Savana africana

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Savana africana
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Savana africana
Grandi mandrie, veloci predatori e tante emozioni ...
IL
NATURALISTA
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Safari africano
Un emozionante viaggio attraverso la savana per scovare tutti i principali grandi animali africani ...
Eravamo da cinque
giorni in Sud Africa,
da uno e mezzo nella
riserva privata di Pinda
e saremmo rimasti là
ancora solo per una
mezza giornata.
In alto a destra: rinoceronte nero con cucciolo
In basso a sinistra: rinoceronte bianco al pascolo
(Foto A. Hermes)
Il parco naturale più
esteso del Sud Africa è
il Kruger National
Park, dove eravamo già
stati, ma data la sua
vastità non è facile avvistare molti animali; è
quindi sempre consigliato recarsi anche in una o più riserve private, come appunto quella di
Pinda, poiché, date le dimensioni più
limitate, si riescono più agevolmente a
trovare gli animali che si desidera vedere.
Noi avevamo già visto tutto il vedibile: antilopi, zebre, iene, gnu, facoceri,
babbuini, svariate scimmie, giraffe,
avvoltoi, ippopotami e pure qualche
coccodrillo in un piccolo stagno. Ov-
viamente ci eravamo dati da fare per
riuscire ad annoverare nella lista anche i Big Five: l’elefante, il rinoceronte (sia bianco che nero), il bufalo, il
leone e il leopardo.
Non sempre era stata un’impresa facile e veloce …
Il primo dei cinque era stato l’elefante. Eravamo appena arrivati nel parco
nazionale e ci stavamo sistemando
nelle nostre lodges (chiamarle stanze
sarebbe riduttivo perché ognuna di
esse rappresentava una casetta a parte), quando dal terrazzo abbiamo scorto qualcosa di particolare: un branco
di elefanti stava sfilando proprio davanti a noi come in una parata giunta
per darci il benvenuto. Ce n’erano di
tutte le età: adulti, giovani, piccoli,
tutti al seguito della ben riconoscibile
matriarca. Quell’inaspettata accoglienza ci aveva lasciati estasiati e
sentivamo che era un buon inizio per
il nostro viaggio.
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Anche l’incontro con il rinoceronte nero era avvenuto dopo pochi giorni dal nostro arrivo e ci aveva
impressionati l’evidente forza dell’animale che si
sarebbe potuta scatenare contro di noi da un momento all’altro, anche per un minimo passo falso da
parte nostra. Il suo cugino bianco, invece, si era
lasciato desiderare a lungo. I nostri sforzi per trovarlo nel Kruger Park non avevano dato frutti e anche a Pinda avevamo incontrato non poche difficoltà. Dopo una lunga e stancante caccia, però, ne abbiamo visti addirittura due, una madre
e il suo piccolo, che brucavano tranquillamente senza poter comprendere
di essere il coronamento della nostra
assidua ricerca.
Ormai solo un animale mancava all’appello e
sapevamo di non poter partire prima di averlo
trovato: il ghepardo.
Ci avevano riferito che dei ghepardi erano
stati avvistati la sera prima e, alle cinque del
mattino, ci stavamo recando in fretta sul posto, nonostante le nostre guide ci avessero
avvertiti che le probabilità che i felini fossero
ancora là erano scarse. Stanchi per le poche
Il bufalo, poi, ci era sembrato introvabile nel grande parco, mentre lo avevamo incontrato a ogni piè sospinto
nella piccola riserva, senza provare
però una grande emozione dal momento che è meno impressionante
degli altri due erbivori.
Il re della savana si era fatto attendere
come si addice a ogni sovrano, ma poi
si era mostrato a noi in tutta la sua
maestosità in numerose occasioni,
una più impressionante dell’altra: prima da lontano,
man mano sempre più vicino, tre fratelli adulti a
pochi passi l’uno dall’altro, una famiglia composta
da un maschio adulto e dal suo seguito di leonesse,
alcune leonesse a caccia durante la notte e via dicendo …
Avevamo, infine, avuto una fugace visione di un
leopardo mentre ci trovavamo al Kruger Park, che
ero per pura fortuna riuscita a immortalare in tutta
la sua agilità ed eleganza mentre si voltava a guardare che strani animali fossero i seccatori che giungevano a disturbare la sua quiete, prima di spiccare
un balzo e sparire dalla nostra vista. A Pinda, dopo
pochi giorni, avevamo trovato altri due di questi
felini, intenti a sbranare il frutto della caccia giornaliera, ma erano poco più di sagome indistinte stagliate su uno sfondo di alberi e fogliame, la cui presenza era rivelata solamente dal rumore delle loro
mascelle: un incontro da brivido che ci aveva mostrato anche il lato più selvaggio e feroce della natura.
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ore di sonno e infreddoliti per la bassa temperatura, scorgevamo diverse antilopi e alcuni
elefanti senza però degnarli di grande attenzione, focalizzati come eravamo sul nostro
obiettivo.
Il conducente continuava a parlare al walkietalkie chiedendo informazioni su eventuali
avvistamenti di “cheetah”, come li chiamava
lui. Ad un tratto fermò bruscamente la jeep e
prese una stradina laterale in tutta fretta: avevano trovato dei ghepardi a 1 Km da noi!
Giunti sul posto restammo sbalorditi e affascinati nel vedere una famigliola di ghepardi
(la madre e i tre cuccioli quasi adulti).
A godere dello spettacolo insieme a noi c’era
un’altra jeep di turisti, ma i felini sembravano
non essersi neppure accorti della presenza
umana vicino a loro e continuavano a giocare, offrendoci la possibilità di realizzare degli
scatti mozzafiato.
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Giraffa del Capo (giraffa camelopardalis giraffa), caratterizzata da corna presenti in
entrambi i sessi. (Foto A. Hermes)
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I cuccioli non si allontanavano mai
troppo dalla madre e cercavano di
coinvolgerla nei loro divertimenti
mentre lei, vigile, controllava che non
vi fossero pericoli nei dintorni, fiutando l’aria di tanto in tanto. All’improvviso l’attenzione dei quattro si focalizzò su qualcosa alla nostra destra: una
mandria di gnu, che non avevamo sentito arrivare, stava là ferma presso un
paio di alberi, fissando immobile la
famiglia di felini. Due dei cuccioli si
appiattirono nell’erba e cominciarono
ad avanzare silenziosamente verso gli
erbivori; ad un tratto si lanciarono di
corsa, regalandoci una vista unica ed
entusiasmante. Gli gnu si voltarono
per fuggire, ma si fermarono solo dopo aver percorso una cinquantina di
metri, si rigirarono e caricarono i due
giovani inesperti che batterono in
pronta ritirata: gli inseguitori erano
ora gli inseguiti! Essendo ormai passato il pericolo, gli gnu tornarono da
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dove erano venuti e sparirono dalla
nostra vista.
A quel punto ci accorgemmo che era
scomparso anche uno dei tre cuccioli,
lo cercammo ansiosamente con lo
sguardo e notammo una nuova presenza: una giraffa. Il grande erbivoro brucava tranquillamente senza prestare
attenzione al ghepardo che lo fissava a
pochi metri da lei; quest’ultimo, non
trovando la giraffa di grande interesse,
tornò presso la madre e i fratelli, riprendendo a giocare con loro.
Rimasero a divertirsi a pochi passi da
noi, saltandosi addosso, mordendosi,
rotolandosi per terra e tirandosi zampate in un gioco continuo per almeno
un’altra mezz’ora, ma a noi il tempo
sembrava essersi fermato tanto eravamo presi da quello spettacolo unico.
Dopo un tempo che ci parve infinito,
essendo sfinita per le vicende della
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mattinata, la famigliola si ritirò tra gli
alberi al seguito della madre.
Quando furono scomparsi alla nostra vista tornammo lentamente al campo base,
mantenendo tutti un religioso silenzio e
ripensando a ciò a cui la natura ci aveva
concesso di assistere.
Si era così conclusa la nostra avventura
di safari in Sud Africa.
Arianna Hermes
I cuccioli di ghepardo hanno una sorta di criniera bianca sulla schiena: questa serve per difendersi da eventuali predatori (Leoni o leopardi).
Difatti la criniera è uguale a quella del terribile
tasso del miele (Mellivora capensis), la cui fama di terribile combattente fa indietreggiare
anche i più grossi felini adulti.
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Inizialmente ritenuto una specie a sé (Acinonyx rex), il ghepardo “rex” è il risultato di un gene recessivo legato alla colorazione del mantello che si manifesta molto raramente soltanto se
ereditato da entrambi i genitori.
Per continuare con le curiosità, è poco noto che il ghepardo è
presente anche in Pakistan, India e Iran, seppur con pochissimi
esemplari.
Foto da www.sanador.it
Addo, il re della savana
Un film di Hugo van Lawick
Un capobranco della savana (Foto da
www.ngm.com).
Foto alla pagina successiva : A. Hermes.
Con la sua faccia tonda, circondata da
una vivace barba bianca, Hugo van
Lawick non può che inspirare simpatia al primo sguardo. Egli è un regista
olandese di film-documentari sulla
savana africana. Tra i suoi capolavori
“Il Ghepardo e la sua famiglia”, “Gli
elefanti del Kilimangiaro”,
“Serengheti: la sinfonia della natura”.
Van Lawick, deceduto nel 1998, ha
vissuto per ben 30 anni in un campo in
mezzo al parco del Serengheti, in Tanzania, a 10 Km d’auto dal più vicino
centro abitato, Arusha.
L’ultimo dei suoi lavori è stato “Addo:
il re della savana”, la storia vera di un
leone maschio, dalla sua nascita fino
alla sua ascesa come capo di un branco e “re africano”.
La nascita
La madre di Addo, come tutte le leonesse, si allontana per alcune settimane dal branco per dare alla luce la cucciolata e allevarla. Inizialmente i cuccioli sonno ciechi e dipendono total-
mente dalla madre, che li accudisce e
allatta amorevolmente tutta la giornata.
La madre si allontana solo qualche volta, ma non troppo, per trovare cibo per
lei, da cui prendere le sostanze nutrienti che poi passa ai figli attraverso il latte.
Dopo alcune settimane la madre e i
cuccioli (Addo e le sorelle), si riuniscono al branco, dove conoscono il padre e
i fratellastri più grandi.
I branche di leoni sono composti da
femmine con i loro cuccioli e da uno o
due maschi (Questo accade solamente
se i maschi sono fratelli o se si sono
alleati durante il periodo di esilio); raramente sono più di due.
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Il maschio è il padre di tutti i cuccioli del
branco.
La caccia
Ogni branco controlla una gigantesca
area di territorio, nella quale abitano
gnu., zebre, gazzelle …
Solitamente sono le femmine a cacciare.
La criniera del maschio infatti lo rende
molto più visibile tra l’ebra alta. La criniera, che nei leoni preistorici era assente,. Ha la funzione di far sembrare più
grande e più temibile il maschio: di conseguenza il maschio, notevolmente più
forte della femmina, è un ottimo difensore del
branco, ma non un buon cacciatore.
La natura ha risposto a questo handicap rendendo
le leonesse delle terribili cacciatrici.
Le leonesse si avvicinano, nascoste nell’erba alta,
al branco di erbivori tutte sulla stessa linea. Quando arrivano a meno di 50 m dalle prede una delle
leonesse parte all’attacco (a una velocità di circa
15 m/s) scatenando il panico nel branco, i cui componenti si mettono a correre in ogni direzione. La
leonessa dunque insegue uno degli animali spingendolo verso una delle
compagne (per esempio tagliandogli la strada ogni
qual volta cerca di cambiare
direzione di fuga). Quando
la preda è vicina alla seconda leonessa anche questa
parte all’attacco, spingendola verso una terza cacciatrice
in agguato, e così via …
Per abbattere la preda la leonessa mira ai fianchi poi salta, sfoderando gli artigli, e cerca di buttare a terra l’erbivoro. Una volta
abbattuta la preda, la leonessa gli azzanna la gola
con i lunghi canini, uccidendola per soffocamento.
Successivamente le leonesse portano in un luogo
riparato la carcassa, per evitare gli spazzini della
savana (iene, licaoni, avvoltoi …).
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Il primo a mangiare è il leone, il capo del branco; successivamente si cibano le leonesse e infine i cuccioli e i giovani. I leoni tagliano la carne con i denti carnassiali che hanno dietro i canini e la raschiano con la lingua ruvida.
L’esilio
La vita di Addo, trascorsa per mesi tra buoni
pasti, giochi con i fratelli e buone dormite (i
leoni dormono per circa i 2/3 della giornata),
prende una svolta drammatica all’inizio della
stagione secca.
Le grandi mandrie abbandonano il territorio del branco
in cerca di pascoli più verdi e
il branco di leoni si ritrova a
soffrire la fame.
Come se non bastasse, due
giovani leoni dalle grandi
criniere invadono il territorio
del branco, decisi a prenderne possesso e ad accoppiarsi
con le leonesse. Con i loro
forti ruggiti persuadono il vecchio padre di Addo che è più saggio fuggire piuttosto che affrontare una impossibile lotta con due giovani e forti avversari. Il capo branco dunque fugge, lasciando il branco incolume davanti agli aggressori.
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La scena finale di “Il re leone” della Walt Disney
(www.wildfangs.forumfree.it)
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Siccome i leoni, quando prendono
possesso di un gruppo di femmine,
solgono uccidere tutti i cuccioli del
precedente capobranco, una leonessa
preferisce allontanarsi dal territorio
con tutti i cuccioli al suo seguito.
Addo, ormai divenuto un giovane leone, con una criniera abbozzata, deve
fuggire non solo perché figlio del vecchi re, ma anche perché possibile rivale. Uno dei due invasori lo insegue,
deciso a ucciderlo; solo l’arrivo di alcuni cacciatori Masai fa fuggire il
nuovo re e salva la vita a Addo, che
per fortuna non è visto dagli uomini
vestiti di rosso.
Durante il suo lungo esilio, Addo fa
amicizia con un altro giovane leone
esiliato dal suo branco. Tutti i leoni
maschi infatti vengono allontanati dal
proprio gruppo d’origine, se non da
invasori, dallo stesso padre, affinché
non gli rubi la signoria sul branco.
Non è raro anche che durante il
periodo dell’esilio si creino forti
amicizie tra i maschi, che non si
spezzeranno mai più.
Grazie all’amico Addo può cacciare tutti i tipi di preda, ha un
compare con cui giocare e divertirsi nonché un socio per la
conquista di un gruppo di leonesse e
un territorio di caccia.
La conquista
Individuato un territorio difeso solamente da un vecchio maschio, Addo e
l’amico lo invadono a suon di forti
ruggiti. Il vecchio re fugge.
Addo lo insegue per assicurarsi che se
ne vada dal territorio, ma l’inseguito
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approfitta del fatto che Addo lo sta inseguendo da solo per attaccarlo violentemente. Dopo un aspro combattimento
Addo riesce a ferire l’avversario a una
zampa, che si ritira definitivamente.
Nel frattempo l’amico di Addo cerca di
conquistare la signoria sulle leonesse.
Compito tutt’altro che facile: le femmine infatti non vedono mai di buon occhio l’arrivo di nuovi maschi, siccome
comporta un periodo di instabilità e insicurezza, nonché l’esilio o l’uccisione dei
leoncini.
Soprattutto alcune delle leonesse con
figli non esitano ad attaccare il nuovo
venuto. Ma alla fine, anche con l’aiuto
di Addo, il nuovo re riesce a sottomettere tutte le femmine del branco.
Il film-documentario di conclude con
Addo, ormai divenuto un grosso leone
maschio dalla grande criniera che ruggisce dall’alto di una roccia in mezzo alla
savana, scena che non può che rimandarci al celebre finale del “Re leone”
della Disney.
Van Lawick ideò e curò personalmente
parte delle riprese del film ma fu poi
costretto a passare la direzione al regista
olandese Anton Van Munster perché
gravemente malato di enfisema, che lo
stroncò il 2 Giugno 1998 Dar Es Salam,
mentre le riprese del film continuavano;
con permesso del governo, è stato sepolto in mezzo al Serengheti, vicino a quel
campo in cui aveva vissuto per 30 anni,
ammirando con passione e rispetto la
vita degli animali della savana, e specialmente quella dei leoni.
Alessandro Paolo Carniti
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