[trieste - 30] il piccolo/speciali red/1 28

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[trieste - 30] il piccolo/speciali red/1 28
Scuola
INVITO ALLA COLLABORAZIONE
IN COLLABORAZIONE CON
INSERTO SETTIMANALE A CURA DEGLI
STUDENTI DELLE SCUOLE MEDIE SUPERIORI
E INFERIORI DI TRIESTE, GORIZIA E MONFALCONE
Scritti, fotografie, vignette e altri contributi
possono essere inviati a:
I
REDAZIONE DE «IL PICCOLO - SCUOLA»
VIA GUIDO RENI 1, 34100 TRIESTE
TEL 335 8748944 FAX 040 3733243
E-MAIL [email protected]
MERCOLEDÌ 28 GENNAIO 2009
30
La parolaccia sta dilagando
nel linguaggio giovanile
Ma è davvero liberatoria?
COME PARLANO I RAGAZZI
Una «slangopedia» raccoglie
la vera lingua «antisgamo»
Gli adolescenti comunicano
attraverso codici fantasiosi
coniati per ogni occasione
La volgarità per esprimere emozioni e soprattutto la rabbia
Una cattiva abitudine condivisa però anche con gli adulti
Al giorno d’oggi basta entrare in un sala giochi, infilarsi in
un locale o in una discoteca,
fermarsi ad ascoltare i ragazzi
e contare: quante frasi vengono condite da una parolaccia?
Molte, moltissime. Così tante
che ormai non ci sembrano più
nemmeno insulti, le consideriamo semplicemente modi di dire. Per rendersene conto basta
sintonizzarsi su una radio, leggere i commenti ai blog su internet, perfino guardare la televisione.
Soprattutto il linguaggio parlato dai giovani, totalmente diverso da quello di soli dieci anni fa, è fatto di parole strane,
di abbreviazioni, di molti termini stranieri, personalizzazioni
varie, termini persino inventati e, spesso, anche di parole volgari. Certo, ci si può esprimere
in vari modi, ma quello volgare, è sicuramente uno dei più
usati.
Nel linguaggio adolescenziale esso riveste un ruolo di particolare importanza e quasi ogni
discorso comprende una o più
parolacce. Influenzati anche
dagli adulti (secondo un sondaggio britannico nove adulti
su 10 dicono parolacce), gli adolescenti parlano sempre peggio, riempiendo sempre più il
loro discorso con parole scurrili. Ma siamo sicuri che un linguaggio così sia davvero liberatorio, moderno e accettabile?
Anche le ragazze hanno ormai acquisito un lessico rozzo,
come se volessero affermare
con ciò il loro diritto a partecipare al mondo maschile, essere "uomo" anche loro in qualche modo. Eppure saranno loro le madri di domani, saranno
loro ad educare i giovani di
una nuova generazione, speriamo meglio della nostra.
E non parliamo dei ragazzi e
degli uomini in generale: tutti
sbraitano, tutti usano parolacce e perfino bestemmie a volontà. Come se solo così fosse possibile esprimere le opinioni, i
desideri, le emozioni, ma soprattutto l'ira, il malessere che
sembra essere veicolato non
più attraverso parole educate
ma solo con la rabbia. Oramai
le parolacce sembrano un fatto
accettato ed usato anche negli
enti pubblici come la scuola,
l’università, il posto di lavoro,
nei treni, negli autobus, negli
ospedali, nei negozi.
Si sente spesso parlare della
maleducazione dei ragazzi, della mancanza di serietà e di responsabilità. Dimenticando però che sono figli, e che forse un
demerito va anche a chi non ha
saputo insegnar loro ad esprimersi diversamente, magari
con l'esempio. Una persona
non nasce con il linguaggio volgare già dentro di sé, ma è influenzata dagli amici, dalla
scuola.
A volte si diventa come gli altri anche per essere accettati;
magari se uno non bestemmia
non può entrare nel gruppo, comincia a fumare solo per far
parte del gruppo, quel gruppo
che ti unisce ma che a volte, anzi spesso, ti abbandona. Così la
rabbia aumenta ad ogni delusione.
Tutto ciò influenza il nostro
Giovani al bar
futuro. Fino a quando non ci si
rende conto che il futuro ce lo
dobbiamo costruire noi, magari con la forza dell’amore di
una persona che ci accompagnerà nel cammino della vita;
che in realtà non abbiamo più
bisogno del gruppo. Allora le
parolacce e la rabbia diventano un ricordo lontano, insieme
alla speranza di crescere i nostri figli in un mondo migliore.
Thelma Turino
Irene Codiglia
(Istituto tecnico G. Deledda Trieste)
OPINIONI
«Volgare e sboccato è la regola in tv»
Secondo molti l’abitudine a un linguaggio spinto è lo specchio della società
Vittorio Sgarbi, noto per i suoi interventi senza censura
Parolacce: piaga del
linguaggio, o modo colorito di esprimersi? È inutile negarlo: tutti le usano
e le inseriscono nella loro parlata quotidiana. A
volte anche in modo ossessivo, tanto che qualcuno le definisce come ”un
intercalare ripetitivo e
snervante”.
«A mio parere, dire parolacce sempre e comunque, a lungo andare diventa volgare, ancor più
se lo si fa di fronte a dei
bambini», dice Carlo (18
anni). E aggiunge: «Oltretutto, credo che sia un segno di maleducazione. A
scuola, sia insegnanti,
sia alunni dovrebbero
evitarle. Anzi, sono proprio i prof che dovrebbero dare un esempio ai ragazzi: la scuola esiste
non per favorire un abbassamento nel comportamento e nel linguaggio»
E delle parolacce in tv
cosa pensi?
«La televisione riflette
la società di oggi - risponde ancora Carlo – ma questo non giustifica il fatto
di continuare a dirle e a
presentarle negli show
come se niente fosse»
Non è d’accordo con
questo commento Giacomo (18 anni): «Dire parolacce non è né volgare,
né normale. È un modo
per sfogare se stessi attraverso il linguaggio- dichiara risoluto –Ritengo
che scuola e tv siano dei
mezzi volti a trasmettere
la cultura e la conoscenza della società del nostro tempo. Usare le parolacce sia a scuola, sia in
tv, è solo una maniera
per non essere ipocriti
con noi stessi e per non
nascondere la realtà così
come essa è».
Tra questi due estremi,
si possono classificare le
opinioni degli altri giovani di Trieste sul tema delle parolacce. Anna (19 anni) crede che l’uso di esse dipenda e vari dalle
persone: a suo avviso,
TESTIMONIANZE
Quando bambino fui costretto a lasciare la Croazia
Eravamo un unico popolo, la guerra ci ha diviso. La storia insegni a non ripetere gli errori
La storia è importante
per la nostra vita, perché
ci insegna tutto ciò che
l’uomo ha fatto, sia le cose positive che quelle negative. E soprattutto dovrebbe insegnare alle
nuove generazioni a non
ripetere gli errori fatti
dall’uomo nel passato, come le guerre.
La guerra è la peggior
cosa che esiste al mondo
e lo dico perché anch’io
l’ho vissuta e, anche se
ero piccolo, ricordo certe
cose che non potrò mai dimenticare. Nel mio caso
si tratta di una guerra tra
parti che erano una parte
sola e che parlano la stessa lingua. La sola cosa
che li differenzia è la religione. Forse è questa la
causa dell’inutile guerra
che ha portato solo sangue, lacrime e dolore a
tutti.
La vera ragione ancora
non si sa, non la sapevano
neanche i politici di quel
tempo, forse perché ognuno di loro aveva l’obiettivo di staccarsi dagli altri.
Non lo sapevano neanche
i soldati che ci hanno
combattuto, loro sapevano solo che dovevano combattere, per difendere il
loro paese e la loro religione.
Per tutti però questa
guerra è stata una tragedia, perché a un certo
punto la gente si è trovata
a combattere contro i
suoi vicini, i suoi amici e,
anche in qualche caso,
contro i suoi parenti. Molta gente continua ancora
a ricordare i bei tempi,
quando quella repubblica
si chiamava Jugoslavia,
che dopo la liberazione
dai nazifascisti era riuscita a diventare un Paese
nel quale si viveva benissimo. Ogni famiglia riusciva a vivere senza preoccupazioni, non si pagavano
le tasse per la scuola e
per lo sport e non c’era
criminalità. Ma tutto questo un giorno non c’è stato più. Tutto era improvvisamente cambiato e stava
conducendo ad una folle
guerra.
La mia famiglia viveva
in Croazia, in una regione
chiamata Krajina, nella
quale si concentrava una
forte minoranza serba.
Noi, insieme a tutte le altre famiglie che non erano di nazionalità croata,
siamo stati costretti a la-
sciare la Croazia: file di
uomini, donne, bambini,
giovani, vecchi, lunghe
chilometri, costretti ad
andarsene, anche senza
una meta, camminando
per le strade distrutte dalle bombe e dalle granate
e con tutta la paura di subire un attacco nemico.
Ogni anno i croati festeggiano il giorno della
liberazione del loro paese e in quel giorno sono
in Croazia dai miei nonni.
Guardando loro che festeggiano, e guardandomi
intorno, con tutte quelle
case ancora oggi distrutte
e abbandonate, con tutti i
campi ancora oggi pieni
di mine, mi chiedo cosa ci
hanno guadagnato
da
questa guerra e, in generale, che cosa ci hanno
guadagnato gli altri. Pri-
nella società giovanile è
normale dirle, mentre
tra gli adulti è più difficile che succeda. «Per
quanto riguarda la scuola - dice – penso che, ormai, anche in questo caso, tutto sia relativo:
l’educazione è andata a
farsi friggere. E la tv le
inserisce nelle varie trasmissioni perché si adegua soprattutto ai giovani e cerca così di fare più
audience».
Anche Caterina (18 anni) è d’accordo: «Dire parolacce in tv è la cosa
peggiore perché possono
sentirle con più facilità
anche i bambini e poi
possono ripeterle a casa
e in giro; per i genitori è
difficile intervenire». Andrea (18 anni) sostiene
che sia a scuola, sia in tv,
non sia corretto dire parolacce, in quanto in entrambi i casi si dovrebbero educare le persone,
non diseducarle; Chiara
(19 anni) pensa che inserirle nel linguaggio scola-
stico e televisivo non sia
corretto, ”ma che, dopotutto, siamo umani e, a
volte, possono scappare”.
Giovanni (19 anni) dichiara che la cosa più
scorretta sulle parolacce
è quella di vederle scritte sui muri, cosa molto
frequente nella nostra
città. «Anche se è sempre stato così- dichiara –
non è una giustificazione
continuare a far finta di
non vedere. Oltre ad essere un segno di maleducazione, si imbrattano, spesso offendendo delle persone, le strade, sia in centro, sia nelle periferie. E
questo è un chiaro segno
di inciviltà; se le parolacce possono scappare talvolta mentre si parla, è
veramente volgare scendere per andare a scuola
o al lavoro e trovarsele
scritte ogni giorno sul
muro di fronte a casa
tua».
Lisa Buonanno
(Liceo socio-pedagogico G.
Carducci - Trieste)
«Raga sto sclerando!» Tutto chiaro no? Se
avete un’età compresa tra i 14 e i 18 anni, allora lo slang giovane non sarà un mistero.
Uno slang scherzoso, ludico, creativo e fantasioso. Fatto di sigle e metafore inventate, rielaborate, accorciate, raddoppiate. Insomma,
una vera e propria lingua antisgamo, che non
si fa scoprire dagli adulti. L'avete mai sentito
un gruppo di ragazzi salutarsi al grido di bella!, con la mano destra in alto? Inutile cercare la fighetta della comitiva. La parola vuol
dire ciao. E se vedete un ragazzo particolarmente super-gasato, con lapidario un ”stai
scialla” si tranquillizzerà sicuramente. Da
nord a sud il vocabolario dei giovani si arricchisce con neologismi sempre più particolari
e originali, e parlarsi in under 18 non è mai
stato così divertente. Da regione a regione
saltare la scuola è comune a tutti i ragazzi
ma per non farsi scoprire ecco che a Napoli
fanno filone, ad Arezzo chiodo, per non parlare delle nostrane lippe. Ma se sentite ragazzi
di Bergamo parlare di impiccarsi, non allarmatevi: anche
loro quella mattina non vogliono proprio entrare a scuola.
Così se il dialetto è quasi
scomparso, ecco che il bisogno di comunicare con emotività ha contribuito a creare
il
linguaggio
giovanile. E allora per ogni
occasione vengono utilizzati
termini ad hoc.
Un esempio?
Se avete notato
qualcosa che attira particolarmente la vostra
attenzione, o indossate un abbiDue adolescenti
gliamento dai
colori sgargianti, come descriverlo meglio se
non con l’aggettivo flashante.
Ma attenzione:
meglio non dire che siete rimasti , o usare come sinonimo spannati, altrimenti vi dareste del fuori di testa. Se invece
volete fare un apprezzamento su una ragazza, magari particolarmente stilosa (che ha stile), a Roma non potete che chiamarla cellona
e a Firenze dovete usare fagiana. E se alle vostre spalle sentite sussurrare aggettivi come
scrondo o ciospo, sappiate che sono tutt’ altro
che complimenti. Potete sempre rispondere
definendoli cofani, e se sono brufolosi, poi,
come non chiamarli kinder cereali? Vi sembra di scapottare male e vi sentite fuori come
un balcone con tutti questi termini della newgeneration? Blando, state manzi, che tradotto
sarebbe tranquilli, state calmi: in vostro aiuto c’è la slangopedia. Un dizionario vero e
proprio che sta raccogliendo le diverse parole e espressioni del linguaggio dei giovani:
l’unico che vi fa sbroccare dalle risate e leggendolo non si corre il rischio di ”spavare”, o
meglio: dormirci sopra.
Muriel Doz
(Liceo scientifico G. Galilei - Trieste)
Ogni generazione under 18
conia nuovi termini
spesso diversi da città a città
Un cimitero di guerra nella ex
Jugoslavia dove la guerra fra
i vari popoli ha provocato
stragi, deportazioni ed esodi
massicci. Da qui l’appello a
far tesoro degli errori passati
affinchè queste atrocità non
si ripetano mai più
ma ci conosceva tutto il
mondo come un paese meraviglioso, e oggi ci guardano tutti male, come un
popolo pieno di odio, e
senza amore.
Ma in verità non è così.
Anche dopo tutto quello
che è successo, noi riusciamo ancora a vivere insieme, e penso che non si
verificheranno più cose
simili, perché non credo
che la gente vorrà rivivere di nuovo una guerra.
Ed è anche per questo
che ci serve lo studio della storia: per dimostrare
quanto sono brutte le cose che sono successe e
quanto è importante che
non si ripetano mai più.
Aleksandar Akik
(I.T.I.S. A.Volta Trieste)