La Presentazione a Il barone rampante - Campus

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La Presentazione a Il barone rampante - Campus
Italo Calvino
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Italo Calvino
La Presentazione a
Il barone rampante
Dietro il nome anagrammato di Tonio Cavilla, l’autore
accompagna il lettore nel mondo di Cosimo.
Un ragazzo sale su di un albero, si arrampica tra i rami, passa da una pianta all’altra, decide che
non scenderà più. L’autore di questo libro non ha fatto che sviluppare questa immagine e portarla
alle estreme conseguenze: il protagonista trascorre l’intera vita sugli alberi, una vita tutt’altro che
montana, anzi: piena d’avventure, e tutt’altro che da eremita, però sempre mantenendo tre sé e i
suoi simili questa minima ma invalicabile distanza.
Ne è nato un libro, Il barone rampante, piuttosto insolito nella letteratura contemporanea, scritto
nel 1956-57 da un autore che aveva allora trentatre anni; un libro che sfugge a ogni definizione
precisa, così come il protagonista salta da un ramo di leccio a quello di un carrubo e resta più
inafferabile d’un animale selvatico.
[…] Il vero modo d’accostarsi a questo libro è quindi quello di considerarlo una specie di Alice nel
paese delle meraviglie o di Peter Pan o di Barone di Munchhausen, cioè di riconoscerne la filiazione
da quei classici dell’umorismo poetico e fantastico, da quei libri scritti per gioco, che sono
tradizionalmente destinati allo scaffale dei ragazzi. Nello stesso tradizionale scaffale, quei libri si
trovano fianco a fianco con gli adattamenti giovanili di classici pensosi come il Don Chisciotte e il
Gulliver; e così libri il cui autore ha voluto ritornare fanciullo per dar libero corso alla sua
immaginazione rivelano un’imprevedibile fratellanza con libri pieni di significati e di dottrina, su cui
si sono scritte biblioteche intere, ma che i ragazzi fanno propri attraverso le situazioni e le
immagini visivamente indimenticabili.
[…] Così la fuga dal presente verso la rievocazione del mondo infantile si salda a un radicamento
nel presente, che chiama a render conto di quel che si è imparato vivendo. A trentatre anni,
mentre la spinta vitale della giovinezza è ancora forte, l’Autore sente la prima illusione d’una
maturità, d’una conquista d’esperienza: forse così si spiega il tono sentenzioso che il libro prende
ogni tanto, quasi il suo intento fosse la definizione d’una morale di vita. Anche questa direzione è
solo sfiorata, mai approfondita. Questo ragazzo che si rifugia sugli alberi vuol essere un eroe della
disubbidienza, una specie di Gian Burrasca sullo sfondo della burrasca di tutto un mondo? La
prima lezione che potremmo trarre dal libro è che la disobbedienza acquista un senso solo quando
diventa una disciplina morale più rigorosa e ardua di quella a cui si ribella. Ma non stiamo andando
troppo in là nel caricare di significati un libro che voleva essere sempre scherzoso?
[…] Di fatto, per chi vuol trarre una morale dal libro, le vie che restano aperte sono molte, anche se
nessuna si può essere certi che sia giusta.
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Quello che possiamo indicare come dato sicuro è un gusto dell’Autore per gli atteggiamenti morali,
per l’autocostruzione volontaristica, per la prova umana, per lo stile di vita. E tutto questo
tenendosi in bilico su sostegni fragili come rami circondati dal vuoto.
Tratto da Presentazione dell’autore, in Il barone rampante, Palomar S. r. L e Arnoldo Mondadori
Editore, Milano 1993 (pp. III-IX).
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