitazioni vigenti.
Del resto, aderendo alla tesi contraria, la sua portata
applicativa sarebbe estremamente ridotta (in quanto sono pochissime le nuove costruzioni di condominii rispetto a quelli già esistenti) e, non consentendo di incidere sulle molte ed annose liti condominiali ad oggi in corso, di fatto impedirebbe al Legislatore di raggiungere quell’intento deflattivo del
contenzioso che, nel corso dell’elaborazione della
Riforma, esso aveva avuto in gran considerazione.
Sull’inderogabilità del divieto di cui
all’art. 1138, ultimo comma, cod. civ.
Si consideri, infine, la tesi della presunta derogabilità della nuova norma da parte dell’assemblea dei
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condòmini che decida con l’unanimità dei consensi,
derogabilità prospettata da alcuni dei primi commentatori della norma.
Posto che già prima della Riforma la giurisprudenza
ammetteva i divieti alla detenzione di animali nei
condomini, purché approvati con delibere unanimi
e inserite in regolamenti condominiali di natura
contrattuale, è evidente che la tesi della derogabilità darebbe luogo ad una interpretatio abrogans della
nuova norma, come tale non ammissibile.
Il nuovo art. 1138 cod. civ. deve essere, invece, letto in base al criterio ermeneutico della ratio legis, ossia individuando oggettivamente il fondamento, lo
scopo e la funzione che hanno indotto il Legislatore
alla sua approvazione (15).
Detta ratio deve essere rintracciata nell’insieme dei
principi, di portata europea e nazionale, sopra citati,
volti a tutelare l’interesse (a copertura costituzionale) della tutela del rapporto uomo-animale e, per tale ragione, il nuovo art. 1138 cod. civ. deve necessariamente intendersi inderogabile.
L’esercizio del “diritto all’animale
domestico”
L’affermazione del diritto all’animale domestico include, necessariamente, l’esercizio di tutte le facoltà
ad esso inerenti, tra cui il diritto al suo transito nelle parti comuni degli edifici. La nuova norma non si
Note:
(13) In tal senso v. Cass. 1° febbraio 1999, n. 827, che - riferendosi al diverso caso della normativa Antitrust - risolve positivamente la questione se la nuova normativa (approvata con legge
n. 287/1990) fosse applicabile anche ai rapporti contrattuali stipulati anteriormente alla sua entrata in vigore, purché ancora
produttivi di effetti. Ed invero, la Suprema Corte afferma che «La
legge n. 287 del 1990 (legge antitrust) si applica alle intese concluse prima della sua entrata in vigore ma che continuano a produrre effetti distorsivi sul mercato anche dopo tale momento. La
nullità, ex art. 2 legge n. 287 del 1990, di tali intese decorre dal
momento in cui, in costanza della norma che la stabilisce, il comportamento vietato inizia a realizzarsi».
(14) In tal senso v. Cass. n. 2001 n. 5052.
(15) Come ricorda F. Gazzoni, Manuale di Diritto Privato, Napoli,
2000, 48, il criterio ermeneutico della c.d. intenzione del legislatore «non va individuata soggettivamente, con riferimento temporale al momento di entrata in vigore della norma (ed in tal senso non sono vincolanti i c.d. lavori preparatori al codice civile ovvero le discussioni parlamentari nel caso di altre leggi [C.
84/4631, GC 84, I, 2983)] ma piuttosto oggettivamente con riguardo alla volontà dell’ordinamento, desumibile specialmente
dalla c.d. ratio legis, cioè a dire dal fondamento, dallo scopo e
dalla funzione obiettiva della norma. Da questo punto di vista l’interprete deve partire da presupposti di razionalità del sistema,
non contraddittorietà delle regole facenti parte del sistema stesso, logicità del complesso normativo. Non si tratta, dunque, a
ben vedere, di ricostruire una determinata volontà (come avviene quando si tratta di interpretare atti di volontà ed in particolare
negozi giuridici) ma di ricostruire il senso e la portata di un impersonale testo (di legge)».
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traduce, però, in una licenza a fare ciò che si vuole,
ma, al contrario, lascia invariate tutte le forme di tutela civile e penale che l’ordinamento già prevede a
favore dei terzi che, concretamente, subiscano un
danno dall’animale. In ambito civilistico, non viene
meno il principio generale del neminem laedere di cui
all’art. 2043 cod. civ. e dunque, in caso oggettive
molestie da parte degli animali, i vicini condomini
conservano la piena facoltà di agire in giudizio per il
risarcimento del danno.
È bene sottolineare, poi, che la normativa proposta
non è applicabile indifferentemente ad ogni tipo di
animale, ma solo a quelli “da compagnia”, ossia a
quegli animali domestici posseduti senza scopi alimentari. È evidente che il Legislatore, nello scrivere
la norma, ha inteso riferirsi a cani e gatti, ma nulla
vieta di estendere la nozione a qualunque specie animale, purché posseduta per ragioni affettive, compa-
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tibilmente con le esigenze etologiche e nel rispetto
della normativa vigente.
In conclusione
In base alle considerazioni ora svolte, è evidente che
l’approvazione della normativa qui in esame svolge
l’importante ruolo di consolidamento di imperativi
giuridici già presenti nel nostro ordinamento, specificandone i contenuti ed integrando il regime giuridico positivo.
Per questa ragione, l’importanza del nuovo testo dell’art. 1138 cod. civ. si manifesterà non soltanto nell’ambito delle liti condominiali, risolvendole definitivamente in favore degli animali, ma anche - e soprattutto - nel riconoscimento di un più generale “diritto alla coabitazione con l’animale domestico”, che
condizionerà inevitabilmente la soluzione del contenzioso anche al di fuori dell’ambito condominiale.
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