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CONSIGLIO NAZIONALE DEI
DOTTORI COMMERCIALISTI
E DEGLI ESPERTI CONTABILI
OSSERVAZIONI
AL DOCUMENTO DI CONSULTAZIONE DEL
MINISTERO DELL’ECONOMIA
E DELLE FINANZE
CONCERNENTE L’ATTUAZIONE
DELLE DIRETTIVE COMUNITARIE
2001/65/CE E 2003/51/CE
30 LUGLIO 2008
C O N S I G L I O N AZ I O N AL E D E I D O T T O R I C O M M E R C I AL I S T I E D E G L I E S P E R T I C O N T AB I L I
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C O N S I G L I O N AZ I O N AL E D E I D O T T O R I C O M M E R C I AL I S T I E D E G L I E S P E R T I C O N T AB I L I
PREMESSA
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C O N S I G L I O N AZ I O N AL E D E I D O T T O R I C O M M E R C I AL I S T I E D E G L I E S P E R T I C O N T AB I L I
Il Consiglio Nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili
(CNDCEC), con il supporto tecnico della “Commissione per le norme e i principi
contabili”, ha esaminato il documento di consultazione predisposto dal
Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF) relativo al recepimento delle
cosiddette norme di “modernizzazione contabile” contenute nelle direttive
2001/65/CE e 2003/51/CE1.
Il documento che è stato posto in consultazione il 18 giugno 2008 prevede il
termine della consultazione per la data del 31 luglio 20082.
Occorre premettere che i presenti commenti non tengono in considerazione le
proposte relative all’implementazione delle disposizioni contenute nella
Direttiva 2006/46/CE, in quanto di fatto superate da una successiva proposta
del MEF
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sui quali questo Consiglio esprimerà le proprie osservazioni con
separato documento.
Il CNDCEC apprezza l’apertura del Ministero al confronto con le parti interessate
per la definizione della normazione contabile. Si deve, tuttavia, evidenziare
che, lo spazio temporale concesso nella delega la cui attuazione è prevista per
il mese di settembre 2009, in una materia di tale importanza avrebbe meritato
un periodo di analisi e confronto superiore rispetto a quello oggi accordato dal
Ministero. Le disposizioni contenute nel documento sottoposto a consultazione
1
La normativa nazionale, con i decreti legislativi 394/2003 e 32/2007, ha già recepito il
contenuto obbligatorio previsto rispettivamente dalle direttive comunitarie 2001/65/CE e
2003/51/CE.
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Si veda: MEF/DIPARTIMENTO DEL TESORO, Consultazione su completamento attuazione direttive
fair
value
e
modernizzazione,
disponibile
su:
http://www.dt.tesoro.it/AreeDocum/Regolament/Consultazi10/index.htm
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Si veda: MEF/DIPARTIMENTO DEL TESORO, Schema di decreto legislativo recante attuazione della
Direttiva 2006/46/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 14 Giugno 2006, che modifica
le Direttive del Consiglio 78/660/CEE, relativa ai conti annuali di taluni tipi di società,
83/349/CEE, relativa ai conti consolidati, 86/635/CEE, relativa ai conti annuali e ai conti
consolidati delle banche e degli altri istituti finanziari, e 91/674/CEE, relativa ai conti annuali
e
ai
conti
consolidati
delle
imprese
di
assicurazione,
disponibile
su:
http://www.dt.tesoro.it/Aree-Docum/Regolament/Consultazi/d.lgs-attuativo-dir-46-2006.pdf
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dal MEF -originariamente predisposte dall’Organismo Italiano di Contabilità
(OIC)- apporterebbero infatti riflessi assai significativi nella tecnica di redazione
del bilancio.
Il
Regolamento
(CE)
1606/2002
ha
individuato
nei
principi
contabili
internazionali (IAS/IFRS) le regole cui devono attenersi i redattori dei bilanci
consolidati delle società i cui titoli sono ammessi alla negoziazione in un
mercato regolamentato di un qualsiasi Stato membro.
Il D.Lgs. 38/2005, sfruttando le opzioni di cui all’art. 5 del menzionato
Regolamento, ha introdotto (primo Stato nella Comunità Europea) l’adozione
obbligatoria degli IAS/IFRS ai bilanci di esercizio di stampo pubblicistico anche
alle società quotate e alle società aventi strumenti finanziari diffusi tra il
pubblico. E’ stata, inoltre, previsto che le società di capitali non quotate né
aventi strumenti finanziari diffusi tra il pubblico che appartengono ad un gruppo
possano utilizzare facoltativamente gli IAS/IFRS per la redazione dei bilanci
d’esercizio e consolidato.
Questi interventi hanno evidenziato importanti problemi applicativi sia dal
punto di vista giuridico che fiscale. Il testo proposto in consultazione che ha
l’obiettivo di indicare una potenziale via di avvicinamento delle “altre” società,
che oggi non sono interessate dall’applicazione facoltativa od obbligatoria degli
IAS/IFRS, propone alcune modifiche al codice civile che vanno adeguatamente
dibattute per evitare tali conseguenze.
Le strategie di avvicinamento della disciplina nazionale ai principi contabili
internazionali sono essenzialmente due: l’una tende all’adattamento dei principi
contabili internazionali esistenti alle specificità delle PMI, la seconda prevede la
riformulazione della normativa nazionale, per cercare di diminuire le differenze
esistenti con i principi contabili internazionali e rendere maggiormente
comparabili i bilanci.
In questo senso, mentre lo IASB, avendo prodotto un separato insieme di
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standard per le SME (Small ad Medium Entities)4 ha, in sostanza, riproposto
principi analoghi o molto similari a quelli vigenti, la proposta del documento
sottoposto a consultazione dal MEF si basa su modifiche tendenti ad innovare le
norme esistenti, con l’obiettivo di recepire
alcune disposizioni dei principi
contabili internazionali.
Il progetto di “modernizzazione” previsto dalle direttive comunitarie e, quindi,
del codice civile si inquadra in un processo già in atto, che sta progressivamente
orientando e avvicinando il corpo dei principi di redazione dei bilanci redatti
secondo criteri nazionali verso norme già generalmente accettate a livello
internazionale.
I cambiamenti e le innovazioni che derivano da questo processo sono in corso e
sempre più veloci. Tutto ciò non solo ha richiesto agli operatori di adottare nuovi
comportamenti, ma ha fatto avvertire l’esigenza di darsi regole compatibili con
le necessità attuali.
Occorre in ogni caso osservare che alcune proposte vanno meditate anche alla
luce del particolare contesto giuridico e dottrinale in cui debbono essere
inserite.
Per quanto concerne la finalità propria della comunicazione economicofinanziaria è evidente, infatti, che il bilancio delle società “chiuse” non aspira
tanto a soddisfare le esigenze conoscitive degli investitori (potenziali ed
effettivi) e quindi a determinare la “performance economica”, quanto a
misurare il “reddito prodotto”. L’adozione di criteri valutativi basati sui risultati
di mercato appare pertanto non sempre coerente con tale impostazione
prevedendo l’inserimento di risultati aleatori e quindi ponendosi al di fuori degli
interessi conoscitivi dei principali stakeholder delle società medio-piccole
nazionali, quali i soci, i creditori nonché i partner commerciali e finanziari.
La potenziale volatilità di alcune poste di bilancio appare, inoltre, non
4
Si noti che anche all’interno dello IASB il progetto relativo alle SME è, per alcuni aspetti, in
corso
di
sostanziale
revisione.
Si
veda:
http://www.iasb.org/Current+Projects/IASB+Projects/Small+and+Mediumsized+Entities/Small+and+Medium-sized+Entities.htm
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perfettamente coniugabile con la tradizionale funzione attribuita al bilancio
dalla dottrina e dalla prassi aziendalistica e con il ruolo che il risultato
d’esercizio determinato sulla base delle disposizioni civilistiche ricopre ai fini
societari e fiscali. In termini di gestione societaria, il bilancio rappresenta oggi
infatti il riferimento principale per l’individuazione del reddito distribuibile.
L’adozione dei valori di mercato per la quantificazione di alcune poste di
bilancio non agevolerebbe sicuramente tale impostazione e costringerebbe il
legislatore a rivedere in buona parte anche le norme poste a presidio delle
componenti del patrimonio netto.
Con riferimento, inoltre, alla relazione tra utile (o perdita) d’esercizio e base
imponibile, si deve considerare che la disciplina fiscale ha sempre considerato il
risultato economico del bilancio come il punto di partenza per l’individuazione
della ricchezza prodotta, assunto che, ad oggi, sembra acquisire ancora
maggiore validità, a fronte delle novità previste dalla legge 244/2007 (Legge
finanziaria 2008) in tema di determinazione della base imponibile ai fini IRES e
IRAP.
La previsione di risultati basati su procedimenti valutativi, pur articolati, volti ad
individuare i valori correnti, porterebbe il legislatore a dover rivedere
l’impostazione esistente e ad orientare inevitabilmente le imprese a mantenere
una doppia contabilità ai fini contabili e fiscali.
Questo Consiglio, quindi, ritiene che un'applicazione obbligatoria di alcuni
principi contenuti negli IAS/IFRS al mondo delle PMI nazionali deve ritenersi allo
stato sicuramente non praticabile; un'applicazione facoltativa, invece, da
valutarsi con criteri di gradualità e di selettività e con la chiara valutazione ed
evidenza degli effetti che questa produce rispetto alla normativa attualmente
vigente, deve ritenersi viceversa senz'altro possibile.
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OSSERVAZIONI TECNICHE
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Nell’introduzione al documento di consultazione il Ministero osserva che
“Questa complessiva operazione di aggiornamento (cd. “modernizzazione”)
– che riguarda un numero elevatissimo di imprese non quotate e che è
suscettibile
di
determinare
connessi
aggiustamenti
di
altre
regole
dell’ordinamento – richiede la preventiva individuazione di linee guida o
principi di carattere generale sui quali costruire in concreto la bozza di
articolato.”
A seguito di questo condivisibile assunto, il Ministero propone alcune
osservazioni e richiede ai soggetti interessati di esprimersi su alcune
fondamentali problematiche di carattere generale. A fronte di queste
considerazioni (e per comodità espositive seguendo l’ordine originario), il
Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti contabili offe il
proprio contributo al dibattito.
a) in quale misura è opportuno avvicinare la normativa nazionale delle imprese
non quotate agli IAS/IFRS; a tal fine occorre considerare diversi aspetti (la
struttura
del
sistema
produttivo,
l’analisi
costi-benefici,
le
eventuali
implicazioni di natura fiscale ecc.)
b) se sia opportuno seguire un generale principio di proporzionalità nella
definizione delle nuove regole contabili;
c) decidere se replicare lo schema comunitario (che prevede la possibilità per le
imprese di adottare, con riferimento a talune categorie di attività, due famiglie
di criteri di valutazione alternative: quella vigente oppure quella orientata agli
IAS/IFRS), con i problemi di eterogeneità che ciò potrebbe comportare, oppure
definire un unico modello contabile “intermedio” fra le due anzidette famiglie;
Il sistema produttivo italiano, dati Istat pubblicati nel 2006 per l’anno 2004, si
fonda sulla Pmi che rappresenta il 99% delle imprese italiane (n°4.221.881
imprese fino a 50 addetti su un totale di 4.277.875).
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In questo contesto le società:
-
di persone
sono 811.477
il 19%
-
di capitali
sono 618.433
il 14,5%
-
di soc. cooperative
sono 49.876
l’ 1,1%
La rimanente platea di imprese sono ditte individuali.
Nonostante la propensione alla globalizzazione e all’accelerazione dei processi
di internazionalizzazione gli stakeholder di riferimento per la Pmi rimangono
sempre limitati ai soci (spesso familiari), banche, fisco, clienti, fornitori,
concorrenti.
Per stabilire quali siano le finalità conoscitive del bilancio non si può prescindere
dall’individuare a chi siano destinate tali informazioni: per quanto riguarda i
presupposti che hanno spinto il legislatore comunitario ad emanare – e quello
italiano a recepire – l’obbligo per le società quotate di adottare gli IAS/IFRS,
giova ricordare quanto riportato dal Framework degli standard. Questo indica
quali sono le finalità che i principi contabili internazionali riconoscono al
bilancio, destinato a soddisfare le esigenze conoscitive di molti soggetti, ma, fra
di essi, assume una netta prevalenza la categoria degli “investitori”, che
vengono così descritti <<chi fornisce capitale di rischio e i suoi consulenti sono
interessati al rischio inerente al loro investimento e al relativo rendimento. Essi
necessitano di informazioni che li aiutino a decidere se comprare, mantenere o
vendere. Gli azionisti, inoltre, sono interessati ad usufruire delle informazioni
che li mettano in grado di valutare la capacità dell’entità di pagare
dividendi>>5.
E’ affermata in modo deciso l’intenzione di sacrificare le esigenze di tutti gli
altri interlocutori, se incompatibili con quelle degli investitori: <<poiché gli
investitori sono i fornitori del capitale di rischio all’entità, un bilancio che
soddisfi le loro esigenze informative soddisferà anche la maggior parte delle
esigenze di altri utilizzatori del bilancio >>.
5
Si veda: IASB, Quadro sistematico per la preparazione e la presentazione del bilancio, par. 9.
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Gli standard, pertanto, sono intesi a rappresentare principalmente le
informazioni utili al socio investitore (presente e futuro), piuttosto che quelle
utili alla società: in altre parole, il bilancio deve offrire il maggior numero di
informazioni possibile sulla probabilità per il socio di incassare, in un arco di
tempo prevedibile, la somma investita più o meno il risultato dell’investimento,
attraverso la distribuzione di dividendi e la successiva rivendita dei titoli
acquistati. A questo scopo, per il socio, l’ottenimento da parte della società di
redditi destinabili - e probabilmente destinati - alla distribuzione, oppure il
rialzo del corso dei titoli da lui posseduti, hanno la medesima valenza.
Dato il contenuto numero degli utilizzatori esterni interessati alle informazioni
di bilancio delle Pmi, il costo che occorrerebbe sostenere per la raccolta e
produzione di dati non utilizzati potrebbe risultare più ampio dei benefici che si
otterrebbero da una maggiore disclosure.
Il processo di un non ben meditato recepimento degli IAS/IFRS correrebbe il
rischio di porsi in contrasto con il programma comunitario elaborato a Lisbona
nel 2000 denominato “La strategia di Lisbona” che prevedeva l’adozione di un
piano di azione per la riduzione del 25% dei costi amministrativi per le Pmi6. Tale
impostazione non sembra consentire l’adozione di sistemi e norme contabili
articolati su norme più complesse di quelle attualmente in vigore, a meno che
tale “evoluzione” non comporti la definizione di benefici informativi tali da
giustificare gli sforzi prodotti per fornire le informazioni richieste.
A questo riguardo, si deve rilevare che l’Unione Europea sta assumendo una
posizione particolarmente critica nei confronti degli IFRS per le Pmi 7.
In data 5 febbraio 2008, la Commissione dell’Unione Europea per i problemi
economici e monetari ha approvato una Risoluzione del Parlamento Europeo
sugli IFRS e sullo IASB il cui significato non può essere trascurato dagli Stati
6
http://ec.europa.eu/governance/better_regulation/documents/com_2008_0032_en.pdf
Si veda: IASB, Exposure Draft of a Proposed IFRS for Small and Medium-sized Entities, 2007,
su: http://www.iasb.org/NR/rdonlyres/DFF3CB5E-7C89-4D0B-AB85BC099E84470F/0/SMEProposed26095.pdf
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membri 8. In particolare nei punti 30, 31 e 32 ed ancor più i punti dal 36 al 50
riguardanti gli IFRS e la Pmi, viene evidenziato che:
-
gli IFRS sono eccessivamente complicati per le Pmi;
-
gli obblighi connessi sono troppo estesi;
-
il
relativo
onere
amministrativo
è
sproporzionato
rispetto
all’obbligo di informazione.
Tale parere risulta fortemente critico nei confronti della struttura e del
funzionamento dello IASB ed contrario all’estensione dei Principi contabili
internazionali alle Pmi, anche se semplificati o modificati. In particolare, ritiene
che l’individuazione dei destinatari delle informazioni relative al bilancio delle
Pmi renda incompatibile con la struttura economica europea gran parte degli
IAS/IFRS.
Tali
osservazioni
possono
essere,
in
parte,
riferite
anche
all’applicazione di norme che presentano obblighi similari rispetto a quelli
previsti dai principi contabili internazionali.
In aggiunta, si osserva che il ruolo dei principi contabili in Italia è ben diverso da
quello degli IAS/IFRS negli ordinamenti giuridici di “common law”: mentre i
primi servono soltanto di integrazione ed interpretazione delle norme di legge, i
secondi costituiscono essi stessi fonte normativa.
Con l’introduzione dei principi contabili internazionali, dal primo gennaio 2005
una parte delle società italiane non è più soggetta alle regole dettate dal codice
civile che risultano incompatibili con quanto previsto dagli IAS/IFRS.
Per le imprese che attualmente non sono interessate dall’applicazione dei
principi contabili internazionali, gli Stati membri sono chiamati dalle direttive a
scegliere le modalità di avvicinamento potendo adottare provvedimenti che
integrano con diversa profondità quanto previsto dagli gli IAS/IFRS; in altre
parole, la normativa prevista dal codice civile potrebbe subire modifiche
8
Si veda: PARLAMENTO EUROPEO, Risoluzione del Parlamento europeo del 24 aprile 2008 sui principi
internazionali di informativa finanziaria (IFRS) e la governance dell'Organismo internazionale di
normalizzazione contabile (IASB) (2006/2248(INI)).
http://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?pubRef=-//EP//TEXT+TA+P6-TA-20080183+0+DOC+XML+V0//IT&language=IT
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minime, limitate a prevedere qualche ulteriore deroga al criterio di base del
costo storico, oltre a quelle già esistenti, rinviando tutto il resto agli interpreti,
così come normalmente avviene con riferimento al contenuto dell’art. 2423 e di
altri successivi.
Tenendo conto quindi del nostro “sistema Paese”, appare opportuno adottare
con molta gradualità gli IAS/IFRS, proprio per cogliere la specificità economica e
giuridica dell’Italia (ma prevalente anche nel resto del continente).
d) In che misura le disposizioni potrebbero essere di applicazione obbligatoria
o, in alternativa, facoltativa
Un’analisi sul tema non può che partire da una riflessione di carattere generale
che, in termini strategici, identifichi le linee guida da seguire nel definire gli
indirizzi e gli orientamenti più opportuni e coerenti con la realtà economica
nazionale.
Tali
linee
guida
non
possono
che
ispirarsi
ad
un’estrema
attenzione
nell’introduzione di novità che tengano conto:
-
del rapporto costo/beneficio nella introduzione di criteri di valutazione
complessi che si basano su una profonda conoscenza di logiche per lo più
non coerenti con la nostra cultura nazionale e sulla disponibilità
strutturata di informazioni che rischierebbero di dover essere prodotte ai
soli fini della predisposizione del bilancio per di più in aggiunta a quelle
rilevanti ai fini fiscali;
-
dell’importanza attribuita culturalmente al requisito della prudenza nelle
prassi contabile nazionale che è intimamente correlata alla particolare
natura degli stakeholder dell’impresa italiana (fornitori, dipendenti,
banche più che investitori privati o diffusi tipici delle nazioni con mercati
finanziari particolarmente sviluppati) per i quali l’affidabilità in termini di
stabilità del patrimonio e di rischi affrontati dichiarati in bilancio assume
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un peso certamente superiore che non l’adeguatezza dei dividendi
distribuiti o la rappresentatività del patrimonio contabile rispetto al
valore aziendale.
Per quanto riguarda l’adozione del fair value per la stima di talune poste di
bilancio, in via iniziale è certamente utile segnalare che alcune scelte in materia
di opzioni obbligatorie o facoltative sono state già operate dal legislatore
nell’art. 25 della c.d. legge comunitaria del 2007 nel quale è disciplinata la
delega al governo in materia di criteri di valutazione dei conti annuali.
Con riferimento alle opzioni previste dal testo comunitario, ci si riferisce:
1. alla adozione obbligatoria di documenti aggiuntivi in bilancio (analisi di
patrimonio netto e rendiconto finanziario) così come previsto dall’art. 2
della Direttiva 2001/65/CE che avrebbe però permesso allo Stato anche di
autorizzare le imprese a predisporre tali documenti solo volontariamente;
2. alla adozione obbligatoria di uno schema di stato patrimoniale basato
sulla distinzione tra voci correnti e non correnti così come previsto
dall’art. 10 bis della su indicata Direttiva. Anche in tal caso la Direttiva
avrebbe consentito allo Stato l’adozione facoltativa da parte delle
imprese di tali schemi per di più potendone limitare la prescrizione o
l’autorizzazione solo a taluni tipi di società;
3. alla adozione del criterio del fair value in via facoltativa per la
valutazione degli strumenti finanziari (e in via obbligatoria per gli
strumenti finanziari derivati) e di altre specifiche attività, ed in via
obbligatoria per la valutazione degli strumenti derivati. Di nuovo la
Direttiva avrebbe consentito allo Stato:
o
l’adozione facoltativa da parte delle imprese di tale criterio;
o
di poterne limitare la prescrizione o l’autorizzazione solo a taluni
tipi di società;
o
di poter autorizzare o prescrivere tale criterio per gli strumenti
finanziari ma non per altre attività o viceversa;
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o
di poter limitare detta prescrizione o autorizzazione anche solo ai
conti consolidati.
Coscienti della impossibilità sotto il profilo concreto di porre in discussione
scelte già operate dal legislatore nella menzionata legge delega, non si può
tuttavia fare a meno di sottolineare come, se con riferimento ai punti 1 e 2, le
indicazioni del legislatore appaiono condivisibili e compatibili con le linee guida
in precedenza esposte, le decisioni di cui al punto 3, anche alla luce della
recente crisi finanziaria, necessiterebbero oggi a nostro avviso di un
ripensamento 9.
L’introduzione della valutazione al fair value di alcuni fatti di gestione e
investimento nello scenario economico italiano, notoriamente caratterizzato da
una preponderante presenza di Pmi, rischia di comportare difficoltà operative
nella corretta valutazione degli elementi patrimoniali ed economici sul bilancio
delle imprese, con conseguenti fluttuazioni delle situazioni patrimoniali ed
economiche da un anno all’altro. Inoltre, la stima del fair value comporta spesso
l’utilizzo di tecniche valutative complesse che le piccole e medie imprese
italiane difficilmente riuscirebbero ad effettuare internamente o ancor più
difficilmente sarebbero in grado di verificare pur avvalendosi di consulenti
esterni.
Un’eventuale rivalutazione delle attività o svalutazione delle passività di
bilancio al variare del loro (presunto) fair value non è coerente con il peso e
l’importanza che il criterio della prudenza riveste nella cultura ragionieristica
nazionale e ciò con particolare riferimento alle aspettative che gli stakeholder
della tipica impresa italiana i quali ricercano nel patrimonio netto contabile la
caratteristica di solidità e stabilità funzionali alle loro scelte nei rapporti con
l’impresa.
La recente crisi finanziaria ha dimostrato come modelli di valutazione dei rischi
sofisticati abbiano evidenziato dei limiti importanti nel riflettere simulazioni di
9
Per quanto concerne le osservazioni tecniche riguardanti l’adozione delle norme proposte in
materia di contabilizzazione degli strumenti finanziari, si rinvia alle risposte fornite in merito
all’art.2426-bis.
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C O N S I G L I O N AZ I O N AL E D E I D O T T O R I C O M M E R C I AL I S T I E D E G L I E S P E R T I C O N T AB I L I
mercato perché spesso sono i mercati stessi a sfuggire almeno nel breve periodo
alla loro funzione di rappresentare la realtà dei valori. Anche nel mondo
anglosassone sono state, infatti, avviate riflessioni sul tema, tenuto anche conto
degli ampi margini di valutazione che spesso i modelli utilizzati offrono nella
scelta dei metodi e dei parametri, tanto da rendere inaffidabile un’estensione di
tali modalità valutative alle nostre imprese che decidono di non avvalersi della
facoltà di adottare gli IFRS.
Il ricorso al fair value nella rilevazione dei fenomeni finanziari potrebbe, inoltre,
comportare una non tempestiva rilevazione in bilancio degli effetti di una crisi
industriale causata da un eventuale utilizzo aggressivo delle tecniche valutative
per la determinazione del fair value nell’aria finanziaria o operativa (attraverso
il c.d. hedge accounting). Ciò con ovvie conseguenze per i tipici stakeholder
delle aziende italiane.
Anche i costi aggiuntivi necessari per produrre valutazioni affidabili ed
indipendenti potrebbero rappresentare oneri eccedenti i benefici degli
stakeholder, anche tenuto conto di quanto in precedenza indicato in merito alle
loro aspettative. A ciò si potrebbe obiettare che l’obbligo di fornire informativa
sui fair value in caso di non esercizio della facoltà comporta in ogni caso la
necessità di procedere alle valutazioni, tuttavia con ovvie differenze in termini
di responsabilità ed informativa rispetto allo scenario di rilevazione in bilancio
dei relativi effetti. Inoltre, si rileva che ai fini della nota integrativa le
valutazioni potrebbero essere limitate a quegli strumenti per i quali sussistano
elementi che facciano prevedere rilevanti differenze fra i valori contabili e
quelli di mercato.
Questo Consiglio, quindi, ritiene che un'applicazione obbligatoria di alcuni
principi contenuti negli IAS/IFRS al mondo delle PMI nazionali deve ritenersi allo
stato sicuramente non praticabile; un'applicazione facoltativa, invece, da
valutarsi con criteri di gradualità e di selettività e con la chiara valutazione ed
evidenza degli effetti che questa produce rispetto alla normativa attualmente
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C O N S I G L I O N AZ I O N AL E D E I D O T T O R I C O M M E R C I AL I S T I E D E G L I E S P E R T I C O N T AB I L I
vigente, deve ritenersi viceversa senz'altro possibile.
e) valutare l’impatto delle nuove regole di bilancio sui principali istituti
civilistici (distribuzione degli utili (art. 2433), riduzione del capitale per perdite
(art. 2445), limiti alle emissioni obbligazionarie (art. 2412), ecc.).
Nella disciplina vigente rilevanti istituti civilistici si fondano sulle risultanze di
bilancio: tra gli altri, distribuzione degli utili, riduzione del capitale per perdite,
limiti alle emissioni obbligazionarie, ma anche obbligo di esposizione del
capitale sociale nella corrispondenza sociale, limite all’acquisizione di azioni
proprie, obbligo di accantonamento a riserva legale.
Proprio l’esistenza di questi istituti rischia di condizionare l’evoluzione della
disciplina di bilancio, trasformando, erroneamente, quelle che dovrebbero
essere norme conseguenti in fattori causali condizionanti.
Se l’obiettivo politico generale è quello tracciato dal processo di armonizzazione
internazionale intrapreso dalle Istituzioni europee e dal Governo italiano, non è
metodologicamente corretto che il ragionamento sull’informativa di bilancio sia
compresso o limitato da altri profili del diritto societario, in realtà estranei alla
logica sistematica della comunicazione economico-finanziaria d’impresa. A titolo
di esempio, non sono compatibili con gli assunti ed i principi del bilancio, né con
la concreta rilevanza informativa del suo contenuto, l’eccessiva rilevanza
assegnata al valore nominale del capitale sociale, il preteso innalzamento delle
garanzie per il terzo costituito dalla riserva legale, gli effetti dirompenti di
perdite significative (che potrebbero, ad esempio, essere giustificate soprattutto
nella fase di start-up), la logica di distribuzione degli utili (che a livello
internazionale tende verso altri parametri quali, ad esempio, i solvency tests).
Pertanto, il Consiglio ritiene opportuno che l’intervento in questo ambito
normativo sia fatto con particolare attenzione. I presidi giuridici all’integrità del
patrimonio
netto
potrebbero,
infatti,
essere
indeboliti
attraverso
l’implementazione di norme che non salvaguardino le particolarità l’integrità del
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patrimonio, almeno fino a quando il valore pubblicistico e di garanzia da esso
rappresentato non sarà superato.
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C O N S I G L I O N AZ I O N AL E D E I D O T T O R I C O M M E R C I AL I S T I E D E G L I E S P E R T I C O N T AB I L I
OSSERVAZIONI TECNICHE SPECIFICHE
Premessa
È bene premettere che le seguenti osservazioni si soffermano principalmente
sulle problematiche di natura contabile concernenti la redazione del bilancio
d’esercizio, non analizzando le norme riguardanti il bilancio consolidato.
Considerazioni generali
Il Comitato esecutivo dell’OIC ha approvato in data 25 ottobre 2006 una proposta
che tende a modificare l’attuale normativa del codice civile e ciò, a nostro
avviso, è da considerarsi positivamente, perché esclude il semplice allargamento
dell’obbligo di adozione dei principi internazionali a tutta la platea delle società
italiane. Opportunamente è previsto un nuovo articolo, che prende il posto
dell’attuale 2423 bis, sull’ambito di applicazione delle nuove norme, escludendo
soltanto quelle obbligate per legge all’adozione dei principi contabili
internazionali, con la conseguenza che per tutte le altre imprese risulterebbe
vietata l’adozione di tali principi.
La proposta del documento di consultazione è un compromesso fra opposte
esigenze, soprattutto nelle parti in cui continua a privilegiare la produzione di
informazioni utili all’utilizzatore tradizionale dei bilanci. Il contenuto innovativo
si compendia in alcuni punti principali:
-
viene esposto chiaramente il principio della prevalenza della sostanza
sulla forma, che attualmente è espresso in modo ambiguo ed applicato
alle diverse fattispecie in forma incoerente (come per le operazioni di
leasing);
-
il principio di prudenza, pur continuando a caratterizzare la redazione del
bilancio, perde il requisito di principio guida, sia perché non più indicato
al primo posto, sia, soprattutto, per la previsione della possibilità di
deroga al criterio del costo storico; ciò non toglie, comunque, l’enorme
differenza esistente con il significato attribuito al termine dagli IAS/IFRS,
19
C O N S I G L I O N AZ I O N AL E D E I D O T T O R I C O M M E R C I AL I S T I E D E G L I E S P E R T I C O N T AB I L I
in quanto la proposta del documento sottoposto a consultazione dal MEF
conserva appieno il principio della “asimmetria”, proprio della tradizione
italiana; infatti per i componenti positivi di reddito permane l’esigenza
della “ragionevole certezza”, in luogo della “probabilità”, propria dei
principi internazionali, probabilità che invece resta sufficiente per
l’imputazioni di oneri connessi ai rischi (l’asimmetria fra componenti di
reddito negativi e positivi è riscontrabile anche nel 2423-ter n 5 che
ripropone la norma attualmente vigente)10;
-
sono introdotti il concetto di “costo ammortizzato di crediti e debiti”
(2426 bis c.2) e l’ipotesi di attualizzazione;
-
è definitivamente abbandonata la c.d. “continuità dei bilanci”, ovvero la
previsione, contenuta nell’art. 7 del D. Lgs. 87/9211, che recepisce l’art.
31 lettera f) della IV Direttiva CEE, secondo la quale ”lo stato
patrimoniale di apertura di un esercizio deve corrispondere allo stato
patrimoniale di chiusura dell’esercizio precedente”. La proposta, infatti,
prevede che gli effetti del cambiamento dei criteri di valutazione devono
incidere direttamente sul patrimonio netto, senza quindi transitare nel
conto economico; e
-
il contenuto del bilancio si arricchisce del rendiconto finanziario e del
prospetto delle variazioni di patrimonio netto; quest’ultimo si rende
necessario proprio per quanto indicato al punto precedente: l’abbandono
della continuità dei bilanci rende incomprensibile il rapporto fra stato
patrimoniale e conto economico, senza un prospetto di raccordo.
10
La proposta prevede la facoltà di adottare per taluni elementi la valutazione al fair value in
alternativa al costo storico, quest’ultimo non è più consentito per gli strumenti finanziari
derivati; analogamente, viene esclusa la possibilità di valutare i lavori in corso su ordinazione al
costo, salvo che il corrispettivo non sia maturato con ragionevole certezza
11
Come è noto, mentre i regolamenti dell’Unione Europea esplicano la loro efficacia vincolante
nei confronti degli Stati membri indipendentemente dal loro recepimento nella normativa
nazionale, le Direttive, sinchè non sono recepite, non hanno vigore nei confronti degli Stati
membri. L’art. 7 del D. Lgs. 87/92 deve considerarsi pienamente in vigore in Italia, sino a che
non dovesse eventualmente venire espressamente abrogato ed il tenore letterale della
disposizione <<deve corrispondere….>> non lascia dubbi sulla sua obbligatorietà per tutte le
imprese che non adottano gli IAS/IFRS “omologati”, che, in quanto tali, prevalgono sulla
legislazione nazionale.
20
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Uno degli elementi di maggior rilievo è rappresentato dall’aver abbandonato la
regola della continuità dei bilanci, per adeguarsi alla nuova formulazione dello
IAS 8, che stabilisce l’applicazione retroattiva delle modifiche dei principi
contabili, con conseguente rettifica del saldo di apertura della corrispondente
voce di capitale netto. Consci dell’ampio dibattito che tale problematica ha
avuto a livello dottrinale e professionale, non possono essere sottaciute alcune
perplessità sull’implementazione del retrospective method previsto nella
versione formulata dal documento di consultazione. Questa prassi è, nello
specifico, opinabile da un duplice punto di vista: l’uno di tipo giuridico, l’altro
economico aziendale.
Da un punto di vista giuridico, secondo il nostro ordinamento la costituzione e
l’utilizzo delle riserve libere deve essere deliberato dall’assemblea dei soci, per
cui l’intervento sul saldo d’apertura del netto sarebbe una palese violazione di
tale norma; a ciò si replica dicendo che per superare l’argomento sarebbe
sufficiente sottoporre all’assemblea, con la proposta di approvare il bilancio,
anche la specifica proposta di approvare l’utilizzo o l’incremento delle riserve,
ma l’osservazione non convince: l’assemblea è sovrana nel decidere la
destinazione, per cui può bocciare la proposta, con la conseguenza che la
prevista rettifica dei saldi iniziali (peraltro obbligatoria) in tal caso non potrebbe
essere adottata.
Altrettanto rilevante (forse ancor più) è l’argomentazione economico aziendale:
come è noto le variazioni del capitale netto si distinguono in “dirette” ed
“indirette”: mentre le prime hanno origine esterna (aumenti e riduzioni del
capitale sociale, sovrapprezzi di emissione, rimborsi), le seconde sono connesse
con il fenomeno “reddito”, reddito che fluisce nel continuo durante la vita
dell’azienda, malgrado la necessità, meramente convenzionale, di attribuirne
parte a ciascun periodo breve.
Dalle considerazioni sopra riportate, discende il fondamentale “principio di
concordanza finale”, secondo cui la somma algebrica dei redditi periodici esposti
deve coincidere con il reddito totale o globale, ovvero quello riferibile all’intera
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vita dell’azienda.
Adottando la proposta in oggetto, la somma algebrica dei risultati dei diversi
esercizi non corrisponderebbe più alla variazione indiretta del capitale netto,
minando così la definizione stessa di reddito. Non varrebbe a mitigare tale
critica l’osservazione secondo la quale, imputando l’effetto retroattivo della
variazione dei criteri di valutazione all’esercizio in cui viene adottato il
cambiamento, si violerebbe il principio di competenza economica, per una
duplice ragione: in primo luogo, non è una scelta inevitabile considerare
l’effetto del cambiamento necessariamente retroattivo, potendo gli effetti
decorrere ex nunc; in secondo luogo, l’attribuzione ad un esercizio di
componenti reddituali relativi ad esercizi precedenti è assai comune e da luogo
ai componenti straordinari di reddito, deputati proprio a rilevare questo tipo di
fenomeni. Una violazione del principio di competenza economica potrebbe
invece ravvisarsi nella tendenza ad eliminare la distinzione fra componenti
ordinari e straordinari di reddito
12
.
Per quanto concerne l’adozione di tale tecnica da parte delle Pmi, si deve,
infine, rilevare che gli oneri amministrativi necessari per riscrivere i bilanci
interessati sicuramente potrebbero essere superiore alla soluzione formulata,
venendo meno al fine di ridurre gli oneri amministrativi delle imprese di minori
dimensioni13.
L’affermazione esplicita del principio della prevalenza della sostanza sulla forma
costituisce sicuramente un elemento di maggior chiarezza rispetto alla
situazione attuale, ma non esaurisce le problematiche inerenti i limiti di tale
principio, in un sistema giuridico come il nostro che basa il proprio equilibrio
12
Per quanto concerne le osservazioni tecniche riguardanti la definizione dei componenti
straordinari di reddito, si rinvia alle risposte fornite in merito all’art.2425-bis.
13
Si veda: COMMISSIONE DELLE COMUNITÀ EUROPEE, Comunicazione della Commissione al Consiglio
Europeo, Relazione strategica sulla strategia di Lisbona rinnovata per la crescita e
l'occupazione: il nuovo ciclo (2008-2010). Stare al passo con i cambiamenti, Parte I ( COM 2007,
803 def.-Parte I), http://ec.europa.eu/growthandjobs/pdf/european-dimension-200712-annualprogress-report/200712-annual-report_it.pdf
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anche sul rispetto rigoroso degli aspetti formali: l’art. 2423-ter n 2, infatti,
propone il principio, “salvo diversa disposizione di legge”. La relazione
all’ipotesi di attuazione non aggiunge altro: resta quindi l’insidioso dubbio se si
debba interpretare nel senso che tale principio si applica sempre, salvo che non
esiste una norma che esplicitamente disponga che un fatto deve essere indicato
in bilancio secondo il suo aspetto formale, anche se contrario alla sostanza
dell’operazione, oppure l’inciso faccia riferimento a tutte quelle operazioni per
le quali giuridicamente la forma assume importanza essenziale, come l’obbligo
per la forma scritta in taluni contratti, o la presenza di cause di nullità o di
annullabilità di un atto, ecc.
Per completezza, non si può omettere un riferimento al documento emanato
dall’OIC nel febbraio 2007, in risposta all’apposito questionario predisposto dallo
IASB: esso premette che le cosiddette “piccole” imprese italiane, confrontate
con le realtà dei più importanti paesi membri dell’Unione Europea, sono – assai
spesso – delle micro imprese, mentre la definizione di “media” impresa in tali
paesi altrettanto spesso in Italia identificherebbe imprese medio-grandi
14
.
Significativa appare la nota con la quale l’OIC così conclude: ”a nostro avviso,
l’Exposure draft dello IASB relativo agli standard contabili per le SME non
appare una soluzione allo stato condivisibile per rappresentare contabilmente
le problematiche tipiche delle piccole imprese nazionali. Lo standard proposto è
troppo “vicino” agli IAS/IFRS integrali, presenta poche esemplificazioni che
guidino il redattore del bilancio e continua ad essere focalizzato principalmente
a beneficio dell’investitore (nell’accezione diversa da quella del socio
imprenditore), mentre nella maggioranza delle piccole imprese, la platea degli
utenti è diversa.”
14
Si veda: ORGANISMO ITALIANO DI CONTABILITÀ, Considerazioni sul questionario circa i principi
contabili
e
le
direttive
contabili
per
le
“SME”,
disponibile
su:
http://80.207.146.178//Pages/Public/Documenti.aspx
23
C O N S I G L I O N AZ I O N AL E D E I D O T T O R I C O M M E R C I AL I S T I E D E G L I E S P E R T I C O N T AB I L I
Le attuali difficoltà nel recepimento delle direttive comunitarie dipendono in
gran parte dalla decisione del legislatore italiano di estendere ai bilanci di
esercizio gli standard internazionali, nati in relazione alle esigenze proprie dei
bilanci consolidati di gruppi con titoli trattati sui mercati regolamentati, in un
contesto economico caratterizzato dalla presenza di migliaia di operatori per i
quali gli obiettivi dell’informativa finanziaria sono diversi, e che si vedono ora
coinvolti in processi di “armonizzazione” nei confronti di regole corrispondenti
alle esigenze di altri.
Un ulteriore aspetto critico è dato dal fatto che, come da più parti segnalato,
l’eventuale “armonizzazione” lascerà in ogni caso fuori dalla procedura una
larga percentuale di micro-imprese che anche i nuovi standard proposti dallo
IASB escludono, con il conseguente rischio di rendere incoerente un sistema
contabile basato su solide e prestigiose tradizioni culturali, senza la garanzia di
raggiungere l’obiettivo cercato, ovvero la possibilità che tutti i bilanci delle
imprese europee vengano redatti secondo i medesimi principi contabili.
Istituti giuridici correlati alle modifiche apportate alla redazione del bilancio
Il documento sottoposto a consultazione dal MEF si occupa di alcuni altri istituti
complementari, ed in particolare delle azioni proprie (artt.2357-ter e altri).
In linea con i comportamenti più diffusi a livello internazionale e con
l’impostazione degli IAS/IFRS, si ritiene opportuno di iscrivere le azioni proprie a
diretta rettifica del patrimonio netto, precisando che la valutazione deve
avvenire secondo il criterio del costo. L’implementazione della scelta, pur
perfettamente condivisibile, non appare condotta in modo da ottenere il miglior
risultato informativo possibile. Si ritiene opportuno che esse, al pari dei crediti
verso soci per i versamenti ancora dovuti, siano iscritte a diretta riduzione del
capitale sociale, ma con esplicita evidenza nello schema civilistico di Stato
Patrimoniale, attesa la loro notevole rilevanza per diversi istituti quali il diritto
al voto e al dividendo. Stesso dicasi per il prospetto delle variazioni del netto di
cui all’art.2425-ter del documento di consultazione. Infine, il chiarimento della
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natura di diretta rettifica del capitale sociale deve essere specificato anche ai
fini del calcolo delle soglie di cui agli artt.2446 e 2482-bis (Riduzione del
capitale per perdite), poste a tutela dell’integrità del capitale. Pare logico,
quindi, che il totale delle perdite, dedotte le riserve, sia rapportato al capitale
effettivamente in circolazione (al netto delle azioni proprie). Anche scegliendo
interpretazioni diverse, il chiarimento nel testo degli artt.2446 e 2482-bis pare
comunque necessario.
Art. 2423-bis. (Ambito di applicazione)
Il tenore letterale della disposizione può far sorgere il dubbio che l’estensore
abbia voluto eliminare la facoltà di adozione degli IAS/IFRS per le società non
obbligate. Se così non fosse, si ritiene che il comma possa essere modificato
anche alla luce di quanto riportato nella relazione illustrativa. A questo
proposito un possibile testo potrebbe essere:“Le disposizioni degli articoli
seguenti sulle strutture e il contenuto del bilancio e sui criteri di valutazione non
si applicano alle società che, in applicazione dell’obbligo o per esercizio di
facoltà, redigono il bilancio di esercizio in conformità ai principi contabili
internazionali.”.
Art. 2423-ter. (Principi di redazione del bilancio)
Prevalenza della sostanza sulla forma
La proposta del documento di consultazione recepisce in forma sostanzialmente
obbligatoria la facoltà concessa agli Stati Membri contenuta nell’Art. 4 Par. 6
della Quarta Direttiva in base al quale, però gli Stati avrebbero la possibilità di
rendere non obbligatoria la disposizione e di limitarla a Società di tipo
particolare e/o ai soli conti consolidati.
L’enunciazione assoluta di un principio, sebbene già richiamato nei principi
contabili di riferimento, preoccupa non tanto in relazione a fattispecie già note
(quali ad esempio il leasing, il factoring, il sale & lease back etc.) quanto con
riferimento alla necessità da parte delle imprese di analizzare l’insieme delle
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transazioni poste in essere per valutarne di volta in volta le caratteristiche
sostanziali con un rischio in un ambiente culturalmente non abituato a tali
impostazioni di incrementare il margine di interpretazione delle singole
transazioni e non favorire la comparabilità fra interpretazioni fra loro diverse
delle stesse operazioni. Il rischio ulteriore che si intravede è inoltre quello di
ingenerare una non genuina commistione fra gestione aziendale e contabilità
facendo riflettere in bilancio le intenzioni di chi gestisce più che i risultati
consuntivi di bilancio derivanti dalla sua gestione. Si ritiene pertanto
maggiormente opportuno riflettere l’applicazione
di tale
principio
con
riferimento a specifiche operazioni (leasing, factoring etc.), lasciando ai principi
contabili il richiamo al concetto più generale di prevalenza della sostanza sulla
forma.
Art. 2424. (Contenuto dello stato patrimoniale)
Indipendentemente dal criterio di classificazione previsto (peraltro richiamato
direttamente
dalla
legge
comunitaria
2007),
lo
schema
non
sembra
particolarmente fruibile dal lettore (soprattutto delle piccole società) senza una
lettura coordinata della nota integrativa.
Il bilancio delle imprese che non intravedono negli investitori i principali
stakeholder dovrebbe fornire una visione comprensibile della posizione
patrimoniale-finanziaria
direttamente
tramite
la
lettura
dei
prospetti
quantitativi. La mancanza di una strutturazione ripartita su diversi livelli di
importanza (macroclassi, ecc.) limita una lettura organica dei dati quantitativi.
Tale impostazione può essere soddisfacente per le imprese quotate per le quali
tutte le poste sono tutte solitamente rilevanti, sicuramente meno per le società
che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio.
Occorre considerare, inoltre, che il documento sottoposto a consultazione dal
MEF introduce il concetto di classificazione finanziaria, ma mantiene ai fini
valutativi criteri di valutazione ad hoc per le immobilizzazioni; tale impostazione
non appare condivisibile, visto che il concetto di immobilizzazione “appartiene”
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al criterio di classificazione per destinazione, non adottato dal documento e
“scartato” dalla legge comunitaria 2007.
Si riportano di seguito le indicazioni concernenti le modifiche di dettaglio allo
schema di stato patrimoniale proposto.
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STATO PATRIMONIALE
DOCUMENTO DI CONSULTAZIONE
Art.
2424.
(Contenuto
dello
stato
patrimoniale).
1. Lo stato patrimoniale deve essere redatto in
conformità al seguente schema.
ATTIVO
A) Attività non correnti
1. Immobili, impianti e macchinari
2 Investimenti immobiliari
3. Beni utilizzati in locazione finanziaria
4. Avviamento
5. Altre attività immateriali
6. Partecipazioni
7. Crediti finanziari e altri
8. Altre attività finanziarie
9. Imposte differite attive
10. Altre attività non correnti
B) Attività correnti
1. Crediti verso soci per conferimenti
2.
Crediti
commerciali,
con
separata
indicazione degli importi esigibili oltre
l’esercizio successivo, e altri.
3. Altre attività finanziarie correnti
4. Rimanenze
5. Lavori in corso su ordinazione
6. Attività possedute per la vendita
7. Risconti attivi
8. Altre attività
9. Disponibilità liquide
PROPOSTA CNDCEC
Art.
2424.
(Contenuto
dello
stato
patrimoniale).
1. Lo stato patrimoniale deve essere redatto in
conformità al seguente schema.
ATTIVO
A) Attività non correnti
1. Immobilizzazioni materiali (a)
2 Investimenti immobiliari
3. Beni utilizzati in locazione finanziaria
4. Avviamento
5. Altre attività immateriali
6. Partecipazioni
7. Crediti finanziari, commerciali e altri non
correnti (b)
8. Altre attività finanziarie non correnti (c)
9. Imposte anticipate non correnti (d)
10. Altre attività non correnti
11. Risconti attivi non correnti (e)
B) Attività correnti
1. Crediti verso soci per conferimenti
2. Crediti finanziari, commerciali e altri
correnti. (f)
3. Altre attività finanziarie correnti
4. Rimanenze
5. Lavori in corso su ordinazione
6. Attività possedute per la vendita
7. Attività possedute per la negoziazione (g)
8. Imposte anticipate correnti (h)
9. Altre attività correnti (i)
10. Disponibilità liquide e mezzi equivalenti
(l)
11. Risconti attivi correnti (m)
Note:
a): Non si ritiene opportuno eliminare altre tipologie di beni quali “attrezzature”, e “altri beni”. Nel 2424bis e nel 2426 si fa riferimento al termine immobilizzazioni. Si dovrebbe adeguare la terminologia presente
nel resto delle norme (es. art. 2427 n. 3).
b) Ragioni di simmetria ed opportunità per avere anche gli altri crediti (commerciali ed altri) nella parte A,
facilitando lettura ed analisi per indici. Potrebbe anche inserirsi numero in più per dettagliare i crediti
commerciali ed altri rispetto ai finanziari, come prevede anche IAS 1 par.68 lett.h.
c) Simmetrico rispetto al punto B3 Altre attività finanziarie correnti.
d) Per correttezza terminologica: non può riferirsi a “differimento” (anche se attivo) qualcosa che ha
invece causato una tassazione “anticipata”. Si dovrebbe adeguare la terminologia presente nel resto delle
norme (es. artt. 2424-bis n.10 e 2427 n. 13).
e) Tutti i risconti in lettera a parte o aggiungere per simmetria con parte corrente.
f) Si veda nota b), anche qui con eventuale nuovo numero. Sparisce “con separata indicazione degli importi
esigibili oltre l’esercizio successivo”.
g) Opportuna integrazione.
h) Simmetria con altre voci dell’attivo. Si veda anche nota d).
i) Simmetrico rispetto al punto A10 Altre attività non correnti.
l) Possibile integrazione (anche IAS 1 par.68 lett.i).
m) Spostato in coda per analogia vecchio codice e considerando che trattasi di posta puramente
“contabile”.
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DOCUMENTO DI CONSULTAZIONE
PASSIVO
A) Patrimonio netto
1. Capitale sociale, con indicazione della parte
non versata
2. Riserva da sovrapprezzo
3. Riserve di rivalutazione
4. Altre riserve
5. Utili / perdite portati a nuovo
6. Utile / perdita dell’esercizio
PROPOSTA CNDCEC
PASSIVO
C) (a) Patrimonio netto
1. Capitale sociale, con indicazione della parte
non versata
2. Riserva da sovrapprezzo
3. Riserve di rivalutazione
4. Altre riserve
5. Utili / perdite portati a nuovo
6. Utile / perdita dell’esercizio
B) Passività non correnti
1. Obbligazioni in circolazione
2. Debiti verso banche
3. Altre passività finanziarie
D) Passività non correnti
1. Obbligazioni in circolazione non correnti (b)
2. Debiti verso banche non correnti (b)
3. Altre passività finanziarie non correnti (b)
4. Debiti verso fornitori non correnti (c)
5. Fondi per rischi ed oneri
6. Fondi relativi al personale
7. Trattamento di fine rapporto di lavoro
subordinato
8. Imposte differite e debiti tributari non
correnti (d)
9. Altre passività non correnti
10. Risconti passivi non correnti (e)
4. Fondi per rischi ed oneri
5. Fondi relativi al personale
6. Trattamento di fine rapporto di lavoro
subordinato
7. Imposte differite passive
8. Altre passività non correnti
C) Passività correnti
1. Obbligazioni in circolazione
2. Debiti verso banche
3. Altre passività finanziarie
4. Debiti verso fornitori, con separata
indicazione degli importi esigibili oltre
l’esercizio successivo
5. Anticipi su lavori in corso su ordinazione
6. Debiti tributari
7. Risconti passivi
8. Altre passività correnti
E) Passività correnti
1. Obbligazioni in circolazione correnti (f)
2. Debiti verso banche correnti (f)
3. Altre passività finanziarie correnti (f)
4. Debiti verso fornitori correnti (f) (g)
5. Acconti (h) su lavori in corso su ordinazione
6. Imposte differite e Debiti tributari correnti
(i)
7. Risconti passivi correnti (f)
8. Altre passività correnti
Note:
a) Lo Stato Patrimoniale è prospetto unitario e quindi si ritiene corretta la consecutività delle sue
“sezioni”, anche per individuare univocamente le lettere maiuscole o come Attivo o come Passivo.
b) Per facilità di lettura del dato e analogia con l’attivo patrimoniale in cui è riportata la distinzione e con
alte voci del passivo dove c’è distinzione (voce B8 OIC).
c) Si veda commenti nelle note b) ed f) dell’Attivo.
d) Si ritiene opportuna un’annotazione specifica anche per i debiti tributari non correnti (possibili
rateazioni a lunga scadenza). Eventualmente anche numero a parte per simmetria con la parte corrente.
Pleonastico il termine “passive” se si accetta distinzione tra anticipate e differite (vedi nota d) dell’Attivo).
e) Si veda nota e) dell’Attivo.
f) Si veda nota b) sopra.
g) Ragioni di simmetria. Vedi anche nota f) dell’Attivo.
h) Si ritiene più corretto.
i) Si veda nota d).
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Art. 2424-bis. (Disposizioni relative a singole voci dello stato patrimoniale)
Iscrizione delle spese di impianto e ampliamento e dei costi di ricerca
La proposta del documento di consultazione prevede l’eliminazione delle voci
“costi di impianto e ampliamento” e “costi di ricerca, sviluppo e pubblicità”,
facendo propria l’impostazione dei principi contabili internazionali (IAS 38)
secondo i quali un’attività immateriale può essere contabilizzata solo se:
1. è probabile che i futuri benefici economici ad essa attribuibili saranno
goduti dall’impresa;
2. il costo delle attività può essere attendibilmente determinato.
L’attuale art. 2424 del Codice Civile prevede, invece, l’iscrizione nello stato
patrimoniale di alcuni oneri pluriennali, i quali, pur non avendo come risultato
l’acquisizione di beni o diritti singolarmente valutabili, sono tuttavia idonei a
produrre effetti positivi anche in esercizi successivi a quelli in cui sono stati
sostenuti.
a) costi di impianto e ampliamento
Occorre rilevare che già oggi la previsione della norma civile di capitalizzare tali
costi non è, e non deve essere, intesa come strumento per politiche di bilancio
finalizzate all’alleggerimento del conto economico dell’impresa di costi che
potrebbero significativamente ridurre i risultati economici della stessa, né la
capitalizzazione di tali costi è l’automatica conseguenza del fatto che gli stessi
siano stati sostenuti. Il presupposto fondamentale della loro iscrizione all’attivo
patrimoniale consiste nella possibilità di dimostrare la congruenza ed il rapporto
causa - effetto tra i costi in questione ed il beneficio (futura utilità) che dagli
stessi l’impresa si attende.
I costi di start-up sono imputati al conto economico dell’esercizio in cui sono
sostenuti; essi sono capitalizzati quando sono rispettate tutte le seguenti
condizioni:
-
i costi sono direttamente attribuibili alla nuova attività / ramo di
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azienda/ nuovo processo produttivo e sono limitati a quelli sostenuti nel
periodo antecedente il momento del possibile avvio (i costi generali e
amministrativi e quelli derivanti da inefficienze sostenute durante il
periodo di start-up non possono essere capitalizzati);
-
il loro differimento è comunemente accettato come prassi del settore
aziendale in cui si sta avviando la nuova attività;
-
il principio della ricuperabilità dei costi è rispettato.
E’ noto che all’atto della pianificazione dell’avvio di una nuova attività
imprenditoriale sono rari i casi in cui si prevedono correttamente i mezzi
necessari per attuarla. Sono ancora più rari i casi in cui il capitale proprio giochi
un ruolo preponderante. Basta osservare i casi di società di capitali costituite
con il capitale legale minimo. Si ritiene, quindi, di non condividere la
capitalizzazione delle spese di impianto della società, mentre dovrebbero essere
consentite le capitalizzazioni dei costi di start up aziendale (costi industriali e
costi professionali iniziali).
b) costi di ricerca, sviluppo e pubblicità
L'attività di ricerca consiste in studi, indagini e prove di laboratorio, finalizzata
allo ”sviluppo di specifici prodotti, o, più spesso, di processi produttivi”.
L’attività di ricerca e sviluppo costituisce una priorità nel quadro delle politiche
per la crescita sia nazionale (si veda Legge Finanziaria 2007 e 2008) oltre che
europea (si veda “Strategia di Lisbona”). Al fine di correggere le debolezze del
nostro sistema produttivo sono necessari interventi di tipo strutturale in fase di
avvio.
Congiuntamente a tale rinnovato interesse nazionale ed europeo per la R&S è
opportuno sia anche mantenuta l’attuale impostazione prevista dalle norme
civilistiche e dai principi contabili nazionali.
Si suggerisce, quindi, di prevedere la capitalizzazione dei costi di ricerca
applicata, così come previsto attualmente dai principi contabili nazionali.
Eliminare la capitalizzazione dei costi di ricerca applicata per il nostro sistema
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C O N S I G L I O N AZ I O N AL E D E I D O T T O R I C O M M E R C I AL I S T I E D E G L I E S P E R T I C O N T AB I L I
economico, con prevalenza di Pmi, potrebbe risultare un onere troppo gravoso
per le stesse, soprattutto perché l’impossibilità di capitalizzare tali oneri può
provocare pesanti influenze sui risultati dei primi bilanci, con le conseguenze
previste dagli articoli 2446 e 2447 (2482-bis, 2482-ter) del codice civile.
L’adozione dell’impostazione propria degli IAS/IFRS appare in questo senso
particolarmente
difficile
nelle
imprese
(piccole
e
medie)
in
quanto
obbligherebbe, soprattutto le aziende di nuova costituzione e quelle più virtuose
e dinamiche nel campo della innovazione tecnologica, a conservare metodologie
contabili tali da costringerle alla ricostruzione del capitale proprio, sino al
rischio dello scioglimento della società per la perdita del capitale. Le
conseguenze pratiche non sono di poco conto, infatti l’inizio di una attività,
soprattutto
di
limitate
dimensioni,
è
quasi
sempre
caratterizzata
dal
sostenimento di costi volti alla sua organizzazione, ovvero alla messa a punto del
prodotto-servizio da commercializzare.
Appare opportuno, quindi, concedere a tali imprese la facoltà di correlare tali
oneri nei limiti temporali previsti dalla norma con i futuri ricavi, sospendendone
l’influenza a conto economico e procedendo alla loro capitalizzazione con la
previsione di limiti ai possibili abusi.
Anticipi (Acconti) su lavori in corso
Si propone di eliminare l’indicazione relativa agli “Anticipi (acconti) su lavori in
corso”, che appare incoerente con il sistema contabile normalmente in uso
presso le imprese italiane ed in contrasto con i principi della legge delega, che
impongono di semplificare gli schemi di bilancio.
Imposte anticipate e differite
Si propone di lasciare alla prassi la definizione (peraltro già esistente) di tali voci
e le casistiche particolari, non tutte e facilmente disciplinabili attraverso la
norma di legge. A tale riguardo si suggerisce di formulare la pertinente
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C O N S I G L I O N AZ I O N AL E D E I D O T T O R I C O M M E R C I AL I S T I E D E G L I E S P E R T I C O N T AB I L I
disposizione nel seguente modo: “Devono essere iscritte in bilancio le imposte
anticipate e differite relative alle differenze temporanee, deducibili e imponibili
in esercizi futuri. L’iscrizione di imposte anticipate è effettuata solo quando il
loro realizzo sia da ritenersi ragionevolmente certo.”.
Ratei attivi e passivi
Si propone di eliminare l’indicazione, in base alle quale “i ratei attivi e passivi
devono essere iscritti nelle voci attive e passive alle quali ineriscono”, in misura
del fatto che i ratei non risultano indicati nei prospetti di stato patrimoniale e la
loro rilevazione appare richiesta dall’adozione del principio di competenza.
Art. 2425. (Contenuto del conto economico)
Passando ad esaminare le proposte di modifica del conto economico, si ritiene
che l’attuale formulazione sia già in grado di fornire una adeguata
rappresentazione del risultato di gestione delle società di capitali italiane e che
quindi sia opportuno mantenere evidenza dei risultati parziali realizzati dalle
società, al fine di avere immediata contezza del peso delle singole gestioni
sull’andamento complessivo.
Occorre, in aggiunta considerare che lo schema proposto individua quale unico
risultato intermedio l’ “utile (perdita) operativo”; tale indicazione, tuttavia, non
risulta coerente con l’impostazione solitamente riconosciuta da gran parte della
dottrina la quale include nel risultato operativo i soli elementi reddituali
(positivi e negativi) caratteristici, mentre lo schema include in tale accezione
anche gli “altri ricavi” e gli “altri costi e oneri” in cui sono solitamente imputati
i componenti di reddito accessori.
L’individuazione del menzionato “risultato operativo” non appare, poi,
coordinata con la definizione prospettata di proventi e oneri straordinari (si veda
commento all’art. 2425-bis).Si riportano di seguito le indicazioni concernenti le
modifiche di dettaglio allo schema di stato patrimoniale proposto.
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C O N S I G L I O N AZ I O N AL E D E I D O T T O R I C O M M E R C I AL I S T I E D E G L I E S P E R T I C O N T AB I L I
CONTO ECONOMICO
DOCUMENTO DI CONSULTAZIONE
Art.
2425.
(Contenuto
del
conto
economico).
1. Il conto economico deve essere redatto in
conformità al seguente schema.
1. Ricavi delle vendite e delle prestazioni;
2. Variazioni delle rimanenze di prodotti
finiti e di prodotti in corso di lavorazione
3. Variazioni dei lavori in corso su
ordinazione
4. Incrementi delle immobilizzazioni per
lavori interni
5. Altri ricavi
6. Costi per materie prime, sussidiarie, di
consumo e merci
7. Variazioni delle rimanenze di materie
prime, sussidiarie, di consumo e merci
8. Costi per servizi
9. Costi del personale dipendente e di altri
prestatori d’opera
10. Ammortamenti e svalutazioni delle
attività non correnti
11. Svalutazioni di crediti correnti e di altre
attività correnti
12. Altri costi e oneri
A) Utile (Perdita) operativo
13. Interessi attivi, dividendi e altri proventi
finanziari
14. Interessi passivi e altri oneri finanziari
15. Utili/perdite su cambi
16. Variazioni positive di valore di strumenti
finanziari
17. Variazioni negative di valore di
strumenti finanziari
18. Proventi straordinari
19. Oneri straordinari
B) Utile (Perdita) prima delle imposte
20. Imposte sul reddito, correnti e differite
C) Utile (Perdita) dell’esercizio
PROPOSTA CNDCEC
Art. 2425. (Contenuto del conto economico).
1. Il conto economico deve essere redatto in
conformità al seguente schema.
1. Ricavi delle vendite e delle prestazioni;
2. Variazioni delle rimanenze di prodotti finiti e
di prodotti in corso di lavorazione (a)
3. Variazioni dei lavori in corso su ordinazione
4. Incrementi delle immobilizza-zioni per lavori
interni
5. Altri ricavi
6. Costi per materie prime, sussidiarie, di
consumo e merci
7. Variazioni delle rimanenze di materie prime,
sussidiarie, di consumo e merci
8. Costi per servizi
9. Costi del personale dipendente e di altri
prestatori d’opera continuativa (b)
10. Ammortamenti e svalutazioni delle attività
non correnti
11. Svalutazioni di crediti correnti e di altre
attività correnti
12. Accantonamenti per rischi e oneri (c)
13. Altri costi e oneri
A) Utile (Perdita) operativo
14. Interessi attivi, dividendi e altri proventi
finanziari
15. Interessi passivi e altri oneri finanziari
16. Utili/perdite su cambi
17. Variazioni positive di valore di strumenti
finanziari
18. Variazioni negative di valore di strumenti
finanziari
19. Proventi straordinari
20. Oneri straordinari
B) Utile (Perdita) prima delle imposte
21. Imposte sul reddito, correnti, anticipate e
differite (d)
C) Utile (Perdita) dell’esercizio
Note:
a) Essendo stata soppressa la categoria dei semilavorati, questa dovrebbe anche essere soppressa nell’art.
2427 n.8
b) In connessione con quanto indicato in Nota Integrativa (art. 2427 n.27)
c) Si ritiene opportuno evidenziare a parte tale voce perché legata a processi di stima ad opera degli
amministratori, a volte particolarmente delicati
d) Coerentemente con quanto esposto nelle Note allo Stato Patrimoniale
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C O N S I G L I O N AZ I O N AL E D E I D O T T O R I C O M M E R C I AL I S T I E D E G L I E S P E R T I C O N T AB I L I
2425-bis. (Iscrizione dei ricavi, proventi, costi ed oneri)
Il documento di consultazione ha mantenuto – in linea con quanto previsto dalla
IV direttiva – la distinzione tra componenti “ordinari” e “straordinari” di reddito;
ciononostante, la proposta è orientata a restringere l’ambito di applicazione
dell’area straordinaria.
In tal modo, il documento sottoposto a consultazione dal MEF mira ad avvicinare
la normativa nazionale con le pertinenti disposizioni contenute nei principi
contabili internazionali, i quali hanno già eliminato per mezzo del progetto di
Improvement (2003) i componenti straordinari di reddito dallo schema di conto
economico.
Se l’intenzione della proposta di limitare l’area straordinaria è condivisibile, in
quanto consente una migliore lettura dei dati contenuti nel conto economico, è
opportuno considerare le modalità con cui tale scopo viene perseguito.
La definizione di componente straordinario - contenuta ad oggi nella relazione
ministeriale illustrativa al D.Lgs. 127/91 – è inclusa direttamente nel testo
normativo.
Dalla menzionata definizione si evince che i proventi e gli oneri straordinari:
-
hanno fonte estranea alla gestione ordinaria dell’impresa, intesa come
l’insieme delle attività caratteristiche, marginali e complementari svolte
normalmente dall’impresa
-
hanno un effetto rilevante sul risultato d’esercizio;
-
originano da eventi casuali ed infrequenti.
Tale approccio contiene una definizione di tipo “residuale”, per cui tutti i
componenti di reddito che non originano dall’attività ordinaria d’impresa sono
da considerarsi, appunto, straordinari. Nel proseguo della definizione, la
proposta del documento fornisce, tuttavia, una definizione di “attività
ordinaria”.
L’impostazione non sembra del tutto condivisibile perché tale intervento, al di là
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C O N S I G L I O N AZ I O N AL E D E I D O T T O R I C O M M E R C I AL I S T I E D E G L I E S P E R T I C O N T AB I L I
della definizione medesima, crea sovrapposizione in quanto la lettura congiunta
delle due definizioni potrebbe escludere taluni elementi di reddito sia dall’area
straordinaria che da quella ordinaria; potrebbe essere, in sostanza, possibile che
un elemento reddituale non risulti originato da attività aventi “caratteristiche,
marginali e complementari svolte normalmente dall’impresa” e contestualmente
sia extra-ordinario.
In considerazione dell’inevitabile discrezionalità con cui tali elementi saranno
classificati, non sembra opportuno inserire ulteriori (evitabili) elementi di
interpretazione. Si ritiene, in sostanza, corretto eliminare la definizione di area
ordinaria, limitandosi a dichiarare che gli elementi reddituali straordinari sono
componenti di reddito estranei alla gestione ordinaria.
Per quanto concerne l’indicazione di considerare straordinari i soli elementi che
hanno un “effetto rilevante sul risultato d’esercizio”, non sono proposte
particolari obiezioni, anche se si deve rilevare che già oggi la prassi contabile
prevede di riportare in bilancio i dati significativi e rilevanti, come ricordano i
principi contabili medesimi per i quali “il bilancio d'esercizio deve esporre solo
quelle informazioni che hanno un effetto significativo e rilevante sui dati di
bilancio o sul processo decisionale dei destinatari. Il principio di significatività
trova anche riscontro in numerose norme relative alla redazione e al contenuto
del bilancio.” (Principio contabile nazionale n. 11).
Si
condivide
che
i
componenti
straordinari
possano
essere
originati
esclusivamente da eventi “casuali” e “infrequenti”, anche se sembrerebbe
preferibile considerare l’esistenza anche di una sola delle menzionate
caratteristiche.
Tale previsione, inoltre, renderebbe coerente il testo del codice civile con la
richiesta della Consob alle imprese da questa vigilata di “evidenziare, qualora di
importo significativo, i componenti di reddito derivanti da operazioni il cui
accadimento è non ricorrente o che risultano inusuali” Parte I, punto 2)
15
.
15
Si veda: Consob, Delibera n. 155519 del 27 luglio 2006 – Disposizioni in materia di bilancio da
emanare in attuazione dell’art. 9, comma 3, del decreto legislativo n. 38 del 28 febbraio 2005.
36
C O N S I G L I O N AZ I O N AL E D E I D O T T O R I C O M M E R C I AL I S T I E D E G L I E S P E R T I C O N T AB I L I
Art. 2426. (Criteri di valutazione)
Valutazioni al fair value
Si deve rilevare che, sotto il profilo terminologico, è opportuno – nonostante
l’impostazione utilizzata nella stesura del testo della legge comunitaria 2007,
fare uso del solo termine fair value in luogo della dizione solitamente utilizzata
“fair value (valore equo)”.
L’espressione impiegata – di stampo comunitario – era stata inizialmente
applicata nei regolamenti comunitari di implementazione degli IAS/IFRS ed era
volta a sostituire l’iniziale impostazione comunitaria orientata a fare uso del
solo termine “valore equo”.
Considerata l’evoluzione della disciplina contabile nonché la maggior diffusione
di tale concetto (di origine nordamericana e precedentemente, di fatto,
sconosciuto
alla
cultura
aziendalistica
dell’Europa
occidentale)
sembra
opportuno fare uso anche nei testi normativi nazionali – considerata la non facile
traducibilità del concetto - del solo termine fair value.
Passando quindi all’analisi della proposta in tema di fair value occorre a nostro
avviso segnalare quanto segue:
-
come indicato in precedenza la rilevazione delle attività o passività al fair
value potrebbe comportare in ambienti aziendali (ma anche finanziari)
non culturalmente abituati ad istituti di matrice e quindi di cultura
anglosassone, rischi significativi di politiche di bilancio aggressive (anche
se non necessariamente scorrette) in relazione agli ampi margini che
tipicamente i modelli di valutazione consentono. Parrebbe pertanto
opportuno istituire dei meccanismi concreti che favoriscano il ricorso al
fair value nei soli casi nei quali la sua adozione rappresenti
effettivamente una modalità di maggiore trasparenza e correttezza nella
comunicazione finanziaria garantendo nel contempo l’integrità del
patrimonio contabile dichiarato. In tal senso sarebbe da favorire
l’introduzione di un obbligo di pubblicazione in caso di adozione
facoltativa del fair value di un parere di congruità dei valori iscritti in
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C O N S I G L I O N AZ I O N AL E D E I D O T T O R I C O M M E R C I AL I S T I E D E G L I E S P E R T I C O N T AB I L I
bilancio da parte di un dottore commercialista indipendente che attesti
l’effettiva rappresentatività dei valori di mercato come richiesto dalla
Direttiva, sia con riferimento a strumenti finanziari che ad altre attività.
Analogamente sarebbe opportuno modificare l’art. 2426 bis comma 2.
punto 8) così come proposto dal documento di consultazione, inserendo
anche qui una disposizione di garanzia che preveda, in caso di assenza di
un mercato attivo dello specifico strumento o attività, una presunzione
relativa che il fair value non sia determinabile (con conseguente
valutazione al costo) se non in presenza di un parere di un dottore
commercialista indipendente. Una soluzione di questo tipo scoraggerebbe
adozioni del fair value con obiettivi diversi da quelli di una genuina
informazione finanziaria e garantendo nel contempo la congruità del
patrimonio contabile;
-
una ulteriore annotazione in merito al fair value riguarda la facoltà di
adottare tale criterio anche per le immobilizzazioni materiali e
immateriali nonché per i terreni e fabbricati destinati ad investimento
immobiliare che rappresenta, specie in assenza dei meccanismi di
garanzia di cui al precedente punto, una proposta che non si ritiene
condivisibile. In primo luogo, desta forti perplessità il fatto che la
proposta del documento non consideri i limiti stabiliti per il modello di
rideterminazione al fair value delle immobilizzazioni immateriali dallo IAS
38 par. 7616. Nella formulazione attuale della proposta sarebbe in astratto
possibile (come non avviene negli IAS/IFRS) iscrivere al fair value
un’immobilizzazione immateriale (ad esempio un avviamento non pagato
ma generato internamente) mai rilevata prima nello Stato Patrimoniale.
Inoltre la proposta del documento subordina l’adozione del fair value alla
attendibilità della sua determinazione (accomunando impropriamente le
immobilizzazioni materiali ed immateriali in base alle disposizioni dello
16
Deve, tuttavia, trattarsi di un’attività inizialmente rilevata al costo, in generale lo IAS 38 non
consente di rilevare un’immobilizzazione immateriale che non soddisfi in origine i previsti
stringenti criteri di riconoscimento iniziale.
38
C O N S I G L I O N AZ I O N AL E D E I D O T T O R I C O M M E R C I AL I S T I E D E G L I E S P E R T I C O N T AB I L I
IAS 16) e non recepisce il criterio più stringente previsto dallo IAS 38, che
richiede invece come prerequisito per la valutazione al fair value delle
immobilizzazioni immateriali l’esistenza di un mercato attivo definito in
modo molto restrittivo (ad esempio neanche il mercato dei diritti
cinematografici costituisce per lo IAS 38 un mercato attivo). A prescindere
da quanto sopra detto, preoccupa l’uso potenzialmente strumentale e gli
ampi margini di valutazione di tale criterio con riferimento sia alle
immobilizzazioni materiali e immateriali che ai terreni e fabbricati
destinati ad investimento in aziende di piccole e medie dimensioni. La
valutazione a valore equo degli impianti e macchinari può inoltre
comportare il rischio di anticipare nei conti consuntivi i risultati previsti
dagli
amministratori
attraverso
gli
strumenti
di
budgeting
e
pianificazione. Tali rischi dono facilmente desumibili dai metodi di
valutazione previsti dallo IAS 16 per la determinazione del valore di tali
beni. Infine, sulla base dell’esperienza delle società italiane che adottano
già da tempo i principi contabili internazionali è possibile constatare che
la facoltà di valutazione al fair value di attività materiali e immateriali
non è stata ritenuta adeguata alla corretta espressione in bilancio dei
valori dell’attivo immobilizzato. Infatti, da un’analisi pubblicata da Il
Sole24Ore
17
sui bilanci delle società quotate che hanno adottato per la
prima volta i principi contabili internazionali nel 2005, è risultato che in
nessun caso era stato adottato il cosiddetto “revaluation method” per la
valutazione degli immobili impianti e macchinari. La possibilità andrebbe
pertanto al più limitata, come consentito dall’art. 42 sexies della
Direttiva, unicamente per le imprese di tipo immobiliare e comunque in
presenza di dispositivi di garanzia di cui al precedente paragrafo;
-
un’ultima riflessione riguarda la possibilità, che nel documento di
consultazione è stata recepita in forma di obbligo, di rilevare gli effetti
della valutazione al fair value delle attività disponibili per la vendita in
17
Si veda: GRUPPO DI RICERCA DELL’OSSERVATORIO BILANCI UNIVERSITÀ DI TORINO E UNIVERSITÀ DEL PIEMONTE
ORIENTALE (a cura di), in “Guida ai principi contabili internazionali”, 2005, vol. 21, p.90.
39
C O N S I G L I O N AZ I O N AL E D E I D O T T O R I C O M M E R C I AL I S T I E D E G L I E S P E R T I C O N T AB I L I
contropartita al patrimonio netto. Come illustrato più ampiamente in
altra sezione del presente documento si ritiene il principio della
continuità dei valori un caposaldo importante della cultura aziendalistica
nazionale e pertanto il recepimento di tale opzione di accredito al
patrimonio netto sia sotto forma di obbligo che di facoltà per le imprese
non sia opportuno.
Eliminazione del LIFO per la valutazione del magazzino
La proposta dell’OIC prevede che il costo dei beni fungibili non possa essere
determinato anche in base alla metodologia LIFO. Tale soluzione non trova una
motivazione particolare nella Direttiva che prevede la possibilità per gli Stati
membri di consentire l’adozione di tale metodologia. Il criterio LIFO ha il
vantaggio di rappresentare in un regime di prezzi crescenti una rappresentazione
prudenziale della situazione patrimoniale della società e pertanto, sebbene non
previsto dagli IAS/IFRS, andrebbe viceversa consentito nella realtà italiana.
Soprattutto il metodo LIFO permette di confrontare ricavi espressi a prezzi
correnti con costi anch’essi espressi a prezzi correnti: ciò in pieno accordo con
quanto previsto dal principio contabile nazionale n.11 che individua come fine
del bilancio d’esercizio la rappresentazione veritiera e corretta del risultato
economico di periodo e del connesso capitale di funzionamento, talché la
rappresentazione del capitale diviene mezzo al fine e non fine esso stesso, come
invece appare nelle indicazioni degli IAS/IFRS
Metodo del patrimonio netto
Il metodo del Patrimonio Netto (equity method) è pervenuto al nostro
ordinamento – seppur precedentemente previsto nel principio contabile
nazionale n.- 8 - attraverso il D.lgs.127/91, assieme alla disciplina del bilancio
consolidato. Si tratta di una metodologia particolarmente articolata e
sofisticata, peraltro rappresentata più correttamente nel principio contabile
nazionale n. 17, Bilancio consolidato che nel principio contabile nazionale n. 21,
40
C O N S I G L I O N AZ I O N AL E D E I D O T T O R I C O M M E R C I AL I S T I E D E G L I E S P E R T I C O N T AB I L I
Il tentativo di riassumere il complesso modello valutativo in un comma di un
articolo del codice civile è sempre compito non semplice e comunque destinato
a generare equivoci interpretativi ed errori applicativi (ad esempio, il “vero”
equity method prevede la valutazione in rapporto alla frazione del netto
rettificato e non del netto contabile).
D’altronde, non esistendo sostanziali equivoci nell’individuazione del metodo in
parola (come non ne esistono, ad esempio, nel caso del FIFO e del LIFO, o dei
lemmi “ratei” o “risconti”), non sembra esistere una precisa necessità di
indicazione dettagliata del funzionamento del metodo.
Appare sufficiente, pertanto, riportare nel testo della norma che “le
partecipazioni iscritte tra le immobilizzazioni finanziarie possono essere valutate
secondo il metodo del patrimonio netto”.
Metodo del “component approach”
Nell’ipotesi
formulata
dal
documento
di
consultazione
si
riporta
che
l’ammortamento delle immobilizzazioni materiali ed immateriali deve essere
effettuato su base sistematica in ogni esercizio “in relazione con la residua
possibilità di utilizzazione dei componenti di ciascuna immobilizzazione…”. Si è,
in sostanza, voluto introdurre il metodo del “component approach”, mutuandolo
dallo IAS 16.
Potrebbe, viceversa, essere opportuno non riprodurre tale indicazione in quanto
comunque già correttamente considerata nel principio contabile nazionale n. 16,
ovvero – se si inserirla decida diversamente - specificare (come d’altronde
evidenziato, con riferimento all’applicazione dello IAS 16, dall’OIC) che tale
metodo riguarda esclusivamente i beni fisici (e quindi non le immobilizzazioni
immateriali) che abbiano importo significativo (o rilevante) e vita utile
differente
18
. Tale approccio eviterebbe di giungere ad eccessive suddivisioni di
ogni tipo di bene, con l’aggiunta di calcoli complicati, costosi ed eventualmente
strumentali a politiche di bilancio basate sugli ammortamenti.
18
Si veda: OIC, Guida operativa per la transizione ai principi contabili internazionali (IAS/IFRS),
2005.
41
C O N S I G L I O N AZ I O N AL E D E I D O T T O R I C O M M E R C I AL I S T I E D E G L I E S P E R T I C O N T AB I L I
2426-bis. (Strumenti finanziari)
Il “nuovo” art. 2426-bis è interamente dedicato agli strumenti finanziari.
Attualmente, l’unica indicazione contenuta nel codice, riguarda l’informativa
relativa al fair value degli strumenti finanziari ed è quella prevista nell’art.
2427-bis, introdotto con effetto dal primo gennaio 2005 dall’art.1, comma 1,
D.lgs. 30 novembre 2003 n. 394. Con l’introduzione del menzionato art.2426-bis,
è conseguentemente prevista l’abolizione dell’art. 2427-bis.
Il comma 1 dell’art. 2426-bis rimanda ai principi contabili internazionali per la
definizione di strumento finanziario, attività e passività finanziaria, strumento
finanziario derivato, costo ammortizzato a fair value.
È bene ricordare che la legge comunitaria 2007 (art. 25, punto d)) dispone che
debba essere prevista una “modificazione dei criteri di valutazione con adozione
del criterio del fair value, in via facoltativa, per la valutazione degli strumenti
finanziari e di altre specifiche attività, e, in via obbligatoria, per la valutazione
degli strumenti finanziari derivati”.
Il set di regole cui l’articolo rimanda sono perciò, in particolare: lo IAS 32,
Strumenti finanziari: esposizione nel bilancio; lo IAS 39: Strumenti finanziari:
rilevazione e misurazione; e, l’IFRS 7: Strumenti finanziari: informazioni
integrative.
Si rileva che le suddette definizioni non sono riferite limitatamente al contesto
degli strumenti finanziari, ma, in senso più ampio, “ai fini della presente
Sezione”, ossia ai fini di quanto contenuto nella sezione IX (del bilancio) libro V
(del lavoro) titolo V (delle società) capo V (delle società per azioni) del Codice
Civile.
Ciò comporta che ove altre norme contenute nella suddetta sezione facciano
riferimento a taluna delle definizioni contenute nel primo comma dell’art. 2426bis, ci si debba riferire a queste.
Infatti, con riferimento al fair value, la proposta di nuova normativa contiene
indicazioni e prescrizioni relative ad altri elementi che non sono strumenti
finanziari.
42
C O N S I G L I O N AZ I O N AL E D E I D O T T O R I C O M M E R C I AL I S T I E D E G L I E S P E R T I C O N T AB I L I
In particolare, si ricorda che la valutazione al fair value, è prevista:
-
come opzione, per le immobilizzazioni materiali e immateriali (art, 2426
n.3);
-
come opzione, per i terreni e fabbricati destinati ad investimento
immobiliare (art. 2426 n.13);
-
come obbligo, per le attività possedute per la vendita (art. 2426 n. 15), se
il fair value è inferiore al precedente valore contabile.
Il richiamo ai principi contabili internazionali è riferito, in sostanza, solo per gli
strumenti finanziari disciplinati dagli IAS 32 e 39 e IFRS 7 anche se potrebbe
avere dei riflessi “incontrollati” sulla valutazione degli altri elementi di bilancio.
Peraltro, è opportuno mettere in evidenza che il richiamo dell’art.2426-bis
espone la disciplina civilistica ai repentini cambiamenti a cui storicamente gli
IAS/IFRS sono soggetti.
I principi contabili internazionali, nascendo come documenti tecnici, sono infatti
soggetti a frequenti processi di restyling, tanto che ad oggi è in corso d’opera la
revisione stessa del concetto e delle tecniche valutative del fair value che
dovrebbe portare nel futuro a riconsiderare tale concetto
19
.
In aggiunta, è opportuno tenere in considerazione che gli IAS/IFRS sono
documenti articolati in cui gli aspetti definitori devono essere letti in
congiunzione con gli elementi concernenti le disposizioni tecniche in materia di
rilevazione e valutazione delle poste in oggetto.
Per tale motivo, richiamare alcune definizioni appartenenti ad un altro modello
contabile potrebbe creare forti e profonde ambiguità interpretative ed
applicative.
Per quanto concerne l’applicazione delle disposizioni in parola, si osserva che,
come si evince dalla relazione di accompagnamento alla proposta, il documento
19
Si veda: IASB, Discussion Paper. Fair value Measurements - Part 1: Invitation to Comment and
relevant IFRS guidance 2006; e, Fair Value Measurements - Part 2: SFAS 157 Fair Value
Measurements, 2006, entrambi disponibili su:
http://www.iasb.org/Current+Projects/IASB+Projects/Fair+Value+Measurement/Discussion+Pape
r+on+fair+value+measurements/Discussion+Paper+on+fair+value+measurements.htm
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sottoposto a consultazione dal MEF ha voluto uniformare la disciplina
“nazionale” con l’equivalente disciplina contenuta negli IAS/IFRS.
Non è agevole, tuttavia, comprendere fino in fondo la portata di tale
omologazione, laddove ci si limita ad un rinvio tout court agli IAS/IFRS per
quanto riguarda le definizioni e a dettare un set di principi generali, la cui
compatibilità ed interrelazione con gli IAS/IFRS è ancora tutta o in buona parte
da esplorare.
Di fatto, il rinvio ad alcuni aspetti di definizione degli IAS/IFRS dovrebbe,
d’altronde, rendere automatico il rinvio ad altri aspetti definitori collegati che
devono essere considerati ai fini operativi (per esempio, il rinvio al concetto di
tasso di interesse effettivo per la definizione e la misurazione del costo
ammortizzato)
20
.
20
Più in dettaglio e per meglio comprendere la portata delle osservazioni che precedono, non è
forse inutile cercare di comprendere se le disposizioni dettate dal secondo comma dell’art.
2426-bis siano suscettibili di applicazione autonoma o quanto, viceversa – e fino a che punto necessitino di attingere alla disciplina dello IASB per consentirne una applicazione compiuta ed
un governo secondo best practice:
a)
b)
Debiti, crediti e strumenti finanziari destinati ad essere detenuti fino a scadenza (htm).
Per le definizioni (soprattutto quella relativa agli strumenti finanziari htm) sembra indubbio che si debba
ricorrere a quelle contenute nel par.9 IAS39.
Non viene fatta alcuna distinzione tra rilevazione iniziale (initial measurement par. 43 IAS39) la valutazione
successiva (subsequent measurement par.44 e segg. IAS 39). L’indicazione è coerente con l’impossibilità – per
tali strumenti – di poter utilizzare la Fair Value Option (FVO) e, conseguentemente, con l’obbligo di rilevare
sempre l’elemento al costo ammortizzato ( a meno che non si tratti di uno strumento coperto, nel qual caso il
n. 6 del comma 2 art. 2426-bis impone un obbligo di rilevazione simmetrica con lo strumento di copertura), sia
in fase di rilevazione iniziale che in fase di successiva valutazione. Per la rilevazione del costo ammortizzato si
deve necessariamente ricorrere, come evidenziato nel testo, al criterio del tasso di interesse effettivo (par.46
e 47 e AG5-AG8 Appendice A). Per quanto riguarda le perdite di valore (riduzione “al presumibile valore di
realizzazione”), si dovrà verificare se sussiste una “obiettiva evidenza” di tale riduzione, posto che il termine
“presumibile” – di per se vago – trova una suo profilo applicativo nella disciplina portata dai paragrafi da 58 a
62 dello IAS39; per la determinazione della perdita durevole di valore ci si dovrebbe poi riferire al disposto del
par. 63, posto che tale disciplina discende dall’utilizzo del costo ammortizzato. Non viene detto niente sul
tema della derecognition (parr.15-37 e AG36), con la conseguenza che rimane una notevole incertezza sui
criteri applicabili, posto che i concetti di “rischi e benefici” e, soprattutto, di “mantenimento del controllo” e
di “coinvolgimento residuo”non sembrano suscettibili di applicazione diversa (o in qualche modo estrapolata)
da quella desumibile dal contesto degli IAS/IFRS. Dunque, o il criterio si applica in toto, oppure non si applica
per nulla.
Gli strumenti finanziari detenuti per la negoziazione o disponibili per la vendita sono iscritti al costo rettificato
o ridotto come indicato dal numero 1), o al valore di mercato se minore.
Non pare avere alcuna utilità - ed, anzi, alimenta la sensazione che si sia cercata una singolare “terza via” fra
IAS/IFRS e principi contabili italiani, con tutte le incertezze che stiamo vendendo - la definizione di strumento
finanziario disponibile per la vendita contenuta nel secondo capoverso, posto che nel primo comma esiste già
un rimando agli IAS/IFRS, che può essere utilizzato anche per definire le attività finanziarie disponibili per la
vendita (AFS).
Secondo lo IAS 39 una attività finanziaria detenuta per la negoziazione è iscritta al fair value rilevato a conto
economico (par.9), mentre le altre attività sono iscritte tra le menzionate attività finanziarie disponibili per la
vendita se sono designate come tali, a condizione che siano rispettati i criteri previsti nella lettera b) par.9; le
attività finanziarie detenute per la vendita sono rilevate a fair value (par.46), ma rilevato direttamente a
patrimonio netto (par.55). Nel confronto con il valore di mercato, non vi è nessun accenno al fatto se si debba
fare riferimento ad un mercato attivo, secondo le definizioni dello IASB e, dunque, ai requisiti necessari per
potersi riferire ad un mercato attivo (par. AG71 IAS39); sembra, perciò, di poter adottare dei riferimenti meno
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Dunque, secondo il quadro che sembra scaturire da questa sintetica
ricostruzione del portato normativo proposto, il coordinamento con gli IAS/IFRS
appare complesso e potrebbe suggerire di delineare un sistema che sia
completamente autonomo pur in alcuni punti coerente con i principi contabili
internazionali.
In ogni caso, il governo di norme interpretative complesse e non vicine alla
tradizione contabile italiana, si presenta come un probabile onere aggiuntivo per
le imprese, cui può non contrapporsi un beneficio certo e misurabile per i
destinatari dell’informazione. I quali, a loro volta, dovranno essere pronti ad
attrezzarsi per acquisire idonei strumenti atti a fornire valide chiavi
interpretative di ciò che debbono esaminare; il che, tenuto conto della
composizione della platea dei potenziali destinatari dell’informativa di bilancio,
non sembra andare nella direzione di una semplificazione.
L’adozione del fair value come modello di valutazione, sia esso obbligatorio
c)
d)
rigorosi. Peraltro, pare opportuno segnalare che proprio sul punto il Cesr (Committee of european securities
regulator), ha recentissimamente emanato un documento di consultazione teso a porre in evidenza la
problematica che è nata in seguito alla situazione di crescente illiquidità di alcuni mercati (soprattutto dei
derivati) che ha reso evidente i limiti di un approccio eccessivamente rigido. A tale proposito, si veda: CESR,
Consultation paper. Draft CESR statement. Fair value measurement and related disclosures of financial
instruments
in
illiquid
markets,
2008,
disponibile
su:
http://www.cesreu.org/index.php?page=home_details&id=295. Opzionalmente (n.3) è possibile utilizzare il fair value, a patto
di usare il medesimo criterio per tutti gli elementi che fanno parte della medesima categoria. La disciplina
dettata per la rilevazioni di utili e perdite da variazioni di fair value (a conto economico o a patrimonio a
seconda che si tratti, rispettivamente, di attività finanziarie detenute per la negoziazione o per la vendita)
sembra in linea con quanto disposto dallo IAS 39 (par.55), compreso il trattamento della perdita di valore per
gli strumenti finanziari detenuti per la vendita (tranne il fatto che gli IAS/IFRS non prevedono il requisito che la
perdita di valore sia “durevole”).
Per le partecipazioni che debbono essere classificate fra le altre attività finanziarie (cioè quelle che non sono
detenute in controllate, collegate e joint venture) è previsto il criterio del costo, rettificato per le perdite
durevoli di valore. Anche questo criterio è analogo a quello previsto dallo IAS 39 (par.46 lett.c) per gli
strumenti rappresentativi di capitale che non hanno un prezzo di mercato quotato in un mercato attivo e il cui
fair value non può essere misurato attendibilmente. In via opzionale, può essere adottato il criterio del fair
value (sempre a condizione che lo stesso trattamento sia riservato a tutti gli elementi che compongono la
medesima categoria) ed il trattamento previsto è il medesimo riservato agli strumenti finanziari detenuti per la
vendita.
Viene previsto che la variazione del valore equo dei derivati deve essere imputato a conto economico, a meno
che non si tratti di uno strumento di copertura della variazione dei flussi di cassa di altro strumento finanziario
(cash flow hedging). Anche in questo caso non si vede quale disciplina contabile applicare alle operazioni di
hedging account, se non ricorrendo a quanto previsto dai principi contabili internazionali. Si è appena visto che
la norma fa espresso riferimento alle operazioni di cash flow hedging, ma esistono anche quelle di copertura di
fair value. A questo riguardo, si configurano ulteriori problematiche concernenti la relazione con le disposizioni
nazionali in materia di copertura delle variazioni di flussi finanziari. In definitiva, più si ragiona intorno ai
profili applicativi e più forte emerge il senso di perplessità nei riguardi una scelta che pare troppo azzardata o
troppo poco coraggiosa, a seconda dell’angolazione con cui si osserva.
Per ciò che riguarda la determinazione del fair value, sembra che il n.7 del secondo comma adotti alcuni
concetti generali, che – al pari di altre situazioni - possono essere applicati soltanto disponendo di principi
interpretativi. Allo stato, se non interviene il setter nazionale, si dovrebbe necessariamente ricorrere allo IAS
39 (parr.48-49 e AG69-AG82 Appendice A).
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(come nel caso dei derivati) o facoltativo, si presenta complesso e certamente
oneroso, a fronte di informazioni non sempre così rilevanti nell’esame di un
bilancio.
Di contro, è stata più volte rimarcata la profonda differenza tra l’impostazione
dello IASB e quella nazionale, con riferimento alla tipologia di soggetti ai quali è
rivolta l’informazione di bilancio ed all’ottica attraverso la quale le informazioni
vengono esaminate ed utilizzate.
Con riferimento a tale aspetto appare quindi legittimo chiedersi se attraverso un
ampio utilizzo della valutazione al fair value (per obbligo o per opzione) non si
finisca per rendere i prospetti di conto economico e patrimonio netto (a seconda
di dove si imputi la contropartita) soggetti a tali, tante e frequenti
movimentazioni da rendere l’informativa non in grado di fornire all’utilizzatore
esterno “medio” di un’impresa un affidabile strumento di valutazione dello stato
di salute dell’impresa.
Per la verità, il nostro ordinamento contabile conosce già delle rettifiche di
patrimonio netto che non derivano da apporti di capitale o dalla accumulazione
di reddito (si pensi alle riserve di rivalutazione), ma si tratta di fenomeni ben
individuati, previsti espressamente da apposite leggi e non ricorrenti.
Mediante un utilizzo pieno delle opzioni di Fair Value Option (FVO) - che, si è
visto, limitano potrebbero non limitarsi al solo ambito degli strumenti finanziari
- soprattutto se accompagnato da un governo aggressivo delle stesse – a maggior
ragione se non mitigato da limitazioni che impongano comportamenti rigorosi – si
rischia di vedere la nascita di uno scenario variegato, con obiettive difficoltà ed
oneri necessari per il corretto utilizzo degli strumenti (soprattutto durante
l’anno). Questo comporterà anche un aggravio degli sforzi interpretativi degli
utilizzatori delle informazioni, alle prese con ricorrenti, molteplici e inusuali
componenti reddituali e, soprattutto, variazioni di patrimonio.
L’applicazione della FVO, nei casi in cui si manterrà esercitatile, deve comunque
sottostare a norme rigorose; l’adozione di “corridoi” rigidi, può aiutare a
scoraggiarne l’applicazione e renderla concretamente fattibile solo nei casi nei
quali un soggetto – sopportandone gli oneri ed i rigori – si sottoponga ad una
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procedura che dia opportune garanzie di utilizzo di best practice.
In conclusione, si ritiene opportuno nel processo di adeguamento normativo di:
-
non effettuare il rinvio agli elementi definitori delle disposizioni IASB,
lasciando, al contrario, spazio interpretativo alla prassi professionale per
quanto concerne la definizione tecnica del contenuto dei termini utilizzati
nell’art. 2426-bis;
-
prevedere – in linea con quanto richiesto anche dalla legge comunitaria –
(i) la valutazione obbligatoria dei derivati al fair value, esponendo –
come, peraltro, già fatto nell’attuale 2427-bis - i riferimenti per la sua
determinazione quantitativa; e (ii) consentire in via opzionale, la
valutazione al fair value dei soli strumenti finanziari detenuti per la
negoziazione e disponibili per la vendita;
-
prevedere l’utilizzo dei criterio del costo “semplice” per la valutazione
degli altri strumenti finanziari.
Art. 2504-bis. (Effetti della fusione)
Anche la modifica del primo bilancio post-fusione (ex-art. 2504-bis), nonostante
sia previsto un “coordinamento, nel rispetto e in coerenza con i principi
contabili internazionali, delle altre disposizioni vigenti del codice civile” (legge
comunitaria 2007, art. 25, lettera f)), non è esplicitamente prevista nella
delega, né è contenuta in alcuna delle direttive da implementare. Pertanto, se
ne suggerisce la radicale eliminazione dalle modifiche al dettato civilistico.
In subordine, entrando nel merito della proposta di cui all’ipotesi di attuazione
previste dal documento di consultazione, si impongono alcune osservazioni.
Va
considerato,
innanzitutto,
che
l’orientamento
dei
principi
contabili
internazionali in tema di fusioni è marcatamente dissimile dalla tradizione
contabile nazionale. Lì si tende all’accoglimento dei valori di stima di attività e
passività, laddove qui si è sempre affermata decisamente la “continuità
contabile”. Esiste, quindi, de jure condito, un problema di incompatibilità
normativa. Ovvero se le imprese che applicano gli IFRS, che effettuino una
fusione rientrante nel campo di applicazione di IFRS 3 debbano applicare questo
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e disapplicare il 2504-bis del codice civile o viceversa. La soluzione empirica fa
prevalere i principi internazionali secondo il principio gerarchico delle fonti, ma,
in sede contenziosa, alcuni attori potrebbero far prevalere il principio di
competenza, rientrando l’art.2504-bis addirittura in un’altra sezione del codice
civile.
La proposta del documento di consultazione tenta opportunamente di mettere
ordine nella problematica, ma presenta due criticità.
A) Sul bilancio di fusione. I bilanci di apertura di alcune tipologie di fusioni non
sono più
disciplinate dalla
legge. Il proposto art.2504-bis accoglie
l’orientamento IFRS in merito alle fusioni c.d. “not under common control”,
ossia quelle in cui vi è una modifica del soggetto controllante, prevedendo
l’adozione di un modello valutativo (fair value ) abbastanza simile a quello
internazionale. Nel farlo, però, sortisce l’importante effetto di eliminare
completamente la disciplina delle altre fusioni che, pertanto, non
troverebbero più alcun riferimento nell’ordinamento civilistico in merito al
primo bilancio post-fusione.
Appare, allora, necessario mantenere una disciplina per le fusioni “under
common control”, ossia quelle in cui non vi sia cambiamento del soggetto
controllante. In questi casi, non si percepiscono sufficienti ragioni atte a
rimuovere il tradizionale criterio della “continuità contabile”. Sul piano
testuale, quindi, si ritiene opportuno mantenere i vigenti commi 4 e 5.
Anche l’applicazione del trattamento contabile internazionale alle sole
fusioni con cambio di soggetto controllante sarebbe problematica, in quanto
sarebbe applicabile alla totalità delle società, costringendo anche le più
piccole all’adozione diffusa del fair value, costosa per la complessità delle
stime, rischiosa sul piano delle responsabilità per amministratori e sindaci,
generatrice di potenziali squilibri nei bilanci della società nata dalla fusione
(ad
esempio,
maggiori
ammortamenti
in
caso
di
rivalutazione
di
immobilizzazioni). D’altronde, se delle società intendono adottare un
bilancio post-fusione redatto secondo i dettami dei principi contabili
internazionali, possono farlo optando per l’intero sistema degli IFRS. In
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questo modo, si garantirebbe anche coerenza sistematica all’informativa
prodotta.
B) Sulla distribuibilità della riserva da fusione. Il proposto comma 5 prevede che,
qualora emerga, la riserva da fusione sia distribuibile previa conferma con
una perizia di stima ai sensi dell’art.2343 c.c.. Tale trattamento sembra
discutibile e nella relazione di accompagnamento non si trova una adeguata
motivazione. Si tratta in sostanza di una riserva dovuta al riconoscimento di
fair value la quale, diversamente da tutte le altre che non sono distribuibili
fino a recupero, sarebbe immediatamente distribuibile.
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