Ingrosso Tesi Dottorato copia segreteria

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Ingrosso Tesi Dottorato copia segreteria
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DEL MOLISE
DIPARTIMENTO GIURIDICO
Dottorato di Ricerca
XXV ciclo
Persona, impresa, lavoro:
dal diritto interno al diritto internazionale
Coordinatore
Prof. Francesco Paolo Traisci
IL DOPPIO BINARIO DEL SISTEMA DI VALUTAZIONE
DELLE INTESE RESTRITTIVE DELLA CONCORRENZA
Tutor
Prof. Antonio Palmieri
Candidato
Simonetta M. Ingrosso
Coordinatore
Prof. Francesco Paolo Traisci
1
INTRODUZIONE
CAPITOLO I
LA TUTELA DELLA CONCORRENZA
1.
2.
3.
4.
5.
Cenni storici sul sistema a tutela della concorrenza
L’ordinamento comunitario
L’ordinamento nazionale
La rilevanza degli accordi limitativi della concorrenza
Elementi costitutivi dell’intesa anti-concorrenziale
CAPITOLO II
IL MODELLO ISTITUZIONALE
ADOTTATO DALLA LEGGE ANTITRUST
1. Il modello istituzionale di cui alla legge 287/1990
2. L’AGCM
2.1 Natura e funzioni dell’AGCM
2.2 Gli ambiti di intervento: il procedimento di accertamento delle intese restrittive della concorrenza
2.3 La tutela cautelare. Aspetti problematici
3. Il regime giurisdizionale
4. Il controllo giurisdizionale dei provvedimenti
dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato
5. La tutela antitrus dinanzi al giudice ordinario
6. La scelta del giudice ordinario
7. La competenza della Corte di Appello
8. La riforma del 2012. L’istituzione delle Sezioni Specializzate in materia d’impresa e le nuove regole sulla
competenza giurisdizionale per i contenziosi antitrust
3
CAPITOLO III
I RAPPORTI TRA I POTERI DELL’AGCM
E QUELLI DELL’AUTORITÀ GIUDIZIARIA ORDINARIA
1. Il cumulo di tutele
1.1 La deroga al doppio grado di giurisdizione. Problemi interpretativi
2. I problematici rapporti tra le competenze dell’AGCM e
quelle del Giudice Ordinario
3. La tutela amministrativa e la tutela civilistica antitrust.
Problemi di convivenza
4. Le soluzioni adottate dal diritto dell’Unione Europea
4.1 La cooperazione tra la Commissione Europea e i
giudici nazionali
4.2 Il contrasto di decisioni in ambito comunitario
CAPITOLO IV
LA VALUTAZIONE DELLE INTESE RESTRITTIVE DELLA CONCORRENZA
1.
2.
3.
4.
Impostazione dei problemi
Il giudice ordinario e la valutazione delle intese
Il ruolo del giudice nel diritto antitrust
Il tentativo di armonizzare le competenze dell’AGCM
con quelle dell’AGO. La tesi della pregiudizialità amministrativa
4.1 La tesi contraria alla pregiudizialità amministrativa
5. La posizione della giurisprudenza
5.1 L’orientamento
della
giurisprudenza
nell’accertamento della nullità delle intese restrittive
della concorrenza
CAPITOLO V
UNO SGUARDO OLTRE CONFINE
L’ESPERIENZA SPAGNOLA
1. La tutela della concorrenza nell’ordinamento spagnolo.
Cenni storici
2. La disciplina della concorrenza in Spagna
CONCLUSIONI
4
Introduzione
Il presente lavoro si prefigge come obiettivo quello di
esaminare la problematica dei rapporti intercorrenti tra Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato e Autorità
Giudiziaria Ordinaria, nell’esercizio delle loro competenze,
in relazione al sindacato sulle intese restrittive della concorrenza.
In particolare, oggetto di studio è il doppio binario
dei sistemi di valutazione e di apprezzamento delle intese,
affidati – in sede amministrativa – all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ed – in sede giurisdizionale –
alla competenza esclusiva ed in unico grado della Corte
d’Appello. La tesi analizza la scelta operata dal legislatore
nazionale evidenziando gli aspetti problematici della soluzione adottata in sede legislativa ed indagando sui problemi applicativi che essa origina, soprattutto nella prospettiva
del potenziale conflitto tra valutazioni amministrative e
pronunciamenti giurisdizionali.
L’indagine involge anche la coerenza sistematica del
predetto doppio binario di valutazioni e di tutela e la possibilità teorica di risolvere i potenziali conflitti ritraendo dalle
norme vigenti un principio, non scritto ma ricavabile in via
interpretativa, di pregiudizialità amministrativa.
Inoltre, in una prospettiva comparatistica delle soluzioni adottate nell’ordinamento italiano e nello spirito della
progressiva uniformazione del diritto dei Paesi appartenenti all’Unione Europea, si è reso opportuno lo studio e
l’analisi della disciplina data nella medesima materia in un
altro Stato europeo, in particolare in quello spagnolo, vicino
al nostro per tradizione giuridica e per omogeneità dei
principi generali.
Da ultimo, occorre avvertire che il Governo ha attribuito nuove competenze all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato nell’ambito dello Statuto delle Imprese
e del c.d. Decreto Salva Italia. In particolare, e per quel che
interessa in questa sede, il Decreto Liberalizzazioni, convertito in Legge n. 27 del 24 Marzo 2012, amplia ulteriormente
l’area di intervento dell’AGCM, oltre ad introdurre un si-
5
stema interamente nuovo di finanziamento di tale istituzione.
Preme fin da ora sottolineare che l’articolo 2 del citato
Decreto, prevede la sostituzione di tutte le esistenti sezioni
specializzate in materia di proprietà industriale ed intellettuale attualmente presenti presso alcuni Tribunali e Corti di
Appello, con nuove sezioni specializzate in materia di impresa. Peraltro, tali nuove sezioni specializzate saranno istituite anche presso tutti i rimanenti Tribunali e Corti di Appello aventi sede nel capoluogo di ciascuna regione, ad eccezione della Valle d’Aosta, nonché presso il Tribunale e la
Corte di Appello di Brescia. Le predette nuove sezioni, saranno competenti a conoscere delle controversie relative alla violazione della normativa antitrust italiana e dell’Unione
Europea. Conseguentemente, l’articolo 2, comma secondo,
del Decreto Crescitalia, modifica il testo dell’articolo 33 della legge n. 287/90 (legge antitrust), che attribuiva alle Corti
di Appello territorialmente competenti le controversie tra
privati inerenti la violazione della (sola) normativa italiana
antitrust.
La nuova norma, inoltre, risolve finalmente la disparità di trattamento tra la disciplina comunitaria e quella nazionale poste a tutela della concorrenza. Ai sensi del citato
articolo 33, della legge n. 287/90, infatti, le Corti di Appello
erano competenti, quali giudici di primo - e unico grado - se
si assumeva violata la disciplina nazionale a tutela della
concorrenza, mentre le violazioni della disciplina antitrust
comunitaria restavano nella normale competenza dei Tribunali, con possibilità di successivo appello. Proprio perché
entrambe le normative sono di contenuto pressoché identico, tale disparità di trattamento, ora eliminata dalla legge n.
27 del 2012, risultava difficilmente giustificabile ed oltretutto fonte di evidente incertezza circa il foro competente.
6
CAPITOLO I
LA TUTELA DELLA CONCORRENZA
1. Cenni storici
La legge del 10 ottobre 1990, n. 287, conosciuta anche
come legge antitrust, costituisce la prima disciplina organica
delle regole della concorrenza nell’ordinamento giuridico
italiano.
Invero, sino alla sua entrata in vigore la concorrenza
veniva disciplinata unicamente dal Codice civile; ed in particolare dalle disposizioni dettate in materia di concorrenza
sleale.
Rispetto agli altri Stati industrializzati, la disciplina
della concorrenza è stata introdotta nel nostro Paese con notevole ritardo; gli Stati Uniti già alla fine del XIX secolo,
precisamente nel 1980, emanarono lo Sherman Act, mentre
altri paesi europei come la Francia, la Germania ed il Regno
Unito adottarono le loro legislazioni antitrust alla fine degli
anni ’40.
Nel nostro ordinamento, il ritardo nell’adozione di
una disciplina organica in materia di concorrenza fu dovuto
al perseguimento, nel periodo fascista e fino agli anni ’80, di
un modello di sviluppo economico fondato su un intervento pubblico intensivo, in un contesto caratterizzato da una
strutturale debolezza del sistema produttivo nazionale. Soltanto verso la fine degli anni ’80, sotto l’impulso delle iniziative liberalizzatrici delle Comunità Europee e con
l’accelerazione del processo di integrazione europea, è venuta maturando la convinzione che la crisi dell’industria
pubblica altro non fosse che la diretta conseguenza di decenni di interventi statali. Parallelamente, le iniziative di liberalizzazione delle Comunità Europee in alcuni settori di
servizi di pubblica utilità e l’applicazione delle regole comunitarie in materia di aiuti di Stato hanno permesso un intervento per il riassetto di molti settori dell’economia nazionale. Così, attraverso un ripensamento circa il ruolo dello Stato nell’economia nazionale, si è giunti a riconoscere il
7
mercato come meccanismo ordinatore dei comportamenti
degli operatori economici, ridimensionando conseguentemente il ruolo e le modalità dell’intervento pubblico nella
sfera economica1. In questo scenario, si assiste alla privatizzazione delle imprese pubbliche ed alla liberalizzazione di
settori precedentemente sottratti alla libera concorrenza e
coperti da regime di riserva legale, favorendo il dibattito
circa l’introduzione di una disciplina che regolasse la concorrenza tra le imprese.
Il fondamento costituzionale della libertà di concorrenza si rinviene, pur sempre, nell’art. 41 Cost.2, che riconosce, quale sinonimo della libertà di iniziativa economica, il
diritto di agire sul mercato e intraprendere qualsiasi attività
economica3; anche se la disposizione costituzionale non fa
cenno alla libertà di concorrenza, intesa quale situazione di
mercato e principio regolatore del sistema economico.
A tal proposito, giova ricordare un indirizzo giurisprudenziale che in qualche modo sembrava anticipare le
logiche del diritto antitrust. Infatti, diverse massime proclamavano l’illiceità di coalizioni tese a costruire un vero e
proprio monopolio a danno del pubblico, dichiarando radicalmente nulle le convenzioni tese ad eliminare la concorrenza nei settori di pubblica utilità4.
La dottrina, per altro, da tempo avvertiva come l’art.
41 Cost. muovesse “dalla premessa di finalità sociali del sistema
economico e dalla negazione che queste finalità possano essere automaticamente raggiunte col solo gioco della concorrenza”; e sot 1
S. CASSESE, La nuova Costituzione economica, Roma- Bari, 2001.
Espressamente richiamato dal primo articolo della Legge del 10
ottobre 1990, n. 287.
3
È noto che il primo comma dell’art. 41 Cost. risente della cosiddetta impostazione post-liberale. La cultura degli anni ’40 aveva compreso come l’aggressione ai diritti di libertà dell’individuo potesse avvenire ad opera di qualunque entità reale o aggregazione, benché privata, in grado di esercitare un potere: non solo lo Stato, ma anche un cittadino, così come un’aggregazione di cittadini, possono dar luogo a sistemi di potere in grado di limitare o diminuire la libertà. Da tali considerazioni deriva l’inciso di cui al terzo comma dello stesso articolo, che
impegna la nostra repubblica a rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale.
4
G. GHIDINI, I limiti negoziali alla concorrenza, in Trattato di diritto
commerciale, diretto da F. GALGANO, Padova, vol. IV, 1981, p. 31.
2
8
tolineava come gli accordi limitativi della concorrenza finisssero col risolversi in un “grave e fondamentale problema
del progresso tecnico e dell’abbassamento dei costi”5 e con il confliggere con l’interesse dei consumatori e degli utenti6.
Viene così approvata la legge a tutela della concorrenza del 10 ottobre del 1990, n. 287 a seguito di un travagliato
inter parlamentare7.
Sul piano sistematico, di particolare rilievo è
l’espresso richiamo operato dall’art. 1, comma 1, della nostra legge recante norme a tutela della Concorrenza e del
Mercato, al principio della libertà di iniziativa economica di
cui al citato art. 41 della Costituzione, che la stessa si propone di attuare.
In particolare, la disciplina di cui alla L. 287/90 sembra precisare il contenuto del principio costituzionale, se
non addirittura reinterpretarlo, conferendo allo stesso un
significato innovativo: se, infatti, la norma costituzionale si
erge a tutela della libertà di iniziativa economica del singolo, la legge antitrust pone come oggetto di tutela il processo
concorrenziale in sé considerato8.
Ecco allora che la concorrenza si propone come un
aspetto fondamentale del diritto di iniziativa privata, il cui
contenuto deve essere determinato alla luce dell’art. 41 della Costituzione e dei principi del diritto comunitario.
Il legislatore italiano rende espliciti i principi comunitari in materia di concorrenza, istituendo a difesa delle regole nazionali e comunitarie l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, un’autorità amministrativa indipendente preposta all’applicazione delle regole della concorrenza: ad essa viene affidato il compito di intervenire,
inibire e sanzionare le intese restrittive della concorrenza,
5
T. ASCARELLI, Teoria della concorrenza e dei beni immateriali, Milano, 1960, p. 32 e ss.; in termini analoghi, G. GHIDINI, I limiti negoziali alla
concorrenza, cit.
6
F. MESSINEO, Manuale di diritto civile e commerciale, Milano, 1954,
vol. III, p. 14 e ss.
7
V. DONATIVI, Introduzione della disciplina antitrust nel sistema legislativo italiano, Milano, 1990.
8
G. TESAURO, Concorrenza e Autorità antitrust, un bilancio a 10 anni
dalla legge, a cura dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, 9-10 ottobre 2000, pag. 221.
9
gli abusi di posizione dominante poste in essere dalle imprese sul mercato e di esercitare un controllo preventivo
sulle operazioni di concentrazione9.
Con l’introduzione della disciplina antitrust mutano
anche i rapporti tra mercato, concorrenza e autonomia privata, atteso che gli accordi restrittivi della concorrenza vengono colpiti con la sanzione civile della nullità.
2. Il quadro normativo comunitario.
Nell’ambito della legislazione europea, la disciplina
della concorrenza è stata protagonista di importanti evoluzioni in relazione ad aspetti importanti come il concetto di
impresa, quello di mercato rilevante, di esenzione degli accordi per categoria e di intese verticali.
A distanza di ben quaranta anni dal primo intervento,
si è provveduto all’adozione di un nuovo Regolamento, il n.
1/200310, allo scopo di rispondere all’esigenza di coordinamento di un mercato sempre più integrato, dovuta anche
all’ingresso nell’Unione Europea di nuovi Stati. In particolare, è apparso necessario, pur mantenendo il ruolo centrale
della Commissione, attribuire un ruolo maggiormente pregnante nell’applicazione delle regole della concorrenza sia
alle Autorità garanti sia alle autorità giurisdizionali. Attraverso questo decentramento si è consentito alla Commissione di concentrare la propria attività sulla repressione di
quelle infrazioni considerate “più gravi”.
Il c.d. processo di modernizzazione, avviato con il Regolamento sopra richiamato, ha dato luogo ad un ribaltamento radicale della logica posta alla base dell’attività di
concorrenza, realizzando un passaggio da un sistema di divieti ad un sistema di liceità e di eccezioni direttamente applicabili.
9
L’Autorità svolge anche un’attività consultiva e di segnalazione
al Parlamento, al Governo e alle Amministrazioni in generale, in materia di norme di legge e di provvedimenti amministrativi, nonché di iniziative legislative o regolamentari, suscettibili di generare distorsioni
concorrenziali (art. 21 e 22, L. 287/90). Essa, poi, ha competenze in materia di pubblicità ingannevole e comparativa, ai sensi del decreto legislativo n. 74 del 25 gennaio 1992, come modificato dal decreto legislativo n. 67 del 25 febbraio 2000, entrambi emanati in attuazione di direttive comunitarie.
10
Il precedente Regolamento applicativo era il n. 17/1962.
10
In via approssimativa, con riferimento alla materia
oggetto del presente lavoro, deve evidenziarsi che
l’ordinamento comunitario, in seguito all’entrata in vigore
del Trattato di Lisbona11, disciplina le intese vietate all’art.
101 TFUE (ex art. 81 TCE).
La disposizione appena richiamata ha un contenuto
articolato.
Nello specifico, il primo paragrafo enuncia un divieto
generale, che viene integrato da un elenco esemplificativo
delle intese idonee a restringere la concorrenza: sono vietate
le intese (accordi tra imprese, decisioni di associazioni di
imprese e pratiche concordate), che possono pregiudicare il
commercio tra Stati membri e che abbiano per oggetto o per
effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all’interno del mercato comune.
Dall’analisi della norma, sono tre gli elementi che devono sussistere affinché il divieto possa operare:
- deve esistere un’intesa;
11
Il Trattato di Lisbona, diversamente da quanto si proponeva il
Trattato che prevedeva la promulgazione della costituzione per
l’Europa, non sostituisce i vecchi Trattati nella forma di un unico Trattato di codificazione, ma si limita a modificare il Trattato dell’Unione Europea e il Trattato che istituisce la Comunità europea. Lo stesso è stato
approvato il 18 ottobre 2007, nel vertice di Lisbona che concludeva la
conferenza intergovernativa incaricata di elaborare, entro il 2007 appunto, un Trattato diretto a modificare i Trattati esistenti allo scopo di
rafforzare l’efficienza e la legittimità democratica dell’Unione allargata
nonché la coerenza della sua azione esterna. Il Trattato è entrato in vigore il 1° dicembre 2009, anche se l’iter di ratifica di alcuni paesi membri ha subito alcuni momenti di arresto in cui è parso che l’auspicata entrata in vigore fosse ancora piuttosto lontana. Le modifiche appena accennate hanno riguardato il Trattato sull’Unione Europea, che mantiene
il proprio nome (Nuovo Trattato dell’Unione europea, NTUE, per distinguerlo dal precedente TUE) e il Trattato che istituisce la Comunità
europea (TCE), che diventa il Trattato sul funzionamento dell’Unione
europea (TFUE). In particolare, il Trattato sul funzionamento
dell’Unione europea (TFUE) si compone di 358 articoli suddivisi in sette
Parti in cui vengono ricollocate, oltre a nuove importanti disposizioni,
anche buona parte delle norme già presenti nel precedente TCE, seppure talvolta notevolmente modificate e integrate. Per quel che interessa la
materia oggetto di indagine, giova ricordare che la materia della concorrenza, attribuita alla competenza dell’Unione, è disciplinata nella
Parte terza del TFUE, interamente dedicata alle “Politiche dell’unione
ed azioni interne”.
11
- l’intesa deve comportare una restrizione della concorrenza;
- tale restrizione deve pregiudicare, a sua volta, il
commercio tra Paesi membri dell’Unione Europea.
Al secondo paragrafo dell’art. 101 TFUE si enunciano
le conseguenze, o meglio la conseguenza, derivante dalla
violazione del divieto di porre in essere intese restrittive
della concorrenza; la conseguenza della violazione del divieto opera sul piano civilistico, infatti, è prevista la sanzione della nullità di pieno diritto di accordi e decisioni che
tendono a falsare o restringere, per oggetto o per effetto, il
gioco concorrenziale all’interno del mercato.
Vi è, poi, un terzo paragrafo, che contempla un meccanismo di deroga a quanto previsto dal primo (divieto di
intese restrittive della concorrenza), denominato correntemente “esenzione”.
Ai fini della qualificazione della condotta come intesa
è necessario che si dia prova di un coordinamento, di una
concertazione tra le imprese indipendenti, la quale può assumere diverse forme, in particolare, si avrà un’intesa tutte
le volte in cui la concertazione tra le imprese assuma la
forma di un accordo, di una pratica concordata, ovvero di
una decisione di associazioni di imprese.
A tal proposito, la riconduzione della condotta anticoncorrenziale all’una o all’altra fattispecie tipizzata è secondaria. Invero, un consolidato indirizzo comunitario, peraltro fatto proprio dall’Autorità Garante della Concorrenza
e del Mercato, assume una nozione funzionale di intesa. La
nozione sembra essere tanto ampia da ricomprendere tutti
quei comportamenti, adottati da una pluralità di imprese,
che abbiano come fine quello di realizzare iniziative idonee
ad alterare la libertà di concorrenza; in altri termini, ricondurre la condotta anticompetitiva adottata dalle imprese
parti dell’intesa ad una delle tipologie tipizzate dall’art. 101
TFUE12 non è rilevante ai fini della sua applicazione, posto
che l’elemento essenziale per qualificare la fattispecie come
intesa è costituito dalla concertazione dell’attività di due o
più soggetti o.
12
E come si vedrà in seguito, a quelle indicate dall’art. 2 della nostra Legge antitrust.
12
Corollario è che la nozione di accordo va oltre la nozione civilistica di contratto da cui scaturiscono obblighi
giuridicamente rilevanti per le parti contraenti. Pertanto, sia
in ambito comunitario, sia in ambito nazionale, affinché esista un accordo che giustifichi l’applicazione della disciplina
antitrust è sufficiente che le imprese raggiungano una qualsiasi forma di consenso, ancorché privo di veste formale e
non produttivo di specifici obblighi giuridici, circa
l’adozione di una determinata condotta sul mercato: perché
vi sia accordo deve esistere una volontà congiunta degli
operatori di mercato di assumere un dato comportamento
con il preciso scopo di recare pregiudizio alle dinamiche
della libera concorrenza.
È vietato l’accordo orizzontale, cioè quello che prevede l’adozione da parte delle imprese contraenti di un medesimo comportamento, tendente alla suddivisione dello spazio di mercato, così come è vietato l’accordo verticale che si
realizza in tutte quelle ipotesi in cui le imprese si trovano
ad operare in fasi distinte del processo produttivo e distributivo13.
13
Gli “accordi verticali” sono gli accordi di distribuzione e di fornitura di beni o servizi conclusi tra imprese operanti, ciascuna, ad un
diverso livello della catena di produzione o di distribuzione quali, ad
esempio, quelli tra produttori e grossisti o dettaglianti. Ogni impresa
opera, ai fini dell'accordo, ad uno stadio economico diverso, per quanto
riguarda la fornitura, l'acquisto di beni destinati alla rivendita o alla trasformazione o la commercializzazione di servizi. L'accordo disciplina le
condizioni a cui le parti possono acquistare, vendere o rivendere determinati beni o servizi. Un tipico accordo verticale è quello di distribuzione esclusiva o selettiva. Nell'ambito di un accordo di distribuzione
esclusiva, il fornitore accetta di vendere i suoi prodotti ad un unico distributore per la loro rivendita in un territorio determinato. Allo stesso
tempo, il distributore è spesso limitato nelle sue vendite attive verso altri territori esclusivi. Dal punto di vista della concorrenza, questo sistema rischia di indebolire soprattutto la concorrenza all'interno del marchio e di precludere l'accesso al mercato, in modo tale che ne potrebbe
risultare una differenziazione dei prezzi. Quando la maggioranza o la
totalità dei fornitori applica la distribuzione esclusiva, ciò può facilitare
le collusioni, sia al loro livello che al livello dei distributori. Come gli
accordi di distribuzione esclusiva, gli accordi di distribuzione selettiva
restringono da una parte il numero dei distributori autorizzati e d'altra
parte le loro possibilità di rivendita. Contrariamente a quanto accade
con la distribuzione esclusiva però, il numero dei rivenditori autorizzati
13
Ancora, sono vietate le decisioni di associazioni di imprese. Nell’ambito delle decisioni di associazioni di imprese
rientra qualsiasi forma di deliberazione, ancorché non vincolante, assunta da organismi o enti associativi, eventualmente anche di natura pubblicistica, rappresentativi di una
categoria di imprese. Lo scopo deve essere quello di influenzare le condotte commerciali delle imprese affiliate, alterando il gioco della concorrenza.
La nozione di associazione di impresa elaborata in
ambito comunitario e accolta anche in sede nazionale, ricomprende una vasta tipologia di fattispecie, tra cui le associazioni cooperative, le organizzazioni no profit, i consorzi,
le associazioni di associazioni (c.d. associazioni di secondo
grado), i gruppi europei di interesse economico, etc. Le associazioni, inoltre, sono caratterizzate dall’esistenza di una
“struttura comune” avente natura corporativa, sia essa dotata o meno di personalità giuridica, che indipendentemente dal perseguimento o meno di uno scopo di lucro abbia la
funzione di esprimere la volontà collettiva delle imprese
che vi fanno parte, influenzando così le singole condotte.
Tra le decisioni assunte da un’associazione rientra
qualunque atto, ancorché privo di carattere formale vincolante, che costituisca la manifestazione della volontà delle
imprese che fanno parte della struttura commerciale; classici esempi di decisioni sono i regolamenti, le delibere, le circolari e le raccomandazioni. L’atto, inoltre, deve necessariamente determinare un coordinamento dei comportamen non dipende dal numero dei territori, ma da criteri di selezione legati
innanzitutto alla natura del prodotto. Un'altra differenza consiste nel
fatto che la restrizione in materia di rivendita non concerne le vendite
attive effettuate all'esterno di un territorio, ma tutte le vendite realizzate
con dei distributori non autorizzati. Di conseguenza, solo i distributori
designati ed i consumatori finali possono diventare acquirenti. Nella
maggioranza dei casi, la distribuzione selettiva è utilizzata per la distribuzione di prodotti finali di marca. Dal punto di vista della concorrenza, questo tipo di distribuzione rischia di indebolire la concorrenza
all'interno del marchio e, soprattutto se si ha un effetto cumulativo, di
escludere uno o più tipi di distributori ed agevolare la collusione tra
fornitori o acquirenti. La materia è disciplinata dal Regolamento 2790
del 1999, che cesserà di avere valore allo scadere del periodo transitorio
del nuovo Regolamento e quindi, come detto, il 1° giugno 2011.
14
ti delle imprese sul mercato per cui la concorrenza tra le
stesse ne risulti alterata.
Il ricorso all’associazione d’impresa, al fine di porre in
essere un coordinamento di condotte illecite, è ricorrente
nella prassi. Infatti, soprattutto quando il numero delle imprese è elevato la concertazione può essere facilmente raggiunta per il tramite di un organismo comune, in modo da
consentire un’attenuazione della responsabilità diretta utilizzando come scudo lo strumento delle associazioni di categoria, che ben si presta a dissimulare le condotte anticompetitive delle imprese. La previsione normativa di questa fattispecie, mira a facilitare il compito investigativo
dell’Autorità antitrust sulla quale grava l’onere probatorio,
consentendole
di
imputare
la
responsabilità
all’associazione.
In sintesi, ci si trova di fronte ad una organizzazione
avente prevalentemente natura corporativa e dotata di un
organismo di coordinamento.
Il termine “decisioni”, poi, comprende tanto le raccomandazioni adottate dalle associazioni, tanto il rispetto delle stesse da parte dei suoi membri. Giova precisare che tutte
le imprese aderenti sono imputabili e solidalmente responsabili della violazione, salvo che dimostrino una chiara ed
esplicita opposizione alla decisione relativa la pratica vietata.
A completare il quadro delle intese vietate ci sono le
pratiche concordate, che sono state definita dalla Corte di
Giustizia come una “forma coordinamento delle imprese che,
senza essere stata spinta fino all’attuazione di un vero e proprio
accordo, costituisce in pratica una consapevole collaborazione fra
le imprese stesse, a danno della concorrenza, collaborazione la
quale porti a condizioni di concorrenza non corrispondenti a quelle normali del mercato, tenuto conto della natura dei prodotti,
dell’entità e del numero delle imprese, nonché del volume e delle
caratteristiche del mercato stesso”14.
L’assunto da cui muove la Corte è che, in un regime di
concorrenza non falsata, gli operatori devono essere liberi
di determinare la loro condotta sul mercato. Pertanto, è ve 14
Corte di Giustizia, 16 dicembre 1957, Suiker Unie, cause riunite
40/73 e al., in www.Curia.eu .
15
ro che deve riconoscersi loro il diritto di reagire intelligentemente al comportamento noto o presunto dei contraenti,
tuttavia “l’esigenza di autonomia vieta rigorosamente che fra gli
operatori stessi abbiano luogo contatti diretti o indiretti aventi lo
scopo o l’effetto di influire sul comportamento tenuto sul mercato
da un concorrente attuale o potenziale, ovvero di rivelare ad un
concorrente il comportamento che l’interessato ha deciso, o prevede, di tenere egli stesso sul mercato”15 . In sostanza, di fronte ad
imprese che agiscono in maniera identica o simile, instaurando una sorta di parallelismo di comportamenti, bisogna
porsi il quesito se si tratti di scelte autonome delle imprese,
ovvero se ci si trovi di fronte al risultato di una concertazione. Solitamente, sono considerati indizi di pratiche concordate l’organizzazione di riunioni periodiche tra le imprese operanti nello stesso mercato o la circostanza che le
imprese concorrenti abbiano dato vita ad un periodico
scambio di informazioni riservate.
In conclusione, le pratiche - lungi dal risultare da decisioni unilaterali - sono frutto della collaborazione fra i soggetti interessati, i quali hanno consapevolmente escluso i rischi della concorrenza instaurando una collaborazione pratica che porta ad una situazione non corrispondente alle
normali condizioni di mercato a detrimento dell’effettiva libertà di circolazione delle merci e della libera scelta dei fornitori da parte dei consumatori16.
L’articolo 101 TFUE si applica alle categorie di intese
appena richiamate a condizione che le pratiche risultino restrittive della concorrenza e siano suscettibili di pregiudicare il commercio tra Stati membri.
Sia la Commissione, sia la Corte di Giustizia, sia il Tribunale hanno sottolineato che il pregiudizio derivante
dall’intese deve essere sensibile e rilevante per la concorrenza ed al commercio tra Stati; da ciò discende che gli accordi di minore importanza (cc.dd. accordi de minimis) non
interessano il diritto europeo. Invero, la Commissione, attraverso delle comunicazioni aventi ad oggetto taluni casi
di accordi minori, ha individuato nel corso degli anni delle
15
Corte di Giustizia, sent. 16 dicembre 1957, Suiker Unie cit.
Cosi la Corte di Giustizia nel caso degli “zuccherifici riuniti”
del 1957, cit.
16
16
soglie al di sotto delle quali scatta il beneficio derivante dalla non applicazione dell’art. 101 TFUE; in ogni caso, si tratta
di valutare le condizioni che rendono l’intesa “innocua”, in
grado cioè di non falsare il gioco concorrenziale. Pertanto,
mutate le condizioni, la Commissione potrà procedere a riconsiderare l’intesa valutando se la stessa continui o meno a
far parte degli accordi de minimis.
Infine, la disciplina comunitaria delle intese restrittive
della concorrenza è completata, come già accennato, con il
terzo paragrafo dell’articolo 101 TFUE.
Il divieto contenuto nel primo paragrafo opera automaticamente e immediatamente, ma non può considerarsi
assoluto; infatti è prevista la possibilità di dichiarare inapplicabile il divieto a quelle intese che apportano complessivamente dei benefici alla collettività che compensano largamente gli effetti anti-concorrenziali delle stesse. In pratica, il divieto non si applica a quegli accordi, decisioni di associazioni e pratiche concordate, che contribuiscano a migliorare la produzione o la distribuzione dei prodotti o a
promuovere il progresso tecnico o economico, evitando di
imporre alle imprese interessate restrizioni che non siano
indispensabili per raggiungere gli obiettivi; dare a tali imprese la possibilità di eliminare la concorrenza per una parte sostanziale dei prodotti di cui trattasi.
Pertanto, le intese sono suscettibili di deroghe, comunemente definite “esenzioni”, stabilite con appositi regolamenti.
Si parla di regolamenti di esenzione, emanati solitamente dalla Commissione Europea su delega del Consiglio.
In alternativa, l’esenzione può essere rilasciata tramite una
decisione della Commissione adottata a seguito di
un’esplicita richiesta delle parti interessate, qualora le stesse
nutrano dei dubbi circa la corrispondenza dell’intesa raggiunta al dettato del paragrafo terzo dell’art. 101, direttamente applicabile a seguito del Regolamento 1/2003.
È importante ricordare come il Regolamento 1/2003,
entrato in vigore il 1° maggio 2004, ha modificato il terzo
paragrafo, dell’articolo in esame, da disposizione attuabile
solo dalla Commissione a norma direttamente applicabile
sia dalla stessa nell’ambito dell’Unione, sia dalle Autorità di
controllo dei singoli Stati membri. Inoltre, nel sistema delle
17
esenzioni il Regolamento della Commissione n. 2790/1999,
relativo agli accordi verticali e pratiche concordate, prevede
esenzioni per gli accordi verticali, unitariamente considerati
e sostituisce le esenzioni concesse per gli accordi commerciali dei beni finali, dei beni intermedi e dei servizi dettando
una disciplina uniforme per tutti gli accordi verticali, che
sostituisce i regolamenti adottati in materia di fornitura
esclusiva, di acquisto esclusivo e di franchising. Caratteristica importante di questo regolamento è che esso non contiene un’elencazione delle restrizioni consentite e di quelle
vietate, ma specifica soltanto le restrizioni non ammesse,
realizzando in tal modo un passo fondamentale verso la
semplificazione, il decentramento amministrativo e la modernizzazione della disciplina della concorrenza, che ha
trovato ampia realizzazione nel Regolamento 1/2003.
In ambito comunitario, l’istituto dell’esenzione, sia
nella forma individuale, che nella variante dei regolamenti
di esenzione per categoria, è stato oggetto di estesa (e criticata) applicazione, a causa della tradizionale tendenza della
Commissione Europea ad interpretare in maniera molto
estensiva il divieto posto dal primo paragrafo dell’attuale
art. 101 TFUE, nel senso cioè di qualificare come restrittiva
della concorrenza qualsiasi forma di limitazione della libertà contrattuale delle imprese, per poi effettuare un bilancio
competitivo globale dell’accordo nell’ambito del terzo paragrafo dello stesso articolo17.
17
Anche le giurisdizioni comunitarie, periodicamente, hanno
comunque sempre suggerito un approccio meno formalista
nell’applicazione dell’allora art. 81 del Trattato di Roma. In particolare,
fra le pronunce che si sono espresse a favore di un’interpretazione meno restrittiva del divieto di cui all’art. 81.1 si vedano, corte di Giustizia,
15 dicembre 1994, Gottrup klim e a., C-250, in Racc., p. I-5641 e tribunale
di primo grado, 15 settembre 1998, european Night Services, T-374/94, T384/94 e T-388/94, in Racc., p. II-03141. Successivamente, le stesse Linee
direttrici sull’applicazione dell’art. 81, paragrafo 3, del Trattato 8in
GUCE 2004, C 101/97), hanno ribadito come la Commissione, nella valutazione della restrittività di un accordo ai sensi dell’art. 81.1, dovesse
tener conto del contesto reale di cui la concorrenza sarebbe esercitata
qualora non esistesse l’accordo in oggetto, con le clausole di cui si ipotizza il carattere restrittivo (par. 17).
18
3. La rilevanza degli accordi limitativi della concorrenza nell’ordinamento nazionale
La legge del 10 ottobre 1990, n. 287, riprende all’art. 2
quanto disposto dall’art. 101 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (ex art. 81 del Trattato CE), il quale
dichiara “incompatibili con il mercato interno e vietati tutti gli
accordi tra imprese, tutte le decisioni di associazioni di imprese e
tutte le pratiche concordate che possono pregiudicare il commercio
tra gli Stati membri e che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all’interno
del mercato interno”.
Tali relazioni tra imprese sono quelle definite congiuntamente come intese, anche se il Trattato non adotta
esplicitamente questo termine.
Presupponendo l’intesa, un rapporto tra una pluralità
di imprese, non possono essere ricompresi nel divieto di cui
all’art. 101 TFUE i comportamenti adottati da soggetti indipendenti dal punto di vista giuridico ma legati tra loro da
vincoli economici, tanto da poter individuare in essi
un’unica entità. Il riferimento è, in particolare, al caso di
una società madre che esercita un controllo su una o più società figlie ovvero a quello di un gruppo di società aventi al
vertice una holding. Tuttavia, affinché tali rapporti siano
esclusi dall’applicazione dell’art. 101 TFUE, non basta un
mero vincolo di dipendenza, ma è necessario che il controllo esercitato dalla società madre sulle società figlie, o dalla
holding verso le altre società, sia tale da far sì che la società
non disponga di un’effettiva autonomia nella determinazione del proprio comportamento sul mercato. A questo
proposito, la Corte di Giustizia ha chiarito che gli accordi
conclusi da un gruppo, in cui le società affiliate sono totalmente controllate dalla capogruppo, hanno “semplicemente
lo scopo di ripartire i compiti all’interno del gruppo”. 18
Come sopra detto, sulla falsariga dell’art. 101 del
TFUE, l’art. 2 della legge 287/90, vieta le intese tra imprese
che “che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere
o falsare in maniera consistente il gioco della concorrenza
all’interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante.”.
18
Corte di Giustizia, sent. 31 ottobre 1974, Cetrafarm, causa 15/74,
in www.curia.eu.
19
La nozione di intesa, rilevante ai fini dell’applicazione del
divieto, ricomprende gli accordi tra imprese, le pratiche
concordate nonché le deliberazioni di consorzi, associazioni
di imprese ed altri organismi similari.
La norma richiama tipiche forme di intese anticoncorrenziali, che sono quelle volte alla: i) fissazione dei
prezzi o di altre condizioni contrattuali; ii) limitazione della
produzione o degli accessi al mercato; iii) compartimentazione del mercato; iv) discriminazione delle condizioni
commerciali applicate; v) imposizioni di prestazioni supplementari estranee all’oggetto del contratto, altrimenti note come tie-in. Naturalmente, si tratta di un’elencazione
esemplificativa senza pretesa di esaustività.
Ulteriore distinzione di uso comune è quella tra intese
orizzontali e intese verticali: le prime intervengono tra soggetti operanti nello stesso mercato, mentre le seconde coinvolgono imprese operanti su mercati distinti, ma relativi a
prodotti o servizi collocati in stadi successivi di un medesimo processo produttivo.
La caratteristica anti-competitiva dell’intesa deriva da
specifici elementi costitutivi, vale a dire la presenza di due
o più imprese indipendenti cui imputare la condotta anticoncorrenziale, in grado di realizzare un coordinamento di
qualsiasi forma avente un oggetto o un effetto restrittivo
della concorrenza e la sua consistenza19.
Occorre precisare sin da ora che ai fini
dell’applicazione delle norme antitrust la nozione di impresa a cui occorre fa riferimento è diversa e molto più ampia
rispetto a quella civilistica. La normativa dell’Unione europea in materia di concorrenza è particolarmente significativa, dato che uno degli obiettivi primari del Trattato CE (art.
3 lett. g), oggi confermato dall’articolo 4 del TFUE, è quello
di realizzare un regime inteso a garantire la concorrenza
non falsata nel mercato interno. Il Trattato attribuisce la
competenza esclusiva all’Unione nella definizione delle re 19
L’art. 2 della legge 287/90 richiede, come ulteriore requisito,
che l’intesa riguardi una parte rilevante del territorio nazionale. Tuttavia, sulla base della prassi dell’Autorità, avallata dal giudice amministrativo, tale requisito sembra sostanzialmente ricompreso nella nozione di consistenza.
20
gole di concorrenza necessarie al funzionamento del mercato interno.
Tornando sulla definizione di impresa, giova considerare che, nonostante le previsioni in materia di concorrenza
contenute nel Titolo VII della parte terza del TFUE (intitolato “Norme comuni sulla concorrenza, sulla fiscalità e sul
ravvicinamento delle legislazioni”) – precisamente gli artt.
101 (intese restrittive della concorrenza), 102 (abuso di posizione dominante) e 107 (aiuti di Stato) – nei Regolamenti
attuativi e nel Regolamento in materia di concentrazioni,
facciano riferimento al concetto di impresa, all’interno del
Trattato non è dato rinvenirne alcuna nozione.
La giurisprudenza della Corte di Giustizia ha, peraltro, avuto modo di precisare che per impresa debba intendersi “qualsiasi entità esplicante un’attività economica, indipendentemente dallo stato giuridico di questa entità e dal suo funzionamento”. Parimenti, la Commissione ha chiarito che “costituisce attività di natura economica qualsiasi attività che partecipi
agli scambi economici, anche a prescindere dalla ricerca di profitto”.
Ora, dal momento che il concetto di impresa non riceve una definizione normativa non stupisce nemmeno che le
soluzioni pratiche raggiunte dalla Commissione o dai giudici comunitari non sempre appaiano conformi alle qualificazioni giuridiche tipiche degli ordinamenti nazionali. È palese, infatti, la scelta di qualificare “impresa” qualsiasi organizzazione valutata in termini di mercato.
Pertanto, sembra che sia da considerare come impresa
qualsiasi attività che abbia un carattere economico, rapportato alla circostanza che l’attività possa dar luogo a scambi
commerciale.
Così, la Corte di Giustizia, sia pure in relazione agli articoli 59 e 60 del Trattato CE (oggi artt. 56 e 57 TFUE), concernenti la libera prestazione di servizi, ha ritenuto che il
concetto di attività economica include le attività svolte dai
membri di una comunità fondata su una religione o su
un’altra concezione spirituale o filosofica della vita
nell’ambito delle attività commerciali esercitate da tale comunità, qualora le prestazioni fornite dalla comunità ai suoi
membri possano essere considerate come la diretta contropartita di attività reali ed effettive, invero nel diritto
21
dell’Unione europea, la nozione di soggetto di diritto, ai fini
dell’applicazione delle norme sulla concorrenza, non si
identifica con la titolarità della personalità giuridica, ma è
rapportato alla mera capacità di essere destinatario di diritti
e di obbligazioni.
Una conferma di questo particolare criterio di imputazione, si ricava da alcune decisioni della Commissione, la
quale ha sostenuto che l’incorporazione di un’impresa in
un’altra non annulla la responsabilità per il comportamento
anti-concorrenziale dell’impresa assorbita. Secondo la
Commissione, infatti, sotto il profilo economico, l’impresa
ha proseguito la sua esistenza.20
Anche nella giurisprudenza del Tribunale di primo
grado, si è affermata un’interpretazione puramente economica dell’art. 81 TCE, rivolto ad ogni entità economica costituita da un insieme di elementi materiali ed umani che
possano concorrere alla commissione di un’infrazione.; lo
stesso ha sottolineato che “qualora, tra il momento in cui viene
commessa l’infrazione ed il momento in cui l’impresa deve risponderne, la persona responsabile della gestione dell’impresa abbia cessato di esistere giuridicamente, occorre identificare la persona che è divenuta responsabile della gestione, allo scopo di evitare che, in seguito alla scomparsa della persona che era responsabile al momento in cui è stata commessa l’infrazione, l’impresa
possa non rispondere di quest’ultima”21.
Appare chiaro che le autorità preposte in seno
all’Unione ricerchino sempre la soluzione che riesca maggiormente a dare un risultato concreto, anche a costo di rinunciare ad un suo solido fondamento giuridico.
Ad ulteriore conferma dell’ampia definizione accolta
del concetto di impresa, si può ricordare un’altra sentenza
della Corte di giustizia dove viene puntualizzato che “nel
contesto del diritto della concorrenza, la nozione di impresa comprende qualsiasi entità che svolge un’attività economica, a prescindere dal suo status giuridico e dalle sue modalità di funzionamento.22. La Corte di Giustizia sottolinea come l’attività di
collocamento di manodopera sia un’attività economica e
20
Decisione del 23 aprile 1986, caso Polipropilene
TPI, 17 dicembre 1991, Enichem Anic S.p.a.
22
CGCE, 11 dicembre 1997, Job centre Coop. a r.l.
21
22
che la circostanza che tale attività sia affidata di norma a
pubblici uffici non incide sulla sua natura economica, dato
che la stessa non è necessariamente svolta da enti pubblici23.
Alla luce di quanto sin qui detto, può affermarsi che
per il diritto dell’Unione, la nozione di impresa abbraccia
qualsiasi entità che eserciti un’attività economica a prescindere dallo status giuridico e dalle modalità di finanziamento.
La nozione di impresa24 assume un ruolo decisivo ai
fini dell’applicazione delle norme in materia di intese anche
nel nostro ordinamento.
In assenza di un’esplicita definizione normativa, coerentemente con l’indirizzo comunitario, l’Autorità Garante
ha elaborato nella prassi una “nozione” di impresa propria
del diritto della concorrenza e comunemente definita funzionale, dalla portata molto ampia, che travalica i confini
della nozione civilistica e dove ciò che rileva è la natura
dell’attività posta in essere da un soggetto, non la sua forma
giuridica, né la sua organizzazione interna, né l’oggetto
dell’attività svolta.
23
La Corte di Giustizia è ritornata sulla qualificazione di impresa
in una recente decisione del 24 ottobre 2002, relativa alla causa Aéreopots
de Paris. L’aeroporto di Parigi (ADP), con il suo settimo motivo di ricorso, riteneva che il Tribunale avesse errato nel qualificare come lo stesso
come impresa ai sensi dell’art. 86 (poi 82 del Trattato CE, oggi 102
TFUE). L’appellante, in particolare, sosteneva che “l’amministrazione
del demanio pubblico, nell’attività controversa nel caso di specie, comporterebbe l’esercizio di prerogative dei pubblici poteri e, pertanto, non
potrebbe costituire un’attività di impresa ai sensi dell’art. 86 del Trattato”. La Corte ha affermato che “come la Commissione ha giustamente sostenuto, la circostanza che un ente disponga, per l’esercizio di una parte della
propria attività, di prerogative dei pubblici poteri, non impedisce, di per sé solo,
di qualificarla come impresa ai sensi dell’art. 86 del Trattato CE”. È necessario, pertanto, procedere appurando la natura dell’attività svolta. Inoltre,
la Corte ha ricordato come il Tribunale abbia operato una distinzione
tra attività puramente amministrativa dell’ADP, in particolare i compiti
di polizia, e le attività di gestione e di esercizio degli aeroporti parigini,
che sono compensate da canoni commerciali che variano a seconda del
fatturato realizzato.
24
L. DI VIA, L’impresa, in Trattato dir. priv. eur., a cura di N. LIPARI,
Padova, 2003, II, pag. 54; G. GUIZZI, Il concetto di impresa tra diritto comunitario, legge antitrust e codice civile, in Riv. dir. comm., 1993, pag. 277.
23
La nozione di impresa, ai fini antitrust, la cui portata è
unitaria nel contesto applicativo delle previsioni in materia
di intese, abusi di posizione dominante e di imprese titolari
di diritti speciali o esclusivi ex artt. 2,3 e 8 della legge
287/90 comprende, perciò, qualsiasi entità che esercita
un’attività economica a prescindere dal suo status giuridico
e dalle modalità del suo funzionamento25.
Conseguentemente, in sede comunitaria, sono stati ritenuti imprese, ai fini dell’applicazione della disciplina antitrust, tra l’altro, gli imprenditori individuali, le società di
persone e di capitali, le cooperative commerciali e agricole, i
consorzi con attività interna ed esterna, le associazioni
commerciali e di categoria e le fondazioni che svolgono attività economiche26. Analogamente, anche gli esercenti delle
professioni liberali sono stati ritenuti imprese a pieno titolo
ai fini della normativa della concorrenza, cosi come i cantanti lirici di fama internazionale27.
4. I presupposti per l’operatività del divieto di intese
restrittive della concorrenza.
25
La nozione di impresa ai fini della disciplina antitrust italiana
riprende fedelmente la nozione definita dalla Corte di Giustizia. Fra tutte, CGCE, 18 giugno 1991, Hofner and Elser/Macroton Gmb, 41/90, Racc.
p. I-1979, punto 21.
26
Uno dei numerosi casi in cui un individuo è stato considerato
impresa, Commissione europea, 2 dicembre 1975, AOIP c. Beyrard, in
GUCE 1976, L 6/15.
27
Corte di Giustizia, 12 settembre 2000, Pavel Pavlov/Stichting Pensioenfonds Medische Specialisten, C-180/98, Racc. I-6451, punto 77. Da ultimo, AGCM, 25 marzo 200, Guardia di Finanza/Federazione Italiana Agenti Immobiliari Professionali, in Boll. n. 29/2004, con cui è stata riconosciuta la natura di impresa in relazione all’attività professionale di prestazione di servizi svolta, rispettivamente, dagli agenti immobiliari e dai
periti assicurativi. Si veda anche, AGCM, 27 settembre 2000, Ordine dei
medici chirurghi e odontoiatri, in Boll. n. 39/2000, nonché 26 novembre
1998, Consigli Nazionali dei Ragionieri e Periti Commerciali e dei Dottori
Commercialisti, in Boll. n. 48/1998, con cui è stata riconosciuta la natura
di impresa ,ai fini antitrust, di soggetti che offrono prestazioni di carattere intellettuale, in quanto anche la natura tecnica o specializzata di tali
prestazioni o il fatto che le stesse siano fornite su base personale e diretta non sono elementi idonei a modificarne la natura di attività economica, nella misura in cui i professionisti offrano i propri servizi sul mercato a titolo oneroso, in modo stabile e in forma indipendente.
24
Come finora specificato, il nostro ordinamento, come
tutti gli ordinamenti che hanno adottato una disciplina antitrust, prevede tra le sue regole fondanti il divieto per le imprese di porre in essere intese restrittive della concorrenza28.
Tuttavia, essendo l’obiettivo primario delle moderne
legislazioni quello di incrementare il benessere dei consumatori preservando la struttura competitiva del mercato, è
facile comprendere come non tutte le intese debbano essere
considerate automaticamente restrittive della concorrenza
per il solo fatto di limitare l’autonomia delle imprese nella
determinazione della loro politica commerciale.
A questo proposito può ricorrere utile un esempio. Si
può considerare l’ipotesi di due o più imprese che pongono
in essere una forma di collaborazione, anche ad esempio costituendo una joint venture con lo scopo di produrre un bene
che ciascuna di esse, singolarmente, non avrebbe potuto
realizzare, in ragione degli investimenti e della tecnologia
richiesti. In questo caso, si tratta di un’ipotesi di intesa che,
nonostante ponga dei limiti all’autonomia contrattuale delle
parti, presenta degli aspetti pro-competitivi, in ragione dei
benefici che genera: l’innovazione, la qualità dei prodotti, la
razionalizzazione ed il risparmio dei costi di distribuzione,
etc., a vantaggio dei consumatori e degli utenti.
Questo esempio fa capire bene come sia, allora, necessario valutare concretamente la natura restrittiva di
un’intesa, sia in ragione del suo oggetto, sia in ragione della
possibilità che la stessa produca effetti distorsivi della concorrenza sul mercato in cui le parti operano.
Di fatto, la ratio del divieto di cui all’art. 2 della legge
n. 287/90, è non già quella di vietare tout court la collaborazione tra imprese concorrenti, bensì quella di impedire
comportamenti collusivi che siano suscettibili di alterare gli
equilibri del mercato in modo apprezzabile.
È vero anche che in presenza di accordi aventi lo scopo ultimo ed esplicito di restringere il gioco concorrenziale
28
Per un’analisi delle intese restrittive della concorrenza in ambito comunitario, cfr. BELLAMY & CHILD, European Community Law of Competition, V ed., London, 2001, pagg. 44 e ss. Per una rassegna della casistica nazionale, cfr. Commentario breve al diritto della concorrenza, a cura
di MARCHETTI- UBERTAZZI, III, Padova, 2004, pagg. 2310 e ss.
25
in modo rilevante29, le autorità di controllo non procedono
mai ad un’analisi economica approfondita, condannandoli
per sé, per il solo fatto che questi abbiano un valore intrinsecamente restrittivo30.
D’altra parte, esistono anche intese che presentano
contestualmente effetti pro e anti-competitivi: tali intese richiedono valutazioni più complesse atte a determinare se i
guadagni di efficienza riescano, quanto meno, a compensare la restrizione della concorrenza. A tal proposito, il nostro
legislatore, sulla scorta delle disposizioni comunitarie, ha
previsto all’art. 4 della legge antitrust la possibilità di
un’autorizzazione in deroga (o esenzione), la quale è accordata dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato
a quelle intese che apportano benefici alla collettività tali da
compensare largamente gli effetti distorsivi della concorrenza.
Come accennato in precedenza, in ambito comunitario
l’istituto dell’esenzione, tanto nella forma individuale, tanto
nella variante dei regolamenti di esenzione per categoria, è
stato oggetto di estesa -ancorché criticata - applicazione. La
Commissione, infatti, si è ritrovata a fare un uso sempre più
esteso di tale strumento interpretando in maniera estensiva
il divieto posto dall’ex art. 81.1 TCE (oggi art. 101 TFUE).
Invero, venivano considerati come restrittive della concorrenza tutti quei comportamenti in qualche modo limitativi
della libertà individuale delle singole imprese operanti sul
mercato, per poi effettuare un bilancio competitivo com-
29
Come nel caso delle intese orizzontali tra concorrenti diretti,
che prevedono una concertazione tra le imprese concorrenti circa i parametri concorrenziali, ossia i prezzi, le quantità o la ripartizione del
mercato per aree geografiche.
30
In ambito statunitense, è stata sviluppata la per se condemnation
theory in base alla quale una pratica è dichiarata illegale senza che occorrano ulteriori indagini. Generalmente, questa teoria vinee applicata a
tutte quelle condotte intrinsecamente anti-competitive e per le quali
non è necessaria un’indagine dell’intento delle parti, ovvero circa gli effetti, tanto attuali tanto potenziali, della stessa. A tale teoria vengono
riconosciuti indubbi vantaggi in termini di costi dell’azione giudiziaria,
certezza del diritto e tempi.
26
plessivo dell’accordo nell’ambito del terzo comma del vecchio art. 8131.
Nel 2004 le Linee Direttrici32, sull’applicazione dell’art.
81, hanno ribadito che nella valutazione circa la restrittività
delle intese, la Commissione debba tener conto del contesto
reale in cui la concorrenza sarebbe esercitata qualora non
esistesse l’accordo contenente le clausole di cui si ipotizza il
carattere restrittivo (par. 17). Utilizzando questo parametro
di riferimento, l’Autorità di controllo dovrà, pertanto, accertare l’impatto dell’accordo sia sulla concorrenza inter-brand,
vale a dire la concorrenza tra le marche, che si svolge su un
piano orizzontale fra diverse filiere produttive, sia sulla
concorrenza intra-brand, ovvero quella che si svolge
all’interno della stessa marca, che si sviluppa verticalmente
tra gli operatori appartenenti alla medesima filiera produttiva.
In ambito nazionale, l’AGCM, ispirandosi in qualche
misura alla dottrina statunitense della rule of reason, ha
spesso ricollocato l’intera analisi di una intesa all’interno
dell’art. 2 della legge, verificandonr la restrittività o meno
in esito ad un bilancio concorrenziale complessivo, che tiene conto del contesto di mercato in cui l’intesa esplica i suoi
effetti. Questo ha consentito all’autorità di controllo nazionale di applicare la regola eccezionale dell’autorizzazione
in deroga, prevista dall’art. 4 della legge antitrust, soltanto a
seguito di una preventiva e tangibile dimostrazione degli
effetti anti-concorrenziali dell’intesa.
Ora, facendo un passo indietro, conviene esaminare i
presupposti che devono ricorrere ai fini dell’applicabilità
31
L’art. 81 del Trattato di Roma si articolava in due disposizioni
distinte: un divieto previsto dal primo paragrafo ed una deroga al medesimo. Conseguenza è stata un’impostazione che ha condotto
l’interprete a valutare dapprima la portata restrittiva dell’intesa per poi
prendere in considerazione la possibilità di accordare una deroga al divieto, attraverso un’ ulteriore e successiva valutazione. La Corte di Giustizia ha comunque suggerito un approccio meno formalista
nell’applicazione dell’articolo in commento. Tra le pronunce che si sono
espresse in senso favorevole ad un’interpretazione meno restrittiva del
disposto, Corte di Giustizia, 15 dicembre 1994, Gottrup Klim e a., C250/92, Racc. p. I-5641 e Corte di Giustizia, 12 dicembre 1995, Oude
Luittikuis e a., C-399/93, Racc. p. I-5641.
32
LINEE DIRETTRICI 2004, in GUCE 2004, C-101/97.
27
del divieto imposto dall’art. 2 della Legge antitrust, per meglio interpretare la regola eccezionale che consente
l’autorizzazione in deroga di intese vietate.
le
5. Elementi costitutivi di un’intesa anticoncorrenzia-
Elencandoli, gli elementi costitutivi di un’intesa anticoncorrenziale sono innanzitutto la presenza di due o più
imprese indipendenti, alle quali imputare la condotta anticoncorrenziale; in secondo luogo, un coordinamento o una
concertazione tra le imprese realizzabile in diverse forme;
un oggetto o un effetto restrittivo della concorrenza ed infine la consistenza dell’intesa.
In relazione al primo elemento costitutivo dell’intesa
anti-concorrenziale, viene in rilievo il concetto di impresa,
che come ampiamente detto, in assenza di una esplicita definizione comunitaria, ha portato l’AGCM a elaborare nella
prassi una nozione “funzionale”33, che comprende qualsiasi
entità che eserciti un’attività economica a prescindere dal
suo status giuridico e dalle modalità del suo funzionamento.
Affinché si configuri un’intesa occorre provare
l’esistenza di una concertazione tra imprese indipendenti,
che può assumere le vesti di un accordo, di una pratica concordata, ovvero di una decisione di associazione di imprese.
Secondo l’indirizzo interpretativo funzionale dell’AGCM,
l’intesa ricomprende qualsiasi comportamento finalizzato, o
comunque idoneo, a falsare il gioco della concorrenza. Pertanto, non è necessaria una puntuale riconduzione ad una o
all’altra fattispecie tipizzata di intesa, che assume rilievo secondario.
L’altra indicazione che si ricava dall’articolo 2 della
Legge antitrust è che le intese sono vietate in relazione al loro oggetto o al loro effetto. Quindi, le intese vietate sono
quelle che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare, in maniera consistente, il gioco della
concorrenza. Tali requisiti, secondo un consolidato orientamento della giurisprudenza tanto comunitaria, tanto na 33
Cfr. Fra tutte, Corte di Giustizia, 18 giugno 1991, Hofner and Elser/Macroton Gmb, 41/90, Racc. p. I-1979, punto 21.
28
zionale, sono da ritenersi alternativi e non cumulativi34. Corollario è che, una volta provata la natura anticoncorrenziale dell’oggetto dell’intesa, non sarà necessario proseguire
all’analisi degli effetti della stessa.
In realtà, l’effetto anticoncorrenziale è sempre presente, ma mentre in alcuni casi non va verificato perché immediatamente deducibile dalla natura dell’accordo, in altri casi
deve essere verificato (e va provato dalla parte che denuncia o eccepisce a nullità dell’intesa).
Distinguere tra l’oggetto e l’effetto dell’intesa è molto
importante, quindi è bene dare una definizione delle rispettive nozioni35. Le Linee Direttrici sull’interpretazione dell’art.
81.3 del Trattato definiscono le intese restrittive della concorrenza per oggetto come “quelle che per loro stessa natura
possono restringere la concorrenza. Si tratta di restrizioni che, alla luce degli obiettivi delle regole di concorrenza comunitarie,
hanno una potenzialità talmente alta di produrre effetti negativi
sulla concorrenza che è inutile, ai fini dell’applicazione dell’art.
81, paragrafo 1 dimostrare l’esistenza di effetti specifici sul mercato”36. In coerenza con un approccio di tipo funzionale, con il
termine oggetto non si vuol fare riferimento all’intento delle
parti, che rileva al momento dell’irrogazione della sanzione
piuttosto che in quello della valutazione circa la restrittività
dell’accordo, bensì allo scopo oggettivo che l’intesa assume
nel proprio contesto economico di riferimento37. Generalmente, quindi, sono qualificate come restrittive in relazione
al loro oggetto, le intese orizzontali volte alla fissazione dei
prezzi, alla limitazione della produzione o alla ripartizione
dei mercati e della clientela, ovvero le restrizioni verticali
34
La prima sentenza che affermava l’alternatività dei due requisiti, risale al 1996, Corte di Giustizia, 30 giugno 1966, Société Technique
Minière/Maschinenbau Ulm GmbH, C-56/65, Racc. p. I-235; a livello nazionale, Consiglio di Stato, VI, n. 2199/2000, RC Auto.
35
Comunicazione della Commissione, Linee Direttrici
sull’applicazione dell’articolo 81 del Trattato, 2004/C 101/08, in GUCE
2004, C 101/97, par.20. La distinzione, invece, sfuma nel quadro
dell’applicazione dell’art. 81.3, che si applica agli accordi già considerati
restrittivi della concorrenza.
36
Comunicazione della Commissione, Linee Direttrici
sull’applicazione dell’articolo 81, paragrafo 3, del Trattato, cit., par. 1.2.
37
AGCM, 26 luglio 2001, Accordo distributori esercenti cinema, in
Boll. n. 30/01.
29
che impongono prezzi minimi o fissi di vendita, o che prevedono una protezione territoriale assoluta o, ancora, impediscono le vendite passive38. Innanzitutto, l’Autorità valuterà il contenuto dell’intesa e gli scopi da essa perseguiti
e, in linea di massima, qualora risulti che le imprese abbiano convenuto di comportarsi allo scopo di falsare la concorrenza, non sarà necessaria una valutazione delle modalità
attraverso cui tali comportamenti siano stati effettivamente
posti in essere ed abbiano effettivamente inciso sul mercato39. D’altra parte “può essere richiesta una valutazione dei fatti
alla base dell’accordo e delle circostanze specifiche nelle quali esso
funziona prima di poter concludere che una determinata restrizione costituisce una restrizione della concorrenza per oggetto. Le
modalità di attuazione di un accordo possono rivelare una restrizione per oggetto, anche se l’accordo formale non contiene alcuna
clausola espressa in tal senso”40. Successivamente, verrà valutato l’impatto economico dell’intesa sulla concorrenza, se
non altro in termini di apprezzamento della posizione delle
parti all’interno del mercato, atteso che quest’ultima rileva
ai fini dell’accertamento dell’ulteriore requisito richiesto
dalla norma, vale a dire la consistenza della restrizione.
La valutazione degli effetti, invece, è necessaria tutte
le volte in cui la natura anticoncorrenziale dell’oggetto non
sia evidente. In particolare, l’effetto anticoncorrenziale va
determinato sulla base di una valutazione dell’impatto concreto dell’intesa sulla concorrenza con riguardo alle caratteristiche del mercato sul quale questa incide41.
38
Cnf. Linee Direttrici, cit., par. 23.
Con riguardo alle pratiche concordate, come già anticipato nella sentenza Polipropilene la Corte di Giustizia ha escluso che la Commissione abbia l’obbligo di provarne l’effetto anticoncorrenziale, ovvero il
nesso di causalità tra la concertazione collusiva delle parti e la loro condotta sul mercato. In questo caso, la collusione è presunta per il fatto
che le imprese restano attive nel mercato di riferimento. Si assiste in
questa ipotesi ad un’inversione dell’onere della prova a carico delle imprese coinvolte, cui è richiesto di dimostrare che la concertazione attuata non ha influenzato in alcun modo il loro comportamento commerciale successivo.
40
Linee Direttrici, cit., par. 22.
41
Un esempio si rinviene nella sentenza della Corte di giustizia,
28 febbraio 1991, Delimitis, C-234/98, Racc. p. I-935, in cui la stessa afferma che “un contratto di fornitura di birra è vietato dall’art. 85, n.1, del
39
30
Gli effetti da tenere in considerazione sono sia quelli
attuali, sia quelli potenziali, i quali devono essere consistenti e non trascurabili e ciò dipende, in primo luogo, dalla posizione delle parti sul mercato; tuttavia, il fatto che le quote
delle parti superino le soglie di rilevanza fissate, a livello
comunitario, dalla Comunicazione c.d. de minimis, ovvero le
soglie massime stabilite ai fini dell’applicabilità dei regolamenti di esenzione per categoria, non determina automaticamente la consistenza degli effetti, che andranno valutati
individualmente42.
Concludendo, anche nella valutazione degli effetti occorre seguire un approccio economico, fondato
sull’apprezzamento del potere di mercato detenuto da una
o più imprese parti dell’intesa e del potere di questa a creare o a rafforzare tale potere, ovvero consentirne lo sfruttamento in danno di concorrenti attuali o potenziali e/o degli
utilizzatori.
Venendo all’analisi dell’ultimo requisito richiesto
dall’art. 2 ai fini della valutazione della restrittività di
un’intesa, sulla base di quanto già premesso e cioè che
obiettivo di tutte le moderne legislazioni antitrust è quello
di prevenire e reprimere solo quei comportamenti delle imprese suscettibili di arrecare un danno apprezzabile al libero gioco concorrenziale, appare chiaro che a nulla giova
perseguire quelle condotte che abbiano effetti distorsivi della concorrenza minimi o impercettibili. La nozione di consistenza fa riferimento ad una soglia di “apprezzabilità” della
restrizione, al di sotto della quale l‘intesa non è vietata, in
Trattato qualora ricorrano due condizioni cumulative. Occorre, in primo luogo,
che, tenuto conto del contesto economico e giuridico del contratto oggetto della
controversia, il mercato nazionale della distribuzione di birra nei pubblici esercizi sia difficilmente accessibile a concorrenti che potrebbero insediarsi in tale
mercato o espandere ivi la loro quota di mercato. Il fatto che il contratto di cui
trattasi faccia parte in tale mercato di un complesso di contratti analoghi, che
producono un effetto cumulativo sul gioco della concorrenza, costituisce solo
un fattore, fra tanti, per valutare se un siffatto mercato sia effettivamente di
difficile accesso. È necessario, in secondo luogo, che il contratto di cui trattasi
contribuisca in modo significativo all’effetto di blocco prodotto dal complesso di
questi contratti, nel loro contesto economico e giuridico. L’importanza del contributo del contratto individuale dipende dalla posizione delle parti contraenti
sul mercato considerato e dalla durata del contratto”.
42
Cnf. Linee Direttrici, cit., parr. 25-27.
31
quanto difetta l’idoneità della stessa a produrre effetti rilevanti sul mercato.
A livello comunitario, le intese devono soddisfare una
ulteriore condizione: l’idoneità a pregiudicare il commercio
intra-comunitario. Il criterio del pregiudizio al commercio
tra gli Stati membri costituisce, peraltro, il discrimine tra
fattispecie comunitarie e fattispecie di rilevanza nazionale,
senza tralasciare che l’intensità della distorsione della concorrenza sul mercato, con riguardo agli effetti concreti causati dall’intesa, va apprezzata in relazione alla posizione
che sul medesimo hanno le imprese autrici della condotta
illecita.
32
CAPITOLO II
IL MODELLO ISTITUZIONALE
ADOTTATO DALLA LEGGE ANTITRUST
Il modello istituzionale voluto dal Legislatore del
1990, per ragioni che attengono essenzialmente alla fase genetica della legge antitrust43, si basa su una tutela “binaria”:
- da un lato vi è l’attribuzione all’Autorità Garante
della Concorrenza e del Mercato del compito di accertare le
infrazioni e la consequenziale competenza del giudice amministrativo in sede di giurisdizione esclusiva (TAR Lazio
in primo grado, e Consiglio di Stato in appello) a conoscere
dei ricorsi avverso i provvedimenti amministrativi
dell’Autorità (art. 33, comma 1);
- dall’altro vi è la competenza esclusiva ed in unico
grado della Corte di Appello competente per territorio44 a
conoscere delle azioni di nullità, risarcimento del danno e
dei ricorsi intesi ad ottenere provvedimenti di urgenza in
relazione alla violazione della legge 287/90 (art. 33, comma
2)45.
43
In sede di approvazione della disciplina antitrust la scelta del
regime giurisdizionale fu molto dibattuta. Nel corso dei lavori parlamentari furono prospettati due modelli di tutela differenziati: il primo
prevedeva una forma di tutela della concorrenza fondata sui poteri
dell’Autorità giudiziaria ordinaria (Corte di Appello); il secondo una
ripartizione tra la competenza del giudice ordinario (Tribunale di Roma) e il giudice amministrativo, basata sulla tradizionale distinzione tra
atti lesivi di diritti soggettivi e atti lesivi di interessi legittimi. La questione è stata, infine, risolta prevedendo la giurisdizione esclusiva del
giudice amministrativo in ragione delle difficoltà di individuare, in sede di prospettazione dell’azione, la situazione giuridica soggettiva lesa
in presenza di attività protette da norme di rango costituzionale.
44
G.V. DONATIVI, Introduzione della disciplina antitrust nel sistema
legislativo italiano: le premesse, Milano, 1990.
45
L’articolo 33 della L. 287/90 relativo alla “Tutela giurisdizionale”
dispone che “1. I ricorsi avverso i provvedimenti amministrativi adottati sulla base delle disposizioni di cui ai titoli dal I al IV della presente
legge rientrano nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Essi devono essere proposti davanti al Tribunale amministrativo re-
33
Il meccanismo su cui si basa la disciplina legale delle
intese restrittive della concorrenza porta con sé una serie di
aspetti problematici legati principalmente alla definizione
del ruolo attribuito al giudice ordinario e a quella dei rapporti, come già accennato tra la tutela giurisdizionale e
quella amministrativa.
Invero, quello che può accadere è che durante il decorso dell’istruttoria da parte delle competenti Autorità
pubbliche o anche nelle more dell’impugnazione del provvedimento finale innanzi agli organismi deputati a tale sindacato, siano instaurati procedimenti giudiziari ordinari riguardanti identiche questioni di diritto e di fatto.
Se queste sono le premesse, i quesiti che attendono risposta sono due:
- innanzitutto, perché, una volta che la tutela della
concorrenza e del mercato è stata affidata ad un’autorità
indipendente, ad essa è stata affiancata la competenza del
giudice ordinario?
- ed ancora, come far convivere questa duplice tutela?
2. L’AGCM
Prima di proseguire con l’esame dei profili problematici che il modello del doppio binario del sistema di valutazione e controllo delle intese anticoncorrenziali genera, giova ricordare che la legge antitrust ha istituito un’autorità
amministrativa indipendente specificamente preposta
all’applicazione delle regole di concorrenza: l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato.
L’AGCM, in particolare, interviene a reprimere le
condotte anticoncorrenziali attuate dalle imprese sul mercato, segnatamente le intese restrittive della concorrenza e gli
abusi di posizione dominante, ed esercita un controllo preventivo sulle operazioni di concentrazione tra imprese. Essa
svolge, altresì un’attività consultiva e di segnalazione al
gionale del Lazio.
2. Le azioni di nullità e di risarcimento del danno, nonché i ricorsi
intesi ad ottenere provvedimenti di urgenza in relazione alla violazione
delle disposizioni di cui ai titoli dal I al IV sono promossi davanti alla
corte d'appello competente per territorio.
34
Governo, al Parlamento ed alle pubbliche amministrazioni
in merito all’emanazione di leggi e provvedimenti amministrativi, nonché di iniziative legislative o regolamentari suscettibili di generare distorsioni concorrenziali (artt. 21 e 22
della legge).
In materia antitrust il legislatore, con la sola parziale
eccezione del settore bancario, ha conferito all’AGCM poteri generali di intervento, attribuendo poi, in un numero limitato di comparti, una funzione consultiva alle autorità
settoriali, chiamate, in ragione delle loro specifiche competenze, a fornire un contributo tecnico che consenta
un’applicazione della normativa a tutela della concorrenza
tenendo adeguatamente conto delle peculiarità dei settori in
questione.
L’Autorità, inoltre, applica in veste decentrata le norme comunitarie di concorrenza (c.d. competenze esterne).
2.1 (segue). Natura e funzioni
L’AGCM rientra nella categoria delle amministrazioni
indipendenti dal potere esecutivo, istituzioni preposte alla
cura di interessi collettivi di particolare rilievo, dotate di un
forte grado di indipendenza, non essendo sottoposte al potere di indirizzo politico del Governo.
Il modello delle autorità indipendenti, conosciuto nel
nostro ordinamento sin da epoca risalente, ha vissuto una
forte espansione nel corso degli anni ‘90, anche in seguito
alle tensioni politiche registrate nel paese per le grandi inchieste giudiziarie dell’inizio del decennio, poi sfociate nella crisi e nella conseguente perdita di credibilità delle istituzioni governative.
Nell’ambito dell’ampio genus delle autorità amministrative indipendenti, l’Autorità Garante della Concorrenza
e del Mercato incarna il modello più “puro” di autorità indipendente, significativamente riconosciuta come tale proprio dalla legge istitutiva, per la tipologia di interessi alla
cui tutela è preposta, la natura delle funzioni, gli strumenti
attraverso i quali esercita tali funzioni, nonché le modalità
di organizzazione e funzionamento.
Avuto riguardo alla natura degli interessi tutelati,
l’Autorità è chiamata a garantire un interesse primario costituzionalmente protetto, quale la libera concorrenza,
35
espressione del principio della libertà di iniziativa economica di cui all’articolo 41 della Costituzione. La posizione di
indipendenza si giustifica dunque in ragione dell’interesse
oggetto di tutela.
In merito alla natura delle funzioni svolte, l’attività
dell’Autorità si sostanzia essenzialmente nella produzione
di decisioni in merito a determinate fattispecie, attraverso
una valutazione che si risolve nel qualificare determinati
comportamenti in termini di liceità/illiceità.
In tal senso, il nucleo caratterizzante dei poteri
dell’Autorità appare rappresentato dal potere di accertamento degli illeciti concorrenziali.46
Quanto alle modalità di esercizio dei suoi poteri,
l’Autorità opera sostanzialmente nel quadro di procedimenti caratterizzati dalle garanzie tipiche dei procedimenti
amministrativi, vale a dire dal contraddittorio tra le parti
interessate e dal pieno esercizio dei diritti di difesa. Tali
aspetti
costituiscono
un’ulteriore
garanzia
dell’indipendenza dell’Autorità nell’esercizio delle sue funzioni decisorie47.
In una prima fase, autorevole dottrina aveva ritenuto
di cogliere, nelle caratteristiche dell’Autorità e nella natura
delle sue funzioni, specificità tali da poter assimilare la sua
attività a quella di un giudice48.
A sostegno di questa ricostruzione, venivano invocate
tre principali caratteristiche dell’Autorità:
- l’indipendenza, che assumerebbe rilevanza e consistenza diversa dal requisito di imparzialità proprio della
generalità delle pubbliche amministrazioni;
46
M. D. ALBERTI, Autorità indipendenti, in Enciclopedia Giuridica
Treccani, 1997, pag. 4.
47
M. CLARICH, Per uno studio sui poteri dell’Autorità Garante della
Concorrenza e del Mercato, in Diritto Amministrativo, n. 1, 1993, pag. 77; G.
AMATO, Autorità semi-indipendenti e autorità di garanzia, in Rivista Trimestrale del Diritto Pubblico, n. 3, 1997, pag. 646; M. DE BENEDETTO,
L’Autorità garante della concorrenza e del mercato, Bologna, 2000.
48
L. TORCHIA, Gli interessi affidati alla cura delle autorità indipendenti, in I garanti delle regole, a cura di S. CASSESE- C. FRANCHINI, Bologna,
1996, pag. 63; M. CLARICH, Per uno studio sui poteri dell’Autorità Garante
della Concorrenza e del Mercato,cit., nota 22.
36
- le funzioni di c.d. aggiudicazione, in cui l’attività
dell’Autorità sarebbe assimilabile a quella posta in essere
dal giudice, risolvendosi nel qualificare determinati atti o
comportamenti in termini di liceità/illiceità;
- la natura del procedimento, nel senso che l’Autorità
opererebbe sostanzialmente nel quadro di procedimenti di
tipo para-giurisdizionale, caratterizzati dal principio del
contraddittorio.
Alla luce di tali presupposti, si è argomentato nel senso di attribuire all’Autorità Garante la fisionomia di un organo quasi-giurisdizionale, che non esercita poteri discrezionali in senso stretto, ma cui è attribuita la funzione, di
carattere neutro, di applicare la legge ai soli ed esclusivi fini
dell’interesse pubblico generale alla tutela della concorrenza e del mercato. In tale contesto, l’attività dell’Autorità,
pur non potendo essere ricondotta all’attività giurisdizionale in senso stretto, si distaccherebbe dall’attività amministrativa comunemente intesa.
Tale impostazione, tuttavia, lasciava irrisolti alcuni
fondamentali problemi, tra cui la difficoltà di inquadrare un
organo così definito nell’attuale assetto costituzionale che,
come è noto, pone un divieto esplicito di creare giudici speciali (art. 102 della Costituzione).
Inoltre, le modalità di esercizio dei poteri
dell’Autorità, che nell’applicare le regole di concorrenza
cumula funzioni istruttorie e decisorie, contrastano con il
requisito della terzietà, connotazione tipica della funzione
giurisdizionale, che garantisce l’imparzialità del giudice,
chiamato a decidere in posizione terza non solo rispetto alle
eventuali parti di una controversia, ma anche rispetto ad altri giudici che hanno già emesso un giudizio, ovvero
espresso una valutazione in un diverso momento decisionale dello stesso procedimento.
Per contro, la concentrazione di funzioni istruttorie e
decisorie in capo al medesimo organo appare tipica delle
amministrazioni tradizionali, che sono chiamate ad assumere decisioni in esito ad un procedimento istruttorio, in
ossequio al principio costituzionalmente garantito
dell’imparzialità (art. 97 della Costituzione). Tali decisioni
sono soggette al pieno controllo giurisdizionale, come è appunto il caso dell’Autorità.
37
La delineata ricostruzione, espressione delle fasi iniziali del dibattito sviluppatosi in merito alla natura dei poteri e delle funzioni dell’Autorità, non può ad oggi ritenersi
consolidata: in virtù delle elaborazioni di parte della dottrina49, nonché delle conclusioni raggiunte dai giudici amministrativi50, ha infatti prevalso la qualificazione dell’Autorità
come organismo di natura amministrativa.
Nel contesto di questo dibattito, il giudice amministrativo si è più volte soffermato sulle diverse fasi del controllo
svolto dall’Autorità nell’applicazione della normativa antitrust, precisando la natura dei poteri e delle funzioni svolte
nel corso del procedimento istruttorio ed all’esito dello stesso.
In particolare, l’Autorità procede ad un accertamento
dei fatti a cui segue una fase di “contestualizzazione” delle
norme poste a tutela della concorrenza, norme che, avvalendosi di “concetti giuridici indeterminati”, quali ad
esempio, la nozione di mercato rilevante, di intesa restrittiva della concorrenza o di pratica abusiva, devono essere
adeguatamente interpretate al fine di individuare gli ele 49
G. MORBIDELLI, Sul regime amministrativo delle autorità indipendenti, in Le autorità indipendenti nei sistemi istituzionali ed economici, a cura
di A. PREDIERI, Firenze, 1997, pag 501; A. PREDIERI, L’erompere delle autorità amministrative indipendenti, Firenze, 1997; F. MERUSI- M. PASSARO, Le
autorità indipendenti, Bologna 2003.
50
Tale impostazione è stata delineata la prima volta nella sentenza del TAR Lazio, I, 15 aprile 1999, n. 873, Vendomusica,. Inoltre, in data
27 aprile 1998, il Consiglio di Stato ha reso un parere in cui, pur dando
atto che l’Autorità “è costituita intorno ad un nucleo centrale rappresentato
da un’attività di qualificazione giuridica di atti e di fatti rispetto alle regole materiali che governano il mercato in tema di concorrenza e di pubblicità ingannevole, esercitata da un organo dotato di un grado di indipendenza più accentuato rispetto ad altre autorità”, ha sottolineato che, nell’esercizio dei sui
poteri di indagine e sanzionatori, l’Autorità non ha una “posizione di indifferenza […] verso gli interessi coinvolti”, vale a dire gli interessi privati
delle imprese ed il predetto interesse pubblico. Il Consiglio di Stato
sembra quindi rigettare l’idea che l’Autorità si trovi in una posizione di
sostanziale neutralità e equidistanza tra gli interessi in gioco, come avverrebbe se essa fosse solo tenuta, al pari del giudice, a dare mera attuazione alla legge. L’indipendenza dell’Autorità va pertanto considerata, secondo il Consiglio di Stato, non in termini di separatezza
dell’ordinamento generale, bensì come esaltazione del carattere
dell’imparzialità, cioè uno dei valori giuridici fondamentali dell’attività
amministrativa e costituzionalemente garantito (art. 97, comma 1 Cost).
38
menti costitutivi dell’illecito contestato51. All’esito di tale
processo interpretativo, l’Autorità esegue un raffronto tra i
fatti accertati ed il parametro normativo, per procedere infine all’applicazione delle sanzioni previste dalla legge52.
Nell’esercizio di tali funzioni, l’Autorità opera in qualità di
autorità amministrativa indipendente, caratterizzata da una
specifica qualificazione e composizione tecnica e
dall’esercizio di poteri neutrali, nell’applicazione delle regole a tutela della concorrenza53.
Cosi ricostruito l’esercizio delle funzioni spettanti
all’Autorità, non sembra più sostenibile l’orientamento che
vorrebbe ricondurre tali funzioni a quelle proprie di un organismo giurisdizionale o paragiurisdizionale.
2.2 Gli ambiti di intervento: il procedimento di accertamento della liceità delle intese restrittive della concorrenza.
La legge 287/90 ha attribuito all’Autorità Garante la
funzione di controllo sul rispetto delle regole di concorrenza da parte delle imprese.
Nell’esercizio di tali funzioni di vigilanza, l’Autorità si
occupa di tre ordini di fattispecie: i) le intese, ii) gli abusi di
posizione dominante, iii) e il controllo preventivo delle concentrazioni tra imprese.
Per quel che interessa in questa sede è opportuno soffermarsi soltanto sulle funzioni svolte in materia di intese
restrittive della concorrenza, al fine di poter successivamente comprendere appieno il sistema del c.d. “doppio binario”
di valutazioni e della sua congruità o meno alla materia.
51
Cosiglio di Stato, VI, 24 maggio 2002, n. 2199, RC Auto e Consiglio di stato, VI, 2 marzo 2004, n. 962, Pellegrini/CONSIP.
52
Il giudice amministrativo si è spinto inoltre ad affermare che,
nelle fasi di individuazione del parametro normativo e di raffronto von
i fatti accertati, l’Autorità pone in essere, almeno in parte, un’attività discrezionale di carattere tecnico, riservando l’esercizio di una discrezionalità di tipo amministrativo all’adozione dei provvedimenti di dispensa o di deroga di cui agli artt. 4 e 25 della legge 287/90; cnfr. Consiglio
di Stato, n. 2199/2002, punto 1.3.1.
53
si veda quanto affermato nella Relazione annuale dell’Autorità,
2004, pag. 149.
39
Innanzitutto, si osserva che la legge antitrust contiene
poche e scarne disposizioni sulla disciplina dei procedimenti in materia di intese restrittive della concorrenza.
La disciplina dei procedimenti antitrust in materia di
intese (ma anche di abuso di posizione dominante), tendenzialmente unitaria, almeno per quanto riguarda la fase
istruttoria, risulta dal complesso normativo costituito dalla
legge 287/1990 e dal D.P.R. 30 aprile 1998, n. 21754, che, sostituendo il precedente regolamento di procedura del
199155, ha introdotto una minuziosa regolamentazione delle
varie fasi procedimentali, dei poteri dell’Autorità e dei diritti delle parti e dei terzi56.
Venendo alle linee salienti delle procedure istruttorie,
va innanzitutto ricordato che esse si configurano come procedimenti di carattere amministrativo, data la natura amministrativa dell’AGCM e delle funzioni ad essa attribuite.
Il complesso dei poteri di accertamento dell’Autorità
risponde, in questo quadro, ad una logica inquisitoria, nel
senso che è rimesso all’Autorità, almeno nei procedimenti
di repressione in materia di intese ed abusi, attivarsi per
raccogliere le prove dell’illecito ed individuare compiutamente l’infrazione.
Dalla natura amministrativa del procedimento discende che istituti e norme di carattere processuale non risultano ad esso applicabili57; ciò nonostante, la natura con 54
Regolamento in materia di procedure istruttorie di competenza
dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, in Gazzetta Ufficiale, 9
luglio 1998, n. 158. Per un commento analitico al Regolamento si veda
Commentario breve al diritto della Concorrenza, a cura di MARCHETTIUBERTAZZI, Padova, 2004, pagg. 2429-2459.
55
D.P.R. 10 settembre 1991, n. 461.
56
Si deve ricordare che le procedure istruttorie in esame costituiscono anche gli strumenti di applicazione degli articoli 101 e 102 TFUE
da parte dell’Autorità ai sensi dell’art. 54, comma 5, della legge n.
52/92, in seguito al processo di modernizzazione del diritto antitrust
comunitario del Regolamento (CE) n. 1/2003 del 16 dicembre 2002.
57
Cosi TAR Lazio, I, 15 aprile 1999, n. 873, Associazione Vendomusica, argomentando della natura di autorità amministrativa
dell’Autorità, v. supra. La Corte di Giustizia ed il Tribunale di primo
grado dell’Unione Europea, hanno, a loro volta, avuto modo da tempo
di precisare che i procedimenti dinanzi alla Commissione hanno natura
amministrativa e non giurisdizionale; si vedano Corte di Giustizia, 15
luglio 1970, Boehringer Mannheim, C-45/69, in Racc. 1970, pag. 769 e Tri-
40
tenziosa delle procedure, che possono condurre ad una decisione di accertamento, inibitoria e sanzionatoria delle
condotte vietate, conferisce una posizione di centralità al
principio del contraddittorio e della partecipazione al procedimento delle imprese “incolpate”, in una logica più di
tutela dei loro diritti di difesa58 che di collaborazione (fermo
restando che, il procedimento è comunque aperto anche alla
partecipazione di terzi soggetti diversi dalle parti). Anzi, ciò
che maggiormente caratterizza il procedimento antitrust è
proprio la presenza di un contraddittorio “rinforzato” con
le parti, che hanno diritto di essere ascoltate, per iscritto e
oralmente, all’insegna di quel principio c.d. di parità di armi, canonizzato dalla giurisprudenza comunitaria in materia di concorrenza, che implica una scrupolosa osservanza
dei diritti della difesa.
I procedimenti innanzi all’Autorità possono dividersi
in tre fasi: i) la fase pre-istruttoria, che precede l’apertura
del procedimento; ii) la fase istruttoria propriamente detta,
di acquisizione degli elementi probatori e di contraddittorio; iii) la fase di chiusura del procedimento, con l’adozione
del provvedimento finale.
2.3 La tutela cautelare. Aspetti problematici
Occorre, a questo punto, interrogarsi anche sulla possibilità di fondare sulle disposizioni della legge antitrust, ed
in particolare sull’articolo 15, una tutela cautelare che, sulla
base dei requisiti generali del fumus boni iuris e del periculum in mora, consenta all’Autorità Garante, nelle more della
conclusione del procedimento istruttorio in materia di intese ed abusi, l’adozione di misure interinali di carattere conservativo, funzionali a garantire l’efficacia del proprio in bunale di primo grado, 10 marzo 1992, Shell, T-11/89, in Racc. , 1992,
pagg. II- 757.
58
La Corte di Giustizia ha affermato che il rispetto dei diritti di
difesa costituisce un principio fondamentale del diritto comunitario e
che la Commissione deve osservare nei procedimenti di concorrenza:
Cfr. Corte di Giustizia, 9 novembre 1983, Michelin , C-322/81, in Racc.,
1983, pag. I-3461. La Commissione, secondo la consolidata giurisprudenza della Corte, deve condurre questi procedimenti correttamente,
con imparzialità, e rispettando la presunzione di innocenza del soggetto
accusato di un’infrazione.
41
tervento tenuto anche conto della lunghezza degli ordinari
termini procedimentali.
Non a caso, anche il potere di “prendere le disposizioni provvisorie indispensabili per potere esercitare in modo
efficace le proprie funzioni”, relativamente alla applicazione degli articoli 101 e 102 TFUE, è stato riconosciuto alla
Commissione Europea dalla Corte di Giustizia, che lo ha ritenuto implicitamente previsto da previgente art. 3, n. 1 del
Regolamento 17/62, ed utilizzabile in caso di urgenza, in
presenza di condotte prima facie contrastanti con le regole di
concorrenza, per porre rimedio ad una situazione dalla quale possa derivare un dnno grave al richiedente o un pregiudizio rilevante per l’interesse pubblico59.
Tale potere è invece attribuito all’Autorità Garante con
esclusivo riferimento alle concentrazioni (ex art. 17, legge n.
287/90), né, in assenza di un’espressa previsione, appare
agevolmente ricavabile da sistema delle norme, trattandosi
peraltro di un potere suscettibile di incidere in modo penetrante sui diritti dei terzi e considerando che l’Autorità rimane comunque governata dal principio di tipicità dei poteri.
Tuttavia, l’assenza di un potere cautelare dell’autorità
nei procedimenti in materia di intese ed abusi, resa ancora
più evidente dalla attribuzione al giudice ordinario, ex articolo 33, comma 2, della legge, del potere di concedere
provvedimenti di urgenza in relazione a violazioni di cui ai
titoli da I a IV della stessa legge, è effettivamente suscettibile di attenuare, in determinate ipotesi, la effettività della tutela della concorrenza e del mercato, e costituisce una vera e
propria lacuna della disciplina, non facilmente spiegabile,
59
Ordinanza della Corte di Giustizia, 17 gennaio 1980, Camera Care, C-729-79, in Racc., 1980, pag. 119. La Corte ha precisato che la Commissione, nell’adottare misure cautelari, deve comunque tutelare i diritti di difesa delle imprese coinvolte, ed adottare misure temporanee e
conservative, nonché proporzionate alla presunta infrazione. Ad oggi,
l’articolo 8 del Regolamento 1/2003 conferisce espressamente alla
Commissione il potere di adottare, in caso di urgenza, dovuta al rischio
di un danno grave ed irreparabile per la concorrenza, decisioni che dispongano misure cautelari. Lo stesso potere è attribuito dall’articolo 5
alle autorità nazionali che procedono all’applicazione degli articoli 101
e 102 del TFUE.
42
cui occorre porre rimedio in sede legislativa. Peraltro,
l’espresso conferimento alle autorità nazionali di concorrenza, nel Regolamento vigente di applicazione degli articoli 101 e 102 TFUE (ex artt. 81 e 82 TCE), del potere di adottare misure cautelari quando applicano detti articoli, rende
questa lacuna ancora più vistosa.
3. Il regime giurisdizionale.
Come detto, il modello istituzionale adottato dalla
legge n. 287/1990 prevede una tutela “binaria”60:l’Autorità
Garante della Concorrenza e del Mercato procede ad accertare infrazioni della disciplina antitrust; il giudice amministrativo in sede di giurisdizione esclusiva (TAR del Lazio in
primo grado e Consiglio di Stato in appello) è competente a
conoscere dei ricorsi avverso i provvedimenti amministrativi dell’Autorità (art. 33, comma 1, l. n. 287/1990); la Corte
di Appello competente per territorio, dall’altro lato, offre
una tutela civilistica, autonoma dalla prima, in relazione ad
azioni di nullità, risarcimento del danno e a ricorsi intesi ad
ottenere provvedimenti d’urgenza relativamente alla violazione di disposizioni della legge antitrust (art. 33, comma 2).
In sede di adozione della disciplina antitrust la scelta
del regime giurisdizionale fu molto dibattuta.
Nel corso dei lavori parlamentari furono prospettati
due modelli di tutela differenziata: il primo prevedeva una
forma di tutela della concorrenza fondata sui poteri
dell’Autorità giudiziaria ordinaria, la Corte di Appello; il
secondo una ripartizione tra la competenza del giudice ordinario, il Tribunale di Roma, ed il giudice amministrativo,
basata sulla tradizionale distinzione tra atti lesivi di diritti
soggettivi e atti lesivi di interessi legittimi. La questione è
stata infine risolta nel senso di prevedere in sede di prospettazione dell’azione la situazione giuridica soggettiva lesa in
presenza di attività protette da norme di rango costituzionale.
4. Il controllo giurisdizionale dei provvedimenti
dell’Autorità. Cenni sul ruolo del giudice amministrativo.
60
G. V. DONATIVI, Introduzione della disciplina antitrust nel sistema
legislativo italiano: le premesse, Milano, 1990.
43
L’art. 33, comma 1, della legge 287/1990 dispone
espressamente che i provvedimenti adottati dall’AGCM in
applicazione della disciplina antitrust sono sottoposti al
controllo giurisdizionale del giudice amministrativo, TAR
del Lazio in primo grado e Consiglio di Stato in appello.
Anche se la scelta del giudice amministrativo appare
certamente coerente con la collocazione dell’Autorità
nell’alveo delle pubbliche amministrazioni (da subito sottolineata dalla giurisprudenza)61, tuttavia il sindacato giurisdizionale è immediatamente apparso come un’area particolarmente critica.
La normativa e l’affidamento della sua applicazione
ad un’autorità specializzata e con spiccate caratteristiche di
indipendenza ed autonomia hanno infatti posto in primo
piano le problematiche relative alla natura ed alle funzioni
dell’AGCM e al suo difficile collocamento nell’ordinamento
come autorità indipendente. Il tema del controllo giurisdizionale è conseguentemente emerso, specie nel dibattito
dottrinale, principalmente in relazione alle caratteristiche
delle istituzioni dell’Autorità e all’esigenza di trovare un
punto di equilibrio fra il suo ruolo e quello del giudice incaricato di vagliare i provvedimenti.
In questo contesto, da una parte si è posto il problema
di individuare gli eventuali confini del controllo giurisdizionale sulle decisioni di un’autorità indipendente e specializzata, con riguardo specialmente al sindacato sull’eccesso
di potere come possibile tramite di un controllo invasivo di
scelte riservate all’Autorità; mentre dall’altra si è evidenziata la necessità di una tutela giurisdizionale “attenuata”62.
Per altro verso, in considerazione del modello organizzativo dell’Autorità antitrust come autorità indipendente
61
TAR Lazio, I, 5 maggio, 1994, sent. n. 625, Itatel/Mistel, dove il
giudice ha affermato che l’indipendenza propria dell’Autorità non consente di ritenere la sua attività sottratta al controllo giurisdizionale, pena un netto contrasto con l’art. 113 Cost., e che l’attività dell’Autorità
resta pertanto soggetta, come per tutti i soggetti dotati di poteri pubblici, ai principi costituzionale di imparzialità, efficienza e controllo giurisdizionale
62
R. CARANTA, Il giudice delle decisione delle autorità indipendenti, in
S. CASSESE e C. FRANCHINI (a cura di), I garanti delle regole. Le autorità indipendenti, Bologna, 1996, pag. 166.
44
e delle caratteristiche della relativa disciplina, ci si è interrogati sulla adeguatezza di una riproposizione senza adattamenti delle procedure di controllo giurisdizionale della
legittimità degli atti, tipiche di altri settori della pubblica
amministrazione; anche con riferimento alla effettiva necessità di mantenere un doppio grado di giurisdizione e ai limiti dell’attività istruttoria in sede di giurisdizione esclusiva.
Così come non è mancato chi ha reclamato il trasferimento del controllo giurisdizionale dei provvedimenti
dell’AGCM al giudice ordinario (ricordando esempi di altri
ordinamenti), sia in nome di un maggiore familiarità
dell’autorità giudiziaria ordinaria con le problematiche affrontate dall’Autorità, sia perché le controversie antitrust
trattate dal giudice amministrativo sarebbero soggette ad
un controllo giurisdizionale limitato ad una verifica di sola
legittimità, con la conseguenza, anche per le limitazioni
processuali subite dal giudice, di una scarsa tutela delle posizioni giuridiche soggettive dei privati nell’ambito di tale
contenzioso63.
Inoltre, il ruolo assolutamente preponderante, nei
primi anni di applicazione della legge, della fase cautelare,
che non risulta la sede più adeguata per l’acquisizione e la
valutazione da parte dei giudici delle complesse evidenze
di carattere tecnico ed economico tipiche delle controversie
in materia antitrust, ha costituito inizialmente un freno alla
instaurazione di una corretta dialettica fra il giudice e
l’Autorità. D’altra parte, se è vero che nella prima fase di
applicazione della legge sono emerse alcune incertezze legate presumibilmente alla scarsa familiarità del giudice
amministrativo con la materia in questione, nonché alle difficoltà di scrutinare i provvedimenti dell’Autorità ricorrendo alle categorie giuridiche tipiche del controllo di legittimità del giudizio amministrativo, la situazione si presenta
ora decisamente mutata. Lo sviluppo del contenzioso relativo agli atti dell’Autorità e la sua concentrazione presso il
TAR del Lazio hanno infatti comportato, da parte del giudi 63
G. GHIDINI e V. FALCE, Giurisdizione antitrust, l’anomalia italiana,
in Mercato, concorrenza e regole, n. 2, 1999, pag. 317; G. ROSSI, Antitrust e
teoria della giustizia, in Rivista delle Società, 1995, pag. 1.
45
ce amministrativo, una progressiva familiarizzazione con la
materia ed una maggiore comprensione della sua logica di
fondo, anche in virtù della convinta adesione ai principi
dell’ordinamento comunitario in materia di concorrenza64.
5. La tutela antitrust davanti all’autorità giudiziaria
ordinaria.
Prima di procedere con l’analisi del regime della tutela
civilistica apprestata dal giudice ordinario in materia antitrust, è utile ricordare, per facilitare l’indagine, quanto già
premesso relativamente alla correlazione delle norme a tutela della concorrenza e del mercato appartenenti al diritto
dell’Unione Europea con quelle, ad esse speculare, nazionali.
In particolare, si vuole ricordare che gli articoli 101 e
102 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea
(ex artt. 81 e 82 TCE), così come gli articoli 2 e 3 della legge
287/1990, costituiscono norme direttamente applicabili ai
rapporti fra i privati, essendo idonee a far sorgere in capo
ad essi situazioni giuridiche soggettive direttamente invocabili davanti al giudice ordinario. In tal senso, per ricorrere
ad una metafora entrata nell’uso comune, si può affermare
che la disciplina antitrust è suscettibile di private enforcement
in una prospettiva duplice: innanzitutto, un’impresa può
difendersi invocando la violazione del divieto di intese restrittive della concorrenza in via di eccezione al fine di resistere ad un’azione volta ad ottenere l’esecuzione di un contratto anti-concorrenziale o il risarcimento dei danni conseguente all’inadempimento di un simile contratto; per converso, può attaccare nelle ipotesi in cui la stessa disciplina
antitrust venga invocata a sostegno di un’azione volta ad ottenere provvedimenti inibitori in conseguenza di condotte
anticompetitive.
L’utilizzo della disciplina antitrust nell’ambito delle
controversie
private,
pur
ammissibile
tanto
nell’ordinamento comunitario quanto in quello nazionale,
non ha conosciuto storicamente una diffusione paragonabi 64
A. POMELLI, Il giudice e l’Antitrust, quanto “self restraint”?, in
Mercato, concorrenza e regole, n. 2, 2003, pag. 293.
46
le a quella riscontrata nell’esperienza statunitense65. Inoltre,
può essere ricordato anche il ruolo svolto nel sistema anglosassone delle class action, da un serie di regole procedurali,
come il potere dell’attore di chiedere la discovery dei documenti in possesso del convenuto oppure il pieno accesso alla documentazione raccolta dalle agenzie federali, nonché
dalle sanzioni penali che spesso accompagnano la disciplina antitrust66.
In sintesi, nel nostro ordinamento non è possibile riscontrare l’esistenza di un private enforcement in senso stretto, dove le azioni private sono strumentali al superiore interesse pubblico alla scoperta ed alla repressione dell’illecito
antitrust e, pertanto, si caricano di valenze sanzionatorie ed
effetti deterrenti estranei all’impianto della tutela privatistica della legge 287/1990.
Il ruolo assolutamente “privato” assegnato alle controversie antitrust di fronte al giudice ordinario, strutturalmente diverso rispetto a quello statunitense, dove i privati
agiscono in giudizio in quanto portatori di un interesse (anche) pubblico, si riflette anche sui presupposti alla base del
sistema italiano di tutela delle situazioni giuridiche soggettive.
Basti pensare alla legittimazione ad intentare le azioni
di nullità e di risarcimento del danno ex art. 33, comma 2,
della legge n. 287/1990, la quale seguirà necessariamente le
regole poste nel nostro ordinamento in tema di legittimazione ad agire in giudizio, ossia, in particolare, la ricorrenza
di un interesse ad agire e la titolarità di una posizione giuridica soggettiva che si assume lesa.
In un sistema in cui vi sia un private enforcement in senso pieno, invece, le finalità deterrenti proprie di tali azioni
65
Ciò è dovuto ad un insieme di ragioni, di carattere sia culturale,
sia normativo: negli Stati Uniti d’America, infatti, le regole di concorrenza sono state introdotte ben prima che in Europa, ma soprattutto sono state strutturate in modo tale da offrire un incentivo alla proposizione di azioni giudiziali da parte dei privati. Basti pensare alla regola dei
treble damages, in base alla quale il convenuto condannato per condotte
anticoncorrenziali è tenuto a riconoscere all’attore il triplo del valore dei
danni subiti, oltre al risarcimento delle spese giudiziali.
66
E. PAULIS, hecks and balances in the EU antitrust enforcement system, in Fordham Corp. L. Inst.
47
private fanno sì che la legittimazione a proporre l’azione
venga attribuita al soggetto più incentivato ad utilizzarla 67.
È evidente che, nel secondo caso l’azione a tutela di posizioni soggettive è strumentale al mantenimento di un assetto concorrenziale di mercato, nel primo caso l’oggetto
esclusivo dell’azione civilistica resta il ristoro di posizioni
giuridiche soggettive lese da comportamenti illeciti.
In conclusione, se è vero che la concreta messa in opera, da parte degli interessati, dei rimedi civilistici previsti
dalla legge 287/1990, vale sicuramente, in una valutazione
di “politica del diritto”, a scoraggiare la commissione di illeciti antitrust, è altrettanto vero che una simile constatazione può condurre a stravolgere le regole nazionali di tutela
delle posizioni giuridiche soggettive.
6. La scelta del giudice ordinario.
L’articolo 33, comma 2, della legge 287/1990, individua nelle Corti di Appello competenti per territorio i soggetti deputati a conoscere delle azioni di nullità e di risarcimento del danno promosse in relazione alla violazione
della normativa antitrust italiana ed attribuisce ad essi la
competenza ad emettere provvedimenti d’urgenza, sempre
correlati alla circostanza che il ricorrente assuma come violata una o più disposizioni della legge citata.
L’individuazione di questa competenza dell’Autorità
giudiziaria ordinaria (AGO) va ricercata nella volontà del
legislatore di eleggere l’Autorità Garante della Concorrenza
e del Mercato come vero baricentro dell’applicazione della
legislazione antitrust in Italia, ritagliando, invece, delle attribuzioni “minimali” e “necessitate” in capo al giudice ordinario68: “minimali”, in quanto il potere di valutare e sanzionare le fattispecie anticoncorrenziali è attribuito
all’autorità amministrativa indipendente69; “necessitate”, in
67
S. BASTIANON, Antitrust e tutela civilistica: anno zero, in Danno e
responsabilità, n. 4, 2003, pag. 393.
68
Per utilizzare una espressione di M. TAVASSI e M. SCUFFI, Diritto
processuale antitrust, Milano, 1998; inotre, V. DONATIVI, Introduzione della
disciplina antitrust nel sistema legislativo italiano, Milano, 1990.
69
Si veda quanto affermato da V. DONATIVI, Introduzione della disciplina antitrust nel sistema legislativo italiano, cit., pagg. 122 e ss., laddove si nota come la versione finale della legge antitrust italiana si sia di-
48
quanto tali attribuzioni rappresenterebbero null’altro che
una scelta coerente, da un lato, con le funzioni che già spettavano ai giudici ordinari nell’applicazione della normativa
antitrust comunitaria, e, dall’altro, con le funzioni costituzionali demandate al giudice civile. D’altra parte, il ruolo
del giudice ordinario nell’applicazione della disciplina a tutela della concorrenza deve essere valutato inquadrandone
la funzione alla luce dell’introduzione della legge 287/1990
e del cambiamento di prospettiva che essa ha determinato
dell’interpretazione dell’articolo 41 della Costituzione70.
Senza soffermarsi sull’analisi dei motivi storici della
lunga assenza nel patrimonio giuridico italiano di una concezione del libero mercato quale indispensabile meccanismo regolatore del sistema economico 71 , è sufficiente in
questa sede rilevare che tale concezione rimase estranea alle
scelte della Costituzione repubblicana, con la conseguenza
che la libertà di iniziativa economica riconosciuta dall’art.
41, comma 1, era intesa come qualcosa di strutturalmente
diverso rispetto al principio di concorrenza72.
La Costituzione, in altri termini, ha voluto tracciare
delle sfere di autonomia del singolo rispetto allo Stato, ma
non ha preso posizione in merito ai rapporti fra singoli, anzi
si è piuttosto preoccupata di chiarire i limiti di questa sfera
di libertà-autonomia (che non può svolgersi in contrasto
con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana - art. 41, comma 2, Cost.)
e di riservare allo Stato, sia pure con il tramite garantistico
scostata sul punto, dal riparto di competenze delineato nel d.d.l. n.
1202(d.d.l. Rossi), che prevedeva un sistema in cui, a fronte di compiti
consultivi e di propulsione del procedimento attribuiti all’autorità amministrativa, il potere decisionale era in larga parte attribuito
all’autorità giudiziaria, in maniera similare al modello statunitense.
70
G. AMATO, Il mercato nella Costituzione, in Quaderni Costituzionali, n. 1, 1992, pagg. 7 e ss., dove si legge che “La garanzia dell’articolo 41
della Costituzione, muovendo da una indubbia prospettiva, individualistica,
arriva, in una proiezione pluralistica ad una affermazione di principio […] a
favore di una struttura concorrenziale del mercato”.
71
N. IRTI, L’ordine giuridico del mercato, Roma-Bari, 1998; N. IRTI,
La concorrenza come statuto normativo, in La concorrenza tra economia e diritto, a cura di LIPARI e MUSU, Bari, 2000.
72
N. IRTI, L’ordine giuridico, cit., pag. 18: “La libertà è una figura verticale, la concorrenza una figura orizzontale”.
49
della riserva di legge, corposi poteri di gestione economica,
tesi a determinare programmi e controlli opportuni affinché
l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali (art. 41, comma 3, Cost.).
L’assunzione della libertà di concorrenza nel novero
dei principi generali del nostro ordinamento è dovuta passare, allora per altra strada, e precisamente, attraverso i
Trattati delle Comunità Europee, per poi trovare definitiva
consacrazione nella legge 287/1990 che, nell’istituire
l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, si dichiara emanata “in attuazione dell’art. 41 della Costituzione a
tutela e garanzia del diritto di iniziativa economica”.
In sostanza, per il tramite della legge 287/1990, la libertà di iniziativa economica diviene il diritto di accesso al
mercato e garanzia di potervi operare in condizioni di parità giuridica con gli altri contraenti, in modo tale da garantire all’altro polo essenziale del mercato - i consumatori - una
effettiva libertà di scelta tra varie alternative. Su tali presupposti, le pretese intersoggettive derivanti dal mancato
rispetto di tale bene costituzionalmente protetto o, in altri
termini, dalla lesione di uno specifico “diritto al mercato”
hanno il loro momento di tutela proprio nelle azioni conoscibili da giudice ordinario ai sensi dell’articolo 33, comma
2, della legge 287/199073.
7. La competenza della Corte di Appello.
L’art. 33, comma secondo, della legge in commento,
assegna dunque, alle Corti di Appello competenti per territorio la cognizione sulle azioni di nullità e di risarcimento
del danno, nonché sui ricorsi volti ad ottenere provvedimenti di urgenza, in conseguenza della violazione della
normativa antitrust nazionale.
In materia, viene quindi derogata la regola del doppio
grado di giurisdizione di merito ed individuato uno specifico organo competente in unico grado: la Corte di Appello,
anziché il Tribunale.
Considerato che la regola del doppio grado di giurisdizione rappresenta un principio generale della legislazione processual-civilistica italiana - trovando applicazione in
73
M. TAVASSI, M. SCUFFI, cit..
50
tutte le controversie, salvo espressa deroga legislativa che
neghi la possibilità di sottoporre le decisioni rese in prime
cure ad un nuovo scrutinio di merito - è utile soffermarsi
brevemente sulla scelta operata dal legislatore.
Nell’individuazione delle Corti di Appello quali soggetti competenti, si palesa una volontà legislativa che cerca
di rispondere alle esigenze nascenti dalla complessità dei
giudizi antitrust attraverso l’individuazione di organi giudiziali “particolarmente” qualificati74. La scelta legislativa
esprime anche una volontà di non disperdere i giudizi in
una grande quantità di uffici75, spingendo alla creazione relativamente celere di criteri giurisprudenziali certi per affrontare una materia caratterizzata da un elevato tecnicismo.
Peraltro, la necessità di garantire specifiche capacità
tecnico-analitiche in capo ai giudicanti che si trovino ad affrontare questioni connotate da caratteristiche peculiari,
appare confermata dall’istituzione, con la legge n.
272/2002, di sezioni specializzate in materia di proprietà intellettuale.
In relazione alla competenza della Corte di Appello,
preme aggiungere che, l’eccezionalità della disposizione di
cui all’articolo 33, secondo comma, influenza necessariamente anche l’interpretazione di quanto in essa previsto in
merito all’individuazione dei rimedi azionabili di fronte alla Corte di Appello come giudice competente in unico grado.
Sul punto la dottrina appare divisa76.
In sintesi, perché la questione verrà studiata nella successiva trattazione, può dirsi che, il primo orientamento individua nell’articolo 33, comma secondo, una “norma speciale sulla competenza” in base alla quale, fra i vari poteri
spettanti all’autorità giudiziaria in generale e funzionali a
74
M. MELI, Autonomia privata, sistema delle invalidità e disciplina delle intese restrittive della concorrenza, cit., pag. 126
75
M. TAVASSI, Modernizzazione delle regole antitrust: coinvolgimento
dei giudici nazionali nell’applicazione dell’articolo 81.3 del Trattato CE, Relazione al Convegno “Antitrust fra diritto nazionale e diritto comunitario”,
Treviso, 16-17 maggio 2002, pag. 19.
76
Una sintesi del dibattito dottrinario è compiuta da M. LIBERTINI,
Il ruolo del giudice nell’applicazione delle norme antitrust, cit;
51
tutelare in vario modo i soggetti che hanno subito gli effetti
di comportamenti scorretti da parte di operatori economici77, ve ne sarebbero alcuni espressamente riservati alla giurisdizione in unico grado della Corte di Appello, concernenti le violazioni della legge n. 287/90. Il secondo orientamento, invece, qualifica la disposizione legislativa come
una “norma esemplificativa”, che prevede la competenza
della Corte di Appello in materia antitrust e presuppone che
essa possa applicare tutti i possibili rimedi esperibili in base
alle norme generali dell’ordinamento, non solo quelli
espressamente nominati dalla norma.
Una parte della dottrina78 ha privilegiato la seconda
soluzione, osservando che essa è l’unica in grado di dare
compimento alla scelta legislativa di concentrare le controversie derivanti da illeciti antitrust presso giudici preparati
e di grado elevato. Altri autori79, invece, hanno visto nella
lettera della legge un ostacolo insormontabile, che non
permette un’estensione delle azioni intentabili di fronte alla
Corte di Appello competente in unico grado. Quest’ultimo
orientamento appare fondato sul tenore letterale
dell’articolo 33, comma secondo, e sorretto da una consolidata
giurisprudenza,
che
ha
sempre
offerto
un’interpretazione restrittiva di tale profilo dell’articolo in
esame80.
Le conseguenza della competenza funzionale e della
tassatività dei rimedi previsti dal secondo comma
dell’articolo 33 si estendono in tre direzioni. Innanzitutto,
esse non comportano l’esperibilità in tale sede di tipologie
di azioni ulteriori rispetto a quelle previste dalla norma; in
secondo luogo, comportano che la competenza della Corte
di Appello non attrae a sé domande subordinate di diritto
comune o domande accessorie; infine, impediscono alla
77
fra i quali, ad esempio, quelli in tema di repressione della concorrenza sleale ex articolo 2598 e ss. Cod. civ.; sui rapporti tra concorrenza sleale e disciplina antitrust, M. LIBERTINI, Il ruolo del giudice
nell’applicazione delle norme antitrust, cit.; M.TAVASSI- M. SCUFFI, Diritto
processuale antitrust, cit.
78
M. LIBERTINI, op. ult. cit., pagg. 662-663
79
M. TAVASSI-M. SCUFFI, op. ult. cit., pag. 212
80
Corte di Appello di Milano, 21 marzo-15 aprile 1995, causa B.B.
center c. Parabella, cit.
52
Corte di Appello di conoscere di violazioni della normativa
comunitaria sulla concorrenza, riservata ai Tribunali secondo le ordinarie regole di competenza, anche laddove il caso
ne presentasse gli estremi. Si noti, infine, come la proposizione di domande che si discostino dal novero delle azioni
proponibili ex articolo 33, comma secondo, determini
l’incompetenza dell’organo giudicante che, in virtù del carattere funzionale ed inderogabile della competenza, è rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento81.
8. La riforma del 2012. L’istituzione delle Sezioni Specializzate in materia d’impresa e le nuove regole sulla
competenza giurisdizionale per i contenziosi antitrust
Il Governo Monti, al fine di fronteggiare la crisi economica, ha introdotto - nell’ambito di un piano di interventi
urgenti ad ampio raggio - una serie di misure volte alla
promozione delle condizioni per una ripresa del Paese basata essenzialmente sullo sviluppo di autonome attività di
impresa.
In tale contesto, con l’obiettivo di porre un freno alla
patologica lentezza dei processi che incide negativamente
sulla competitività delle imprese ed ha risvolti sul corretto
funzionamento del mercato, si iscrive l’istituzione di nuove
sezioni specializzate in materia di impresa per “la trattazione
di quelle controversie in cui, tenuto conto dell’elevato tasso tecnico della materia, è maggiormente sentita l’esigenza della specializzazione del giudice”, valorizzando a tal proposito la “positiva esperienza delle sezioni specializzate in materia di proprietà
industriale”82.
L’idea sottesa all’intervento legislativo è quella di utilizzare un modello già sperimentato con successo in materia
di proprietà industriale e intellettuale, al fine di designare
un giudice specializzato - composto da magistrati dotati di
specifiche competenze - dinanzi al quale concentrare controversie caratterizzate da particolare complessità tecnica, al
fine di accelerare la loro decisione e di assicurare la qualità
81
A. GENOVESE, Questioni processuali in materia antitrust, in Riv.
Dir. Comm., 2000, pagg. 34-52.
82
Così la Relazione al disegno di legge del D.L. n. 1/2012
53
della risposta giudiziaria e, conseguentemente, il recupero
dell’efficienza del sistema.
Il testo del c.d. decreto legge sulle liberalizzazioni, recante “Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle
infrastrutture e la competitività”83 ha attribuito alla competenza delle nuove sezioni specializzate tutto il contenzioso antitrust, con conseguente superamento dei problemi derivanti dalla biforcazione tra la competenza, per la violazione
della normativa antitrust nazionale, delle Corti di Appello
(competenti a conoscere, ai sensi del vecchio testo
dell’articolo 33 della L. n. 287/1990, delle azioni di nullità e
risarcimento del danno in materia antitrust, e dei ricorsi intesi ad ottenere provvedimenti di urgenza nella stessa materia) e competenza dei Tribunali (per le controversie nascenti dalla violazione della normativa comunitaria a tutela
della concorrenza -in specie degli articoli 101 e 102 del
TFUE-).
Su questo ultimo punto, può dirsi, che è stato dato
ascolto alle proposte provenienti da più parti ed, in particolare, all’auspicio dell’Autorità Garante della Concorrenza e
del Mercato di ricondurre presso un unico giudice la competenza relativa al contenzioso antitrust.
Quanto alla distribuzione territoriale, le sezioni specializzate sono istituite presso tutti i capoluoghi di regione,
ad eccezione della Valle d’Aosta per cui sarà competente la
sezione specializzata di Torino.
Fino all’entrata in vigore della legge n. 27/2012, i diversi profili giuridici attinenti all’applicazione del diritto
antitrust erano sottoposti alla competenza di tre diverse autorità giudiziarie: il giudice amministrativo, la Corte di Appello territorialmente competente ed il Tribunale ordinario.
Come detto, la tutela avverso i provvedimenti
dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato era
affidata al sindacato, in sede di giurisdizione esclusiva, del
TAR Lazio in primo grado e del Consiglio di Stato in appello. La tutela civilistica, inerente diritti soggettivi dei privati
lesi da condotte anti-concorrenziali, era attribuita, dal se 83
Il D.L. 24 gennaio 2012, n. 1 è stato convertito con modificazioni
dalla L. 24 marzo 2012, n. 27, pubblicata in G.U. 24 marzo 2012, n. 71,
Suppl. ord. n. 53
54
condo comma dello stesso articolo alla Corte di Appello territorialmente competente84, mentre le violazioni della normativa dell’Unione Europea a tutela della concorrenza erano di competenza, a seconda del valore della controversia,
del Tribunale o del Giudice di Pace e rispetto alle stesse restava osservato il principio del doppio grado di giurisdizione.
L’intervento di riordino della materia, è dovuto con
ogni probabilità al fatto che la ripartizione di competenze in
capo a giudici diversi a seconda dell’estensione geografica e
commerciale, degli effetti pregiudizievoli sul mercato, dei
destinatari e dei diritti coinvolti, generava incertezza sia
sotto il profilo delle garanzie giurisdizionali, sia sotto il profilo dei rimedi nella gestione delle liti85, sia per i lunghi
tempi occorrenti per l’individuazione del giudice competente86.
Ora, con riferimento alle nuove Sezioni Specializzate,
si è registrato un dibattito circa i pregi e i difetti della c.d.
specializzazione dei giudici. In particolare, con questa espressione, la dottrina tende ad individuare sia la ripartizione
giurisdizionale tra più articolazioni organizzative, ciascuna
delle quali destinata ad occuparsi soltanto di una o più specifiche materie, sia il processo di acquisizione da parte dei
singoli magistrati di conoscenze e capacità particolarmente
elevate in una o più determinate materie.
Invero, la complessità del sistema delle fonti del diritto e, pertanto, dei fenomeni che il diritto mira a regolare con
la proliferazione di discipline settoriali, concorrono a rendere sempre più difficoltosa la funzione del giudicare e, al
contempo, sempre più sentita l’esigenza che i giudici esten 84
La Corte, in particolare, decide in composizione collegiale, fermo restando, peraltro, che la trattazione del procedimento è monocratica; Corte di Appello di Milano, 2 maggio 2003, in Dir. Ind., 2003, pagg.
537; Corte di Appello di Catanzaro, 10 marzo 1998, in Riv. Dir. Comm.,
2000, fasc. II, pag. 30.
85
M. SCUFFI, Le sezioni specializzate in funzione di “giudice unico”
della concorrenza, in Dir. Ind., 2011, pag. 273. Secondo l’autore, a fronte di
analoghe condotte materiali e pratiche anticoncorrenziali diverse solo
per l’estensione geografica degli effetti, i rimedi sarebbero più ampi ed
articolati in capo al Tribunale rispetto a quelle riservate alla Corte di
Appello.
86
Così M. Scuffi, op. ult. cit., pag 272.
55
dano e affinino le loro competenze. Ciò sempre nella consapevolezza dell’esistenza del divieto di istituire giudici
speciali, imposto dal secondo comma dell’art. 102 della Costituzione e a volte, più o meno direttamente, imposto dalle
istituzioni dell’Unione Europea.
Ecco, allora, la decisione del legislatore di attribuire a
giudici specializzati affari giudiziari relativi a specifiche
materie ritenute di maggiore importanza sociale, politica ed
economica87.
Scartata l’ipotesi di un Tribunale “del commercio” alla
francese, formato soltanto da esponenti del mondo commerciale, la dottrina, prima dell’ entrata in vigore della legge in commento, era divisa. Da un lato, coloro che auspicavano l’istituzione di sezioni specializzate nell’ambito dei
Tribunali ordinari, eventualmente con la partecipazione di
membri laici, la quale avrebbe garantito un contributo qualificato nella soluzione di questioni problematiche, che esigono un approccio economico oltre che giuridico, in quanto
legate alla conoscenza del mercato e dei suoi meccanismi;
dall’altro, l’orientamento basato sull’individuazione, fra i
giudici ordinari, di un giudice che potesse, in seguito ad
un’opportuna formazione, essere considerato “esperto” nelle predette materie.
Per quanto espressamente concerne la trattazione delle materie rientranti nel diritto antitrust, le perplessità della
dottrina contraria alla prima tesi esposta, erano, fra l’altro,
fondate sul rischio che le predette sezioni specializzate, avvalendosi in pratica di una riserva di competenza, potessero
divenire una sede privilegiata per l’esame delle questioni
suddette e potessero esercitare un controllo eccessivamente
87
Il che è quanto tentò di fare il Governo già nel corso dell’anno
2000, evidentemente traendo ispirazione dal precedente delle “Sezioni
Specializzate per la trattazione delle controversie riguardanti il brevetto comunitario” istituite presso i soli Tribunali e le sole Corti di Appello di Torino, Milano, Bologna, Roma, Cagliari e Palermo dall’art. 4 della legge 26
luglio 1993, n. 302, come “Tribunali dei brevetti comunitari” di prima e
di seconda istanza, competenti sulle controversie in materia di contraffazione e di validità di brevetti comunitari, ma di fatto mai entrate in
funzione a causa delle resistenze frapposte da altri Stati membri
all’entrata in vigore della convenzione istitutiva del brevetto comunitario.
56
invasivo sull’attività dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, pregiudicandone – anche parzialmente
- l’autonomia di giudizio, propria di un’Autorità amministrativa indipendente. Secondo questa impostazione, il tipo
di controllo esercitabile dalle stesse si sarebbe concretizzato
in un sindacato di merito sostanzialmente omogeneo a
quello svolto dalla stessa AGCM, seppure rivolto in via
principale alla tutela dei singoli privati.
Sulla scorta di queste osservazioni, s’innesta
l’operazione approdata alla conversione, con modificazioni,
da parte della legge n. 27/2012, dell’articolo 2 del decreto
legge n. 1/2012, e dal legislatore propagandata come volta
all’istituzione dei tribunali delle imprese, così etichettando
quelle che altro non sono che le sezioni specializzate di Tribunale e di Corte di Appello, competenti per materia, oltre
che sulle controversie già attribuite alle sezioni specializzate
in materia di proprietà industriale ed intellettuale dal combinato disposto dell’art. 3 D.lgs. n. 168/2003 e dell’art. 134
c.p.i., su ogni altra controversia concernente le violazioni
della normativa italiana ed europea a tutela della concorrenza e del mercato88.
Con l’articolo 2 sopra richiamato, sono state emanate
norme relative l’istituzione, la competenza, per materia e
per territorio, e la composizione delle nuove sezioni specializzate in materia di impresa, entrate in funzione il 22 settembre 2012, assorbendo, per i procedimenti civili instaurati
a partire da questa data89, anche la competenza delle preesi 88
Nonché su una serie di controversie e, più in generale, di procedimenti in materia societaria, ma solo nella misura in cui, anche indirettamente, riguardino società di capitali o cooperative o stabili organizzazioni nel territorio italiano di società costituite all’estero, nonché le
controversie in materia di appalti pubblici di lavori, forniture o servizi
di rilevanza comunitaria affidati ad una delle dette società ovvero ad un
consorzio o ad un raggruppamento temporaneo di imprese di cui faccia
parte almeno una di dette società ovvero una società che esercita
l’attività di direzione e coordinamento di una delle dette società.
89
Il sesto comma dell’art. 2 del D.l. 14 gennaio 2012, n. 1, come
modificato dalla legge di conversione 24 marzo 2012, n. 27, pubblicata
nella G.U. della Repubblica italiana il 24 marzo 2012 ed entrata in vigore il 25 marzo 2012, prevede infatti che le precedenti disposizioni del
medesimo articolo si applichino “ai giudizi instaurati dopo il centottantesimo giorno dalla data di entrata in vigore della legge di conversione”
57
stenti sezioni specializzate in materia di proprietà industriale ed intellettuale, che rimangono, quindi, in funzione sino
al completamento dei procedimenti innanzi ad esse pendenti.
Guardando alla competenza per materia, come già anticipato, il disposto dell’articolo 2, comma primo, lettera d),
del D.L. 1/2012, come convertito dalla legge n. 27/2012,
comprende nell’ambito della competenza per materia delle
sezioni specializzate, alla lettera c) “le controversie relative alla violazione della normativa a tutela della concorrenza (c.d. normativa antitrust) italiana di cui all’art. 33, comma 2, della legge
10 ottobre 1990, n. 287” cioè quelle concernenti le azioni di
nullità e di risarcimento del danno e le relative azioni cautelari fondate su tali violazioni, già rientranti nella competenza delle Corti di Appello, quale giudice di primo ed unico
grado di merito90, mentre la lettera d) affida alla competenza delle sezioni specializzate le “controversie concernenti la
violazione della normativa antitrust dell’Unione Europea”.
Dal che si ricava che il legislatore ha incluso nella
competenza delle sezioni specializzate in materia di impresa tutte le controversie in tema di violazione della normativa a tutela della concorrenza e del mercato, interna e comunitaria91.
Conseguentemente, è stato modificato il secondo
comma dell’articolo 33 della legge nazionale antitrust, che
oggi dispone mentre resta ferma la giurisdizione esclusiva
del predetto decreto-legge, cioè dopo i 21 settembre 2012. Il momento
dell’instaurazione di tali giudizi andrà poi, come di consueto, individuato in quello del deposito del ricorso e della notificazione della citazione, a seconda del rito.
90
Che la Corte di Cassazione ha ritenuto anche comprensiva delle
azioni di carattere risarcitorio o ripetitorio promosse dai consumatori
nei confronti degli imprenditori deducendo una violazione della normativa antitrust; Cass., sez .un., 4 febbraio 2005, n. 2207, in Corr. Giur.,
2005, p. 333, con nota di I. PAGNI, La tutela civile antitrust dopo la sentenza
n. 2207/2005
91
I rapporti tra la normativa antitrust nazionale e quella comunitaria sono disciplinati dal Regolamento CE n. 1/2003 del Consiglio del
16 dicembre 2002, alla cui stregua dunque le sezioni specializzate in materia di impresa sono destinate a diventare giudici cui è affidata
l’applicazione diretta in ambito nazionale della normativa dell’Unione
europea.
58
dei Tribunali amministrativi regionali e del Consiglio di
Stato sulle controversie aventi ad oggetto i provvedimenti,
anche di carattere sanzionatorio, purché non inerenti ai
rapporti di impiego privatizzati, adottati dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato.
Peraltro, deve aggiungersi che, rispetto allo schema
del disegno di legge annuale per il mercato e la concorrenza
per l’anno 2011, che prevedeva la concentrazione di competenze in capo alle sezioni specializzate per la proprietà industriale ed intellettuale, l’intervento legislativo è stato di
portata ridotta. Invero, in quella sede era stata espressamente prevista la competenza del giudice specializzato in
ordine ai “ricorsi intesi ad ottenere provvedimenti di urgenza,
anche inibitori”, per la violazione di disposizioni contenute
nella normativa antitrust nazionale ed europea. Ciò al fine
di garantire l’esercizio del potere inibitorio-ripristinatorio
da parte del giudice ordinario, talvolta negato in virtù della
concorrenza con l’analogo potere spettante all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato92. Nulla di questo, infatti, è stato previsto.
92
M. SCUFFI, Le sezioni specializzate in funzione di giudice unico della
concorrenza, cit., pag. 273. L’autore sostiene che l’inserimento espresso,
tra i provvedimenti di urgenza, di quelli a carattere inibitorio sia il frutto dell’evoluzione giurisprudenziale in materia. Lo stesso segnala, infatti, il passaggio da una giurisprudenza basata su un’interpretazione restrittiva dell’articolo 33, secondo comma, della legge n. 287/90, secondo
cui le Corti di Appello sarebbero destinatarie per legge delle sole azioni
di nullità e di risarcimento del danno e dei provvedimenti d’urgenza
strettamente inerenti all’oggetto implicato da quelle domande di merito, ad una giurisprudenza basata, invece interpretazione estensiva della
norma in questione, che ritiene sufficiente, sul piano cautelare, un nesso
di pertinenza e funzionalità tra la misura ed il provvedimento definitivo, tale da potere dimensionare la misura alla situazione in concreto da
proteggere, adottando quella di volta in volta più confacente in vista
della futura pronuncia di nullità e di risarcimento del danno, al fine di
impedire l’ampliamento e/o l’aggravamento del danno nelle more del
giudizio di merito. Peraltro, il riferimento espresso nello schema di disegno legislativo al potere inibitorio in funzione cautelare dovrebbe
consentire un’interpretazione orientata a favore del suo esercizio anche
in sede di merito, ove naturalmente il giudizio prosegua per il risarcimento del danno.
59
Concludendo, preme innanzitutto evidenziare che non
si tratta di un tribunale delle imprese, bensì di ventuno sezioni specializzate di altrettanti Tribunali e di ventuno sezioni specializzate di altrettante Corti di Appello, destinate
ad occuparsi solo di una parte, apparentemente minima,
degli affari giudiziari di maggiore interesse per le imprese,
riconducibili in definitiva a tre aree giuridiche: quella della
proprietà intellettuale, intesa in senso comprensivo della
proprietà industriale e la concorrenza tra imprese; quella
delle società di capitali e cooperative; quella degli appalti
pubblici.
Inoltre, dall’analisi comparata dell’esperienza dei paesi dell’Unione Europea, emerge una grande varietà di soluzioni in merito alla definizione dei giudici competenti a conoscere delle violazioni della disciplina antitrust. In generale, nella maggior parte degli ordinamenti giuridici degli
Stati appartenenti all’Unione Europea, la competenza a conoscere delle controversie antitrust è affidata ad un unico
organo giudicante, a prescindere dal fatto che le norme che
si assumono violate siano quelle dell’Unione o quelle previste dai singoli ordinamenti nazionali. Ad esempio, in Spagna, tale competenza è stata affidata ai tribunali che si occupano di controversie commerciali. In altri ordinamenti
giuridici, tra i quali la Germania, la competenza è stata attribuita, invece, a sezioni specializzate dei tribunali ordinari.
Sembra, allora che il nostro ordinamento abbia voluto
allinearsi anche alle altre esperienze dei Paesi appartenenti
all’Unione Europea, compiendo uno sforzo di armonizzazione, attraverso l’eliminazione – e la modifica del testo del
secondo comma dell’articolo 33, della legge n. 287/1990-,
della riserva di competenza funzionale in favore della Corte
di Appello e nel trasferimento della competenza integrale in
materia di controversie civilistiche derivanti dalla violazione della normativa nazionale o di derivazione europea, in
capo alle Sezioni Specializzate presso i Tribunali Ordinari.
Una simile soluzione sembra coerente con l’estensione
dell’applicazione della normativa dell’Unione già verificatasi nella recente prassi decisionale dell’Autorità e, da ultimo, delle stesse Corti di Appello, che aveva eroso notevolmente gli spazi operativi di queste ultime, sconsigliando, di
60
fatto, l’attivazione di cause civili dinanzi a tali organi giudicanti.
Sul punto, si richiama la giurisprudenza della Corte di
Appello di Milano93che, in linea con gli indirizzi comunitari
sul concetto di pregiudizio al commercio tra gli Stati membri94, si è pronunciata in maniera assai chiara circa la competenza del Tribunale Ordinario quando le condotte illecite
siano idonee a esercitare una influenza sugli scambi tra Stati membri, anche se il mercato rilevante è nazionale o subnazionale.
Ciò posto, i problemi evidenziati nel corso di questa
indagine non sembrano essere stati risolti dal nuovo dettato
normativo.
93
Corte di Appello di Milano, 25 gennaio 2011, causa Brennercom
c. Telecom.
94
Comunicazione della Commissione, Linee direttrici sulla nozione
di pregiudizio al commercio tra gli Stati membri di cui agli art. 81 e 82 del
Trattato, in GUCE, 2004, n. C-101.
61
CAPITOLO III
I RAPPORTI TRA I POTERI DELL’AGCM
E QUELLI DELL’AUTORITÀ GIUDIZIARIA ORDINARIA
1. Il cumulo di tutela
La ragione del riparto di competenze e attribuzioni tra
Autorità e giudice ordinario risiede nel fatto che la disciplina antitrust nazionale opera, come visto, su due piani: uno
che attiene alla tutela di interessi e finalità generali, di natura pubblicistica, ed un altro relativo ai rapporti interindividuali, di natura privatistica.
Entrambi i livelli di tutela tendono alla difesa di un
mercato concorrenziale ed entrambi si concretizzano
nell’accertamento e nella qualificazione di comportamenti
in termini di liceità o illiceità alla luce della legge n.
287/1990; tuttavia, diversi sono gli interessi che, nei due casi, sono alla base dell’azione degli organi deputati ad apprestare la tutela.
In particolare, l’Autorità esercita una funzione amministrativa95, curando un interesse pubblico specifico al mantenimento di una situazione di mercato concorrenziale attraverso un’azione non disinteressata, ma che, anzi, mira a
massimizzare la realizzazione dell’interesse tutelato. Alla
sfera operativa dell’AGCM sono quindi estranee le posizioni soggettive degli operatori economici, i cui rapporti e le
cui condotte sono presi in considerazione solo se ed in
quanto producano effetti distorsivi della concorrenza.
D’altra parte, i penetranti poteri di indagine, le istruttorie,
le sanzioni irrogate in base alla gravità dell’infrazione ed
aventi come aventi come base di commisurazione il fatturato delle imprese sono chiaramente attribuzioni dell’Autorità
95
M. MELI, Autonomia privata, sistema delle invalidità e disciplina delle intese restrittive della concorrenza, Milano, 2001; nonché G. OPPO, Costituzione e diritto privato nella tutela della concorrenza, in Riv. Dir. Civ., 2001,
n. 2, pag. 543.
63
che si collegano ad una posizione di non indifferenza
dell’organo decidente verso gli interessi coinvolti, cui non
sono estranei aspetti preventivi e di deterrenza.
Il giudice ordinario, invece, si trova in una posizione
istituzionale di neutralità ed indifferenza rispetto
all’interesse pubblico al mantenimento di una situazione di
marcato concorrenziale, che costituisce per tale organo il
parametro di valutazione delle condotte private, ma non
l’oggetto della sua attività. Quest’ultimo, conformemente a
quanto previsto dall’art. 33 della legge antitrust, va piuttosto individuato nel ristoro delle posizioni soggettive lese da
comportamenti anticoncorrenziali, che si concreta proprio
nel dichiarare la nullità delle intese illecite, nell’assicurare il
risarcimento dei danni subiti ingiustamente dagli operatori
e nell’apprestare una tutela provvisoria ed urgente nei casi
in cui vi sia il concreto pericolo di vedere frustrata, nelle
more del giudizio di merito, la possibilità di ristoro finale
della posizione soggettiva che si assume essere stata lesa. È
evidente come a tale compito ed ai relativi strumenti operativi sia estranea qualsiasi funzione di prevenzione e di deterrenza verso eventuali attentati alla concorrenzialità del
mercato.
Alla luce di quanto sino ad ora detto circa la natura, le
funzioni ed i poteri dell’Autortià Garante della Concorrenza e del Mercato, si avverte la complessità del rapporto che
si instaura tra la stessa ed il potere giudiziario.
Invero, non si tratta di riconsiderare le forme di accesso alla giustizia in una prospettiva di efficienza, ma di ripensare al ruolo del giudice ordinario in un sistema che assegna l’attuazione della legge ad un’apposita autorità.
Infatti, l’Agcm, oltre a funzioni di altra natura, quali
quella consultiva e di segnalazione, esercita poteri consistenti nell’accertamento e qualificazione di fatti e comportamenti in termini di liceità o illiceità.
Al riguardo si usa l’espressione di “attività di verifica
conformativa rispetto alle fattispecie astrattamente illecite” (intese, abuso di posizione dominante, concentrazioni)96; mettendo, quindi in evidenza che si tratta di una funzione non
96
G. SANTI, Pubblico e privato nella disciplina antitrust, CI, 1996,
pag. 1029.
64
tipicamente amministrativa, ma a carattere “quasigiudiziale”, interpretativo-applicativo di norme giuridiche97. Tutto questo ha portato a vedere questo tipo di autorità una sorta di ibrido tra il potere amministrativo ed il potere giudiziario, in un quadro in cui l’intervento del giudice
finisce con l’essere rappresentato come una inspiegabile
doppia tutela.
Proseguendo nell’indagine, i primi problemi sorgono
dalla interpretazione del secondo comma dell’articolo 33,
della legge antitrust ai sensi del quale, come si è già avuto
modo di ricordare, “le azioni di nullità e di risarcimento del
danno, nonché i ricorsi intesi ad ottenere provvedimenti di urgenza in relazione alla violazione delle disposizioni di cui ai titoli dal
I al IV sono promossi davanti alla corte d’appello competente per
territorio” . La disposizione in commento indica espressamente tre tipi di competenze dell’Autorità Giudiziaria ordinaria: le azioni di nullità; le azioni di risarcimento del
danno e l’emanazione di provvedimenti d’urgenza e, in
particolare, attribuisce tale competenza alla Corte
d’Appello competente per territorio. Ora, si aggiunge soltanto, richiamando per il resto quanto riportato nel precedente capitolo, che è stata respinta l’idea iniziale di demandare la competenza ad una sola Corte di Appello, ma al
contempo è stata fatta una scelta ben precisa in favore di
una maggiore rapidità e concentrazione dei giudizi prevedendo, invero, un unico grado di giurisdizione.
In relazione a tale ultimo aspetto, si sono registrate critiche circa la legittimità costituzionale di tale norma.
1.1. La deroga al doppio grado di giurisdizione
La scelta di strutturare la tutela ex articolo 33, comma
2, derogando alla regola che prevede un doppio grado di
giurisdizione, viene solitamente ricondotta ad un’esigenza
di “celerità”, particolarmente sentita nei procedimenti civili
connessi alla materia in questione; e ciò in ragione della ri 97
È quello che accade con riferimento alle funzioni svolte
dall’AGCM in materia di pubblicità ingannevole, ove la legge fa salva
l’applicazione dell’art. 2598 c.c, ; M. MELI, La repressione della pubblicità
ingannevole, Torino, 1994.
65
correnza, nelle controversie antitrust, di interessi economici
particolarmente rilevanti.
Inoltre, la tutela privatistica in campo antitrust, pur essendo nettamente separata, a livello strutturale e funzionale, da quella pubblicistica, costituisce comunque un tassello
importante per dare precettività alla disciplina antitrust sostanziale, concorrendo, in definitiva, ad assicurare un funzionamento corretto dei mercati98.
Infine, l’esigenza di assicurare, attraverso la tutela civilistica, la celere riparazione delle lesioni soggettive causate da pratiche anticompetitive consente di ritenere non irrazionale la rinuncia ad un grado di giudizio.
Alcune eccezioni di incostituzionalità sono state comunque prospettate a proposito della deroga alla regola del
doppio grado di giurisdizione di merito recepita dalla norma in esame. Le Corti di Appello dinanzi a cui tali questioni
sono state sollevate hanno, tuttavia, affermato chiaramente
come il doppio grado di giudizio non goda, nel nostro ordinamento, di specifica “copertura costituzionale” 99 , richiamando altresì, a supporto della valutazione negativa
circa la rilevanza e la non manifesta infondatezza delle eccezioni sollevate, la giurisprudenza costituzionale relativa a
scelte affini del legislatore100. La giurisprudenza delle Corti
di Appello ha, infatti, sottolineato come il doppio grado di
giurisdizione non sia tutelato da nessuna norma costituzionale, né trova garanzia puntuale nelle Convenzioni internazionali cui l’Italia ha aderito, le quali, semmai, ne prevedono l’irrinunciabilità solo in sede penale.
Altre critiche sono state mosse alla norma in commento, a proposito della irrazionale disparità di trattamento derivante dal fatto che le ricadute interpretative di comportamenti anticompetitivi sono devolute alle Corti di Appello
98
La celerità dei giudizi antitrust come elemento strumentale ad
un corretto funzionamento dei mercati è evidenziata da LIBERTINI, Il
ruolo del giudice nell’applicazione delle norme antitrust, cit., pag. 657.
99
Ordinanza della Corte di Appello di Milano, 21 gennaio-5 febbraio 1992, Myc c. Afi; sentenze della Corte di Appello di Milano 21
Marzo-15 aprile 1995, B.B Center c. Parabella; Corte di Appello di Genova, 14 ottobre 1996, Le Sorelle c. Parabella.
100
Corte Costituzionale, sent. n. 62/1981, sent. n. 8/1982; sent. n.
69/1982; sent. n. 52/1984, sent. n. 78/1984.
66
quali giudici in unico grado se si assume violata la disciplina nazionale, mentre rientrano nella normale competenza
dei Tribunali e, perciò, sono riesaminabili in un secondo
grado di giudizio, laddove riguardino la violazione della
normativa comunitaria sulla concorrenza. La giurisprudenza, anche relativamente a tale profilo, ha comunque rigettato le eccezioni di costituzionalità. Tuttavia, ad un’analisi più
attenta, la critica in questione non pare essere facilmente risolvibile. La competenza della Corte di Appello o del Tribunale per violazione di norme antitrust, si radica, secondo
giurisprudenza costante, in base alla prospettazione della
domanda, salvo eccezione del convenuto, al quale spetta
l’onere di provare i fatti che fondino la competenza di diverso organo giudiziario. Tale osservazione, cumulata
all’inestensibilità della competenza della Corte di Appello,
che le impedisce di conoscere delle violazioni delle norme
antitrust di rango europeo, dà luogo ad una disparità di
trattamento difficilmente giustificabile, dipendente dalla
mera allegazione di parte attorea e, per di più, a fronte di
norme antitrust, quelle della legge n. 287/1990 e quelle comunitarie, di contenuto pressoché identico, stante anche la
derivazione storica delle prime rispetto alle seconde.
Per quanto concerne il novero dei rimedi contemplati
dall’articolo 33, comma secondo, trattandosi di una deroga
ad una regola generale dell’ordinamento, non pare essere
suscettibile di interpretazione analogica. La competenza
della Corte di Appello ex articolo 33 è stata intesa dalla giurisprudenza come non estensibile a domande diverse da
quelle esplicitamente previste, ma ad esse cumulativamente, alternativamente o subordinatamente proposte nel caso
concreto101. La stessa giurisprudenza ha, inoltre, escluso che
il “frazionamento” dei giudizi, secondo le competenze di
diversi organi giudiziari, rendesse eccessivamente difficoltoso l’esercizio del diritto di difesa garantito dall’articolo 24
della Costituzione102.
101
Corte di Appello di Milano 21 marzo- 15 aprile, B.B. Center c.
Parabella, cit.
102
Corte di Appello di Milano, 21 gennaio- 5 febbraio 1992, Myc c.
Afi, cit.; Corte di Appello di Milano 21 marzo- 15 aprile, B.B. Center c.
Parabella, cit.; Corte di Appello di Genova, 14 ottobre 1996, Le Sorelle c.
Parabella, cit.
67
2. I problematici rapporti tra le competenze
dell’AGCM e quelle dell’AGO
Nell’ambito della disciplina di cui all’articolo 33 della
Legge antitrust, come si è già anticipato, si sono sollevate in
dottrina problemi interpretativi pregiudiziali in ordine ai
rapporti tra le competenze attribuite all’Autorità Garante
della Concorrenza e del Mercato e quelle dell’Autorità Giudiziaria Ordinaria.
In particola seguendo un’interpretazione - ad oggi ritenuta minoritaria - i poteri attribuiti all’Autorità giudiziaria sarebbero meramente integrativi di quelli facenti capo
all’Autorità Garante: in altre parole, il giudice ordinario potrebbe conoscere, quindi intervenire con il suo sindacato,
solo in un momento successivo all’espletamento dei poteri
dell’autorità indipendente, vale a dire in via consequenziale a
provvedimenti emanati da quest’ultima103. Inoltre, seguendo questa interpretazione si giunge ad affermare che
l’articolo 33 in commento (ed in particolare il suo secondo
comma) non escluderebbe una competenza in via generale
dell’Autorità giudiziaria ordinaria – e quindi anche dei Tribunali, consentendo un doppio grado di giurisdizione - per
tutto ciò che non è direttamente disciplinato dall’articolo
stesso, il quale disciplina soltanto l’intervento del giudice in
via conseguenziale a provvedimenti dell’AGCM.
Questa interpretazione ha, tuttavia, trovato un ostacolo nelle pronunce della giurisprudenza, la quale chiaramente afferma, in linea con quanto affermato da altra parte della
dottrina, che dal riferimento di cui all’articolo 2, comma
terzo, della legge antitrust104 alla nullità “ad ogni effetto”
103
Questa tesi è autorevolmente sostenuta da G. OPPO, Costituzione e diritto privato nella tutela della concorrenza, in Riv. Dir. Civ., 1993, II,
pag. 543; C. SELVAGGI, Disciplina della concorrenza e del mercato. Problemi
di giurisdizione e di competenza, in Riv. Dir. Comm., 1993, I, pag. 243 e ss.;
C. ALVISI, Concorrenza sleale, violazione di norme pubblicistiche e responsabilità, Milano, 1997, pag. 81.
104
Legge, che disciplina le intese restrittive della concorrenza
comminando la sanzione della nullità “ad ogni effetto” di quelle che
hanno per oggetto o per effetto di restringere o falsare il libero gioco
della concorrenza all’interno del mercato rilevante, rivestendo i requisiti dallo stesso articolo menzionati
68
delle intese anticoncorrenziali discente l’operatività automatica della sanzione, a prescindere da qualsiasi intervento
dell’Autorità di controllo amministrativa105.
Altro argomento che viene addotto a sostegno della
tesi della completa autonomia dell’autorità giudiziaria rispetto al controllo delle intese restrittive della concorrenza
si rinviene, sempre secondo l’impostazione di cui si riferisce, nell’articolo 33 della Legge antitrust.
Il richiamo è, in particolare, ai provvedimenti di urgenza che l’Autorità giudiziaria ordinaria ha il potere di
emanare.
Aprendo una breve parentesi, è utile ricordare che la
legge 287/1990 dispone, all’articolo 33, che i ricorsi intesi ad
ottenere provvedimenti d’urgenza sono promossi davanti
alla Corte di Appello territorialmente competente.
Nell’attribuzione all’autorità giudiziaria della competenza
cautelare in materia antitrust, si coglie la volontà del legislatore di sottoporre detta materia, particolarmente delicata,
alle maggiori garanzie procedimentali presenti nel rito innanzi al giudice ordinario. Le misure cautelari mirano a
conservare la situazione fattuale e/o giuridica così da prevenire rischi di una esecuzione infruttuosa della pronuncia
definitiva o, diversamente, ad anticipare gli effetti della
condanna, per ovviare un aggravamento, nelle more del
giudizio di merito, delle conseguenze dannose della lesione.
Occorre evidenziare come la natura “anticipatoria” delle
misure cautelari, costituisca uno dei principali scopi dello
strumento cautelare, come emerge dall’esperienza pratica,
cui sovente l’unico strumento idoneo a tutelare il diritto risiede nell’anticipazione degli effetti del provvedimento definitivo. Alcuni autori, facendo leva su collegamento fra
giudizio di merito e giudizio cautelare e sull’assenza di poteri cautelari in capo all’Autorità Garante, concepiscono in
maniera assai ampia la gamma dei provvedimenti cautelari
ottenibili presso il giudice ordinario ex articolo 33 l. n.
287/1990, estendendo la tutela d’urgenza ad ogni interesse
105
Corte di Appello di Milano, 18 luglio 1995, in Foro it., 1996, I,
276 e ss.
69
protetto dalla legislazione antitrust106. Tuttavia, pure ammettendo la limitatezza di un riparto di competenze che
tolga all’Autorità qualsiasi potestà cautelare, non appare
possibile ampliare eccessivamente la gamma dei provvedimenti cautelari astrattamente emettibili da giudice ordinario, dato il novero di provvedimenti definitivi adottabili da
giudice ordinario ex articolo 33. Inoltre, il “legame” meritocautela costituisce una garanzia contro il pericolo di “sommarizzazione” della tutela d’urgenza, instaurando una necessaria relazione di strumentalità tra misure cautelari e
competenze dell’organo giudiziario ad emettere provvedimenti finali.
In particolare, la giurisprudenza afferma che nei procedimenti antitrust, le misure cautelari richieste alla Corte
debbono, in linea di principio, presentarsi come “strumentali” alle azioni di nullità e di risarcimento del danno107.
Chiusa la parentesi e tornando a quanto detto in precedenza, la giurisprudenza sostiene in primo luogo che la
nullità ad ogni effetto operi automaticamente, a prescindere
da qualsiasi intervento dell’AGCM; ed, in secondo luogo,
che l’articolo 33 della legge, facendo rientrare fra i poteri del
giudice ordinario in materia antitrust i provvedimenti di
urgenza rende priva di senso l’affermazione secondo cui
occorre un preventivo intervento dell’Autorità Garante,
proprio perché in tal caso non avrebbero senso gli stessi
provvedimenti di urgenza.
Ancora, l’impostazione che respinge qualsiasi necessità di un previo intervento dell’Autorità garante, nega anche
che si possa argomentare l’interpretazione opposta sostenendo che l’infrazione della disciplina a tutela della concorrenza richiederebbe, in ogni caso, apprezzamenti discrezionali che dovrebbero essere compiuti dall’Autorità appositamente preposta e non dal giudice ordinario, quali la valutazione del carattere “sostanziale” dell’effetto anticoncor 106
42.
A. GENOVESE, Questioni processuali in materia antitrust, cit., pag.
107
Fra le altre, ordinanza della Corte di Appello di Milano, 7-15
luglio 1992, Avir c. Enel; ordinanza della Corte di Appello di Milano, 31
gennaio-5 febbraio 1996, Comis c. Ente Fiera di Milano.
70
renziale, quella relativa all’esistenza di una parte “rilevante” del mercato colpita dal comportamento collusivo etc.
In relazione a tale ultimo aspetto, parte della dottrina
afferma autorevolmente che tali valutazioni, condotte in via
principale dall’AGCM, non rientrano nella discrezionalità
in senso tecnico dell’amministrazione, cioè non comportano
una valutazione comparativa ai fini della scelta tra interessi
contrapposti108. Al più - si sostiene - potrebbe parlarsi di discrezionalità tecnica; in realtà le valutazioni di cui si discute, alla luce di questa interpretazione, sarebbero attinenti alla qualità ed alla dimensione dell’effetto anticoncorrenziale,
i cui criteri di determinazione sono frutto di un procedimento interpretativo volto alla individuazione del bene
giuridico “concorrenza” e tali criteri saranno indicati proprio dall’AGO all’AGCM, la quale sarà tenuta ad uniformarsi.
Pertanto, alla luce di quanto finora detto, non v’è ragione per ritenere che il giudice ordinario non possa essere
adito in assenza di una previa pronuncia dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato109.
Ancora, la giurisprudenza ha precisato che “ in assenza
di una esplicita previsione configurante i procedimenti davanti
all’Autorità Garante come cause di improponibilità temporanea
della domanda davanti al giudice ordinario, non è possibile introdurre un difetto temporaneo di giurisdizione in via meramente interpretativa”110 .
108
M. TAVASSI- M. SCUFFI, cit., pagg.. 122 e ss.
Lo stesso è stato affermato anche con riferimento alle operazioni di concentrazione. Contra C. MALINCONICO, L’impugnazione dei
provvedimenti dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, in Antitrust fra diritto nazionale e diritto comunitario, Milano, 1996, pag. 155 e ss.,
secondo cui la concentrazione non potrebbe qualificarsi illecita in mancanza di un espresso provvedimento di divieto dell’Autorità Garante
della Concorrenza e del Mercato; invece, ai sensi degli articoli 16 e 19
della legge n. 287 del 1990, già il semplice fatto dell’esecuzione di una
concentrazione non autorizzata costituisce illecito, come tale suscettibile
di rimedio risarcitorio, anche se non è prevista la nullità dell’operazione
di concentrazione non autorizzata.
110
Corte di Appello di Milano, 18 luglio 1995, in Foro it., 1996, I,
pag. 276; S. BASTIANON, Arbitrato e diritto della concorrenza, in Danno e
resp., 1997, pag 350.
109
71
La dottrina, ancora, sostiene che non sia neanche ipotizzabile una possibile sospensione del processo pendente
dinanzi al giudice ordinario, ex articolo 295 c.p.c., in attesa
di un provvedimento dell’AGCM sulla questione oggetto
del giudizio e ciò in quanto la stessa non è un “giudice” che
debba risolvere una questione pregiudiziale.
Da quanto esposto circa il ruolo delle due autorità
preposte al controllo delle intese, emergono chiaramente
due problemi principali:
- innanzitutto occorre definire il ruolo del giudice
ordinario ed analizzare il conseguenziale problema del
rapporto tra la tutela giurisdizionale e quella amministrativa;
- in secondo luogo, occorre individuare quale genere
di valutazioni il giudice ordinario è chiamato a condurre ai
fini dell’operatività del divieto;
tutto ciò al fine di affermare se effettivamente esiste o
meno un rapporto di “pregiudizialità” tra l’intervento
dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato e
quello del Giudice Ordinario.
3. La tutela amministrativa e la tutela civilistica antitrust: problemi di convivenza
Per entrare nel vivo del problema relativo ai rapporti
tra i poteri attribuiti all’Autorità Garante della Concorrenza
e del Mercato e quelli attribuiti al Giudice Ordinario in materia antitrust, giova prendere le mosse dalla considerazione
che la regola generale dispone che le intese anticoncorrenziali sono vietate e a tale divieto, come detto, corrisponde la
sanzione della nullità. Tuttavia, la regola generale è suscettibile di eccezioni: tanto è vero che le intese collusive possono, attraverso un provvedimento emanato dall’Autorità
Garante della Concorrenza, essere autorizzate. Pertanto, attualmente, il modello delineato dalla legge è improntato su
un meccanismo di “divieto con riserva di autorizzazione”.
Il primo problema che si pone è di tipo pratico, ossia
come far convivere la tutela amministrativa con quella giurisdizionale. Per essere più precisi, posto che le intese vietate sono nulle “ad ogni effetto”, ma sono anche suscettibili di
72
essere autorizzate e posto che competente a dichiarare la
nullità delle stesse è il giudice ordinario, mentre competente a concedere l’autorizzazione in deroga è esclusivamente
l’Autorità amministrativa, il rischio è quello di contrasti fra
le decisioni delle due autorità.
Secondariamente, ma non in ordine di importanza, si
profila un problema di valutazioni del carattere anticoncorrenziale delle intese oggetto di sindacato. Invero, essendo il
divieto posto dall’articolo 2 della legge antitrust un principio di ordine pubblico, che coincide con il mantenimento di
un assetto concorrenziale all’interno del mercato e più in
generale con l’esercizio del diritto di iniziativa economica,
la sua applicazione dovrebbe essere soggetta al medesimo
ordine di valutazioni, tanto che queste siano condotte
dall’Autorità Garante ai fini del rilascio dell’autorizzazione
in deroga, nell’interesse generale al mantenimento del gioco
concorrenziale, tanto che siano operate dal Giudice Ordinario impegnato a valutare, nell’interesse dei singoli privati, la validità dell’accordo.
In realtà, la scelta del legislatore è stata ben precisa: affidare ad un’Autorità all’uopo creata e preposta il controllo
e la tutela della concorrenza nel mercato interno, con tutte
le attenzioni all’incidenza della concorrenza interna sul
commercio tra gli Stati membri. Altrettanto comprensibile è
la scelta di affidare al giudice ordinario la tutela delle situazioni giuridiche soggettive che subiscano le ricadute della
disciplina antitrust. Se queste sono le scelte del legislatore e
se ne è indiscutibile la loro coerenza con il nostro sistema
giuridico, altrettanto non può dirsi del modello di coordinamento delle due tutele adottato. Invero, le funzioni svolte
dalle Autorità, amministrativa da un lato e giudiziaria
dall’altro, sono destinate a sovrapporsi senza trovare nella
legge un modo per risolvere i problemi che ne derivano.
4. Le soluzioni adottate dal diritto dell’Unione Europea
La trattazione del tema, non può prescindere
dall’analisi della disciplina dettata nella medesima materia
dalla legislazione antitrust comunitaria, di cui è figlia.
73
Il riferimento è al già richiamato in premessa, Regolamento n. 1/2003 del Consiglio del 16 dicembre 2002111 –
concernente l’applicazione delle regole di concorrenza di
cui agli artt. 81 e 82 del Trattato (attuali art. 101 e 102 del
TFUE) - adottato dalle istituzioni europee al fine di attuare
un sostanziale processo di modernizzazione e di semplificazione nel sistema di enforcement anticoncorrenziale e di
raccordo tra le autorità nazionali e gli organismi comunitari112.
111
Il Regolamento è pubblicato in G.U ., n. 17 del 3 marzo 2003. A
riguardo si ricordi che il progetto di riforma del sistema applicativo delle regole di concorrenza era già contenuto e descritto dalla Commissione nel c.d. Libro Bianco sulla modernizzazione delle norme per
l’applicazione degli artt. 85 (ora 81) e 86 (ora 82) del Trattato CE , pubblicato nel 1999, cui ha poi fatto seguito un’ampia fase consultiva, terminata nella formulazione di una Proposta di regolamento del Consiglio che avrebbe dovuto sostituire il Regolamento n. 17/62. La pubblicazione della Proposta è stata poi seguita dalla trasmissione al Parlamento europeo e dalla stesura di un Parere del Comitato Economico e
Sociale, il quale, apportati alcuni emendamenti, ha da ultimo condotto
alla emanazione del Regolamento n. 1/2003. Per delle considerazioni
sul contenuto del Libro Bianco, si rinvia a F. GHEZZI, Il libro bianco della
Commissione sulla modernizzazione del diritto della concorrenza comunitario,
in Conc. e merc., 2000, pagg. 175 ss.; L. NIVARRA, Il Libro Bianco sulla modernizzazione delle norme per l’applicazione degli articoli 85 e 86 del Trattato
CE: quale futuro per il diritto europeo della concorrenza, Relazione al Convegno “Giurista italiano - giurista europeo: il passaggio di millennio nella
scienza giuridica italiana”, Palermo, 7-8 aprile 2000, in Eur. e dir. priv., n.
4/2000, pagg. 1001 e ss. In chiave prospettica, P. DE PASQUALE, Verso
una nuova disciplina comunitaria in tema di concorrenza, in Dir. pubbl. compar. ed eur., n. 4/1999, pagg. 1575 e ss.
112
Per un esame analitico delle novità introdotte dal Regolamento
di modernizzazione, si vedano M. VINCENTI e F. VENTURINI, La nuova
disciplina comunitaria in materia di concorrenza, in Le nuove leggi civ.
comm., 2003, pagg. 537 ss.; M. TAVASSI, Il regolamento CE n. 1/2003: verso
la devoluzione di competenze in materia di concorrenza dalla Commissione europea alle autorità garanti ed ai giudici nazionali, in Dir. comm. scambi internaz., 2004, pagg. 315 e ss. Per un commento più generale: G. M. BERRUTI,
La nuova cooperazione attiva tra Istituzioni comunitarie, Antitrust nazionali e
giudici nel Regolamento comunitario n. 1/2003, in Corr. giur., n. 1/2004, p.
115 ss.; L. F. PACE, La politica di decentramento del diritto antitrust CE come
principio organizzatore del Regolamento 1/2003: luci ed ombre del nuovo regolamento di applicazione degli artt. 81 e 82 TCE, in Riv. ital. dir. pubbl. comunit., 2004, pagg. 147 e ss.; R. BARATTA, Sui problemi di uniformità
d’applicazione della normativa sulla concorrenza posti dalla “modernizzazio-
74
Richiamando per opportunità di indagine soltanto i
passaggi normativi utili allo scopo che ci riguarda, giova
innanzitutto evidenziare che la linea di intervento del Regolamento si snoda lungo due direttrici principali. La prima
novità
è
rappresentata,
con
specifico
riguardo
all’applicazione dell’art. 81, par. 3, del Trattato, dal passaggio dal previgente regime di autorizzazione preventiva a
quello di eccezione legale, alla stregua del quale le intese
anticoncorrenziali sono lecite e valide ab initio, senza la necessità di una preventiva autorizzazione da parte della
Commissione ove siano soddisfatte le condizioni previste
dalla medesima disposizione113.
Sulla base di questo meccanismo, è quindi compito
delle imprese interessate procedere ad una valutazione ex
ante della legittimità dell’intesa, mentre il controllo di liceità
diviene solo eventuale e successivo, nel caso in cui si ritenga di volerne contestare la validità dell’accordo.
Ai sensi dell’art. 1 del Regolamento, infatti, “Gli accordi, le decisioni e le pratiche concordate di cui all’articolo 81, paragrafo 1, del Trattato che non soddisfano le condizioni di cui
all’articolo 81, paragrafo 3, del Trattato sono vietati senza che occorra una previa decisione in tal senso. Gli accordi, le decisioni e
le pratiche concordate di cui all’articolo 81, paragrafo 1, che soddisfano le condizioni di cui all’articolo 81, paragrafo 3, del Trattato non sono vietati senza che occorra una previa decisione in tal
senso”.
ne” dell’art. 81, par. 3, del Trattato CE, in Riv. dir. internaz., n. 2/2000,
pagg. 502 e ss.; N. PECCHIOLI- H. NYSSENS, Il regolamento n. 1/2003 CE:
verso una decentralizzazione ed una privatizzazione del diritto della concorrenza. Commento al Regolamento CE n. 1/2003, in Dir. Unione eur., n. 23/2003, p. 357 ss.; A. PERA – V. FALCE, La modernizzazione del diritto comunitario della concorrenza ed il ruolo delle Autorità nazionali per la concorrenza – Rivoluzione o evoluzione?, in Dir. Unione eur., n. 2-3/2003, pagg.
433 e ss.; F. GHEZZI, La modernizzazione delle norme antitrust comunitarie,
in Riv. società, n. 6/2000, pagg. 1098 ss.; M. SCUFFI, I riflessi ordinamentali
ed organizzativi del Regolamento comunitario n. 1/2003 sulla concorrenza, in
Corr. giur., n. 1/2004, pagg. 123 e ss.
113
Mentre la prova circa l’esistenza di effetti pro-concorrenziali
grava sulle imprese che hanno posto i essere l’intesa incriminata, quella
relativa all’esistenza degli effetti anticoncorrenziali graverà invece sulla
parte che ne afferma l’illiceità.
75
Con questo nuovo sistema si procede quindi ad una
revisione sostanziale delle modalità di applicazione della
deroga al divieto di intese anticoncorrenziali di cui all’art.
81, par. 3 (e, di conseguenza, dell’art. 4 della legge nazionale), al fine di garantire una sorveglianza efficace sulle operazioni di mercato ed allo stesso tempo una semplificazione
del controllo amministrativo (cfr. Considerando n. 2).
Con questa “rivoluzione copernicana”, infatti, viene
meno la necessità di notificazione preventiva da parte delle
imprese, la quale - a fronte dell’ingente numero di notifiche
trasmesse alla Commissione - è stata sino ad ora considerata come la causa principale delle forti inefficienze e degli
eccessivi rallentamenti lamentati dalle istituzioni europee
nell’applicazione della disciplina antimonopolistica.
La seconda (ma consequenziale) innovazione (di
grandissimo rilievo) è rappresentata invece dalla eliminazione della competenza esclusiva della Commissione europea nell’applicazione dell’art. 81, par. 3, e dall’attribuzione
del relativo potere di autorizzazione in deroga ai giudici ed
alle autorità di concorrenza nazionali, ai quali viene quindi
demandato in via decentrata il potere di accertare, in sede
di valutazione delle intese di cui all’art. 81, par. 1 (di rilevanza, dunque, non limitata al solo mercato nazionale), la
sussistenza delle condizioni per l’esenzione dal divieto (di
cui allo stesso par. 3)114. Come dispone l’art. 6, infatti, “le
114
Con l’art. 1 del Regolamento si è quindi data attuazione a quel
sistema di eccezione legale già contemplato dal Libro Bianco, il quale
disponeva che “In tale contesto, l’adozione di un regime di eccezione
legale e di un controllo a posteriori potrebbe permettere di rispondere
alle sfide che la politica di concorrenza dovrà affrontare nei decenni a
venire. In un tale regime, difatti, qualsiasi autorità amministrativa o
giurisdizionale investita dei poteri necessari potrebbe valutare pienamente un’intesa ad essa sottoposta esaminandone sia gli effetti restrittivi ai sensi dell’art. 85, par. 1, del trattato, sia gli eventuali vantaggi economici di cui all’art. 85, par. 3. L’adozione di un sistema di eccezione
legale si tradurrebbe così nell’eliminazione della competenza esclusiva
in materia d’applicazione dell’art. 85, par. 3, di cui la Commissione è
stata investita dall’articolo 9, par. 1, del regolamento n. 17, e ciò agevolerebbe un’applicazione decentrata delle regole di concorrenza. Lo stesso sistema permetterebbe inoltre di eliminare per le imprese il vincolo
burocratico della notifica, poiché le intese conformi alle condizioni
d’applicazione dell’art. 85, par. 3, del trattato sarebbero riconosciute valide senza la necessità di alcuna autorizzazione. Eliminato il peso delle
76
giurisdizioni nazionali sono competenti ad applicare gli artt. 81 e
82 del Trattato” (nella loro interezza).
Come ha osservato il Consiglio europeo, “Le giurisdizioni nazionali svolgono una funzione essenziale nell’applicazione
delle regole di concorrenza comunitarie. Esse tutelano i diritti
soggettivi garantiti dal diritto comunitario nelle controversie tra
privati, in particolare accordando risarcimenti alle parti danneggiate dalle infrazioni. Le giurisdizioni nazionali svolgono sotto
questo aspetto un ruolo complementare rispetto a quello delle autorità garanti della concorrenza degli Stati membri”115.
Nel sistema concepito dal Regolamento, la Commissione e le Autorità nazionali - tanto amministrative quanto
giudiziarie - sono pertanto investite allo stesso modo e nella
stessa misura della integrale applicazione dell’art. 81 del
Trattato116.
notifiche da esaminare, la Commissione potrebbe pertanto concentrarsi
sulla repressione delle infrazioni più gravi” (p. 29). Come evidenzia M.
MELI, Autonomia privata, sistema delle invalidità e disciplina delle intese anticoncorrenziali, op. cit., pagg. 38-39, il Regolamento n. 1/2003, se sotto un
profilo formale comporta solo un’emancipazione dall’idea della competenza esclusiva della Commissione nella valutazione dei presupposti
per la deroga, dal punto di vista sostanziale - sostituendo ad un controllo ex ante un controllo ex post - determina un vero e proprio superamento del meccanismo dell’autorizzazione.
115
Così il 7° Considerando.
116
L’importanza della diretta ed integrale applicazione degli artt.
81 e 82 da parte delle autorità nazionali è accentuata anche dalla considerazione della nuova ed accresciuta realtà dimensionale dell’Unione la
quale richiede, al fine di garantire il rispetto e l’uniforme osservanza
delle regole di concorrenza in ambito comunitario, che la Commissione
si concentri principalmente sui casi di maggiore rilievo e gravità e sui
settori di attività in cui l’azione della stessa è più efficace rispetto a
quella svolta dalle strutture nazionali. A questo fine, peraltro, la Commissione aveva già adottato alcune misure tese a ridurre il carico delle
notificazioni ad essa indirizzate, quali, ad esempio, la Comunicazione
relativa agli accordi di importanza minore, c.d. de minimis , che concerne gli accordi ritenuti a priori non in grado di minare la concorrenza a
livello di mercato comunitario che, pertanto, non devono essere notificati poiché non rientrano nel divieto posto dall’art. 81, par. 1, ed i regolamenti generali di esenzione per categoria, i quali - ferme restando le
restrizioni fondamentali comunque proibite (le c.d. “clausole nere”) definiscono le caratteristiche che debbono presentare gli accordi per essere considerati conformi alle condizioni di esenzione dal divieto poste
dal par. 3 della medesima disposizione, senza la necessità di alcun esame preventivo (tra questi, si ricordino, oltre al citato Regolamento n.
77
Il nuovo regime di eccezione legale, fondato su di un
controllo a posteriori delle intese da parte delle autorità nazionali, viene pertanto a perfezionare il processo di decentramento del diritto antitrust comunitario in armonia con il
principio di sussidiarietà sancito dal Trattato di Maastricht
e dunque a rafforzare il ruolo del giudice nazionale
nell’applicazione degli artt. 81 e 82117.
Come può agevolmente intendersi, il sistema di valutazione delle intese introdotto con la riforma determina, infatti, non solo un formale superamento dell’idea di una
competenza esclusiva della Commissione nella valutazione
dei presupposti per la deroga, ma, da un punto di vista sostanziale, ad un vero e proprio superamento del meccanismo dell’esenzione, con un conseguente ridimensionamento del problema relativo al rapporto divieto-eccezione, ora
riferibile solo ai casi “più gravi”.
Tale meccanismo, sino ad ora ritenuto (dalla stessa
Commissione) indispensabile nell’ottica della costruzione
del mercato unico, viene difatti ritenuto sostituibile attraverso una immediata ponderazione dei vantaggi e dei costi
2790/1999 relativo all’applicazione dell’art. 81, par. 3, a determinate categorie di accordi verticali e di pratiche concordate, il Regolamento n.
2658/2000 relativo agli accordi di specializzazione, ed il Regolamento n.
2659/2000 relativo agli accordi in materia di ricerca e sviluppo). A riguardo deve peraltro notarsi che, per espressa previsione del Regolamento n. 1/2003, l’applicazione della legislazione nazionale sulla concorrenza non può portare in ogni caso a vietare un’intesa che rientri in
una delle categorie esentate alla stregua di un regolamento generale
adottato dalla Commissione (cfr. art. 3, par. 2, Regolamento n. 1/2003).
D’altro canto, però, conformemente al principio di decentralizzazione
nell’applicazione del par. 3 dell’art. 81, si prevede che l’esenzione comunitaria possa essere revocata, limitatamente al confine nazionale,
dalle autorità garanti (non anche dai giudici) nazionali qualora
un’intesa esentata in applicazione della normativa regolamentare produca effetti incompatibili con l’art. 81, par. 3, del Trattato “sul territorio
di uno Stato membro o di una parte di esso avente tutte le caratteristiche di un mercato geografico distinto” (cfr. art. 29, par. 2, del Regolamento).
117
L’art. 3 b), aggiunto dal Trattato sull’Unione europea firmato a
Maastricht il 7 febbraio 1992 ed entrato in vigore il 1° novembre 1993
(ora art. 5, secondo la numerazione del Trattato di Amsterdam del
1997), stabilisce infatti che la Comunità sia chiamata ad intervenire soltanto se e nella misura in cui gli obbiettivi dell’azione prevista non possono essere realizzati dagli Stati membri.
78
in termini di competitività del mercato connessi
all’esecuzione di un determinato accordo.
Giova peraltro osservare che il meccanismo introdotto
con il Regolamento n. 1/2003, se certamente comporta notevoli vantaggi sotto il profilo della speditezza e dello snellimento delle procedure attribuite alla competenza della
Commissione, implica tuttavia un dato da non sottovalutare. Il congegno dell’eccezione legale si traduce infatti nella
restituzione agli operatori economici di un ampio margine
nell’esercizio della autonomia privata, assegnando ad essi il
compito di valutare autonomamente se gli accordi conclusi
presentano profili di illiceità o meno.
Ne consegue dunque una maggiore responsabilizzazione delle imprese, con tutti i rischi che ciò comporta dal
punto di vista della realizzazione degli obiettivi di tutela
del mercato118.
In ordine alle autorizzazioni in deroga, invece, la conseguenza più evidente del nuovo regime è il venir meno del
carattere costitutivo del provvedimento de esenzione.
L’introduzione di un sistema di valutazione ex post,
d’altra parte per essere efficiente impone alle autorità competenti una maggiore capacità di acquisire informazioni sui
mercati, aggiornandole regolarmente in relazione alla nascita di nuovi settori e alla continua evoluzione di quelli esistenti.
L’abbandono del sistema di notifica preventiva ha richiesto conseguentemente un rafforzamento dei poteri
istruttori e sanzionatori della Commissione: il Regolamento
1/2003 ha parzialmente recepito questa esigenza, introducendo una serie di misure volte ad attribuire maggiori poteri alla Commissione. Tra le principali novità in questo senso
rientrano l’attribuzione alle autorità del potere di effettuare
accertamenti ispettivi presso i domicili privati di amministratori, direttori e altri membri del personale delle imprese
oggetto di indagine, previa autorizzazione del giudice nazionale (art. 21); l’istituzione del potere di adottare rimedi
118
In merito si veda L. TOFFOLETTI, Riforma del diritto antitrust comunitario: giudizio di esenzione e diritti dei singoli, in Giur. comm., n.
4/2002, I, pagg. 417 ss.
79
strutturali in ipotesi di violazioni delle norme di concorrenza (art.7). Questa disposizione costituisce un’innovazione
significativa in quanto permette alla Commissione di imporre condizioni particolarmente invasive, quali la cessione
di partecipazioni e la separazione di rami societari, alle imprese, l’ambito di applicazione di tale norma è tuttavia limitato, sussistendo il presupposti della reiterazione
dell’infrazione, ovvero del rischio di reiterazione della stessa; l’attribuzione del potere di accettare gli impegni assunti
da parte delle imprese coinvolte in un’infrazione idonei a
farne cessare gli effetti (art. 9). Si tratta di un potere mutuato dal consent order previsto dall’ordinamento statunitense
che ha la funzione di favorire la conclusione dei procedimenti in via transattiva.
Da un punto di vista dell’efficienza economica, invece,
l’approccio ex post implica, a parità di altre condizioni, un
maggiore costo a carico dell’organo comunitario per colmare l’asimmetria informativa esistente tra il regolatore e il
soggetto privato119.
Per ridurre tali costi e permettere alla Commissione di
concentrare i propri sforzi sui casi più rilevanti il Regolamento 1/2003 ha esteso alle autorità e i giudici nazionali la
competenza ad esaminare la sussistenza delle condizioni di
esenzione previste dal paragrafo 3 dell’art. 81 per la non
applicabilità del divieto di cui al secondo comma, potere in
precedenza attribuito alla sola Commissione, e, ove non ritengano sussistenti tali condizioni, porre fine all’infrazione,
ossia sancire l’invalidità dell’intesa.
Il combinato della precedente disciplina, che attribuiva alla Commissione il monopolio in materia, con
l’interpretazione formalistica dell’art. 81 sviluppata da parte della Commissione, che porta a considerare quasi ogni
restrizione formale dell’autonomia delle parti come restrittiva e quindi autorizzabile aveva di fatto imposto lo strumento della notifica quale principale strumento a disposizione delle imprese per tutelarsi sia contro la comminazio 119
Per una valutazione di efficienza sistematica circa il grado di
effettività della legge in generale, si veda S. SHAVELL, The optimal structure of law enforcement, in Journal of Law and economics, 1993, pag. 255 e ss.
80
ne di eventuali sanzioni da parte della Commissione che in
sede giurisdizionale (la notifica rappresentava un valido
argomento di difesa per sostenere che l’intesa era in ogni
caso esentabile). L’effetto era stato un completo accentramento delle funzioni nell’applicazione concreta dell’art.
81120 con la conseguenza che la Commissione usava troppe
risorse per esaminare notifiche irrilevanti invece che perseguire le pratiche concordate (ed ovviamente non notificate)
e gli abusi di posizione dominante e non disponeva delle
informazioni che invece le autorità nazionali avrebbero in
molti casi ottenuto più facilmente.
La ragione economica di questa seconda novità introdotta dal nuovo Regolamento si combina con la motivazione giuridica sottesa a questa disposizione: con essa, infatti,
viene data applicazione al principio di sussidiarietà sancito
dal Trattato di Maastricht anche per quanto concerne il diritto di esentare le intese dall’applicazione del divieto di cui
al all’art. 81; la precedente disciplina applicativa, di impronta centralistica contrastava, infatti, con il principio di sussidiarietà, peraltro richiamabile solo a partire dagli anni ’90
con il completamento della rete di autorità antitrust nazionali fortemente incentivata dalla Commissione.
Il decentramento dell’applicazione della normativa antitrust comunitaria porta altresì con sé l’esigenza di una
piena armonizzazione interpretativa della disciplina: le autorità nazionali di concorrenza ed i giudici nazionali,
nell’applicare la propria normativa nazionale antitrust, devono obbligatoriamente applicare anche gli artt. 81 ed 82
del Trattato, perseguendo un obiettivo di armonizzazione
delle discipline legislative e delle prassi applicative degli
Stati membri (art. 3 del Regolamento).
Con riferimento alle intese la norma afferma, altresì, la
supremazia della norma comunitaria su quella nazionale:
nel caso in cui le autorità e i giudici nazionali applichino la
120
Si pensi che il Bundeskartellamt , la storica autorità nazionale
tedesca, dal 1958 al 1999 aveva applicato gli articoli 81 e 82 del Trattato
solo 21 volte, mentra altre autorità non avevano mai attuato in sede decentrata la disciplina comunitaria della concorrenza. Nello stesso senso
si veda A. PERA, La modernizzazione del diritto comunitario della concorrenza: rivoluzione o evoluzione, in Atti del Convegno “Le nuove regole della concorrenza”, Roma, 3 luglio 2003.
81
legislazione nazionale a fattispecie che rientrano nel campo
di applicazione del diritto comunitario, infatti, l’art. 3 del
Regolamento impone a tali organi non solo di applicare anche l’articolo 81 del Trattato, ma anche di disapplicare eventuali disposizioni di diritto interno più severe di quelle comunitarie, peraltro con riferimento alle sole intese (per le
condotte unilaterali è invece possibile l’applicazione di
norme nazionali più severe), ponendo un vero e proprio
vincolo di convergenza121.
Per assicurare l’uniformità di applicazione delle norme comunitarie la Commissione svolge compiti di vigilanza
sulla loro uniforme attuazione da parte dei giudici e delle
autorità nazionali. In questo senso gli orientamenti della
Commissione assumono un ruolo preminente rispetto a
quelli dei giudici e delle autorità nazionali: i giudici non
possono adottare decisioni in conflitto con quelle già assunte, o in procinto di essere assunte, dalla Commissione; in
questo senso la Commissione è già intervenuta, affermando
che, nell’ambito dell’applicazione dell’art. 81, “la valutazione
comparata degli effetti anticoncorrenziali e degli effetti favorevoli
alla concorrenza è effettuata esclusivamente nell’ambito
dell’articolo 81 paragrafo 3”122, imponendo così un limite alla
discrezionalità delle autorità nazionali.
Il sistema precedentemente in vigore prevedeva al
contrario il sistema della c.d. doppia barriera, che comportava la legalità delle sole intese che erano in grado di superare il doppio test di liceità, quello comunitario e quello nazionale. Tale sistema comportava la prevalenza della norma
più severa: se la norma più severa era contenuta
nell’ordinamento comunitario l’intesa era illecita e non poteva essere autorizzata dal diritto nazionale (questa regola è
quella rimasta in vigore); se, viceversa, la norma più severa
era contenuta nella legge nazionale, l’intesa, sebbene valida
a livello comunitario, poteva essere vietata dalle autorità
nazionali.
121
F. DENOZZA, Problemi applicativi del nuovo regime, intervento al
Convegno su “Le nuove regole della concorrenza”, Milano, 19-20 aprile
2004.
122
Commissione Europea, Linee direttrici sull’applicazione
dell’articolo 81, paragrafo 3 del Trattato, Brussels, 2004, par. 11.
82
Le autorità nazionali, inoltre, hanno l’obbligo di sospendere un procedimento nel caso in cui la Commissione
stia valutando la stessa fattispecie.
Al fine di rispondere a questa rinnovata ed accresciuta
esigenza di armonizzazione il nuovo Regolamento ha introdotto la Rete Europea della Concorrenza (European Competition Network - ECN), volta a rafforzare sia la cooperazione verticale (tra la Commissione e le autorità) che quella
orizzontale (tra le diverse autorità). Nell’ambito del network le autorità hanno l’obbligo di tenere la Commissione
debitamente informata sui procedimenti in corso; possono
essere chiamate dalla Commissione e dalle altre autorità
nazionali a svolgere indagini sul territorio per loro conto;
possono scambiarsi tra loro informazioni, pur nell’ambito
della medesima fattispecie; possono rigettare denunce riguardanti casi già trattati da altre autorità.
Vengono previsti, infine, appositi meccanismi e strumenti di coordinamento volti ad evitare, per quanto possibile, la duplicazione di procedimenti e decisioni, nonché
per prevenire eventuali situazioni di conflitto.
Per quanto riguarda l’allocazione dei casi, essi sono
ripartiti in base al centro di gravità dell’infrazione, chiaramente ispirato al principio di sussidiarietà. In base a tale
principio ciascuna autorità è ritenuta meglio titolata ad accertare le infrazioni di cui agli articoli 81 e 82 del Trattato se
si verificano le seguenti condizioni: l’infrazione genera un
impatto sulla concorrenza nel territorio nazionale di tale autorità e sia posta in essere, ovvero origini, dal territorio nazionale della stessa; l’autorità nazionale in questione disponga di poteri adeguati per porre termine all’infrazione e
sanzionarla in maniera adeguata; l’autorità stessa sia nella
migliore posizione per acquisire gli elementi necessari ai fini della prova dell’infrazione, eventualmente anche con
l’assistenza delle altre autorità.
Vi è poi la possibilità per le autorità nazionali di intervenire congiuntamente, attraverso un’azione coordinata,
per istruire casi che coinvolgono fino a tre paesi
dell’Unione. Per le fattispecie che coinvolgono almeno quattro paesi la competenza passa alla Commissione. Essa può
inoltre intervenire per trattare fattispecie suscettibili di violare un interesse comunitario o per casi in cui, per la novità
83
della fattispecie, emerga l’esigenza di adottare decisioni di
valenza generale, o ancora per assicurare l’applicazione effettiva delle norme comunitarie, e, da ultimo in casi relativi
a settori in cui la Commissione detiene competenze esclusive. Infine la Commissione può avocare a sé il procedimento
nel caso in cui si verifichi una delle seguenti situazioni: il rischio di decisioni contrastanti, assunte da parte di diverse
autorità nazionali, in relazione alla medesima fattispecie; il
rischio di una decisione in conflitto con i principi consolidati della giurisprudenza e della prassi comunitaria; un ritardo ingiustificato nella trattazione del caso l’esigenza di assumere una decisione di valenza generale suscettibile di
avere un impatto anche negli altri paesi dell’Unione.
Il nuovo sistema di applicazione delle regole della
concorrenza si fonda quindi su di una maggiore partecipazione da parte delle autorità e dei giudici nazionali e sul potenziamento del loro coordinamento, attraverso il network,
in modo da affrontare in maniera più efficiente ed efficace
la maggiore complessità economica, giuridica e tecnologica
del mondo globalizzato. Nei propositi della Comunità, infatti, il network deve costituire un foro di discussione e cooperazione in materia di applicazione e vigilanza sul rispetto
della politica comunitaria della concorrenza, garantendo
un’uniforme prassi applicativa ispirata ai criteri indicati
dalla Commissione, cui spetta una funzione armonizzatrice.
In questo senso, come dimostrato dalla teoria dei giochi ripetuti, i meccanismi di reputazione costituirebbero una garanzia contro il free-riding da parte delle autorità nazionali,
poiché “comportamenti non consonanti con il resto della rete”, in particolare quelli finalizzati a perseguire obiettivi di
politica industriale nazionale, “sarebbero sanzionati con
l’emarginazione e la perdita di prestigio”123 a livello comunitario. Lo stesso network, inoltre, dovrebbe garantire, sempre secondo le intenzioni della Comunità, un’efficiente ripartizione dei casi, in base al principio secondo il quale ciascun caso dovrà essere attribuito all’autorità meglio posizionata in termini di costo di acquisizione delle informazioni.
123
V. PEPE, op. cit., pag. 124
84
Il nuovo Regolamento, in definitiva, mira a conseguire
i seguenti obiettivi:
- consentire alla Commissione di dedicare maggiori
sforzi e risorse alla trattazione dei casi più rilevanti;
- favorire l’applicazione decentrata delle regole comunitarie di concorrenza da parte dei giudici e delle autorità
nazionali, permettendone un più puntuale controllo a tutti i
livelli, contestualmente favorendo l’armonizzazione dei criteri valutativi secondo i principi dettati dagli organi comunitari;
- semplificare, a vantaggio delle imprese, il sistema di
applicazione delle regole comunitarie di concorrenza, rimuovendo l’obbligo di notifica preventiva delle intese, riducendo i loro costi.
In una prospettiva di efficienza, il perseguimento di
questi obiettivi deve essere valutato positivamente; tuttavia,
come è stato fatto notare124, tali innovazioni procedurali
pongono nuove problematiche che sono state solo parzialmente affrontate con misure correttive.
Tra
queste
vi
è
innanzitutto
quella
dell’armonizzazione dei canoni di valutazione delle autorità nazionali, in quanto l’applicazione decentrata della disciplina non deve implicare difformità dei criteri di giudizio,
ma non solo: anche l’applicazione delle legislazioni nazionali deve ispirarsi ad alcuni criteri di valutazione comuni
poiché, come abbiamo visto, nell’attuare le disposizioni statali, le autorità applicano contestualmente anche gli artt. 81
e 82 del Trattato dell’Unione (art. 3 del Regolamento
1/2003).
Vi
è
inoltre
la
già
accennata
questione
dell’acquisizione delle informazioni necessarie a valutare i
comportamenti delle imprese: in un’ottica ex post, infatti,
l’autorità antitrust può intervenire solo se possiede informazioni sufficienti per valutare e quantificare gli effetti di
una data condotta e in carenza di queste deve avere i poteri
124
G. DI FEDERICO- P. MANZINI, A law and economics approach to the
new antitrust enforcing rules, in Erasmus Law and economics review, Giugno
2004, pag. 143 e ss.; M. PIRRUNG, EU enlargement towards a cartel paradise?
An economic analysis of the reform of European competition law, in Erasmus
Law and economics review, Febbraio 2004, pag. 77 e ss.
85
e le risorse per acquisirle tempestivamente.
L’assenza di una notifica preventiva implica altresì un
aumento l’incertezza nello svolgimento delle loro attività,
dato che le autorità potranno sempre intervenire per sancire
la nullità di un’intesa, anche dopo anni dalla stipula della
stessa125.
Una volta che un’intesa o una condotta unilaterale sono dichiarate abusive, si giunge al momento sanzionatorio,
laddove l’entità della sanzione ottima, ossia quella che moltiplicata alla probabilità per coloro che violano la norma di
essere puniti è marginalmente maggiore del beneficio derivante dalla violazione della legge stessa, dipende anche dalla fase in cui avviene la verifica della liceità della fattispecie126. In questo senso il mantenimento dell’entità della sanzione massima al 10% del fatturato delle imprese coinvolte
assume che l’intervento ex post implichi la medesima probabilità per coloro che violano la norma di essere puniti rispetto al controllo ex ante, un’ipotesi che difficilmente si verifica.
Da un punto di vista organizzativo, infine l’esigenza
di coordinamento a livello comunitario impone, anche ad
ordinamenti che spesso hanno trascurato questi aspetti, che
la struttura delle autorità risponda a criteri di efficienza
pubblica: con la nuova normativa le autorità nazionali possono essere chiamate dalla Commissione a fornire i propri
pareri su intese e concentrazioni alla Commissione, e può
verificarsi la situazione in cui più autorità si trovino a dover
coordinarsi ed intervenire sul medesimo caso (in ogni modo
non più di tre); conseguentemente, la loro idoneità ad
adempiere efficacemente le proprie funzioni acquista rilevanza per il buon andamento dell’intero sistema antitrust
comunitario.
L’applicazione concreta della normativa comunitaria
125
W. P. J. WILS, The optimal enforcement of EC antitrust law, L’Aia,
2002, pag. 12 ss.
126
Su questo tema si fa riferimento a A. M. POLINSKY- S. SHAVELL,
Public enforcement of law in Enciclopedia of Law and economics, vol. V,
Cheltenham, 2000; su questa problematica si fa riferimento S. MAILLONS, Les sanctions de la violation du droit communautaire de la concurrence,
Bibliotheque de droit international et Communautaire, 2002, Tome 118,
pagg. 369 e ss..
86
si basa poi sulle Comunicazioni elaborate dalla Commissione, documenti che riprendono il modello delle Guidelines
statunitensi, in parte avvicinandosene anche per quanto riguarda il contenuto.
Questi documenti costituiscono, come detto,
l’esplicitazione formale dell’orientamento interpretativo
della Commissione nei confronti di talune tipologie di restrizioni della concorrenza ovvero su aspetti rilevanti
dell’applicazione della disciplina comunitaria antitrust. Pur
avendo solo valore indicativo, non vincolando la Commissione nella valutazione del caso specifico, esse sono generalmente seguite e forniscono alle autorità competenti, alle
imprese e, in genere ai soggetti interessati, un elenco dettagliato dei fattori da tenere in considerazione nella valutazione dei casi concreti e i criteri indicativi per
un’applicazione sistematica delle regole della concorrenza
alle varie fattispecie rilevanti ai fini antitrust. Inoltre, qualora la Commissione decida di discostarsene, ne deve giustificare le ragioni all’interno della decisione, di modo che
l’eventuale scostamento possa essere eventualmente preso
in considerazione in sede di giudizio di fronte al Tribunale
di primo grado o alla Corte di giustizia.
Attualmente, le principali linee guida elaborate dalla
Commissione hanno ad oggetto le autorizzazioni in deroga
alle intese (2004), le intese verticali (2000), le intese orizzontali (2001), gli accordi di importanza minore (2001), le concentrazioni (2004), la definizione di mercato rilevante
(1997). Il fatto stesso della loro introduzione, nonché il loro
contenuto, evidenziano un crescente utilizzo di indici economici e, in parte, di efficienza, nello stabilire la liceità o
meno di intese e concentrazioni. Manca, ed è una carenza
che la Commissione sta cercando di colmare con una consultazione attualmente in corso, un documento interpretativo per l’applicazione dell’art. 82 del Trattato.
Delineati per sommi capi i tratti generali dei temi di
diritto antitrust che si affacciano nella trattazione del tema,
sembra a questo punto opportuno procedere ad una disamina (critica) delle tesi che sono state sino ad ora offerte
dalla elaborazione dottrinale e giurisprudenziale in merito
alla interazione tra autorità.
87
4.1 La cooperazione tra la Commissione ed i giudici
nazionali
Dunque, il Regolamento 1/2003 intensifica la cooperazione tra la Commissione e i giudici nazionali. Per tale
motivo, l’articolo 15 dello stesso individua tre strumenti
avvalendosi dei quali la Commissione Europea ha la possibilità di dare supporto al lavoro dei giudici nazionali, svolgendo così un ruolo che può definirsi attivo nei relativi
giudizi127. Più precisamente, ai sensi dell’articolo 15 del Regolamento suddetto, la Commissione Europea può fornire
informazioni che sono in suo possesso o rendere pareri, non
vincolanti tuttavia, in merito a temi concernenti
l’applicazione del diritto comunitario della concorrenza. I
pareri forniti dall’Autorità di concorrenza europea possono,
grazie alle novità introdotte dal Regolamento in questione,
considerare aspetti anche legali ed economici, non limitandosi come accadeva in precedenza a semplici analisi di questioni di fatto128.
Ecco allora che è possibile intravedere in questo meccanismo di cooperazione una sorta di procedimento preliminare alla valutazione ed alla decisione, circa la liceità (e
pertanto validità) delle intese, di “consulenza”.
4.2 Il contrasto di decisioni in ambito comunitario
La Corte di Giustizia dell’Unione Europea non è rimasta insensibile al problema del coordinamento delle competenze dei giudici ordinari e delle autorità di controllo ed ha
fornito nel corso del tempo una serie di indicazioni che
hanno trovato il punto di arrivo nel caso Delimitis129, in occasione del quale la Corte ha affermato il principio della
cooperazione tra i giudici nazionali e la Commissione
nell’applicazione delle norme a tutela della concorrenza.
La Corte di Giustizia era partita dalla considerazione
per cui diversi sono i ruoli che competono alla Commissione ed all’autorità giudiziaria nell’applicazione del diritto
127
Dettagli relativi al modello di cooperazione tra la Commissione Europea e le Corti Nazionali sono contenuti nella National Court
Notice.
128
National Courtd Notice.
129
CGCE, 28 febbraio 1991, C234/89, in Foro it., 1993, IV, c. 29 con
nota di M. MEROLA, Norme comunitarie e poteri dei giudici nazionali.
88
antitrust. In particolare, la Commissione è un’autorità amministrativa
responsabile
del
coordinamento
e
dell’attuazione della politica comunitaria della concorrenza
e a tal fine agisce nel pubblico interesse, mentre i giudici
nazionali hanno il compito di salvaguardare i diritti dei
singoli nei rapporti di diritto privato.
La Corte ebbe allora cura di affermare esplicitamente
che il giudice, nell’esercizio delle sue funzioni, deve tener
conto della competenza della Commissione al fine di evitare di emettere delle decisioni incompatibili.
Laddove i giudici ordinari si trovino a decidere su richieste risarcitorie consequenziali ai provvedimenti presi
dall’Autorità nazionale ai sensi dell’art. 101 TFUE, questi
ultimi avranno efficacia vincolante ai sensi dell’art. 16, 1°
comma, del Regolamento CE n. 1 del 2003.
L’articolo 16, comma primo, del Regolamento CE n. 1
del 2003, sulla scorta di un noto orientamento della Corte di
Giustizia130, ha previsto che, quando i giudici nazionali si
pronunciano su accordi, decisioni e pratiche concordate, ai
sensi dell’articolo 101 o 102 del TFUE, già oggetto di una
decisione della Commissione Europea, questi non possano
prendere provvedimenti che siano in contrasto con la decisione adottata dalla Commissione. Essi devono evitare soluzioni non in linea con una decisione contemplata dalla
Commissione in procedimenti da essa avviati.
Una parte autorevole della dottrina ha anche sostenuto che le decisioni positive di inapplicabilità degli articoli
101 e 102 del TFUE, adottate ex art. 10 Reg. CE 1/2003, rappresenterebbero un vincolo per i giudici che si trovino a va 130
Peraltro il fatto che l’accertamento amministrativo della violazione possa avere una qualche efficacia vincolante nel procedimento
giudiziario ordinario non inficia in alcun modo la possibilità per le Corti di riferire la questione circa la validità della decisione alla Corte di
Giustizia, ai sensi dell’art. 234 del Trattato UE. Cnf. Corte UE, 18 febbraio 1991, causa 28 febbraio 1991, C-23489, in Racc., p.I-935, punto 47. È
la c.d. dottrina Masterfoods, che trae origine dalla sentenza della Corte di
Giustizia, la quale ha affermato il principio secondo cui i tribunali nazionali non devono mai trovarsi nella posizione di giungere ad una decisione contrastante con la posizione adottata dalla Commissione al fine
di rendere effettivamente possibile il raggiungimento degli obiettivi
comunitari in materia di concorrenza (Corte di Giustizia UE, sentenza
14 dicembre 2000, causa C-344/98)
89
lutare la stessa condotta oggetto di tali decisioni. In entrambi i casi si è sostenuto che la diminuzione dei margini
di autonomia dei Giudici nazionali sarebbe parzialmente
compensata dalla possibilità di poter comunque attivare il
meccanismo del rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia131.
Alcuni ordinamenti giuridici comunitari hanno adottato disposizioni analoghe relativamente alle decisioni delle
loro singole Autorità nazionali132. È il caso, ad esempio del
Regno Unito, dove le sezioni 18 e 20 dell’Enterprise Act prevedono che le Corti nazionali siano vincolate quanto
all’accertamento dei fatti dai provvedimenti dell’Office of
Fair Trading (OFT) e dalle sentenze di appello prese su tali
decisioni da Competition Appeal Tribunal133. In altri ordinamenti giuridici si è arrivati poi ad estendere l’effetto vincolante anche alle decisioni di tutte le Autorità Garanti della
Concorrenza degli Stati membri. Si fa riferimento, in particolare, all’art. 33, comma 4, del GWB tedesco.
Differente è ovviamente la questione se la sentenza
dell’Autorità giudiziaria ordinaria possa vincolare in qualche modo l’Autorità Garante chiamata a sanzionare eventualmente lo stesso comportamento anticompetitivo, in
quanto è ovvio che il giudicato farà stato soltanto tra le parti, indipendentemente dall’accertamento dell’illiceità o meno della condotta. L’Autorità, avvalendosi di personale
131
M. TAVASSI, Which role for national courts in competition protection?, atti del VI convegno UAE-LIDC-Antitrust between EC and Nationl
Law, Treviso, maggio 2004, ed. 2005, pag. 88.
Sulla possibilità di esperire il rinvio pregiudiziale alla Corte di
Giustizia si veda G. MUSCOLO, Poteri e garanzie nel diritto antitrust,
l’esperienza italiana nel sistema della modernizzazione, documento disponibile
alla
seguente
pagina
web
http://www.assonime.it/assonime/pubblicazione/pub_notestudi_A.n
sf/118.pdf, 2007. Si è però sottolineato come tale disposizione debba essere interpretata bilanciando il principio del primato del diritto europeo
con quello della indipendenza del giudice.
132
Corte UE, 14 dicembre 2000, causa C-344/98, in Racc, p. I11369, punto 2.
133
Per una ricognizione dei casi in cui si è dibattuto circa la portata delle disposizioni normative si veda B. RODGER, Competition Law Litigation in the UK Courts: A Study of All Cases to 2004- Part III, ECLR, 2006,
pag. 341.
90
specializzato, ha sicuramente i mezzi migliori per poter liberamente ripercorrere e approfondire le valutazioni già effettuate dal Giudice ordinario.
A ben vedere, una coerente applicazione del diritto antitrust potrebbe essere facilitata anche attraverso il maggior
ricorso, anche per le fattispecie di rilevanza nazionale, al
meccanismo previsto dall’art. 15 Reg. CE 1/2003. Esso prevede che la Commissione sia tenuta a fornire assistenza ai
giudici nazionali che ne facciano richiesta in relazione a
giudizi aventi ad oggetto questioni sussumibili all’interno
degli articoli 101 e 102 TFUE. Tale assistenza può consistere
non solo nello scambio di informazioni, ma anche nel rilascio di pareri in merito a questioni inerenti l’applicazione
del diritto antitrust comunitario. Tuttavia, i giudici nazionali si sono dimostrati restii al ricorso a tali meccanismi.
Parimenti inutilizzato è il meccanismo dell’amicus curiae attraverso il quale la Commissione Europea potrebbe
formulare di propria iniziativa osservazioni alle giurisdizioni nazionali (art. 15.3 Reg. CE 1/2003) al fine di garantire
una coerente applicazione degli articoli 101 e 102 TFUE.
Ora, nonostante il sotto-utilizzo del modello appena
descritto, potrebbe ritenersi opportuno estendere
l’applicazione di tali meccanismi all’ordinamento giuridico
nazionale. In effetti, in un’ottica di sistema, i vantaggi sostanziali che essi sono in grado di determinare in termini di
diminuzione di possibili contrasti giurisprudenziali sono
sicuramente superiori a costi che l’introduzione di disposizioni normative di tale genere comporta.
91
CAPITOLO IV
IL RISCHIO DI DECISIONI IN CONFLITTO
IN AMBITO NAZIONALE
1. Impostazione dei problemi
Il pericolo che l’Autorità garante della Concorrenza e
del Mercato ed il giudice ordinario addivengano a decisioni
in conflitto tra loro è inevitabile, dal momento che ci si trova al cospetto, nella materia antitrust di due organi tra loro
svincolati, dotati di analoghi poteri istruttori, decisori e
sanzionatori. Il pericolo si avverte in misura minore nel
momento in cui l’intesa oggetto di esame viene prospettata
come fonte di un danno ingiusto, laddove è possibile che le
due autorità abbiano punti di vista differenti, considerati gli
ambiti del loro intervento.
Tuttavia, lo stesso rischio si avverte con maggiore intensità allorché si tratti di verificare se un rapporto negoziale si collochi dentro o fuori l’ordinamento, alla luce dei
principi di cui alla legge antitrust, essendo i giudici chiamati
a compiere, in tale ultimo caso, il medesimo tipo di valutazioni dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato.
Il ruolo e le attribuzioni delle due autorità preposte
dalla legge a tutela della concorrenza, in quello che viene
definito come “doppio binario” del sistema, sembrano chiaramente definite: l’AGCM svolge funzioni amministrative,
che attengono alla tutela del sistema concorrenziale di mercato nell’interesse della collettività; il Giudice Ordinario è
preposto alla tutela di situazioni giuridiche soggettive, derivanti dalla legge antitrust.
Per quel che interessa in questa sede, è utile ricordare
che l’agire sul mercato, il determinare situazioni che possono alterare gli equilibri del mercato e, conseguentemente,
l’assetto concorrenziale dello stesso, avviene attraverso
l’instaurazione di rapporti negoziali tra i soggetti che ivi vi
operano. Ora, compito del giudice ordinario attiene alla tu-
93
tela delle situazioni giuridiche soggettive che da tali rapporti nascono e tale sarebbe stato anche in assenza di una
espressa previsione della legge a tutela della concorrenza.
Tuttavia, l’espressa previsione circa le competenze attribuite al giudice ordinario in subiecta materia è necessaria a causa delle deroghe contenute nella stessa legge e per marcare i
rapporti intercorrenti con l’autorità amministrativa.
In particolare, il riferimento è alla competenza esclusiva attribuita all’Autorità Garante della Concorrenza e del
Mercato al rilascio delle autorizzazioni in deroga.
Come detto, l’AGCM ha un compito diverso e più
esteso rispetto a quello dell’AGO. Invero, ad essa è attribuito il controllo del corretto funzionamento del mercato ed il
potere di intervenire laddove ravvisi comportamenti lesivi,
anche non aventi carattere negoziale. Tuttavia, nel momento in cui un operatore economico lamenti, ad esempio, un
inadempimento ovvero un comportamento abusivo della
sua controparte, si rivolgerà al giudice ordinario. Il giudice
allora, risolverà il conflitto interpretativo applicando le
norme di legge che quel conflitto regolano.
Corollario è che le funzioni dei due organi posti dalla
legge a tutela della concorrenza, sono destinate ad intersecarsi.
Le interferenze possono essere di vario tipo e possono
dar luogo a situazioni in cui il giudice ordinario si trovi a
dover esercitare le proprie funzioni in presenza di una
azione “parallela” esercitata dinanzi all’autorità amministrativa di controllo. In particolare, può accadere che le imprese comunichino l’intesa, ai sensi dell’art. 13 della legge
antitrust, al fine di far accertare che la stessa non rientra
nell’ambito di operatività del divieto posto dall’art. 2 della
Legge antitrust. Nella prassi, poi, viene contestualmente
presentata una richiesta di autorizzazione in deroga, per
l’ipotesi in cui l’AGCM giudicasse esistente la violazione
del divieto di cui all’art. 2.
Dispone la norma di cui all’articolo 13 della legge antitrust che se l’Autorità non avvia il procedimento entro il
termine di centoventi giorni dalla comunicazione, non può
94
più procedere in tal senso, ad eccezione dei casi di comunicazioni incomplete o non veritiere134.
Questo meccanismo procedurale di comunicazione
volontaria risulta chiaramente ispirato alla disciplina comunitaria della c.d. attestazione negativa di cui all’articolo
2 del Regolamento n. 17/62, avente ad oggetto la richiesta
di accertamento rivolta alla Commissione, da parte delle
imprese, in ordine alla compatibilità con gli articoli 81.1 e 82
del Trattato CE - attualmente 101 e 102 del TFUE - di un determinato accordo, decisione o pratica.
Come visto, tuttavia, il processo di modernizzazione
del diritto antitrust comunitario, culminato nel Regolamento 1/2003, ha comportato il passaggio da un sistema di autorizzazione preventiva delle intese comunicate ad un meccanismo di eccezione legale, secondo cui sono di per sé legittimi gli accordi, le decisioni e le pratiche concordate che
soddisfino le condizioni di cui all’articolo 81, paragrafo 3,
senza che sia necessaria l’adozione di una decisione preventiva della Commissione.
L’articolo 3 del citato Regolamento sancisce inoltre
l’immediata e diretta applicabilità degli articoli 81 e 82 TCE
–attuali 101 e 102 TFUE- da parte delle autorità amministrative e delle giurisdizioni nazionali. In particolare è stata
abrogata la competenza esclusiva della Commissione a concedere alle imprese un’esenzione dal divieto di intese restrittive della concorrenza ai sensi dell’articolo 81, paragrafo 3 del TCE.
Queste incisive evoluzioni del contesto normativo
comunitario non possono non ripercuotersi, come già accaduto in passato, sulla disciplina dei procedimenti in materia
di intese restrittive della concorrenza, con particolare riguardo al sistema di comunicazione preventiva delle intese,
che può risultare non del tutto compatibile con lo spirito e
con il dettato del regolamento 1/2003135.
134
Le modalità di comunicazione, da effettuarsi obbligatoriamente con apposito formulario predisposto dall’Autorità – Formulario pe la
comunicazione delle intese, pubblicato in data 1° luglio 1996, in Boll., ed.
spec.-, sono disciplinate dall’articolo 3 del regolamento di procedura
135
per quanto riguarda gli orientamenti espressi in proposito
dall’Autorità, si deve segnalare che essa, per il tramite del suo Presidente, ha in più occasioni, da un lato, auspicato una completa conforma-
95
Ora, qualora l’AGCM non apra l’istruttoria entro centoventi giorni dalla comunicazione, l’intesa si “consolida”:
il silenzio viene, cioè, equiparato ad una sorta di decisione
di non rilevanza per il diritto antitrust, salvo, come detto, il
caso di comunicazioni incomplete o non veritiere.
Come accennato, nella prassi, viene contestualmente
presentata anche una richiesta di autorizzazione in deroga,
per l’ipotesi in cui l’Autorità Garante giudicasse esistente la
violazione del divieto; in questo caso, la legge impone
all’AGCM di provvedere entro centoventi giorni –
dall’apertura dell’istruttoria-. Giova, tuttavia, dare avviso
che in questa ipotesi è diversa la rilevanza del decorso del
termine136. Infatti, in questo caso, il decorso del termine non
vale come “silenzio-accoglimento”, né come “silenziorifiuto” e ciò in primo luogo perché la legge non lo prevede
espressamente e sarebbe, tra l’altro, svilito il sistema
dell’autorizzazione come deroga al divieto, da elargire sulla
base di un’attenta valutazione delle circostanze; in secondo
luogo perché se fosse inteso come silenzio-rifiuto, questo
consentirebbe alle parti di rivolgersi al giudice amministrativo per far accertare non soltanto l’obbligo dell’Autorità
Garante di provvedere, ma anche l’esistenza dei presupposti per l’autorizzazione. Il decorso del termine, viceversa,
deve ritenersi che abbia valenza di silenzio inadempimento,
a fronte del quale il privato può esperire gli opportuni mezzi di tutela.
Inoltre, può verificarsi l’ipotesi in cui le imprese hanno
dato luogo ad un’intesa anti-concorrenziale o, anche in maniera del tutto inconsapevole, hanno organizzato i loro rapporti economici in maniera tale da creare un effetto distorsivo della concorrenza. In questo caso, le imprese interessate non hanno comunicato l’intesa né hanno avanzato una
richiesta di autorizzazione in deroga, ed hanno dato, con
ogni probabilità, esecuzione al loro accordo. Tuttavia, anche
zione della legislazione interna alla disciplina comunitaria e la conseguente abrogazione dell’articolo 13 della legge n. 287/90, e, dall’altro,
ha auspicato una prevalente applicazione degli articoli 101 e 102 del
TFUE in luogo della normativa nazionale.
136
P. AUTIERI, Nullità e autorizzazione delle intese restrittive della
concorrenza nella normativa antitrust nazionale, in Riv. Dir. Ind., 1996, I,
pag. 83.
96
in tale ipotesi ci si potrebbe trovare difronte ad un procedimento pendente dinanzi all’AGCM, la quale, indipendentemente dalla comunicazione dell’intesa o dalla richiesta di
autorizzazione in deroga, può aver aperto un’istruttoria.
Così come può verificarsi l’ipotesi che il giudice ordinario
sia il primo a conoscere dell’accordo anticompetitivo, non
essendo ancora stata avviata un’istruttoria.
Nel caso in cui vi sia un’istruttoria in corso, essa potrà
sfociare in una decisione di rilevanza o di non rilevanza
della intesa per il diritto ovvero in un temporaneo provvedimento di autorizzazione in deroga, sempre revocabile,
previa diffida, in caso di abuso da parte dell’interessato o
qualora vengano meno i presupposti che abbiano giustificato il rilascio dell’autorizzazione..
Posti in luce i possibili cumuli di tutela, può concludersi che l’intesa può essere sottoposta all’attenzione del
giudice in una delle seguenti ipotesi:
- dopo una comunicazione
- dopo una richiesta di autorizzazione
- o nel corso del procedimento istruttorio (durante il
quale potrebbe essere contestualmente presentata una richiesta di autorizzazione).
In tutte queste ipotesi il procedimento può essere già
pendente dinanzi all’Autorità Garante della Concorrenza e
del Mercato ovvero può esserci solo l’eventualità che
quest’ultima possa interessarsene in futuro.
Oltre a queste ipotesi, possono verificarsene altre in
cui non v’è né contemporaneità di procedimento, né è stato
adito preventivamente il giudice ordinario, bensì l’AGCM
ha già emanato un provvedimento decisorio circa la questione, provvedimento che può essere di non rilevanza, autorizzatorio o di condanna. I problemi che, allora, si pongono in questo caso, sono di natura diversa e involgono la rilevanza da attribuire, in sede giudiziaria, a tali provvedimenti.
2. La valutazione delle intese ad opera del giudice
ordinario.
La valutazione del giudice ordinario in ordine alla liceità o meno degli accordi anti-concorrenziali che si esprimono sotto forma di intese vietate ai sensi dell’articolo 2,
97
della legge n. 287/90, coinvolge il bilanciamento della concorrenza sul mercato nazionale, o in una sua parte rilevante.
Ai fini della dichiarazione di inefficacia di un’intesa il
giudice, dovrà valutare, in primo luogo, se l’intesa rientri
nell’ambito di operatività del divieto e, in tal caso, dovrà
negare l’impegnatività dell’accordo sul piano negoziale a
causa della carenza dei presupposti cui è normativamente
subordinata la produzione di effetti.
Pertanto, il giudice, dovrà essere in grado di distinguere le intese non rientranti nell’ambito di operatività del
divieto da quelle che possono beneficiare della deroga e,
quindi, in grado di produrre effetti giuridici in seguito alla
autorizzazione delle stesse da parte dell’Autorità Garante
della Concorrenza e del Mercato. A tal fine, allora, è necessario comprendere il tipo di valutazione che il giudice dovrà condurre.
Come già si è avuto modo di precisare, la disposizione
di cui all’articolo 2 della legge antitrust, vieta le intese che
abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o
falsare in maniera consistente il gioco della concorrenza
all’interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante, comminando la sanzione della “nullità ad ogni effetto” di
tutte quelle intese in cui ricorrano determinati requisiti.
Ai fini dell’operatività del divieto la legge richiede, in
primo luogo, l’incidenza negativa sul gioco della concorrenza. Invero, l’intesa deve comportare un effetto negativo,
che può consistere nell’impedire, restringere o falsare la
concorrenza; tale incidenza negativa può a sua volta essere
“oggetto” o “effetto” dell’intesa; in ogni caso essa deve essere “consistente” e deve riguardare l’intero mercato nazionale o una sua parte rilevante.
Riuscire ad individuare e valutare tali requisiti richiede un’analisi particolarmente complessa, che tra l’altro interferisce con materie economiche. Tale è, infatti,
l’obiezione sollevata da tutti coloro che escludono che il
giudice possa condurre un tale tipo di valutazione in ragione delle sua intrinseche difficoltà ed in ragione del fatto che
la legge abbia appositamente creato un organo istituzionale
preposto a tal fine e dotato delle necessarie competenza
tecniche e scientifiche.
98
Dunque, il giudice è chiamato ad applicare il divieto
di cui all’articolo 2, cioè, è chiamato ad applicare una norma
che detta precisi parametri che ne condizionano
l’operatività.
Il divieto di intese restrittive della concorrenza e, conseguentemente, la previsione testuale della nullità, comporta, per il giudice ordinario il compimento delle medesime
valutazione condotte dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato in ambito pubblicistico.
Pertanto, seguendo la logica, il primo presupposto che
dovrà essere valutato, ai fini dell’operatività del divieto, è
rappresentato dalla incidenza negativa delle intese su gioco
della concorrenza. Ebbene, in questa analisi, si pongono, dal
punto di vista giuridico, problemi di non poco rilievo perché sembra difficile individuare il contenuto del parametro
“alterazione della concorrenza”137.
Alcuni autori ritengono tale concetto privo di connotazione normativa, nel senso che tramite questo si opererebbe un rinvio alla teoria economica138; secondo altri, invece la definizione di concorrenza come fenomeno giuridico si
affrancherebbe dalle influenze delle teorie economiche e,
l’attenzione dei giuristi andrebbe incentrata sul valore che
la nozione assume nella gradazione di interessi desumibile
dalla Costituzione e dai principi dell’ordinamento
dell’Unione Europea139.
È noto, tra l’altro, che nell’ambito della teoria economica il parametro dell’alterazione della concorrenza non risponda ad un concetto statico, ma ha subìto nel tempo una
forte evoluzione: si è assistito, infatti, al passaggio dall’idea
che la libertà di concorrenza coincidesse con la tutela della
libertà individuale, e quindi con la libertà negoziale,
all’affermazione di una sua rilevanza in termini di “situazione di mercato”140.
137
L. REISER, Antinomie nel diritto sulle limitazioni della concorrenza,
in Il compito del diritto privato, Milano, 1990, pag. 241
138
R. PARDOLESI, Diritto antitrust italiano, cit.
139
E. PICOZZA, Dizionario di diritto pubblico dell’economia, Bologna,
1998, pag. 192
140
D. COSSUTTA-M. GRILLO, Concorrenza, monoppolio, regolamentazione, Bologna, 1987.
99
Aderire ad una o all’altra corrente di pensiero comporta una diversa valutazione della pericolosità dei diversi
accordi anti-concorrenziali.
In realtà, la funzione del giudice, come si è ampiamente detto, è diversa da quella di “guardiano del funzionamento
del mercato” dell’AGCM, perché interessa un conflitto interprivato.
Tuttavia, questa affermazione, vuol dire soltanto che il
giudice è tenuto a guardare al sistema concorrenziale non
come punto di equilibrio del mercato, ma come criterio di
soluzione dei conflitti intersoggettivi141. Da qui la conclusione per cui il giudice dovrà risolvere i problemi di coordinamento tra libertà negoziale dei privati ed esigenze del
mercato, dando prevalenza a queste ultime tutte le volte in
cui ritenga che gli accordi conclusi dai soggetti privati e sottoposti al suo esame, possano minacciarle.
In tale prospettiva, il giudice ordinario, lungi dal
guardare all’alterazione complessiva del sistema concorrenziale del mercato, dovrà valutare ogni singolo accordo
come comportamento negoziale che può tradursi in una
minaccia per la libera concorrenza. Valutazione che dovrà
essere condotta anche alla luce degli altri parametri normativi142.
sioni
3.
Il ruolo del giudice nel diritto antitrust: conclu-
Come avuto modo di affermare in precedenza, parte
della dottrina è rimasta per alcuni versi spiazzata dalla contestuale attribuzione di funzioni di controllo tanto
all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato,
quanto al giudice ordinario.
Invero, dalle posizioni emerse nel dibattito, spicca
chiaramente la preoccupazione del sistema di controllo
predisposto, dal quale discendono problemi pratici, oltre
che teorici, in relazione al rischio di possibili interferenze ed
141
G. AMATO, Il potere e l’antitrust, cit., pag. 54.
N. IRTI, L’ordine giuridico del mercato, Bari, 1998, pag. 13 e ss..
l’Autore insegna che il giudice dovrà, dunque, tradurre il linguaggio
economico in istituti giuridici in cui il mercato diviene un locus artificialis.
142
100
al conseguente rischio di decisioni assunte dalle due autorità ed in contrasto tra loro.
In particolare, si è tentato di conciliare l’intervento del
giudice ordinario con le funzioni ed i poteri attribuiti
all’AGCM.
Dall’analisi del dibattito si evidenzia l’attribuzione di
una posizione subordinata e nettamente secondaria attribuita al giudice ordinario, il quale, essendo chiamato ad intervenire per la soluzione di questioni relative a rapporti tra
privati, dovrebbe intervenire soltanto successivamente
all’intervento dell’Autorità Garante, il quale dovrebbe intendersi come pregiudiziale, e pertanto assolutamente indispensabile.
In altre parole, l’intervento dell’Autorità specificatamente preposta dalla legge a tutela della concorrenza nel
mercato, è da ritenersi un presupposto processuale
dell’esperimento delle azioni civilistiche, previste dalla
stessa legge antitrust (art. 33, comma 2) dinanzi al giudice
ordinario. Ecco allora che i diritti che le parti possono far
valere dinanzi alla giurisdizione ordinaria, altro non sono
che “diritti consequenziali” alle decisioni dell’AGCM.
La dichiarazione di nullità delle intese restrittive della
concorrenza sarebbe, quindi, ed alla luce di quanto sino ad
ora affermato, aderendo all’indirizzo dottrinale di cui si
espone, subordinata non soltanto alla presenza di un provvedimento autorizzatorio emanato dall’Autorità Garante in
seguito al procedimento istruttorio, bensì anche alla esistenza di una pronuncia di condanna da parte dell’Autorità
Garante.
Per meglio comprendere quanto appena detto, giova
far riferimento alla disciplina relativa alla possibilità di
emettere provvedimenti volti autorizzare intese in realtà restrittive della concorrenza, potere che compete in via esclusiva all’AGCM.
L’Autorità, dopo aver verificato che un’intesa vietata
ai sensi dell’art. 2 della legge soddisfa le condizioni sostanziali cumulative previste dall’art. 4 (miglioramento delle
condizioni di offerta; sostanziale beneficio per i consumatori; indispensabilità delle restrizioni; non eliminazione della
concorrenza da una parte sostanziale del mercato), può au-
101
torizzarla con proprio provvedimento per un periodo di
tempo limitato.
L’effetto dell’autorizzazione, o esenzione, è quello di
rendere provvisoriamente lecita l’intesa, in deroga al divieto legislativamente previsto, precludendo per il futuro sia
l’applicazione di sanzioni pecuniarie nei confronti delle
parti che hanno presentato l’apposita richiesta, sia che se ne
possa invocare la nullità davanti ad un giudice per contrasto con l’art. 2 della legge.
Vale al riguardo il principio, elaborato in sede comunitaria con riferimento alle decisioni di esenzione della
Commissione ex articolo 101 TFUE, ed esplicitato
dall’articolo 7, comma 4, del regolamento di procedura nazionale, della non retroattività del provvedimento di autorizzazione in deroga, che non produce quindi effetti anteriori alla data della richiesta. Ciò significa che l’articolo 4
della legge attribuisce all’Autorità il potere di rimuovere in
via preventiva, con un provvedimento costitutivo di natura
autorizzatoria in senso lato, il divieto legislativamente previsto di realizzare intese restrittive della concorrenza, restando invece preclusa la possibilità di sanare situazioni
pregresse mediante un provvedimento con efficacia retroattiva143.
La dottrina ha classificato come “dispensa” il provvedimento amministrativo di autorizzazione, sottolineandone
spesso il carattere ampiamente discrezionale144. A tale riguardo, è tuttavia opportuno precisare che, come visto,
l’esenzione presuppone che un’intesa restrittiva della concorrenza produca dei miglioramenti in termini di efficienza
tali da più che compensare gli svantaggi che originano dalla
restrizione concorrenziale e suscettibili di comportare sostanziali benefici per i consumatori: la verifica ad opera
143
AGCM, Consorzio Parmigiano Reggiano, cit. e Relazione annuale
dell’Autorità, 1997, pag. 176.
144
Detto orientamento dottrinale trova conferma in una pronuncia del giudice amministrativo, che ha sottolineato come, nella fattispecie di cui all’articolo 4 della legge n. 287/1990, “il provvedimento emesse
risulti espressione di una vera e propria discrezionalità amministrativa”, dovendo l’Autorità procedere ad una compensazione di interessi, pubblici
e privati; Consiglio di Stato, 14 giugno 2004, n. 3865, Nokia Italia-Marconi
Mobile- Ote, punto 4.5.
102
dell’Autorità dei presupposti per concedere un’esenzione
può richiedere valutazioni economiche più complesse ed un
certo margine di discrezionalità.
Anche se la legge e il regolamento tacciono al riguardo, la prassi dell’Autorità è nel senso di assoggettare talora
il rilascio dell’autorizzazione a condizioni ed oneri, anche
frutto di impegni delle parti, volti a consentire il mantenimento di una situazione di concorrenza, cui le parti devono
attenersi per mantenere il beneficio dell’esenzione.
Per chiudere questa parentesi, si ricorda che
l’autorizzazione in deroga può essere revocata con apposita
decisione, ai sensi dell’art. 4, comma 2, della legge qualora
l’interessato abusi dell’autorizzazione ovvero quando venga meno alcuno dei presupposti per l’autorizzazione; mentre la prima condizione sembra essenzialmente riferita a
comportamenti posti in essere dagli interessati non compatibili con il permanere dell’efficacia dell’autorizzazione, la
seconda appare avere riguardo ad un mutamento essenziale delle condizioni che avevano giustificato il rilascio
dell’esenzione, ivi comprese le condizioni del mercato, tale
da non consentire più all’intesa autorizzata di produrre
quegli effetti capaci di migliorare il benessere dei consumatori.
4. Il tentativo di armonizzazione delle competenze
dell’AGCM e dell’AGO
La dottrina ha tentato di trovare un criterio che riuscisse ad armonizzare le competenze attribuite alle due autorità alle quali la legge antitrust n. 287/1990 affida il controllo dei comportamenti anti-concorrenziali che incidono
sul mercato. Tale esigenza nesce, come si è avuto modo di
constatare, dal rilievo per cui l’intervento del giudice ordinario, che ai sensi della legge sembrerebbe del tutto autonomo e indipendente da quello dell’AGCM, potrebbe portare con se il rischio di decisioni contrastanti con quelle
adottate, in relazione al medesimo comportamento, da parte dell’Autorità Garante. Da qui la visione del ruolo del
giudice ordinario, secondo parte della dottrina, nettamente
subordinato e marginale rispetto a quello dell’AGCM, tanto
è vero che laddove si ritenesse che la Corte d’Appello potrebbe intervenire solo nelle ipotesi in cui la violazione della
103
disciplina antitrust sia già stata accertata dall’AGCM, con la
conseguente applicazione di sanzioni, occorrerebbe attendere, ai fini dell’esperibilità delle ordinarie azioni civilistiche, il decorso dei termini per l’impugnativa ovvero
l’esperimento della procedura di controllo in sede amministrativa145.
Sostenere questa tesi, significa trovare il modo per
armonizzare il sistema di controllo delle intese, oltre che
riempire di contenuto l’intervento dell’Autorità di controllo, la quale, come si è avuto modo di vedere, svolge funzione ed esercita poteri sulla base di saperi ampiamente specialistici.
Dichiarare la nullità “ad ogni effetto” delle intese che
pregiudichino il gioco della concorrenza, comporta la verifica oltre che del contenuto delle stesse, anche del loro effetto, il quale deve essere anticoncorrenziale. A tal fine è necessario appurare se le intese oggetto del sindacato del giudice siano in grado di pregiudicare in maniera “consistente” la concorrenza all’interno del mercato nazionale o di
una sua parte “rilevante”. Tali accertamenti, come è facile
dedurre, presuppongono conoscenze altamente tecniche,
involgendo concetti di politica economica, che solitamente
appartengono a specialisti del settore e per effettuare i quali
è stata appositamente creata un’autorità indipendente, il cui
intervento potrebbe essere addirittura considerato integrativo del precetto normativo146.
Pertanto, aderendo a questa tesi, dovrebbe riconoscersi che non si tratterebbe di un mero accertamento della illiceità di una condotta, ma di una valutazione necessaria a
specificare le condizioni di operatività del divieto, che giustificherebbero la declaratoria di nullità dell’accordo collusivo.147
145
G. DE MINICO, cit.
G. VESPERINI, La Consob e l’informazione del mercato mobiliare,
Padova, 1993, pag. 263, formula una tesi parallela a quella appena esposta con riferimento alla Consob, ma con considerazioni estese ai compiti
dell’Autorità Giudiziaria Ordinaria. L’autore parla, infatti, di “funzione
neutrale, con compiti di integrazione specificativa dei precetti indeterminati
che la legge abbia usato per descrivere gli obiettivi dell’amministrazione!.
147
G. OPPO, Costituzione e diritto privato nella “tutela della concorrenza”, cit., pagg. 543 e ss.; C. SELVAGGI, Disciplina della concorrenza e del
146
104
L’intervento dell’AGCM, proprio in virtù di tali conoscenze tecniche dovrebbe allora intendersi come indispensabile al fine di riempire di contenuto la norma sanzionatrice e dunque per rendere percorribile la tutela civilistica,
perché in assenza di un intervento della stessa il divieto non
potrebbe ritenersi perfezionato e non potrebbe, quindi, farsi
valere nei rapporti interprivati.
Le conseguenze della teoria in esame sono allora diverse, in primo luogo il giudice ordinario non potrà essere
adito anteriormente alla pronuncia dell’autorità circa la liceità o meno della condotta, o meglio la dichiarazione di
nullità dell’intesa non può precedere l’intervento
dell’autorità amministrativa; in secondo luogo, nel caso in
cui sia pendente un procedimento dinnanzi all’AGCM, il
giudice dovrebbe avvalersi dello strumento della sospensione del processo in attesa di una pronuncia dell’Autorità
Garante della Concorrenza e del Mercato, che si ritiene
debba vincolare il giudice ordinario, fatta salva la possibilità di quest’ultimo di riesaminare soltanto qualora ravvisi
un vizio di legittimità del provvedimento, dal momento che
gli è precluso qualunque sindacato nel merito.
4.1 La tesi contraria alla pregiudizialità
La ricostruzione dottrinale appena esposta non è, tuttavia, accolta da coloro i quali ritengono, al contrario, che
gli argomenti necessari per risolvere il problema in esame
devono ancorarsi al dettato normativo148.
Invero, secondo la ricostruzione in esame, la legge non
si esprime in termini di pregiudizialità e nemmeno avrebbe
mercato. Problemi di giurisdizione e competenze, in Riv. Dir. Comm., 1993, I,
pag. 243, secondo cui l’articolo 33 disciplinerebbe, rimettendo la competenza alla Corte d’Appello, solo le azioni di nullità conseguenziali ai
provvedimenti dell’AGCM, ma rimarrebbe per le rimanenti ipotesi la
competenza generale del giudice ordinario. Analogamente G. DE MINICO, ˛Spunti per una riflessione in merito al sindacato giurisdizionale sugli atti
dell’Antitrust e della Consob, in Pol. Dir.,1998, pag. 243; V. CATELLI, Il problema dei rapporti tra giudice e garante, in Dir. Ind., 1997, pag. 1047.
148
M. LIBERTINI, Il ruolo del giudice nell’applicazione del diritto antitrust, in Giur. Comm., 1998, pag 649; S. LA CHINA, Concorrenza e Mercato,
cit., pag. 647; C. ALESSI- G. OLIVIERI, La disciplina della concorrenza, cit.,
pag. 170; L. NIVARRA, La tutela civile: profili sostanziali, in Diritto antitrust
italiano, cit., pag 1449.
105
potuto farlo e ciò per il semplice motivo che l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato non è un giudice.
La legge antitrust offre una definizione di intesa, e
sanziona con la nullità tutte quelle intese che rivestono determinate caratteristiche, riconoscendo in capo al giudice
ordinario, ed in particolare alla Corte di Appello competente per territorio, il potere di dichiarare tale nullità.
Ecco allora che, dalla semplice lettura del testo normativo a tutela della libera concorrenza nazionale, non si
rinviene
alcuna
consequenzialità
dell’intervento
dell’Autorità Giudiziaria Ordinaria rispetto a quello
dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato.
Peraltro, anche a voler leggere il combinato disposto
dei commi 1 e 2 dell’articolo 2 (che vieta le intese anticoncorrenziali) con l’art. 33, comma 2 (che attribuisce al giudice
ordinario la competenza a dichiarare la nullità delle intese
vietate) nel senso opposto a quello appena dato, vale a dire
propendendo per una pregiudizialità amministrativa
dell’intervento dell’autorità indipendente, la modalità di
accesso alla tutela giurisdizionale risulterebbero in contrasto con gli stessi principi costituzionali, ed in particolare
con l’articolo 24 della Costituzione.
Peraltro, a sostegno di detta tesi, si aggiungono ulteriori argomenti.
Innanzitutto viene affermata la “neutralità” delle funzioni svolte dall’Autorità Garante.
Invero, e contraddicendo quanto affermato dai sostenitori della tesi opposta, precedentemente illustrata,
l’intervento dell’AGCM non può ritenersi integrativo del
precetto normativo. La funzione svolta in tali casi
dall’autorità amministrativa indipendente posta a tutela
della concorrenza è semplicemente di natura interpretativa.
L’Autorità Garante interpreta un teso di legge. La funzione
interpretativa è una funzione che compete soprattutto al
giudice il quale, quindi, non necessita del supporto preventivo, o comunque detto di pregiudizialità, dell’intervento
dell’Autorità149.
Probabilmente, tale ultimo ragionamento è condivisibile, purché si presti attenzione a non confondere l’attività
149
M. LIBERTINI, cit.
106
svolta dall’Autorità Garante con l’attività paragiurisdizionale e aderendo, invece, al carattere neutrale della stessa.
Ancora, altra parte della dottrina tende a sottolineare
con ancora maggiore veemenza il ruolo dell’autorità giudiziaria ordinaria. In particolare, si sostiene che “risponda a
concezioni giuridiche di retroguardia sposare concezioni tendenti
alla amministrazione del diritto dell’economia”150. Tuttavia, tale
affermazione rischia di non essere giustificata nel momento
in cui non si individuino con esattezza i confini delle competenze delle due autorità chiamate ad esercitare un controllo sui comportamenti anticoncorrenziali e non si riesca a
trovare uno strumento di coordinamento tra le funzioni
svolte151
5. La posizione della giurisprudenza
Con riferimento alla problematica in oggetto, la giurisprudenza sembra aver aderito a quella interpretazione che
non
considera
affatto
pregiudiziale
l’intervento
dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato
all’instaurazione del processo civile.
Dalle pronunce esaminate, risalta il principio per cui
all’AGCM è affidato il compito di tutelare il mercato in senso oggettivo, mentre all’Autorità Giudiziaria Ordinaria
quello di offrire tutela alle posizioni giuridiche soggettive
lese da condotte anticoncorrenziali152.
In particolare, la giurisprudenza sostiene che la tutela
giurisdizionale in materia antitrust non può essere subordinata al preventivo accertamento amministrativo della condotta oggetto di sindacato dinanzi al giudice ordinario. Ciò
in quanto non si tratta di un particolare modello del diritto
affievolito ad interesse legittimo, suscettibile di tutela davanti al giudice ordinario sul necessario presupposto della
caducazione nella sede amministrativa (e dei relativi rimedi
150
G. ROSSI, Antitrust e teoria della giustizia, in Riv. Soc., 1995, pag.
1.
151
A. TOFFOLETTO, Il risarcimento del danno nel sistema delle sanzioni
per la violazione della normativa antitrust, Milano, 1996, pag. 44.
152
Corte di Appello di Milano, 18 luglio 1995 (ord), in Foro it.,
1996, I, c. 276; M. SCUFFI, L’evoluzione del diritto antitrust nella giurisprudenza italiana, in Dir Ind., 1998, pag. 41.
107
giurisdizionali) del provvedimento amministrativo che si
frappone alla piena espansione del diritto soggettivo.
Tale modello, per la giurisprudenza, non ha spazio in
materia di tutela della concorrenza. Infatti, viene precisato
che, l’interpretazione delle norme del primo titolo della
legge n. 287/90 è effettuata in base ai principi
dell’ordinamento dell’Unione Europea in materia di disciplina della concorrenza (art. 1, comma 4 della legge antitrust
nazionale). Pertanto, anche qualora venga denunciata, nel
caso concreto, una violazione della concorrenza tale da non
interessare il mercato comune europeo ma solo quello nazionale, nondimeno il diritto fatto valere trova la sua definizione, attraverso il richiamo operato dalla legge nazionale, nella normativa comunitaria, alla quale quel modello è
estraneo. Ne deriva che il diritto fatto valere dinanzi al giudice ordinario ha necessariamente natura di diritto soggettivo perfetto ed il giudice nell’interpretazione e nella applicazione della legge esercita un potere sovrano. D’altra parte, sostiene ancora la giurisprudenza di merito, a conclusione diversa sarebbe stato possibile pervenire qualora il legislatore nazionale avesse configurato i procedimenti devoluti al garante per la concorrenza ed il mercato come cause di
improcedibilità temporanea della domanda davanti al giudice ordinario, ma in difetto di una simile previsione, non
sarebbe possibile introdurre un difetto temporaneo di giurisdizione in via meramente interpretativa153.
Da ciò deriva, secondo l’impostazione data dalla giurisprudenza testé richiamata, che la Corte di Appello, quale
giudice “funzionalmente” competente a conoscere delle
azioni di nullità e di danni proposte ai sensi dell’articolo 33,
comma 2, della legge n. 287, non può subire e non subisce
alcun condizionamento, impedimento o limitazione, nella
propria indagine volta all’accertamento della fondatezza
della domanda proposta, dalla azione - non ancora intrapresa, in corso o già esperita - dell’Autorità Garante154.
In altre parole, nulla osta a che la Corte di Appello
adita, esercitando una delle azioni previste dal secondo
153
Corte di Appello di Milano, cit.
N. NIVARRA, Diritto antitrust italiano, a cura di FRIGNANI, PARDOLESI, PATRONI GRIFFI, UBERTAZZI, Bologna, 1993, II, pagg. 1461 e ss.
154
108
comma dell’articolo 33 della legge a tutela della concorrenza, accerti l’effettiva sussistenza della condotta illecita, in
piena autonomia, senza che le eventuali determinazioni
adottate al riguardo dall’Autorità Garante, possano spiegare alcuna influenza, né sul piano processuale - provocando
ad esempio un arresto del processo civile in pendenza di un
procedimento dinanzi all’AGCM - , né su quello sostanziale, permettendo che il contenuto del provvedimento (antecedente) dell’autorità condizioni le valutazioni del giudice
ordinario155.
L’impostazione data dalla giurisprudenza offre una
lettura “processuale” della norma di cui all’articolo 33 e del
possibile coordinamento della tutela offerta in sede amministrativa con quella offerta in sede giurisdizionale.
La lettura data alla norma viene ritenuta, dalle stesse
Corti di Appello chiamate a pronunciarsi156, compatibile con
i principi dell’ordinamento che regolano i rapporti tra giudice ordinario e pubblica amministrazione, alla stregua dei
quali ogni criterio di collegamento che, in assenza di una
apposita previsione normativa, pretendesse di paralizzare
l’azione giudiziaria in attesa del definitivo pronunciamento
dell’AGCM o ne subordinasse l’avvio alla preventiva conclusione del procedimento dinanzi alla stessa, sarebbe illegittimo e arbitrario157.
D’altra parte, come è stato osservato, una tale conclusione è confermata dal disposto dell’articolo 295 c.p.c, che
nel disciplinare la sospensione necessaria de processo civile
per pregiudizialità, contempla esclusivamente l’ipotesi della pendenza di un altro processo giurisdizionale (relativo
ad una controversia la cui decisione condizioni l’esito della
causa civile); e tale ovviamente, non è il procedimento che
155
C. ALESSI, , cit., pagg. 288-289; LA CHINA, Commento alla legge
10 ottobre 1990 n. 287 e al decreto legislativo 25 gennaio 1992 n. 74, in Concorrenza e mercato, a cura di V. AFFERNI, Padova, 1994, pagg. 664 e ss.
156
Corte di Appello di Milano, 18 luglio 1995, cit.,
157
In tal senso, S. LA CHINA, cit., il quale affronta le difficoltà di
coordinamento ponendosi dal punto di vista del privato ed individuando come unico criterio esegetico utilizzabile l’ossequio al fondamentale principio dell’art. 24 Cost., che “vuole il giudice garante anche
verso e contro la pubblica amministrazione, ultima ratio ed ultima spiaggia, e
non già l’inverso”.
109
si svolge dinanzi l’Autorità Garante della Concorrenza e del
Mercato158.
Coerentemente con quanto detto, la giurisprudenza
ha, del pari, escluso che l’esistenza di un procedimento parallelo innanzi all’autorità amministrativa possa considerarsi preclusivo del prosieguo del procedimento instaurato dinanzi al giudice ordinario.
Prendendo le mosse da tale assunto, sono state respinte eccezioni di inammissibilità della domanda, presentate
perché la ricorrente aveva già denunciato il medesimo fatto
all’Autorità Garante. Invero, le Corti di Appello in simili casi si sono proclamate competenti a conoscere in via autonoma dei comportamenti rientranti nell’ambito di applicazione della legge antitrust159.
In un caso soltanto la giurisprudenza ha avuto modo
di precisare che, qualora il provvedimento dell’Autorità
Garante sia oggetto di impugnazione dinanzi al TAR, il
giudice ordinario potrà valutare se è il caso di sospendere il
processo; ciò sicuramente non andrà fatto nel corso di un
procedimento cautelare160.
In concreto, la giurisprudenza, nei casi sottoposti alla
sua attenzione, si è trovata di fronte a situazioni caratterizzate dall’assenza di una previa decisione dell’Autorità Ga 158
S. LA CHINA, cit., pagg. 667-668; Corte di Appello di Milano, 18
luglio 1995, che ribadisce che tale tesi è confortata, sul piano sistematico, dalla distinzione delle attribuzioni riservate al giudice ordinario rispetto a quelle proprie dell’autorità – il primo chiamato a tutelare il diritto soggettivo del singolo concorrente, l’altra preposta alla repressione
delle condotte lesive dell’interesse pubblico della tutela del mercato- e
dalla conseguente diversità, sia dal punto di vista formale, sia sostanziale, delle determinazioni dagli stessi adottabili.
159
Corte di Appello di Milano, 25 settembre 1995 (ord), in Dir.
Ind., 1996, pag. 304, con nota di N. AMEDEI; Corte di Appello di Torino,
17 febbraio 1995 (ord), in Giur. It. ,1996, pag. 288, con nota di P. GALLIA;
Corte di Appello di Milano, sez. I, 29 settembre 1999 (ord.), in Dir. Ind.,
1999, pag. 338, secondo cui “l’ammissibilità della doppia tutela discende direttamente dall’impostazione dell’art. 33, che nel distinguere i presupposti contenuti dell’uno e dell’altro procedimento li pone su un piano non alternativo, bensì concorrente secondo l’emergenza e la natura
dell’interesse cui si chiede protezione; Tribunale di Roma, 23 dicembre
1999.
160
Corte di Appello di Milano, 5 febbraio 1996 (ord.), in GADI,
1996, pag. 639 (caso Comis c. Ente Fierai).
110
rante della Concorrenza e del Mercato. I casi in cui i giudici
si sono trovati ad esaminare condotte collusive sono due. In
entrambe le ipotesi, il ricorrente chiedeva una tutela in via
d’urgenza, prefigurando, tuttavia, una successiva azione
per ottenere il risarcimento del danno e non la declaratoria
di nullità dell’accordo sottoposto all’esame del giudice ordinario. Risarcimento dovuto all’esclusione della concorrente dal mercato161.
In entrambe le ipotesi, i giudici della Corte di Appello
di Milano, si sono trovati a dover valutare l’esistenza di una
intesa
anti-concorrenziale,
sia
pure
ai
fini
dell’individuazione nella stessa di una fonte di danno ingiusto, ed in entrambi i casi hanno seguito il medesimo iter
argomentativo.
In particolare, nel primo caso la Corte ha proceduto ad
una valutazione della “consistenza” dell’intesa, arrivando a
concludere di non poter ravvisare l’esistenza di tale requisito sulla base della considerazione per cui “la realtà di fatto
dimostra che solo una minoranza delle imprese associate ha ritenuto di aderire”. Per meglio comprendere quanto appena affermato, giova precisare che il caso sottoposto all’attenzione
dei giudici ambrosini, aveva ad oggetto una circolare con
cui l’Ania – Associazione Nazionale fra le Imprese Assicuratrici, inviata alla quasi totalità delle imprese assicuratrici
italiane, con la quale veniva suggerito di concludere contratti per la fornitura di dati tecnici e commerciali con una
data impresa operante nel settore delle indagini di mercato.
La Corte di appello, ha ritenuto, nello specifico, che tale intesa non poteva considerarsi consistente e ciò in quanto
la circolare non aveva carattere vincolante; perché anche alla imprese ricorrente era stato chiesto di presentare la propria offerta – e quindi aveva ricevuto invito a trattare- e,
come sopra detto, perché la realtà di fatto dimostrava che
soltanto una minoranza delle imprese associate aveva ritenuto di aderire alla circolare.
A ben vedere, può affermarsi che la valutazione condotta dai giudici non ha nulla a che vedere con la verifica
della potenziale incidenza che l’intesa anti-concorrenziale
161
Corte di Appello di Milano, 25 settembre 1995, caso Ania, cit. e
Corte di Appello di Milano, 5 febbraio 1996, caso Comis c. Ente Fiera, cit.
111
potesse avere sull’andamento del mercato. In particolare,
preme evidenziare, che i giudici della Corte di Appello, nel
caso appena prospettato, altro non hanno fatto che limitarsi
ad una verifica ex post degli effetti che l’intesa ha prodotto
nella sfera economica dell’impresa concorrente che lamentava il danno.
Nella seconda ipotesi, verificatasi in un altro caso sottoposto sempre ai giudici della Corte di Appello di Milano,
veniva ancora una volta affermata la inesistenza del requisito della “consistenza” dell’intesa anti-concorrenziale, sulla
base di una verifica ex post del degli effetti prodotti dalla
medesima, che, anche questa volta, nulla aveva a che vedere con una valutazione della potenziale incidenza
dell’intesa sul mercato. In questo caso, relativo ad un accordo di boicottaggio tra l’impresa resistente e altra impresa, tendente ad escludere dal mercato la ricorrente, la Corte
di Appello di Milano, ha nuovamente affermato, in linea
con la precedente interpretazione esposta, come non basti
accertare se l’intesa denunciata sia in grado di escludere altri operatori dal mercato, bensì verificare se la medesima sia
causa del pregiudizio in concreto verificatosi e per il quale
viene richiesta tutela in via cautelare.
A ben vedere, l’iter argomentativo seguito dalla giurisprudenza della Corte di Appello di Milano nei casi suesposti sembra in linea con l’ambito applicativo del controllo
devoluto al giudice ordinario. Invero, la Corte sottolinea
che il compito del giudice è quello di tutelare le pretese che
sorgono in un conflitto interpersonale dove viene in rilievo
un diritto soggettivo e non già tutelare la concorrenza
nell’interesse collettivo. In questo contesto, allora, sembra
corretto che il giudice ordinario conduca un’indagine volta
a verificare le conseguenze che la condotta collusiva ha
prodotto sul piano dei rapporti intersoggettivi, senza soffermarsi oltre valutando l’incidenza dello stesso su generale
funzionamento del mercato.
Tuttavia, delineare il ruolo del giudice ordinario, concorrente a quello dell’Autorità garante, appare molto più
semplice laddove si tratti di accertare l’esistenza di un danno, di un pregiudizio di cui si chiede tutela in via definitiva
o anche solo in via cautelare.
112
Invero, seguendo il ragionamento della giurisprudenza, è possibile che in questi casi le valutazioni condotte
dall’Ago da un lato e dall’Agcm dall’altro, giungano a conclusioni differenti: può accadere, infatti, che il giudice ordinario assolva, sul piano privatistico, il comportamento collusivo non produttivo di pregiudizio e che, dall’altro lato
l’Autorità garante condanni, sul piano dell’interesse generale lo stesso comportamento.
5.1 La posizione della giurisprudenza nel caso di accertamento della nullità delle intese restrittive della concorrenza.
Tuttavia, il discorso assume una veste diversa qualora
si tratti di accertare la nullità delle intese.
In tale ambito, infatti, il tipo di valutazione rimessa al
giudice ordinario, chiamato a dichiarare la nullità di una intesa restrittiva della concorrenza perché in contrasto con
l’articolo 2 della legge, non sembra essere diversa dalla valutazione che è chiamata a condurre l’AGCM ai fini della
giustificazione di un intervento sanzionatorio. Da ciò discende che non ci sarebbe spazio per due distinte valutazioni: una nell’interesse pubblico, l’altra nell’interesse privato. In relazione alla dichiarazione di nullità delle intese,
l’eventuale contrasto tra le decisioni delle due autorità troverebbe causa soltanto nel diverso tipo di valutazione condotta e non nel diverso ambito di osservazione (pubblico e
privato).
Il contrasto di cui si è fatto cenno poc’anzi, si è verificato in un caso in cui il ricorrente chiedeva una tutela in via
cautelare in vista dell’esercizio di un’azione di nullità162.
Nella fattispecie, si trattava di un’intesa realizzata attraverso una deliberazione di Consorzio avente ad oggetto
il contingentamento della produzione e, come tale, illecita.
L’intesa in commento era stata approvata dal Ministero attraverso un c.d. piano di produzione. La Corte di Appello,
dopo aver affermato la propria competenza passò ad analizzare il contenuto del piano di produzione, concludendo
che esso prevedeva un sistema di adeguamento successivo
162
Corte di Appello di Bologna, 20 settembre 1995 (ord.), causa
Negrini c. Consorzio prosciutto di Parma, in GADI, 1996, pag. 453.
113
in ordine all’attribuzione di quote di produzione, e pertanto
non determinava la cristallizzazione delle quote precedentemente acquisite. In ordine invece alla valutazione della
consistenza dell’intesa, i giudici hanno ritenuto di non avere elementi utili per stabilire la reale compressione della
produzione globale. Quindi, il requisito della “consistenza”
dell’intesa è stato, nel caso concreto, interpretato nel senso
che esso, comunque, presupporrebbe un’analisi circa gli effetti che l’intesa è idonea a produrre, anche laddove si tratti
di intese vietate per sè. Questa affermazione fa pensare che i
giudici non si siano voluti sbilanciare per timore di intervenire prematuramente, in mancanza di una decisione
dell’AGCM in merito alla questione, evitando di pronunciare la sospensione degli effetti dell’intesa.
Di lì a poco, intervenne la decisione dell’AGCM completamente di senso opposto rispetto a quella del giudice
ordinario. Invero, l’Autorità Garante della Concorrenza e
del Mercato ritenne che l’attività di programmazione quantitativa della produzione non fosse compresa tra i compiti
attribuiti dalla legge ai consorzi a tutela della qualità163.
Infine, in relazione all’ipotesi in cui sia già intervenuta
una pronuncia dell’autorità amministrativa, la giurisprudenza sembra, almeno apparentemente, seguire la strada
dell’indifferenza. Afferma, infatti, che l’AGCM, per quanto
autorità indipendente, ha poteri di carattere amministrativo-ordinatorio e non certo giurisdizionali, con la conseguenza che le relative statuizioni, se possono assumere carattere di definitività in ambito amministrativo, non assumono valenza di cosa giudicata e non escludono, pertanto,
che la medesima questione possa essere proposta dinnanzi
al giudice ordinario164.
Il problema è stato affrontato nel corso di un procedimento cautelare, non rientrante nella competenza esclusiva
della Corte d’Appello. L’AGCM aveva avuto modo di valutare come restrittiva della concorrenza un’intesa tra la Panini e l’Associazione Italiana Calciatori, relativa ad un con 163
M. DE VITA, Regolamentazioni pubbliche: principi comunitari e disciplina italiana antitrust, in Dir. Un. Eur., 1997, pagg. 740 e ss.
164
Corte di Appello di Milano, 5 febbraio 1996 (ord.) cit., causa
Comis c. Ente Fiera.
114
tratto di licenza in esclusiva che, per il suo contenuto, aveva
l’effetto di eliminare ogni forma di concorrenza sul mercato165. Nonostante il provvedimento sfavorevole, la Panini
chiedeva tutela in via d’urgenza dinanzi al giudice ordinario, cercando di impedire l’avvio di attività concorrenziali
poste in essere da altri soggetti. Il giudice adito, respinse
però tale richiesta, pur dichiarandosi competente a dichiarare la nullità del contratto166. In particolare, il Tribunale fece propri i rilievi formulati dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato evitando, di conseguenza, di non
rendere evanescente il provvedimento emanato in sede
amministrativa ed evitando, soprattutto, il rischio di decisioni in contrasto.
Questo pare essere l’unico caso in cui la pronuncia del
giudice ordinario è stata preceduta da un provvedimento
dell’Autorità Garante.
Tuttavia, può essere ricordato un caso verificatosi in
materia di pubblicità ingannevole dove, a sostegno della
propria decisione, il giudice ordinario invocava quale “elemento indiziario” l’autorevole “precedente” costituito da
un provvedimento dell’AGCM con il quale, in seguito a denuncia del Comitato difesa dei Consumatori, veniva inibita
la continuazione di condotte simili a quella che veniva in rilievo nel caso di specie, giudicando la campagna pubblicitaria della ricorrente ingannevole. Ecco allora un caso in cui
un provvedimento dell’Autorità Garante della Concorrenza
e del Mercato ha condizionato la decisione del giudice civile, collegando gli interventi delle due autorità preposte, rispettivamente, alla tutela dell’interesse privato ed a quella
dell’interesse pubblico.
Concludendo, può affermarsi, in generale, che i giudici, nell’applicazione della legge antitrust, si ritengano autonomi e indipendenti da qualsiasi intervento amministrativo
dell’Autorità garante.
Tuttavia, il rischio di decisioni contrastanti provenienti dai due organi è sempre presente e attuale.
165
Provvedimento AGCM, n. 4381 del 31 ottobre 1996, in Dir. Ind.,
1997, pag. 226..
166
Tribunale di Modena, 6 giugno 1997, (ord.), in Dir. Ind., 1997,
pag. 1407, con nota di CATELLI.
115
116
CAPITOLO V
UNO SGUARDO OLTRE CONFINE.
L’ESPERIENZA SPAGNOLA
1. La tutela della concorrenza nell’ordinamento spagnolo
L’Ordinamento giuridico spagnolo, ha provveduto a
conformare la propria disciplina antitrust ai principi del diritto comunitario con l’emanazione di una nuova legge a tutela della concorrenza, entrata in vigore il 4 luglio del 2007,
la Ley de defensa de la Competencia n. 15 del 2007.
In Spagna, le origini del modello di tutela della libera
concorrenza sul mercato risalgono al 1963, anno in cui fu
emanata la prima Ley de Represión de Práticas Restrictivas de
la Competencia. La prima legge antitrust spagnola fu inserita
nel quadro degli strumenti di politica economica ritenuti
indispensabili all’apertura dell’economia spagnola.
Con la Ley de Represión de Práticas Restrictivas de la
Competencia venne istituito il Tribunal de Defensa de la Competencia, organo specializzato nella valutazione dei comportamenti anticoncorrenziali, vietati tanto dalla normativa nazionale, tanto da quella comunitaria. Il Tribunal de Defensa
de la Competencia (TDC) per tal via venne inserito a tutti gli
effetti nel sistema giuridico spagnolo. L’ordinamento spagnolo iniziò quindi un processo di traslazione dei principi
affermati a livello comunitario nell’ordinamento nazionale,
seppure con alcune peculiarità proprie di un’economia interventista, quale era all’epoca quella iberica.
In realtà, il processo di liberalizzazione e deregolamentazione che interessava l’economia era appena iniziato
ed era ancora troppo presto perché una legge che tutelasse
la concorrenza ed il libero mercato avesse un significativo
impatto sulla struttura dei mercati; e di questo ne è dimostrazione il fatto che l’attività del TDC durante questo periodo è stata molto ridotta, contandosi una media di dieci
casi l’anno sottoposti al suo esame.
117
Il primo vero cambiamento nella materia si è registrato con la promulgazione della Costituzione, avvenuta nel
1978.
Due le ragioni alla base:
- il TDC diventa un organo amministrativo dipendente dal Ministero dell’Economia (allora Ministero del Commercio);
- e, cosa più importante, viene espressamente sancita,
dall’articolo 38 Cost., la libertà di impresa; principio che
viene immediatamente riconosciuto come ancoraggio costituzionale ispiratore della tutela della concorrenza.
Il secondo mutamento, ma non in ordine di importanza, avvenne con l’adesione della Spagna alla Comunità Europea, nel 1986.
L’adesione, oltre a comportare un effetto immediato
sul diritto interno, in virtù del principio di diretta applicabilità all’interno degli ordinamenti nazionali del diritto comunitario, portò la necessità di adattare la politica, la normativa ed i procedimenti in materia antitrust alla disciplina
dettata dal Trattato e ai principi espressi dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia.
Così, nel 1989 la Spagna procede alla riforma della Ley
de Represión de Praticás Restrictiva de la Competencia emanando la Ley de Defensa della Competencia n. 16 del 1989.
La nuova legge antitrust, provvede, conformemente ai
principi dettati dal diritto comunitario, a creare una nuova
base sostanziale, istituzionale, procedurale al regime spagnolo di tutela della concorrenza. Il nuovo assetto legislativo, nei suoi aspetti fondamentali e nonostante modifiche
legislative intervenute nel corso degli anni, resta in vigore
fino al 2007, anno in cui si è provveduto all’emanazione di
una nuova legge, completamente modificativa della disciplina nazionale a tutela della concorrenza fino a quel momento in vigore.
Iniziando l’analisi del sistema spagnolo antitrust è doveroso, allora, iniziare con l’analisi della legge n. 16 del
1989.
Nel preambolo, la legge richiama il principio costituzionale ispiratore della materia e procede a fissare gli obiettivi della tutela della concorrenza in Spagna; si afferma che
la concorrenza, come principio guida dell’economia di mer-
118
cato, rappresenta un elemento intrinseco al modello di organizzazione economica della società e costituisce nel piano
delle libertà individuali la prima e più importante forma in
cui si manifesta l’esercizio della libertà di impresa affermata
dall’art. 38 della Costituzione, il quale afferma espressamente che “Se reconoce la libertad de empresa en el marco de la
economía de mercado. Los poderes públicos garantizan y protegen
su ejercicio y la defensa de la productividad, de acuerdo con las
exigencias de la economía general y, en su caso, de la planificación”.
La Costituzione spagnola riconosce la libertà di impresa all’interno del mercato e richiede, allo stesso tempo,
che le autorità pubbliche vigilino e garantiscano il suo esercizio in conformità con le esigenze di economia generale.
Dalla lettura della disposizione costituzionale appena
richiamata si possono trarre due conclusioni. La prima è
che il principio della libertà d’impresa, anche se fondamentale, è soggetto a vincoli derivanti dall’esistenza di altri interessi parimenti ritenuti meritevoli di tutela; e la seconda è
che le autorità pubbliche sono tenute a far si che si mantenga, all’interno del mercato, un sistema concorrenziale non
falsato.
La stessa Corte Costituzionale in una sentenza del 1°
luglio 1986 - storica per l’ordinamento spagnolo- afferma
che devono essere esercitate tutte le azioni necessarie al fine
di evitare che gli operatori economici pongano in essere
pratiche destinate a compromettere o danneggiare seriamente la concorrenza tra le imprese, elemento determinante
nell’economia di mercato. Ecco allora che la tutela della
concorrenza diventa necessaria e giustifica restrizioni della
libertà d’impresa we dell’autonomia dei privati, nonché
adattamenti dell’economia di mercato.
Sul piano sostanziale, la legge del 1989 riproduce testualmente gli artt. 85 e 86 dell’allora vigente Trattato di
Roma (attualmente artt. 101 e 102 TFUE), vietando al suo
primo articolo gli accordi tra imprese o altri operatori di
mercato, volti alla fissazione di prezzi, alla ripartizione dei
mercati o a imporre vincoli alla produzione e, all’articolo 6,
l’abuso di posizione dominante.
Alle condotte che si concretizzano in un’intesa restrittiva della concorrenza o in un abuso di posizione dominan-
119
te, la legge aggiunge un’ulteriore comportamento vietato
perché lesivo dell’interesse pubblico: gli atti di concorrenza
sleale.
È da notare che il divieto di concorrenza sleale come
strumento di tutela dell’interesse generale costituisce un
elemento differenziale dell’ordinamento spagnolo rispetto
ad altri ordinamenti europei, nei quali la concorrenza sleale
è regolata dal diritto comune perché lesiva dell’interesse
privato.
Ancora, in materia di concentrazioni, la LDC del 1989
stabilisce un regime in cui la notificazione delle stesse non è
obbligatoria e attribuisce una funzione meramente consultiva al Tribunal de Defensa de la Competencia, spettando la decisione finale circa la validità o meno delle operazioni di
concentrazione al Consiglio dei Ministri. Tuttavia, con riferimento particolare alle concentrazioni il Tribunal Supremo
ha avuto cura di pronunciarsi nel senso della vincolatività
per il Consiglio dei Ministri del parere di valutazione del
TDC. Il Consiglio dei Ministri non può pertanto discostarsi
da quanto espresso dall’organo specializzato, salvo che vi
siano adeguate motivazioni e che queste non attengano a
criteri legati ad altri obiettivi di politica economica.
La legge specifica che il TDC, su richiesta del Ministro
dell’Economia, deve esprimere un parere sulle operazioni
di concentrazione tenendo conto di diversi criteri, quali la
struttura del mercato, la scelta dei fornitori, dei distributori,
dei
consumatori
o
utilizzatori
finali
coinvolti
nell’operazione, del potere economico e finanziario delle
imprese, dell’evoluzione della domanda e dell’offerta nel
mercato interessato, della concorrenza straniera e
dell’esistenza di barriere all’ingresso del mercato di altre
imprese concorrenti individuando, successivamente a tale
indagine, l’impatto dell’operazione di concentrazione sul
mercato rilevante.
Solo nel 1999, a seguito della riforma alla legge antitrust viene sancita l’obbligatorietà della notifica delle concentrazioni a partire da una determinata quota di mercato
detenuta dall’impresa parte dell’operazione e da certi volumi di vendita coperti dalla stessa.
Sul piano istituzionale, la Spagna ha optato come molti altri paesi europei per un modello nel quale intervengono
120
due istituzioni: il Servicio de Defensa de la Competencia ed il
Tribunal de Defensa de la Competencia, affidando alla prima
competenze istruttorie e di indagine circa le condotte restrittive della concorrenza e affidando alla seconda la decisione dei relativi casi e attribuendole, come già anticipato,
funzioni consultive in materia di concentrazioni o di aiuti di
stato.
Inoltre, il sistema garantisce una tutela giurisdizionale
effettiva, attribuendo la facoltà agli operatori economici di
impugnare le decisioni del TDC innanzi all’Audiencia Naciónal in prima istanza e in appello dinnanzi al Tribunal Supremo (Corte di Cassazione).
In entrambi i casi, il Tribunale amministrativo agisce
come controllore della legittimità degli atti della Pubblica
Amministrazione.
Ora, a seguito della riforma operata dalla Legge
1/2002 al sistema della tutela della concorrenza, il quadro
istituzionale è stato completato con il riconoscimento alle
Regioni di competenze in materia. Infatti, la legge appena
menzionata stabilisce criteri di connessione e ripartizione
delle competenze tra Stato e Regioni circa la valutazione
delle condotte vietate, fermo restando la competenza esclusiva dell’amministrazione centrale dello Stato per la valutazione delle concentrazioni.
Si procede così ad avviare un processo di decentramento istituzionale, che nonostante i rischi connessi consente, attraverso l’attribuzione di specifiche competenze antitrust alle Regioni, una maggiore efficienza nelle indagini e
in generale nella fase istruttoria.
Meritano di essere segnalati gli aspetti procedurali del
modello spagnolo di tutela della concorrenza.
Il procedimento d’indagine sui comportamenti vietati
dalla legge antitrust, evidenzia innanzitutto che si tratta di
un procedimento fortemente garantista degli interessi delle
parti, soprattutto in relazione al diritto alla prova, che può
essere esercitato durante tutte le varie fasi del procedimento
anche attraverso la possibilità per le parti di chiedere audizioni orali tanto al Servicio de Defensa de la Competencia, tanto
al Tribunal de defensa de la Competencia. Inoltre, la separazione istituzionale della fase istruttoria da quella decisoria,
come già anticipato, porta con sé la possibilità di appellare
121
le decisioni del SDC di archiviazione della causa dinnanzi
al TDC.
La legge stabilisce criteri rigorosi per la determinazione delle sanzioni, aumentando così la prevedibilità del sistema. Infine, non può non farsi cenno alla trasparenza tanto del procedimento quanto delle decisioni adottate. La legge, infatti, si preoccupa di descrivere in modo dettagliato
tutte le fasi di cui è composto il procedimento, e prevede,
con riferimento alla decisione che il suo testo integrale venga pubblicato sul sito web del Tribunal, oltre che sul relativo
bollettino.
I vantaggi, però, portano con loro una serie di svantaggi.
Un procedimento fortemente garantista degli interessi
delle parti implica una durata eccessivamente lunga che alle volte, e con particolare riferimento ai casi di abuso di posizione dominante, finisce per provocare un ritardo della
decisione tale da comportare l’impossibilità di ripristino
della situazione quo ante, vale a dire delle condizioni concorrenziali ottimali o fisiologiche nel mercato interessato.
Il procedimento di accertamento delle concentrazioni
termina invece con una decisione amministrativa definitiva,
che peraltro deve essere adottata in un termine massimo di
quattro mesi dall’avvio del procedimento. Il periodo di durata del procedimento amministrativo avente ad oggetto il
controllo delle concentrazioni è uno dei più brevi di quelli
previsti dagli altri stati europei membri dell’Unione, senza
tener conto del fatto che la maggior parte delle operazioni
che non comportano rischi per la concorrenza, vengono approvate in una fase preliminare direttamente dal Ministro
dell’economia, nel termine di un mese dalla notificazione.
La previsione di termini così brevi non comporta, ed è questo il dettaglio più importante, un’erosione della garanzia
degli interessi delle parti, posto che ancora una volta la legge consente la partecipazione al procedimento con la formulazione di osservazioni circa le operazioni di concentrazione di cui si procede alla valutazione.
In breve, si può affermare che il procedimento di accertamento delle condotte vietate dalla legge antitrust spagnola risponde in modo adeguato ai requisiti di trasparenza, prevedibilità, difesa e garanzia degli interessi delle parti.
122
Per chiudere questa prima parte della ricognizione del
modello spagnolo di tutela della concorrenza, vorrei analizzare il ruolo che questo ha avuto nel processo di liberalizzazione, deregolamentazione e privatizzazione delle imprese pubbliche e, in generale, di apertura, che ha interessato
l’economia spagnola negli ultimi decenni.
L’evoluzione della concorrenza in Spagna e soprattutto la fiducia degli operatori economici e dell’intera società
ha fatto si che l’economia spagnola si evolvesse in modo
dinamico.
La Spagna, durante il XX secolo è stata un laboratorio
di pratiche assai differenti tra loro: gli anni ’40 e ’50 furono
segnati da una politica economica protezionista ed interventista in linea con la realtà economica che viveva il paese;
alla fine degli anni ’50 inizia un radicale cambiamento, che
orienta l’economia verso un modello basato su politiche di
privatizzazione, liberalizzazione e deregolamentazione, che
con il passare degli anni diviene sempre più efficace e permette alla concorrenza di iniziare ad esistere.
L’evoluzione della liberalizzazione ha seguito il medesimo paradigma di altri paesi europei: è stato dapprima liberalizzato il settore estero, mercato e capitale, poi il mercato del lavoro, quindi il commercio insieme al sistema finanziario ed infine si è proceduto alla liberalizzazione dei servizi ed alla deregolamentazione dei monopoli di Stato.
La tutela della concorrenza è stata importante in tutte
le fasi della liberalizzazione, ma lo è stata ancor di più durante gli anni in cui si è cercato di aprire, praticamente, ogni
settore dell’economia.
Naturalmente, questo processo è andato di pari passo
con la crescente integrazione internazionale della Spagna,
con la firma degli accordi con il FMI ed il GATT per entrare
nel mercato comune e con l’atto di adesione all’Unione Europea, per finire con l’introduzione dell’euro quale moneta
unica dell’Unione.
Nel processo di trasformazione dell’economia spagnola si è assistito ad un cambiamento molto importante sotto
molti punti di vista: a partire dagli anni ’80 le politiche macro economiche erano di pari passo e importanza rispetto a
quelle microeconomiche ed in questo nuovo scenario, la tutela della concorrenza assume un ruolo centrale per il suc-
123
cesso delle politiche di offerta che si stavano sviluppando;
agli inizi degli anni ’90 viene avviato il processo di liberalizzazione e deregolamentazione di settori chiave
dell’economia, come le telecomunicazioni e l’energia elettrica ed è in questa fase che il lavoro del TDC inizia a guadagnare fiducia e ad assumere un’importanza centrale. I pareri e le relazioni del TDC sono fondamentali per il governo
al fine di decidere la liberalizzazione dei diversi settori o attività economiche, come fondamentali furono, per citare
qualche esempio, gli studi compiuti dallo stesso TDC sulla
distribuzione dei libri, sugli orari commerciali, sull’esercizio
delle libere professioni, sul territorio, sulle telecomunicazioni, sui trasporti e l’elettricità. Così come fu fondamentale
la supervisione del TDC, attraverso l’applicazione della
legge sulla concorrenza, dei comportamenti concorrenziali
posti in essere dagli operatori economici all’interno di un
quadro di smantellamento di ex monopoli o oligopoli come
era nel caso della telefonia, energia, acqua e trasporti.
In un conteso economico dinamico come quello che ha
caratterizzato il sistema spagnolo in questa fase ci sono stati
molti cambiamenti strutturali dei mercati, che hanno reso
necessario un’analisi costante dello stesso e delle sue dinamiche al fine di evitare lo sviluppo dell’offerta o della domanda di strutture che incoraggiavano comportamenti contrari alla libera concorrenza.
Queste, in sintesi, le linee principali del processo di liberalizzazione, deregolamentazione e privatizzazione
dell’economia spagnola, che soprattutto grazie all’apporto
ed agli strumenti a disposizione del Tribunal de Defensa de la
Competencia hanno unificato i livelli di reddito degli spagnoli con il resto degli Stati appartenenti all’UE.
In breve, l’ordinamento spagnolo con la legge del 1989
e fino al 2007 adotta un modello di concorrenza omologabile e verificabile a livello internazionale e che, come in altri
paesi sviluppati, risponde alla necessità di preservare il sistema concorrenziale.
Questo modello è completamente inserito nel sistema
europeo. Si tratta di un modello che, entro i limiti derivanti
dal suo campo di applicazione, si è proposto di fornire la
massima garanzia giuridica in diversi modi: trasparenza,
pubblicità delle decisioni e delle informazioni, istituzione di
124
una procedura dettagliata, obbligo di motivazione delle decisioni, possibilità per gli interessati di interagire con le istituzioni durante i procedimenti ed, infine, il diritto delle
parti di ricorrere avverso le decisioni adottate dinanzi alle
giurisdizioni competenti.
Facendo un passo avanti, nel 2004 è stato emanato il
R.D. 2295/04 sull’applicazione in Spagna delle regole di
concorrenza comunitarie, che adegua il precedente R.D
295/1998 sulla materia, al nuovo quadro legislativo comunitario delineato dal Regolamento 1/2003. Sulla base della
legge sulla concorrenza 16/1998, il nuovo R.D. conferisce
agli organismi statali garanti della concorrenza i poteri e gli
obblighi derivanti dalla legislazione comunitaria, in particolare l’obbligo di cooperare con la Commissione Europea,
con i giudici nazionali e con le Autorità nazionali garanti
della concorrenza di altri Stati membri, prevede la cooperazione con gli organi nazionali giudiziari e stabilisce le regole di procedura che disciplinano l’applicazione delle norme
comunitarie da parte delle Autorità nazionali.
Sempre nel 2004 è stato elaborato il Libro Bianco sulla
riforma del sistema spagnolo della concorrenza, presentato
ufficialmente il 20 gennaio 2005 dal secondo vice primo Ministro e dal Ministro dell’economia e degli affari finanziari.
Si tratta di un documento di discussione volto ad avviare la
revisione dell’allora vigente quadro legislativo e istituzionale in materia di concorrenza al fine di migliorare gli strumenti e le strutture di tutela della concorrenza in modo da
garantire un effettiva concorrenza nei marcati, il benessere
sociale e realizzare una efficiente allocazione delle risorse.
Il Libro Bianco propone varie misure di riforma
dell’assetto istituzionale dell’Autorità garante della concorrenza spagnola. Le misure prevedono, in particolare, una
maggiore indipendenza dell’autorità, l’accelerazione dei
procedimenti di ricorso avverso le decisioni della stessa, il
coordinamento con le autorità di regolamentazione del settore e l’applicazione diretta delle regole nazionali in materia
di concorrenza da parte dei giudici ordinari. Successivamente alla consultazione pubblica sono iniziati i lavori per
l’emanazione di una nuova legge di tutela della concorrenza, che apporta modifiche al sistema normativo e giudiziario spagnolo.
125
La nuova legge sulla concorrenza, la Ley de Defensa de
la Competencia n. 15/2007, si compone di cinque titoli che
disciplinano rispettivamente le questioni sostanziali, gli
aspetti istituzionali, la Comisión Nacional de la Competencia, le
questioni procedurali e il sistema sanzionatorio.
In primo titolo disciplina gli aspetti sostanziali dei tre
principali strumenti relativi alle pratiche restrittive in materia di concorrenza: i principi di controllo delle operazioni di
concentrazione ed il sistema di monitoraggio e proposta
degli aiuti pubblici. Per quanto attiene al primo capitolo,
che riguarda i comportamenti anticoncorrenziali, la legge
introduce tre modifiche: semplifica e chiarisce i diversi tipi
di violazione; in luogo del regime di autorizzazione dei singoli accordi anticoncorrenziali adotta quello di esenzione
legale, in linea con il modello comunitario chiarendo, contestualmente, gli effetti della stessa ed il trattamento delle
condotte c.d. “de minimis”.
Viene eliminato il riferimento all’abuso di dipendenza
economica, attualmente regolato dalla legge 13/1991 sulla
concorrenza sleale.
In connessione con la transizione al regime di esenzione legale, la legge esclude dal divieto gli accordi che
soddisfano determinati requisiti, in linea con quanto previsto dal diritto dell’Unione Europea. In sostanza, i divieti
non si applicano a quelle restrizioni della concorrenza proporzionali ai benefici che ne derivano in termini di efficienza nella distribuzione delle risorse e, quindi, di benessere
generale.
Il cambiamento del sistema è completato dalla scomparsa delle licenze individuali da parte dell’autorità di concorrenza e, quindi, dal passaggio ad un sistema di autovalutazione da parte delle imprese sulla riserva legale dei
propri accordi.
Al fine di rafforzare la certezza del diritto e, nonostante il riferimento alle norme comunitarie in materia di esenzione, la legge fa espresso riferimento al Regolamento comunitario in materia di esenzione legale per categorie, al fine di applicare il medesimo regime anche in ambito nazionale. Resta ferma la possibilità per il Governo spagnolo di
esentare dal divieto accordi che non pregiudicano il commercio tra gli Stati membri. Si fornisce anche un sistema on
126
line per la dichiarazione di inapplicabilità dei divieti a determinati comportamenti. Infine, si estende a tutti i tipi di
violazione l’esenzione dal divieto di comportamenti posti in
essere in applicazione di regolamenti aventi forza di legge
delle condotte c.d. “de minimis “che per la loro minore importanza non sono suscettibili di incidere in misura significativa sul gioco della concorrenza.
Il secondo titolo si occupa del quadro istituzionale. Il
primo capitolo, che riguarda gli organi amministrativi
competenti per l’attuazione della legge antitrust, apporta
una novità principale e cioè la creazione in ambito statale di
un’unica istituzione indipendente dal Governo: la Comisión
Nacional de la Competencia, che assorbe le competenze dei
soppressi Servicio e del Tribunal de Defensa de la Competencia.
La Comisión presenta una struttura piramidale incentrata sull’esistenza di due organi separati all’interno della
stessa, la Dirección de investigatión e il Consejo, i quali svolgono indipendentemente le loro funzioni di indagine e risoluzione, sotto la supervisione ed il coordinamento del Presidente, supportato a sua volta da una serie di uffici comuni.
Il secondo capitolo disciplina i meccanismi di coordinamento
degli
organi
amministrativi
coinvolti
nell’attuazione della legge, nonché quelli di coordinamento
degli stessi con le autorità di regolamentazione settoriali, al
fine di garantire la coerenza, l’efficienza nella distribuzione
delle risorse pubbliche e la certezza giuridica per gli operatori economici.
In ultima analisi, sono stabilite le linee guida dei rapporti tra i diversi organi che, naturalmente, potranno essere
completati da meccanismi informali, che è possibile stabilire
al fine di assicurare il necessario coordinamento nel quotidiano esercizio delle rispettive competenze. Inoltre, sono
istituiti sistemi di cooperazione con gli organi giurisdizionali nel processo di applicazione delle regole di concorrenza.
Il terzo titolo disciplina la Comisión Nacional de la Competencia, l’organo responsabile per l’attuazione della legge
antitrust, della promozione e della tutela di un’effettiva e libera concorrenza in tutti i settori del mercato nazionale. In
questo ambito, la legge si struttura in due capitoli: il primo
127
regola gli aspetti generali della CNC, mentre il secondo si
occupa degli organi di direzione. Per quanto riguarda gli
aspetti generali raccolti nel primo capitolo, la legge specifica
innanzitutto la natura giuridica ed il funzionamento della
nuova Commissione, stabilendo la sua composizione e le
risorse economiche di cui la stessa può fruire; in secondo
luogo vengono stabilite le funzioni, tanto di tipo istruttorio
quanto decisionale, prevedendo anche un sistema di promozione e consulenza ai fini dell’armonizzazione della concorrenza sui mercati.
Viene inclusa nel testo di legge anche una sezione dedicata alla responsabilità speciale ed al regime di trasparenza dell’attività della CNC, che prevede la pubblicità di tutte
le attività dell’autorità. Invece, per ciò che attiene gli organi,
sono due i principi che disciplinano il loro assetto:
l’autonomia di giudizio e l’indipendenza rispetto al governo nell’attività istruttoria e decisionale.
Questi principi devono essere, però, coniugati con la
necessità di coordinare adeguatamente le azioni degli organismi responsabili delle indagini, al fine di garantire
l’efficacia della politica di concorrenza come strumento di
politica economica. Pertanto, la legge specifica il sistema di
nomina e revoca e responsabilità dei componenti della
CNC, progettato per garantire la loro indipendenza nel
processo decisionale e quindi la totale indipendenza della
CNC da qualsiasi altro potere, preservando l’unità di azione e di coordinamento di tutti gli uffici e organi che sono
sotto la direzione del Presidente, il quale ricopre diverse
funzioni, tra le altre la guida di tutto il personale, la redazione di piani pluriennali di ispezione e la presidenza del
Consejo.
Il lavoro di applicazione delle sanzioni e di controllo
preventivo delle concentrazioni svolto dal Consejo si concentra nell’adozione di decisioni sulla base delle proposte
della Dirección de investigación. Nell’ambito delle condotte
restrittive della concorrenza, il Consiglio è competente tanto ad accordare l’archiviazione del procedimento, tanto ad
infliggere sanzioni per la violazione del divieto di porre in
essere comportamenti miranti a falsare il gioco della concorrenza, tanto ad imporre misure cautelari.
128
La fase istruttoria che vede come protagonista la Dirección de Investigación ha ad oggetto l’analisi e la trasmissione di fascicoli, la presentazione di proposte al Consiglio
e la coordinazione con altri organi.
Il quarto titolo della Ley 15/2007 disciplina le diverse
procedure in riferimento ai comportamenti vietati. In questo settore, la riforma è stata guidata dalla ricerca di un
maggior equilibrio tra i principi di certezza del diritto e di
efficienza amministrativa cosi da semplificare notevolmente
le procedure, tenendo nettamente separate quelle di istruzione da quelle decisorie. In questo modo si tenta di eliminare la potenziale duplicazione di attività e di ricorsi amministrativi agli atti posti in essere dall’autorità, in particolare avverso quelli di archiviazione della procedura.
Il primo capitolo contiene disposizioni comuni relative
alle procedure per l’accertamento delle intese restrittive della concorrenza, all’applicazione di misure cautelari e al controllo delle concentrazioni. In particolare, si tratta di regole
dettagliate riguardanti i termini di adozione delle decisioni,
le procedure speciali e i poteri conferiti alla CNC di raccolta
di informazioni, ispezione e vigilanza sull’esecuzione degli
obblighi derivanti dalla legge.
Il secondo capitolo disciplina la procedura sanzionatoria delle intese restrittive della concorrenza, che ha inizio
con fase istruttoria condotta dalla Dirección de Investigación,
nella quale vengono posti in essere tutti gli atti necessari alla delucidazione degli eventi e a garantire sia il contraddittorio, sia il diritto di difesa del denunciato; procede con la
redazione a cura della stessa Dirección de Investigación di una
relazione-proposta che viene trasmessa al Consejo, il quale
procede alla composizione della controversia adottando
all’esito la decisione. In linea con la legislazione comunitaria, la legge introduce la possibilità che la risoluzione del
Consejo imponga condizioni. A tal proposito si segnala la
flessibilità del regime di conclusione convenzionale del
procedimento, incentrato sula valutazione degli impegni
assunti dalla parte denunciata e attento alla negoziazione e
alla ricerca di un compromesso. In questi casi e sempre che
decisione stessa non possa essere adottata prima e senza la
necessità di ulteriori accordi integrativi, viene presentata al
Consiglio una proposta di compromesso e di decisione.
129
Per quanto attiene alle misure cautelari, la legge agevola il sistema al fine di garantire il raggiungimento di un
accordo, in qualsiasi momento del procedimento e senza la
fissazione di un termine o di una durata massima dello
stesso.
Il terzo capitolo riguarda la procedura di controllo
delle concentrazioni. In questo settore la legge mantiene
due fasi della procedura e riduce le scadenze che hanno caratterizzato il sistema spagnolo e assegna poteri di indagine
alla CNC. Nella prima fase della procedura, che dura al
massimo un mese, si procede all’analisi delle operazioni di
concentrazione, che vengono approvate se non presentano
problemi per la concorrenza, mentre nella seconda si realizza procede ad una verifica più dettagliata dell’operazione
permettendo la partecipazione di terzi interessati e facendo
si che Consiglio e Commissione adottino una decisione finale.
Nel procedimento innanzi alla CNC è prevista, a talune condizioni, la presentazione di impegni o compromessi da parte del notificante al fine di risolvere eventuali problemi derivanti dall’operazione e l’eventuale consultazione
delle parti interessate. In caso di decisione del Consiglio o
in caso di divieto o subordinazione a condizioni degli, il
Ministro delle finanze dispone di un termine di quindici
giorni per presentare la concentrazione al Consiglio dei Ministri affinché intervenga e decida definitivamente. In
quest’ultimo caso la decisione del Consiglio dei Ministri,
debitamente motivata, può autorizzare con o senza condizioni la concentrazione. Tale decisione dovrà essere adottata entro un mese dalla presentazione della richiesta, fatta
salva la possibilità di richiedere informazioni alla CNC, se
la stessa non abbia già provveduto ad inviare al Consiglio
dei Ministri informazioni circa eventuali problemi.
Infine, il quinto titolo disciplina il sistema sanzionatorio. In questo ambito la legge rappresenta un importante
sviluppo in termini di certezza del diritto perché realizza
una graduazione dei vari illeciti concorrenziali e chiarisce le
pene massime per ogni tipo di condotta, fissata in misura
percentuale al volume delle vendite dell’impresa autrice
dell’illecito. In linea con le attuali tendenze europee, sono
specificati i criteri secondo i quali si determina la sanzione
130
da infliggere nel caso concreto, accompagnati dalla previsione di un regime di pubblicità delle sanzioni inflitte in
applicazione della legge, che ha la funzione di deterrente
per le imprese operanti nello stesso mercato.
Ancora, la legge introduce una procedura di clemenza, simile a quella vigente in ambito comunitario, in base alla quale sono esonerate dal pagamento della multa le imprese che, avendo preso parte ad un cartello denunciano la
sua esistenza e forniscono elementi di prova utili ai fini
dell’istruttoria e del procedimento, sempre che cessino di
tenere la condotta illecita e non siano state gli istigatori degli altri membri dell’intesa vietata. Allo stesso modo,
l’importo dell’ammenda può essere ridotto per le imprese
che collaborano, ma che non rivestono i requisiti necessari
per l’esenzione totale.
La legge è completata da disposizioni transitorie, derogatorie e da disposizioni finali. In particolare le disposizioni supplementari introducono modifiche ad alcune norme sulla competenza e processuali, al fine di articolare correttamente l’applicazione privata delle regole sulla concorrenza da parte degli operatori commerciali e questo è uno
dei contributi principali della legge.
Così le prime disposizioni addizionali stabiliscono, in
applicazione della legge organica sul potere giudiziario,
(Ley Orgánica del Poder Judical) la competenza del Tribunal de
lo Mercantil nell’applicazione degli art. 1 e 2 della legge antitrust. Una seconda disposizione addizionale modifica la Ley
de Enjuiciamento civil (cpc) al fine di prevedere espressamente la partecipazioni degli organi nazionali e comunitari di
concorrenza come “amicus curiae” nel procedimento di applicazione della normativa antitrust di competenza dei giudici ordinari. Per permettere una cooperazione adeguata tra
gli organi amministrativi e giurisdizionali sono previsti vari
meccanismi di informazione.
Infine, si prevede la possibilità di sospendere il processo giurisdizionale in determinate circostanze, cioè quando il giudice ritiene necessario conoscere la decisione
dell’autorità amministrativa in applicazione delle norme
nazionali e comunitarie sulla concorrenza.
La settima disposizione addizionale modifica la L.
29/1998 del 13 luglio che disciplina la giurisdizione conten-
131
ziosa amministrativa, per chiarire il regime dei ricorsi avverso le decisioni degli organismi nazionali e regionali di
tutela della concorrenza e la proceduta di autorizzazione
legale per il caso in cui vi sia opposizione ad una ispezione
realizzata in applicazione della legge antitrust dalle medesime autorità.
Questa è in linee generali la disciplina di tutela della
concorrenza introdotta nell’ordinamento spagnolo e la sua
evoluzione.
132
CONCLUSIONI
Negli ordinamenti giuridici degli Stati appartenenti
all’Unione Europea, l’interesse dei consumatori e delle imprese ad agire all’interno di un sistema giuridico che garantisca una concorrenza non falsata tra gli operatori di mercato viene generalmente protetto in due modi167. In primo
luogo, un’agenzia pubblica o un’Autorità amministrativa
indipendente ha il compito di garantire almeno la contendibilità del mercato, investigando e punendo le condotte
degli operatori in grado di influenzare negativamente il “libero giuoco” della concorrenza (c.d. public enforcement168).
La seconda possibilità consiste nel proteggere tali situazioni
giuridiche soggettive attraverso l’ottenimento da parte dei
singoli di rimedi di carattere risarcitorio e di misure cautelari a contenuto inibitorio. Nel linguaggio anglosassone,
quest’ultima possibilità costituisce il nucleo del cosiddetto
private enforcement del diritto della concorrenza, stando a significare l’applicazione della normativa antitrust nelle cause
instaurate da soggetti giuridici di fronte ai giudici naziona 167
Sugli obiettivi delle politiche di concorrenza, si veda D.
EHLERMANN- LAUDATI , European Competition Law Annual 1997: objectives
of competition policy, Oxford, 1998. Sul versante statunitense, per la storia
e l’evoluzione del Federal Antitrust Policy si rimanda a R. PERIZ, Competition in America, 1888-1992, St. Paul, 1999. Infine G. AMATO, Il potere e
l’Antitrust, Bologna, 1998. Come più volte ricordato, in Italia
l’introduzione di una disciplina generale a tutela della concorrenza e
del mercato (Legge 10 ottobre 1990, n. 287) è avvenuta con notevole ritardo rispetto agli altri Stati Europei. Questo nonostante il dibattito fosse entrato nel vivo già nell’immediato dopoguerra. Si veda a questo
proposito A. SALVATORI-U. NIUTTA, La disciplina della libertà di concorrenza e di mercato, Milano, 1960, che raccoglie numerose proposte di legge antitrust degli anni cinquanta. Si veda anche V. DONATIVI, Introduzione della disciplina antitrust nel sistema legislativo italiano. Le premesse,
Milano, 1990. Secondo la maggior parte degli autori il ritardo sarebbe
da attribuire alla diffidenza in Italia verso un regime di effettiva concorrenza, che affonderebbe addirittura le sue radici nell’economia feudale,
la quale con la sua economia di autoconsumo, sarebbe l’antitesi del libero mercato;
168
Si veda analogamente T.A.R. Lazio, sent. N. 1713/2006, caso
Merck-Principi attivi;
133
li, al fine di tutelare situazioni giuridiche soggettive eventualmente lese169.
In alcuni ordinamenti giuridici stranieri il private enforcement non è previsto o non è mai stato utilizzato170. In altri,
al contrario, entrambi i rimedi sono stati resi ugualmente
disponibili. In tali casi, si è parlato di un “doppio binario”
di tutela171. Esiste poi una terza opzione, dove il private enforcement è attivabile solo successivamente all’esercizio del
potere sanzionatorio amministrativo (public enforcement).
L’intervento del giudice ordinario sarebbe in tale modello
limitato all’esigenza di far valere in giudizio diritti consequenziali alle decisioni dell’Autorità amministrativa. Al fine di distinguerla dalla precedente, si potrebbe definire tale
opzione come la formula del “doppio binario impuro”.
Attualmente, il dibattito sull’efficacia del private enforcement sta riscuotendo la massima attenzione delle istitu-
169
Il Reg. CE n. 1 del 2003 del Consiglio Europeo del 16 dicembre
del 2002 si riferisce alle Autorità giudiziarie nazionali chiamandole a
tutelare “i diritti soggettivi” garantiti dal diritto comunitario nelle controversie tra privati;
170
Si veda lo studio ASHURST, Study on the conditions of claims for
damages in case of infringement of EC competition rules – comparative report,
2004,
disponibile
sulla
pagina
web
http://ec.europa.eu/comm/competition/antitrust/others/actions_for
_damages/national_report/spain_en.pdf. Tale studio fa riferimento ai
casi instaurati fino al 2004. La situazione non sembra essere da allora
sensibilmente mutata. In tutti i 27 Stati Membri dell’Unione Europea,
nel periodo che va dal 2004 al 2007, non si registrano più di 200 casi
giudiziari in cui siano stati invocati gli articoli del Trattato CE posti a
tutela della libera concorrenza. Cfr. lo studio presentato alla Commissione Europea da A. RENDA, Making antitrust damages action more effective
in the EU: welfare impact and potential scenarios, 2008;
171
Tale espressione è stata largamente utilizzata in dottrina. Si
vedano tra gli altri M. TAVASSI-M. SCUFFI, Diritto processuale antitrust,
Milano, 1998, pag. 174; L.C. UBERTAZZI, Commentario alla Legge 10 ottobre
1990 n. 287, Padova, 2004, pag. 242; P. CASSINIS, P. FATTORI, Disciplina
antitrust, funzionamento del mercato e interessi dei consumatori, in I contratti, n. 4, 2001, pag. 418; P. AMICO, Intese e pratiche lesive della concorrenza:
alla ricerca di un modello europeo per le azioni di risarcimento danni, in I contratti, n. 4, 2005. Per una prima valutazione di tale forma di doppia tutela si veda fra gli altri V. MANGINI, G. OLIVIERI, Diritto antitrust, Torino,
2000, pag. 121;
134
zioni, degli operatori di mercato, nonché delle associazioni
rappresentative dei consumatori172.
Con l’introduzione di meccanismi procedurali in grado di facilitare lo sviluppo del private enforcement , un problema che potrebbe emergere con maggior frequenza nel
diritto della concorrenza non solo a livello comunitario, ma
anche dei singoli ordinamenti giuridici nazionali, consiste
nella possibilità che una stessa condotta diventi oggetto di
una serie di sindacati multipli, non necessariamente simultanei.
Può accadere in primo luogo che durante il decorso
dell’istruttoria da parte delle competenti Autorità pubbliche, o anche nelle more dell’impugnazione del provvedimento finale innanzi agli organismi deputati a tale sindacato, siano instaurati procedimenti giudiziari ordinari riguardanti identiche questioni di diritto e di fatto.
Le Corti d’Appello italiane hanno avuto modo di chiarire come il giudizio civile sia assolutamente indipendente
rispetto a quello svolto dall’Autorità173. Si è sostenuto come
la giurisdizione del giudice ordinario prescinda
dall’esistenza o meno di un provvedimento dell’Autorità
Garante e dall’impugnazione del medesimo, sottolineandosi l’ininfluenza sulla competenza della Corte d’Appello di
parallele iniziative assunte presso altre Autorità amministrative, attesa la intrinseca diversità delle azioni fatte valere nelle diverse sedi e la conseguente diversità di tutela che
dal loro accoglimento deriverebbe174. Si deve notare, però,
come tale impostazione di principio sia contraddetta dai
fatti in quanto, ad oggi, è accaduto in un solo caso che il
giudice civile si sia discostato dall’accertamento dell’illecito
172
Si vedano le numerose osservazioni pervenute sul sito della
Commissione Europea dove è stato pubblicato il Green paper on damages
actions for beach of the EC Antitrust rules, oggi disponibile alla pagina
web
http://ec.europa.eu/comm./competition/antitrust/others/action_for_
damages/index_en.hatml.
173
Cfr. Corte d'Appello di Milano, Telsystem c. SIP, 18 luglio 1995,
in Foro it., 1996 , I, pag. 276;
174
Cfr. Corte d’Appello di Milano, ord. 25 settembre 1995, Sanguinetti c. Ania, in Dir. Ind., 1996, pag. 304; Corte d’Appello di Milano,
ord. 24 aprile- 15 maggio 1996, Auvhan c. Faid;
135
così come compiuto dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato175.
Ciò è avvenuto nonostante il parere espresso da parte
della dottrina, la quale partendo dal presupposto che non
esisterebbe una completa indipendenza tra la forma di tutela pubblica e quella apprestata dal giudice ordinario, ha affermato che se i fatti su cui si è pronunciata l’Autorità coincidono con quelli posti dall’attore a fondamento della sua
domanda, la qualificazione che della fattispecie ha dato
l’Autorità sarebbe da considerarsi in linea di principio vincolante in sede di giudizio ordinario176. Tale convincimento
potrebbe fondarsi sulla circostanza che la qualificazione
della fattispecie data dall’Autorità contenga apprezzamenti
tecnico-discrezionali in ordine alla compatibilità o meno dei
comportamenti di cui si tratta con i principi della libertà di
concorrenza; apprezzamenti che sono stati posti in essere
dall’Autorità appositamente creata dall’ordinamento a tale
scopo. I sostenitori di questa tesi escludono, tuttavia, un
obbligo di sospensione del processo ex art. 295 c.p.c., attesa
l’assenza di pregiudizialità amministrativa in senso tecnico.
In sostanza, un potere di disapplicazione dovrebbe essere escluso nei casi in cui il provvedimento amministrativo
sia costitutivo del diritto fatto valere in giudizio. Ovviamente, viene precisato come ciò dovrebbe valere solo nei
casi in cui il provvedimento non sia stato impugnato o non
siano esauriti i mezzi di impugnazione177.
Alcune soluzioni intermedie sono state ravvisate nella
possibilità che l’accertamento definitivo dell’illiceità della
175
Si è trattato di un caso relativo ad un boicottaggio collettivo,
tramite un’attività di lobbyng: cnf. Corte d’Appello di Milano, ord. 13
luglio 1998, Tramplast c. Macplast e altri. Al contrario nelle azioni risarcitorie o restitutorie conseguenti all’illecito amministrativo, non è mai stato messo in discussione dai giudici aditi il carattere illecito dell’intesa
stipulata. E. SALOMONE, Il risarcimento del danno da illeciti antitrust: profili
di tutela interna e comunitaria, in Riv. Trim. Proc. civ., 2007, nota 5, pag. 57;
176
M. LIBERTINI, cit., pag. 659; M. MELI, cit., pag. 140; A. TOFFOLETTO, cit., pag. 58.
177
M. MELI, cit., pag. 144, la quale si riferisce all’analisi fatta da R.
VILLATA, Disapplicazione dei provvedimenti amministrativi e processo penale,
Milano, 1980, pag. 78 e ss. ; G. MAZZA, La tutela civile: profili processuali,
in Diritto Antitrust italiano, a cura di FRIGNANI-PARDOLESI-PATRONI
GRIFFI e UBERTAZZI, Bologna, 1993, pag. 1476.
136
condotta abbia un’efficacia rafforzata, quasi vincolante, così
che la sentenza per non essere ritenuta viziata dovrà essere
sul punto almeno adeguatamente motivata. Si è anche proposto che l’accertamento in sede amministrativa determini
un’inversione dell’onere della prova e che spetterà al convenuto superare tale presunzione all’interno del giudizio
ordinario di seguito. Ora, sebbene queste soluzioni possano
ritenersi maggiormente in linea con il principio
dell’indipendenza del sindacato giurisprudenziale, è tuttavia da notare come lascino integra la possibilità che si realizzi una sostanziale duplicazione delle decisioni.
Al fine di ovviare a questa eventualità un aiuto dovrebbe allora venire dall’utilizzo da parte dei giudici nazionali del meccanismo di cui all’art. 295 c.p.c., anche se,
all’infuori dei casi in cui penda il giudizio di impugnazione
innanzi al giudice amministrativo, non si potrà fare riferimento ad un rapporto di pregiudizialità in senso tecnico tra
i due procedimenti, stante il permanere della natura amministrativa del procedimento di indagine condotto
dall’Autorità Garante178. Diverso è ovviamente il caso in cui
l’Autorità abbia emanato un provvedimento di condanna e
le parti non abbiano più la possibilità di impugnarlo.
Peraltro, è da notare come l’impostazione data dalle
Corti d’Appello trova il proprio limite nel quadro delineato
dal Regolamento (CE) n. 1 del 2003 e nella correlativa
178
M. LIBERTINI, cit., pag. 675, ha escluso tale possibilità ritenendo
che si possa parlare di pregiudizialità in senso tecnico, proprio perché
l’Autorità Garante non è un giudice che debba risolvere una questione
pregiudiziale. Cfr. al riguardo la sentenza della Corte di Cassazione
SS.UU. del 12 dicembre 1995, n. 12720, la quale precisa come non costituisca ostacolo all’applicazione dell’istituto il fatto che manchi nel testo
il riferimento ad una pregiudiziale controversia amministrativa, presente invece nella precedente formulazione. propende invece per la sospensione da parte del Giudice Ordinario di ogni pronuncia in attesa
della decisione dell’Autorità Garante, anche se in tema di abuso di posizione dominante, C. SELVAGGI, Disciplina della concorrenza e del mercato: problemi di giurisdizione e competenza, in Riv. Dir. Comm. , pag. 128,
1993. Cosi anche C. ALESSI-G. OLIVIERI, La disciplina della concorrenza e
del mercato, in Quaderni di diritto commerciale europeo, Torino, 1991, pag.
172. Rimarrebbe comunque la possibilità della sospensione concordata
ex art. 296 c.p.c. e del rinvio consensuale in attesa dell’esito amministrativo.
137
espansione dei casi in cui l’Autorità nazionale si è trovata
competente nell’applicare le norme di cui all’art. 101 e 102
del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (ex
artt. 81 e 82 TCE). Laddove i giudici ordinari si trovino a
decidere su richieste risarcitorie consequenziali ai provvedimenti presi dall’Autorità nazionale ai sensi dell’art. 101
TFUE, questi ultimi avranno efficacia vincolante ai sensi
dell’art. 16, 1° comma, del Regolamento CE n. 1 del 2003.
L’articolo 16, comma primo, del Regolamento CE n. 1
del 2003, sulla scorta di un noto orientamento della Corte di
Giustizia179, ha previsto che, quando i giudici nazionali si
pronunciano su accordi, decisioni e pratiche concordate, ai
sensi dell’articolo 101 o 102 del TFUE, già oggetto di una
decisione della Commissione Europea, questi non possano
prendere provvedimenti che siano in contrasto con la decisione adottata dalla Commissione. Essi devono evitare soluzioni non in linea con una decisione contemplata dalla
Commissione in procedimenti da essa avviati.
Una parte autorevole della dottrina ha anche sostenuto che le decisioni positive di inapplicabilità degli articoli
101 e 102 del TFUE, adottate ex art. 10 Reg. CE 1/2003, rappresenterebbero un vincolo per i giudici che si trovino a valutare la stessa condotta oggetto di tali decisioni. In entrambi i casi si è sostenuto che la diminuzione dei margini
di autonomia dei Giudici nazionali sarebbe parzialmente
compensata dalla possibilità di poter comunque attivare il
179
Peraltro il fatto che l’accertamento amministrativo della violazione possa avere una qualche efficacia vincolante nel procedimento
giudiziario ordinario non inficia in alcun modo la possibilità per le Corti di riferire la questione circa la validità della decisione alla Corte di
Giustizia, ai sensi dell’art. 234 del Trattato UE. Cnf. Corte UE, 18 febbraio 1991, causa 28 febbraio 1991, C-23489, in Racc., p.I-935, punto 47. È
la c.d. dottrina Masterfoods, che trae origine dalla sentenza della Corte di
Giustizia, la quale ha affermato il principio secondo cui i tribunali nazionali non devono mai trovarsi nella posizione di giungere ad una decisione contrastante con la posizione adottata dalla Commissione al fine
di rendere effettivamente possibile il raggiungimento degli obiettivi
comunitari in materia di concorrenza (Corte di Giustizia UE, sentenza
14 dicembre 2000, causa C-344/98)
138
meccanismo del rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia180.
Alcuni ordinamenti giuridici comunitari hanno adottato disposizioni analoghe relativamente alle decisioni delle
loro singole Autorità nazionali181. E’ il caso, ad esempio del
Regno Unito, dove le sezioni 18 e 20 dell’Enterprise Act prevedono che le Corti nazionali siano vincolate quanto
all’accertamento dei fatti dai provvedimenti dell’Office of
Fair Trading (OFT) e dalle sentenze di appello prese su tali
decisioni dal Competition Appeal Tribunal182. In altri ordinamenti giuridici si è arrivati poi ad estendere l’effetto vincolante anche alle decisioni di tutte le Autorità Garanti della
Concorrenza degli Stati membri. Si fa riferimento, in particolare, all’art. 33, comma 4, del GWB tedesco.
Differente è ovviamente la questione se la sentenza
dell’Autorità giudiziaria ordinaria possa vincolare in qualche modo l’Autorità Garante chiamata a sanzionare eventualmente lo stesso comportamento anticompetitivo, in
quanto è ovvio che il giudicato farà stato soltanto tra le parti, indipendentemente dall’accertamento dell’illiceità o meno della condotta. L’Autorità, avvalendosi di personale
specializzato, ha sicuramente i mezzi migliori per poter liberamente ripercorrere e approfondire le valutazioni già effettuate dal Giudice ordinario.
A ben vedere, una coerente applicazione del diritto
antitrust potrebbe essere facilitata anche attraverso il mag 180
M. TAVASSI, Which role for national courts in competition protection?, atti del VI convegno UAE-LIDC-Antitrust between EC and Nationl Law, Treviso, maggio 2004, ed. 2005, pag. 88. Sulla possibilità di
esperire il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia si veda G. MUSCOLO, Poteri e garanzie nel diritto antitrust, l’esperienza italiana nel sistema della modernizzazione, documento disponibile alla seguente pagina web
http://www.assonime.it/assonime/pubblicazione/pub_notestudi_A.n
sf/118.pdf, 2007. Si è però sottolineato come tale disposizione debba essere interpretata bilanciando il principio del primato del diritto europeo
con quello della indipendenza del giudice.
181
Corte UE, 14 dicembre 2000, causa C-344/98, in Racc, p. I11369, punto 2.
182
Per una ricognizione dei casi in cui si è dibattuto circa la portata delle disposizioni normative si veda B. RODGER, Competition Law Litigation in the UK Courts: A Study of All Cases to 2004- Part III, ECLR, 2006,
pag. 341.
139
gior ricorso, anche per le fattispecie di rilevanza nazionale,
al meccanismo previsto dall’art. 15 Reg. CE 1/2003. Esso
prevede che la Commissione sia tenuta a fornire assistenza
ai giudici nazionali che ne facciano richiesta in relazione a
giudizi aventi ad oggetto questioni sussumibili all’interno
degli articoli 101 e 102 TFUE. Tale assistenza può consistere
non solo nello scambio di informazioni, ma anche nel rilascio di pareri in merito a questioni inerenti l’applicazione
del diritto antitrust comunitario. Tuttavia, i giudici nazionali si sono dimostrati restii al ricorso a tali meccanismi. Parimenti inutilizzato è il meccanismo dell’amicus curiae attraverso il quale la Commissione Europea potrebbe formulare
di propria iniziativa osservazioni alle giurisdizioni nazionali (art. 15.3 Reg. CE 1/2003) al fine di garantire una coerente
applicazione degli articoli 101 e 102 TFUE. Ora, nonostante
il sotto-utilizzo del modello appena descritto, potrebbe ritenersi opportuno estendere l’applicazione di tali meccanismi
all’ordinamento giuridico nazionale. In effetti, in un’ottica
di sistema, i vantaggi sostanziali che essi sono in grado di
determinare in termini di diminuzione di possibili contrasti
giurisprudenziali sono sicuramente superiori a costi che
l’introduzione di disposizioni normative di tale genere
comporta.
Ciò posto, la giurisprudenza respinge la tesi, a torto o
a ragione, cosiddetta della pregiudizialità amministrativa,
in forza della quale l’intervento del giudice ordinario per
l’applicazione delle sanzioni civili sarebbe configurabile solo come un intervento di secondo grado dopo
l’accertamento da parte dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato dell’infrazione suscettibile di produrre
effetti in campo civilistico o sotto il profilo della nullità della manifestazione di autonomia negoziale con la quale
l’infrazione fosse stata realizzata, oppure sotto il profilo della risarcimento del danno arrecato mediante il compimento
dell’infrazione stessa. Applicando la teoria della pregiudiziale amministrativa verrebbe di fatto sottratto ai giudici
ordinari il potere di autonomo accertamento dell’illecito di
diritto antitrust e sarebbe stato conferito loro unicamente il
potere di applicare le sanzioni civili sul presupposto, vincolante, della accertata violazione già suscettibile di per sé
delle sanzioni amministrative applicate dall’Autorità Ga-
140
rante a tutela dell’interesse pubblico e della collettività al
funzionamento del mercato concorrenziale. Il rifiuto della
teoria della pregiudiziale amministrativa si traduce
nell’accoglimento dell’opposta teoria del cosiddetto doppio
binario, in funzione della quale la violazione del diritto antitrust viene configurato come plurioffensivo, e come tale distintamente represso dall’Autorità garante della Concorrenza e del Mercato per la lesione dell’interesse pubblico,
con la proiezione giurisdizionale rimessa agli organi della
giustizia amministrativa (Tar Lazio e Consiglio di Stato), e
dal giudice ordinario per la violazione dell’interesse individuale del soggetto singolarmente leso mediante
l’applicazione delle sanzioni civili sia in via ordinaria, sia in
via cautelare. La teoria del doppio binario configura i due
sistemi di repressione come cumulabili e reciprocamente
concorrenti, fermo restando, ovviamente, che l’esperimento
della
via
amministrativa
attraverso
l’attivazione
dell’AGCM e della via giudiziaria attraverso l’attivazione
del giudice ordinario dipende dalla fattispecie di infrazione
azionabile.
Il rifiuto, da parte della giurisprudenza, della teoria
della pregiudiziale amministrativa e la conseguente applicazione della tesi del doppio binario hanno comportato
l’ulteriore conseguenza di un’interpretazione estensiva del
citato articolo 33 della legge antitrust che, sempre secondo
l’indirizzo giurisprudenziale maggioritario, si riferisce alle
sanzioni civili della nullità e del risarcimento del danno. Secondo un’interpretazione, rigorosamente letterale, queste
due sono le uniche sanzioni applicabili dal giudice civile.
Secondo altra interpretazione, la norma di cui all’articolo 33
si riferisce alle due menzionate sanzioni per indicare realtà,
sia pure in modo sintetico, l’intero apparato sanzionatorio
applicabile nella materia degli illeciti anticoncorrenziali, e
così in primo luogo per indicare la sanzione inibitoria che
di tale apparato costituisce certamente l’espressione più saliente. Nello stesso modo vengono considerate applicabili
da parte del giudice ordinario anche le sanzioni civili dirette alla rimozione degli effetti pregiudizievoli causati mediante la violazione del diritto antitrust.
Ora, alla luce della riforma del, più volte richiamato,
secondo comma, dell’articolo 33 della legge antitrust nazio-
141
nale, sembra, quanto meno, essere risolto il problema derivante dalla competenza in unico grado della Corte di Appello.
Invero, quanto alla competenza in unico grado della
Corte di Appello può affermarsi che questa comportava un
grave inconveniente in relazione al fatto che l’esercizio
dell’azione civile avrebbe potuto configurarsi sia come
proiezione dell’illecito di diritto antitrust, sia come atto di
concorrenza sleale, in applicazione dell’art. 2598 cod. civ.
Per essere chiari, può tornare utile l’esempio di un
patto di boicottaggio. Ora, il patto di boicottaggio può essere configurato sia come atto di concorrenza sleale, sia come
intesa restrittiva della concorrenza, sicché l’esercizio cumulativo delle due azioni è reso problematico dal fatto che
mentre l’azione di concorrenza sleale è di competenza del
Tribunale, l’azione civile volta alla dichiarazione di nullità
di un’intesa restrittiva della concorrenza è di competenza
della Corte di Appello.
Ora, ai sensi dell’articolo 40 c.p.c. (e prima dell’entrata
in funzione delle nuove sezioni specializzate in materia di
impresa), che disciplina la riunione delle cause per connessione, considerando anche il caso in cui si tratta di cause rispetto alle quali sono competenti autorità giudiziarie diverse e talvolta sono persino applicabili riti diversi, il simultaneus processus sembra teorizzabile, come principio generale
applicabile estensivamente o addirittura analogicamente, in
tutte le ipotesi in cui tale applicazione giovi all’economia
processuale e ad evitare rischi di giudicati contrastanti: di
guisa che, se così fosse, si potrebbe pervenire alla soluzione
di applicare anche nel caso considerato il meccanismo di
riunione diretto a garantire il simultaneus processus fra la
causa di concorrenza sleale e la causa civile di diritto antitrust e, in tal caso, sicuramente con prevalenza della competenza del Tribunale, quale espressione della competenza e
del rito ordinario rispetto alla competenza speciale della
Corte di Appello.
Queste considerazioni, tuttavia, possono ritenersi ormai superate con l’entrata in funzione delle nuove sezioni
specializzate alle quali vengono devolute le controversie in
materia di concorrenza sleale, oltre che quelle in antitrust.
Conseguentemente, il problema, almeno sotto questo punto
142
di vista appare risolto, venendo meno, con l’istituzione delle sezioni specializzate presso ciascun tribunale ordinario,
la competenza della Corte di Appello.
Sotto il diverso profilo della possibilità di decisioni in
contrasto assunte da un lato dall’Autorità Garante della
Concorrenza e del Mercato, in relazione alla dichiarazione
di liceità o illiceità (con conseguente possibilità di rilascio
dell’autorizzazione in deroga) delle intese restrittive della
concorrenza e dall’altro della dichiarazione di nullità delle
stesse da parte del giudice ordinario (anche facente parte
delle nuove sezioni specializzate) il problema sembra permanere, cosi come non sembra potersi sopire il dibattito circa la necessaria (o meno) pregiudizialità delle decisioni
dell’autorità amministrativa rispetto all’intervento del giudice ordinario, che dovrebbe essere destinato a dare efficacia in ambito civilistico, e cioè anche nei rapporti tra soggetti privati, delle decisioni cui perviene l’Autorità amministrativa. Invero, un intervento pregiudiziale dell’Autorità
amministrativa indipendente, anche nelle vesti di amicus curiae (parallelamente alle funzioni svolte dalla speculate autorità antitrust a livello europeo, e cioè la Commissione) si
palesa come necessario ai fini, anche, di un più celere processo di accertamento e valutazione delle illiceità, conseguentemente della nullità, delle intese restrittive della concorrenza.
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-­‐ A. SCODITTI, Il consumatore e l’antitrust , in Foro it., 2003,
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-­‐ M. SCUFFI, M. TAVASSI, Diritto processuale antitrust,
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-­‐ C. SELVAGGI, Abuso di posizione dominante, in Foro it.,
1992, IV, col. 128;
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C. SELVAGGI, Disciplina della concorrenza e del mercato:
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problemi di giurisdizione e competenza, in Riv. Dir. Comm.,
1993, p. 243;
-­‐ M. TAMPONI, La disciplina del contratto di subfornitura
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-­‐ M. TAVASSI e M. SCUFFI, Diritto processuale antitrust,
Milano, 1998.
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Milano, 1972, p. 595;
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156;
-­‐ A. TRABUCCHI, Il codice civile di fronte alla normativa comunitaria, in Riv. dir. civ., 1993, I, p. 703;
-­‐ L. C. UBERTAZZI, Commentario alla Legge 10 ottobre 1990
n. 287, Padova, 2004;
-­‐ G. VETTORI, Anomalie e tutele nei rapporti di distribuzione
tra imprese, Milano, 1993;
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parziale, in La libertà di concorrenza, Milano, 1970.
158
INDICE BIBLIOGRAFICO DELLE SENTENZE E DEI
PROVVEDIMENTI
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-­‐ CORTE DI GIUSTIZIA EUROPEA, sentenza 8 luglio
1999, Montecatini SpA vs Commissione, C-235/92P, in Racc.;
-­‐ CORTE DI GIUSTIZIA EUROPEA, sentenza 8 luglio
1999, Commissione/Anic Partecipazioni SpA, C-49/92P, in
Racc., p. I-4125;
-­‐ CORTE DI GIUSTIZIA EUROPEA, sentenza 28 maggio
1998, New Holland Ford, C-7/95, in Racc. p. I-3111;
-­‐ CORTE DI GIUSTIZIA EUROPEA, sentenza 25 ottobre
1997, Metro vs Commissione, C-26/76, in Racc., p. I-1875,
punto 21;
-­‐ CORTE DI GIUSTIZIA EUROPEA, sentenza 12 dicembre
1995, Oude Luittikuis e a., C-339/93, in Racc.;
-­‐ CORTE DI GIUSTIZIA EUROPEA, sentenza 15 dicembre
1994, Gottrup Klim e a.I, C- 250/92, in Racc., p. I- 5641;
-­‐ CORTE DI GIUSTIZIA EUROPEA, sentenza 19 gennaio
1994, SAT/Eurocontrol, C-364/92, in Racc., p. I-43;
-­‐ CORTE DI GIUSTIZIA EUROPEA, sentenza 18 giugno
1991, Hofner and Elser/Macrotron Gmb, C-41/90, in Racc. p. I1979, punto 21;
-­‐ CORTE DI GIUSTIZIA EUROPEA, sentenza 19 marzo
1991, Francia vs Commissione causa C-202/88, in Racc., p. I1223, punto 22;
-­‐ CORTE DI GIUSTIZIA EUROPEA, sentenza 28 febbraio
1991, Delimitis, C-234/88, in Racc., p. I-935,
159
-­‐ CORTE DI GIUSTIZIA EUROPEA, sentenza 11 gennaio
1990, Sandoz, C-227/87, in Racc. p. I-45;
-­‐ CORTE DI GIUSTIZIA EUROPEA, sentenza 1° ottobre
1987, Vlaamse Reisbureaus, in Racc., p. 3810, punti 23-24;
-­‐ CORTE DI GIUSTIZIA EUROPEA, sentenza 22 ottobre
1986, Metro vs Commissione, in Racc., punto I-3021;
-­‐ CORTE DI GIUSTIZIA EUROPEA, sentenza 14 dicembre
1986, Société de vente et Bétons, C 319-82, in Racc., p. 4173;
-­‐ CORTE di GIUSTIZIA EUROPEA, sentenza 10 gennaio
1985, Leclerc, in Racc., p. 1;
-­‐ CORTE DI GIUSTIZIA EUROPEA, sentenza 25 ottobre
1977, Metro-SB vs. Commissione, C-26/76, in Racc. p. I-1875,
punto 20;
-­‐ CORTE DI GIUSTIZIA EUROPEA, sentenza 16 dicembre
1975, SuikerUnie UA, C-40/73, in Racc., p.1663;
-­‐ CORTE DI GIUSTIZIA EUROPEA, sentenza 6 febbraio
1973, Brasserie de Haecht C 48-72, in Racc., 1973, p. 77;
-­‐ CORTE DI GIUSTIZIA EUROPEA, sentenza 25 novembre 1971, Béguelin, C 22-71, in Racc., p. 949,
-­‐ CORTE DI GIUSTIZIA EUROPEA, 30 giugno, 1966, Société Technique Minière/Maschinenbau Ulm GmbH, C-56/65, in
Racc., p. I-235;
-­‐ CORTE DI GIUSTIZIA EUROPEA, sentenza 13 luglio
1966, Consten and Gruding vs Commissione CE, c-56 e 58/64,
Racc. p. I-299;
-­‐ COMMISSIONE EUROPEA, Comunicazione della Commissione sugli orientamenti relativi alla valutazione delle concentrazioni orizzontali ,in GUCE, 2004, C-31/03, punto 74;
160
-­‐ COMMISSIONE EUROPEA, Comunicazione della
Commissione, Linee Direttrici sull’applicazione dell’art. 81, paragrafo 3, del Trattato, 2004/C 101/08, in Gazzetta Ufficiale
dell’Unione, 27 aprile 2004, pp. 97-118, punto 3.2;
-­‐ COMMISSIONE EUROPEA, Applicazione degli art. 85 e 86
del Trattato CE da parte delle giurisdizioni nazionali degli Stati
Membri, in COM, 1999, 101, Bruxelles;
-­‐ COMMISSIONE EUROPEA, Comunicazione della Commissione sulla definizione del mercato rilevante ai fini
dell’applicazione del diritto comunitario in materia di concorrenza, in GUCE, 1997, C 372/03;
-­‐ COMMISSIONE
EUROPEA,
29
marzo
HOV/SVZ/MCN, in GUCE, 1994, L. 104/34;
1994,
-­‐ COMMISSIONE EUROPEA, 9 dicembre 1990, Solvay, in
GUCE, 1991, L. 152/91;
-­‐ COMMISSIONE EUROPEA, Dodicesima relazione sulla politica della concorrenza, Lussemburgo, 1983;
-­‐ TRIBUNALE DI PRIMO GRADO, sentenza 18 settembre
1992, Atlantic Container, T-24/90, in Racc., p. II-2223;
-­‐ TRIBUNALE DI PRIMO GRADO, sentenza 28 febbraio
2002, Automec, T-395/94, in Racc., p. II-2893;
-­‐ TRIBUNALE DI PRIMO GRADO, sentenza 28 febbraio
2002, Atlantic Container Line e a. vs Commissione delle comunità europee, T- 395/94, in Racc., p. 875, punto 330,
-­‐ CORTE DI CASSAZIONE, sez. III, sentenza 6 giugno
2003, n. 9384,
-­‐ CORTE DI CASSAZIONE, sentenza 9 dicembre 2002, n.
17475, in Giur. comm., 1999;
161
-­‐ CORTE DI CASSAZIONE, sez. I, sentenza 1999, n. 827,
in Giur. comm., 1999, II, p. 233;
-­‐ CORTE DI CASSAZIONE, sez. III, ordinanza n.
15538/2003, in Giur. comm., 2003;
-­‐ CORTE DI CASSAZIONE, sez. Unite, sentenza 14 febbraio 2005, n. 2207, in Riv. dir. ind., II, 2006, p. 242 ss;
-­‐ TRIBUNALE DI ROMA, sentenza 20 febbraio 1997, in
Giur. Comm., 1999, II, 449;
-­‐ TRIBUNALE DI MILANO, sentenza 13 marzo 1995, in
Giur. Comm., 1987, p. 439;
-­‐ TRIBUNALE DI ALBA, sentenza 12 gennaio 1995, in
Giur. It, 1996, I, 2, 212;
-­‐ CONSIGLIO DI STATO, sez. VI, sentenza 2 marzo 2004,
n. 926;
-­‐ CONSIGLIO DI STATO, sez. VI, sentenza 30 agosto 2002,
n. 4362;
-­‐ CONSIGLIO DI STATO, sez. VI, n. 2199/2002;
-­‐ CONSIGLIO DI STATO, sez. VI, 20 marzo 2001, n. 1671;
-­‐ CONSIGLIO DI STATO, sez. VI, sentenza 2 marzo 2001
n. 1189, punto 4.6;
-­‐ CONSIGLIO DI STATO, sentenza 30 dicembre 1996, n.
1792;
-­‐ TAR Lazio, I, 27 Agosto 2002, n. 7444;
-­‐ TAR Lazio, 14 gennaio 2000, n. 103;
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162
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-­‐ AGCM, 13 giugno 2002, Pellegrini-Consip, in Boll. , n.
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-­‐ AGCM, 26 luglio 2001, Accordo Distributori ed Esercenti
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-­‐ AGCM, 13 luglio 2000, Consorzio Industrie fiammiferi, in
Boll. N. 28/2000;
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1999;
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-­‐ AGCM, Tucano franchising, provv. I, n. 270, 13 novembre
1997, in Boll., n. 46/97;
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Italiana, in Boll. n. 49/1997;
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-­‐ AGCM, 13 ottobre 1993, Banca di Roma/Ina, in Boll. , n. 8
del 1994;
163
-­‐ AGCM, 8 giugno 1994, Assicurazioni Rischi di Massa, in
Boll. n. 23/94, punto 52;
-­‐ BANCA D’ITALIA, Provv. 2 dicembre 1994, n. 12, in
Banca e borsa, 1995, II, 393;
-­‐ TRIBUNAL DE DEFENSA DE LA COMPETENCIA, Resoluciones de Expedientes Sancionadores de 1993 a 2005;
-­‐ SERVICIO DE DEFENSA DE LA COMPETENCIA, Memoria 2005;
164