Note in margine a LAMMA e dAla nel geroglifico anatolico del II
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Note in margine a LAMMA e dAla nel geroglifico anatolico del II
für di GS E. Neu, im Druck Note di geroglifico anatolico NATALIA BOLATTI GUZZO - MASSIMILIANO MARAZZI UNIV. DEGLI STUDI “SUOR ORSOLA BENINCASA” NAPOLI In occasione di un recente lavoro su alcuni temi relativi al geroglifico anatolico1) e riesaminando a tal fine alcune cretule provenienti dall’archivio/deposito di Nişantepe, pubblicate da S. Herbordt (ed. 2005), con il commento epigrafico di J.D. Hawkins (ma cf. anche Hawkins 2006), si è avuto lo stimolo ad approfondire una serie di punti particolari riguardanti sia la lettura che l’interpretazione di alcune iconografie e iscrizioni ivi e altrove attestate. Le riflessioni e gli spunti su alcune tematiche di maggiore interesse sono stati raccolti qui dai due Autori in forma di brevi notizie dedicate alla memoria di un maestro nell’ambito degli studi anatolistici. 1. Le iconografie complesse sulle cretule dei sigilli ad anello a superficie ovale Una serie di impronte di sigilli ad anello con campo ovale contengono complesse scene di culto, composte da un insieme di elementi scrittorî ed elementi iconografici, a volte difficilmente separabili, dal momento che se da un lato le legende geroglifiche fungono da ancoraggio disambiguante la “lettura” meramente visiva della composizione, dall’altro gli elementi più spiccatamente iconografici concorrono (per il fatto di derivare spesso da varianti glifiche con forte carica iconica) alla corretta “lettura” linguistica della legenda stessa. È il caso del gruppo formato da scene di culto connesse con la divinità tutelare dLAMMA, e, più in particolare, dei Nrr. 622 e 482 in Herbordt ed. 2005. 1.1. La cretula Nr. 622 (cf. Figg. 1-2) Si tratta di una scena composita di adorazione nei confronti di due divinità, che, per il suo schema bipartito, si avvicina alla doppia rappresentazione rupestre di Fraktin. Che il personaggio adorante rivolto (sull’impronta) verso la destra, quindi verso la divinità maschile in posizione seduta su un cervo accovacciato e caratterizzata dalla legenda geroglifica (DEUS) CERVUS3-ti REX (“divinità tutelare del re”), non sia da vedere come una seconda divinità, sembra confortato dal fatto che lo stesso abbigliamento per l’iconografia dell’adorante si ritrovi sia sulle famose basi di stele BOĞAZKÖY 1 e 22), sia soprattutto sull’impronta del sigillo (a cilindro) di Taprammi presente nello stesso archivio (Herbordt ed. 2005, Nr. 409). In particolare, in quest’ultimo caso l’adorante è rappresentato sull’aquila bicefala esattamente come l’adorante sull’impronta Nr. 482 di cui si dirà appresso. La presenza del nome LINGUA+CLAVUS-i(a), apposto come d’uso di fronte al personaggio (con la sola variante di essere spostato più in basso, subito al di sotto del braccio, certamente a causa dello spazio limitato, già occupato dal nome del dio), ne confermerebbe la natura umana. La seconda scena di adorazione, quella orientata verso sinistra, rappresenta, quindi, sotto il profilo della sintassi visiva, un momento “altro” di adorazione da parte dello stesso personaggio, questa volta però nella sua manifestazione di principe “guerriero/cacciatore”3), nei confronti di una divinità femminile, anch’essa seduta , ma su un capride, forse da identificare con la divinità femminile Ala (in proposito più avanti al punto 2.). Fig. 1 Fig. 2 1.2. La cretula Nr. 482 (cf. Figg. 3-4) Si tratta di un’impronta già attestata a Boğazköy (SHS BO 48), pubblicata a suo tempo da H.G. Güterbock (in SBo II Nr. 222, dis. alla p. 78), ma certamente molto più leggibile ora dalle testimonianze di Nişantepe. Anche in questo caso si tratta di una scena di adorazione, tuttavia a unica scansione temporale, e anche in questo caso la figura dell’adorante, iconograficamente molto simile a quella di Taprammi su Nr. 409, deve essere identificata con il proprietario del sigillo. Il nome (Tuwarsa), è posto anche qui, come di norma, frontalmente rispetto al denotato (oltre alla sua ripetizione araldica nella variante “iconica” del segno per /sa/ ai due lati estremi della composizione), ma spostato verso il basso per evidenti ragioni di spazio come in Nr. 622. Interessante, in questo caso, risulta la figura della divinità, chiaramente da riferire alla divinità tutelare, vista la sua iconografia di stante su cervide, ma apparentemente senza una specifica attribuzione geroglifica. Fig. 3 Fig. 4 Di fatto, diversamente da quanto si era finora in grado di constatare in base alla sola impronta SHS BO 48, in Nr. 482 è chiaramente visibile, al di sopra del braccio teso in avanti del dio, e in posizione frontale rispetto al volto, il segno per CAELUM (*182), esattamente come è il caso, ad esempio, della caratterizzazione geroglifica del “dio della tempesta” nella famosa serie dei sigilli di Muwatalli4). Se tale lettura coglie nel segno, la sua testimonianza appare di notevole interesse, dal momento che l’attributo di “celeste/del cielo” riferito a dLAMMA ci risulta comparire nella letteratura cuneiforme soltanto nel famoso testo KUB 2.15), e cioè nell’incipit della lista delle varie manifestazioni della divinità. Come a suo tempo già indicato da A. Archi e successivamente considerato da McMahon, il testo in questione, nella versione pervenutaci, appare riflettere la configurazione politico-religiosa che si viene a formare sotto il regno di Tuthalija IV. Non è d’altra parte un caso che nella parallela lista delle offerte per la divinità Ala (III 26ss.) compaia proprio all’inizio, subito dopo dAlaš huešwannaš, l’indicazione dAlaš ŠA ŠAMĒ. 2. dAla, dLAMMA e L. 461 Proprio in relazione alle due divinità, l’una femminile, l’altra maschile, che formerebbero la coppia divina tutelare, J.D. Hawkins di recente (2004 e 2006), riprendendo in parte un acuto contributo di M. Forlanini (1987), ripropone l’interpretazione Ala per la grafia geroglifica del nome di questa divinità in EMIRGAZI §§ 26, 29, 37, trascrivendolo come á(FEMINA.DEUS).*461 (fig. 12). Confrontando, inoltre, la rappresentazione sul rhyton d’argento a forma di cervide della collezione Schimmel (figg. 5-6)6) e l’impronta succitata Nr. 622, propone, a nostro avviso pienamente a ragione, di vedere in entrambe le composizioni la coppia dAla-dLAMMA, e trascrive di conseguenza le irrigidite forme geroglifiche che fronteggiano sul rhyton le due divinità, come (DEUSx)CERVUSx per la prima (in piedi su un cervo), e á-x-DEUSx-FILIA (seduta di fronte a un altare) per la seconda. Fig. 5 Fig. 6 Proponendoci di ritornare più avanti su una possibile miglioria della lettura proposta da Hawkins, pensiamo possa essere utile, per una più approfondita precisazione del valore da attribuire a *461, passarne rapidamente in rassegna le più importanti attestazioni su glittica, tenendo presente quanto già puntualizzato a suo tempo da M. Poetto (in Poetto-Salvatori 1981, commento al Nr. 8) e M. Forlanini (1987): 1) SHS BN 5, 11 e 13 (Fig. 7): tutte e tre le impronte sono state originariamente pubblicate da D.A. Kennedy nel 1959, rispettivamente ai Nrr. 45-47 e riprese in Mora 1987 (=SHS II) ai Nrr. XIIa, 1.4; XIIa, 1.7; XIIa, 2.43. Fig. 7 Per i primi due, sulla base di quanto a suo tempo osservato anche da M. Poetto (in PoettoSalvatori, p. 17, nota 24) e M. Forlanini (1987), la lettura del nome del proprietario, ripetuto su due colonne affrontate simmetricamente, affiancate ai due lati dal titolo REX.FILIUS, sembrerebbe interpretabile come *461- á-a7), mentre il terzo presenterebbe, invece, un’unica sequenza orizzontale (dunque *461-á-a), sotto alla quale si trova ripetuto simmetricamente il titolo REGIO.DOMINUS (si tenga tuttavia presente la nuova identificazione del supposto segno per “á” come *521 su questi ed altri sigilli, per cui cf. più avanti al punto 4). 2) SHS MAKR 1 (=SHS II VII, 5.1 = XI, 1.13) (Fig. 8): sigillo biconvesso edito originariamente da J. Gelb (1965, Nr. 10) e ripreso da L. Jakob-Rost (Jakob-Rost 1975, Nr. 70)8), da leggere sul vo. su 2 colonne verticali affiancate: ma-*461-za/i (a sinistra) e *172-wa/i-za/i (a destra) 9), mentre, alla sinistra della composizione, sotto a 2 simboli simmetricamente affiancati e ruotati di 90° rispettivamente a destra e sinistra interpretabili forse come BONUS2, il segno per VIR2 (sulla peculiare collocazione di VIR2 e su una sua possibile interpretazione si veda più in basso). Fig. 8 3) SHS BOR 8 (=SHS II, VIb, 1.30) (Fig. 9) sigillo biconvesso pubblicato da M. Poetto (in Poetto-Salvatori 1981, Nr. 8), recante su entrambe le facce (in maniera non perfetta) la stessa composizione: al centro il nome del proprietario in una sequenza verticale, dall’alto in basso, wa/i-su-*461, inquadrato ai due margini, destro e sinistro, dal titolo *414.DOMINUS10). Fig. 9 4) SHS BOR 24 (=SHS II, VIII, 11.1) (fig 10) sigillo ad anello a campo circolare, pubblicato da M. Poetto (cit., Nr. 26). Limitandoci al solo campo centrale11), sono qui riconoscibili 2 sequenze verticali affrontate, delle quali quella di sinistra (sull’impronta) presenta il gruppo DEUS.*461 (con *461 in posizione ‘sdraiata’, come nella cornice esterna), seguito in basso dalla caratterizzazione BONUS2.FEMINA; quella di destra si compone invece (dall’alto verso il basso, ma con orientamento reciprocamente difforme degli elementi in 2a e 3a posizione) di *414-la-ní BONUS2. Attribuendo a *414 la valenza fonetica /hi/, come argomentato in recenti studi sia da J.D. Hawkins che da A. e B. Dinçol (cf. per tutti le sintesi di Hawkins in Herbordt ed. 2005, pp. 426s., 312, 288 e, riguardo anche a BOR 24, p. 255 sub Nr. 122 e Dinçol-Dinçol 2008, p. 70, con riff.), la legenda nel suo insieme, certamente riferibile a un personaggio di rango femminile, risulta oggi leggibile come Hilani(-)(DEUS)*461, con la possibilità di interpretare il gruppo DEUS *461 sia come attributo / complemento alla caratterizzazione del NP (dunque “H. della divinità *461”), sia – eventualmente – come parte integrante del nome stesso (dunque *Hilanni-dAla che, benché non attestato altrove, troverebbe un indiretto pendant nell’antroponimo maschile Hella-dKAL NH 356), anche se, non va taciuta la succitata presenza del medesimo insieme determinativo (*363)+ideogramma (*461) come gruppo autonomo nella cornice esterna dello stesso sigillo, in contesto differente. Fig. 10 5) SHS BO 424 e Herbordt 2005, Nr. 693 (Fig. 11): le due cretule, ancorché differenti (la prima deriva da un sigillo a stampo a campo circolare, la seconda da un sigillo ad anello con campo oblungo) e forse riferibili a due diversi personaggi, portano però lo stesso nome espresso attraverso la stessa composizione araldica. La parte iniziale del nome, che contiene la parola per “leone” (walwa/i-) è infatti rappresentata dall’iconografia di 2 leoni affrontati, mentre il secondo elemento, composto da *461+ra/i, si ripete, antiteticamente, sotto a ciascun leone; il tutto a formare LEO2-*461+ra/ri. Anche per questo antroponimo si rimanda alla discussione qui di seguito. Fig. 11 Dal repertorio fin qui presentato, che non pretende di essere esaustivo, si può notare come certamente nei casi 3) e 4) il segno *461 sia usato, come logogramma, a indicare la divinità dAla, da sola (forse caso 4), o in un composto (caso 3 e, possibilmente, 4), quindi esattamente come per le attestazioni di EMIRGAZI (Fig. 12) e (cf. infra) del rhyton d’argento (figg. 5-6); stessa funzione logogrammatica sarebbe da riconoscere nel caso 1), dove il nome corrispondente a quello della divinità sembrerebbe però espresso con l’ausilio aggiuntivo di ulteriori elementi con funzione di indicatore e di complemento fonetico; per i casi 2) e 5) è lecito, benché non concretamente dimostrabile, il sospetto che il segno sia usato come fonogramma, quindi semplicemente per esprimere la sequenza fonetica ALA (come è il caso anche di altri logo/fonogrammi nel sistema geroglifico del II millennio). Fig. 12 Per quanto concerne il caso 2) la derivante decodifica ma-ALA-za/i sembrerebbe dare in sé poco senso, nonostante la vicinanza al ben attestato NP Malaziti (NH 725), a meno di non considerare il fatto che il segno VIR2, stranamente “inquadrato” immediatamente sulla sinistra, all’altezza proprio dello spazio fra *461 e ZA/ZI, dai due triangoli ruotati di 90°, e rappresentato in dimensioni eguali a quelle dei due componenti del nome, funga qui da elemento del nome stesso (da leggere dunque: ma-ALA-VIR2ZA/I) e non da semplice appellativo di riguardo12) (una funzione simile, quindi, a quella del segno VIR, come sembrerebbe essere testimoniato anche dalla espressione REGIO.HATTI VIR2 presente nella iscrizione sulla coppa d’argento dal museo di Ankara)13). D’altro canto, anche optando per questa soluzione, resterebbe da riflettere sul significato di una tale grafia particolare e sul conseguente valore funzionale da assegnare al segno VIR2 (a fronte della grafia regolare per il NP Malaziti, ampiamente diffusa: ma-la-VIRZA/I, per cui cf. ad es. Dinçol-Dinçol 2008, Nrr. 241 e 257; Herbordt 2005, Nrr. 228, 229, comm. p. 154 e Hawkins, ibid., p. 263). Ancora più complesso è il caso di 5). L’ordine dei segni sul sigillo BO 424 sembrerebbe impedire una lettura *461+ra/i-LEO (data come possibilità da Hawkins in Herbordt ed. 2005), mentre una lettura del tipo “Ala (protettrice) del leone”14) viene a essere esclusa a causa della complementazione fonetica RA/RI; resta pertanto plausibile, almeno a livello di ipotesi, una soluzione "a rebus" del tipo walwa-(a)la-ri, dove il secondo elemento sarebbe rappresentato dal sostantivo/verbo lari(ya)- presente sporadicamente in alcuni testi di festività15). Da quanto fin qui considerato si può, in attesa di testimonianze ulteriori, proporre provvisoriamente per *461 una lettura ALA con funzione sia di logogramma, per indicare il teonimico (d)Ala (da solo o in nomi composti), sia di fonogramma16). Ritornando ora al nome della divinità sul rython della collezione Schimmel, vorremmo far presente che, come ha dettagliatamente già considerato K. Bittel a suo tempo (1976), le due iscrizioni sono il frutto di una difficile “aggiunta” successiva di due laminette circolari (almeno all’origine), d’oro, con i segni eseguiti a rilievo, probabilmente ridimensionate a causa del poco spazio esistente fra le figure e il dente sottostante l’orlo. In particolare, quella riferita alla divinità femminile sembra aver ricevuto una rifilatura nella sua parte superiore che, a nostro avviso, deve avere - nel modificarne l’originaria circolarità - mozzato in parte lo sviluppo verticale del segno più in alto, oggi ormai poco leggibile. Tuttavia, se si guarda attentamente agli elementi che compongono nelle sue diverse attestazioni il segno *461, appare chiaro come questo risulti formato di 2 elementi verticali dei quali l’uno si ferma all’altezza della curva della voluta finale che chiude il secondo (cf. Fig. 13). Tenuto conto della forma “irrigidita” che caratterizza il resto dei glifi presenti sul rhyton (in particolare i segni per DEUS e CERVUS3) e il fatto che siano stati eseguiti a rilievo, non riteniamo rappresenti un problema il fatto che in questo caso i 2 elementi verticali non siano raccordati alla base da un segno orizzontale (a formare una generica forma a triangolo isoscele). Non ci sembra quindi azzardato leggere, in quanto rimasto visibile, la base di *461 e arrivare a trascrivere á(DEUSx.FILIA). ┌*461┐, dove però permane l’insolita caratterizzazione di FILIA al posto di FEMINA già notata da Hawkins 2006. Fig. 13 3. CAELUM o CRATER? Nelle 2 iscrizioni geroglifiche del II millennio su coppa, quella di bronzo dal ripostiglio di Kastamonu (Hawkins 1993, qui Fig. 14a) e quella d’argento presso il Museo di Ankara (Hawkins 1997 e Hawkins 2005, forse da Kargamis, qui Fig. 14b1-2) il segno L. 182, seguito in entrambi i casi dal segno PI, è chiaramente usato per indicare “coppa”. Che nelle diverse attestazioni geroglifiche del II millennio il segno in questione indichi senza dubbio “cielo” è cosa conosciuta da tempo - cf. già HH s. Nr. 182, dove l’attestazione per “coppa” riferita alla iscrizione tarda BABYLON 2 è ora giustamente riportata a “cielo/celestiale” (cf. CHLI I/2, VIII.2). Rimane, quindi, per la valenza semantica di “coppa” in epoca hittita la sicura attestazione delle 2 succitate iscrizioni, dal momento che nelle iscrizioni neo-hittite la coppa, almeno quella in pietra, è indicata senza ambiguità attraverso il lessema katina- preceduto dal determinativo SCALPRUM. Non sembrerebbe quindi un caso che nelle 2 iscrizioni in oggetto, L. 182 appaia caratterizzato sempre dall’aggiunta del segno PI. Se al segno *182 occorre, dunque, assegnare il significato denotativo primario di “cielo” (CAELUM), occorre immaginare che la valenza semantica connotativa “coppa” si venga a determinare attraverso un procedimento di rinvio retorico. A questo dovrebbe riferirsi il segno PI, che vedremmo in ogni caso non come un “complemento fonetico”, bensì come “indicatore fonetico”, con funzione, pertanto semanticamente disambiguante, relativo o a un elemento fonico determinante della specifica parola per “coppa”, o a una caratterizzazione “comportamentale” semanticamente connessa con l’uso dell’oggetto che si vuole individuare - si pensi, sempre per restare nell’ambito di contenitori di particolare uso e significato, alla nominazione peran pēdumaš/ peran pēdunaš nel caso di un contenitore, fatto di diversi materiali di particolare pregio e significatività, usato per “portare/porgere”17). A prescindere quindi dal disambiguamento dell’indicatore PI, pensiamo sia più opportuna una trascrizione CAELUMPI/CAELUM.PI o addirittura per l’insieme dei due segni la codifica di CRATER18). Ritornando, poi, alla doppia iscrizione della coppa d’argento del Museo di Ankara, vorremmo far presente alcuni punti che potrebbero permetterne un più sicuro inquadramento cronologico. Il punto di partenza è, a nostro avviso, rappresentato da due elementi specifici: 1) il fatto che, diversamente rispetto sia alla iscrizione della coppa Kastamonu, che a quella BABYLON 3, l’azione che caratterizza la prima iscrizione non è rappresentata dal verbo PONERE, bensì dalla forma *273 i(a)-sa5-zi/a-tà. Giustamente Hawkins (1997, p.10) fa presente la possibilità che la stessa forma possa essere presente in YALBURT Bl. 11, § 319), dove però l’ordine dei glifi sembra rendere la sequenza i(a)-za/i-sa. A ben vedere (cf. la foto in Poetto 1993, Tavv. XV-XVI), se si considera il criterio di equilibrio che regola in linea di massima l’incolonnamento di elementi verticali e orizzontali nella linea di “testo” lungo la quale si snoda l’iscrizione sulla coppa, lo stesso ordine riconoscibile in YALBURT potrebbe valere anche qui (anziché l’inverso, come suggerito da Hawkins cit., p. 10) e consentire una lettura *273 i(a)-za/i-sa5-tà. Tenuto conto del valore assegnabile a *273 nella sua funzione di accompagnamento sia al verbo tupi- (“colpire, incidere”) che al sostantivo warpi- (“capacità, destrezza”)20), la forma che compare sulla nostra tazza potrebbe essere interpretata come un iterativo/durativo in -(s)sa-21) di “operare, agire” alla 3^ pers. sing. del preterito, e riferirsi così specificamente alla sola azione della manufatturazione avvenuta in passato dell’oggetto, ma non all’atto della iscrizione o dedica22). 2) È a tal riguardo che troverebbe giustificazione la strana presenza di una iscrizione a parte per indicare l’estensore del testo: lo scriba in questione ha solo voluto ricordare nella prima iscrizione l’originaria manufattura (in una possibile occasione "X") e, quindi, origine della tazza; nella seconda, l’attuale stesura del testo per sua opera. Si verrebbero in tal modo a sanare le apparenti contraddizioni cronologiche fra la caratterizzazione temporale implicita nella prima iscrizione (per la quale la dettagliata analisi di Hawkins appare pienamente giustificata) e le caratteristiche scrittorie (decisamente di età tardoimperiali) delle due iscrizioni, oltre naturalmente alla incomprensibile presenza di due testi separati. Fig. 14 4. L. 19 ≠ *521? È una recente proposta di J.D. Hawkins quella di differenziare L.19 rispetto a un segno che, apparentemente simile, ma con orientamento opposto e alcune caratteristiche peculiari nel tratto, non ne rappresenterebbe una casuale variante, bensì una diversa e indipendente attestazione da codificare separatamente come *52123). La lettura di partenza è stata individuata dallo studioso nel testo della stele di Karahöyük (Elbistan), ultima parola del § 18, certamente una forma verbale del preterito 1^ pers. sing., letta a suo tempo á-ha (“ho fatto/reso” cf. Nowicki 1981) e ora, secondo quanto proposto da Hwkins, da trascrivere *521-ha. Sulla base delle attestazioni citate da Hawkins (in Herbordt ed. 2005, p. 288s.) tale segno si verrebbe a configurare certamente come sillabogramma, e, in alcuni casi, come per la stele di Karahöyük (Elbistan), anche come logogramma. D’altra parte, questa nuova proposta interpretativa verrebbe a coinvolgere non solo una serie di sigilli da Nişantepe (Herbordt Nrr. 694-700, con il riferimento anche a SHS BO 160=SBo II 62), su alcuni dei quali ricorre di nuovo, ma in contesto apparentemente più oscuro, il segno *461 (nello specifico i Nrr. 698-700), ma anche alcune nuove attestazioni su glittica di recente edite in Dinçol-Dinçol 2008 (in particolare Nr. 199)24), e inoltre alcune impronte sopra chiamate in causa (punto 2.1) a proposito delle attestazioni di *461 per ALA, e segnatamente: SHS BN 5, 11 e 13 (=Kennedy 1959, Nrr. 45-47). Fig. 15 Senza la pretesa di voler arrivare a soluzioni conclusive e rimanendo pertanto, in questa fase della ricerca, a un livello puramente esplorativo, sulla base sia delle succitate occorrenze indicate da Hawkins, sia di quanto fin qui argomentato a proposito delle attestazioni di *461 ALA, ci sembra possibile proporre un’assegnazione preliminare di valenza “ax” per *521, presupponendo, nel caso in cui non si volesse vedere in esso una mera variante di L. 1925), che dietro alla postulata funzione logogrammatica dello stesso, si possa celare una forma verbale (dalla quale derivare per procedimento acrofonico la supposta valenza fonetica) semanticamente connessa con il campo dell’agire/operare. In tal caso verrebbero a verificarsi le sequenze segniche che tentativamente elenchiamo qui di seguito (Fig. 15): Herbordt 695 SHS BO 160 (=SBo II 62) Herbordt 698-700 Dinçol-Dinçol 199 Herbordt 696-697 Herbordt 694 funzione sillabografica funzione sillabografica funzione sillabografica o di indicatore fonetico funzione sillabografica o di indicatore fonetico funzione logografica? funzione logografica *521- tá A(t)ta ? *521-TALA/I A(t)ta(l)li ? *521-ALA-*398 Ala-*39826) ? a?-*521-*461 Ala27) ? *521-zu(wa)CERVUS-ti *521-muwa ? ? Di particolare interesse qui, per il rapporto con il segno *461, risultano (se la lettura deve seguire l’organizzazione dell’orientamento dei segni) le varianti speculari che si vengono a creare (leggendo SHS BN 5, 11, e 13 secondo la nuova individuazione del segno *521) fra: Herbordt 698-700: BN 5, 11, 13: Dinçol-Dinçol 199: *521-ALA-... ALA- *521-a a-*521-ALA che, se si aggiungono alle altre 2 indicazioni con sicura lettura “á”: EMIRGAZI á(FEMINA.DEUS)ALA Rhyton Schimmel á(DEUSx.FILIA).┌ALA┐ indicano come sia *521 che “á” compaiano sempre in stretto contatto con *461, maggioritariamente in posizione immediatamente precedente (sempre che le attestazioni BN 5, 11, e 13 non siano da leggere in forma inversa), il che farebbe pensare più a una funzione di indicatore che di vero e proprio complemento fonetico (del tipo *521/ áALA?). Se è evidente come allo stato attuale della documentazione sia ancora prematuro esprimere valutazioni certe in proposito, rimane tuttavia quale dato di fatto la necessità di operare sul sistema geroglifico anatolico secondo criteri di approccio che tengano in conto, almeno per le sue manifestazioni del II millennio, della complessità e a volte dell’estrema “diversità” d’uso che gli scribi dell’epoca ne potevano fare rispetto ai fenomeni scrittorî cui siamo modernamente adusi. Note 1) 2) 3) 4) 5) 6) 7) 8) 9) 10) 11) 12) 13) 14) 15) 16) 17) 18) 19) 20) 21) 22) 23) 24) Marazzi c.d.s.; per le citazioni dei sigilli con iscrizione geroglifica si farà riferimento nel corso del lavoro alla catalogazione in SHS ora consultabile anche nello Hethitologie Portal di Mainz (www.Hethiter.net). Cf. l’ordinamento in Marazzi (ed.) 1986, pp. 111ss., e, successivamente, in Hawkins 1995, Appendix 7. Sulla caratterizzazione di cacciatore-guerriero dell’iconografia del personaggio di rango con l’arco è illuminante il recente contributo di Hawkins 2006; si veda anche quanto precedentemente considerato in van den Hout 1995. Cf. i riff. sub SHS BO 265, 266 e 317. KUB 2.1. I 43’, a proposito del quale cf. Archi 1975 e McMahon 1991. Per la quale si rimanda a Muscarella 1974 e Bittel 1976. Per la corretta lettura di alcune attestazioni di “*a” in posizione finale cf. Hawkins in Melchert ed. 2003, pp. 159ss. e Hawkins in Herbordt 2005, pp. 426 e 248. Questo sigillo è stato in SHS registrato anche come VM 9 con il rif. bibl. a Jakob-Rost, dove però si è inavvertitamente omesso il rinvio a MAKR 1. La doppia registrazione deriva dal fatto che, come già originariamente messo in evidenza in Poetto-Salvatori, p. 17, nota 24, nel contributo di Jakob-Rost 1975, il sigillo viene discusso come acquisito dal Museo di Berlino con il numero di inventario VA 10942/VAN 9665 ed etichettato come “Geschenk”. Ci sembra preferibile riconoscere nell’elemento mediano della sequenza ma-*461-za/i appunto il segno *461, piuttosto che una variante senza “MINUS” del segno *508, implicitamente presupposta dal - sia pure cauto - accostamento di questo sigillo alle attestazioni del nome Mahhuzzi a Nişantepe ad opera di Hawkins in Herbordt ed. 2005, p. 263. Per una lettura completamente diversa dell’intera legenda (Matiwaza EXERCITUS) cf. altresì Gonnet 1986, 53ss. Per il primo segno della seconda sequenza, *172, fino a oggi letto "ta5", cf. ora i dubbi espressi da J.D. Hawkins in Herbordt ed. 2005, pp. 289s. e 431, e 2006b, p. 62. L'eventuale coesistenza di due diversi segni per la sequenza fonetica /ala/ non porrebbe problemi in un sistema quale è quello geroglifico anatolico. In esso, infatti, l'uso concorrenziale in elementi onomastici di logogrammi di particolare valenza simbolica per catene foniche contemporaneamente esprimibili mediante altri segni, risponde a criteri di recezione "visiva" di carattere retorico. Si pensi, ad esempio, al segno *196 (la "folgore"?) per esprimere il nome del paese di HATTI (o della città di Hattuša), la cui nominazione, quando entra a far parte di un elemento onomastico, può essere espressa (per ratio difficilior) attraverso il logogramma stesso che conferisce forte valenza simbolica all'aspetto della composizione scrittoria, oppure (per ratio facilior) attraverso la semplice catena fonetica dei segni ha-ti-... (*215-*90-...), per non parlare poi del valore meramente fonetico /ha/ che il logogramma sembra assumere a cominciare dalla fine del periodo imperiale (forse già in YALBURT B. 11, §3, ma certamente in KIZILDAGˇ-KARADAGˇ, passim). Così è da leggere il titolo che ricorre eguale, ad es., in SHS BO 235 = SBo II 36, come confermato dalle ulteriori attestazioni da Nişantepe, per le quali cf. la discussione di Hawkins in Herbordt 2005, p. 312, e dalla Oberstadt, per cui si veda Dinçol-Dinçol 2008, in partic. p. 70 (ad (L. 414) NA4hekur-). Per la complessa iscrizione che corre lungo la fascia circolare del bordo - dove pure compare il gruppo DEUS *461 identico a quello presente nel campo centrale -, si rinvia alla approfondita analisi offerta da M. Poetto nell’edizione. Cf. successivamente Mora SHS II ad VIII, 11.1. Su VIR2 come appellativo di riguardo cf. fra l’altro già Poetto 1993, p. 28s. Per la quale si rimanda a Hawkins 1997; cf. anche Hawkins in Herbordt 2005, p. 311. Come è sporadicamente attestato - ma non come elemento onomastico - per dLAMMA, cf. McMahon 1991, p. 47s. Cf. le attestazioni in CHD s.v. lari(ya)-/lariya-; occorre qui ricordare anche l’attestazione in Herbodt Nr. 573, con lettura x-tá-ALA+ra/i; quella su SHS ASHM 27 (= Kennedy 1958, Nr. 23), con lettura ki-ALA+ra/ri-ia (sulla quale, ma con altra dubitativa interpretazione cf. anche Hawkins 2004); e Dinçol-Dinçol 2008, Nr. 259 la cui lettura appare però problematica per quanto concerne una sicura identificazione del primo segno che gli editori restituiscono come “tà”, leggendo quindi tà-*461+ra/i. A parte rimane la testimonianza di *461-tá in EMIRGAZI § 10 sulla quale ha di nuovo attirato di recente l’attenzione J.D. Hawkins (2004, ma cf. già 1995, p. 94, con diversa interpretazione). Che in questo caso il segno debba avere una valenza logogrammatica appare chiaro, ma quale valenza semantica specifica assuma nel contesto resta da definire; pensiamo infatti che la derivazione diretta di una valenza fonogrammatica da logogrammi, pur essendo in alcuni casi procedura praticata dagli scribi, debba essere di volta in volta valutata molto cautamente. Si rimanda per il caso specifico alla discussione in CHD s.v. Cf. quanto già discusso Atti Napoli-Procida, p. 19s. Lettura collazionata dallo stesso Hawkins, rispetto alla lettura in Poetto 1993, pp. 57s. Cf. anche Poetto 1998, p. 113. Cf. i riferimenti di. Hawkins in CHLI, I/2, Index of Word Discussed, s.vv. Sul suffisso in questione cf. Melchert in Melchert ed. 2003, pp.204ss. Elemento che risolverebbe anche la strana situazione di una dedica al cospetto del supposto re Maza. Cf. Hawkins già in 1993b, Atti Napoli-Procida. CHLI I, V.1, § 18 e commento a p. 294, e in Herbordt ed. 2005, commento ai Nrr. 694-700, p. 288s. A tal proposito vorremmo ricordare che fra i sigilli pubblicati in Dinçol-Dinçol 2008, per quanto concerne il Nr. 35a, se la sequenza dei segni a indicare il nome del proprietario trova effettivamente confronto con BO 135 (=SBo II 122), può essere più precisamente letto *461-á, individuando in alto sulla destra un simbolo (come BONUS2 in SBo II 122) o un elemento decorativo; più problematica risulta invece la proposta lettura di *461 come primo elemento dell’antroponimo su Nr. 72, che, se accettata, fornirebbe una sequenza ALA-ZITIZI; non può, inoltre, essere dimenticata l'altrettanto problematica legenda di Nr. 76, presentante un segno che non sapremmo se riportare necessariamente a *461, “tagliato” da una sbarretta orizzontale. Infine, pur esulando dal fine di questo contributo, non può essere sottaciuta la necessità di una effettiva e approfondita revisione (dopo le osservazioni a suo tempo già espresse da M. Poetto in Poetto-Salvatori p. 17, nota 24) del limite fra gli originari numeri di HH 461 e 462, e ciò sia a fronte della tendenza invalsa a vedere in essi un unico segno già nel II millennio a.C., sia alla luce delle nuove proposte di lettura di *462 (come in Melchert 1988, 36-38, Hawkins CHLI I/1, p. 36s., Hawkins 2004 e 2006b, p. 27); anche a costo di dover, almeno in principio, ritornare a una eccessiva frammentazione dei due numeri così come ripartiti in HH, varrebbe altresì la pena di riconsiderare alcune differenziazioni formali operate a suo tempo dal Meriggi in Glossar. Ciò riguarda anche la possibile identificazione di *461 come componente di EXERCITUS (cf. per tutti Hawkins 2004) per la quale va tenuta presente la possibile connessione con la valenza fonica /ALA/ di *461. 25) Ricordiamo, a titolo puramente indicativo, che nel contemporaneo sistema scrittorio Lineare B si riscontra il fenomeno della variante del segno per CYP(erus), usata altrettanto frequentemente quanto il segno CYP stesso, rappresentata, con cambiamenti minimali nel tratto, dall’eguale segno orientato specularmente, tant’è che la sua codifica invalsa è quella di PYC (Nrr. *124 e *125). 26) Per *398 come secondo elemento di un composto onomastico cf. quanto indicato da Hawkins in Herbordt ed. 2005, p. 312; ibid. ulteriori riferimenti. 27) La lettura di questa impronta presenta alcuni punti di non facile soluzione. Di fatto, analizzando bene la foto pubblicata dai curatori, esistono forti dubbi che i due segni verticali centrali alle spalle del “profilo” di *521 effettivamente siano collegati in alto con il profilo stesso (come sembrerebbero interpretare i curatori sia attraverso la resa grafica, sia nel commento); dalla stessa foto, inoltre, il segno verticale di destra sembrerebbe avere una forma più allargata verso l’alto, e non a semplice “bastoncello” come il disegno sembrerebbe interpretare. Non risulterebbe quindi peregrina, anche sulla base della sequenza presente su SHS BN 13 (=Kennedy 1959, 47), una lettura dei due segni verticali centrali come “a” (*450). Legenda delle figure 1) Impronta di sigillo da Nişantepe Nr.622 (da Herbordt ed. 2005) 2) A sinistra: particolare della base BOGAZKÖY 1 (da Bittel 1976a). A destra: impronta di sigillo da Nişantepe Nr.409 (da Herbordt ed. 2005) 3) Impronta di sigillo da Nişantepe Nr.482 (da Herbordt ed. 2005) 4) Impronta di sigillo da Hattusa (da SBoII, Nr. 222) 5) Riproduzione del fregio del rhyton della Collezione Schimmel (da Die Hethiter 119) 6) Particolare del fregio del rhyton della Collezione Schimmel (da www.metmuseum.orgworks_of_artcollection_databaseancient_near_eastern_art) 7) Sigilli SHS BN 5, 11 e 13 (da Kennedy 1959 Nrr. 45-47) 8) Il sigillo SHS MAKR 1 (da Gelb 1965, Nr. 10) 9) A sinistra: il sigillo SHS BOR 8 (da Poetto-Salvatori 1981, Nr. 8). A destra: l’impronta SHS BO 235 (da SBo II, Nr. 36) 10) Il sigillo SHS BOR 24 (da Poetto-Salvatori 1981, Nr. 26) 11) A sinistra: l’impronta da Nişantepe Nr.693 (da Herbordt ed. 2005). A destra: l’impronta SHS BO 424 (da Bittel 1976a, fig. 188) 12) Autografia di EMIRGAZI A (da Hawkins 2006), con evidenza del nome di dAla 13) Particolare della riproduzione grafica del fregio del rhyton della Collezione Schimmel con evidenza della possibile restituzione dell’iscrizione geroglifica relativa a dAla. 14) Autografia delle iscrizioni sulla coppa Kastamonou (a) e sulla coppa del museo di Ankara (b1-2) (da Hawkins 1993 e 1997). 15) Disegno e foto dei sigilli Herbordt Nrr. 694-700 (da Herbordt ed. 2005); SHS BO 160 (da SBo II Nr. 62); Dinçol-Dinçol Nr. 199 (da Dinçol-Dinçol 2008) Riferimenti bibliografici e abbreviazioni ARCHI 1975 A. Archi, Divinità tutelari e Sondergötter ittiti, SMEA 16, 1975, 89-118. ATTI NAPOLI-PROCIDA Il geroglifico anatolico. Sviluppi della ricerca a venti anni dalla sua “ridecifrazione”, Atti del Colloquio e della Tavola Rotonda Napoli-Procida 1995, M. Marazzi-N. Bolatti Guzzo-P. Dardano edd., Napoli 1998. BITTEL 1976 K. 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