Biodiversità - i save my planet
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PANORAMICA SULLA BIODIVERSITÀ (2010 ANNO DELLA BIODIVERSITÀ; DARWIN 200 SPECIAL) E SUOI RISVOLTI INERENTI LA SALUTE UMANA a cura di Alessandra De Santis A.A.2010-2011 La Biodiversità. L’utilizzo del termine “Biodiversità”, forma contratta derivante da “diversità biologica” e introdotto da W.G. Rosen nel 1988, prende piede intorno alla metà degli anni Ottanta come nuovo concetto ecologico. L’esigenza di salvaguardare la diversità delle specie viventi sul nostro pianeta è aumentata nel corso degli anni di pari passo alla conoscenza collettiva sulla scienza e sull’evoluzione. Tale concetto ha acceso numerosi dibattiti a livello mondiale e nel 2010, in occasione dei 200 anni dalla nascita di Charles Darwin, è stato istituito l’Anno Internazionale della Biodiversità. La biodiversità è la diversità della vita e la diversità della vita è a sua volta scindibile in tre sottolivelli: - diversità degli ecosistemi (ambienti naturali quali acque, boschi, spazio alpino); - diversità delle specie (animali, piante, funghi, microrganismi); - diversità del patrimonio genetico (razze o varietà di specie selvatiche e domestiche). Un quarto livello è costituito dalla biodiversità funzionale, ovvero dalla diversità delle interazioni che si esplicano all’interno e fra i tre livelli. In accordo con la definizione riportata nell’articolo 2 della Convenzione sulla Diversità Biologica (CBD, Convention on biological diversity; entrata in vigore il 29 dicembre 1993): la variabilità degli organismi viventi di ogni origine, compresi inter alia gli ecosistemi terrestri, marini ed altri ecosistemi acquatici e i complessi ecologici di cui fanno parte: ciò include la diversità nell’ambito delle specie e tra le specie e la diversità degli ecosistemi. Da questa concezione deriva un fatto che spesso non è chiaro, ovvero la profonda interrelazione ed interdipendenza che esiste tra settori e livelli diversi o più semplicemente tra tutti gli esseri viventi che costituiscono la biosfera. 1 Questa si è originata con l’inizio stesso della vita sul nostro pianeta quasi quattro miliardi di anni fa. La possibilità della vita sulla Terra è quindi una costruzione unica ed integrata di cui noi stessi come specie facciamo parte, pur essendo gli ultimi arrivati, e come tale dovrebbe sempre venire considerata. Attualmente il numero di specie conosciute varia tra 1,7 ed 1,8 milioni. Secondo l’ecologo Robert May le specie descritte sono 1,5 milioni mentre il numero totale di specie viventi potrebbe essere di 6,8 milioni. Secondo Hammond (1992) la stima delle specie viventi totali va da 3 a 100 milioni, con un range plausibile tra i 5 e i 15 milioni, mentre la stima ritenuta più probabile `e quella di 7 milioni. Perciò le nostre conoscenze sulla biodiversità sono ancora assai limitate ma, nel frattempo, la biodiversità sta scomparendo ancor prima di essere conosciuta del tutto; la nostra infatti è un’epoca di estinzioni senza precedenti. Fig 1 in nero le specie descritte ad oggi. L’estinzione naturale è una componente stessa dell’evoluzione della vita, che ha visto nel corso di milioni di anni specie sostituite da altre più adatte che ne hanno preso il posto; ma l’ondata di perdita di varietà biologica dall’inizio del ‘900 ad oggi ha incrementato il tasso di estinzione globale di almeno 1000 volte rispetto al tasso “naturale” nel lungo periodo. Nei prossimi 50 anni è previsto che il tasso di estinzione sia 10 volte più elevato di quello attuale. A causa della stretta interrelazione e dipendenza che esiste tra tutte le forme di vita, l’estinzione anche di una sola specie può 2 avere conseguenze deleterie su larga scala (per ogni specie vegetale che si perde, da 20 a 40 specie animali che da essa dipendono entrano a rischio). Esistono poi delle specie, chiamate “Keystone species”, che hanno un ruolo fondamentale nell’ecosistema in cui vivono e la cui scomparsa può portare a conseguenze gravi sulle altre popolazioni con un crollo della stessa comunità che ruota attorno ad esse. La velocità con cui avviene questa estinzione minaccia di alterare l’evoluzione stessa i cui tempi di realizzazione sono molto più lenti. Se il numero delle specie si ridurrà troppo, non vi sarà più una adeguata base di risorse sulle quali possa continuare ad operare la selezione naturale. L’equilibrio biologico segue una dinamica non lineare per cui anche un piccolo evento negativo può innescare cambiamenti di più vasta portata e modificazioni irreversibili di tutto il sistema. E’ possibile determinare la biodiversità ai suoi vari livelli utilizzando degli indici numerici, come: indici di ricchezza in specie (indice di Margalef, indice di Menhinick); indice di evenness; indici di biodiversità (indice di Simpson, indice di Shannon); indice di distinguibilità tassonomica di Clarke e Warwick. Biodiversità è a sua volta indicatore di benessere, ottimo strumento per determinare la qualità, lo stato di salute di un ecosistema e dell’attività ad esso correlata. Nei corsi d’acqua l’Indice Biotico Esteso (I.B.E.) valuta il tipo, il numero, la ricchezza e i cambiamenti all’interno di una comunità di specie di macro-invertebrati. Tali organismi risentono di inquinamento chimicotermico, dei solidi sospesi, della presenza di tensioattivi, del deficit di ossigeno e della presenza di sostanze organiche eccessive. Il metodo `e stato ufficializzato con l’inserimento nel Decreto Legislativo 130/92 in attuazione della Direttiva CEE 659/78 sulla “Qualità delle acque dolci che richiedono protezione o miglioramento per essere idonee alla vita dei pesci”. Nel 1992, a Rio de Janeiro, più di 170 paesi hanno partecipato alla Conferenza Mondiale delle Nazioni Unite su “Ambiente e sviluppo” ed hanno dichiarato il loro impegno a difendere le diverse specie animali e vegetali sottoscrivendo la “Convenzione sulla diversità biologica” (CBD). Nello stesso anno l’Unione Europea ha adottato la Direttiva “Conservazione degli habitat naturali e semi-naturali e della flora e della fauna selvatiche” 92/43/CEE, allo scopo di salvaguardare la biodiversità nei paesi membri e costituire la rete ecologica europea denominata “NATURA 2000”. Nell’aprile 2002, i paesi firmatari della Convenzione, hanno deciso entro il 2010 “una riduzione significativa dell’attuale ritmo di impoverimento 3 della biodiversità a livello mondiale, regionale e nazionale col fine di contribuire all’attenuazione della povertà e al profitto di tutte le forme di vita sulla Terra”; questo “patto” è stato inserito nel 2007, durante il Summit Mondiale per lo Sviluppo Durevole delle Nazioni Unite (tenutosi a Rio de Janeiro) tra gli obbiettivi dello sviluppo del Millennio. Nel giugno 2011 il Consiglio europeo dei ministri dell’Ambiente ha approvato la Strategia dell’Unione europea per la biodiversità e i suoi sei obiettivi per invertire il declino della biodiversità e degli ecosistemi entro il 2020. A distanza di anni l’obiettivo rimane quello di focalizzare l’attenzione e intervenire sulle principali minacce alla biodiversità. Le cause non sono naturali ma dipendono dal pesantissimo impatto che delle attività umane che agiscono sulle specie in modo sia indiretto che diretto. La principale di queste è il degrado, fino alla distruzione, degli habitat naturali su larga scala che frammenta e circoscrive sempre di più gli spazi vitali per le specie. Durante l’intero corso della storia dell’umanità, in nessun periodo si è assistito ad un’interferenza con gli ecosistemi terrestri di proporzioni simili a quelle che si testimoniano dalla seconda metà del ventesimo secolo. Basti dire che dal 1945 si sono convertite ad uso agricolo più foreste, savane e praterie di quanto non sia mai avvenuto nei due secoli precedenti. Quasi un quarto della superficie terrestre è oggi coltivato. Altre cause del degrado sono la crescita della popolazione, l’urbanizzazione incontrollata, le attività economiche insostenibili, un prelievo eccessivo ed indiscriminato delle risorse, che non permette neppure la rigenerazione delle fonti rinnovabili, l’inquinamento e l’immissione di sostanze tossiche nell’ambiente, la persecuzione diretta da parte dell’uomo, una caccia e pesca eccessive, il commercio illegale, l’invasione/immissione di specie alloctone estranee che introducono nella biosfera locale profonde alterazioni, e, non per ultimi, i cambiamenti climatici a cui l’uomo sta contribuendo con un’enorme immissione di gas serra in atmosfera. Anche il tema degli OGM è entrato a far parte di questo dibattito per le possibili conseguenze sulla biodiversità, sugli equilibri degli ecosistemi e sui possibili effetti a lungo termine sulla salute umana. Organismi Geneticamente Modificati (OGM) Con il termine Organismo Geneticamente Modificato si intende un essere vivente con patrimonio genetico manipolato e modificato. A tal fine si utilizzano tecniche di ingegneria genetica, che prevedono l’aggiunta, 4 l’eliminazione o la sostituzione di segmenti di DNA (geni). In questo modo l’OGM ottenuto sintetizza proteine con caratteristiche differenti. Se il gene inserito viene prelevato da un individuo di una specie differente si ottiene un nuovo organismo detto transgenico. Il primo OGM fu ottenuto nel 1972 da Stanley Cohen e Hebert Boyer grazie all’uso combinato delle tecniche di biologia molecolare. Già nel 1977, la Genentech, fondata dallo stesso Boyer, è riuscita a creare i primi prodotti ad uso commerciale derivati da un OGM: si trattava di proteine umane ricombinanti ottenute tramite la loro produzione nel batterio Escherichia coli: la somatostatina (1977) e l’insulina (1978). Oggi i più importanti ambiti di utilizzo di questi organismi sono l‘alimentazione, l’agricoltura, la medicina, la ricerca e l‘industria. Le tecniche che, secondo la Direttiva 2001/18/CE, hanno come risultato un organismo geneticamente modificato sono: tecniche di ricombinazione del materiale genetico che comportano la formazione di nuove combinazioni mediante l’utilizzo di un vettore di molecole di DNA, RNA o loro derivati, nonché il loro inserimento in un organismo ospite nel quale non compaiono per natura, ma nel quale possono replicarsi in maniera continua; tecniche che comportano l’introduzione diretta in un organismo di materiale ereditabile preparato al suo esterno, tra cui la macroiniezione e il microincapsulamento; fusione cellulare (inclusa la fusione di protoplasti) o tecniche di ibridazione per la costruzione di cellule vive, che presentano nuove combinazioni di materiale genetico ereditabile, mediante la fusione di due o più cellule, utilizzando metodi non naturali. Diversi sono i fattori positivi sostenuti, soprattutto dai produttori e le multinazionali, che hanno favorito una rapida diffusione degli OGM in tutto il mondo. Le piante geneticamente modificate sono più resistenti ai parassiti, agli insetti, alle temperature sfavorevoli, alla siccità e alla salinità; ciò porta ad un aumento del raccolto almeno del 10 %. Si tratta dunque di alimenti che si conservano più a lungo, hanno un elevato contenuto di sostanze nutritive (possono essere arricchiti con vitamine) quindi sono più completi. Tali proprietà hanno portato a considerare questi prodotti come una possibile soluzione al problema della crescita demografica e della fame nel mondo. Gli alimenti OGM oggi più diffusi sono il mais, la soia, il riso e la colza. 5 Possiamo trovare in commercio pomodori, fragole di dimensioni maggiori e resistenti al deperimento; piante di cotone e soia resistenti ad erbicidi; riso con molta vitamina A; fragole più resistenti al freddo per l’inserimento di un gene di un pesce artico; cotone resistente all’azione distruttiva di alcuni bruchi; minimeloni quadrati facilmente imballabili; semi di piante e piante adulte che producono farmaci (patata, canna e barbabietola da zucchero). L’alimento più noto è il Mais Bt-176 (modificato con geni estratti dal Bacillus thuringiensis) ingegnerizzato per risultare resistente all’attacco di uno degli insetti più pericolosi per questo tipo di colture: la piralide (Ostrinia nubilalis). La larva di questa farfalla causa infatti, nei soli Stati Uniti e Canada, danni per miliardi di dollari ogni anno. Il mais Bt-176 si difende producendo una proteina tossica per questi insetti, la Cry1Ab. Il suo principio d’azione è quello di legarsi a degli specifici recettori presenti sull’epitelio intestinale della piralide, formando così dei pori che compromettono il giusto equilibrio dei flussi ionici cellulari e quindi l’annullamento del metabolismo cellulare, il malfunzionamento dell’apparato digerente e la morte dell’insetto. L’uomo ed i mammiferi in generale non possiedono tali recettori e quindi sono insensibili all’azione della tossina. Il salmone GM, realizzato dalla compagnia Aqua Bounty Technologies, oltre ad avere una maggior resistenza al freddo, contiene un gene che regola la secrezione dell’ormone della crescita proveniente da un altro pesce. Questa modifica gli permette di raggiungere le dimensioni con cui solitamente viene messo in commercio in soli 16 mesi, anziché in 3 anni. Ha un maggior appetitito e può arrivare fino a sette volte le dimensioni di un salmone normale. In carenza di cibo possono nutrirsi dei fratelli non GM se allevati nelle stesse vasche. La ricerca nel settore sanitario ha favorito lo sviluppo di alimenti transgenici al fine di prevenire gravi patologie. Il pomodoro viola, che contiene due geni del fiore Bocca di Leone, produce le antocianine, antiossidanti del gruppo dei flavonoidi, che nei topi ha dimostrato di tenere lontano il cancro. Presso il Korea Research Institute of Bioscience and Biotechnology (KRIBB) di Seoul, invece si sta studiando una particolare cura 6 contro l’Alzheimer che utilizza pomodori geneticamente modificati come vaccino. Nel DNA dei pomodori viene inserito il gene della proteina beta amiloide, responsabile della malattia; si è osservato che il sistema immunitario dei topi alimentati per almeno tre settimane con questo prodotto sintetizza anticorpi in grado di neutralizzare la proteina responsabile dell’insorgenza del morbo di Alzheimer (se cotti i pomodori si dimostrano inefficaci). Il gruppo di Laurence Tiley (Università di Cambridge) sta creando una linea di polli GM che esprimono un RNA contenente le sequenze a cui si lega la polimerasi del virus responsabile dell’aviaria per replicare il genoma virale; nei polli transgenici gran parte della polimerasi è sequestrata da questi RNA e non è più disponibile per il virus, che non si è più in grado di moltiplicarsi. Oltre ad animali del tutto resistenti i polli di Taley sarebbero un ottimo strumento per la lotta contro l’aviaria. Da quanto riportato si evince che gli aspetti positivi legati allo sviluppo degli OGM sono molti ma altrettanti, se non maggiori, sono quelli negativi. Recenti ricerche stanno mettendo in luce gli effetti dannosi causati dalla diffusione di questa tecnologia, non solo per la salute dell’uomo e degli animali, ma soprattutto per l’ambiente e l’equilibrio ecologico. Dalle manipolazioni genetiche, seguite dalla selezione degli organismi migliori nell’arco di più generazioni, sono nate piante ed animali portatori di caratteri più utili all’uomo creando i presupposti per l’alterazione della Biodiversità. Ogni organismo OGM costituisce una nuova specie che viene introdotta nell’ecosistema con dei vantaggi selettivi nei confronti delle varietà naturali che rischiano di estinguersi. Le piante OGM potrebbero perciò diventare infestanti ed invasive. Nella lotta contro i parassiti l’introduzione di specie geneticamente modificate non rappresenta una minaccia solo per gli organismi target ma anche per numerose specie non-target non infestanti e indispensabili per la vita dell’ambiente. In Nord America uno studio ha dimostrato che un esposizione prolungata al polline del mais Bt risulta nociva sulle farfalle monarca. Le piante di mais Bt sono tossiche anche per alcuni insetti benefici come le crisoperle, importanti per il controllo naturale dei parassiti del mais. Le crisoperle assumono le tossine delle piante Bt attraverso le prede di cui si nutrono. Questo spinge molti scienziati a richiedere analisi sugli effetti delle colture OGM a tutti i livelli della catena alimentare. Nell’Unione Europea, ed altrove, la valutazione di queste colture, tiene conto unicamente della tossicità diretta, senza valutare gli effetti sugli organismi situati più in alto nella catena 7 alimentare. Le radici stesse delle piante GM possono rilasciare sostanze tossiche nel suolo. I residui colturali che restano nei campi contengono tossine. Scarti agricoli tendono ad infiltrarsi nei corsi d’acqua con conseguenze molto serie anche negli animali e nell’uomo. Gli effetti cumulativi a lungo termine non sono stati valutati, anche se ciò viene richiesto dalla legislazione comunitaria (Direttiva 18/2001). Molti altri sono i riscontri negativi degli OGM sugli equilibri naturali. Le tossine insetticide vengono prodotte dalle piante GM per tutto il tempo della loro crescita e gli insetti sono continuamente esposti alla tossina, condizioni favorevoli per sviluppare la resistenza agli insetticidi. La coltivazione di piante tolleranti agli erbicidi è associata ad effetti tossici degli erbicidi verso gli ecosistemi; la Monsanto, insieme alle proprie sementi OGM Roundup Ready, vende un erbicida (Roundup), che è un potente distruttore endocrino ed è dannoso per i girini. Le piante infestanti tendono ad aumentare la loro tolleranza agli erbicidi, in modo particolare, la tolleranza al Roundup crea problema nei paesi con coltivazioni Roundup Ready, dove gli agricoltori sono costretti ad aumentare le quantità di erbicidi o ad abbinare altri erbicidi per controllare le piante infestanti. Riduzione del numero di batteri nel suolo: erbicidi utilizzati nelle coltivazioni di soia OGM ha portato alla diminuzione della quantità dei batteri benefici che sono fissatori dell’azoto. Gli organismi geneticamente modificati, una volta rilasciati in natura, si riproducono, possono mutare in risposta alle sollecitazioni ambientali e potrebbero trasferire le loro caratteristiche agli organismi con cui interagiscono, causando così inquinamento genetico. Un elemento fondamentale a riguardo è il polline che ha la possibilità di essere trasportato sia dal vento che dagli insetti anche a lunghe distanze (il polline del mais può giungere ben oltre i 2 chilometri dal campo in cui viene prodotto). Le colture biologiche dovrebbero essere esenti da OGM in realtà attualmente sono state rilevate, su prodotti presenti nel mercato alimentare, tracce di OGM pari circa allo 0,9% e un prodotto, anche biologico, può essere considerato non-OGM solo se presenta un contenuto di materiale geneticamente modificato al di sotto dello 0.9% . Ecco perché si discute molto della distanza da garantire tra i campi che ospitano colture geneticamente modificate e quelli con colture biologiche. Da non trascurare anche il problema dei campi inutilizzati, limitrofi ai terreni coltivati con piante GM, che potrebbero essere destinati all’agricoltura biologica. 8 Con la scomparsa della biodiversità rimarrebbero soltanto una varietà di sementi geneticamente modificati brevettate dalle multinazionali che avranno il controllo mondiale della produzione e dei costi degli alimenti. Il controllo da parte delle multinazionali dei prodotti geneticamente modificati porterebbe ad un monopolio del cibo dove non si risolverebbe mai il problema della fame nel mondo dal momento che i contadini sarebbero costretti a comprare i semi dalle poche multinazionali che stabiliranno il prezzo a loro piacimento. Per molti anni, nonostante gli OGM siano stati approvati e commercializzati, sono stati trascurati gli impatti degli OGM sulla salute dell’uomo e degli animali. Mentre i pesticidi devono essere testati per periodi minimi di due anni per ottenere l’autorizzazione in Europa, i test per la sicurezza effettuati sugli Ogm non sono mai durati più di 90 giorni, anche per le piante transgeniche in grado di produrre pesticidi. Questo è dovuto in parte al fatto che prove di nutrizione animale non sono previste per dare approvazione di sicurezza sia nell’UE che negli USA. Fortunatamente, negli ultimi anni, l’attenzione di diversi gruppi di ricerca si sta focalizzando su questo argomento. Studi inglesi, sull’uomo e sulla pecora, hanno dimostrato che alcuni dei geni inseriti negli alimenti OGM ingeriti si spostano e vengo trasferiti ai batteri dell’intestino. Secondo i risultati di un’analisi a lungo termine, pubblicati dal governo austriaco, un’alimentazione a base di organismi geneticamente modificati potrebbe compromettere la capacità riproduttiva; tale ricerca condotta dal Dott. Ju¨rgen Zentek (Università di Vienna) ha riscontrato un indebolimento nella fertilità dei topi nutriti a base di mais OGM: questi individui hanno dato vita ad una prole, nella terza e quarta generazione, ridotta di numero e di peso rispetto ai topi alimentati con mais non-OGM che si sono riprodotti in modo più efficiente. L’unico test a lungo termine (24 mesi) elaborato in Italia ha dimostrato che gli OGM possono modificare alcuni organi interni: in topi con una dieta a base di mais Roundup Ready ha cambiato la struttura e il funzionamento delle cellule del fegato, del pancreas e dei testicoli. Lo scienziato inglese Arpad Pusztai, durante le sue ricerche al Rowett Institute di Aberdeen, ha notato che cavie alimentate con patate OGM per sviluppare un pesticida interno, presentavano danni al sistema immunitario, che diveniva incapace di combattere virus e malattie, timo e milza indeboliti, cervello, fegato e testicoli meno sviluppati, e un maggiore rischio di contrarre tumori. Uno studio del Criigen (Comitato per la ricerca e l’informazione indipendente sull’ingegneria genetica) del 2007 ha evidenziato che i topi nutriti per 90 giorni con un mais OGM, il MON863 della Monsanto, mostravano anomalie nel fegato, nei reni e nel sangue che potrebbero essere segni di tossicità. 9 Le proteine sintetizzate dagli organismi geneticamente modificati potrebbero causare molte più reazioni allergiche rispetto alle colture naturali o ai prodotti provenienti da incroci tradizionali. Questo potenziale allergenico è legato alla scelta di geni, e dunque proteine, che non fanno parte del consumo alimentare abituale. In uno studio Australiano piselli GM hanno provocato reazioni allergiche nei gatti rendendoli, inoltre, più sensibili anche ad altre allergie alimentari. In ultima analisi alimenti transgenici possono essere un mezzo per il trasferimento di antibiotico resistenza. Numerose piante geneticamente modificate contengono un gene per la resistenza agli antibiotici; la diffusione di questi geni dagli organismi GM ai batteri patogeni sarebbe in grado di accelerare i processi della resistenza agli antibiotici creando, così, nuovi batteri contro i quali gli antibiotici sono assolutamente impotenti. Legambiente ci fornisce i numeri e i dati relativi alla distribuzione degli OGM nel mondo: Soltanto 6 Stati coltivano da soli il 95% della produzione di piante OGM e sono: USA, Brasile, Argentina, Canada, India e Cina; il 3% è coltivato da Paraguay e Sudafrica, 1% rimanente negli altri Paesi; Lo 0,01% delle coltivazioni in Europa sono Ogm e sono distribuite tra Germania, Spagna, Portogallo, Slovacchia e Repubblica Ceca; Il 95% delle coltivazioni OGM nel mondo sono costituite da soia, cotone e mais; Sono 21 i prodotti derivati da piante geneticamente modificate autorizzati per l’alimentazione umana e animale in Europa (al 31 ottobre 2009); Lo 0,9% `e la quantità massima di materiale geneticamente modificato che può essere autorizzato senza segnalazioni sulle etichette dei prodotti in commercio (Direttiva 2001/18/Cee). 10 I principi legislativi di riferimento internazionale sulla valutazione e sulla gestione del rischio per proteggere la biodiversità dalle minacce derivanti dal trasferimento, dalla manipolazione e dall’uso degli organismi geneticamente modificati `e regolata dal Protocollo di Cartagena sulla Biosicurezza o Biosafety Protocol (un protocollo della Convenzione sulla Diversità Biologica), approvato il 29 gennaio 2000: “La mancanza di certezza scientifica dovuta ad insufficienti informazioni e conoscenze scientifiche pertinenti riguardanti l’entità dei possibili effetti negativi di un organismo vivente modificato sulla conservazione e l’utilizzazione durevole della diversità bilogica nella Parte importatrice, tenuto conto anche dei rischi per la salute umana, non impedisce a tale Parte di prendere una decisione, se del caso, in merito all’importazione dell’organismo vivente modificato in questione, al fine di evitare o ridurre al minimo tali potenziali effetti negativi” (art. 10.6). In Europa il quadro normativo relativo alle regole per l’autorizzazione al rilascio nell’ambiente di un Ogm `e costituito dalla direttiva 2001/18/CE (recepita dall’Italia nel 2003). Ad oggi in Europa il mais MON 810 è l’unico prodotto transgenico autorizzato per la coltivazione. Solo nel 2004, nell’Unione Europea si è riusciti a ottenere che la presenza di ingredienti geneticamente modificati in un alimento sia dichiarata in etichetta. In Italia a tutela della biodiversità, dei diversi tipi di coltivazioni e del diritto di scelta dei consumatori, il 21 aprile 2004 è entrato in vigore il Decreto Legge 22 novembre 2004, n.279. In esso si afferma che: L’attuazione delle regole di coesistenza deve assicurare ai consumatori la reale possibilità di scelta tra prodotti transgenici e non transgenici e, pertanto, le coltivazioni transgeniche sono praticate all’interno di filiere di produzione separate rispetto a quelle convenzionali e biologiche. Per il momento nel nostro paese non risulta siano coltivate piante geneticamente modificate, se non in via sperimentale e in campi confinati, ma è certo che da anni vengono importate molte sementi di questo tipo. Conclusioni La verità è che non esiste tecnologia esente da rischi. Noi accettiamo un’innovazione quando riteniamo che i rischi siano inferiori ai benefici: così è stato per molti farmaci e per la stessa penicillina che pure salva milioni di vite, ma che a volte uccide per shock anafilattico. La coltura di piante transgeniche non sfugge a questa regola. Le nostre conoscenze sulla biodiversità sono ancora assai limitate, si pensi che solo l’1% delle specie 11 vegetali ed una percentuale ancora minore di quelle animali, è stata studiata in modo approfondito per un possibile utilizzo. Si ritiene che vi siano almeno 80.000 specie vegetali commestibili, ma solo 3.000 vengono utilizzate e di queste solo 150 sono coltivate su larga scala mentre appena 29 di esse costituiscono il 90% della nostra alimentazione vegetale. Questo dato basterebbe a dirci la profonda contraddizione insita nel voler creare organismi modificati geneticamente quando ancora non conosciamo tutte le potenzialità degli organismi che già esistono. Gli OGM sono una tecnologia giovane: sta agli scienziati il compito di procedere con cautela e con massima attenzione, Appartiene inoltre alla politica e ai singoli cittadini il dovere di informare ed informarsi su quello che potrebbe essere una soluzione definitiva ai problemi della comunità mondiale o una tremenda minaccia per la biodiversità sul nostro pianeta. E’ fondamentale tenere a mente che la diversità biologica deve essere difesa perché è il pilastro della civiltà. Noi non dobbiamo considerare che la Natura si accomodi a quello che parrebbe meglio disposto a noi, ma conviene che noi accomodiamo l’interesse nostro a quello che essa ha fatto. [Galileo Galilei] Bibliografia http://www.wwf.it/client/ricerca.aspx?root=28549parent=23491content=1 http://www.unesco.it/cni/index.php/scienze-naturali/2010-anno-internazionaledellabiodiversita http://www.effettoterra.org/documenti/ambiente/notizie/2010lannodella biodiversita.html http://www.biodiversita2010.ch/wissen/definition/ http://www.nature.com/news/specials/darwin/index.html E.P. Odum, G.W. Barret (2005). Fondamenti di ecologia. (III edizione). Piccin. Figliuolo, G. (2010). OGM e paesaggio: il contesto europeo. Biologi Italiani, anno XL ˆa N.7, 56-54. Lener, M., Giovannelli, V., Staiano, G. (2010). I rilasci nell’ambiente di OGM in Italia ed in Europa. Biologi Italiani, anno XL ˆa N5/6, 37-42. Bellone, E. (2011). OGM e bolle di sapone. Le Scienze, 511, pag. 9. Sabato, G. (2011). 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