Foto – grafia di Lucio Piccolo Ritratto grafologico di un “pittore di

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Foto – grafia di Lucio Piccolo Ritratto grafologico di un “pittore di
Foto – grafia di Lucio Piccolo
Ritratto grafologico di un “pittore di poesia”
Barbara Taglioni
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iviamo in una società dove la fama, il
successo, la visibilità, il denaro e il potere
sono spesso gli unici valori che ci vengono
proposti, a cui molte persone aspirano per tutta la
vita. Lucio Piccolo ha rappresentato certamente
un’eccezione. Francesco Latteri Scholten, autore di
numerosi articoli e saggi, dice di lui: un “pittore di
poesia”, le sue non sono parole, sono immagini, immagini
scritte che hanno la bellezza di un quadro di grande
autore. Lucio, figlio di Giuseppe, grande possidente
terriero nell’area nebroidea, e della Contessa Teresa
Mastrogiovanni Tasca Filangeri di Cutò, viene alla
luce il 27 ottobre 1901 in una Palermo trasognata e
pomposa. Timidissimo e molto attaccato alla figura
autoritaria della madre cresce nell’enorme palazzo
di famiglia in Via Libertà. Fin da piccolo mostra
un carattere solitario e distaccato persino dagli altri
fratelli, Agata, Giovanna e Casimiro, probabilmente
anche per la differenza di età di circa 10 anni, che li
separava. Mostra precocemente molteplici interessi,
soprattutto verso la musica. Studia sempre moltissimo
e si merita voti altissimi, nonostante la severità della
scuola in quegli anni. Ancora adolescente gli viene
dato il soprannome di “musicista-filosofo”. La sua
vita cambia improvvisamente quando nel 1928 il
padre muore lasciando la famiglia in grossi guai
finanziari a causa del gioco e della passione per le
“belle donne”. La madre con i tre figli è costretta a
rifugiarsi in una villa di campagna nel messinese, nel
paesino di Ficarra. Niente più feste sfarzose e vita
mondana ma la lussureggiante campagna orlandina
con i suoi scorci pieni di fascino sulle Eolie, i suoi
spazi inondati di pace, in cui immergersi in lente
passeggiate lungo i viali alberati o sotto i pergolati
di glicine. Qui i tre fratelli coltivano le loro segrete
passioni. Casimiro, il primogenito, l’occultismo, la
filosofia e la pittura. Agata, Giovanna la floricultura,
sperimentando innesti e inusuali inseminazioni.
Lucio, in un’atmosfera sicuramente a lui più
congeniale, sprofonda nei suoi pensieri e nella sua
natura malinconica, leggendo di tutto e ampliando
all’infinito la sua cultura. Circondato dall’oscura
penombra della sua camera, in contrapposizione
alla violenta luce del sole mediterraneo, in modo,
come lui stesso afferma, da accentuare il sogno
e sfumare i contorni degli oggetti, sviluppa in
quegli anni appieno la sua arte poetica,00 che
legate alla pubblicazione del libro: “Il Gattopardo”,
scritto dal suo famoso e amato cugino Tomasi di
Lampedusa, tutto tornò alla normale e solitaria
tranquillità e i suoi piccoli riti quotidiani ripresero
lontano dal clamore. Tornò alla sua teoria delle
apparizioni notturne. Egli sosteneva che durante
la notte esseri umani, ma anche cani e gatti si
materializzavano nella sua casa e per lo sforzo
che essi facevano nel materializzarsi avevano
sete. Negli angoli e sotto i tavoli di Villa Piccolo
quindi egli faceva mettere ciotole piene d’acqua,
per dissetare i “visitatori” della notte. Continuò
a scrivere, a raccontare e a raccontarsi. Nelle sue
parole è evidente una coscienza del negativo e
della “fine”. I suoi versi esprimono una costante
tensione metafisica di una
sofferta interiorizzazione
dei miti del paesaggio
siciliano sentito come parte
decisiva della sua anima. Ci
ha lasciato il 26 maggio del
1969, durante la notte, al
buio, nell’ombra, durante
l’ora delle “apparenze”, il
suo tempo preferito.
La sua grafia
Quella di Lucio è una
scrittura in cui sembrano
convivere due personalità:
quella di un uomo dal
carattere
ostinato
e
intransigente generalmente
poco
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rimarrà nota solo a pochi intimi fino alla morte
della madre avvenuta nel 1953. Libero a quel
punto dall’influenza materna che l’aveva sempre
un po’ inibito e protetto, egli trova il coraggio
di far stampare da un tipografo di paese in sole
sessanta copie una piccola raccolta di poesie cui
darà il titolo di “9 liriche” , componimenti giudicati
purissimi e singolari, inediti nel panorama italiano,
come disse Montale. A San Pellegrino Terme nel
1954, grazie a questa sua pubblicazione, diventò
improvvisamente famoso. Fece la sua comparsa in
un ambiente modaiolo e festante e colpì il pubblico,
oltre che per le sue doti poetiche, soprattutto per il
suo personaggio: un gentiluomo siciliano che abita
in un castello, colloquia con gli spiriti, seppellisce i
suoi cani in un cimitero con tanto di tumuli, lapidi e
fiorellini freschi, che pare discetti in arabo, sanscrito
e aramaico e si diletti in matematica pura. Un uomo
che non volle mai attaccare la luce elettrica nella
sua stanza, perché è proprio al chiarore soffuso di
una fiammella a petrolio che egli trova le parole
e le immagini, in cui assapora l’”attesa notturna
delle apparenze”. Da quel momento Lucio visse il
suo periodo di gloria e divenne conosciuto anche
fuori dalla sua Sicilia. La sua casa fu visitata dai più
illustri artisti letterati e giornalisti del tempo quali
Piovene, Quasimodo, la Cederna, Sciascia e molti
altri. Questa fama durò poco. Dopo essere stato
al centro di molte attenzioni, anche per le vicende
egocentrico e quella invece di un “fanciullo”
fragile e vulnerabile, curioso del passato, del
tempo antico, che vuole mettere distanza tra sé e
ciò che potrebbe risultare troppo coinvolgente a
livello affettivo.
La dimensione grande e la forma angolosa e
piuttosto stretta denotano grande ricchezza
espressiva ma confermano anche il desiderio di
raccoglimento di un poeta che teme di vivere
liberamente la propria affettività e il presente
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a causa di una tendenza psichica restrittiva che
impedisce di socializzare con il prossimo in
modo sereno e rilassato. Le forme disuguali
indicano una grande vivacità mentale e una
autostima altalenante, mentre le lettere iperlegate senza soluzione di continuità indicano
che egli desiderava annullare qualsiasi forma
di separazione. Non alzava la penna, non
interrompeva il filo grafico all’interno delle parole,
non voleva separare le lettere nella scrittura, così
come temeva le separazioni nella sua quotidianità.
Le lettere sopraelevate, l’inclinazione, i “lanci”
della “t” marcati, alcune lettere eseguite in due
parti (le “d” e le “p”) dimostrano la presenza di
un’ elevata sensibilità e delicatezza unita ad una
immaginazione ardente e contemplativa.
La lettera “m” ad arco conferma un attaccamento
alle origini, alla figura materna e alla propria
individualità, con una evidente difficoltà verso
ogni forma di cambiamento e uno sguardo
sempre rivolto a ciò che è stato.
La presenza della funzione junghiana della
“sensazione” ((grafia stabile sul rigo con evidenti
allunghi inferiori) rivela un carattere permeato
da una forte componente realistica e sensoriale,
disturbata dall’irruzione dell’intuizione nella
sua forma arcaica e grezza la quale instillava nel
poeta superstizioni, paure irrealistiche, suggerite
dall’ inconscio che spiega i suoi comportamenti
considerati a volte bizzarri. Lucio era un grande
nell’intelletto, ma fragile e complicato nella
quotidianità e negli affetti.