Parte 1 - Bicocca
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Parte 1 - Bicocca
Mark Up • Economia dell'impresa globale e market-driven management - Gennaio/Febbraio 2008 • Benzine, global management ed economie di scarsità - Dicembre 2007 • Servizi pre vendita, network e patrimonio di marca - Novembre 2007 • Post-vendita, outsourcing e patrimonio di marca - Ottobre 2007 • Private label e nuovi confini della concorrenza - Ottobre 2007 • Luxury mass product ed eccesso di offerta - Settembre 2007 • Milano, Milano: La nuova cultura del villaggio globale - Settembre 2007 • Competitive intelligence e network globali - Giugno 2007 • Licensing e licencing nella concorrenza globale - Maggio 2007 • Telecomunicazioni, duopolio televisivo e concorrenza - Aprile 2007 • Turismo incoming globale e mercati di prossimità - Marzo 2007 • Network e cross-cultural management - Febbraio 2007 • Network, distretti e cultura di concorrenza - Gennaio 2007 • Prezzi, inflazione percepita, consumi e mercati globali - Dicembre 2006 • Le vendite sottocosto trasparenti in Francia, meno in Italia - Dicembre 2006 • La private laber ridisegna i confini del largo consumo - Dicembre 2006 • Commercio ambulante moderno e sviluppo locale - Novembre 2006 • Tour operator e turismo in eccesso di offerta - Ottobre 2006 • Pubblicità, sponsorship e marketing delle sigarette - Luglio/Agosto 2006 • Sondaggi, market research e marketing research - Giugno 2006 Primo Piano Bob Nardelli Patricia Russo Alessandro Benetton CEO CHRYSLER CEO ALCATEL LUCENT AD GRUPPO BENETTON DOBBIAMO ABITUARCI A COMPETERE IN UN MERCATO PIÙ PICCOLO LA NOSTRA LENTA INTEGRAZIONE CULTURALE HA FAVORITO LA CONCORRENZA GLOBALE BENETTON COMPETE OGGI CON LA SPAGNOLA ZARA E LA SVEDESE H&M CONCORRENZA & MERCATI GLOBALI Economia dell’impresa globale e market-driven management Con le relazioni competitive dell’impresa si gestiscono le capacità di apprendere nuove frontiere del valore Silvio M. Brondoni mercati globali ridefiniscono lo spazio di concorrenza (marketspace competition) e affermano un’economia di impresa globale, i cui caratteri distintivi sono: mercati aperti di approvvigionamento e di sbocco, senza confini fisici e amministrativi; prodotti sempre più sofisticati e resi rapidamente obsoleti da una facile imitabilità a costi decrescenti; interrelazioni planetarie di concorrenza, che si sviluppano tra network transnazionali che vanno oltre le organizzazioni multinazionali (o multidomestiche), tipicamente europee e legate a una ridotta dimensione dei mercati; I www.unimib.it/symphonya Gennaio/Febbraio 2008 e infine la trasformazione dei mercati nazionali in sistemi socio-economici complessi, in cui comunicazione e distribuzione sono globali e interconnesse, gli Stati-na- zione si confrontano con organismi sovranazionali e l’impresa postula nuovi valori di responsabilità e di Corporate social responsibility. Nella produzione, in particolare, la globalizzazione modifica l’organizzazione aziendale e il ruolo delle alleanze strategiche, imponendo strategie di network collaborativo tra gruppi di aziende e promuovendo molteplici forme di cooperazione competitiva. In contesti ad alta intensità competitiva, le relazioni di concorrenza tendono così a intrecciarsi sempre più con rapporti chiusi di collaborazione e di cooperazione per controllare, almeno parzialmente, le dinamiche competitive, con dimensioni d’impresa sempre più grandi e una visione di mercato globale. Per quanto riguarda le politiche di vendita, la market-space competition enfatizza, inoltre, la criticità della vision e della redditività a brevissi- mo termine (per esempio con il brand reengineering e il competitive pricing) e soprattutto esalta la priorità della continua innovazione di offerta e non solo di prodotto, che premia la gestione orientata alla conoscenza del mercato e alla creazione di un competitive customer value. In effetti, nei mercati globali (e soprattutto nei mercati caratterizzati da eccesso di offerta), il successo delle strategie aziendali dipende dalla capacità di apprendere dal mercato nuove e originali frontiere del valore e dalle relazioni competitive instaurate dall’impresa. In particolare, un sistema di networking di collaborazione fra strutture interne, esterne e di co-makership sottolinea la criticità di un sistema informativo aziendale basato sulle nuove tecnologie digitali, finalizzato a valorizzare le relazioni con la clientela finale e in grado di generare un competitive cu■ stomer value. L A R E P L I C A I N 8 0 0 B AT T U T E Il cliente come leva competitiva lcune esperienze innovative d’azienda, Deutsche Bank tra queste, considerano il cliente soggetto coprotagonista delle proprie attività, il partner con cui migliorare costantemente la propria offerta, anche mediante un lavoro comune per la co-generazione di nuovi prodotti/servizi. In effetti, l’approccio tradizionale di markeROBERTO MADONA ting considera il cliente l’oggetto destinatario della proHead of marketing pria attività e la competizione aziendale si fonda sulla capacità di private & business generare vantaggi tecnologico-produttivi, di pricing o d’innovaclients Deutsche zione di prodotto/servizio. L’approccio di customer competitive Bank spa. value attribuisce, invece, al cliente esistente la capacità di generare nuovo valore attraverso la relazione con l’azienda e lo trasforma, quindi, da obiettivo di marketing a fattore competitivo di successo aziendale. A MARK UP 19 Primo Piano Jean-Claude Trichet Alessandro Garrone Michele Marsiglia PRESIDENTE BCE AD GRUPPO ERG PRESIDENTE FEDERPETROLI ITALIA LA CORSA DEL PREZZO DEL PETROLIO SPINGE L’INFLAZIONE LA DOMANDA MONDIALE SUPERIORE ALL’OFFERTA HA FATTO CRESCERE I MARGINI DI RAFFINAZIONE LA SPECULAZIONE SUI FUTURE DEL PETROLIO È CIRCA 20-25 $ AL BARILE CONCORRENZA & MERCATI GLOBALI Benzine, global management ed economie di scarsità Le benzine in Italia: né marketing, né Csr. Distribuzione bloccata e Governi con “tesoretti” fiscali Silvio M. Brondoni a globalizzazione ha creato nuovi confini di competizione, privi di vincoli amministrativi e basati sul tempo (timebased competition), che hanno spinto le grandi corporation (su cui governi e pubblici poteri locali riescono sempre meno a intervenire) verso un’impresa globale a network, idonea a operare in contesti aperti e ad alta tensione competitiva L (market-driven management). Nell’economia dei mercati globali, infatti, l’intensità competitiva va oltre la numerosità e le quote di vendita dei concorrenti, per misurare piuttosto direzione e complessità delle relazioni, ovvero il grado di interdipendenza di un’impresa rispetto ai competitor. Un’alta interdipendenza (cioè la presenza di forti relazioni con i mercati) segnala così una bassa competizione, come avviene per le economie di scarsità (che equivalgono ai monopoli e ai cartelli dei mercati chiusi). Nelle economie di scarsità le imprese controllano le vendite nei vari mercati fissando nelle diverse aree il prezzo e le quantità prodotte e vendute. L’industria petrolifera esprime un moderno esempio di global management in condizioni di scarsità di offerta, che si concretizza in un ridotto numero di grandi corporation, pochi world brand e una clientela mantenuta omogenea nei bisogni e stabile nei consumi. Nelle benzine la bassa interdipendenza competitiva è avvalorata, inoltre, dal controllo esercitato dai produttori sui canali distributivi. Questi ultimi configurano in effetti degli ambiti locali di vendita, inseriti però in network globali di produzione, marketing e logistica (appunto come postulato dall’economia d’impresa globa- le). In Italia (che presenta un’attività di raffinazione multicountry, un importante sistema logistico e forti consumi interni) il retail della benzina si concentra, per esempio, sulle imprese del settore petrolifero con un’alta concentrazione delle quote di mercato (Agip 30%; Esso 18%; Q8 10%; Ip 8%; Tamoil 8%; Erg 7%; Api 8%), mentre sono minime le vendite di altri canali, in particolare la Gda. In sintesi, un tipico oligopolio distributivo locale, governato tuttavia da una gestione globale dell’offerta. D’altro canto, il global management mira proprio a preservare la condizione base dell’economia di scarsità, cioè una ridotta intensità di concorrenza nei mercati globali (come dimostrano le soft entry globali dei colossi cinesi Sinopec, Cnooc e PetroChina). Con buona pace per la non presenza di Esselunga e Coop, e per il tesoretto dell’extragettito fiscale italiano. ■ L A R E P L I C A I N 8 0 0 B AT T U T E Benzina e co-branding obiettivo di Auchan Italia è di avere un distributore presso tutti i suoi 45 ipermercati. Oggi i 15 distributori, uno a marchio Auchan e gli altri in co-branding, assicurano un risparmio che, anche grazie alle carte Auchan, arriva a 10 centesimi al litro. Il numero di distributori è raddoppiato negli ultimi due anni, graGIOVANNI MAZZA zie ad alleanze con alcune compagnie petrolifere (Eni e Direttore Tamoil, ma non solo) espressa proprio con il co-branding, che tradi Auchan smette al cliente “la qualità è garantita dalla Compagnia, il prezzo da Carburanti. Auchan”. Resta il rammarico per il permanere nelle regioni di un regime protezionistico, che impone un’ingiusta tassa a carico di famiglie e imprese, come hanno dichiarato sia l’Antitrust sia la Commissione europea: due voci di massima autorevolezza. Siamo sicuri che saranno ascoltate. L’ www.unimib.it/symphonya 22 MARK UP Dicembre 2007 Primo Piano Yi Wu VICE PREMIER REPUBBLICA POPOLARE CINESE FAREMO UN SISTEMA DI CONTROLLI PER GARANTIRE QUALITÀ E SICUREZZA DEL MADE IN CHINA Massimo D’Angelo AD ACER ITALIA CON IL TRADE SMALTIAMO L’USATO IN REVERSE LOGISTIC Pierluigi Bernasconi COUNTRY MANAGER MEDIA WORLD ITALIA CON I BAR CODE SUPPORTIAMO NEI MAGAZZINI LE SCELTE DEI BUYER CONCORRENZA & MERCATI GLOBALI Servizi pre-vendita, network e patrimonio di marca Credito al consumo e logistica individuano servizi che motivano la decisione d’acquisto oltre a produrre vantaggi nei costi di transazione Silvio M. Brondoni ei mercati globali i prodotti si differenziano con la gestione del sistema delle risorse immateriali di prodotto (product intangibile asset), ovvero branding policy, servizi pre-vendita e servizi post-vendita. Nei singoli spazi-tempi di concorrenza la competizione sui mercati globali impone, inoltre, di stimare la rilevanza delle diverse risorse immateriali di prodotto per quantificare gli sforzi da devolvere rispettivamente alla branding policy e ai servizi pre e post-vendita. N www.unimib.it/symphonya Le due tipologie I servizi pre-vendita sono progettati, in particolare, dai produttori ed erogati 22 MARK UP da questi ultimi e/o da società finanziarie specializzate (comunque controllate o collegate con i produttori) direttamente agli acquirenti finali oppure agli intermediari di vendita (retailer, whole- saler, prescrittori). I presale service si strutturano in due grandi tipologie: da un lato si individuano i servizi (tipicamente riconducibili al marketing di prodotto) pianificati e realizzati per motivare prevalentemente su base razionale - la decisione d’acquisto di una data offerta, e dall’altro i servizi (riferiti piuttosto al financial product) diretti a produrre specifici vantaggi nei costi di transazione e pertanto destinati a generare particolari motivazioni di scelta, esclusivamente economico-finanziarie. I servizi pre-sale del primo tipo tendono, quindi, a intervenire sulle motivazioni di acquisto del bene e sono finalizzati ad avvalorare gli investimenti aziendali devoluti alla brand policy e ai servizi post-vendita. In tale tipologia rientrano, per esempio, i servizi presale di product consulting, che possono essere offerti ai consumatori tramite contatti personali oppure essere erogati online al trade e a potenziali clienti. Quelli a carattere finanziario Gli interventi dell’altro tipo, con un prevalente carattere finanziario, individuano, invece, nella logistic e nella reverse logistic (contratti pre-vendita per lo smaltimento di prodotti esausti, come televisore, frigorifero ecc.) tipici esempi di pre-sale service diretti agli intermediari di vendita, mentre gli interventi pre-sale rivolti agli acquirenti finali evidenziano la crescente importanza del credito al consumo. Quest’ultimo è offerto da strutture specializzate, sebbene spesso estranee alla politica di prodotto, ed esercita una forte “azione di appiattimento” dei caratteri distintivi di prodotto, indebolendo il “branding value” e la rilevanza competitiva dei servizi post-vendita (di fatto asserviti a fattori elementari di negoziazione della vendita del prodotto). ■ L A R E P L I C A I N 8 0 0 B AT T U T E I servizi pre-vendita nell’automotive a componentistica automotive presenta caratteristici servizi pre-vendita. Il primo è il development support, che consiste nello svolgere in autonomia presso il fornitore tutta la fase di sviluppo e validazione del prodotto, a livello di simulazione (design verification) e di prove pratiche (product validation); è uno step in più del ANDREA DELL’ORTO co-development perché il fornitore si fa carico di tutte le Executive attività, operando però su input condivisi con il cliente. L’altro è il consignment stock, di fatto un magazzino del fornitore localizzato vice president di Dell’Orto spa nelle vicinanze del cliente, che può gestire la sua produzione e i pagamenti in pull system. L’offerta migliore e la conseguente assegnazione di un business dipendono così, sempre più, dall’integrazione di fattori cost-oriented con sofisticati servizi pre-vendita. L Novembre 2007 Primo Piano Bob Eckert Paul Krugman Giuliano Mosconi CEO MATTEL ECONOMISTA PRINCETON UNIVERSITY AD POLTRONA FRAU ABBIAMO RICHIAMATO ALCUNI PRODOTTI PER LA SICUREZZA DEI BAMBINI CRESCE IL REVERSE OUTSOURCING, DAI PAESI EMERGENTI A LONDRA E NY: LENOVO VA IN NORTH CAROLINA IL BRAND EQUITY VALUE DIPENDE DA CLIENTI FINALI, VENDITE RETAIL E ATTIVITÀ DI SERVIZIO CONCORRENZA & MERCATI GLOBALI Post-vendita, outsourcing & patrimonio di marca I servizi post-sale generano costi che confliggono con gli obiettivi di redditività di prodotto. L’esternalizzazione di servizi chiave determina differenti politiche aziendali Silvio M. Brondoni ei mercati globali la differenziazione dei beni si realizza con i product intangible asset, cioè branding policy, servizi pre-vendita, servizi post-vendita. In particolare i servizi post-vendita (assistenza, product up/down grading, manutenzione, riparazione, parti di ricambio, learning & training, trade merchandising) assicurano, dopo l’acquisto, la piena funzionalità di utilizzo di prodotti e servizi. I servizi post-sale (che si connotano per l’erogazione personalizzata e i flussi informativi dalla clientela all’impresa) generano ingenti costi, soprattutto in presenza di N www.unimib.it/symphonya Ottobre 2007 obiettivi di alta customer satisfaction e di stretto controllo su tempi e modalità d’intervento delle strutture dedicate. Nei mercati globali i costi del post-sale (spesso soste- nuti prima delle vendite) e i vantaggi della customization (comunque di medio-lungo termine) confliggono con gli obiettivi di redditività di prodotto, spingendo all’esternalizzazione di servizi chiave e allo sviluppo di differenti politiche di post-sale outsourcing, connotate come: - outsourcing for cost. Minimizza i costi dei servizi (profit first of all), strutturando con “subappalti a cascata” i centri operativi d’intervento e spostando i centri virtuali - come i call center - nei paesi con bassi costi di manodopera o forti incentivi alla localizzazione. Tipici esempi, Ge, Vodafone, Shell, Eni, cioè le corporation in grado di governare economie globali di scarsità, con trade e consumatori del tutto passivi. Rientrano in questo ambito anche i “monopoli locali” (Telecom, Alitalia, Enel, Rai, Fs, Mediaset) dove il post-vendita, in concreto, “tiene lontana” la clientela; - outsourcing for branding che, nel porre all’esterno il post-vendita, esalta la marca e la fedeltà di riacquisto (client satisfaction first of all), come si rileva nelle big company Heineken, Vw, Philips, Daimler, Philip Morris, Bat, P&G, Unilever e più in generale nelle economie globali a concorrenza controllata, con domanda finale e trade attivi; - outsourcing for value, che esternalizza il postsale per massimizzare la redditività di branding policy e dei servizi prevendita (soprattutto di logistica per il trade e di credito al consumo per i clienti), cui si subordina il riacquisto e la fidelizzazione del post-sale (quindi in un’ottica business value first of all). Come avviene, per esempio, in Sony, Toyota, Honda, Coca-Cola, ossia nelle imprese che operano in economie in eccesso di offerta, con un trade competitivo e consuma■ tori non fedeli. L A R E P L I C A I N 8 0 0 B AT T U T E Post-sale, brand e costi Gda el settore degli elettrodomestici il servizio postvendita è strategico. Da sempre Candy ha puntato all’eccellenza, con l’obiettivo di differenziarsi dai competitor e di fidelizzare l’acquirente finale attraverso un rapporto positivo con la marca durante tutta la vita del prodotto in uso. Dai primi anni ’60 ha garantito l’inBEPPE FUMAGALLI tervento in casa dell’utente entro 48 ore dalla chiamata in tutti i paesi europei e negli anni ’70 ha introdotto la garanzia Direttore generale settore piccoli estesa a 5 anni. Oggi le principali criticità nell’erogazione del elettrodomestici servizio sono: 1. I costi di un’organizzazione molto complessa; Candy 2. Il rapporto con la grande distribuzione, che tende a sostiElettrodomestici. tuirsi alla marca nella fase immediatamente successiva all’acquisto con azioni di “money back’” i cui costi sono però in gran parte a carico della marca stessa. N MARK UP 35 I consumatori CONQUISTE • PER I MARCHI DEL DISTRIBUTORE TREND DI CRESCITA SOSTENUTI E PIÙ COMPLESSI Private label e nuovi confini della concorrenza La popolarità raggiunta in Europa dalle marche d’insegna è motivata dalla possibilità di acquistare prodotti alimentari, non-food e servizi con una qualità garantita dal distributore a prezzi più bassi di Silvio M. Brondoni* e private label stanno conquistando un numero sempre maggiore di consumatori che, con percentuali di crescita senza precedenti, in tutta Europa sono sempre più consapevoli dei caratteri distintivi del marchio del distributore e ne acquistano prodotti con comportamenti razionali e L non legati alla marginalizzazione sociale. Le private label comprendono tutti gli articoli venduti con il marchio di un distributore al dettaglio e possono raffigurare l’insegna del dettagliante stesso, ma anche un nome di fantasia di proprietà di una catena o appartenente a gruppi di MARKET SHARE DELLA PRIVATE LABEL COOP Fonte: Coop Italia 50 MARK UP vendita all’ingrosso. Nel comparto alimentare della Gda a sede fissa (l’unico dove vi sono stime abbastanza sicure) i paesi europei che registrano le più alte percentuali di crescita di acquisti di prodotti con marchio del distributore sono i Paesi Bassi e la Germania, mentre i maggiori incrementi percentuali di consumatori divenuti più consapevoli della private label si riscontrano in Regno Unito, Spagna e Francia. I dati di vendita evidenziano la popolarità raggiunta in Europa dal marchio del distributore e indicano trend di crescita decisamente sostenuti (e più complessi, perché estesi anche al non-food e ai servizi). Dove si radica la private label Le quote di mercato, espresse in volume e stimate da ACNielsen per i principali paesi europei, mostrano, per la verità, un sistema continentale decisamente composito, con quattro realtà molto differenziate. Da una parte si posizionano i paesi ad alta penetrazione delle food private label (come Svizzera, Regno Unito e Germania), all’estremo opposto si collocano, invece, i paesi a bassa penetrazione (come Ungheria, Austria, Repubblica Ceca, Polonia e Italia). Le quattro distinte tipologie di consumo delle private label in Europa sono spiegate da diversi fattori, tra cui, innanzitutto, la difforme consistenza delle catene globali di distribuzione e il differente peso della pubblicità nei singoli paesi, in particolare per quanto riguarda il mezzo televisivo. Da non dimenticare, poi, la diversa quota di consumatori (con peso maggiore nei paesi europei più ricchi), fedeli a un numero sempre più ristretto di marche globali ad alta caratterizzazione, ma poco interessati ad acquistare marche industriali generiche, sia nazionali sia regionali, a cui preferiscono un sistema di private label (club, premium, tattiche, primo prezzo). Qualità e risparmio alla base del successo della private label Il futuro a lungo termine del marchio del distributore pare, in ogni caso, in grande crescita. Le ragioni di tale previsione risiedono nella constatazione che i giovani consumatori, dai 25 ai 35 anni, sono sostenitori molto convinti dei prodotti a marchio del distributore e una quota, sempre maggiore, di acquirenti europei richiede ai retailer di fiducia una vasta gamma di prodotti con marchio proprio. Si è sviluppata, inoltre, la convinzione che la qualità ricopra la stessa importanza del prezzo come fattore chiave di scelta dei prodotti a private label, per la fiducia riposta nella selezione del dettagliante. Infine, le politiche di prezzo delle food private label sono ancora elementari (soprattutto nei paesi a bassa e media penetrazione), a Ottobre 2007 EUROPA - FOOD PRIVATE LABEL differenza delle non-food private label dove la gestione di bolle di domanda impone pricing sofisticati. La private label rappresenta, in sintesi, l’opportunità di acquistare (senza aspettare offerte speciali e vendite promozionali) prodotti alimentari, nonfood e servizi con qualità garantita dall’insegna della catena distributiva a un prezzo minore rispetto agli articoli con marca nazionale o regionale. I prodotti con il marchio del distributore si affermano, infatti, con una qualità intrinseca uguale, talvolta addirittura migliore, a quelli con marchio industriale e il consumatore è rassicurato che siano soddisfatti gli standard e i requisiti di qualità imposti dal retailer. Un’offerta completa Supermercati, ipermercati, drugstore e discount offrono, attualmente, un ampio ventaglio di beni con il marchio del distributore. Le private label coprono, in effetti, intere gamme di prodotti alimentari freschi, inscatolati, surgelati ed essiccati, merendine, snack, biscotti, cibo per animali domestici, prodotti sanitari e di bellezza, medicinali da banco, cosmetici, detersivi, prodotti per la pulizia della casa, prodotti per il bricolage e per il giardinaggio, vernici, ferramenta e accessori per la manutenzione delle automobili, schede per la telefonia mobile. Le dimensioni degli attori Le imprese che producono articoli a marchio del distributore sono riconOttobre 2007 ducibili a tre principali categorie. Vi sono, innanzitutto, le imprese di grandi e grandissime dimensioni, spesso addirittura network globali, che producono gli stessi beni con propri marchi e con marchi dei distributori al fine di ottenere, soprattutto, vantaggi competitivi di posizione nei confronti di competitor della stessa categoria merceologica di offerta. Si trovano, poi, le piccole e medie imprese, sia regionali sia locali, che si specializzano nella produzione di beni con il marchio dei distributori spesso su specifiche imposte da singoli retailer. Infine, sono presenti sul mercato dettaglianti e grossisti di grandi dimensioni, in genere con centrali di acquisto su scala internazionale, che possiedono propri stabilimenti di produzione e realizzano prodotti su specifiche richieste, sia di contenuti sia di formati, con i marchi dei diversi distributori. Le grandi catene di distribuzione al dettaglio, con alti e crescenti tassi di redditività per effetto della dimensione di acquisti/vendite del network, stanno progressivamente focalizzando la gestione della politica di marca propria (own brand), riducendo lo spazio competitivo e la redditività delle marche industriali locali. In tal senso il trade genera un’evoluzione della concorrenza sul prezzo, capitalizzando su vasta scala il patrimonio di marca della private label. Di conseguenza, le grandi corporation quali Johnson & Johnson, Nestlé, Unilever, Procter & Gamble devono PAESI AD ALTA PENETRAZIONE (in %) 49 43 42 41 Svizzera Belgio Regno Unito Germania PAESI A MEDIA PENETRAZIONE 33 32 Spagna Francia PAESI A PENETRAZIONE CONTROLLATA 28 26 25 24 21 Svezia Finlandia Portogallo Paesi Bassi e Danimarca Norvegia e Slovacchia PAESI A BASSA PENETRAZIONE 20 19 18 16 14 Ungheria Austria Repubb. Ceca Italia Polonia Fonte: elaborazione dell’autore su dati Nielsen oggi competere con i loro maggiori clienti, cioè le grandi catene di distribuzione, come Carrefour, Cvs, Tesco, Metro, WalMart (e in Italia anche Coop) e soprattutto devono attivare nuove strategie di collaborazione competitiva. La marca d’insegna anche per i beni di alta qualità La private label riguarda oggi prodotti e servizi di un ampio spettro di industrie a livello globale, che si estende dall’alimentare ai cosmetici, dall’abbigliamento al web hosting. Nei vari settori la marca commerciale si posiziona, generalmente, su livelli di prezzo più contenuti delle marche industriali, anche se di recente alcune private label hanno introdotto linee di offerta premium con elevati standard di qualità. In effetti, nei paesi europei a bassa penetrazione, le private label del comparto alimentare sono spesso associate a offerte di basso prezzo, mentre altrove le marche dei distributori rappresentano un’offerta più articolata, connessa anche a beni di alta qualità. Il concetto è stato esteso, di recente, alle offerte web, con beni conosciuti come “Plr” (private label rights), cioè prodotti intermediati in grandi quantità per popolare rapidamente determinati siti, sfruttando il traffico generato dai motori di ricerca. In breve tempo la qualità di questi Plr è aumentata notevolmente (per esempio, nei farmaci acquistabili online), fino a definire prodotti e servizi con caratteri specifici e legati a software che automaticamente generano varietà personalizzate di questi beni. La complessa concor- renza verticale e orizzontale delle offerte con le private label evidenzia uno scenario di mercato dove i fattori di successo per i prodotti a marchio riguardano, da un lato, la loro caratterizzazione (product personality) e, dall’altro, i contenuti di servizio, marketing e immagine. Proprio quest’ultimo elemento diviene critico nella creazione di valore: come avviene nella realtà italiana del food, “primo prezzo”, “biologico” e “premium” rischiano, sovente, di cannibalizzare le marche d’insegna, proprio per le deboli immagini di marca e, quindi, per la sostanziale incapacità del consumatore di riconoscere i posizionamenti qualitativi e di prezzo delle diverse offerte con private label. *Professore ordinario di Marketing Università degli Studi di Milano-Bicocca MARK UP 51 I consumatori PERSONALITÀ DI MARCA • UNICITÀ ED EMPATIA PER UNA DURATURA RELAZIONE CON IL CONSUMATORE Responsabilità e fiducia, anima della private label Coop Per una solida brand equity dei prodotti a marchio sono fondamentali il packaging e la comunicazione, ma anche le manifestazioni e gli eventi coerenti con i valori espressi dal brand di Vincenzo Tassinari* a dinamica positiva delle private label italiane stimola nuove riflessioni su un particolare ambito della loro gestione: il valore della marca d’insegna. Sotto questo profilo è sempre più necessario operare sull’amministrazione della brand equity dell’offerta a marchio, proprio attraverso l’impiego di tutti i diversi strumenti del communication mix di cui ormai anche il distributore di- L spone. Si tratta di prendere coscienza che anche per la private label, analogamente ai grandi brand industriali, la personalità della marca, i suoi attributi e i valori che esprime ne condizionano in modo determinante il successo. In questo senso occupare in modo positivo la mente e il cuore del consumatore rappresenta un imperativo dal quale non si può prescindere in una moderna gestione della private label nel nostro LA BRAND EQUITY DELLA PRIVATE LABEL COOP VALORE VALORE ATTRIBUITO SUPERIORE 2006 ALLA MEDIA NAZIONALE (% 2006) ICONOGRAFIA Notorietà Chiarezza Unicità Attrattività CREDITO Empatia Fiducia Rilevanza Fonte: Coop Italia 52 MARK UP DIFFERENZA TRA 2004-2006 (%) 89 67 36 67 11 11 13 7 +2 +4 +1 50 49 36 18 24 20 +1 +2 +2 paese.Tra i diversi vantaggi che una forte brand equity comporta, appare degna d’interesse la maggior capacità di difesa dalle competizioni sui prezzi che sempre più caratterizzano lo scenario del largo consumo moderno. Una marca d’insegna può essere un grande brand Coop monitora costantemente la relazione fiduciaria che la propria marca è in grado di mantenere, in maniera assoluta e relativa, con il consumatore rispetto ai principali competitor e ai maggiori brand industriali. Sia nella relazione oggettiva (logo, prodotto, posizionamento) sia in quella emotiva, rappresentata in primis da fiducia ed empatia con il consumatore, il valore accumulato consente di inscrivere il prodotto Coop nel novero dei grandi brand apprezzati dagli italiani. In particolare le caratteristiche di unicità e fiducia che connotano il brand Coop sono il frutto di un lungo percorso di scelte sviluppate nel corso del tempo. Sotto il profilo della sicurezza dei prodotti giova ricordare, infatti, le scelte “storiche” per l’esclusione dalle tavole degli italiani di coloranti, conservanti, ormoni, pesticidi e, più recentemente, di Ogm, di grassi idrogenati, di produzioni biologiche. Per quanto riguarda la tutela dell’ambiente, non si possono dimenticare le campagne per l’eliminazione dei fosfati nei detersivi o del Cfc. Sul piano della convenienza va ricordata, oltre al quotidiano posizionamento dell’offerta, la proposta di articoli premium a prezzi ragionevoli, così come, negli ultimi tempi, la campagna sul mercato del latte in polvere per bambini o dei prodotti per celiaci. Bisogna evidenziare, inoltre, l’impegno per il rispetto dei diritti dei lavoratori attraverso la sottoscrizione del codice etico per tutte le forniture degli articoli Coop e il grande sviluppo dei prodotti del commercio equo-solidale. A tutto ciò va aggiunta un’attenzione, mai venuta meno, sul fronte della qualità, quella intrinseca ma anche quella percepita, proprio per chiudere quel cerchio ideale rappresentato dalla soddisfazione del consumatore che ogni marca vuole raggiungere. Una comunicazione a 360° Di certo il sostegno di una forte brand equity passa necessariamente per l’impiego di mezzi di comunicazione che vanno oltre il prodotto e le caratteristiche che lo contraddistinguono: si vuole in questo senso esprimere la crescente importanza ricoperta dal packaging, dalla comunicazione in store e attraverso i media tradizionali, ma anche dalla partecipazione a eventi che, pur esterni al punto di vendita, sono coerenti con i valori espressi dalla marca. *Presidente Coop Italia Ottobre 2007 Primo Piano Massimo Ferretti Toni Belloni PRESIDENTE GRUPPO AEFFE DIRETTORE GENERALE LVMH PRESIDENTE LVMH IL MARKETING DEL LUSSO ESALTA LA SORPRESA, L’AUTENTICITÀ, LA RARITÀ COMPENSIAMO I CAMBI NEGATIVI CON AUMENTI DI PREZZO E COPERTURE VALUTARIE NEGLI ULTIMI ANNI IL SETTORE LUSSO HA SEGNATO UN TREND NEGATIVO Bernard Arnault CONCORRENZA & MERCATI GLOBALI Luxury mass products ed eccesso di offerta Le imprese cercano un posizionamento nella fascia alta del mercato. Imbattendosi con potenziali di consumo mutevoli, instabili e spesso non fedeli Silvio M. Brondoni mercati globali e in eccesso di offerta determinano una crescente sovracapacità produttiva ed esuberi di offerta mai sperimentati rispetto ai potenziali di domanda. Inoltre, le tecnologie digitali del settore Ict imprimono alla concorrenza ritmi incalzanti (time-based competition), con fenomeni di: accelerazione dei processi d’innovazione; rapida imitazione; diffusione globale delle innovazioni; prezzi di vendita cedenti. Questa nuova realtà di mercato spinge le imprese a cercare un posizionamento di prodotti e servizi nella fascia alta dei consumi, configurando una nuova classe di “beni di lusso di massa” che (nelle aspettative dei produttori, soprattutto del made in Italy di fascia media/me- I www.unimib.it/symphonya Settembre 2007 dio-alta) dovrebbero assicurare margini più consistenti e un sistema competitivo di riferimento meno affollato. In realtà, anche nei “luxury products” l’eccesso di offerta è divenuto un fattore strutturale di sviluppo che impone alle imprese di confrontarsi con: consumi irregolari e spesso non fedeli; domande instabili; e soprattutto potenziali di consumo mutevoli. Insomma, cambiano le regole e l’instabilità nel comportamento d’acquisto prende il sopravvento sulla capacità di spesa come hanno sperimentato taluni distretti orafi italiani (esposti alla concorrenza di prezzo e ai mutevoli andamenti dei rapporti di cambio delle monete forti) che subiscono i nuovi scenari competitivi privi di sofisticate capacità manageriali di marketing ed esclusi dai circuiti della finanza globale. La competizione sulla base di nuove filosofie di gestione Per contro, i mercati globali e in eccesso di offerta stimolano le grandi luxury corporation a competere sulla base di nuove filosofie di gestione, orientate al mercato piuttosto che alla domanda (market-driven management) e quindi caratte- rizzate da confronto continuo con i concorrenti, confini di competizione globali e instabili, alta sostitutività tra i prodotti e, infine, performance condizionate dalla rotazione oltre che dal margine. Lo sviluppo dipende dal livello di sofisticazione delle risorse immateriali In tali condizioni lo sviluppo di lungo periodo dell’impresa dipende primariamente dal livello di sofisticazione delle risorse immateriali d’impresa (corporate intangible asset), finalizzate a conseguire una redditività di marca non inferiore al 2%, crescenti volumi di fatturato sui mercati globali, vendite differenziate nelle grandi aree geografiche e, infine, produzioni affidate a terzisti di alta qualità che sostituiscono l’artigianalità dei caratteri distintivi di prodotto (facilmente imitabili e con un’elevata volatilità delle spese di marketing). L A R E P L I C A I N 8 0 0 B AT T U T E Mercato dell’auto e mass luxury products ispetto al mercato dei luxury mass products, l’industria dell’automobile esprime alcune peculiarità: localizzazione delle unità produttive condizionata da vincoli di natura normativa e logistica; mercati di sbocco profondamente differenziati tra loro in termini di potere d’acquisto e di bisogni; cicli di vita e d’innovazione dei prodotti lunghi. LUCA DE MEO Ne deriva un comparto macroregionale anziché globale. Crea valore, così, solo l’azienda in grado di costruire un’immagine coe- Amministratore delegato rente riconosciuta universalmente. In particolare, è dalla capacità di sudi Fiat scitare in ogni parte del mondo le stesse emozioni e i medesimi sentimenAutomobiles ti, seppure utilizzando lingue e stilemi diversi, che un prodotto e, sopratspa tutto, un brand trae l’energia per accrescere e consolidare il suo valore. Fiat 500 ne è un esempio: parla in modo universale di Italia, stile, qualità, tecnologia ma anche e soprattutto di simpatia, innovazione e ottimismo. R MARK UP 21 Dossier RIQUALIFICAZIONI URBANE - MILANO Milano, Milano: la nuova cultura del villaggio globale Silvio M. Brondoni a città di Milano è sempre stata caratterizzata da una “cultura del villaggio” molto aperta, generosa e al tempo stesso laboriosa e rigorosa. Forse un po’ ipocrita, talvolta, ma molto tradizionale e sensibile alle novità. I valori della “cultura del villaggio”, che hanno fatto di Milano la più grande metropoli italiana, in competizione con le maggiori città europee, non si sono certo dissolti negli anni recenti per effetto dei fenomeni sconvolgenti della globalizzazione e delle tecnologie digitali della comunicazione, che tuttavia hanno prodotto autentici terremoti sulle culture locali e nazionali, con migrazioni di massa di molti popoli, esplosione di una massificazione dei consumi senza precedenti e rapido livellamento - verso fattori comuni, cioè verso il basso - di usanze e costumi delle popolazioni. Sono fenomeni appunto dirompenti che si manifestano e mutano con velocità mai sperimentata in precedenza, a fronte dei quali gli Stati-nazione e le città oppongono modalità e tempi di reazione molto tradizionali e lenti. Lenti diventano anche i tempi di progettazione, i dibattiti si allungano su tempi infiniti: sfociando in povere chiacchiere e sogni che non si realizzano, restano sulla carta e producono rabbia e insoddisfazione. In realtà, anche per le municipalità, i mercati globali determinano nuovi confini d’intervento sociale ed economico, con una profonda modificazione dei rapporti temporali e spaziali di relazione e interazione che evidenziano, da un lato, il tempo come fattore competitivo (time-based competition) e dall’al- L 40 MARK UP tro l’abbandono di domini chiusi, coincidenti con particolari contesti fisici o amministrativi (un paese, una regione, un’area geografica: market-space competition). Appare, di conseguenza, fallace ricercare l’efficacia e l’efficienza di risoluzione dei problemi di una grande città come Milano nella conquista di spazi fisici semplicemente più vasti (aree metropolitane), ma piuttosto si manifesta la necessità di definire nuovi contesti di consenso basati su conoscenza e capacità progettuale. Una concezione statica e delimitata dello spazio di sviluppo socio-economico risulta, infatti, superata nella globalizzazione, dove specifici contesti geografici sono demandati a esprimere vantaggi parziali, da coordinare in un più vasto sistema di operatività (market-space management). In altri termini, un impegno serio e costante da parte degli organi di governo delle città, che va ben oltre lo slogan di un inesistente marketing del territorio, inventato da consulenti intruppati in comuni desiderosi di una “brillantina” ad altissimo costo. La globalizzazione impone alle municipalità una pluralità di spazi/oggetti di confronto e al contempo presuppone un sistema informativo coerente con orizzonti decisionali di brevissimo periodo, basato su flussi informativi telematici e con processi aperti di comunicazione, invece dei tradizionali schemi monodirezionali, dall’emittente al ricevente passivo. I mercati globali, in particolare, esprimono anche una nuova visione dei sistemi di relazione con le comunità e con le organizzazioni civiche locali, coerentemente con i fabbisogni strategici e operativi di organizzazioni con strutture complesse, in genere costituite da network, che operano con molteplici punti decisionali (caratterizzati da delega e responsabilità elevate) e con tempi di azione-reazione molto ridotti. Il cittadino globale Il benessere economico degli ultimi trent’anni, l’innalzamento del livello di scolarizzazione e una diffusa cultura consumerista hanno contribuito a rendere gli abitanti di Milano (quelli che vivono la città, perché in questa città lavorano, studiano, hanno insomma relazioni con luoghi e persone della metropoli) esperti e professionali nei loro comportamenti di vita. Un tempo docili, facilmente manipolabili e limitati ai soli residenti (con una “cultura del villaggio” molto generosa, anche se elementare e un po’ isolazionista), essi rappresentano ormai una forza organizzata e strutturata che modifica la natura stessa delle relazioni fra i territori (i nuovi siti socio-economici, al posto dei quartieri; la città, con i suoi simboli locali e globali; i siti virtuali, ormai fondamentali nel posizionamento di Milano), le istituzioni e i nuovi cittadini globali. In particolare, il comportamento del nuovo cittadino globale è caratterizzato da: crescente supremazia della comunicazione dei cittadini verso le istituzioni, nuove aspettative sociali, certezza circa le professionalità di progettazione nel rispetto delle identità locali e dei valori della città. Il primato della comunicazione dei cittadini I cittadini vivono in una realtà (socio-politica e virtuale) in cui l’of- ferta di comunicazione è continua e sovrabbondante, la concorrenza comunicazionale molto forte. Una molteplicità di fonti d’informazione è organizzata per raggiungere i cittadini, per acquisirne i pareri e per favorire il dialogo critico, dal momento che i nuovi cittadini globali vogliono essere sentiti, ascoltati, capiti, considerati e attribuiranno a sindaco e assessori ogni causa d’insoddisfazione. Per contro, l’organizzazione delle istituzioni cittadine e delle numerose organizzazioni non governative (Ong) è ancora scoordinata, parziale e soprattutto carente nelle tecnologie digitali di relazione e di interconnessione con l’utenza. Un chiaro esempio è costituito dal ticket (tassa d’ingresso in Milano). A fronte delle molte polemiche, il sindaco non è ancora riuscito a spiegare - nonostante la presenza in consiglio comunale di sapienti e bravi comunicatori - come la nuova tassa sia collegata a un moderno uso della città (favorendo l’ingresso operoso e il reintegro dei costi ambientali) e a un vantaggio dei residenti (dal momento che i cittadini potranno continuare a evitare il pagamento dell’addizionale comunale Irpef). Le nuove aspettative sociali Il cittadino di Milano ricerca livelli di soddisfazione sociale più complessi dei bisogni primari, esige da enti e organizzazioni della municipalità soluzioni adatte a bisogni specifici e palesa in forme sempre più organizzate nuovi valori, quali sicurezza, qualità della vita, silenzio, tutela degli ampi spazi verdi. In proposito, alcuni esempi clamorosi si rilevano nell’o- Settembre 2007 Dossier RIQUALIFICAZIONI XXX URBANE XXXXXXX - MILANO blio e nella superficialità degli “spazi senza progetto” come l’outlet transnazionale di Sarpi-Bramante, l’area semidesertica Bicocca-Arcimboldi, San Siro e le nuove periferie (private di una speranza di sviluppo progettuale di alto profilo dalla rinuncia, anni addietro, dell’assessore Del Debbio). Altri esempi, altrettanto clamorosi, riguardano invece il fallimento progettuale delle “isole pedonali”, come Brera, corso Garibaldi, corso Como, lo scempio abominevole delle Colonne di S. Lorenzo, i Navigli, tutti spazi dove le continue e crescenti proteste degli abitanti, sempre più coesi e organizzati, denunciano un serio impegno contro degrado e rumore, ma soprattutto contro la mancanza di un reale progetto di sviluppo socioambientale. Valori locali e identità I cittadini sono sempre più avveduti, informati e capaci di fare delle scelte a prescindere dalle suggestioni ideologiche. I rapporti tra cittadini e istituzioni tendono così a modificarsi a vantaggio di un senso nuovo di responsabilità e a fronte dell’evolversi della complessità delle popolazioni e del loro benessere. La globalizzazione non determina, infatti, l’uniformazione dei comportamenti e degli stili di vita, ma riconosce semplicemente che esistono gruppi di abitanti che da una parte presentano identici bisogni, ma dall’altra esigono che un’economia di mercato di massa si combini con un’attenzione rinnovata alle attese dei singoli gruppi (etnici, religiosi ecc.), nel rispetto di identità di comunità che in concreto segnalano l’esigenza, oggi nel mondo più forte che mai, di preservare le differenze di civilizzazione (di nazioni, religioni, razze e lingue), per mantenere e affermare le proprie differenze culturali. *Professore ordinario di Marketing - Università degli Studi di Milano-Bicocca Settembre 2007 MARK UP 41 Primo Piano Michael E. Porter PROFESSORE Alfred M. Gray GENERALE USMC DI MANAGEMENT HARVARD BUSINESS SCHOOL LA COMPETITIVE INTELLIGENCE È NATA NEGLI ANNI ’70 IN USA COMMUNICATIONS WITHOUT INTELLIGENCE IS NOISE. INTELLIGENCE WITHOUT COMMUNICATIONS IS IRRELEVANT Sam Walton CHAIRMAN WAL-MART Michael Dell CHAIRMAN DELL COMPUTERS VALUTA I CONCORRENTI CON GLI OCCHI DEI TUOI CLIENTI CONCORRENZA & MERCATI GLOBALI Competitive intelligence & network globali La globalizzazione esalta la priorità della raccolta di informazioni. Coerentemente con i fabbisogni conoscitivi di organizzazioni e business complessi Silvio M. Brondoni mercati globali sviluppano nuovi confini di competizione (con una profonda modificazione di tempo e spazio di concorrenza) e impongono un sistema informativo sofisticato e coerente con orizzonti decisionali di brevissimo periodo. La globalizzazione, in particolare, esalta la priorità della competitive intelligence ed enfatizza anche una nuova gerarchia delle ricerche di marketing sulle ricerche di mercato, coerentemente con i fabbisogni conoscitivi di network globali con organizzazioni e business complessi. La competitive intelligence si riferisce alla raccolta sistematica di informazioni (pubbliche, ma spesso ignorate) I www.unimib.it/symphonya 24 MARK UP con focus specifico sui concorrenti. La competitive intelligence, in particolare, svolge un’azione di monitoraggio su contesti e relazioni la cui conoscenza non è disponibile dalle informazioni interne d’azienda, né dalle ricerche di mercato e di marketing. La market research, in effetti, è iniziata agli albori dell’industrializzazione - circa 50 anni prima della ricerca di marketing - e finalizza le indagini sul macroambiente d’impresa (contesto politico, normativo, demografico, socio-culturale, economico e tecnologico) e sull’ambiente operativo di prodotto (domanda finale e consumo; domande intermedie; concorrenza; canali distributivi; fornitori). La ricerca di mercato, pertanto, da un lato concerne fenomeni ambientali non controllabili (come trend demografici e sociali) e, dall’altro, riguarda fenomeni ambientali influenzabili (come andamenti dei consumi di prodotto, intensità della concorrenza, canali e sistemi distributivi ecc.). La marketing research acquisisce, invece, informazioni rilevanti riferite ai parametri d’azione di marketing: prodotto (Product concept te- sting; Customer use tests; Market tests; Segmentation analysis; Product positioning & mapping; Brand equity; Brand awareness & image); prezzo (Cost/Quality analysis; Value analysis; Price bidding); distribuzione (Channels research; Sales & sales management analysis); comunicazione (Content, Media & effectiveness research). Marketing research e market research presentano, quindi, confini teorici e operativi ben distinti, che i mercati globali e in eccesso di offerta hanno ulteriormente specializzato, con fini conoscitivi rispettivamente riferiti a domanda e ambiente. Fini che comunque sono subordinati agli obiettivi della competitive intelligence, che opera con tempi di azione-reazione molto ridotti e con delega/responsabilità elevate, in una visione di market-driven management. L A R E P L I C A I N 8 0 0 B AT T U T E Competitive intelligence & network organization a competitive intelligence in Ibm gioca un ruolo importante nelle attività di marketing e opera, per struttura di mercato e d’azienda, all’interno di un network globale. Ma in un’organizzazione globale le riSTEFANO BALDI cerche a livello mondo si intersecano con le analisi svolte dalla competitive intelligence locale creando un sistema di Market informazioni a due vie. Il ruolo del marketing locale diventa perciò intelligence fondamentale per veicolare e selezionare il meglio: non è logico svolmanager, gere tutte le analisi localmente, ma delegare solo a un team mondia- Ibm Italia spa. le le ricerche sui competitor può essere pericoloso. Come chiedere a un indiano che tempo farà domani in Italia: per quanto le sue ricerche siano accurate, è meglio guardare il cielo sopra Milano stasera... L Giugno 2007 Primo Piano Bernard Arnault, Bernard Fornas Yang Yuanqing PRESIDENTE GRUPPO LVMH PRESIDENTE RICHEMONT CH PRESIDENTE LENOVO GROUP I LUXURY BRAND DEL GRUPPO SONO UNA FORZA DEL MADE IN FRANCE CARTIER: UN MARCHIO CON GLAMOUR ABBAGLIANTE CHE ADATTIAMO CON CURA NEL MONDO IL BRAND IBM HA STABILIZZATO IL NOSTRO BUSINESS, MA ORA PUNTIAMO SUL BRAND LENOVO CONCORRENZA & MERCATI GLOBALI Licensing & licencing nella concorrenza globale La globalizzazione dei mercati modifica la competizione tra le imprese imponendo nuove regole. In questo quadro il licensing valorizza il patrimonio di marca Silvio M. Brondoni icensing e licencing, sebbene si pronuncino allo stesso modo, individuano due politiche aziendali molto differenti nelle condotte di sviluppo d’impresa. Il licencing (ovvero la cessione di licenza) riguarda, infatti, una strategia di entrata indiretta nei mercati internazionali, con cui si cedono a un’organizzazione estera definiti diritti di proprietà industriale, in relazione a un accordo che stabilisce i limiti di produzione, le zone geografiche di vendita e il pagamento delle royalty (“Marketing Lexicon”, cap. 16, ed. Clueb 2000). Per contro, il licensing L www.unimib.it/symphonya 30 MARK UP (cioè la cessione dei diritti d’uso di un marchio) concerne la concessione da parte di un’impresa (licensor) a terze economie (licensee) dei diritti di temporaneo sfruttamen- to commerci al e d i un marchio (trade mark) ad alta notorietà, spesso dietro pagamento di un compenso fisso (fee) o variabile (royalty) (“Marketing Lexicon”, cap. 9). In realtà, negli ultimi 15-20 anni, la produzione di beni su cessione di licenza si è molto ridotta, in quanto il progressivo sviluppo del mercato globale ha marginalizzato le problematiche di entrata sui mercati internazionali (e quindi anche le produzioni e le vendite su licenza, che spesso sono state eliminate per combattere le contraffazioni e le limitazioni, soprattutto dei paesi in via di sviluppo) e ha valorizzato, invece, le politiche di crescita aziendale basate sugli intangible (e tipicamente sul patrimonio di marca), per opporsi alla volatilità della domanda e fidelizzare la clientela. La globalizzazione dei mercati ha modificato, quindi, le condizioni di competizione, imponendo alle imprese nuove re- gole per il conseguimento di stabili performance, e in tale ambito sono progressivamente cresciute le potenzialità di sfruttamento dei diritti del marchio (licensing), come strumento di comunicazione integrata, idoneo a valorizzare un determinato patrimonio di marca anche a pubblici e a settori di mercato nuovi, oppure altrimenti difficilmente raggiungibili. Nei mercati globali e in eccesso di offerta la crescente criticità competitiva delle risorse immateriali (e tra queste, le attese e le responsabilità attribuite dai consumatori alla marca) enfatizzano il ruolo del licensing (non tanto per le royalty, come da anni insegna The Coca-Cola Co., che ai ricavi ha preferito una più alta politica di branding), ma piuttosto per la capacità di rafforzare la brand equity con operazioni modulari, variamente programmabili per intensità, target e mercato. L A R E P L I C A I N 8 0 0 B AT T U T E Licensing e patrimonio di marca l brand licensing, ovvero la concessione dei diritti di utilizzo di un marchio a fronte di una royalty o di una commissione fissa (fee), non rappresenta più un mero generatore di cassa (cash generator). Né un acceleratore del processo di diversificazione della propria offerta produttiva (brand enlarging), bensì un eccezionale MASSIMO FRANZOSI quanto strategico accrescitore del valore di una marca Communication (brand equity). L’ideazione, lo sviluppo, la produzione e la dilicensing stribuzione di oggetti di comunicazione “marchiati” - esclusivi, & co-marketing distintivi e qualificati - al di là e al di fuori della propria attività manager principale (core business) conferiscono un valore aggiunto al Fiat Group prodotto/servizio caratteristico. Contribuendo a fare del brand Automobiles spa. un asset patrimoniale tout court. Oltreché l’emblema di un mind style empatico e durevole. I Maggio 2007 Primo Piano Pierluigi Bersani Corrado Passera Fedele Confalonieri MINISTRO DELLE ATTIVITÀ PRODUTTIVE AD INTESA-S. PAOLO PRESIDENTE MEDIASET TLC: RISORSA STRATEGICA DEL PAESE LE BANCHE DEVONO FAVORIRE LA MODERNIZZAZIONE DEL PAESE TLC E TV COMMERCIALE MARCIANO VERSO LA CONVERGENZA DELLE TECNOLOGIE CONCORRENZA & MERCATI GLOBALI Tlc, duopolio televisivo, trade e concorrenza La politica di prezzi multipli di duopolio in ambito televisivo riduce l’efficacia dell’advertising come strumento competitivo tra le imprese. Non favorendo una comunicazione di convergenza digitale Silvio M. Brondoni n Italia più di 8 miliardi di euro annui di pubblicità di cui oltre 4 miliardi di tv (dati IsteiBicocca, gennaio ’07) non sembrano più sufficienti a garantire una competizione positiva tra le imprese e a favorire lo sviluppo economico del paese. Proprio per accrescere una maggiore competitività, prima la legge Gasparri (con l’introduzione del “tetto” del Sic - Sistema Integrato di Comunicazione, che però nessuno - neanche il ministro - fu mai in grado di quantificare) e più di recente il ddl Gentiloni (diretto ad accelerare il passaggio alla comunicazione digitale e a permettere l’entrata di I www.unimib.it/symphonya 22 MARK UP più operatori) hanno cercato di contenere gli effetti negativi del “duopolio molle” della pubblicità televisiva, ormai visibilmente nefasto per la crescita del paese. Com’è noto l’Italia è, in- fatti, l’unico paese dove due aziende controllano il 60% delle risorse del mercato pubblicitario (e dove, guarda caso, il trade è il meno moderno dei paesi avanzati, e per di più è dominato da grandi catene straniere di distribuzione al dettaglio e all’ingrosso, molto aperte alla comunicazione digitale). Inoltre, le difficoltà della Rai a competere con Mediaset nel mercato pubblicitario si sono aggravate negli ultimi cinque anni, condizionando anche lo sviluppo delle nuove tecnologie e l’innovazione dei format di programma. La pubblicità televisiva offre, al contempo, spot di qualità sempre più costosi (costantemente acquistati da aziende di settori ad alta protezione come telefonia mobile, auto e finanza) e spot in fasce a bassa audience, con prezzi accessibili anche ai brand minori (come maglieria intima, confetti ecc.). Nei mercati in eccesso di offerta, tuttavia, una politica di prezzi multipli di duopolio riduce drasticamente l’efficacia dell’advertising come strumento competitivo. Con gli spazi pubblicitari televisivi a prezzi multipli, le marche deboli (in termini di notorietà acquisita e di copertura distributiva) riescono, infatti, a convivere nella pubblicità con le marche forti (cioè con una solida identità di marca), che però non cambiano i pesi relativi di distribuzione, mentre generano enormi spazi di mercato per le private label e i prodotti unbranded extra Ue. Ecco perché il basso costo medio è spesso criticato dai ceo di grandi corporation, che vedono una continua perdita di efficacia della pubblicità televisiva per le fasce di consumo (non solo giovanili) più esposte alla “comunicazione di convergenza digitale”, dove la mass advertising si integra con i nuovi media ad alta profilazione della clientela. L A R E P L I C A I N 8 0 0 B AT T U T E Media digitali e advertising a tradizionale divisione fra below e above the line, frutto di una visione che separava in maniera sprezzante l’advertising (insaziabile divoratore di budget) dalle altre leve di comunicazione - ovviamente collocate “sotto”, in un mucchio informe e plebeo -, ormai sopravvive nei sogni di vecchi creativi e dei docenti d’antan. Ma baLUIGI CARICATO sta cambiare prospettiva, uscendo dai confini dei singoli Responsabile paesi, per capire che la comunicazione è già nella fase del cambiaComunicazione mento continuo e della convergenza. Paradossalmente la pubblicità di Gruppo si marginalizza proprio quando i media digitali si moltiplicano e diLegrand ventano fruibili sempre e dovunque. Ma il media non è più il messaggio e il target non sta più fermo, ma vuole stare sulla scena di comunità virtuali. Che attirano anche i magnati della vecchia televisione. L Aprile 2007 Primo Piano Francesco Rutelli VICE PREMIER CON DELEGA ALLE POLITICHE PER IL TURISMO Maria Vittoria Brambilla Bernabò Bocca PRESIDENTE GIOVANI CONFCOMMERCIO PRESIDENTE FEDERALBERGHI LO SVILUPPO DEL TURISMO È FRENATO DALLE INFRASTRUTTURE PER L’INCOMING: RILANCIARE LA PROMOZIONE, RIDURRE I DIVARI FISCALI CON I COMPETITOR, INVESTIRE IN INFRASTRUTTURE. E UN MINISTERO FORTE A ROMA E BRUXELLES UN SISTEMA PAESE SI DEVE COMPATTARE PER OTTENERE QUOTE DI TURISMO INCOMING CONCORRENZA & MERCATI GLOBALI Turismo incoming globale e mercati di prossimità Il sistema Italia gode di una programmazione regionale debole. Improntata su fattori competitivi vecchi. Occorre specificità Silvio M. Brondoni mercati globali e in eccesso di offerta modificano i prodotti, le strutture e le organizzazioni che competono nella catena del valore dell’economia del turismo. Di conseguenza mutano anche i fattori che determinano il posizionamento competitivo del sistema paese (e infatti l’Italia - con politiche di sviluppo turistico “conservative” e “artigianali”- rimane allinea- I ta ai paesi a bassa cultura di concorrenza, ma perde quota rispetto ai paesi più moderni, come Spagna e Croazia). In Italia, d’altra parte, le regioni “spingono” il localismo e - prive di un coordinamento centrale “forte”- sono l’anello debole della catena del turismo globale. In effetti, oggi è superata la leadership competitiva delle bellezze naturali, basata su: paesaggismo delle località (svilite da prezzi fuori controllo e costi ambientali folli); strutture ricettive e alberghi non moderni e poco sofisticati; flussi turistici di prossimità e alta rotazione della clientela (“mordi e fuggi”). La debolezza della programmazione regionale italiana è divenuta evidente negli ultimi cinque anni, dove il turismo “incoming” (nelle strutture ricettive ufficiali) mostra una crescita zero (in verità, al pari dei turisti “domestic”, rimasti anch’essi stabili nello stesso periodo). La strategia di sviluppo del turismo italiano sui mercati esteri ha puntato, infatti, sui noti fattori localistici: enogastronomia (italian lifestyle), citta d’arte, relax balneare/montano. Cioè su fattori competitivi vecchi, non segmentanti, non destagionalizzanti, diretti a promuovere un turismo di prossimità e a basso valore aggiunto. Fattori competitivi che soprattutto sono del tutto inutili per posizionare il turismo in- coming italiano ai livelli alti dei nuovi protagonisti economici mondiali (India, Sud Corea, Brasile, Russia, Cina, Sud Africa, Singapore, Malesia ecc.); cioè dei paesi con una domanda turistica crescente e ad alto valore aggiunto, ma connotata da bisogni molto specifici. Il sistema Italia, invece, prevede ancora un posizionamento di portafoglio incoming molto elementare e profilato per paese. In altri termini, non si è ancora compreso che la globalizzazione muove enormi flussi di turismo, interno e dall’estero, ma molto differenziati e basati sul primato della specificità di domanda, dove le “bellezze naturali” (anche “costruite”, come i campi da golf) sono il basic value della catena del valore, da armonizzare con mass customization e customer satisfaction, in una concorrenza globale high value. L A R E P L I C A I N 8 0 0 B AT T U T E Tour operating e innovazione del turismo iposizionare la nostra offerta turistica sul mercato mondiale presume superare un fraintendimento. Arte, cultura e paesaggio non sono “prodotti turistici” di per sé ma ingredienti base per un buon prodotto turistico, se correttamente dosati nella formula vincente per GIUSEPPE BOSCOSCURO conquistare cuore e spesa del cliente cui ci si rivolge. Lo Presidente di stesso per strutture e infrastrutture quali alberghi, aeroporti, trasporAstoi (Ass.ne ti. Cruciale è pertanto l’attenzione dell’Amministrazione pubblica al Tour Operator ruolo dei tour operator italiani, che ogni giorno sondano i mercati eItaliani) steri individuando segmenti di domanda e differenziando di conseguenza il prodotto proposto. Il successo di mete prive di risorse turistiche tradizionali ma molto orientate al marketing - come Dubai può essere d’ispirazione nel rinnovamento dell’offerta italiana. R www.unimib.it/symphonya 20 MARK UP Marzo 2007 Primo Piano E. Neville Isdell Thierry Mulliez Maria Rita Lorenzetti CEO THE COCA-COLA CO. CEO AFM-AUCHAN GOVERNATORE REGIONE UMBRIA A TALENTED WORLDWIDE MANAGEMENT TEAM COORDINATES OUR ENTREPRENEURIAL NETWORK CREIAMO SISTEMI DI IMPRESE PER PASSARNE LA RESPONSABILITÀ AI NOSTRI FIGLI L’UMBRIA APRE ALLE RETI DI IMPRESE E CHIUDE AI DISTRETTI LOCALI ASSISTITI CONCORRENZA & MERCATI GLOBALI Network e cross cultural management La cultura d’impresa si orienta a superare gli ambiti fisici di concorrenza. Per sfruttare le opportunità dei mercati aperti Silvio M. Brondoni e imprese si confrontano oggi in mercati globali, ad alta intensità competitiva e soggetti a instabilità politica, sociale e tecnologica. Nessuna impresa può pertanto confidare, come in passato, solo sulle proprie risorse, conoscenze e competenze. Lo sviluppo aziendale abbandona così il predominio della produzione realizzata nella grande fabbrica capitalistica degli anni ’50 e L ’60, dove si garantiva parità di trattamento a lavoratori efficienti e inefficienti, secondo il rendimento medio delle categorie professionali. Un meccanismo semplice e coerente con un modello produttivo che si basava su 30-40 anni di lavoro nella medesima azienda, che si facesse bene o male. Dagli anni ’80, tuttavia, l’economia globale ha modificato profondamente imprese, produzioni e prodotti e i lavoratori (in un crescente di- namismo produttivo e commerciale) si misurano con svariate forme di collaborazione, prive di garanzie di stabilità (contratti a termine, contratti di formazione, lavoro interinale, collaborazioni autonome continuative ecc.). L’economia d’impresa globale impone organizzazioni articolate, diffuse e fortemente interconnesse (network). Queste strutture complesse privilegiano le capacità gestionali e le outsourcing relation con co-maker e partner esterni (competitive alliance). La cultura d’impresa evolve pertanto in un cross cultural management, orientato a superare gli ambiti fisici di concorrenza (market space management) e un’appartenenza aziendale localistica. Nei mercati globali la cultura d’impresa di network consente, infatti, di omologare le organizzazioni con una uniformità stimolata e controllata dalle reti di comunicazione (inter- net, intranet, extranet) e presuppone valutazioni multilivello di performance, con la stima della sintonia strategica (coerenza dei risultati e dei processi delle organizzazioni, relazioni di complementarità, chairman leadership) e la stima della sintonia operativa (relazioni di interdipendenza delle strutture, responsabilità condivise, management leadership). Nei mercati aperti si evidenzia pertanto la centralità dell’orientamento competitivo al mercato (market driven management) e del ‘“cross cultural management”, cioè il primato di una gestione aziendale profit-focused su base locale e globale, che non si ripiega sull’organizzazione (come postulano i mercati chiusi e a bassa competizione), ma per contro valorizza le opportunità dei mercati aperti, cioè la variabilità della domanda e l’instabilità generata dalla concorrenza. L A R E P L I C A I N 8 0 0 B AT T U T E Networking e R&D globale etworking per un’azienda globale vuol dire scambio di informazioni/esperienze in tempo reale fra tutti i mercati del mondo. Vuole dire anche dare in outsourcing competenze che non sono legate al core business. Per un’azienda come P&G che vuole innovare rispondendo per prima alle esigenze del consumatore, VITO VARVARO networking significa avere un processo di Ricerca & Sviluppo aperto e connesso con il mondo esterno su base globale. In un Ad di Procter concetto: da Research & Develop a Connect & Develop. Una trasfor& Gamble mazione assimilabile a un “cremlino” inaccessibile che diventa un’ “aItalia. cropoli” aperta a tutti, università, piccole aziende, ricercatori autonomi, istituzioni, per accelerare il processo innovativo arrivando più velocemente sul mercato con prodotti che creano valore per i consumatori e la distribuzione. N www.unimib.it/symphonya 22 MARK UP Febbraio 2007 Primo Piano Carlo Pesenti Paolo Giaretta Andrea Parodi UNA CULTURA AZIENDALE COMPETITIVA CREA NUOVI PRODOTTI CON R&D LA UE FRENA GLI AIUTI VINCOLATI A DISTRETTI E PMI I DISTRETTI SONO IL RETAGGIO DI UN’ITALIA PASSATA AD ITALCEMENTI SOTTOSEGRETARIO SVILUPPO ECONOMICO VICEPRESIDENTE UNINDUSTRIA TREVISO CONCORRENZA & MERCATI GLOBALI Network, distretti e cultura di concorrenza Reti d’impresa e sistemi-territorio fanno leva su profili organizzativi differenti. La cultura assume un ruolo centrale esaltando le relazioni locali e globali Silvio M. Brondoni ei mercati globali la market space competition spinge a valorizzare un profilo di cultura d’impresa con forti caratteri competitivi, molto differenti da quelli dei distretti, cioè i sistemi-territorio a bassa intensità di concorrenza e difendibili con i confini fisici o amministrativi. I distretti produttivi locali sono, infatti, perimetrati da confini naturali o da condizioni di limitazione della concorrenza (per esempio, reti di trasporto obsolete, R&D ridotta e autoreferenziata, brand policy e sistemi informativi elementari, forti ostacoli all’entrata di manager dall’esterno, soprattutto di etnie diverse da quelle locali), sono dominati da una spinta N www.unimib.it/symphonya 20 MARK UP conservazione delle produzioni e caratterizzati da una scarsa diffusione di moderne conoscenze di marketing, finanza e comunicazione. Nei sistemi-territorio la cultura d’impresa tende, così, a premiare le tradizioni, i know how di vocazioni produttive e le risorse di specifiche aree geografiche. In realtà, le difficoltà di sviluppo dei distretti (a cui è comunque attribuibile circa il 45% dell’export e il 27% del valore aggiunto del paese) mostrano la debolezza di una logica spontaneista di filiera basata sul legame logistico-territoriale, che oggi può addirittura costituire un ostacolo. Tra il 1991 e il 2001 i distretti si sono ridotti, infatti, da 199 a 156 e di questi 140, cioè il 94,8%, sono distretti del made in Italy tradizionale (tessile-abbigliamento, meccanica, beni per la casa, pelletteria e calzature, alimentare, oreficeria), dove “prodotto in Italia” è un “concepito in Italia”. In realtà, i mercati globali impongono rapporti di filiera virtuali, in cui lo scambio e le sinergie delle conoscenze si integrano con le espe- rienze, valorizzando una cultura aziendale finalizzata al confronto competitivo e, quindi, diretta a sviluppare la comunicazione e i flussi informativi, il decentramento produttivo, l’autonomia decisionale e la responsabilizzazione operativa. In condizioni di market space competition (dove si affermano politiche aziendali time-based, il superamento degli ambiti fisici di operatività, la visione sistemica delle risorse immateriali corporate e di prodotto), le imprese operano con strutture a rete (network) articolate, diffuse e fortemente interconnesse. In queste aziende complesse, la cultura d’impresa assume un ruolo centrale nel governo delle relazioni interne, esterne e di co-makership, esaltando la cultura di concorrenza dell’organizzazione e le relazioni profit-focused locali e globali. L A R E P L I C A I N 8 0 0 B AT T U T E Giovani imprenditori e nuova cultura di concorrenza elle imprese familiari, protagoniste dell’economia distrettuale, i giovani imprenditori sono portatori di una cultura della concorrenza più ampia di quella dei loro padri. Occorre favorire la crescita di questa loro cultura, dell’apertura all’innovazione a 360 gradi, della capacità di mettersi in discussione in un’ottica globale, promuovendo lo sviluppo di corsi di formazione manageriali presso i centri aggregativi che molti di loro frequentano: le associazioni imprenditoriali. Sono più disponibili a condividere queste esperienze formative degli imprenditori senior, grazie all’esperienza scolastica più prossima. E la collaborazione con gli altri attori formativi, le università più marketing oriented, si rivelerà preziosa, se i docenti coinvolti sapranno aprirsi a un’esperienza sinergica. N SANDRO ROSOTTI Vicedirettore Assindustria Monza e Brianza. Gennaio 2007 Primo Piano Enrico Giovannini Jim Skinner Vincenzo Visco DIRECTOR DEPT. OF STATISTICS, OCSE PER STIMARE IL COSTO DELLA VITA OCCORRE INDIVIDUARE 30-40 INDICI CHIAVE CEO, MCDONALD’S CORP. VICEMINISTRO ECONOMIASISTEMA MODA ITALIA IN MOLTI PAESI CI SONO INDICATORI INDIRETTI DEL TENORE DI VITA IL PREZZO DI BIG MAC È UN PROXI DEL COSTO DELLA VITA IN 118 PAESI CONCORRENZA & MERCATI GLOBALI Prezzi, inflazione percepita, consumi e mercati globali In Italia l’indice dei prezzi al consumo è statico e incentrato su prodotti unbranded. Esaltazione del micro localismo Silvio M. Brondoni i recente, per giustificare la crescente parzialità degli indicatori storici del costo della vita, si è introdotto il concetto di “inflazione percepita”, favorendo così una visione psico-sociologica, anziché elaborare pochi indicatori chiari, condivisi, disponibili in tempo reale ed espressivi dei consumi locali di mercati globali. In effetti, in Italia l’indice dei prezzi al consumo si basa su D un’organizzazione policentrica provinciale (molto lontana dai moderni network), prevede troppe posizioni rappresentative di beni, prescinde dalla “time-base competition” (ipotizzando così consumi statici e un trade passivo) e, infine, esclude il peso delle imprese globali di produzione e di distribuzione nella variabilità dei consumi. Anche il metodo di calcolo presenta elementi di perplessità, poiché l’indice dei prezzi al consumo, coprendo parzialmente mezzogiorno (84%) e isole (70%), è sbilanciato su nord (100%) e grandi capoluoghi, dove però l’alta penetrazione della Gda e i consumi di massa in eccesso di offerta determinano una forte sostituzione tra classi di prodotto - e quindi variabilità dei pesi di consumo che non è assolutamente riconducibile alle percezioni, ma alle variazioni temporanee dei prezzi (per vendite promozionali e sottocosto). In realtà, nel nostro paese l’indice dei prezzi al consumo raffigura un contesto di distribuzione, produzione e consumo sostanzialmente statico e incentrato su beni unbranded. L’indice espressivo della variazione del costo della vita si basa su 12 capitoli di spesa, che riportano a 38 categorie di prodotto, riferite a 106 gruppi di prodotto, che a loro volta riguardano 205 voci di prodotto; queste ultime (che individuano la soglia di pubblicazione degli indici) sono costruite su oltre 500 posizioni rappresentative di prodotti e servizi che a loro volta conseguono dalla rilevazione sul territorio di oltre 1.000 prodotti. In particolare, le posizioni rappresentative individuano il livello minimo di dettaglio dei pesi di consumo. Il calcolo dell’indice prevede, inoltre, 86 capoluoghi di provincia (molti capoluoghi non forniscono i dati, ma a ben vedere questa carenza informativa non è oggi il problema principale) e 40.000 punti di vendita. Si tratta di una dissipazione conoscitiva che esalta il micro localismo (tipico degli Stati-nazione dell’800, quando fu costruito l’indice dei prezzi), ma offusca la significatività economica delle variazioni dei prezzi, soprattutto tra mercati contigui (nazionali e di consumo). L A R E P L I C A I N 8 0 0 B AT T U T E Gli osservatori Coop e Indicod-Ecr per prezzi e consumi on le nuove tecnologie digitali gli attuali approcci campionari per stimare l’inflazione potranno essere superati e, nel caso della grande distribuzione, basarsi su dati di tutta la rete di vendita. Un primo esempio in questa VINCENZO TASSINARI direzione è l’indice Indicod-Ecr - ancora poco noto - che presidente misura la variazione dei prezzi della grande distribuzione (-0,5% nel Coop Italia 2005). Inoltre, a inizio 2004 Coop ha attivato un Nuovo Osservatorio vicepresidente Prezzi, con esperti nazionali di economia e distribuzione, che ha manteIndicod-Ecr nuto la metodologia Istat di misurazione dell’inflazione (indice alimentari e bevande) e ha sviluppato un “Indice Coop” più sensibile (-1,2% nel 2005) di variazione dei prezzi, raddoppiando la numerica dei prodotti in paniere (in media 1400 ogni mese) rispetto a quelli utilizzati da Istat. C www.unimib.it/symphonya 24 MARK UP Dicembre 2006 Obiettivo Europa PAESI A CONFRONTO • LA LEGGE GALLAND DEL 1996 SEMBRA ESSERE PIÙ IN LINEA CON LE COMPLESSITÀ ODIERNE Le vendite sottocosto trasparenti in Francia, meno in Italia Dubbi crescenti in Italia dopo la soddisfazione iniziale. Si rischia l’indebolimento degli operatori efficienti e un rallentamento dei consumi di Silvio M. Brondoni* ualche tempo addietro, in Italia, la regolamentazione delle vendite sottocosto era stata salutata da trade e industria con soddisfazione, dicendo: “Benvenuta la prima normalizzazione in Italia, benvenuta la lotta contro la discriminazione nelle condizioni di cessione dei fornitori, benvenuto il modello negoziale industria-distribuzione mirato allo sviluppo”. A distanza di pochi mesi, però, ci si chiede: la legge sul sottocosto esiste ancora in Italia? Le Authority vigilano e hanno comminato qualche sanzione? Oppure la legge è devastante, indebolisce gli operatori efficienti e il calcolo del “sottocosto all’italiana” (già criticato) introduce elementi di discriminazione dei prezzi (e quindi potenti differenziali competitivi di trading globale) come nel caso Italia-Francia? Q La situazione trasparente… In effetti, in Francia, la legge Galland del 1996 definisce con chiarezza il metodo di calcolo del li- 120 MARK UP vello di sottocosto (SprSeuil de Prix de Revente) e indica le sanzioni in caso di infrazione. In particolare, il livello di sottocosto (Spr) è fissato assumendo come prezzo di riferimento quello esposto nella fattura di acquisto di un dato prodotto, comprensivo del costo di trasporto, delle tasse e dei ristorni incondizionati acquisiti al momento della vendita (cioè i cosiddetti “marges avant”, ossia i “margini portati avanti” nella determinazione del prezzo fornitore/distributore). Ai fini del calcolo della soglia del sottocosto, in particolare, il prezzo indicato in fattura non può comprendere il valore dei ristorni condizionati differiti e i premi di cooperazione commerciale (tipicamente, i costi di referenziamento e i costi di specifici servizi di sostegno alla vendita): la legge Galland prevede, infatti, che questi ristorni e premi siano enucleati e fatturati separatamente dall’insegna di distribuzione (e i corrispondenti importi sono definiti “marges arrière”, cioè margini indietro, da Dicembre 2006 retrocedere e quindi da non imputare nella determinazione del livello del prezzo di sottocosto). La legge Galland ha prodotto importanti conseguenze in termini di trasparenza dei prezzi e della riduzione della concorrenza del trade sul prezzo al dettaglio. In particolare, il livello di sottocosto (Srp) tende a costituire un elemento noto e, pertanto, il prezzo di vendita al dettaglio configura un fattore a crescente somiglianza (flat competition) per tutti i distributori e per i diversi formati. La trasparenza del sottocosto limita gli effetti di destabilizzazione e l’interesse del trade a sviluppare processi competitivi con i produttori, per i quali diminuisce inoltre la convenienza a competere sul prezzo intermedio, accentuandosi invece i vantaggi a stipulare intese a largo raggio. La legge Galland limita, infatti, la concorrenza dei distributori sul prezzo al consumo, definendo una sorta di “prezzo minimo” per il prezzo al dettaglio delle marche industriali; la concorrenza verticale tra i distributori si sposta così sull’ammontare dei “marges arrière” (per i quali, ovviamente, i leader pagano importi meno elevati dei follower) e la concorrenza orizzontale si sostanzia nell’economicità e nella differenziazione dell’offerta. …e quella troppo elementare Per contro, in Italia la legge si limita a definire come “sottocosto” la vendita al pubblico di Dicembre 2006 prodotti a un prezzo (effettivamente pagato alle casse) inferiore a quello risultante dalle fatture d’acquisto, maggiorato dell’Iva e diminuito degli eventuali sconti documentati e riconducibili al prodotto. E questo metodo di calcolo introduce, in realtà, rilevanti componenti di discriminazione dei prezzi, perché (a differenza di quanto accade in Francia) non regolamenta il valore dei ristorni condizionati differiti e dei premi di cooperazione commerciale introducendo, di conseguenza, potenti differenziali competitivi di trading globale. Per la legge italiana, inoltre, le vendite sottocosto sono possibili tre volte all’anno, per 10 giorni al massimo, con un intervallo di almeno 20 giorni e per non più di 50 prodotti. Sono esclusi, peraltro, dalla regolamentazione delle vendite sottocosto i prodotti freschi deperibili, i prodotti da ricorrenza (come il panettone, trascorso il Natale) e anche i prodotti tecnologicamente obsoleti. Ecco perché il nostro paese è aggredito da prodotti (pc, telefonini, tv color ecc.) di cui si strillano prezzi bassi mentre si sussurrano i caratteri tecnici (e talvolta addirittura si celano, come per i condizionatori con Cfc di cui è vietata la produzione, ma non la vendita). E infine, naturalmente, la legge italiana esclude anche il commercio ambulante che, privo di regole e norme per le vendite sottocosto, di fatto costituisce quindi una sorta di mercato parallelo. In sintesi, la Legge Galland esemplare per chiarezza FRANCIA ✓ È definito con chiarezza per legge il metodo di calcolo del livello di sottocosto. ✓ Ai fini del calcolo il prezzo indicato in fattura non può comprendere il va✓ ✓ ✓ lore dei ristorni condizionati differiti e i premi di cooperazione commerciale. La concorrenza verticale tra i distributori si sposta sull’ammontare dei “marges arrière”. La concorrenza orizzontale si sostanzia in economicità e differenziazione dell’offerta. Le sanzioni in caso d’infrazione sono indicate. ITALIA ✓ Il metodo di calcolo del livello di sottocosto non regolamenta il valore ✓ ✓ ✓ dei ristorni condizionati differiti e dei premi di cooperazione commerciale: esso fa riferimento a schemi elementari che non trovano più riscontro nel mercato. Il testo del legislatore italiano non vale per tutti. Non hanno obblighi gli ambulanti, mentre non sono regolamentate le categorie dei freschi deperibili, le referenze da ricorrenza e la tecnologia obsoleta. Ciò comporta l’espansione di determinate tipologie distributive (ambulanti, spacci, outlet, discount). Il consumatore è aggredito da tecnologia “regalata” e non definita adeguatamente nei suoi parametri tecnici. legge che regolamenta le vendite sottocosto sta provocando in Italia effetti complessi, che specificamente riguardano: 1) la crescita dei prezzi al consumo di molti prodotti di marca, l’aumento della quota di mercato delle private label e dei primi prezzi; 2) l’espansione vertiginosa delle vendite di discount, spacci, outlet e commercio ambulante, con una corrispondente accelerazione della chiusura dei negozi tradizionali più deboli; 3) un rallentamento dei consumi (in apparen- za paradossale, visti i prezzi cedenti) e una crescente infedeltà della domanda finale (esposta a continui stimoli mirabolanti, come: vendite sottocosto, risparmio affari di primavera, tutto al costo ecc.). In effetti, la legge italiana sul sottocosto si riferisce a uno schema di concorrenza “elementare” che in concreto non esiste più da molto tempo. Infatti non considera la rete di trading nei mercati globali né la presenza di global player della distribuzione né, soprattut- to, gli effetti devastanti dell’eccesso di offerta. In queste condizioni di mercato la concorrenza è un fenomeno complesso, dove il prezzo finale di vendita è una leva competitiva interrelata con i prezzi delle domande intermedie che, come insegna Wal-Mart, esaltano la criticità degli “intangibile asset” di prodotto e corporate e non sono comprimibili dalle leggi di singoli paesi. Silvio M. Brondoni, *professore ordinario di Marketing Università degli Studi di Milano-Bicocca MARK UP 121 Obiettivo Europa INDUSTRIA&TRADE • LA MARCA DEL DISTRIBUTORE HA MODIFICATO IN PROFONDITÀ I RAPPORTI DI CONCORRENZA La private label ridisegna i confini del largo consumo Nei mercati globali e in eccesso di offerta afferma il nuovo ed esteso potere delle grandi insegne d’intermediazione commerciale di Silvio M. Brondoni* elle economie moderne le imprese si confrontano in mercati globali e con un eccesso strutturale di offerta. In questo contesto le produzioni migliorano continuamente, sono realizzate a costi decrescenti e i volumi crescenti superano le capacità di assorbimento della domanda. In condizioni di competitività e di saturazione dei consumi, i caratteri fisici dei prodotti risultano standardizzati e non consentono di differenziare efficacemente l’offerta, i fattori immateriali sopravanzano gli elementi tangibili, il tempo diviene una funzione critica di concorrenza e, infine, la mobilità (di persone, beni e soprattutto di conoscenze e idee) afferma nuovi sistemi di relazioni. Inoltre, la digitalizzazione della comunicazione e la diffusione di massa della telematica, unitamente alla rapida crescita e concentrazione delle insegne, hanno prodotto, in complesso, una spinta eccezionale verso la globalizzazione dei mercati e una correlata valorizzazione delle identità locali determinando nuovi confini per le marche del largo consumo e, ovviamente, Mercati globali. Le private label possono soddisfare bisogni locali anche in paesi differenti. N 128 MARK UP modificando i rapporti tra industria e distribuzione. I cambiamenti In realtà, la politica attiva di marca dei distributori ha modificato in profondità i rapporti di concorrenza fra industria e trade, sviluppando strategie di private label attuate sia da imprese industriali sia commerciali al fine di perseguire: • il contemperamento degli ingenti mezzi finanziari necessari per preservare una relazione positiva con una domanda finale instabile e mutevole; • lo sviluppo di condotte competitive che superano i vincoli fisici di prossimità e, per contro, favoriscono l’armonizzazione del potere di mercato d’insegna con la presenza di forti marche (del trade e dell’industria) internazionali e nazionali (dove le private label possono soddisfare specifici bisogni locali, anche in differenti paesi); • un confronto diretto sui prezzi di vendita, per stimolare le potenzialità di bolle di mercato e la loro reattività in termini di customer competitive value. Nei mercati globali, in effetti, i rapporti industria/ trade si basano su relazioni di market space competition dove i confini di azione non sono delimitabili entro spazi fisici o amministrati- vi, ma hanno un carattere che si modifica per effetto delle azioni/reazioni poste in essere dalle imprese. In particolare, in uno spazio competitivo allargato, la marca abbandona la funzione di mero segno distintivo e diviene il punto di riferimento di trade, produttori e consumatori connotandosi come un autentico patrimonio (brand equity). La brand equity, la visione di marca intesa come sistema di responsabilità (brand policy) e la ricerca di spazi competitivi allargati hanno vistosamente contrassegnato, negli ultimi tempi, le politiche di concorrenza e i processi di internazionalizzazione delle maggiori imprese della grande distribuzione. Come conseguenza di tali sviluppi, in Europa e negli Stati Uniti, i grandi mercati del consumo di massa hanno registrato una crescita formidabile del potere e della forza di attrazione delle private label, sia per effetto delle iniziative dell’industria sia per l’interesse dei distributori motivati a promuovere strategie d’insegna basate sull’integrazione di marche proprie e di marche industriali. Nelle economie globali e Dicembre 2006 ANCHE LA MARCA D’INSEGNA ITALIANA RAGGIUNGE PRESTAZIONI DI CARATTERE EUROPEO Negli ultimi tempi si assiste anche in Italia a dinamiche innovative su questa leva a disposizione del distributore. Questi ultimi diventano protagonisti dell’innovazione e del cambiamento dei fondamentali dei mercati l mercato delle private label in Italia è storia recente. Infatti, solo negli ultimi anni si è assistito, come già è avvenuto da tempo in Europa, a dinamiche innovative su questa importantissima leva a disposizione del distributore. Da qualche decennio i diversi retailer italiani hanno avviato lo sviluppo di marchi propri, ma fino a tutti gli anni ’90 la business community si concentrava su logiche dimensionali; il confronto verteva sulla numerica che i diversi marchi privati avevano raggiunto presso i distributori di casa nostra. Erano scarse le valutazioni circa i risultati che le private label erano in grado di generare, ma ancora più scarso era il confronto sul ruolo che la marca privata avrebbe potuto e dovuto svolgere nell’assortimento di un distributore. I L’evoluzione. Oggi la situazione è cambiata. Nel giro di pochi anni abbiamo assistito a un crescente interesse degli operatori sulla marca privata. Il fermento ha coinvolto sia l’industria, che ha aumentato il proprio orientamento verso il fenomeno private label, sia la distribuzione con l’avvio di piani di sviluppo dimensionale delle gamme e di evoluzione più complessiva della gestione del marchio proprio che ne ha evidenziato il ruolo nella strategia commerciale delle insegne. Sia gli operatori nazionali sia quelli posti sotto l’egida di gruppi stranieri presentano, ormai, sui propri scaffali gamme di marche proprie molto ampie, con diverse collocazioni nella scala prezzi e con posizionamenti concettuali estremamente differenziati, tesi a soddisfare altrettanti segmenti di domanda. In altri termini anche in Italia si sta assistendo a quel fenomeno evolutivo che posiziona il ruolo della marca privata come centrale nella politica del distributore. Le dimensioni. Attualmente il mercato delle private label in Europa vale circa 300 miliardi di euro con una proiezione al 2010 pari a 430 miliardi, superando quindi quota 25% del mercato grocery del vecchio continente. Nel mercato italiano la quota è intorno a 11 punti, ancora ben distante dai 45 punti della Svizzera, 30 della Germania o i 28 del Regno Unito. Naturalmente, il grado di concentrazione della moderna distribuzione appare come il fattore maggiormente correlato con la quota della marca privata con consumi saturi, la private label consente alle aziende di distribuzione di sviluppare una politica d’insegna in sintonia con le condotte di crescita della marca propria, con ciò assumendo un sistema di responsabilità di marca del tutto simile a quello dei produttori. Questi ultimi, Dicembre 2006 d’altro canto, con le private label possono svolgere nuove funzioni di assortimento e di profondità di offerta stimolando il confronto diretto sui prezzi di vendita di bolle di mercato per offerte promozionali (e sottocosto). Nei mercati globali e in eccesso di offerta la private label afferma un nuovo ed esteso potere delle grandi insegne d’intermediazione commerciale, accentuando la dimensione competitiva oltre l’ambito locale e la produzione nazionale. E ciò rispetto a un numero crescente di merceologie di basic product (tra cui latte, vino, carni, formaggi, pa- nei diversi paesi, ma va considerato che il tasso di crescita della marca privata è funzione di fattori macroeconomici, di competizione orizzontale e di rilevanza del value for money per il consumatore, che sono propri, ormai, di tutto il continente. In questo senso si assiste a un posizionamento “europeo” che convenzionalmente si articola su 3 diverse collocazioni nella scala prezzi (good better best) negli assortimenti, rappresentando la capacità dei marchi propri di “parlare” con successo ai diversi consumatori, e al contempo di soddisfare i “bisogni” dei distributori nell’articolare la propria offerta. Nel nostro paese la storia del prodotto Coop ha avuto una genesi, un carattere e un percorso estremamente originali, realizzando un successo imprenditoriale (il prodotto Coop oggi rappresenta oltre il 30% delle vendite di private label nel nostro paese, ben oltre, quindi, il peso dell’insegna) e distinguendosi attraverso temi come la qualità e la convenienza per la salute e il potere d’acquisto del consumatore. Il nuovo ruolo. Con oltre 1.000 prodotti confezionati alimentari, più di 500 prodotti non alimentari e un largo presidio dei freschissimi, i prodotti a marchio Coop sono presenti nei carrelli della totalità delle famiglie che frequentano i punti di vendita dell’insegna. Nel grocery la quota interna del prodotto Coop ha raggiunto il 19% delle vendite, un valore “europeo” se si considera la mancanza di presidio dell’importantissimo settore degli alcolici. Differenti linee di prodotto compongono l’assortimento a marchio (Bio-logici, Eco-logici, Crescendo, Fior fiore, Essere, Soluzioni, Solidal) con una logica di gestione intersettoriale che fa della domanda servita, e quindi del positioning espresso, il driver di gestione della gamma. Alcune azioni di Coop hanno visto come protagonista il prodotto a marchio (il latte in polvere per l’infanzia a soli 9 euro, la prima polo equosolidale in Italia, una linea di prodotti senza glutine per celiaci con risparmio per il consumatore oltre il 40% sui prezzi normalmente praticati, o il successo dell’innovativa linea di creme solari) delineando, anche per il nostro paese, una realtà dove anche i retailer diventano protagonisti dell’innovazione e del cambiamento dei fondamentali dei mercati. Vincenzo Tassinari, presidente Coop Italia ne), ingegnerizzati da aziende transnazionali (con corporate brand e product brand ad altissima notorietà) e realizzati con processi produttivi a fasi multiple e localizzate in paesi diversi. Per cui, per esempio, un latte prodotto in stalle francesi, intermediato da una multinazionale svizzera, confezionato in Italia e venduto infine da un’insegna tedesca del trade operante in Italia si può considerare un prodotto nazionale? Silvio M. Brondoni, *professore ordinario di Marketing Università degli Studi di Milano-Bicocca MARK UP 129 Primo Piano Carlo Sangalli Matteo Colaninno Paolo De Castro PRESIDENTE CAMERA DI COMMERCIO MILANO PRESIDENTE GIOVANI CONFINDUSTRIA MINISTRO AGRICOLTURA AMBULANTI, ARTIGIANI E NEGOZI: UN’IMPRESA SU 4 È STRANIERA LOTTA ALL’EVASIONE PER FINANZIARE LO SVILUPPO IN ITALIA LA GDA FRANCESE E TEDESCA TRAINANO PRODOTTI AGRICOLI STRANIERI CONCORRENZA & MERCATI GLOBALI Commercio ambulante moderno e sviluppo locale Il moderno ambulante, non più figura debole e polverizzata, rivendica un cambio d’identità anche globale. Già iniziato Silvio M. Brondoni l commercio ambulante in Italia sta registrando negli ultimi anni un grande successo. In effetti si stima che circa 23 milioni di italiani effettuino almeno un acquisto alla settimana in un mercato. Nei capoluoghi si svolgono ogni giorno circa 1.000 mercati, quelli periodici sono mediamente 8.000, mentre gli addetti del settore sono circa 140.000. Il comparto food, dove primeggiano ortofrutta, pesce, salumi e formaggi, e il non-food, con il primato di abbigliamento e tessile nonché molti settori emergenti, segnalano vertiginosi aumenti di fatturato (con valori a due cifre, ma solo sussur- I www.unimib.it/symphonya 26 MARK UP rati) con percentuali di crescita superiori alla Gda e allineate al progressivo cedimento dei negozi di vicinato che, nei trascorsi 10 anni, hanno denunciato assenze sempre maggiori (c’è il panettiere, ma manca il fruttivendolo; c’è il bar, ma manca il calzolaio ecc.) dovute anche alla colpevole mancanza di pianificazione e coordinamento delle varie associazioni e degli organismi pubblici regionali e locali (Notti bianche e Shopping sotto le stelle, per esempio, sono iniziative lodevoli, ma troppo episodiche). In realtà gli ambulanti, cioè gli operatori commerciali su aree pubbliche, non rappresentano più un’attività economica debole e polverizzata. Il moderno commercio ambulante ha perso, infatti, la specifica caratteristica della vendita itinerante che si manifestava recandosi dai cittadini e offrendo un servizio indispensabile a chi per lontananza, anzianità o mancanza di mezzi non poteva spostarsi per acquistare le merci. Gli odierni mercati hanno acquisito una condizione di stabilità - seppure periodica - e quindi, in concreto, sono come grandi centri commerciali all’aperto che, con opportuni programmi di sviluppo, possono costituire un potente ponte di cooperazione con la Gda e le strutture commerciali di prossimità. Il commercio ambulante moderno è, dunque, molto vitale e sviluppa continui e nuovi profili d’azione. Un caso emblematico è il mercato di Forte dei Marmi (Lu) che, tra molte polemiche, ha introdotto la politica di marca nell’ambulantato con maggiori responsabilità nei confronti dei consumatori e dell’erario. Un altro esempio si rileva nella rapida crescita di venditori delle nuove etnie, in particolar modo nel non-food, comparto ormai condizionato dalle centrali import dei paesi dell’Estremo Oriente. Infine, fenomeno più recente, il processo di concentrazione dell’offerta iniziato nel biennio 2004/2005 con -3% delle sedi del commercio ambulante a posteggio fisso. L A R E P L I C A I N 8 0 0 B AT T U T E L’ambulantato nel commercio moderno ambulantato è commercio moderno? Avrà un futuro? L’esperienza personale mi dice che al mercato sotto casa si può fare l’ordine di frutta e verdura via fax o con un colpo di cellulare, avendo la merce consegnata a domicilio. Nei mercatini itineranti nei paesi si passano momenti piacevoli, tra bancarelle caPAOLO BARBERINI ratteristiche, attraenti, con prodotti tessili e artigianali di originalità e qualità. Queste sono forme qualificate di comPresidente mercio, che hanno una propria capacità di attrazione e servizio, di Federdistribuzione in grado di vivere in simbiosi anche con i grandi centri commerciali, con reciproco vantaggio. Se questo è il futuro dell’ambulantato, non c’è dubbio che prospererà. Se, invece, prevarranno abusivismo, prodotti contraffatti e merci di basso prezzo la prospettiva non potrà essere che di breve periodo. L’ Novembre 2006 Primo Piano Pierluigi Bersani Bernabò Bocca Giuseppe Boscoscuro MINISTRO SVILUPPO ECONOMICO PRESIDENTE FEDERALBERGHI CONFTURISMO PRESIDENTE ASTOI ASS. TOUR OPERATOR ITALIANI IL TURISMO E IL COMMERCIO DEVONO MODERNIZZARSI AL TURISMO ITALIANO SERVE UN PORTALE NAZIONALE E UNA CABINA DI REGIA PER LE POLITICHE GLOBALI IL TURISMO È UN’INDUSTRIA CON I RISCHI E LE OPPORTUNITÀ DEI MERCATI GLOBALI CONCORRENZA & MERCATI GLOBALI Tour operator e turismo in eccesso di offerta Anche dal punto di vista del marketing le regioni guardano al localismo e rappresentano così l’anello debole nella catena del turismo globale Silvio M. Brondoni Italia, al quinto posto dopo Francia, Spagna, Usa e Cina nella graduatoria dei paesi più importanti per flussi di visitatori, conferma il valore strategico del settore turi- L’ stico come risorsa per l’economia nazionale, con un’incidenza sul Pil pari al 12% e oltre due milioni di persone occupate. I mercati globali, caratterizzati da eccesso di offerta, hanno tuttavia modificato in profondità il ruolo competitivo delle strutture e delle organizzazioni che compongono la catena del valore dell’economia del turismo, mutando di conseguenza anche il posizionamento competitivo del sistema paese: ecco perché l’Italia decelera rispetto ad altri paesi, a cominciare dalla Spagna. D’altra parte, in Italia le regioni spingono sul localismo: prive di un coordinamento centrale forte, rappresentano l’anello debole della catena del turismo globale. Appare, in effetti, superata la tradizionale leadership competitiva delle bellezze naturali, basata su attrattive paesaggistiche, strutture ricettive e alberghi poco sofisticati, flussi turistici di prossimità, alta rotazione della clientela. La globalizzazione esalta invece ruolo e funzioni dei tour operator, capaci di motivare e muovere enormi flussi di domanda, interna e dall’estero, e soprattutto in grado di gestire, tramite comunicazione, marketing e finanza, relazioni competitive complesse tra vettori e compagnie di trasporto, strutture di entertainment e leisure, molto differenti e organizzate “a pacchetto” (terme, benessere e relax, musei e percorsi culturali, corsi universitari e post experience, sport amatoriali e professionali ecc.), e strutture ricettive differenziate. In altri termini, un’economia del turismo basata sul primato competitivo dei flussi di domanda, dove le bellezze naturali si devono armonizzare con la “customer satisfaction” e soprattutto devono affermarsi nel confronto competitivo globale. Sui mercati globali e in eccesso di offerta infatti i piccoli tour operator, con ridotte capacità di marketing e finanziarie (e quindi con margini di redditività modesti) sono sempre più esposti alla supremazia concorrenziale delle grandi organizzazioni globali che, spesso anche in virtù di politiche pubbliche di valorizzazione, sono in grado di attirare capitali a elevata remunerazione e, inserendo le compagnie di assicurazione nella catena del valore turistico, di ridurre i rischi naturali e non con elevati livelli di soddisfazione della domanda. L A R E P L I C A I N 8 0 0 B AT T U T E Il turismo punterà sul servizio al turismo prodotto centrico tipico degli anni che vanno dai ’70 ai ’90, in espansione e poco concorrenziale, siamo passati a una competizione sempre più accesa e globale, accompagnata da crescita contenuta e frammentata ed eccesso di offerta. Gli operatori reagiscono monitorando ogni evoluzione con il Crm, DANIEL JOHN WINTELER anticipando le esigenze del cliente, dimostrando flessibilità operativa. Aziende molto strutturate, anche sotto il profilo finanPresidente e ziario, offrono prodotti turistici complessi, lavorando su tutte le leve amministratore del marketing e ogni fase del processo (gestione diretta e partnership delegato forti). In tale ottica i tour operator di grandi dimensioni e con visione Alpitour World. globale costituiscono i soggetti della filiera turistica destinati a percepire il mercato e a realizzare prodotti adatti per le nuove esigenze a vantaggio del sistema economico nel quale operano. “D www.unimib.it/symphonya 26 MARK UP Ottobre 2006 Primo Piano Fabio Fazio Gianni Ravasi Silvio Garattini PRESENTATORE TV PRESIDENTE LEGA LOTTA AI TUMORI DIRETTORE ISTITUTO MARIO NEGRI PER SMETTERE DI FUMARE? OCCORRE VIVERE UN’ESPERIENZA DIRETTA DEI DANNI IN ITALIA IL 20% DEI RAGAZZI INIZIA A FUMARE PRIMA DEI 15 ANNI ISTITUZIONI, SERVIZIO SANITARIO E FAMIGLIE: POTENZIARE LA PREVENZIONE CONTRO IL FUMO CONCORRENZA & MERCATI GLOBALI Pubblicità, sponsorship e marketing delle sigarette 15.000 miliardi le sigarette accese nel mondo. Ma dove i consumi stagnano, la sponsorship sostituisce la pubblicità Silvio M. Brondoni industria delle sigarette è dominata da grandi corporation, con brand portfolio complessi, dotati di altissima visibilità e di straordinaria redditività. Il marketing delle sigarette si ricollega infatti a un oligopolio statico (poche grandi imprese con ridotta innovazione di prodotto), contraddistinto da un global lobbying che si confronta con le politiche degli Sta- L’ www.unimib.it/symphonya World advertising PAESE/ANNO 2003 Luglio/Agosto 2006 2004 66.027 63.271 108.897 35.609 55.712 76.827 2.413 178.691 minare il contrabbando interno, ma aumenterebbe i traffici illeciti da paesi non Ue; 3. la finalizzazione di comunicazione globale (sport sponsorship) e locale (trade merchandising e pubblicità “indiretta”) a obiettivi di profitto corporate. Nei paesi poveri e ricchi, comunque, il marketing delle sigarette si confronta con un comune, terribile fenomeno sociale: il continuo abbassamento dell’età in cui gli adolescenti iniziano a fumare. Una crescita globale di baby-fumatori che da un lato intercetta i modelli di successo individuale associati a sponsorizzazione sportiva e pubblicità indiretta, e dall’altro premia l’accesso dei minori al primo consumo (facilitato dal trade merchandising e privo di controlli nel free disposable), mentre è negletta la pubblicità (proprio nei paesi evoluti), controllabile negli effetti sociali ma molto più costosa. L A R E P L I C A I N 8 0 0 B AT T U T E Pubblicità diretta e indiretta el 1981 strinsi un’alleanza con un grande editore (la Rizzoli) per ottenere, con modalità provocatorie e pubbliche, la rimozione del divieto di pubblicità diretta dei prodotti da fumo in vigore fin dal 1962, introdotto per tutelare il Monopolio nazionale. Per due mesi, in aperta polemica con i sostenitori delTONI MUZI FALCONI lo Stato etico, uscimmo con pubblicità di marca sui giornali, pagando le relative sanzioni. Quella campagna fu interrotPresidente ta per iniziativa dei miei clienti, i produttori internazionali di sigaMethodos rette, quando alcune interrogazioni parlamentari e una dichiarazione dell’allora ministro della Sanità lasciavano intravvedere un ripensamento purché i produttori accettassero di eliminare la pubblicità indiretta. I miei clienti avevano già allora ben compreso come la pubblicità indiretta può essere più efficace di quella diretta. N (euro 000,00 val. lordi tot.) CINA 25.846 INDIA 71.628 INDONESIA 70.792 FILIPPINE 36.348 GERMANIA 54.042 SPAGNA 82.341 UK 7.932 USA 215.010 Fonte: Adex International ti-nazione (e di centrali sovranazionali Usa e Ue), per sostenere vaste e redditizie vendite di marca Nel mondo si fumano oggi più di 15.000 miliardi di sigarette e il consumo totale continua ad aumentare, anche se con andamenti molto diversi. La Cina registra il maggior consumo a livello mondiale, volumi di vendita in grande crescita (2005/04, +11,4%) e un’alta spesa pubblicitaria, come in tutti i paesi a basso sviluppo socio-economico. Nei paesi più evoluti, invece, i volumi diminuiscono, la pubblicità è sostituita (con minori costi, come di recente anche in Germania e Spagna) dalla global sponsorship e così i profitti rimangono ottimi. Nei “paesi ricchi”, infatti, la corporate profitability non deriva dai volumi (cedenti per selettività), ma da altri fattori: 1. il brand portfolio reengineering (Bat per esempio ha acquisito il brand italiano Ms); 2. il controllo competitivo di prezzo di vendita e prelievo fiscale (così oggi in Usa un pacchetto di sigarette ha un prelievo del 20% sul prezzo, mentre in Italia il prezzo medio è di 3,40 euro con tassazione del 75,5%). In tal senso, una politica di armonizzazione delle imposte tra i paesi Ue forse potrebbe eli- 2005 77.268 35.738 123.743 40.720 45.858 65.578 3.865 100.484 MARK UP 23 Primo Piano Andrea Guerra Alessandro Coesis Lucia Annunziata Gaetano Mele AD LUXOTTICA PRESIDENTE COESIS PAST PRESIDENT RAI DIRETTORE GENERALE LAVAZZA SISTEMA ITALIA DEVE SVILUPPARE AGGREGAZIONI DI IMPRESE PER TECNOLOGIA E CONOSCENZE DEI MERCATI I PARTITI CREDONO AI SONDAGGI QUANDO DANNO LORO RAGIONE I GIORNALI ITALIANI SONO LONTANISSIMI DAL PAESE BISOGNI E SENSAZIONI PSICOLOGICHE DETERMINANO CLUSTER E FASCE DI CONSUMATORI CONCORRENZA & MERCATI GLOBALI Sondaggi, market research e marketing research Il primato della marketing research deriva dalla evanescenza delle bolle di domanda e da prodotti altamente volatili Silvio M. Brondoni elle elezioni politiche appena trascorse i maghi dei sondaggi hanno sbagliato tutte le previsioni. E i quotidiani anche. Le grandi corporation, invece, da tempo utilizzano tecniche e metodiche specifiche per le mutevoli previsioni delle domande a struttura variabile, con ottimi risultati. In effetti, la market research delle imprese globali si basa su nuove relazioni di concor- N renza nella dimensione temporale (time-based competition) e spaziale (market-space competition), abbandonando i concetti di staticità e di contesti competitivi chiusi, difendibili da barriere fisiche o amministrative. Peraltro, spazi di competizione dinamici e aperti presuppongono un sistema informativo sofisticato, strutturato per decisioni di brevissimo periodo e con processi di comunicazione circolari (anziché lineari, da un emittente a molti riceventi passivi). I mercati globali e in eccesso di offerta, inoltre, mostrano un’elevata instabilità della domanda (volatilità delle scelte di acquisto; infedeltà e non fedeltà di riacquisto) e dell’offerta (accelerazione dell’obsolescenza; creazione di bolle di domanda). In eccesso di offerta, infatti, i confronti di acquisto non avvengono tra beni simili, ma tra alternative di consumo complesse (come, per esempio, in una scelta di acquisto tra jeans e occhiali da sole). L’esubero di offerta enfatizza, infine, la conoscenza del luogo e del tempo di scelta, per soddisfare (con offerte temporanee) le attese di comunità di consumatori instabili (bolle di domanda), individuate con processi aggregativi (ben differenti quindi dai processi disaggregativi di segmentazione). La disomogeneità dei mercati e la gestione dell’instabilità della domanda determinano una gerarchia tra marketing research e market research (che però pare ancora ignota nei sondaggi politici). La market research evidenzia intatti la rilevanza della competitive intelligence per acquisire “segnali di tendenza” sui fenomeni ambientali influenzabili. L’instabilità competitiva determina in effetti domande disomogenee e mutevoli, di volta in volta aggregabili con offerte temporanee. Le caratteristiche demo e socio-psicologiche non sono quindi significative per definire la domanda complessiva. Per contro, il primato della marketing research discende proprio dall’evanescenza e dalla mutabilità delle bolle di domanda, cioè dalla capacità delle imprese di comprendere e valorizzare l’instabilità di relazione tra i consumatori e prodotti a elevata caratterizzazione e volatilità. L A R E P L I C A I N 8 0 0 B AT T U T E Dalla market research alla marketing research recenti episodi politici, ma non era necessario attendere quelli, hanno posto l’accento su come il processo di ricerca sia diventato estremamente più complesso di prima. I consumatori si muovono, i prodotti si muovono, i media si muovono: in un siffatto scenario la speranza di poter “succhiare” le semPAOLO DURANTI pre più sfuggenti declinazioni dei “bisogni del consumatore” attraverso modalità tradizionali di ricerca viene progres- Amministratore sivamente meno. La segmentazione è un concetto da marketing del delegato giurassico, ma se applicato alle ricerche e articolato nell’infinita Nielsen Media composizione di tecniche, tecnologie, target, sistemi, benchmark Research internazionali ecc. trova una dimensione assolutamente attuale e South Europe. irrinunciabile per poter davvero “sentire” quello che i consumatori ci raccontano in corsa mentre parlano d’altro. I www.unimib.it/symphonya 22 MARK UP Giugno 2006