Parte 1 - Bicocca

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Parte 1 - Bicocca
Mark Up
•
Economia dell'impresa globale e market-driven management - Gennaio/Febbraio 2008
•
Benzine, global management ed economie di scarsità - Dicembre 2007
•
Servizi pre vendita, network e patrimonio di marca - Novembre 2007
•
Post-vendita, outsourcing e patrimonio di marca - Ottobre 2007
•
Private label e nuovi confini della concorrenza - Ottobre 2007
•
Luxury mass product ed eccesso di offerta - Settembre 2007
•
Milano, Milano: La nuova cultura del villaggio globale - Settembre 2007
•
Competitive intelligence e network globali - Giugno 2007
•
Licensing e licencing nella concorrenza globale - Maggio 2007
•
Telecomunicazioni, duopolio televisivo e concorrenza - Aprile 2007
•
Turismo incoming globale e mercati di prossimità - Marzo 2007
•
Network e cross-cultural management - Febbraio 2007
•
Network, distretti e cultura di concorrenza - Gennaio 2007
•
Prezzi, inflazione percepita, consumi e mercati globali - Dicembre 2006
•
Le vendite sottocosto trasparenti in Francia, meno in Italia - Dicembre 2006
•
La private laber ridisegna i confini del largo consumo - Dicembre 2006
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Commercio ambulante moderno e sviluppo locale - Novembre 2006
•
Tour operator e turismo in eccesso di offerta - Ottobre 2006
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Pubblicità, sponsorship e marketing delle sigarette - Luglio/Agosto 2006
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Sondaggi, market research e marketing research - Giugno 2006
Primo Piano
Bob
Nardelli
Patricia
Russo
Alessandro
Benetton
CEO CHRYSLER
CEO ALCATEL LUCENT
AD GRUPPO BENETTON
DOBBIAMO
ABITUARCI A
COMPETERE
IN UN MERCATO
PIÙ PICCOLO
LA NOSTRA LENTA
INTEGRAZIONE
CULTURALE HA
FAVORITO LA
CONCORRENZA
GLOBALE
BENETTON
COMPETE OGGI
CON LA SPAGNOLA
ZARA E LA
SVEDESE H&M
CONCORRENZA & MERCATI GLOBALI
Economia dell’impresa globale
e market-driven management
Con le relazioni competitive
dell’impresa si gestiscono le capacità
di apprendere
nuove frontiere del valore
Silvio M. Brondoni
mercati globali ridefiniscono lo spazio di
concorrenza (marketspace competition) e affermano un’economia di
impresa globale, i cui caratteri distintivi sono:
mercati aperti di approvvigionamento e di sbocco, senza confini fisici e
amministrativi; prodotti
sempre più sofisticati e
resi rapidamente obsoleti
da una facile imitabilità a
costi decrescenti; interrelazioni planetarie di concorrenza, che si sviluppano tra network transnazionali che vanno oltre le
organizzazioni multinazionali (o multidomestiche), tipicamente europee e legate a una ridotta
dimensione dei mercati;
I
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Gennaio/Febbraio 2008
e infine la trasformazione dei mercati nazionali
in sistemi socio-economici complessi, in cui comunicazione e distribuzione sono globali e interconnesse, gli Stati-na-
zione si confrontano con
organismi sovranazionali e l’impresa postula
nuovi valori di responsabilità e di Corporate social responsibility.
Nella produzione, in
particolare, la globalizzazione modifica l’organizzazione aziendale e il
ruolo delle alleanze strategiche, imponendo strategie di network collaborativo tra gruppi di aziende e promuovendo molteplici forme di cooperazione competitiva. In
contesti ad alta intensità
competitiva, le relazioni
di concorrenza tendono
così a intrecciarsi sempre
più con rapporti chiusi di
collaborazione e di cooperazione per controllare, almeno parzialmente,
le dinamiche competitive, con dimensioni d’impresa sempre più grandi e
una visione di mercato
globale.
Per quanto riguarda le
politiche di vendita, la
market-space competition enfatizza, inoltre, la
criticità della vision e della redditività a brevissi-
mo termine (per esempio
con il brand reengineering e il competitive pricing) e soprattutto esalta
la priorità della continua
innovazione di offerta e
non solo di prodotto, che
premia la gestione orientata alla conoscenza del
mercato e alla creazione
di un competitive customer value.
In effetti, nei mercati
globali (e soprattutto nei
mercati caratterizzati da
eccesso di offerta), il successo delle strategie aziendali dipende dalla capacità di apprendere dal
mercato nuove e originali
frontiere del valore e dalle
relazioni competitive instaurate dall’impresa. In
particolare, un sistema di
networking di collaborazione fra strutture interne, esterne e di co-makership sottolinea la criticità
di un sistema informativo
aziendale basato sulle
nuove tecnologie digitali,
finalizzato a valorizzare le
relazioni con la clientela
finale e in grado di generare un competitive cu■
stomer value.
L A R E P L I C A I N 8 0 0 B AT T U T E
Il cliente come leva competitiva
lcune esperienze innovative d’azienda, Deutsche
Bank tra queste, considerano il cliente soggetto coprotagonista delle proprie attività, il partner con cui migliorare costantemente la propria offerta, anche mediante un lavoro comune per la co-generazione di nuovi prodotti/servizi. In effetti, l’approccio tradizionale di markeROBERTO MADONA
ting considera il cliente l’oggetto destinatario della proHead of marketing
pria attività e la competizione aziendale si fonda sulla capacità di
private & business
generare vantaggi tecnologico-produttivi, di pricing o d’innovaclients Deutsche
zione di prodotto/servizio. L’approccio di customer competitive
Bank spa.
value attribuisce, invece, al cliente esistente la capacità di generare nuovo valore attraverso la relazione con l’azienda e lo trasforma, quindi, da obiettivo di marketing a fattore competitivo di successo aziendale.
A
MARK UP
19
Primo Piano
Jean-Claude
Trichet
Alessandro
Garrone
Michele
Marsiglia
PRESIDENTE BCE
AD GRUPPO ERG
PRESIDENTE FEDERPETROLI ITALIA
LA CORSA DEL PREZZO
DEL PETROLIO
SPINGE L’INFLAZIONE
LA DOMANDA
MONDIALE SUPERIORE
ALL’OFFERTA HA FATTO
CRESCERE I MARGINI
DI RAFFINAZIONE
LA SPECULAZIONE SUI
FUTURE DEL PETROLIO
È CIRCA 20-25 $
AL BARILE
CONCORRENZA & MERCATI GLOBALI
Benzine, global management
ed economie di scarsità
Le benzine in
Italia: né
marketing,
né Csr.
Distribuzione
bloccata e
Governi
con “tesoretti”
fiscali
Silvio M. Brondoni
a globalizzazione ha
creato nuovi confini
di competizione, privi di
vincoli amministrativi e
basati sul tempo (timebased competition), che
hanno spinto le grandi
corporation (su cui governi e pubblici poteri locali riescono sempre meno a intervenire) verso
un’impresa globale a
network, idonea a operare in contesti aperti e ad
alta tensione competitiva
L
(market-driven management). Nell’economia dei
mercati globali, infatti,
l’intensità competitiva va
oltre la numerosità e le
quote di vendita dei concorrenti, per misurare
piuttosto direzione e
complessità delle relazioni, ovvero il grado di interdipendenza di un’impresa rispetto ai competitor. Un’alta interdipendenza (cioè la presenza
di forti relazioni con i
mercati) segnala così una bassa competizione,
come avviene per le economie di scarsità (che equivalgono ai monopoli e
ai cartelli dei mercati
chiusi).
Nelle economie di
scarsità le imprese controllano le vendite nei
vari mercati fissando
nelle diverse aree il prezzo e le quantità prodotte
e vendute.
L’industria petrolifera
esprime un moderno esempio di global management in condizioni di
scarsità di offerta, che si
concretizza in un ridotto
numero di grandi corporation, pochi world
brand e una clientela
mantenuta omogenea
nei bisogni e stabile nei
consumi. Nelle benzine
la bassa interdipendenza
competitiva è avvalorata, inoltre, dal controllo
esercitato dai produttori
sui canali distributivi.
Questi ultimi configurano in effetti degli ambiti
locali di vendita, inseriti
però in network globali
di produzione, marketing e logistica (appunto
come postulato dall’economia d’impresa globa-
le). In Italia (che presenta un’attività di raffinazione multicountry, un
importante sistema logistico e forti consumi interni) il retail della benzina si concentra, per esempio, sulle imprese
del settore petrolifero
con un’alta concentrazione delle quote di mercato (Agip 30%; Esso
18%; Q8 10%; Ip 8%; Tamoil 8%; Erg 7%; Api
8%), mentre sono minime le vendite di altri canali, in particolare la
Gda. In sintesi, un tipico
oligopolio distributivo
locale, governato tuttavia da una gestione globale dell’offerta. D’altro
canto, il global management mira proprio a preservare la condizione base dell’economia di scarsità, cioè una ridotta intensità di concorrenza
nei mercati globali (come dimostrano le soft
entry globali dei colossi
cinesi Sinopec, Cnooc e
PetroChina). Con buona
pace per la non presenza
di Esselunga e Coop, e
per il tesoretto dell’extragettito fiscale italiano. ■
L A R E P L I C A I N 8 0 0 B AT T U T E
Benzina e co-branding
obiettivo di Auchan Italia è di avere un distributore presso tutti i suoi 45 ipermercati. Oggi i 15 distributori, uno a marchio Auchan e gli altri in co-branding, assicurano un risparmio che, anche grazie alle
carte Auchan, arriva a 10 centesimi al litro. Il numero
di distributori è raddoppiato negli ultimi due anni, graGIOVANNI MAZZA
zie ad alleanze con alcune compagnie petrolifere (Eni e
Direttore
Tamoil, ma non solo) espressa proprio con il co-branding, che tradi Auchan
smette al cliente “la qualità è garantita dalla Compagnia, il prezzo da
Carburanti.
Auchan”. Resta il rammarico per il permanere nelle regioni di un regime protezionistico, che impone un’ingiusta tassa a carico di famiglie e imprese, come hanno dichiarato sia l’Antitrust sia la Commissione europea: due voci di massima autorevolezza. Siamo sicuri che
saranno ascoltate.
L’
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MARK UP
Dicembre 2007
Primo Piano
Yi Wu
VICE PREMIER
REPUBBLICA POPOLARE
CINESE
FAREMO UN SISTEMA
DI CONTROLLI PER
GARANTIRE QUALITÀ
E SICUREZZA DEL
MADE IN CHINA
Massimo
D’Angelo
AD ACER ITALIA
CON IL TRADE
SMALTIAMO
L’USATO
IN REVERSE
LOGISTIC
Pierluigi
Bernasconi
COUNTRY MANAGER MEDIA
WORLD ITALIA
CON I BAR CODE
SUPPORTIAMO
NEI MAGAZZINI
LE SCELTE
DEI BUYER
CONCORRENZA & MERCATI GLOBALI
Servizi pre-vendita,
network e patrimonio
di marca
Credito al consumo e logistica
individuano servizi che motivano la
decisione d’acquisto oltre a produrre
vantaggi nei costi di transazione
Silvio M. Brondoni
ei mercati globali i
prodotti si differenziano con la gestione del
sistema delle risorse immateriali di prodotto
(product intangibile asset), ovvero branding policy, servizi pre-vendita e
servizi post-vendita. Nei
singoli spazi-tempi di
concorrenza la competizione sui mercati globali
impone, inoltre, di stimare la rilevanza delle diverse risorse immateriali di
prodotto per quantificare
gli sforzi da devolvere rispettivamente alla branding policy e ai servizi
pre e post-vendita.
N
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Le due tipologie
I servizi pre-vendita sono
progettati, in particolare,
dai produttori ed erogati
22
MARK UP
da questi ultimi e/o da società finanziarie specializzate (comunque controllate o collegate con i
produttori) direttamente
agli acquirenti finali oppure agli intermediari di
vendita (retailer, whole-
saler, prescrittori). I presale service si strutturano
in due grandi tipologie:
da un lato si individuano i
servizi (tipicamente riconducibili al marketing
di prodotto) pianificati e
realizzati per motivare prevalentemente su base
razionale - la decisione
d’acquisto di una data offerta, e dall’altro i servizi
(riferiti piuttosto al financial product) diretti a produrre specifici vantaggi
nei costi di transazione e
pertanto destinati a generare particolari motivazioni di scelta, esclusivamente economico-finanziarie. I servizi pre-sale
del primo tipo tendono,
quindi, a intervenire sulle
motivazioni di acquisto
del bene e sono finalizzati ad avvalorare gli investimenti aziendali devoluti alla brand policy e ai
servizi post-vendita. In
tale tipologia rientrano,
per esempio, i servizi presale di product consulting, che possono essere
offerti ai consumatori
tramite contatti personali oppure essere erogati
online al trade e a potenziali clienti.
Quelli a carattere
finanziario
Gli interventi dell’altro tipo, con un prevalente carattere finanziario, individuano, invece, nella logistic e nella reverse logistic
(contratti pre-vendita per
lo smaltimento di prodotti esausti, come televisore,
frigorifero ecc.) tipici esempi di pre-sale service
diretti agli intermediari di
vendita, mentre gli interventi pre-sale rivolti agli
acquirenti finali evidenziano la crescente importanza del credito al consumo. Quest’ultimo è offerto da strutture specializzate, sebbene spesso estranee alla politica di
prodotto, ed esercita una
forte “azione di appiattimento” dei caratteri distintivi di prodotto, indebolendo il “branding value” e la rilevanza competitiva dei servizi post-vendita (di fatto asserviti a
fattori elementari di negoziazione della vendita del
prodotto).
■
L A R E P L I C A I N 8 0 0 B AT T U T E
I servizi pre-vendita nell’automotive
a componentistica automotive presenta caratteristici servizi pre-vendita. Il primo è il development
support, che consiste nello svolgere in autonomia presso
il fornitore tutta la fase di sviluppo e validazione del prodotto, a livello di simulazione (design verification) e di
prove pratiche (product validation); è uno step in più del
ANDREA DELL’ORTO
co-development perché il fornitore si fa carico di tutte le
Executive
attività, operando però su input condivisi con il cliente. L’altro è il
consignment stock, di fatto un magazzino del fornitore localizzato vice president di
Dell’Orto spa
nelle vicinanze del cliente, che può gestire la sua produzione e i pagamenti in pull system. L’offerta migliore e la conseguente assegnazione di un business dipendono così, sempre più, dall’integrazione
di fattori cost-oriented con sofisticati servizi pre-vendita.
L
Novembre 2007
Primo Piano
Bob
Eckert
Paul
Krugman
Giuliano
Mosconi
CEO MATTEL
ECONOMISTA PRINCETON
UNIVERSITY
AD POLTRONA FRAU
ABBIAMO
RICHIAMATO ALCUNI
PRODOTTI
PER LA SICUREZZA
DEI BAMBINI
CRESCE IL REVERSE
OUTSOURCING,
DAI PAESI EMERGENTI
A LONDRA E NY:
LENOVO VA IN NORTH
CAROLINA
IL BRAND EQUITY
VALUE DIPENDE
DA CLIENTI FINALI,
VENDITE RETAIL E
ATTIVITÀ DI SERVIZIO
CONCORRENZA & MERCATI GLOBALI
Post-vendita, outsourcing
& patrimonio di marca
I servizi post-sale generano costi
che confliggono con gli obiettivi
di redditività di prodotto.
L’esternalizzazione
di servizi chiave determina
differenti politiche aziendali
Silvio M. Brondoni
ei mercati globali la
differenziazione dei
beni si realizza con i product intangible asset,
cioè branding policy, servizi pre-vendita, servizi
post-vendita.
In particolare i servizi
post-vendita (assistenza,
product up/down grading, manutenzione, riparazione, parti di ricambio, learning & training,
trade merchandising) assicurano, dopo l’acquisto, la piena funzionalità
di utilizzo di prodotti e
servizi. I servizi post-sale
(che si connotano per l’erogazione personalizzata
e i flussi informativi dalla
clientela all’impresa) generano ingenti costi, soprattutto in presenza di
N
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Ottobre 2007
obiettivi di alta customer
satisfaction e di stretto
controllo su tempi e modalità d’intervento delle
strutture dedicate. Nei
mercati globali i costi del
post-sale (spesso soste-
nuti prima delle vendite)
e i vantaggi della customization (comunque di
medio-lungo termine)
confliggono con gli obiettivi di redditività di prodotto, spingendo all’esternalizzazione di servizi chiave e allo sviluppo
di differenti politiche di
post-sale outsourcing,
connotate come:
- outsourcing for cost.
Minimizza i costi dei servizi (profit first of all),
strutturando con “subappalti a cascata” i centri operativi d’intervento e
spostando i centri virtuali
- come i call center - nei
paesi con bassi costi di
manodopera o forti incentivi alla localizzazione. Tipici esempi, Ge, Vodafone, Shell, Eni, cioè le
corporation in grado di
governare economie globali di scarsità, con trade
e consumatori del tutto
passivi. Rientrano in questo ambito anche i “monopoli locali” (Telecom,
Alitalia, Enel, Rai, Fs, Mediaset) dove il post-vendita, in concreto, “tiene lontana” la clientela;
- outsourcing for branding che, nel porre all’esterno il post-vendita, esalta la marca e la fedeltà
di riacquisto (client satisfaction first of all), come
si rileva nelle big company Heineken, Vw, Philips, Daimler, Philip Morris, Bat, P&G, Unilever e
più in generale nelle economie globali a concorrenza controllata, con
domanda finale e trade
attivi;
- outsourcing for value,
che esternalizza il postsale per massimizzare la
redditività di branding
policy e dei servizi prevendita (soprattutto di logistica per il trade e di
credito al consumo per i
clienti), cui si subordina
il riacquisto e la fidelizzazione del post-sale (quindi in un’ottica business
value first of all). Come
avviene, per esempio, in
Sony, Toyota, Honda,
Coca-Cola, ossia nelle
imprese che operano in
economie in eccesso di
offerta, con un trade
competitivo e consuma■
tori non fedeli.
L A R E P L I C A I N 8 0 0 B AT T U T E
Post-sale, brand e costi Gda
el settore degli elettrodomestici il servizio postvendita è strategico. Da sempre Candy ha puntato all’eccellenza, con l’obiettivo di differenziarsi dai
competitor e di fidelizzare l’acquirente finale attraverso
un rapporto positivo con la marca durante tutta la vita
del prodotto in uso. Dai primi anni ’60 ha garantito l’inBEPPE FUMAGALLI
tervento in casa dell’utente entro 48 ore dalla chiamata
in tutti i paesi europei e negli anni ’70 ha introdotto la garanzia Direttore generale
settore piccoli
estesa a 5 anni. Oggi le principali criticità nell’erogazione del
elettrodomestici
servizio sono: 1. I costi di un’organizzazione molto complessa;
Candy
2. Il rapporto con la grande distribuzione, che tende a sostiElettrodomestici.
tuirsi alla marca nella fase immediatamente successiva all’acquisto con azioni di “money back’” i cui costi sono però in gran
parte a carico della marca stessa.
N
MARK UP
35
I consumatori
CONQUISTE • PER I MARCHI DEL DISTRIBUTORE TREND DI CRESCITA SOSTENUTI E PIÙ COMPLESSI
Private label
e nuovi confini della concorrenza
La popolarità raggiunta in Europa dalle marche d’insegna è motivata dalla
possibilità di acquistare prodotti alimentari, non-food e servizi con una qualità
garantita dal distributore a prezzi più bassi
di Silvio M. Brondoni*
e private label stanno
conquistando un numero sempre maggiore di
consumatori che, con
percentuali di crescita
senza precedenti, in tutta
Europa sono sempre più
consapevoli dei caratteri
distintivi del marchio del
distributore e ne acquistano prodotti con comportamenti razionali e
L
non legati alla marginalizzazione sociale.
Le private label comprendono tutti gli articoli
venduti con il marchio di
un distributore al dettaglio e possono raffigurare
l’insegna del dettagliante
stesso, ma anche un nome di fantasia di proprietà di una catena o appartenente a gruppi di
MARKET SHARE DELLA PRIVATE
LABEL COOP
Fonte: Coop Italia
50
MARK UP
vendita all’ingrosso. Nel
comparto alimentare della Gda a sede fissa (l’unico dove vi sono stime abbastanza sicure) i paesi
europei che registrano le
più alte percentuali di
crescita di acquisti di prodotti con marchio del distributore sono i Paesi
Bassi e la Germania,
mentre i maggiori incrementi percentuali di consumatori divenuti più
consapevoli della private
label si riscontrano in Regno Unito, Spagna e
Francia.
I dati di vendita evidenziano la popolarità raggiunta in Europa dal
marchio del distributore
e indicano trend di crescita decisamente sostenuti (e più complessi,
perché estesi anche al
non-food e ai servizi).
Dove si radica
la private label
Le quote di mercato, espresse in volume e stimate da ACNielsen per i
principali paesi europei,
mostrano, per la verità,
un sistema continentale
decisamente composito,
con quattro realtà molto
differenziate.
Da una parte si posizionano i paesi ad alta penetrazione delle food private
label (come Svizzera, Regno Unito e Germania),
all’estremo opposto si collocano, invece, i paesi a
bassa penetrazione (come
Ungheria, Austria, Repubblica Ceca, Polonia e
Italia).
Le quattro distinte tipologie di consumo delle
private label in Europa
sono spiegate da diversi
fattori, tra cui, innanzitutto, la difforme consistenza delle catene globali
di distribuzione e il differente peso della pubblicità nei singoli paesi, in
particolare per quanto riguarda il mezzo televisivo. Da non dimenticare,
poi, la diversa quota di
consumatori (con peso
maggiore nei paesi europei più ricchi), fedeli a un
numero sempre più ristretto di marche globali
ad alta caratterizzazione,
ma poco interessati ad acquistare marche industriali generiche, sia nazionali sia regionali, a cui
preferiscono un sistema
di private label (club, premium, tattiche, primo
prezzo).
Qualità e risparmio
alla base del successo
della private label
Il futuro a lungo termine
del marchio del distributore pare, in ogni caso, in
grande crescita. Le ragioni di tale previsione risiedono nella constatazione
che i giovani consumatori,
dai 25 ai 35 anni, sono sostenitori molto convinti
dei prodotti a marchio del
distributore e una quota,
sempre maggiore, di acquirenti europei richiede
ai retailer di fiducia una
vasta gamma di prodotti
con marchio proprio. Si è
sviluppata, inoltre, la convinzione che la qualità ricopra la stessa importanza del prezzo come fattore
chiave di scelta dei prodotti a private label, per la
fiducia riposta nella selezione del dettagliante. Infine, le politiche di prezzo
delle food private label sono ancora elementari (soprattutto nei paesi a bassa
e media penetrazione), a
Ottobre 2007
EUROPA - FOOD PRIVATE LABEL
differenza delle non-food
private label dove la gestione di bolle di domanda
impone pricing sofisticati.
La private label rappresenta, in sintesi, l’opportunità di acquistare (senza
aspettare offerte speciali e
vendite promozionali)
prodotti alimentari, nonfood e servizi con qualità
garantita dall’insegna della catena distributiva a un
prezzo minore rispetto agli articoli con marca nazionale o regionale. I prodotti con il marchio del distributore si affermano,
infatti, con una qualità intrinseca uguale, talvolta
addirittura migliore, a
quelli con marchio industriale e il consumatore è
rassicurato che siano soddisfatti gli standard e i requisiti di qualità imposti
dal retailer.
Un’offerta completa
Supermercati, ipermercati, drugstore e discount
offrono, attualmente, un
ampio ventaglio di beni
con il marchio del distributore.
Le private label coprono, in effetti, intere gamme di prodotti alimentari
freschi, inscatolati, surgelati ed essiccati, merendine, snack, biscotti, cibo
per animali domestici,
prodotti sanitari e di bellezza, medicinali da banco, cosmetici, detersivi,
prodotti per la pulizia della casa, prodotti per il bricolage e per il giardinaggio, vernici, ferramenta e
accessori per la manutenzione delle automobili,
schede per la telefonia
mobile.
Le dimensioni
degli attori
Le imprese che producono articoli a marchio del
distributore sono riconOttobre 2007
ducibili a tre principali
categorie. Vi sono, innanzitutto, le imprese di
grandi e grandissime dimensioni, spesso addirittura network globali, che
producono gli stessi beni
con propri marchi e con
marchi dei distributori al
fine di ottenere, soprattutto, vantaggi competitivi di posizione nei confronti di competitor della
stessa categoria merceologica di offerta.
Si trovano, poi, le piccole e medie imprese, sia regionali sia locali, che si
specializzano nella produzione di beni con il
marchio dei distributori
spesso su specifiche imposte da singoli retailer.
Infine, sono presenti sul
mercato dettaglianti e
grossisti di grandi dimensioni, in genere con centrali di acquisto su scala
internazionale, che possiedono propri stabilimenti di produzione e
realizzano prodotti su
specifiche richieste, sia di
contenuti sia di formati,
con i marchi dei diversi
distributori.
Le grandi catene di distribuzione al dettaglio,
con alti e crescenti tassi di
redditività per effetto della dimensione di acquisti/vendite del network,
stanno progressivamente
focalizzando la gestione
della politica di marca
propria (own brand), riducendo lo spazio competitivo e la redditività delle
marche industriali locali.
In tal senso il trade genera
un’evoluzione della concorrenza sul prezzo, capitalizzando su vasta scala
il patrimonio di marca
della private label. Di conseguenza, le grandi corporation quali Johnson &
Johnson, Nestlé, Unilever,
Procter & Gamble devono
PAESI AD ALTA PENETRAZIONE
(in %)
49
43
42
41
Svizzera
Belgio
Regno Unito
Germania
PAESI A MEDIA PENETRAZIONE
33
32
Spagna
Francia
PAESI A PENETRAZIONE CONTROLLATA
28
26
25
24
21
Svezia
Finlandia
Portogallo
Paesi Bassi
e Danimarca
Norvegia e
Slovacchia
PAESI A BASSA PENETRAZIONE
20
19
18
16
14
Ungheria
Austria
Repubb. Ceca
Italia
Polonia
Fonte: elaborazione dell’autore su dati Nielsen
oggi competere con i loro
maggiori clienti, cioè le
grandi catene di distribuzione, come Carrefour,
Cvs, Tesco, Metro, WalMart (e in Italia anche
Coop) e soprattutto devono attivare nuove strategie di collaborazione
competitiva.
La marca d’insegna
anche per i beni di alta
qualità
La private label riguarda
oggi prodotti e servizi di
un ampio spettro di industrie a livello globale, che si
estende dall’alimentare ai
cosmetici, dall’abbigliamento al web hosting. Nei
vari settori la marca commerciale si posiziona, generalmente, su livelli di
prezzo più contenuti delle
marche industriali, anche
se di recente alcune private label hanno introdotto
linee di offerta premium
con elevati standard di
qualità. In effetti, nei paesi
europei a bassa penetrazione, le private label del
comparto alimentare sono
spesso associate a offerte
di basso prezzo, mentre altrove le marche dei distributori rappresentano
un’offerta più articolata,
connessa anche a beni di
alta qualità. Il concetto è
stato esteso, di recente, alle offerte web, con beni conosciuti come “Plr” (private label rights), cioè prodotti intermediati in grandi quantità per popolare
rapidamente determinati
siti, sfruttando il traffico
generato dai motori di ricerca. In breve tempo la
qualità di questi Plr è aumentata notevolmente
(per esempio, nei farmaci
acquistabili online), fino a
definire prodotti e servizi
con caratteri specifici e legati a software che automaticamente generano varietà personalizzate di
questi beni.
La complessa concor-
renza verticale e orizzontale delle offerte con le private label evidenzia uno
scenario di mercato dove i
fattori di successo per i
prodotti a marchio riguardano, da un lato, la loro caratterizzazione (product
personality) e, dall’altro, i
contenuti di servizio,
marketing e immagine.
Proprio quest’ultimo elemento diviene critico nella
creazione di valore: come
avviene nella realtà italiana del food, “primo prezzo”, “biologico” e “premium” rischiano, sovente,
di cannibalizzare le marche d’insegna, proprio per
le deboli immagini di marca e, quindi, per la sostanziale incapacità del consumatore di riconoscere i posizionamenti qualitativi e
di prezzo delle diverse offerte con private label.
*Professore ordinario
di Marketing Università
degli Studi di
Milano-Bicocca
MARK UP
51
I consumatori
PERSONALITÀ DI MARCA • UNICITÀ ED EMPATIA PER UNA DURATURA RELAZIONE CON IL CONSUMATORE
Responsabilità e fiducia,
anima della private label Coop
Per una solida brand equity dei prodotti a marchio sono fondamentali il packaging e la comunicazione, ma anche le manifestazioni e gli eventi coerenti con
i valori espressi dal brand
di Vincenzo Tassinari*
a dinamica positiva
delle private label italiane stimola nuove riflessioni su un particolare
ambito della loro gestione: il valore della marca
d’insegna.
Sotto questo profilo è
sempre più necessario operare sull’amministrazione della brand equity
dell’offerta a marchio,
proprio attraverso l’impiego di tutti i diversi
strumenti del communication mix di cui ormai
anche il distributore di-
L
spone. Si tratta di prendere coscienza che anche
per la private label, analogamente ai grandi brand
industriali, la personalità
della marca, i suoi attributi e i valori che esprime
ne condizionano in modo
determinante il successo.
In questo senso occupare in modo positivo la
mente e il cuore del consumatore rappresenta un
imperativo dal quale non
si può prescindere in una
moderna gestione della
private label nel nostro
LA BRAND EQUITY
DELLA PRIVATE LABEL COOP
VALORE
VALORE
ATTRIBUITO SUPERIORE
2006
ALLA MEDIA
NAZIONALE
(% 2006)
ICONOGRAFIA
Notorietà
Chiarezza
Unicità
Attrattività
CREDITO
Empatia
Fiducia
Rilevanza
Fonte: Coop Italia
52
MARK UP
DIFFERENZA
TRA
2004-2006
(%)
89
67
36
67
11
11
13
7
+2
+4
+1
50
49
36
18
24
20
+1
+2
+2
paese.Tra i diversi vantaggi che una forte brand equity comporta, appare
degna d’interesse la maggior capacità di difesa
dalle competizioni sui
prezzi che sempre più caratterizzano lo scenario
del largo consumo moderno.
Una marca d’insegna
può essere
un grande brand
Coop monitora costantemente la relazione fiduciaria che la propria marca è in grado di mantenere, in maniera assoluta e
relativa, con il consumatore rispetto ai principali
competitor e ai maggiori
brand industriali. Sia nella relazione oggettiva (logo, prodotto, posizionamento) sia in quella emotiva, rappresentata in primis da fiducia ed empatia
con il consumatore, il valore accumulato consente
di inscrivere il prodotto
Coop nel novero dei grandi brand apprezzati dagli
italiani.
In particolare le caratteristiche di unicità e fiducia che connotano il
brand Coop sono il frutto
di un lungo percorso di
scelte sviluppate nel corso
del tempo. Sotto il profilo
della sicurezza dei prodotti giova ricordare, infatti, le scelte “storiche”
per l’esclusione dalle tavole degli italiani di coloranti, conservanti, ormoni, pesticidi e, più recentemente, di Ogm, di grassi
idrogenati, di produzioni
biologiche.
Per quanto riguarda la
tutela dell’ambiente, non
si possono dimenticare le
campagne per l’eliminazione dei fosfati nei detersivi o del Cfc. Sul piano
della convenienza va ricordata, oltre al quotidiano posizionamento dell’offerta, la proposta di articoli premium a prezzi
ragionevoli, così come,
negli ultimi tempi, la
campagna sul mercato
del latte in polvere per
bambini o dei prodotti
per celiaci.
Bisogna evidenziare, inoltre, l’impegno per il rispetto dei diritti dei lavoratori attraverso la sottoscrizione del codice etico
per tutte le forniture degli
articoli Coop e il grande
sviluppo dei prodotti del
commercio equo-solidale.
A tutto ciò va aggiunta
un’attenzione, mai venuta
meno, sul fronte della
qualità, quella intrinseca
ma anche quella percepita, proprio per chiudere
quel cerchio ideale rappresentato dalla soddisfazione del consumatore
che ogni marca vuole raggiungere.
Una comunicazione
a 360°
Di certo il sostegno di una
forte brand equity passa
necessariamente per l’impiego di mezzi di comunicazione che vanno oltre il
prodotto e le caratteristiche che lo contraddistinguono: si vuole in questo
senso esprimere la crescente importanza ricoperta dal packaging, dalla
comunicazione in store e
attraverso i media tradizionali, ma anche dalla
partecipazione a eventi
che, pur esterni al punto
di vendita, sono coerenti
con i valori espressi dalla
marca.
*Presidente Coop Italia
Ottobre 2007
Primo Piano
Massimo
Ferretti
Toni
Belloni
PRESIDENTE GRUPPO AEFFE
DIRETTORE GENERALE LVMH
PRESIDENTE LVMH
IL MARKETING
DEL LUSSO ESALTA
LA SORPRESA,
L’AUTENTICITÀ,
LA RARITÀ
COMPENSIAMO
I CAMBI NEGATIVI
CON AUMENTI
DI PREZZO
E COPERTURE
VALUTARIE
NEGLI ULTIMI
ANNI IL SETTORE
LUSSO HA
SEGNATO UN
TREND NEGATIVO
Bernard
Arnault
CONCORRENZA & MERCATI GLOBALI
Luxury mass products
ed eccesso di offerta
Le imprese cercano un posizionamento
nella fascia alta del mercato.
Imbattendosi con potenziali di consumo
mutevoli, instabili e spesso non fedeli
Silvio M. Brondoni
mercati globali e in eccesso di offerta determinano una crescente sovracapacità produttiva ed
esuberi di offerta mai sperimentati rispetto ai potenziali di domanda. Inoltre, le tecnologie digitali
del settore Ict imprimono
alla concorrenza ritmi incalzanti (time-based competition), con fenomeni
di: accelerazione dei processi d’innovazione; rapida imitazione; diffusione
globale delle innovazioni;
prezzi di vendita cedenti.
Questa nuova realtà di
mercato spinge le imprese
a cercare un posizionamento di prodotti e servizi nella fascia alta dei consumi, configurando una
nuova classe di “beni di
lusso di massa” che (nelle
aspettative dei produttori,
soprattutto del made in Italy di fascia media/me-
I
www.unimib.it/symphonya
Settembre 2007
dio-alta) dovrebbero assicurare margini più consistenti e un sistema competitivo di riferimento
meno affollato.
In realtà, anche nei
“luxury products” l’eccesso di offerta è divenuto un
fattore strutturale di sviluppo che impone alle imprese di confrontarsi con:
consumi irregolari e
spesso non fedeli; domande instabili; e soprattutto potenziali di consumo mutevoli.
Insomma, cambiano le
regole e l’instabilità nel
comportamento d’acquisto prende il sopravvento
sulla capacità di spesa come hanno sperimentato
taluni distretti orafi italiani (esposti alla concorrenza di prezzo e ai mutevoli
andamenti dei rapporti di
cambio delle monete forti) che subiscono i nuovi
scenari competitivi privi
di sofisticate capacità manageriali di marketing ed
esclusi dai circuiti della finanza globale.
La competizione
sulla base di nuove
filosofie di gestione
Per contro, i mercati globali e in eccesso di offerta stimolano le grandi
luxury corporation a
competere sulla base di
nuove filosofie di gestione, orientate al mercato
piuttosto che alla domanda (market-driven management) e quindi caratte-
rizzate da confronto continuo con i concorrenti,
confini di competizione
globali e instabili, alta sostitutività tra i prodotti e,
infine, performance condizionate dalla rotazione
oltre che dal margine.
Lo sviluppo dipende
dal livello
di sofisticazione delle
risorse immateriali
In tali condizioni lo sviluppo di lungo periodo
dell’impresa dipende primariamente dal livello di
sofisticazione delle risorse immateriali d’impresa
(corporate intangible asset), finalizzate a conseguire una redditività di
marca non inferiore al
2%, crescenti volumi di
fatturato sui mercati globali, vendite differenziate
nelle grandi aree geografiche e, infine, produzioni affidate a terzisti di alta qualità che sostituiscono l’artigianalità dei caratteri distintivi di prodotto (facilmente imitabili e con un’elevata volatilità delle spese di
marketing).
L A R E P L I C A I N 8 0 0 B AT T U T E
Mercato dell’auto e mass luxury products
ispetto al mercato dei luxury mass products, l’industria dell’automobile esprime alcune peculiarità: localizzazione delle unità produttive condizionata da vincoli
di natura normativa e logistica; mercati di sbocco profondamente differenziati tra loro in termini di potere d’acquisto
e di bisogni; cicli di vita e d’innovazione dei prodotti lunghi.
LUCA DE MEO
Ne deriva un comparto macroregionale anziché globale.
Crea valore, così, solo l’azienda in grado di costruire un’immagine coe- Amministratore
delegato
rente riconosciuta universalmente. In particolare, è dalla capacità di sudi Fiat
scitare in ogni parte del mondo le stesse emozioni e i medesimi sentimenAutomobiles
ti, seppure utilizzando lingue e stilemi diversi, che un prodotto e, sopratspa
tutto, un brand trae l’energia per accrescere e consolidare il suo valore. Fiat
500 ne è un esempio: parla in modo universale di Italia, stile, qualità, tecnologia ma anche e soprattutto di simpatia, innovazione e ottimismo.
R
MARK UP
21
Dossier
RIQUALIFICAZIONI URBANE
-
MILANO
Milano, Milano:
la nuova cultura del villaggio globale
Silvio M. Brondoni
a città di Milano è sempre stata caratterizzata da una “cultura del villaggio” molto aperta,
generosa e al tempo stesso laboriosa e rigorosa. Forse un po’ ipocrita,
talvolta, ma molto tradizionale e
sensibile alle novità.
I valori della “cultura del villaggio”, che hanno fatto di Milano la
più grande metropoli italiana, in
competizione con le maggiori città
europee, non si sono certo dissolti
negli anni recenti per effetto dei fenomeni sconvolgenti della globalizzazione e delle tecnologie digitali della comunicazione, che tuttavia hanno prodotto autentici terremoti sulle culture locali e nazionali, con migrazioni di massa di molti popoli, esplosione di una massificazione dei consumi senza precedenti e rapido livellamento - verso
fattori comuni, cioè verso il basso
- di usanze e costumi delle popolazioni. Sono fenomeni appunto dirompenti che si manifestano e mutano con velocità mai sperimentata in precedenza, a fronte dei quali
gli Stati-nazione e le città oppongono modalità e tempi di reazione
molto tradizionali e lenti. Lenti diventano anche i tempi di progettazione, i dibattiti si allungano su
tempi infiniti: sfociando in povere
chiacchiere e sogni che non si realizzano, restano sulla carta e producono rabbia e insoddisfazione.
In realtà, anche per le municipalità, i mercati globali determinano
nuovi confini d’intervento sociale
ed economico, con una profonda
modificazione dei rapporti temporali e spaziali di relazione e interazione che evidenziano, da un lato,
il tempo come fattore competitivo
(time-based competition) e dall’al-
L
40
MARK UP
tro l’abbandono di domini chiusi,
coincidenti con particolari contesti fisici o amministrativi (un paese, una regione, un’area geografica: market-space competition).
Appare, di conseguenza, fallace ricercare l’efficacia e l’efficienza di
risoluzione dei problemi di una
grande città come Milano nella
conquista di spazi fisici semplicemente più vasti (aree metropolitane), ma piuttosto si manifesta la
necessità di definire nuovi contesti
di consenso basati su conoscenza e
capacità progettuale. Una concezione statica e delimitata dello
spazio di sviluppo socio-economico risulta, infatti, superata nella
globalizzazione, dove specifici
contesti geografici sono demandati a esprimere vantaggi parziali, da
coordinare in un più vasto sistema
di operatività (market-space management). In altri termini, un impegno serio e costante da parte degli organi di governo delle città,
che va ben oltre lo slogan di un inesistente marketing del territorio,
inventato da consulenti intruppati
in comuni desiderosi di una “brillantina” ad altissimo costo.
La globalizzazione impone alle
municipalità una pluralità di spazi/oggetti di confronto e al contempo presuppone un sistema informativo coerente con orizzonti decisionali di brevissimo periodo,
basato su flussi informativi telematici e con processi aperti di comunicazione, invece dei tradizionali schemi monodirezionali, dall’emittente al ricevente passivo. I
mercati globali, in particolare, esprimono anche una nuova visione dei sistemi di relazione con le
comunità e con le organizzazioni
civiche locali, coerentemente con i
fabbisogni strategici e operativi di
organizzazioni con strutture complesse, in genere costituite da
network, che operano con molteplici punti decisionali (caratterizzati da delega e responsabilità elevate) e con tempi di azione-reazione molto ridotti.
Il cittadino globale
Il benessere economico degli ultimi trent’anni, l’innalzamento del livello di scolarizzazione e una diffusa cultura consumerista hanno
contribuito a rendere gli abitanti di
Milano (quelli che vivono la città,
perché in questa città lavorano,
studiano, hanno insomma relazioni con luoghi e persone della metropoli) esperti e professionali nei
loro comportamenti di vita. Un
tempo docili, facilmente manipolabili e limitati ai soli residenti (con
una “cultura del villaggio” molto
generosa, anche se elementare e un
po’ isolazionista), essi rappresentano ormai una forza organizzata e
strutturata che modifica la natura
stessa delle relazioni fra i territori
(i nuovi siti socio-economici, al posto dei quartieri; la città, con i suoi
simboli locali e globali; i siti virtuali, ormai fondamentali nel posizionamento di Milano), le istituzioni e
i nuovi cittadini globali. In particolare, il comportamento del nuovo
cittadino globale è caratterizzato
da: crescente supremazia della comunicazione dei cittadini verso le
istituzioni, nuove aspettative sociali, certezza circa le professionalità
di progettazione nel rispetto delle identità locali e dei valori della città.
Il primato
della comunicazione
dei cittadini
I cittadini vivono in una realtà (socio-politica e virtuale) in cui l’of-
ferta di comunicazione è continua
e sovrabbondante, la concorrenza
comunicazionale molto forte. Una
molteplicità di fonti d’informazione è organizzata per raggiungere i
cittadini, per acquisirne i pareri e
per favorire il dialogo critico, dal
momento che i nuovi cittadini globali vogliono essere sentiti, ascoltati, capiti, considerati e attribuiranno a sindaco e assessori ogni
causa d’insoddisfazione. Per contro, l’organizzazione delle istituzioni cittadine e delle numerose
organizzazioni non governative
(Ong) è ancora scoordinata, parziale e soprattutto carente nelle
tecnologie digitali di relazione e di
interconnessione con l’utenza. Un
chiaro esempio è costituito dal
ticket (tassa d’ingresso in Milano).
A fronte delle molte polemiche, il
sindaco non è ancora riuscito a
spiegare - nonostante la presenza
in consiglio comunale di sapienti
e bravi comunicatori - come la
nuova tassa sia collegata a un moderno uso della città (favorendo
l’ingresso operoso e il reintegro
dei costi ambientali) e a un vantaggio dei residenti (dal momento
che i cittadini potranno continuare a evitare il pagamento dell’addizionale comunale Irpef).
Le nuove aspettative
sociali
Il cittadino di Milano ricerca livelli di soddisfazione sociale più
complessi dei bisogni primari, esige da enti e organizzazioni della
municipalità soluzioni adatte a bisogni specifici e palesa in forme
sempre più organizzate nuovi valori, quali sicurezza, qualità della
vita, silenzio, tutela degli ampi
spazi verdi. In proposito, alcuni esempi clamorosi si rilevano nell’o-
Settembre 2007
Dossier
RIQUALIFICAZIONI
XXX
URBANE XXXXXXX
- MILANO
blio e nella superficialità degli
“spazi senza progetto” come l’outlet transnazionale di Sarpi-Bramante, l’area semidesertica Bicocca-Arcimboldi, San Siro e le nuove
periferie (private di una speranza
di sviluppo progettuale di alto
profilo dalla rinuncia, anni addietro, dell’assessore Del Debbio). Altri esempi, altrettanto clamorosi,
riguardano invece il fallimento
progettuale delle “isole pedonali”,
come Brera, corso Garibaldi, corso Como, lo scempio abominevole
delle Colonne di S. Lorenzo, i Navigli, tutti spazi dove le continue e
crescenti proteste degli abitanti,
sempre più coesi e organizzati, denunciano un serio impegno contro degrado e rumore, ma soprattutto contro la mancanza di un
reale progetto di sviluppo socioambientale.
Valori
locali e identità
I cittadini sono sempre più avveduti, informati e capaci di fare delle scelte a prescindere dalle suggestioni ideologiche. I rapporti tra
cittadini e istituzioni tendono così
a modificarsi a vantaggio di un
senso nuovo di responsabilità e a
fronte dell’evolversi della complessità delle popolazioni e del loro benessere. La globalizzazione
non determina, infatti, l’uniformazione dei comportamenti e degli stili di vita, ma riconosce semplicemente che esistono gruppi di
abitanti che da una parte presentano identici bisogni, ma dall’altra
esigono che un’economia di mercato di massa si combini con
un’attenzione rinnovata alle attese
dei singoli gruppi (etnici, religiosi
ecc.), nel rispetto di identità di comunità che in concreto segnalano
l’esigenza, oggi nel mondo più forte che mai, di preservare le differenze di civilizzazione (di nazioni,
religioni, razze e lingue), per mantenere e affermare le proprie differenze culturali.
*Professore ordinario
di Marketing - Università
degli Studi di Milano-Bicocca
Settembre 2007
MARK UP
41
Primo Piano
Michael E.
Porter
PROFESSORE
Alfred M.
Gray
GENERALE
USMC
DI MANAGEMENT HARVARD
BUSINESS SCHOOL
LA COMPETITIVE
INTELLIGENCE
È NATA
NEGLI ANNI ’70
IN USA
COMMUNICATIONS
WITHOUT INTELLIGENCE
IS NOISE.
INTELLIGENCE WITHOUT
COMMUNICATIONS
IS IRRELEVANT
Sam Walton
CHAIRMAN WAL-MART
Michael
Dell
CHAIRMAN
DELL COMPUTERS
VALUTA
I CONCORRENTI
CON GLI OCCHI
DEI TUOI
CLIENTI
CONCORRENZA & MERCATI GLOBALI
Competitive intelligence
& network globali
La globalizzazione esalta la priorità della
raccolta di informazioni. Coerentemente
con i fabbisogni conoscitivi
di organizzazioni e business complessi
Silvio M. Brondoni
mercati globali sviluppano nuovi confini
di competizione (con una profonda modificazione di tempo e spazio
di concorrenza) e impongono un sistema
informativo sofisticato
e coerente con orizzonti
decisionali di brevissimo periodo. La globalizzazione, in particolare,
esalta la priorità della
competitive intelligence
ed enfatizza anche una
nuova gerarchia delle ricerche di marketing sulle ricerche di mercato,
coerentemente con i
fabbisogni conoscitivi
di network globali con
organizzazioni e business complessi.
La competitive intelligence si riferisce alla
raccolta sistematica di
informazioni (pubbliche, ma spesso ignorate)
I
www.unimib.it/symphonya
24
MARK UP
con focus specifico sui
concorrenti. La competitive intelligence, in particolare, svolge un’azione
di monitoraggio su contesti e relazioni la cui conoscenza non è disponibile dalle informazioni
interne d’azienda, né
dalle ricerche di mercato
e di marketing.
La market research, in
effetti, è iniziata agli albori dell’industrializzazione - circa 50 anni prima della ricerca di
marketing - e finalizza le
indagini sul macroambiente d’impresa (contesto politico, normativo,
demografico, socio-culturale, economico e tecnologico) e sull’ambiente
operativo di prodotto
(domanda finale e consumo; domande intermedie; concorrenza; canali
distributivi; fornitori).
La ricerca di mercato,
pertanto, da un lato concerne fenomeni ambientali non controllabili
(come trend demografici e sociali) e, dall’altro,
riguarda fenomeni ambientali influenzabili
(come andamenti dei
consumi di prodotto, intensità della concorrenza, canali e sistemi distributivi ecc.).
La marketing research
acquisisce, invece, informazioni rilevanti riferite
ai parametri d’azione di
marketing: prodotto
(Product concept te-
sting; Customer use tests; Market tests; Segmentation analysis;
Product positioning &
mapping; Brand equity;
Brand awareness & image); prezzo (Cost/Quality analysis; Value analysis; Price bidding);
distribuzione (Channels
research; Sales & sales
management analysis);
comunicazione (Content, Media & effectiveness research).
Marketing research e
market research presentano, quindi, confini
teorici e operativi ben
distinti, che i mercati
globali e in eccesso di
offerta hanno ulteriormente specializzato,
con fini conoscitivi rispettivamente riferiti a
domanda e ambiente.
Fini che comunque sono
subordinati agli obiettivi della competitive intelligence, che opera
con tempi di azione-reazione molto ridotti e con
delega/responsabilità elevate, in una visione di
market-driven management.
L A R E P L I C A I N 8 0 0 B AT T U T E
Competitive intelligence
& network organization
a competitive intelligence in Ibm gioca un ruolo
importante nelle attività di marketing e opera, per
struttura di mercato e d’azienda, all’interno di un
network globale. Ma in un’organizzazione globale le riSTEFANO BALDI
cerche a livello mondo si intersecano con le analisi
svolte dalla competitive intelligence locale creando un sistema di
Market
informazioni a due vie. Il ruolo del marketing locale diventa perciò
intelligence
fondamentale per veicolare e selezionare il meglio: non è logico svolmanager,
gere tutte le analisi localmente, ma delegare solo a un team mondia- Ibm Italia spa.
le le ricerche sui competitor può essere pericoloso. Come chiedere a
un indiano che tempo farà domani in Italia: per quanto le sue ricerche siano accurate, è meglio guardare il cielo sopra Milano stasera...
L
Giugno 2007
Primo Piano
Bernard
Arnault,
Bernard
Fornas
Yang
Yuanqing
PRESIDENTE GRUPPO LVMH
PRESIDENTE RICHEMONT CH
PRESIDENTE LENOVO GROUP
I LUXURY
BRAND
DEL GRUPPO
SONO UNA FORZA
DEL MADE
IN FRANCE
CARTIER: UN
MARCHIO CON
GLAMOUR
ABBAGLIANTE
CHE ADATTIAMO
CON CURA
NEL MONDO
IL BRAND IBM
HA STABILIZZATO
IL NOSTRO
BUSINESS,
MA ORA
PUNTIAMO SUL
BRAND LENOVO
CONCORRENZA & MERCATI GLOBALI
Licensing & licencing
nella concorrenza globale
La globalizzazione dei mercati
modifica la competizione tra
le imprese imponendo nuove regole.
In questo quadro il licensing
valorizza il patrimonio di marca
Silvio M. Brondoni
icensing e licencing,
sebbene si pronuncino allo stesso modo,
individuano due politiche aziendali molto differenti nelle condotte di
sviluppo d’impresa. Il licencing (ovvero la cessione di licenza) riguarda, infatti, una strategia
di entrata indiretta nei
mercati internazionali,
con cui si cedono a
un’organizzazione estera definiti diritti di proprietà industriale, in relazione a un accordo che
stabilisce i limiti di produzione, le zone geografiche di vendita e il pagamento delle royalty
(“Marketing Lexicon”,
cap. 16, ed. Clueb 2000).
Per contro, il licensing
L
www.unimib.it/symphonya
30
MARK UP
(cioè la cessione dei diritti d’uso di un marchio)
concerne la concessione
da parte di un’impresa (licensor) a terze economie
(licensee) dei diritti di
temporaneo sfruttamen-
to commerci al e d i un
marchio (trade mark) ad
alta notorietà, spesso dietro pagamento di un compenso fisso (fee) o variabile (royalty) (“Marketing
Lexicon”, cap. 9).
In realtà, negli ultimi
15-20 anni, la produzione
di beni su cessione di licenza si è molto ridotta,
in quanto il progressivo
sviluppo del mercato globale ha marginalizzato le
problematiche di entrata
sui mercati internazionali (e quindi anche le produzioni e le vendite su licenza, che spesso sono
state eliminate per combattere le contraffazioni e
le limitazioni, soprattutto
dei paesi in via di sviluppo) e ha valorizzato, invece, le politiche di crescita
aziendale basate sugli intangible (e tipicamente
sul patrimonio di marca),
per opporsi alla volatilità
della domanda e fidelizzare la clientela.
La globalizzazione dei
mercati ha modificato,
quindi, le condizioni di
competizione, imponendo alle imprese nuove re-
gole per il conseguimento
di stabili performance, e
in tale ambito sono progressivamente cresciute
le potenzialità di sfruttamento dei diritti del marchio (licensing), come
strumento di comunicazione integrata, idoneo a
valorizzare un determinato patrimonio di marca
anche a pubblici e a settori di mercato nuovi, oppure altrimenti difficilmente raggiungibili.
Nei mercati globali e in
eccesso di offerta la crescente criticità competitiva delle risorse immateriali (e tra queste, le attese e le responsabilità attribuite dai consumatori
alla marca) enfatizzano
il ruolo del licensing
(non tanto per le royalty,
come da anni insegna
The Coca-Cola Co., che
ai ricavi ha preferito una
più alta politica di branding), ma piuttosto per la
capacità di rafforzare la
brand equity con operazioni modulari, variamente programmabili
per intensità, target e
mercato.
L A R E P L I C A I N 8 0 0 B AT T U T E
Licensing e patrimonio di marca
l brand licensing, ovvero la concessione dei diritti di
utilizzo di un marchio a fronte di una royalty o di una commissione fissa (fee), non rappresenta più un mero generatore di cassa (cash generator). Né un acceleratore del processo di diversificazione della propria offerta produttiva (brand enlarging), bensì un eccezionale
MASSIMO FRANZOSI
quanto strategico accrescitore del valore di una marca
Communication
(brand equity). L’ideazione, lo sviluppo, la produzione e la dilicensing
stribuzione di oggetti di comunicazione “marchiati” - esclusivi,
& co-marketing
distintivi e qualificati - al di là e al di fuori della propria attività
manager
principale (core business) conferiscono un valore aggiunto al
Fiat Group
prodotto/servizio caratteristico. Contribuendo a fare del brand
Automobiles spa.
un asset patrimoniale tout court. Oltreché l’emblema di un
mind style empatico e durevole.
I
Maggio 2007
Primo Piano
Pierluigi
Bersani
Corrado
Passera
Fedele
Confalonieri
MINISTRO DELLE ATTIVITÀ
PRODUTTIVE
AD INTESA-S. PAOLO
PRESIDENTE
MEDIASET
TLC:
RISORSA
STRATEGICA
DEL PAESE
LE BANCHE
DEVONO
FAVORIRE LA
MODERNIZZAZIONE
DEL PAESE
TLC E TV
COMMERCIALE
MARCIANO VERSO LA
CONVERGENZA
DELLE TECNOLOGIE
CONCORRENZA & MERCATI GLOBALI
Tlc, duopolio televisivo,
trade e concorrenza
La politica di prezzi multipli di duopolio in
ambito televisivo riduce l’efficacia
dell’advertising come strumento
competitivo tra le imprese.
Non favorendo una comunicazione
di convergenza digitale
Silvio M. Brondoni
n Italia più di 8 miliardi di euro annui di
pubblicità di cui oltre 4
miliardi di tv (dati IsteiBicocca, gennaio ’07)
non sembrano più sufficienti a garantire una
competizione positiva
tra le imprese e a favorire lo sviluppo economico
del paese. Proprio per
accrescere una maggiore
competitività, prima la
legge Gasparri (con l’introduzione del “tetto”
del Sic - Sistema Integrato di Comunicazione,
che però nessuno - neanche il ministro - fu mai in
grado di quantificare) e
più di recente il ddl Gentiloni (diretto ad accelerare il passaggio alla comunicazione digitale e a
permettere l’entrata di
I
www.unimib.it/symphonya
22
MARK UP
più operatori) hanno
cercato di contenere gli
effetti negativi del “duopolio molle” della pubblicità televisiva, ormai
visibilmente nefasto per
la crescita del paese.
Com’è noto l’Italia è, in-
fatti, l’unico paese dove
due aziende controllano
il 60% delle risorse del
mercato pubblicitario (e
dove, guarda caso, il trade è il meno moderno dei
paesi avanzati, e per di
più è dominato da grandi
catene straniere di distribuzione al dettaglio e all’ingrosso, molto aperte
alla comunicazione digitale). Inoltre, le difficoltà
della Rai a competere
con Mediaset nel mercato pubblicitario si sono
aggravate negli ultimi
cinque anni, condizionando anche lo sviluppo
delle nuove tecnologie e
l’innovazione dei format
di programma. La pubblicità televisiva offre, al
contempo, spot di qualità sempre più costosi
(costantemente acquistati da aziende di settori ad
alta protezione come telefonia mobile, auto e finanza) e spot in fasce a
bassa audience, con
prezzi accessibili anche
ai brand minori (come
maglieria intima, confetti ecc.). Nei mercati in eccesso di offerta, tuttavia,
una politica di prezzi
multipli di duopolio riduce drasticamente l’efficacia dell’advertising
come strumento competitivo. Con gli spazi pubblicitari televisivi a prezzi multipli, le marche deboli (in termini di notorietà acquisita e di copertura distributiva) riescono, infatti, a convivere
nella pubblicità con le
marche forti (cioè con una solida identità di marca), che però non cambiano i pesi relativi di distribuzione, mentre generano enormi spazi di
mercato per le private label e i prodotti unbranded extra Ue. Ecco perché il basso costo medio
è spesso criticato dai ceo
di grandi corporation,
che vedono una continua
perdita di efficacia della
pubblicità televisiva per
le fasce di consumo (non
solo giovanili) più esposte alla “comunicazione
di convergenza digitale”,
dove la mass advertising
si integra con i nuovi media ad alta profilazione
della clientela.
L A R E P L I C A I N 8 0 0 B AT T U T E
Media digitali e advertising
a tradizionale divisione fra below e above the line,
frutto di una visione che separava in maniera sprezzante l’advertising (insaziabile divoratore di budget) dalle altre leve di comunicazione - ovviamente collocate “sotto”, in un mucchio informe e plebeo -, ormai sopravvive
nei sogni di vecchi creativi e dei docenti d’antan. Ma baLUIGI CARICATO
sta cambiare prospettiva, uscendo dai confini dei singoli
Responsabile
paesi, per capire che la comunicazione è già nella fase del cambiaComunicazione
mento continuo e della convergenza. Paradossalmente la pubblicità
di Gruppo
si marginalizza proprio quando i media digitali si moltiplicano e diLegrand
ventano fruibili sempre e dovunque. Ma il media non è più il messaggio e il target non sta più fermo, ma vuole stare sulla scena di comunità virtuali. Che attirano anche i magnati della vecchia televisione.
L
Aprile 2007
Primo Piano
Francesco Rutelli
VICE PREMIER
CON DELEGA
ALLE POLITICHE PER
IL TURISMO
Maria Vittoria
Brambilla
Bernabò
Bocca
PRESIDENTE GIOVANI
CONFCOMMERCIO
PRESIDENTE
FEDERALBERGHI
LO SVILUPPO
DEL TURISMO
È FRENATO
DALLE INFRASTRUTTURE
PER L’INCOMING: RILANCIARE LA
PROMOZIONE, RIDURRE I DIVARI
FISCALI CON I COMPETITOR,
INVESTIRE IN INFRASTRUTTURE.
E UN MINISTERO FORTE A ROMA
E BRUXELLES
UN SISTEMA PAESE
SI DEVE COMPATTARE
PER OTTENERE
QUOTE DI TURISMO INCOMING
CONCORRENZA & MERCATI GLOBALI
Turismo incoming globale
e mercati di prossimità
Il sistema Italia
gode di una
programmazione
regionale debole.
Improntata
su fattori
competitivi
vecchi. Occorre
specificità
Silvio M. Brondoni
mercati globali e in
eccesso di offerta modificano i prodotti, le
strutture e le organizzazioni che competono
nella catena del valore
dell’economia del turismo. Di conseguenza
mutano anche i fattori
che determinano il posizionamento competitivo
del sistema paese (e infatti l’Italia - con politiche di sviluppo turistico
“conservative” e “artigianali”- rimane allinea-
I
ta ai paesi a bassa cultura di concorrenza, ma
perde quota rispetto ai
paesi più moderni, come
Spagna e Croazia). In Italia, d’altra parte, le regioni “spingono” il localismo e - prive di un
coordinamento centrale
“forte”- sono l’anello debole della catena del turismo globale. In effetti,
oggi è superata la leadership competitiva delle bellezze naturali, basata su: paesaggismo
delle località (svilite da
prezzi fuori controllo e
costi ambientali folli);
strutture ricettive e alberghi non moderni e poco
sofisticati; flussi turistici
di prossimità e alta rotazione della clientela
(“mordi e fuggi”).
La debolezza della programmazione regionale
italiana è divenuta evidente negli ultimi cinque
anni, dove il turismo “incoming” (nelle strutture
ricettive ufficiali) mostra
una crescita zero (in verità, al pari dei turisti
“domestic”, rimasti anch’essi stabili nello stesso
periodo). La strategia di
sviluppo del turismo italiano sui mercati esteri
ha puntato, infatti, sui
noti fattori localistici: enogastronomia (italian
lifestyle), citta d’arte, relax balneare/montano.
Cioè su fattori competitivi vecchi, non segmentanti, non destagionalizzanti, diretti a promuovere un turismo di prossimità e a basso valore
aggiunto. Fattori competitivi che soprattutto sono del tutto inutili per
posizionare il turismo in-
coming italiano ai livelli
alti dei nuovi protagonisti economici mondiali
(India, Sud Corea, Brasile, Russia, Cina, Sud Africa, Singapore, Malesia ecc.); cioè dei paesi
con una domanda turistica crescente e ad alto
valore aggiunto, ma connotata da bisogni molto
specifici.
Il sistema Italia, invece, prevede ancora un
posizionamento di portafoglio incoming molto
elementare e profilato
per paese. In altri termini, non si è ancora compreso che la globalizzazione muove enormi
flussi di turismo, interno e dall’estero, ma molto differenziati e basati
sul primato della specificità di domanda, dove le
“bellezze naturali” (anche “costruite”, come i
campi da golf) sono il
basic value della catena
del valore, da armonizzare con mass customization e customer satisfaction, in una concorrenza globale high value.
L A R E P L I C A I N 8 0 0 B AT T U T E
Tour operating e innovazione
del turismo
iposizionare la nostra offerta turistica sul mercato
mondiale presume superare un fraintendimento.
Arte, cultura e paesaggio non sono “prodotti turistici” di
per sé ma ingredienti base per un buon prodotto turistico, se correttamente dosati nella formula vincente per
GIUSEPPE BOSCOSCURO
conquistare cuore e spesa del cliente cui ci si rivolge. Lo
Presidente di
stesso per strutture e infrastrutture quali alberghi, aeroporti, trasporAstoi (Ass.ne
ti. Cruciale è pertanto l’attenzione dell’Amministrazione pubblica al
Tour Operator
ruolo dei tour operator italiani, che ogni giorno sondano i mercati eItaliani)
steri individuando segmenti di domanda e differenziando di conseguenza il prodotto proposto. Il successo di mete prive di risorse turistiche tradizionali ma molto orientate al marketing - come Dubai può essere d’ispirazione nel rinnovamento dell’offerta italiana.
R
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20
MARK UP
Marzo 2007
Primo Piano
E. Neville
Isdell
Thierry
Mulliez
Maria Rita
Lorenzetti
CEO THE COCA-COLA CO.
CEO AFM-AUCHAN
GOVERNATORE
REGIONE UMBRIA
A TALENTED
WORLDWIDE
MANAGEMENT TEAM
COORDINATES OUR
ENTREPRENEURIAL
NETWORK
CREIAMO SISTEMI
DI IMPRESE
PER PASSARNE
LA RESPONSABILITÀ
AI NOSTRI
FIGLI
L’UMBRIA APRE
ALLE RETI
DI IMPRESE
E CHIUDE
AI DISTRETTI
LOCALI ASSISTITI
CONCORRENZA & MERCATI GLOBALI
Network e cross cultural
management
La cultura
d’impresa
si orienta
a superare
gli ambiti fisici
di concorrenza.
Per sfruttare
le opportunità
dei mercati
aperti
Silvio M. Brondoni
e imprese si confrontano oggi in
mercati globali, ad alta
intensità competitiva e
soggetti a instabilità politica, sociale e tecnologica. Nessuna impresa può
pertanto confidare, come
in passato, solo sulle proprie risorse, conoscenze
e competenze. Lo sviluppo aziendale abbandona
così il predominio della
produzione realizzata
nella grande fabbrica capitalistica degli anni ’50 e
L
’60, dove si garantiva parità di trattamento a lavoratori efficienti e inefficienti, secondo il rendimento medio delle categorie professionali. Un
meccanismo semplice e
coerente con un modello
produttivo che si basava
su 30-40 anni di lavoro
nella medesima azienda,
che si facesse bene o male. Dagli anni ’80, tuttavia, l’economia globale
ha modificato profondamente imprese, produzioni e prodotti e i lavoratori (in un crescente di-
namismo produttivo e
commerciale) si misurano con svariate forme di
collaborazione, prive di
garanzie di stabilità
(contratti a termine, contratti di formazione, lavoro interinale, collaborazioni autonome continuative ecc.).
L’economia d’impresa
globale impone organizzazioni articolate, diffuse e fortemente interconnesse (network). Queste
strutture complesse privilegiano le capacità gestionali e le outsourcing
relation con co-maker e
partner esterni (competitive alliance). La cultura
d’impresa evolve pertanto in un cross cultural
management, orientato a
superare gli ambiti fisici
di concorrenza (market
space management) e
un’appartenenza aziendale localistica.
Nei mercati globali la
cultura d’impresa di
network consente, infatti, di omologare le organizzazioni con una uniformità stimolata e
controllata dalle reti di
comunicazione (inter-
net, intranet, extranet) e
presuppone valutazioni
multilivello di performance, con la stima della
sintonia strategica (coerenza dei risultati e dei
processi delle organizzazioni, relazioni di complementarità, chairman
leadership) e la stima
della sintonia operativa
(relazioni di interdipendenza delle strutture, responsabilità condivise,
management leadership).
Nei mercati aperti si
evidenzia pertanto la
centralità dell’orientamento competitivo al
mercato (market driven
management) e del
‘“cross cultural management”, cioè il primato di
una gestione aziendale
profit-focused su base
locale e globale, che non
si ripiega sull’organizzazione (come postulano i
mercati chiusi e a bassa
competizione), ma per
contro valorizza le opportunità dei mercati aperti, cioè la variabilità
della domanda e l’instabilità generata dalla concorrenza.
L A R E P L I C A I N 8 0 0 B AT T U T E
Networking e R&D globale
etworking per un’azienda globale vuol dire scambio di informazioni/esperienze in tempo reale fra
tutti i mercati del mondo. Vuole dire anche dare in outsourcing competenze che non sono legate al core business. Per un’azienda come P&G che vuole innovare rispondendo per prima alle esigenze del consumatore,
VITO VARVARO
networking significa avere un processo di Ricerca & Sviluppo aperto e connesso con il mondo esterno su base globale. In un Ad di Procter
concetto: da Research & Develop a Connect & Develop. Una trasfor& Gamble
mazione assimilabile a un “cremlino” inaccessibile che diventa un’ “aItalia.
cropoli” aperta a tutti, università, piccole aziende, ricercatori autonomi, istituzioni, per accelerare il processo innovativo arrivando più velocemente sul mercato con prodotti che creano valore per i consumatori e la distribuzione.
N
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22
MARK UP
Febbraio 2007
Primo Piano
Carlo Pesenti
Paolo Giaretta
Andrea Parodi
UNA CULTURA
AZIENDALE
COMPETITIVA CREA
NUOVI PRODOTTI
CON R&D
LA UE FRENA
GLI AIUTI
VINCOLATI
A DISTRETTI
E PMI
I DISTRETTI
SONO
IL RETAGGIO
DI UN’ITALIA
PASSATA
AD ITALCEMENTI
SOTTOSEGRETARIO
SVILUPPO ECONOMICO
VICEPRESIDENTE
UNINDUSTRIA TREVISO
CONCORRENZA & MERCATI GLOBALI
Network, distretti
e cultura di concorrenza
Reti d’impresa e sistemi-territorio fanno leva
su profili organizzativi differenti.
La cultura assume un ruolo centrale
esaltando le relazioni locali e globali
Silvio M. Brondoni
ei mercati globali la
market space competition spinge a valorizzare un profilo di cultura
d’impresa con forti caratteri competitivi, molto
differenti da quelli dei distretti, cioè i sistemi-territorio a bassa intensità
di concorrenza e difendibili con i confini fisici o
amministrativi.
I distretti produttivi locali sono, infatti, perimetrati da confini naturali o
da condizioni di limitazione della concorrenza
(per esempio, reti di trasporto obsolete, R&D ridotta e autoreferenziata,
brand policy e sistemi
informativi elementari,
forti ostacoli all’entrata
di manager dall’esterno,
soprattutto di etnie diverse da quelle locali), sono
dominati da una spinta
N
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20
MARK UP
conservazione delle produzioni e caratterizzati
da una scarsa diffusione
di moderne conoscenze
di marketing, finanza e
comunicazione.
Nei sistemi-territorio
la cultura d’impresa tende, così, a premiare le
tradizioni, i know how di
vocazioni produttive e le
risorse di specifiche aree
geografiche. In realtà, le
difficoltà di sviluppo dei
distretti (a cui è comunque attribuibile circa il
45% dell’export e il 27%
del valore aggiunto del
paese) mostrano la debolezza di una logica spontaneista di filiera basata
sul legame logistico-territoriale, che oggi può
addirittura costituire un
ostacolo.
Tra il 1991 e il 2001 i
distretti si sono ridotti,
infatti, da 199 a 156 e di
questi 140, cioè il 94,8%,
sono distretti del made
in Italy tradizionale (tessile-abbigliamento,
meccanica, beni per la
casa, pelletteria e calzature, alimentare, oreficeria), dove “prodotto in
Italia” è un “concepito in
Italia”.
In realtà, i mercati
globali impongono rapporti di filiera virtuali,
in cui lo scambio e le sinergie delle conoscenze
si integrano con le espe-
rienze, valorizzando una cultura aziendale finalizzata al confronto
competitivo e, quindi,
diretta a sviluppare la
comunicazione e i flussi
informativi, il decentramento produttivo, l’autonomia decisionale e la
responsabilizzazione operativa.
In condizioni di market
space competition (dove
si affermano politiche aziendali time-based, il
superamento degli ambiti fisici di operatività, la
visione sistemica delle risorse immateriali corporate e di prodotto), le imprese operano con strutture a rete (network) articolate, diffuse e fortemente interconnesse.
In queste aziende complesse, la cultura d’impresa assume un ruolo
centrale nel governo delle relazioni interne, esterne e di co-makership, esaltando la cultura di concorrenza dell’organizzazione e le relazioni profit-focused locali e globali.
L A R E P L I C A I N 8 0 0 B AT T U T E
Giovani imprenditori
e nuova cultura di concorrenza
elle imprese familiari, protagoniste dell’economia distrettuale, i giovani imprenditori sono portatori di una cultura della concorrenza più ampia di quella dei loro
padri. Occorre favorire la crescita di questa loro cultura,
dell’apertura all’innovazione a 360 gradi, della capacità di
mettersi in discussione in un’ottica globale, promuovendo lo sviluppo di corsi di formazione manageriali presso i centri aggregativi che molti di loro frequentano: le associazioni imprenditoriali. Sono più disponibili a condividere queste esperienze formative degli imprenditori senior, grazie all’esperienza scolastica più
prossima. E la collaborazione con gli altri attori formativi, le università più marketing oriented, si rivelerà preziosa, se i docenti
coinvolti sapranno aprirsi a un’esperienza sinergica.
N
SANDRO ROSOTTI
Vicedirettore
Assindustria
Monza e Brianza.
Gennaio 2007
Primo Piano
Enrico
Giovannini
Jim
Skinner
Vincenzo
Visco
DIRECTOR DEPT. OF
STATISTICS, OCSE
PER STIMARE
IL COSTO DELLA
VITA OCCORRE
INDIVIDUARE 30-40
INDICI CHIAVE
CEO, MCDONALD’S CORP.
VICEMINISTRO ECONOMIASISTEMA MODA ITALIA
IN MOLTI PAESI
CI SONO
INDICATORI
INDIRETTI DEL
TENORE DI VITA
IL PREZZO DI
BIG MAC È UN
PROXI DEL COSTO
DELLA VITA
IN 118 PAESI
CONCORRENZA & MERCATI GLOBALI
Prezzi, inflazione percepita,
consumi e mercati globali
In Italia l’indice
dei prezzi
al consumo
è statico e
incentrato su
prodotti
unbranded.
Esaltazione
del micro
localismo
Silvio M. Brondoni
i recente, per giustificare la crescente
parzialità degli indicatori
storici del costo della vita, si è introdotto il concetto di “inflazione percepita”, favorendo così una visione psico-sociologica, anziché elaborare
pochi indicatori chiari,
condivisi, disponibili in
tempo reale ed espressivi
dei consumi locali di
mercati globali. In effetti,
in Italia l’indice dei prezzi al consumo si basa su
D
un’organizzazione policentrica provinciale
(molto lontana dai moderni network), prevede
troppe posizioni rappresentative di beni, prescinde dalla “time-base competition” (ipotizzando
così consumi statici e un
trade passivo) e, infine,
esclude il peso delle imprese globali di produzione e di distribuzione
nella variabilità dei consumi.
Anche il metodo di calcolo presenta elementi
di perplessità, poiché
l’indice dei prezzi al consumo, coprendo parzialmente mezzogiorno
(84%) e isole (70%), è
sbilanciato su nord
(100%) e grandi capoluoghi, dove però l’alta
penetrazione della Gda e
i consumi di massa in eccesso di offerta determinano una forte sostituzione tra classi di prodotto - e quindi variabilità dei pesi di consumo che non è assolutamente
riconducibile alle percezioni, ma alle variazioni
temporanee dei prezzi
(per vendite promozionali e sottocosto).
In realtà, nel nostro
paese l’indice dei prezzi
al consumo raffigura un
contesto di distribuzione,
produzione e consumo
sostanzialmente statico e
incentrato su beni unbranded.
L’indice espressivo della variazione del costo
della vita si basa su 12 capitoli di spesa, che riportano a 38 categorie di
prodotto, riferite a 106
gruppi di prodotto, che a
loro volta riguardano 205
voci di prodotto; queste
ultime (che individuano
la soglia di pubblicazione
degli indici) sono costruite su oltre 500 posizioni
rappresentative di prodotti e servizi che a loro
volta conseguono dalla
rilevazione sul territorio
di oltre 1.000 prodotti. In
particolare, le posizioni
rappresentative individuano il livello minimo
di dettaglio dei pesi di
consumo.
Il calcolo dell’indice
prevede, inoltre, 86 capoluoghi di provincia (molti
capoluoghi non forniscono i dati, ma a ben vedere
questa carenza informativa non è oggi il problema principale) e 40.000
punti di vendita.
Si tratta di una dissipazione conoscitiva che esalta il micro localismo
(tipico degli Stati-nazione dell’800, quando fu costruito l’indice dei prezzi), ma offusca la significatività economica delle
variazioni dei prezzi, soprattutto tra mercati contigui (nazionali e di consumo).
L A R E P L I C A I N 8 0 0 B AT T U T E
Gli osservatori Coop e Indicod-Ecr
per prezzi e consumi
on le nuove tecnologie digitali gli attuali approcci
campionari per stimare l’inflazione potranno essere
superati e, nel caso della grande distribuzione, basarsi su
dati di tutta la rete di vendita. Un primo esempio in questa
VINCENZO TASSINARI
direzione è l’indice Indicod-Ecr - ancora poco noto - che
presidente
misura la variazione dei prezzi della grande distribuzione (-0,5% nel
Coop Italia
2005). Inoltre, a inizio 2004 Coop ha attivato un Nuovo Osservatorio
vicepresidente
Prezzi, con esperti nazionali di economia e distribuzione, che ha manteIndicod-Ecr
nuto la metodologia Istat di misurazione dell’inflazione (indice alimentari e bevande) e ha sviluppato un “Indice Coop” più sensibile (-1,2% nel
2005) di variazione dei prezzi, raddoppiando la numerica dei prodotti in
paniere (in media 1400 ogni mese) rispetto a quelli utilizzati da Istat.
C
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24
MARK UP
Dicembre 2006
Obiettivo Europa
PAESI A CONFRONTO • LA LEGGE GALLAND DEL 1996 SEMBRA ESSERE PIÙ IN LINEA CON LE COMPLESSITÀ ODIERNE
Le vendite sottocosto
trasparenti in Francia, meno in Italia
Dubbi crescenti in Italia dopo la soddisfazione iniziale. Si rischia l’indebolimento
degli operatori efficienti e un rallentamento dei consumi
di Silvio M. Brondoni*
ualche tempo addietro, in Italia, la
regolamentazione delle
vendite sottocosto era
stata salutata da trade e
industria con soddisfazione, dicendo: “Benvenuta la prima normalizzazione in Italia, benvenuta la lotta contro la discriminazione nelle condizioni di cessione dei
fornitori, benvenuto il
modello negoziale industria-distribuzione mirato allo sviluppo”. A distanza di pochi mesi,
però, ci si chiede: la legge sul sottocosto esiste
ancora in Italia? Le
Authority vigilano e hanno comminato qualche
sanzione? Oppure la legge è devastante, indebolisce gli operatori efficienti e il calcolo del
“sottocosto all’italiana”
(già criticato) introduce
elementi di discriminazione dei prezzi (e quindi potenti differenziali
competitivi di trading
globale) come nel caso
Italia-Francia?
Q
La situazione
trasparente…
In effetti, in Francia, la
legge Galland del 1996
definisce con chiarezza il
metodo di calcolo del li-
120
MARK UP
vello di sottocosto (SprSeuil de Prix de Revente)
e indica le sanzioni in caso di infrazione. In particolare, il livello di sottocosto (Spr) è fissato assumendo come prezzo di
riferimento quello esposto nella fattura di acquisto di un dato prodotto,
comprensivo del costo di
trasporto, delle tasse e
dei ristorni incondizionati acquisiti al momento della vendita (cioè i
cosiddetti “marges avant”, ossia i “margini
portati avanti” nella determinazione del prezzo
fornitore/distributore).
Ai fini del calcolo della
soglia del sottocosto, in
particolare, il prezzo indicato in fattura non può
comprendere il valore
dei ristorni condizionati
differiti e i premi di cooperazione commerciale
(tipicamente, i costi di
referenziamento e i costi
di specifici servizi di sostegno alla vendita): la
legge Galland prevede,
infatti, che questi ristorni e premi siano enucleati e fatturati separatamente dall’insegna di distribuzione (e i corrispondenti importi sono
definiti “marges arrière”,
cioè margini indietro, da
Dicembre 2006
retrocedere e quindi da
non imputare nella determinazione del livello
del prezzo di sottocosto).
La legge Galland ha
prodotto importanti conseguenze in termini di
trasparenza dei prezzi e
della riduzione della
concorrenza del trade
sul prezzo al dettaglio.
In particolare, il livello
di sottocosto (Srp) tende
a costituire un elemento
noto e, pertanto, il prezzo di vendita al dettaglio
configura un fattore a
crescente somiglianza
(flat competition) per
tutti i distributori e per i
diversi formati. La trasparenza del sottocosto
limita gli effetti di destabilizzazione e l’interesse
del trade a sviluppare
processi competitivi con
i produttori, per i quali
diminuisce inoltre la
convenienza a competere sul prezzo intermedio,
accentuandosi invece i
vantaggi a stipulare intese a largo raggio.
La legge Galland limita, infatti, la concorrenza
dei distributori sul prezzo al consumo, definendo una sorta di “prezzo
minimo” per il prezzo al
dettaglio delle marche
industriali; la concorrenza verticale tra i distributori si sposta così sull’ammontare dei “marges
arrière” (per i quali, ovviamente, i leader pagano importi meno elevati
dei follower) e la concorrenza orizzontale si sostanzia nell’economicità
e nella differenziazione
dell’offerta.
…e quella troppo
elementare
Per contro, in Italia la
legge si limita a definire
come “sottocosto” la
vendita al pubblico di
Dicembre 2006
prodotti a un prezzo (effettivamente pagato alle
casse) inferiore a quello
risultante dalle fatture
d’acquisto, maggiorato
dell’Iva e diminuito degli
eventuali sconti documentati e riconducibili
al prodotto. E questo
metodo di calcolo introduce, in realtà, rilevanti
componenti di discriminazione dei prezzi, perché (a differenza di
quanto accade in Francia) non regolamenta il
valore dei ristorni condizionati differiti e dei premi di cooperazione commerciale introducendo,
di conseguenza, potenti
differenziali competitivi
di trading globale. Per la
legge italiana, inoltre, le
vendite sottocosto sono
possibili tre volte all’anno, per 10 giorni al massimo, con un intervallo
di almeno 20 giorni e per
non più di 50 prodotti.
Sono esclusi, peraltro,
dalla regolamentazione
delle vendite sottocosto i
prodotti freschi deperibili, i prodotti da ricorrenza (come il panettone, trascorso il Natale) e
anche i prodotti tecnologicamente obsoleti. Ecco
perché il nostro paese è
aggredito da prodotti
(pc, telefonini, tv color
ecc.) di cui si strillano
prezzi bassi mentre si
sussurrano i caratteri
tecnici (e talvolta addirittura si celano, come
per i condizionatori con
Cfc di cui è vietata la
produzione, ma non la
vendita). E infine, naturalmente, la legge italiana esclude anche il commercio ambulante che,
privo di regole e norme
per le vendite sottocosto,
di fatto costituisce quindi una sorta di mercato
parallelo. In sintesi, la
Legge Galland esemplare
per chiarezza
FRANCIA
✓ È definito con chiarezza per legge il metodo di calcolo del livello di sottocosto.
✓ Ai fini del calcolo il prezzo indicato in fattura non può comprendere il va✓
✓
✓
lore dei ristorni condizionati differiti e i premi di cooperazione commerciale.
La concorrenza verticale tra i distributori si sposta sull’ammontare dei
“marges arrière”.
La concorrenza orizzontale si sostanzia in economicità e differenziazione dell’offerta.
Le sanzioni in caso d’infrazione sono indicate.
ITALIA
✓ Il metodo di calcolo del livello di sottocosto non regolamenta il valore
✓
✓
✓
dei ristorni condizionati differiti e dei premi di cooperazione commerciale: esso fa riferimento a schemi elementari che non trovano più riscontro nel mercato.
Il testo del legislatore italiano non vale per tutti. Non hanno obblighi gli
ambulanti, mentre non sono regolamentate le categorie dei freschi deperibili, le referenze da ricorrenza e la tecnologia obsoleta.
Ciò comporta l’espansione di determinate tipologie distributive (ambulanti, spacci, outlet, discount).
Il consumatore è aggredito da tecnologia “regalata” e non definita adeguatamente nei suoi parametri tecnici.
legge che regolamenta le
vendite sottocosto sta
provocando in Italia effetti complessi, che specificamente riguardano:
1) la crescita dei prezzi al
consumo di molti prodotti di marca, l’aumento della quota di
mercato delle private
label e dei primi prezzi;
2) l’espansione vertiginosa delle vendite di discount, spacci, outlet e
commercio ambulante,
con una corrispondente accelerazione della
chiusura dei negozi tradizionali più deboli;
3) un rallentamento dei
consumi (in apparen-
za paradossale, visti i
prezzi cedenti) e una
crescente infedeltà della domanda finale (esposta a continui stimoli mirabolanti, come: vendite sottocosto, risparmio affari di
primavera, tutto al costo ecc.).
In effetti, la legge italiana sul sottocosto si riferisce a uno schema di
concorrenza “elementare” che in concreto non esiste più da molto tempo.
Infatti non considera la
rete di trading nei mercati globali né la presenza
di global player della distribuzione né, soprattut-
to, gli effetti devastanti
dell’eccesso di offerta. In
queste condizioni di mercato la concorrenza è un
fenomeno complesso,
dove il prezzo finale di
vendita è una leva competitiva interrelata con i
prezzi delle domande intermedie che, come insegna Wal-Mart, esaltano
la criticità degli “intangibile asset” di prodotto e
corporate e non sono
comprimibili dalle leggi
di singoli paesi.
Silvio M. Brondoni,
*professore ordinario
di Marketing
Università degli Studi di
Milano-Bicocca
MARK UP
121
Obiettivo Europa
INDUSTRIA&TRADE • LA MARCA DEL DISTRIBUTORE HA MODIFICATO IN PROFONDITÀ I RAPPORTI DI CONCORRENZA
La private label
ridisegna i confini del largo consumo
Nei mercati globali e in eccesso di offerta afferma il nuovo ed esteso potere
delle grandi insegne d’intermediazione commerciale
di Silvio M. Brondoni*
elle economie moderne le imprese si
confrontano in mercati
globali e con un eccesso
strutturale di offerta. In
questo contesto le produzioni migliorano continuamente, sono realizzate a
costi decrescenti e i volumi
crescenti superano le capacità di assorbimento della
domanda. In condizioni di
competitività e di saturazione dei consumi, i caratteri fisici dei prodotti risultano standardizzati e non
consentono di differenziare efficacemente l’offerta, i
fattori immateriali sopravanzano gli elementi tangibili, il tempo diviene una
funzione critica di concorrenza e, infine, la mobilità
(di persone, beni e soprattutto di conoscenze e idee)
afferma nuovi sistemi di
relazioni. Inoltre, la digitalizzazione della comunicazione e la diffusione di
massa della telematica, unitamente alla rapida crescita e concentrazione delle insegne, hanno prodotto, in complesso, una spinta eccezionale verso la globalizzazione dei mercati e
una correlata valorizzazione delle identità locali determinando nuovi confini
per le marche del largo
consumo e, ovviamente,
Mercati globali.
Le private label
possono soddisfare
bisogni locali
anche in paesi
differenti.
N
128
MARK UP
modificando i
rapporti tra industria e distribuzione.
I cambiamenti
In realtà, la
politica attiva
di marca dei
distributori
ha modificato
in profondità
i rapporti di
concorrenza
fra industria e trade, sviluppando strategie di private label attuate sia da
imprese industriali sia
commerciali al fine di
perseguire:
• il contemperamento degli ingenti mezzi finanziari necessari per preservare una relazione
positiva con una domanda finale instabile e mutevole;
• lo sviluppo di condotte
competitive che superano i vincoli fisici di prossimità e, per contro, favoriscono l’armonizzazione del potere di mercato d’insegna con la
presenza di forti marche
(del trade e dell’industria) internazionali e
nazionali (dove le private label possono soddisfare specifici bisogni locali, anche in differenti
paesi);
• un confronto diretto sui
prezzi di vendita, per stimolare le potenzialità di
bolle di mercato e la loro
reattività in termini di
customer competitive
value.
Nei mercati globali, in effetti, i rapporti industria/
trade si basano su relazioni
di market space competition dove i confini di azione
non sono delimitabili entro
spazi fisici o amministrati-
vi, ma hanno un carattere
che si modifica per effetto
delle azioni/reazioni poste
in essere dalle imprese. In
particolare, in uno spazio
competitivo allargato, la
marca abbandona la funzione di mero segno distintivo e diviene il punto di riferimento di trade, produttori e consumatori connotandosi come un autentico
patrimonio (brand equity). La brand equity, la
visione di marca intesa
come sistema di responsabilità (brand policy) e la ricerca di spazi competitivi
allargati hanno vistosamente contrassegnato, negli ultimi tempi, le politiche di concorrenza e i processi di internazionalizzazione delle maggiori imprese della grande distribuzione. Come conseguenza
di tali sviluppi, in Europa e
negli Stati Uniti, i grandi
mercati del consumo di
massa hanno registrato una crescita formidabile del
potere e della forza di attrazione delle private label, sia
per effetto delle iniziative
dell’industria sia per l’interesse dei distributori motivati a promuovere strategie
d’insegna basate sull’integrazione di marche proprie
e di marche industriali.
Nelle economie globali e
Dicembre 2006
ANCHE LA MARCA D’INSEGNA ITALIANA
RAGGIUNGE PRESTAZIONI DI CARATTERE EUROPEO
Negli ultimi
tempi si assiste
anche in Italia
a dinamiche
innovative
su questa leva
a disposizione
del distributore.
Questi ultimi
diventano
protagonisti
dell’innovazione
e del
cambiamento
dei
fondamentali
dei mercati
l mercato delle private label in Italia è storia recente. Infatti, solo negli ultimi anni si è assistito, come già è avvenuto da tempo in Europa, a dinamiche innovative su
questa importantissima leva a disposizione del distributore. Da qualche decennio i diversi retailer italiani hanno
avviato lo sviluppo di marchi propri, ma fino a tutti gli anni ’90 la business community si concentrava su logiche
dimensionali; il confronto verteva sulla numerica che i diversi marchi privati avevano raggiunto presso i distributori di casa nostra. Erano scarse le valutazioni circa i risultati che le private label erano in grado di generare, ma ancora più scarso era il confronto sul ruolo che la marca privata avrebbe potuto e dovuto svolgere nell’assortimento di
un distributore.
I
L’evoluzione. Oggi la situazione è cambiata. Nel giro di
pochi anni abbiamo assistito a un crescente interesse degli operatori sulla marca privata. Il fermento ha coinvolto
sia l’industria, che ha aumentato il proprio orientamento
verso il fenomeno private label, sia la distribuzione con
l’avvio di piani di sviluppo dimensionale delle gamme e di
evoluzione più complessiva della gestione del marchio
proprio che ne ha evidenziato il ruolo nella strategia commerciale delle insegne. Sia gli operatori nazionali sia
quelli posti sotto l’egida di gruppi stranieri presentano,
ormai, sui propri scaffali gamme di marche proprie molto
ampie, con diverse collocazioni nella scala prezzi e con
posizionamenti concettuali estremamente differenziati,
tesi a soddisfare altrettanti segmenti di domanda. In altri
termini anche in Italia si sta assistendo a quel fenomeno
evolutivo che posiziona il ruolo della marca privata come
centrale nella politica del distributore.
Le dimensioni. Attualmente il mercato delle private label in Europa vale circa 300 miliardi di euro con una proiezione al 2010 pari a 430 miliardi, superando quindi quota
25% del mercato grocery del vecchio continente. Nel
mercato italiano la quota è intorno a 11 punti, ancora ben
distante dai 45 punti della Svizzera, 30 della Germania o i
28 del Regno Unito. Naturalmente, il grado di concentrazione della moderna distribuzione appare come il fattore
maggiormente correlato con la quota della marca privata
con consumi saturi, la private label consente alle aziende di distribuzione di
sviluppare una politica
d’insegna in sintonia con le
condotte di crescita della
marca propria, con ciò assumendo un sistema di responsabilità di marca del
tutto simile a quello dei
produttori. Questi ultimi,
Dicembre 2006
d’altro canto, con le private
label possono svolgere
nuove funzioni di assortimento e di profondità di offerta stimolando il confronto diretto sui prezzi di
vendita di bolle di mercato
per offerte promozionali (e
sottocosto). Nei mercati
globali e in eccesso di offerta la private label afferma
un nuovo ed esteso potere
delle grandi insegne d’intermediazione commerciale, accentuando la dimensione competitiva oltre
l’ambito locale e la produzione nazionale. E ciò rispetto a un numero crescente di merceologie di
basic product (tra cui latte,
vino, carni, formaggi, pa-
nei diversi paesi, ma va considerato che il tasso di crescita della marca privata è funzione di fattori macroeconomici, di competizione orizzontale e di rilevanza del value for
money per il consumatore, che sono propri, ormai, di tutto il continente. In questo senso si assiste a un posizionamento “europeo” che convenzionalmente si articola su 3
diverse collocazioni nella scala prezzi (good better best)
negli assortimenti, rappresentando la capacità dei marchi
propri di “parlare” con successo ai diversi consumatori,
e al contempo di soddisfare i “bisogni” dei distributori
nell’articolare la propria offerta. Nel nostro paese la storia
del prodotto Coop ha avuto una genesi, un carattere e un
percorso estremamente originali, realizzando un successo imprenditoriale (il prodotto Coop oggi rappresenta oltre il 30% delle vendite di private label nel nostro paese,
ben oltre, quindi, il peso dell’insegna) e distinguendosi attraverso temi come la qualità e la convenienza per la salute e il potere d’acquisto del consumatore.
Il nuovo ruolo. Con oltre 1.000 prodotti confezionati alimentari, più di 500 prodotti non alimentari e un largo
presidio dei freschissimi, i prodotti a marchio Coop sono
presenti nei carrelli della totalità delle famiglie che frequentano i punti di vendita dell’insegna. Nel grocery la
quota interna del prodotto Coop ha raggiunto il 19% delle vendite, un valore “europeo” se si considera la mancanza di presidio dell’importantissimo settore degli alcolici. Differenti linee di prodotto compongono l’assortimento a marchio (Bio-logici, Eco-logici, Crescendo, Fior
fiore, Essere, Soluzioni, Solidal) con una logica di gestione intersettoriale che fa della domanda servita, e quindi
del positioning espresso, il driver di gestione della gamma. Alcune azioni di Coop hanno visto come protagonista
il prodotto a marchio (il latte in polvere per l’infanzia a soli 9 euro, la prima polo equosolidale in Italia, una linea di
prodotti senza glutine per celiaci con risparmio per il consumatore oltre il 40% sui prezzi normalmente praticati, o
il successo dell’innovativa linea di creme solari) delineando, anche per il nostro paese, una realtà dove anche i retailer diventano protagonisti dell’innovazione e del cambiamento dei fondamentali dei mercati.
Vincenzo Tassinari, presidente Coop Italia
ne), ingegnerizzati da aziende transnazionali (con
corporate brand e product
brand ad altissima notorietà) e realizzati con processi produttivi a fasi multiple e localizzate in paesi
diversi. Per cui, per esempio, un latte prodotto in
stalle francesi, intermediato da una multinazionale
svizzera, confezionato in Italia e venduto infine da
un’insegna tedesca del trade operante in Italia si può
considerare un prodotto
nazionale?
Silvio M. Brondoni,
*professore ordinario
di Marketing
Università degli Studi
di Milano-Bicocca
MARK UP
129
Primo Piano
Carlo
Sangalli
Matteo
Colaninno
Paolo
De Castro
PRESIDENTE CAMERA
DI COMMERCIO MILANO
PRESIDENTE GIOVANI
CONFINDUSTRIA
MINISTRO
AGRICOLTURA
AMBULANTI,
ARTIGIANI E NEGOZI:
UN’IMPRESA
SU 4 È STRANIERA
LOTTA
ALL’EVASIONE
PER FINANZIARE
LO SVILUPPO
IN ITALIA LA GDA
FRANCESE E
TEDESCA TRAINANO
PRODOTTI AGRICOLI
STRANIERI
CONCORRENZA & MERCATI GLOBALI
Commercio ambulante
moderno e sviluppo locale
Il moderno ambulante, non più figura
debole e polverizzata, rivendica
un cambio d’identità anche globale.
Già iniziato
Silvio M. Brondoni
l commercio ambulante in Italia sta registrando negli ultimi anni
un grande successo. In
effetti si stima che circa
23 milioni di italiani effettuino almeno un acquisto alla settimana in
un mercato. Nei capoluoghi si svolgono ogni giorno circa 1.000 mercati,
quelli periodici sono mediamente 8.000, mentre
gli addetti del settore sono circa 140.000.
Il comparto food, dove
primeggiano ortofrutta,
pesce, salumi e formaggi,
e il non-food, con il primato di abbigliamento e
tessile nonché molti settori emergenti, segnalano vertiginosi aumenti di
fatturato (con valori a
due cifre, ma solo sussur-
I
www.unimib.it/symphonya
26
MARK UP
rati) con percentuali di
crescita superiori alla
Gda e allineate al progressivo cedimento dei
negozi di vicinato che,
nei trascorsi 10 anni,
hanno denunciato assenze sempre maggiori (c’è
il panettiere, ma manca
il fruttivendolo; c’è il bar,
ma manca il calzolaio
ecc.) dovute anche alla
colpevole mancanza di
pianificazione e coordinamento delle varie associazioni e degli organismi pubblici regionali e
locali (Notti bianche e
Shopping sotto le stelle,
per esempio, sono iniziative lodevoli, ma troppo
episodiche).
In realtà gli ambulanti,
cioè gli operatori commerciali su aree pubbliche, non rappresentano
più un’attività economica debole e polverizzata.
Il moderno commercio
ambulante ha perso, infatti, la specifica caratteristica della vendita itinerante che si manifestava recandosi dai cittadini
e offrendo un servizio indispensabile a chi per
lontananza, anzianità o
mancanza di mezzi non
poteva spostarsi per acquistare le merci.
Gli odierni mercati
hanno acquisito una condizione di stabilità - seppure periodica - e quindi,
in concreto, sono come
grandi centri commerciali all’aperto che, con opportuni programmi di
sviluppo, possono costituire un potente ponte di
cooperazione con la Gda
e le strutture commerciali di prossimità.
Il commercio ambulante moderno è, dunque,
molto vitale e sviluppa
continui e nuovi profili
d’azione. Un caso emblematico è il mercato di
Forte dei Marmi (Lu)
che, tra molte polemiche,
ha introdotto la politica
di marca nell’ambulantato con maggiori responsabilità nei confronti dei
consumatori e dell’erario. Un altro esempio si
rileva nella rapida crescita di venditori delle
nuove etnie, in particolar modo nel non-food,
comparto ormai condizionato dalle centrali
import dei paesi dell’Estremo Oriente. Infine,
fenomeno più recente, il
processo di concentrazione dell’offerta iniziato nel biennio 2004/2005
con -3% delle sedi del
commercio ambulante a
posteggio fisso.
L A R E P L I C A I N 8 0 0 B AT T U T E
L’ambulantato nel commercio moderno
ambulantato è commercio moderno? Avrà un futuro? L’esperienza personale mi dice che al mercato sotto casa si può fare l’ordine di frutta e verdura
via fax o con un colpo di cellulare, avendo la merce
consegnata a domicilio. Nei mercatini itineranti nei
paesi si passano momenti piacevoli, tra bancarelle caPAOLO BARBERINI
ratteristiche, attraenti, con prodotti tessili e artigianali di originalità e qualità. Queste sono forme qualificate di comPresidente
mercio, che hanno una propria capacità di attrazione e servizio, di Federdistribuzione
in grado di vivere in simbiosi anche con i grandi centri commerciali, con reciproco vantaggio. Se questo è il futuro dell’ambulantato, non c’è dubbio che prospererà. Se, invece, prevarranno
abusivismo, prodotti contraffatti e merci di basso prezzo la prospettiva non potrà essere che di breve periodo.
L’
Novembre 2006
Primo Piano
Pierluigi Bersani
Bernabò Bocca
Giuseppe Boscoscuro
MINISTRO SVILUPPO
ECONOMICO
PRESIDENTE
FEDERALBERGHI
CONFTURISMO
PRESIDENTE ASTOI ASS. TOUR OPERATOR
ITALIANI
IL TURISMO
E IL COMMERCIO
DEVONO
MODERNIZZARSI
AL TURISMO ITALIANO
SERVE UN PORTALE
NAZIONALE E UNA
CABINA DI REGIA
PER LE POLITICHE
GLOBALI
IL TURISMO
È UN’INDUSTRIA
CON I RISCHI
E LE OPPORTUNITÀ
DEI MERCATI
GLOBALI
CONCORRENZA & MERCATI GLOBALI
Tour operator e turismo
in eccesso di offerta
Anche dal punto di vista
del marketing le regioni guardano
al localismo e rappresentano così
l’anello debole nella catena
del turismo globale
Silvio M. Brondoni
Italia, al quinto posto dopo Francia,
Spagna, Usa e Cina nella
graduatoria dei paesi più
importanti per flussi di visitatori, conferma il valore
strategico del settore turi-
L’
stico come risorsa per l’economia nazionale, con
un’incidenza sul Pil pari al
12% e oltre due milioni di
persone occupate.
I mercati globali, caratterizzati da eccesso di offerta, hanno tuttavia modificato in profondità il
ruolo competitivo delle
strutture e delle organizzazioni che compongono
la catena del valore dell’economia del turismo, mutando di conseguenza anche il posizionamento
competitivo del sistema
paese: ecco perché l’Italia
decelera rispetto ad altri
paesi, a cominciare dalla
Spagna. D’altra parte, in Italia le regioni spingono
sul localismo: prive di un
coordinamento centrale
forte, rappresentano l’anello debole della catena
del turismo globale. Appare, in effetti, superata la
tradizionale leadership
competitiva delle bellezze
naturali, basata su attrattive paesaggistiche, strutture ricettive e alberghi
poco sofisticati, flussi turistici di prossimità, alta rotazione della clientela. La
globalizzazione esalta invece ruolo e funzioni dei
tour operator, capaci di
motivare e muovere enormi flussi di domanda, interna e dall’estero, e soprattutto in grado di gestire, tramite comunicazione, marketing e finanza,
relazioni competitive
complesse tra vettori e
compagnie di trasporto,
strutture di entertainment
e leisure, molto differenti
e organizzate “a pacchetto” (terme, benessere e relax, musei e percorsi culturali, corsi universitari e
post experience, sport amatoriali e professionali
ecc.), e strutture ricettive
differenziate. In altri termini, un’economia del turismo basata sul primato
competitivo dei flussi di
domanda, dove le bellezze
naturali si devono armonizzare con la “customer
satisfaction” e soprattutto
devono affermarsi nel
confronto competitivo
globale.
Sui mercati globali e in
eccesso di offerta infatti i
piccoli tour operator, con
ridotte capacità di marketing e finanziarie (e quindi
con margini di redditività
modesti) sono sempre più
esposti alla supremazia
concorrenziale delle grandi organizzazioni globali
che, spesso anche in virtù
di politiche pubbliche di
valorizzazione, sono in
grado di attirare capitali a
elevata remunerazione e,
inserendo le compagnie di
assicurazione nella catena
del valore turistico, di ridurre i rischi naturali e
non con elevati livelli di
soddisfazione della domanda.
L A R E P L I C A I N 8 0 0 B AT T U T E
Il turismo punterà sul servizio
al turismo prodotto centrico tipico degli anni
che vanno dai ’70 ai ’90, in espansione e poco
concorrenziale, siamo passati a una competizione sempre più accesa e globale, accompagnata da crescita contenuta e frammentata ed eccesso di offerta. Gli operatori reagiscono monitorando ogni evoluzione con il Crm,
DANIEL JOHN WINTELER
anticipando le esigenze del cliente, dimostrando flessibilità operativa. Aziende molto strutturate, anche sotto il profilo finanPresidente e
ziario, offrono prodotti turistici complessi, lavorando su tutte le leve amministratore
del marketing e ogni fase del processo (gestione diretta e partnership
delegato
forti). In tale ottica i tour operator di grandi dimensioni e con visione Alpitour World.
globale costituiscono i soggetti della filiera turistica destinati a percepire il mercato e a realizzare prodotti adatti per le nuove esigenze a
vantaggio del sistema economico nel quale operano.
“D
www.unimib.it/symphonya
26
MARK UP
Ottobre 2006
Primo Piano
Fabio
Fazio
Gianni Ravasi
Silvio Garattini
PRESENTATORE TV
PRESIDENTE LEGA
LOTTA
AI TUMORI
DIRETTORE
ISTITUTO MARIO
NEGRI
PER SMETTERE DI
FUMARE? OCCORRE
VIVERE
UN’ESPERIENZA
DIRETTA DEI DANNI
IN ITALIA IL 20%
DEI RAGAZZI
INIZIA A FUMARE
PRIMA DEI
15 ANNI
ISTITUZIONI, SERVIZIO
SANITARIO E FAMIGLIE:
POTENZIARE
LA PREVENZIONE
CONTRO IL FUMO
CONCORRENZA & MERCATI GLOBALI
Pubblicità, sponsorship e
marketing delle sigarette
15.000 miliardi le sigarette accese
nel mondo. Ma dove i consumi
stagnano, la sponsorship
sostituisce la pubblicità
Silvio M. Brondoni
industria delle sigarette è dominata da
grandi corporation, con
brand portfolio complessi, dotati di altissima visibilità e di straordinaria
redditività. Il marketing
delle sigarette si ricollega
infatti a un oligopolio statico (poche grandi imprese con ridotta innovazione di prodotto), contraddistinto da un global
lobbying che si confronta
con le politiche degli Sta-
L’
www.unimib.it/symphonya
World advertising
PAESE/ANNO
2003
Luglio/Agosto 2006
2004
66.027
63.271
108.897
35.609
55.712
76.827
2.413
178.691
minare il contrabbando
interno, ma aumenterebbe i traffici illeciti da paesi non Ue; 3. la finalizzazione di comunicazione
globale (sport sponsorship) e locale (trade merchandising e pubblicità
“indiretta”) a obiettivi di
profitto corporate.
Nei paesi poveri e ricchi, comunque, il marketing delle sigarette si confronta con un comune,
terribile fenomeno sociale: il continuo abbassamento dell’età in cui gli adolescenti iniziano a fumare. Una crescita globale di baby-fumatori che
da un lato intercetta i
modelli di successo individuale associati a sponsorizzazione sportiva e
pubblicità indiretta, e
dall’altro premia l’accesso dei minori al primo
consumo (facilitato dal
trade merchandising e
privo di controlli nel free
disposable), mentre è negletta la pubblicità (proprio nei paesi evoluti),
controllabile negli effetti sociali ma molto più
costosa.
L A R E P L I C A I N 8 0 0 B AT T U T E
Pubblicità diretta e indiretta
el 1981 strinsi un’alleanza con un grande editore (la Rizzoli) per ottenere, con modalità provocatorie e pubbliche, la rimozione del divieto di pubblicità diretta dei prodotti da fumo in vigore fin dal 1962,
introdotto per tutelare il Monopolio nazionale.
Per due mesi, in aperta polemica con i sostenitori delTONI MUZI FALCONI
lo Stato etico, uscimmo con pubblicità di marca sui
giornali, pagando le relative sanzioni. Quella campagna fu interrotPresidente
ta per iniziativa dei miei clienti, i produttori internazionali di sigaMethodos
rette, quando alcune interrogazioni parlamentari e una dichiarazione dell’allora ministro della Sanità lasciavano intravvedere un ripensamento purché i produttori accettassero di eliminare la pubblicità indiretta. I miei clienti avevano già allora ben compreso come
la pubblicità indiretta può essere più efficace di quella diretta.
N
(euro 000,00 val. lordi tot.)
CINA
25.846
INDIA
71.628
INDONESIA
70.792
FILIPPINE
36.348
GERMANIA
54.042
SPAGNA
82.341
UK
7.932
USA
215.010
Fonte: Adex International
ti-nazione (e di centrali
sovranazionali Usa e Ue),
per sostenere vaste e redditizie vendite di marca
Nel mondo si fumano
oggi più di 15.000 miliardi di sigarette e il consumo totale continua ad aumentare, anche se con andamenti molto diversi. La
Cina registra il maggior
consumo a livello mondiale, volumi di vendita in
grande crescita (2005/04,
+11,4%) e un’alta spesa
pubblicitaria, come in
tutti i paesi a basso sviluppo socio-economico.
Nei paesi più evoluti, invece, i volumi diminuiscono, la pubblicità è sostituita (con minori costi,
come di recente anche in
Germania e Spagna) dalla global sponsorship e
così i profitti rimangono
ottimi. Nei “paesi ricchi”,
infatti, la corporate profitability non deriva dai volumi (cedenti per selettività), ma da altri fattori:
1. il brand portfolio reengineering (Bat per esempio ha acquisito il brand
italiano Ms); 2. il controllo competitivo di prezzo
di vendita e prelievo fiscale (così oggi in Usa un
pacchetto di sigarette ha
un prelievo del 20% sul
prezzo, mentre in Italia il
prezzo medio è di 3,40 euro con tassazione del
75,5%). In tal senso, una
politica di armonizzazione delle imposte tra i paesi Ue forse potrebbe eli-
2005
77.268
35.738
123.743
40.720
45.858
65.578
3.865
100.484
MARK UP
23
Primo Piano
Andrea
Guerra
Alessandro
Coesis
Lucia
Annunziata
Gaetano
Mele
AD LUXOTTICA
PRESIDENTE COESIS
PAST PRESIDENT RAI
DIRETTORE GENERALE LAVAZZA
SISTEMA ITALIA
DEVE SVILUPPARE
AGGREGAZIONI
DI IMPRESE PER
TECNOLOGIA
E CONOSCENZE
DEI MERCATI
I PARTITI
CREDONO AI
SONDAGGI
QUANDO DANNO
LORO RAGIONE
I GIORNALI
ITALIANI SONO
LONTANISSIMI
DAL PAESE
BISOGNI
E SENSAZIONI
PSICOLOGICHE
DETERMINANO
CLUSTER E FASCE
DI CONSUMATORI
CONCORRENZA & MERCATI GLOBALI
Sondaggi, market research
e marketing research
Il primato della
marketing
research deriva
dalla
evanescenza
delle bolle di
domanda e da
prodotti
altamente
volatili
Silvio M. Brondoni
elle elezioni politiche appena
trascorse i maghi dei sondaggi hanno
sbagliato tutte le previsioni. E i quotidiani anche. Le
grandi corporation, invece, da tempo utilizzano
tecniche e metodiche specifiche per le mutevoli previsioni delle domande a
struttura variabile, con ottimi risultati. In effetti, la
market research delle imprese globali si basa su
nuove relazioni di concor-
N
renza nella dimensione
temporale (time-based
competition) e spaziale
(market-space competition), abbandonando i
concetti di staticità e di
contesti competitivi chiusi, difendibili da barriere
fisiche o amministrative.
Peraltro, spazi di competizione dinamici e aperti
presuppongono un sistema informativo sofisticato, strutturato per decisioni di brevissimo periodo e
con processi di comunicazione circolari (anziché lineari, da un emittente a
molti riceventi passivi). I
mercati globali e in eccesso di offerta, inoltre, mostrano un’elevata instabilità della domanda (volatilità delle scelte di acquisto;
infedeltà e non fedeltà di
riacquisto) e dell’offerta
(accelerazione dell’obsolescenza; creazione di bolle
di domanda). In eccesso di
offerta, infatti, i confronti
di acquisto non avvengono
tra beni simili, ma tra alternative di consumo complesse (come, per esempio,
in una scelta di acquisto
tra jeans e occhiali da sole). L’esubero di offerta enfatizza, infine, la conoscenza del luogo e del tempo di scelta, per soddisfare
(con offerte temporanee)
le attese di comunità di
consumatori instabili (bolle di domanda), individuate con processi aggregativi
(ben differenti quindi dai
processi disaggregativi di
segmentazione). La disomogeneità dei mercati e la
gestione dell’instabilità
della domanda determinano una gerarchia tra
marketing research e
market research (che però
pare ancora ignota nei
sondaggi politici). La
market research evidenzia
intatti la rilevanza della
competitive intelligence
per acquisire “segnali di
tendenza” sui fenomeni
ambientali influenzabili.
L’instabilità competitiva
determina in effetti domande disomogenee e mutevoli, di volta in volta aggregabili con offerte temporanee. Le caratteristiche
demo e socio-psicologiche
non sono quindi significative per definire la domanda complessiva. Per contro, il primato della marketing research discende
proprio dall’evanescenza e
dalla mutabilità delle bolle
di domanda, cioè dalla capacità delle imprese di
comprendere e valorizzare
l’instabilità di relazione tra
i consumatori e prodotti a
elevata caratterizzazione e
volatilità.
L A R E P L I C A I N 8 0 0 B AT T U T E
Dalla market research alla marketing research
recenti episodi politici, ma non era necessario attendere quelli, hanno posto l’accento su come il
processo di ricerca sia diventato estremamente più
complesso di prima. I consumatori si muovono, i
prodotti si muovono, i media si muovono: in un siffatto scenario la speranza di poter “succhiare” le semPAOLO DURANTI
pre più sfuggenti declinazioni dei “bisogni del consumatore” attraverso modalità tradizionali di ricerca viene progres- Amministratore
sivamente meno. La segmentazione è un concetto da marketing del
delegato
giurassico, ma se applicato alle ricerche e articolato nell’infinita
Nielsen Media
composizione di tecniche, tecnologie, target, sistemi, benchmark
Research
internazionali ecc. trova una dimensione assolutamente attuale e
South Europe.
irrinunciabile per poter davvero “sentire” quello che i consumatori ci raccontano in corsa mentre parlano d’altro.
I
www.unimib.it/symphonya
22
MARK UP
Giugno 2006