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L’Urss è morta? Viva l’Urss
Ecco la Bielorussia
di batka Lukashenko
di Antonella Vicini
La crisi economica che ha investito la Russia
Bianca è gravissima e stando alle ultime proiezioni, rese note dal vice primo ministro Sergei
Rumas, il debito estero potrebbe toccare il 73%
del Pil. «Dal 2009 – spiega Rumas – il debito
«
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l presidente ha un grande carisma e poi è un ottimo giocatore di hockey. Io sono andata a vederlo
tre volte allo stadio». Helena ha 22 anni e quando parla di lui sembra illuminarsi. Si imbarazza se glielo
si fa notare e liquida la questione, molto semplicemente,
sottolineando che non sa se tutto ciò che dice il presidente sia giusto ma che, senza dubbio, «ha una forte capacità comunicativa». Il presidente in questione è Aleksandr
Grigor’evich Lukashenko, l’ultimo dittatore d’Europa, secondo la definizione di Condoleezza Rice che, nel 2007,
parlò della Bielorussia come di uno degli ultimi avamposti della tirannia. Ora, a distanza di più di quattro anni,
l’opinione non pare essere cambiata, soprattutto in Europa, se all’inizio del 2011 il governo bielorusso ha subito
una serie di condanne da parte dei ventisette partner europei a causa della massiccia repressione delle proteste
postelettorali alla fine dello scorso anno.
La verità è che Lukashenko per molti è il batka, cioè il
‘padre della nazione’, e che fino a qualche tempo fa ha assicurato alla Bielorussia una certa stabilità economica, e
anche politica, a differenza di quanto accade in molti altri Stati appartenenti all’ex Unione Sovietica. Con le sue
strade ampie e ordinate, i suoi edifici imponenti, i suoi
musei e il Teatro dell’opera, i suoi parchi e giardini, oggi
Minsk non è molto lontana da una delle nostre capitali
europee. A sentir parlare alcuni bielorussi, «tutto è puli-
to e si vive in sicurezza, come in Svizzera». Ci sono però
alcune differenze che saltano subito all’occhio e risiedono in quelle bandiere rosse e verdi sventolanti in ogni angolo della strada, appese ai semafori o agli edifici pubblici, in quella statua di Lenin di fronte al parlamento e in
quei vessilli patriottici che stanno lì a ricordare a tutti chi
sono. Ma chi sono? Russi o bielorussi, non sempre è facile dirlo. Una delle prime iniziative di Aleksandr Lukashenko, poco dopo la sua elezione, fu un referendum che
modificò la bandiera con una nuova versione molto più
simile a quella della Repubblica sovietica di Bielorussia,
falce e martello esclusi. Una connotazione in chiave postsovietica che si ritrova anche nell’uso del russo come
se fosse la lingua ufficiale perché, per stessa ammissione
del presidente, «il russo è stato per anni la nostra lingua
e non avrebbe senso gettarla via». La lingua è un elemento fondante di ogni nazione e il risultato è che ora può capitare di chiedere molto banalmente come si dica “coltelA FRONTE Il presidente russo Dmitri Medvedev
con il suo omologo Aleksandr Lukashenko
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lo” in bielorusso – si tratta di quelle conversazioni tipiche da turista al ristorante – e di sentirsi rispondere da un
giovane, istruito, nato subito dopo la fine dell’impero sovietico, di saperlo solo in russo.
La repubblica di Lukashenko è stata così caratterizzata da subito come uno Stato postsovietico. Non a caso,
ogni anno, si celebra in grande stile l’epica battaglia di
Brest, del 22 giugno 1941, tra le forze sovietiche e quelle
naziste. Si tratta di una cerimonia che si apre nella notte
del 21 e prosegue fino alla mattina del 22. Non mancano
i militari con le divise d’epoca che simulano il combattimento nella fortezza e abbondano le comparse vestite a
tema, i balli e le musiche di allora; non manca neppure la
parata né il discorso di Lukashenko, accompagnato dal
piccolo Nikolai, il suo terzogenito, anch’egli in divisa.
Tutto condito da un’intensa programmazione televisiva
sulla rievocazione durante tutta la giornata del 22.
Brest, insieme a Minsk, Kiev e San Pietroburgo, è infatti una delle “Città degli Eroi”, un’onorificenza che equivale all’eroe dell’Unione Sovietica, che veniva assegnata assieme alla medaglia della Stella d’oro.
nel corso di una conferenza stampa
a margine di un incontro della customs union
tra Russia, Kazakistan e Bielorussia al Cremlino.
IN BASSO Alcune donne mentre acquistano
abiti usati al mercato di Minsk.
Crisi economica e spettro delle privatizzazioni
A
nche i grandi magazzini Gum sono un retaggio
del passato sovietico, con commesse in divisa e
prodotti a prezzi, però, non più così popolari. La
estero si è moltiplicato per 2,2 e in aprile ha superato per la prima volta la soglia del 55%, per
toccare i 31,7 miliardi di dollari», pari al 55,4%
del Prodotto interno lordo. Il rublo bielorusso ha
subito intanto una svalutazione fortissima, ar-
in meno. Di conseguenza, anche il costo della vita è salito di una percentuale equivalente.
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cola che la valuta corrente valga circa il 30-35%
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rivando a perdere il 56% in un solo giorno. Si cal-
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getica russa, interessata a gestire al costo più basso possibile la rete dei gasdotti di transito verso l’Europa. Pare,
inoltre, che il governo di Minsk stia trattando anche con
altri investitori russi per la privatizzazione di sette importanti compagnie del Paese. Ma non è da escludere che
Lukashenko non tenti di cambiare le carte in tavola da qui
all’autunno.
Pochi mesi fa, infatti, durante un incontro con una delegazione di giornalisti stranieri, il capo della commissione Affari esteri e relazioni con gli Stati del Cis, Igor
Karpenko, aveva ribadito che «la Bielorussia è un Paese
socialista» e che, quindi, non saranno privatizzati «settori nevralgici e strategici». Il problema resta, però, quello di sempre e cioè la mancanza di risorse proprie, che
rende la Russia Bianca vincolata ad altri Stati. «Dipendiamo dall’energia che importiamo per mandare avanti
le nostre imprese e non produciamo più valuta, l’unica
che abbiamo attualmente proviene dalle esportazioni»,
aveva ammesso ancora Karpenko.
Anche se la Bielorussa ha aperto a Paesi come il Venezuela e l’Iran, la Russia resta il suo naturale alleato.
Anche Lukashenko è in bilico?
I
n questo clima da bancarotta alle porte, sembra
essercisi dimenticati di quel cablo dell’ambasciata americana, pubblicato a inizio anno su Wikileaks, in cui si definiva Lukashenko l’uomo più ricco del
Paese con i suoi 9 miliardi di dollari. Uno degli elementi
della stabilità del batka è sempre stato, infatti, il suo voler apparire uomo del popolo, nonostante i ben noti metodi autoritari. La notizia apparsa su Wikileaks mal si lega invece con il profilo da “padre della nazione” a cui Lukashenko si è ispirato per costruire la sua immagine pubblica in questi diciassette anni di potere. Un’immagine
che pare non essere stata scalfita neanche dal sospetto,
poi candidamente confermato, che avesse un figlio, frutto della relazione extraconiugale con il suo medico personale, Irina Abelskaya. Nikolai è nato nel 2004 ed è presto diventato l’alter ego pubblico, in miniatura, del presidente. È con lui infatti in tutte le occasioni ufficiali, in
patria e all’estero, vestito, spesso, in abiti militari. E a lui
gli alti ufficiali rendono gli stessi onori che al padre. Kolja potrebbe essere il delfino designato alla successione,
se non fosse che la Bielorussia è una repubblica in cui vige, almeno formalmente, un sistema democratico.
Se a mettere in discussione l’aura del presidente, finora, non sono state le voci sulla sua moralità, sono bastati
degli applausi a farlo.
Da prima dell’estate le strade di Minsk, e anche delle
altre città, risuonano una volta alla settimana di vigorosi
“clap-clap”, accompagnati da clacson di automobili e
suonerie dei telefonini. Ogni mercoledì, dalle sette alle
otto di sera, si affluisce in modo regolare e ordinato dalle
vie laterali verso piazza Oktyabr o prospekt Nezalezhnosti. Giovani, ma anche famiglie che passano di lì per caso o adulti che tornano dal lavoro, indugiando tra la folla, applaudono ritmicamente rompendo il silenzio. Questo batter di mani non è però una dimostrazione di gradimento nei confronti del capo. «Abbiamo dei grossi problemi di democrazia qui», dice uno dei tanti giovani radunati nella prospekt, capelli lunghi, un po’ disordinati,
e vistosi orecchini a cerchio colorati. Alto e un po’ acerbo, vista l’età. Non fa in tempo neppure a dire il suo nome perché si sta mettendo in salvo dai poliziotti che compatti dividono l’assembramento.
Queste proteste silenziose hanno macchiato anche le
celebrazioni per il Giorno dell’indipendenza, tanto che
il governo ora ha avanzato una proposta di legge che le
proibisca.
Una norma difficile, però, da applicare, perché bisogna
dimostrare che il raduno non è occasionale. E se è vero
che la Rete è complice di questi appuntamenti fissi settimanali, è molto più difficile dimostrarne l’organizzazione, visto che chi vi partecipa non ha cartelli con slogan,
né segni distintivi.
Fino a poche settimane fa il capo dell’Amministrazione, Vladimir Makey, aveva minimizzato questo fenomeno, liquidandolo come originato da una parte «insignificante della popolazione», e assicurando che il governo di
Minsk sta intraprendendo la sua strada per le riforme.
Questo progetto di legge, però, è la dimostrazione che un
Bielorussi manifestano fuori della sede del Kgb a Minsk,
Ap Photo / S. Grits
crisi economica che ha investito la Russia Bianca è gravissima e stando alle ultime proiezioni, rese note dal vice primo ministro Sergei Rumas, il debito estero potrebbe toccare il 73% del Pil.
«Dal 2009 – spiega Rumas – il debito estero si è moltiplicato per 2,2 e in aprile ha superato per la prima volta
la soglia del 55% per toccare i 31,7 miliardi di dollari»,
pari al 55,4% del prodotto interno lordo.
La scorsa primavera, infatti, il rublo bielorusso ha subito una svalutazione fortissima, arrivando a perdere il
56% in un solo giorno. Attualmente si calcola che la valuta corrente valga circa il 30-35% in meno. Di conseguenza anche il costo della vista è salito di una percentuale
equivalente.
Il prezzo di un appartamento medio nella capitale,
spiega Andrej, una giovane guida turistica, è di «circa 300
dollari al mese, mentre un salario medio è di 500 dollari.
Se ci si sposta fuori, nei piccoli centri, la situazione cambia e anche il prezzo di un affitto scende a 100 dollari».
A maggio, nei giorni in cui la crisi è esplosa in maniera violenta, era possibile vedere gente in fila fuori dai negozi per acquistare beni di prima necessità. Ora si teme
nuovamente che i prezzi tornino a salire. Si fanno quindi di nuovo scorte, questa volta per l’inverno. Il batka ha
promesso di risolvere la situazione. Il prestito richiesto
al Fondo monetario internazionale, pari a 8 miliardi di
dollari (dopo i 3 miliardi e mezzo del 2009), è attualmente l’unica soluzione, insieme a quei circa 3 miliardi chiesti al Fondo per le emergenze dell’Eurasian Economic
Community, controllata in gran parte dalla Russia.
Ciò che l’Fmi chiede in cambio del proprio soccorso
economico è ben chiaro in termini di aggiustamenti strutturali e privatizzazioni; d’altro canto, ciò che vuole Mosca pure: il prestito ottenuto dal EueAsEc si trasformerà
nei prossimi tre anni in privatizzazioni da 7 milardi e
mezzo di dollari.
Prossimamente dovrebbe perfezionarsi l’acquisizione
da parte di Gazprom di un ulteriore 50% dell’operatore
del gas bielorusso, Beltrangaz, che passerebbe così completamente in mani russe. Il capo del comitato di Minsk
per le proprietà statali, Georgij Kuznetsov, ha annunciato a fine luglio che la quota statale «sarà venduta entro la
fine dell’anno». Si potrebbe chiudere in questo modo un
progetto avviato nel 2006 da parte della compagnia ener-
mostrando le foto di attivisti dell’opposizione imprigionati.
La polizia ha arrestato circa 700 persone
durante le proteste nella notte delle elezioni,
tra cui sette dei nove candidati dell’opposizione.
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anche gruppuscolo di persone può essere inteso come minaccia.
La televisione russa Ntv ha dato ampio spazio alle manifestazioni focalizzando l’attenzione sull’azione delle
forze dell’ordine: camionette che in pochi minuti si sistemano ai lati delle strade, agenti che in abiti civili e dotati di auricolare e videocamera filmano meticolosamente
quello che avviene in piazza e chi la riempie, giovani che
vengono caricati a bordo dei veicoli.
L’atteggiamento di Mosca pare così procedere su un duplice binario nei confronti dello storico alleato. Poche settimane fa il capo del governo russo, Vladimir Putin, in occasione del Forum Seliger 2011, non ha escluso la possibilità che i due Paesi ex sovietici tornino ad essere un’unica entità statuale, sempre che i bielorussi lo vogliano, sottolineando poi che «per tutte le complessità che emergo70 . east . europe and asia strategies
Una grave svalutazione ha colpito la moneta bielorussa,
dando vita a una crisi economica che sembra essere
la più seria nei 17 anni di governo di Lukashenko.
SOPRA Alcune donne scelgono cetrioli in un mercato a Mogilev.
no di volta in volta, in economia, nel settore dell’energia,
con il gas» è necessario rendere omaggio oggi alla leadership di Aleksandr Lukashenko «che segue costantemente il percorso di integrazione con la Russia».
In un simile quadro, secondo David Marples, studioso
di Bielorussia e docente dell’università di Alberta, in Canada, un prossimo allontanamento di Lukashenko dalla
scena politica appare altamente improbabile. Molto più
probabile, invece, la progressiva e inarrestabile ingerenza economica e politica della Russia.
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