PsG PRIMAVERA `12 via e-mail

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PsG PRIMAVERA `12 via e-mail
I
NU
MERI
Convento Casa per ferie
San Gregorio
38083 Condino
tel/fax 0465 622 120
www.pontesulguado.org
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SEGRETERIA PER L’ITALIA
la
segreteria
è aperta
il martedì
e il giovedì
dalle 20.30
alle 22.00
Maria Teresa Tedeschi
I-25023 Gottolengo/Bs
tel. 0039 331 15 18 319
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CC POSTALE: 15507346
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Associazione il Ponte sul Guado
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I 25023 Gottolengo
PRIMAVERA ’12
Padre Andrea Schnöller
Santuario Madonna del Sasso
CH-6644 Orselina,
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SEGRETERIA PER LA SVIZZERA:
Enrica Erba
CH- 6654 Cavigliano
Quota sociale
Socio ordinario : 30 € tel. 091 796 23 71
Socio sostenitore: da 30 € e-mail: [email protected]
DALLA REDAZIONE
motivo
di gioia
2
Cari amici.
Nelle pagine che seguono
troverete la presentazione di alcuni
brani tratti dai diari di Etty Hillesum
e per introdurvi alla lettura ecco
alcune mie considerazioni.
Questa sera padre Andrea
ci ha nuovamente portati a riflettere
sull’importanza del riuscire,
nel corso della nostra esistenza , ad
accettare noi stessi così come siamo
come d’altra parte anche tutto ciò
che la vita ci riserva. Ha anche
aggiunto che l’accettazione così
concepita porta ad una maggior
coscienza di noi stessi e ad una
conseguente trasformazione.
Ha citato anche alcuni pensieri di
Osho a questo riguardo. Questo
processo mi è sembrato ancora
molto distante dalle mie capacità
ma l’ho trovato estremamente
interessante per il conseguimento
del mio equilibrio psichico e per
il mio benessere spirituale.
Poco fa , sono rientrata a casa
e ,come spesso mi accade ,
ho “pescato” una carta dei tarocchi
di Osho. Ognuna di queste carte è
uno spunto di riflessione e un aiuto
alla meditazione ed è legata ad un
racconto che proviene da varie tradizioni ( zen , sufi , cristiana …). Quale carta mi è capitata? Guarda caso
( ma è proprio un caso ? ) quella che
porta a riflettere sull’accettazione.
Esordisce in questo modo:
ACCETTA LA VITA COSÌ COM’È.
SII GIOIOSO SENZA ALCUN MOTIVO.
E ancora..
QUALSIASI COSA PORTI LA VITA VA BENISSIMO.
QUESTA È LA QUALITÀ RIFLETTENTE DI UNO
SPECCHIO: NULLA È CATTIVO, NULLA È BUONO,
TUTTO È DIVINO. ACCETTA LA VITA COSÌ COM’È.
ACCETTANDOLA SPARISCONO LE TENSIONI;
SPARISCE L’INSODDISFAZIONE. ACCETTANDO
LA VITA COSÌ COM’È, CI SI SENTE FELICI SENZA
UN MOTIVO PARTICOLARE.
QUANDO LA GIOIA HA UN MOTIVO,
NON DURA A LUNGO. QUANDO LA GIOIA
NON HA MOTIVO, PERMANE PER SEMPRE.
Queste parole mi sembrano
un paradosso ma nello stesso
tempo utili per comprendere
l’atteggiamento di Etty Hillesum
quando annota nel suo diario
nel novembre del 1941… “Paura di
vivere su tutta la linea. Cedimento
completo. Mancanza di fiducia
in me stessa . Repulsione. Paura.”
E successivamente nel luglio
dell’anno seguente …”Bene allora io
accetto questa nuova certezza :
vogliono il nostro totale
annientamento . Ora lo so .
Non darò più fastidio con le mie
paure e non sarò più amareggiata
se gli altri non capiranno
cos’è in gioco per noi ebrei …”
Credo che leggere le pagine
di questo numero sarà un bello
stimolo per continuare al meglio
il nostro cammino spirituale.
Un caro augurio.
PATRIZIA
GRUPPO DI
REDAZIONE
Direttore responsabile
P. ANDREA SCHNÖLLER
NADIA BELTRAMI
CARLA CHEDA
ENRICA ERBA
PATRIZIA GIANI
ROSETTA PIOGGIA
MARIA GRAZIA TOGNETTI
NICOLANGELO ZARBA
Logo di copertina
MARCO MARIOTTA DESIGNS
LA
LETTERA
PADRE ANDREA
Carissimi associati e amici,
più che una lettera, mi propongo di farvi pervenire alcune riflessioni
a partire dal Diario di Etty Hillesum, di cui il gruppo di Redazione
vi propone abbondanti stralci in questo numero de’ il Ponte sul Guado.
«E’ COSÌ CHE VOGLIO SCRIVERE: CON ALTRETTANTO SPAZIO INTORNO E POCHE PAROLE».
« TROPPE PAROLE MI DANNO FASTIDIO».
«VORREI SCRIVERVI PAROLE CHE SIANO ORGANICAMENTE INSERITE IN UN GRANDE SILENZIO».
«POCHE, TENERE PENNELLATE E IL GRANDE SPAZIO TUTTO INTORNO».
«UNO SPAZIO CHE NON È VUOTO, MA CHE SI POTREBBE PIUTTOSTO DEFINIRE RICCO D’ANIMA».
«DETESTO GLI ACCUMOLI DI PAROLE: IN FONDO CE NE VOGLIONO COSÌ POCHE PER DIRE QUELLE
QUATTRO COSE CHE VERAMENTE CONTANO NELLA VITA».
«MI PIACEREBBE DIPINGERE POCHE PAROLE SU UNO SFONDO MUTO».
«NEL SILENZIO SUCCEDONO PIÙ COSE CHE IN TUTTE LE PAROLE AFFASTELLATE INSIEME».
Sono già otto citazioni per dire che la cosa più presziosa è il silenzio. Uno potrebbe dire: quante parole per convincerci a fare silenzio! Eppure, occorre riconoscere che ognuna di queste citazioni – per quanto fatte di parole – ci
introduce nel silenzio, ci mette in contattto col silenzio, ci fa amare, apprezzare e desiderare il silenzio. Perché quando la parola è vera è anche silenziosa.
Esce dal deserto e conduce nel deserto. E’ parola vera e, proprio per questo,
è anche parola feconda, che comunica vita.
La parola vera nasce dal silnezio e, quando viene letta o proclamata, conduce nel silenzio. Nella liturgia del Natale, citando il libro della Sapienza 18,14-15
si asserisce: NEL QUIETO SILENZIO CHE AVVOLGE OGNI COSA, MENTRE LA NOTTE GIUNGEVA A METÀ DEL SUO CORSO, LA TUA PAROLA ONNIPOTENTE È SCESA DAL CIELO, DAL SUO TRONO REGALE. Ma,
proprio perché viene dal silenzio, la parola vera è anche parola che conduce
al silenzio. Per questo Isaia 52,7 esulta e canta: COME SONO BELLI SUI MONTI I PIEDI DEL
MESSAGGRO CHE ANNUNZIA LA PACE, CHE RECA LA BUONA NOVELLA, CHE PROCLAMA LA SALVEZZA.
E nel vangelo di Marco 16,15 si legge: ANDATE IN TUTTO IL MONDO E PREDICATE IL VANGELO. Altrove – Siracide 15,5 – si dice, parlando dell’uomo saggio: IL SIGNORE GLI
HA APERTO LA BOCCA, LO HA RICOLMATO DELLO SPIRITO DI SAPIENZA E D’INTELLIGENZA. Ascoltiamo la parola in silenzio per accoglierla; avvogiamola di silenzio per capire;
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proclamiamo la parola a partire da quella pace interiore che la rende feconda di verità e di bene. Allora l’aridità del deserto si trasforma in oasi, dove irrompe e fiorisce la vita.
«MI SENTO MOLTO IMPACCIATA, NON HO IL CORAGGIO DI LASCIARMI ANDARE».
«IO VOGLIO QUALCOSA E NON SO CHE COSA».
«LA VITA È DIFFICILE, È UNA LOTTA DI MINUTO IN MINUTO… UNA VOLTA M’IMMAGINAVO UN FUTURO
CAOTICO, PERCHÉ MI RIFIUTAVO DI VIVERE L’ISTANTE PIÙ PROSSIMO. ERO COME UN BAMBINO MOLTO
VIZIATO: VOLEVO CHE TUTTO MI FOSSE REGALATO».
Il non lasciarsi andare, il volere a tutti i costi, l’incapacità di accogliere e di vivere l’istante presente, sono tre segni evidenti di poca fiducia in sé e nella vita. Allora non si è più sciolti e naturali, ma impacciati. Panikkar, che era un tipo molto aperto, saggio e libero, dice, alla stregua di Etty Hillesum: MI SONO
SEMPRE CHIESTO COSA VOLEVO E DOVEVO FARE, FINO A CHE, DOPO TANTO TORMENTO, HO PENSATO
CHE NON ERA AFFAR MIO DECIDERE: OGNI DECISIONE È UNA SCISSIONE, È UN TAGLIO. MA IO NON VOLEVO TAGLIARE NIENTE. DESIDERAVO SEMPLICEMENTE ESSERE A DISPOSIZIONE: EVER READY, SEMPRE
PRONTO. INSOMMA, HO DECISO DI LASCIARMI PORTARE, UN PO’ COME UNA FOGLIA, DAL VENTO O, SE
PREFERITE, DALLO SPIRITO; CHIAMATELO COME VOLETE. NIENTE VOLONTÀ, NIENTE DECISIONE, MA LASCIARSI ANDARE, CONSEGNARSI. LASCIARSI GUIDARE O, PER PARLARE IN TERMINI PIÙ COMPRENSIBILI,
NON METTERE OSTACOLI ALLO SPIRITO, NON RESISTERE AL VENTO. ALLORA, QUANTO MENO PESO UNO
HA… PIÙ VIAGGIA! LASCIARSI PORTARE, PER CUI, ANCHE SE CADI, NON TI FAI MALE, COME LA FOGLIA:
ANCHE SE CADE NON CAPITA NIENTE! HO SEMPRE AVVERTITO IL FASCINO DEL MANTENERMI A DISPOSIZIONE, DI UNA CHIAMATA, DI UNA VOCAZIONE. FACEVO SILENZIO, ASPETTAVO E… A DIRE IL VERO NON
HO MAI SENTITO NESSUNA CHIAMATA, SE NON QUELLA DI RIMANERE APERTO, DI ESSERE A DISPOSIZIO-
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NE.
«QUELLA SERA, SOLO POCHI GIORNI FA, HO REAGITO DIVERSAMENTE. HO ACCETTATO CON GIOIA LA
BELLEZZA DI QUESTO MONDO DI DIO, MALGRADO TUTTO. HO GODUTO ALTRETTANTO INTENSAMENTE
DI QUEL PAESAGGIO TACITO E MISTERIOSO NEL CREPUSCOLO, MA IN MODO PER COSÌ DIRE ‘OGGETTIVO’.
NON VOLEVO PIÙ ‘POSSEDERLO’. SONO TORNATA A CASA RINVIGORITA, AL MIO LAVORO».
C’è nel non lasciarsi andare, nel volere a tutti i costi, nell’incapacità di vivere
l’istante presente un altro aspetto, degno della nostra massima attenzione. E’
l’accentramento sul proprio io. Invece di ammirazione, gratitudine e stupore,
ciò che di fatto sentiamo e ci domina è un forte, a volte spasmodico a volte
sotterraneo desiderio di autoesaltazione. Le meraviglie della creazione e della vita diventano oggetti da possedere, interamente a servizio del nostro senso dell’io-mio, dell’autoglorificazione. E’ del tutto evidente che, allora, la
«voce che va dettando dentro» ammutolisce, e tutto ciò che possiamo regalare a noi stessi e agli altri sono parole, gesti, azioni affastellate con industria,
ma senz’anima, prive di qualsiasi sapore. Per superare questa diffusa e quasi
connaturale tendenza all’autoreferenza non serve lottare direttamente contro di essa, e neppure desiderare spasmodicamente il suo contrario. Anthony
de Mello - parafrasando le parole di Gesù: QUANDO TU FAI L’ELEMOSINA, NON SAPPIA
LA TUA SINISTRA CIÒ CHE FA LA TUA DESTRA - direbbe: Non desiderare di essere felice:
nel momento in cui diventi cosciente della tua felicità, tu cessi di essere felice.
Non sforzarti di essere semplice: ti aiuta soltanto a diventare orgoglioso. Non
voler essere santo: nel momento in cui diventi consapevole della tua santità,
essa inacidisce; si corrompe e diventa auto-canonizzazione. Tutto ciò che
puoi raggiungere con i tuoi sforzi è repressione. Il cambiamento è determinato soltanto da coscienza e conoscenza. Con semplicità e senza giudicarti,
prendi coscienza della tua infelicità, ed essa scomparirà: ne risulterà felicità.
Prendi coscienza del tuo orgoglio, ed esso cadrà: ne risulterà l’umiltà. Prendi
coscienza delle tue paure, ed esse si dissolveranno: ne risulterà amore. Prendi
coscienza dei tuoi legami, ed essi svaniranno: conseguenza ne sarà la libertà
(cf Chiamati all’amore, ed, Paoline, p. 68-72). Penso che anche Etty Hillesum, a
mano a mano che procederete nella lettura del suo Diario, vi ripeterà la stessa cosa. E lo dirà soprattutto nel 1943, con la testimonianza della sua morte
ad Auschwitz. Morte accolta, morte guardata in faccia con serenità e che,
proprio per questo, per lei - e in parte anche per noi che ci chiniamo sulla sua
testimonianza - diventa incontro ravvicinato, intimo con la Vita. Ringraziando
il gruppo di redazione e augurandovi una lettura meditata e attenta di queste pagine, vi saluto tutti cordialmente.
P. ANDREA
riflessioni: pratica meditativa e corsi proposti
a Condino contenimento semplificazione discernimeto
Come viene ripetuto anche in questo numero de’ il PG, il nostro prossimo appuntamento a Condino è a Pasqua e nella settimana immediatamente successiva a Pasqua, dal 9 al 14 Aprile. Poi, a fine Giugno, inizierà il ciclo delle
Settimane estive. Con riferimento a quest’ultima serie di appuntamenti, pubblichiamo la lettera inviata da P. Andrea ai vari collaboratori, vecchi e nuovi,
che danno il loro prezioso contributo di animazione alle settimane estive di
Condino. Vi invitiamo a leggere con attenzione le riflessioni e le considerazioni proposte, sia perché sono un aiuto a vivere in modo sempre più consapevole e intenso questi importanti appuntamenti, dando ognuno il proprio
contributo d’impegno e di testimonianza, sia perché vi mettono nella condizione di farci pervenire le vostre osservazioni e considerazioni sugli interrogativi sollevati, alla luce dell’esperienza da voi vissuta negli anni passati. Le vostre considerazioni possono essere inviate direttamente a P. Andrea – Santuario Madonna del Sasso CH-6644 Orselina, e-mail: [email protected]
– oppure all’inrizzo della nostra redazione: [email protected].
Madonna del Sasso, Orselina, fine Febbraio 2012
Carissimi amici e collaboratori,
in seguito a un intenso e approfondito confronto con le persone più direttamente coinvolte nella gestione delle attività estive di Condino, mi sono dovuto convincere che era opportuno ridimensionare il numero delle iniziative
che avevo messo in programma – come proposta da discutere insieme – per
l’estate 2012.
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La prima conseguenza che ne deriva è che, per molti di voi, il 2012 sarà, per
quanto riguarda le attività di Condino, un «anno sabbatico». E’ probabile
che, di fronte a questo laconico annuncio, qualcuno rimanga sorpreso e, forse, anche deluso; ma spero altresì che le motivazioni che subito adduco, ispirino invece fiducia e serenità. Per la Direzione della Casa di Condino e per le
persone direttamente coinvolte nella programmazione delle sue attività, come pure per il Consiglio Direttivo dell’Associazione, sarà invece un anno di
ascolto e di verifica, in vista di un rinnovato, coerente e illuminato impegno
nei prossimi anni.
E’ poi del tutto evidente che, di questo lavoro di verifica e di programmazione, vi terremo non solo informati, ma faremo in modo di coinvolgervi in prima persona, così da pervenire a conclusioni il più possibile condivise o, se
non altro, comprese e accolte da tutti.
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Come ognuno sa – o, se non altro, può facilmente intuire – la motivazione di
fondo di questa revisione è legata anzitutto al fatto più volte rilevato, che da
parte di diversi aderenti all’Associazione e da alcuni membri del Consiglio Direttivo, si avvertiva l’esigenza di salvaguardare e di evidenziare meglio lo
specifico della nostra Associazione «il Ponte sul guado» e, nel contempo, di
Condino; ossia, la coltivazione e la promozione della pratica meditativa che,
per sua natura, comporta anche l’esigenza di ambienti adeguati ed accoglienti e sufficientemente spaziosi, ma soprattutto raccolti e silenziosi.
In realtà, ciò che immediatamente si nota esaminando l’attività che da una
decina di anni svolgiamo a Condino, è il dato di un forte e costante moltiplicarsi di proposte alternative e integrative alla meditazione, fino mettere in
ombra quello che è stato definito e rimane lo scopo primario
dell’Associazione «il Ponte sul guado» e della sua sede di Condino, ossia la
proposta meditativa e la sua fattiva coltivazione. A tale riguardo basti dire
che, nella bozza-calendario per l’estate 2012, da me elaborata e sottoposta
all’attenzione delle persone incaricate alla sua supervisione, quest’anno figurava tutta una lunga serie di nuove, inedite proposte di attività che, in seguito a un serrato confronto, si è ritenuto doveroso ridurre e semplificare.
A motivo di questo costante incremento di nuove richieste e proposte di attività, è apparso indispensabile fermarci un istante, per un’adeguata pausa di
riflessione e di verifica. La nuova proposta di calendario che ne è scaturita esprime quindi una giustificata esigenza di contenimento. Da una parte essa
evidenzia lo specifico dell’Associazione «il Ponte sul guado» e di Condino,
che non possiamo trascurare; dall’altra parte è l’espressione di un nuovo orientamento e, in sostanza, propone una scelta che, nel confronto con la realtà dei fatti, potrebbe anche risultare fallimentare. Di questo siamo pienamente coscienti. Ma si tratta di una sfida che abbiamo ritenuto doveroso affrontare, in vista di una gestione coerente e ottimale delle attività
dell’Associazione e, in particolare, della Casa di Condino, oggi e per il futuro.
Detto questo, mi permetto di fare alcuni rilievi e di proporvi alcune considerazioni, che voi prenderete sicuramente a cuore e che discuteremo in un apposito incontro che indiremo prima di concludere l’esperienza estiva 2012 o in
un periodo immediatamente successivo.
Nel contesto di queste considerazioni, il primo dato che voglio sottolineare è
che – sia personalmente, ma anche come gruppo di gestione dell’ attività di
Condino – si è apprezzato e si apprezza ogni tipo di proposta e di offerta,
purché integrativa alla meditazione e gestita con altruismo, equilibrio e forte
senso di responsabilità. E questo al di là di quelli che possono essere i gusti, le
esigenze e le preferenze personali di ognuno di noi. E’ un atteggiamento ispirato dalla consapevolezza che la vita è fatta di tante sfumature, e ogni sfumatura ha il suo significato e svolge un ruolo fondamentale – anche se a volte difficile da cogliere e da definire con precisione – nel complesso gioco
d’equilibrio che porta all’armonia del tutto. Chi non si rende conto, in effetti,
che, molto spesso, proprio ciò che, alla luce dei nostri schemi mentali e culturali consideriamo di poco conto, si rivela invece di estremo significato in rapporto alla conoscenza di noi stessi e della vita?
Fatta questa basilare premessa, l’altro rilievo da fare è il seguente. Ossia, per
quanto io sia convinto che la massima parte delle proposte finora fatte a
Condino siano da considerarsi valide e di comune interesse, occorre tuttavia
mettere in atto un lavoro di contenimento e un sano discernimento. Il rischio
che altrimenti si corre è quello di moltiplicare le attività, a scapito della profondità. A tale riguardo può essere significativo richiamare le parole di Antoine de Saint-Exupéry, l’autore de`Il piccolo principe, quando così stigmatizza il
contesto culturale e lo stile di vita oggi dominanti: «Lavorano, lavorano questi uomini. Fanno tante cose e hanno tante cose. Troppe cose. Una cosa sola
manca loro: il nodo divino che tiene insieme tutte le cose. E allora tutto loro
manca».
Proprio perché la vita reale di ognuno di noi è già tanto agitata e, spesso, nevrotica, è importante che, quando c’incontriamo per far fronte a questa crescente tensione che caratterizza le nostre giornate, facciamo qualcosa di diverso, ossia che si muova nella direzione opposta, quella del contenimento,
della semplificazione, dell’essenziale e di una maggiore presenza al reale.
Quando vi dico queste cose, qui e in altre circostanze, sono perfettamente
cosciente di essere il primo a doverle meditare e imparare, per metterle in atto nel concreto dell’esistenza. So anche che la vera palestra della meditazione è la vita reale. Ma sono altresì convinto che, per vivere con stile meditativo
nella grande palestra della vita, è indispensabile che mi alleni nella piccola
palestra degli incontri e dei ritiri meditativi, evitando di introdurre e di alimentare in essi le stesse dinamiche, ossia quelle che mi sono fin troppo familiari
nella vita quotidiana. Questo richiede discernimento, contenimento, semplificazione, disciplina e molta determinazione. Allora è possibile che avvenga un
cambiamento anche nella vita reale.
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Quando parliamo di questa fondamentale esigenza di contenimento e di
semplificazione in rapporto ai nostri incontri di Condino, dobbiamo anche
tenere chiaramente presente il contesto nel quale ci troviamo e operiamo. La
nostra casa-convento di Condino offre un ambiente familiare, simpatico e accogliente. Ma è anche un ambiente di dimensioni estremamente modeste e
limitate. Come a tutti è noto, la massima accoglienza che possiamo offrire a
Condino per le attività è di 48/50 persone. Gli spazi e gli ambienti che la casa
-convento di Condino mette a disposizione per le attività di gruppo che proponiamo sono, sia per numero che per capienza, estremamente ridotti. Oltre
tutto, il periodo forte di attività si riduce in sostanza ai mesi di luglio e di agosto. Questo significa che, se moltiplichiamo le attività, le dobbiamo necessariamente accumularle, proponendo attività diverse in uno stesso periodo di
tempo. Il risultato è che, a motivo della precarietà e limitatezza degli spazi,
spesso si finisce per condizionarsi a vicenda, pestandoci i piedi a vicenda. Ma
succede anche un’altra cosa: dal momento che la casa-convento può ospitare un numero ridotto di persone, se moltiplichiamo le proposte di attività,
molte di esse registreranno – come già spesso è successo negli scorsi anni –
un numero estremamente ridotto di adesioni. Per alcune attività, questo non
crea un grosso problema; ma per altre costituisce un andicap non indifferente, fino a comprometterne la gestione e i risultati.
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Per poter fare un sano e realistico discernimento delle attività da proporre a
Condino, ritengo inoltre che occorra tenere presente un ulteriore aspetto.
Ossia:
– alcune proposte che facciamo sono d’interesse generale. Esse vengono incontro ad attese ed esigenze diffuse e possono essere proposte indistintamente a tutti i partecipanti.
– altre proposte sono d’interesse più mirato e specifico. Si rivolgono, per loro
natura, alle persone che hanno quegli interessi, non alle altre. Di conseguenza, è difficile proporle come unica alternativa alla pratica meditativa nel contesto di una settimana di ritiro. Il rischio che si corre, infatti, è di lasciare
«disoccupati» tutta una serie di partecipanti, i quali non sempre sono nella
condizione di gestire in modo autonomo e significativo i tempi vuoti a loro
disposizione. Fino ad oggi abbiamo fatto fronte a questo problema adattandoci alla meno peggio ai limiti impostici dagli ambienti a nostra disposizione.
E’ possibile farlo anche in futuro, in casi particolari; ma credo che non sia bene che diventi la regola. E’ un aspetto che richiede di essere preso seriamente in considerazione.
Ho così cercato di elencare alcuni punti o tematiche su cui ritengo sia necessario riflettere in vista di una programmazione intelligente della nostra futura
attività a Condino. Mi rendo conto che non è facile trovare soluzioni ottimali,
che siano ugualmente e totalmente convincenti per tutti. D’altra parte, per
quanto sia vero che si può rimediare a tutto, è altrettanto vero che questa
non è la strada migliore e abituale da imboccare. Lo scopo di tutta la pratica
meditativa è quello d’insegnarci a convivere serenamente e gioiosamente
con la realtà così come è, in atteggiamento aperto e disarmato. Ma anche
qui sono necessari un chiarimento e una distinzione. Ossia, non dobbiamo
confondere il fine con i mezzi, il traguardo ideale verso il quale siamo diretti,
con le vie che conducono a esso. Lo dice il proverbio popolare che avverte di
non fare il passo più lungo della gamba. Se i mezzi sono inadeguati o male
usati, si corre il rischio di camminare molto, ma per allontanarci invece che
avvicinarci al traguardo.
Carissimi amici e collaboratori. Ognuno di voi è il proponente di una specifica
attività, ed io sono molto riconoscente per ciò che, fino ad oggi, con buona
volontà e impegno, abbiamo portato avanti e realizzato insieme. Ma il nostro
comune denominate è anzitutto quello di essere, per quel che riguarda le attività di Condino, membri aderenti all’«Associazione il Ponte sul guado per la
meditazione e l’evoluzione della coscienza». E’ con riferimento a questa realtà che ci sentiamo uniti in un impegno specifico e comune, dove ognuno offre il suo apporto volontario di collaborazione e servizio. Di conseguenza sono certo che le questioni che ho appena sollevate, troveranno la vostra piena accoglienza e comprensione. So che vi chinerete con attenzione su di esse, per trovare insieme le più opportune soluzioni. Come ho già comunicato,
quanto detto sarà oggetto di discussione e di proficuo scambio in un prossimo incontro, al quale vorrei che ognuno di noi si preparasse con grande impegno e disponibilità, con forte senso di collaborazione e responsabilità.
Vi ringrazio di cuore per la vostra comprensione, disponibilità, pazienza e generosità. Nel contempo vi faccio di cuore i migliori auguri per l’attività che
svolgete. Auspico che ognuno viva il proprio impegno con spirito di servizio,
con attitudine altruistica, aperta e pienamente serena; ma che l’attività e
l’impegno di ognuno siano nel contempo motivo di soddisfazione e di realizzazione per voi e per quanti incontrerete lungo il percorso. Con il più fraterno saluto,
P. ANDREA
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CARI ASSOCIATI,
VI COMUNICHIAMO CHE
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DELLE INFORMAZIONI SUL
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DI DOMENICA DI PASQUA, 8 APRILE,
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DEGLI ASSOCIATI.
IL PROGRAMMA DI MASSIMA PREVEDE
IL SEGUENTE ORARIO:
CONDINO E NELLE DIVERSE
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DI PADRE
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INFORMAZIONI CHE NON STIAMO
AD INDICARE MA CHE VI LASCIAMO
SCOPRIRE VISITANDOLO
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TROVERETE ANCHE UNA LOCANDINA
DOVE AVRETE LA POSSIBILITÀ DI
CONTATTARCI E SCRIVERE I VOSTRI
SUGGERIMENTI.
QUINDI NON CI RESTA ALTRO CHE
AUGURARVI BUONA VISITA !!!!!!!!!!!!
08.00 SVEGLIA
08.30 PRIMA COLAZIONE
09.30 MEDITAZIONE E, DI SEGUITO,
CELEBRAZIONE DELL’EUCARISTIA
11.00 ASSEMBLEA
13.00 PRANZO
SE QUALCUNO DEI PARTECIPANTI ALLA
SETTIMANA DOPO PASQUA INTENDE
ANTICIPARE IL PROPRIO ARRIVO A
CONDINO, COSÌ DA PRESENZIARE
ALL’ASSEMBLA,
LO ANNUNCI AL MOMENTO
DELL’ISCRIZIONE AL CORSO.
SE INTENDE VENIRE GIÀ SABATO4 APRILE,
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ACCOGLIENZA
Inizia nel pomeriggio di
mercoledì 4 Aprile,
Aprile a partire dalle
ore 18.00 e si protrae lungo tutta
la mattinata di giovedì 5 Aprile.
Aprile
Alle ore 17.00 di giovedì 5 Aprile
celebreremo la Cena del Signore,
Signore
che ci introduce nel mistero pasquale
della passione, morte e risurrezione
del Signore. L’incontro termina con
l’Assemblea degli Associati,l’Eucaristia
Associati l’Eucaristia
e il pranzo di Domenica 8 Aprile.
COSTI
Le quote di partecipazione sotto indicate
sono comprensive di vitto, alloggio,
partecipazione corso.
Per chi partecipa solo parzialmente
saranno dedotte le spese di vitto e
alloggio dei giorni di assenza.
€ 210.210 associati, camera singola
€ 180.180 associati, camera doppia
€ 260.260 non associati, camera singola
€ 220.220 non associati, camera doppia
ISCRIZIONE
da farsi telefonicamente, come indicato
a pag. 11,
11 entro il 10 Marzo.
Marzo Indicate pure se partecipate o meno all’Assemblea
Assemblea
degli Associati,
Associati al pranzo di Domenica 8
Aprile e, se sì, alla settimana dal 9 al 14
Aprile.
MODALITA’ E CONDIZIONI
vedi volantino corsi, allegato
ACCOGLIENZA
Per chi non era già presente a Pasqua,
l’accoglienza inizia lunedì 9 Aprile,
Aprile
a partire dalle ore 17.00.
17.00
Coloro, invece, che hanno partecipato
al precedente incontro, dovranno
provvedere in proprio al pranzo
di lunedì, per lasciar libero il personale
di pulizia. L’incontro termina con la
prima colazione di Sabato 14 Aprile.
Aprile
COSTI
Le quote di partecipazione sotto
indicate sono comprensive di vitto,
alloggio, partecipazione corso.
€ 300.300 associati, camera singola
€ 250.250 associati, camera doppia
€ 350.350 non associati, camera singola
€ 300.300 non associati, camera doppia
ISCRIZIONE
l’iscrizione va fatta telefonicamente,
secondo le indicazioni riportate a
pag. 13,
13 entro il 10 Marzo.
Marzo
MODALITA’ E CONDIZIONI
vedi volantino corsi , allegato
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Oggi pomeriggio ho guardato alcune stampe giapponesi ...
Mi sono resa conto che è così che voglio scrivere:
con altrettanto spazio intorno a poche parole.
Troppe parole mi danno fastidio.
Vorrei scrivere parole che siano organicamente inserite in un gran silenzio,
e non parole che esistono solo per coprirlo e disperderlo:
dovrebbero accentuarlo, piuttosto.
Come in quell’illustrazione con un ramo fiorito nell’angolo in basso:
poche, tenere pennellate — ma che resa dei minimi dettagli —
e il grande spazio tutt’intorno,
non un vuoto, ma uno spazio che si potrebbe piuttosto definire ricco
d’anima.
Io detesto gli accumuli di parole. In fondo, ce ne vogliono così poche
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per dir quelle quattro cose che veramente contano nella vita.
Se mai scriverò — e chissà poi che cosa? —, mi piacerebbe dipinger
poche parole su uno sfondo muto. E sarà più difficile rappresentare e dare
un’anima a quella quiete e a quel silenzio che trovare le parole stesse,
e la cosa più importante sarà stabilire il giusto rapporto tra parole e silenzio,
il silenzio in cui succedono più cose che in tutte le parole affastellate insieme.
E in ogni novella, o altro che sia, lo sfondo muto dovrà avere un suo colore
e un suo contenuto, come capita appunto in quelle stampe giapponesi.
Non sarà un silenzio vago e inafferrabile, ma avrà i suoi contorni,
i suoi angoli la sua forma: e dunque le parole dovranno servire soltanto
a dare al silenzio la sua forma e i suoi contorni.
ETTY HILLESUM, DIARIO 1941-1943
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un viaggio
nel mondo
interiore
Il diario di una donna di Amsterdam di 27 anni.
Un’incessante ricerca dell’essenziale,
delle sorgenti della propria esistenza,
del veramente umano in aperto contrasto
con l’inumanità che la circonda : una battaglia
contro le forze dell’io e le forze della storia.
L’Olanda vive l’occupazione tedesca
con la relativa persecuzione degli ebrei
rivolta alla loro distruzione a cui Etty,
ebrea, cerca di erigere una barriera interiore.
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Paradossalmente, per lei è un periodo di crescita
e di liberazione individuale che la porta ad un
atteggiamento verso la vita di “altruismo radicale”.
Le ultime parole del suo diario sono:
SI VORREBBE ESSERE UN BALSAMO PER MOLTE FERITE.
L’inizio del Diario corrisponde al momento
in cui Etty conosce Julius Spier, allievo di Jung
(nel Diario indicato con S.) di cui fu paziente,
poi amante e compagna intellettuale.
Mentre scrive, gli ebrei sono sempre più stretti
nel ghetto, poi Etty si trova nel “campo
ETTY HILLESUM *
di smistamento” di Westerbork e
DIARIO 19411941-1943
muore ad Auschwitz nel 1943.
ADELPHI
Parole che diventano testimonianza.
EDIZIONI
estratti dal diario
Di Etty Hillesum 19411941-1943 *
Devo badare a tenermi in contatto con questo quaderno, vale a dire con me stessa:
altrimenti potrebbe andar male, potrei smarrirmi a ogni momento, anche adesso mi
sento un po’ così, ma potrebbe essere stanchezza.
I pensieri sono spesso così chiari e limpidi nella mia testa, i sentimenti così profondi, ma
non riesco ancora a metterli per iscritto. Dev’essere più che altro la vergogna. Mi sento
molto impacciata, non ho il coraggio di lasciarmi andare. Ma sarà pur necessario,
se voglio indirizzare la mia vita verso un fine ragionevole e soddisfacente.
La vita è difficile davvero, è una lotta di minuto in minuto (non esagerare, tesoro!), ma
è una lotta invitante, Una volta io m’immaginavo un futuro caotico perché mi rifiutavo
di vivere l’istante più prossimo. Ero come un bambino molto viziato, volevo che tutto
mi fosse regalato.
É tutto sbagliato un’altra volta. “Io voglio qualcosa e non so che cosa”.
Di nuovo mi sento presa da una grandissima irrequietezza e ansia di ricerca, tutto è
in tensione nella mia testa. Penso con una certa invidia alle ultime due domeniche:
le giornate si stendevano dinanzi a me come grandi, aperte pianure che potevo
attraversare liberamente, erano prospettive ampie e sgombre. E ora mi ritrovo
in mezzo agli arbusti.
Tutto è cominciato ieri sera, quando l’irrequietezza ha preso a salirmi dentro da ogni
parte come i vapori da una palude ... è ricominciata quella scontentezza quel cercare
irrequieto e sentire il vuoto dietro le cose: sentire che la vita non trova un
suo compimento ma è un rimescolio senza costrutto. E in questo momento sono nella
palude. E neppure il pensiero che anche questo passa, dopo tutto, riesce
a darmi un po’ di pace .
E con ciò ho toccato un punto importante. Una volta, se mi piaceva un fiore, avrei
voluto premermelo sul cuore, o addirittura mangiarmelo. La cosa era più difficile
quando si trattava di un paesaggio intero, ma il sentimento era identico. Ero troppo
sensuale, vorrei quasi dire troppo “possessiva” : provavo un desiderio troppo fisico per
le cose che mi piacevano, le volevo avere. È per questo che sentivo sempre quel
doloroso insaziabile desiderio, quella nostalgia per un qualcosa che mi appariva
irraggiungibile, nostalgia che chiamavo allora « impulso creativo ». Credo che fossero
queste forti emozioni a farmi pensate di esser nata per fare l’artista. Ora, d’un tratto,
non è più così, anche se non so dire per quale processo interiore. Me ne sono appena
resa conto stamattina, ripensando a una piccola passeggiata intorno all’Ijsclub qualche
sera fa. Era il crepuscolo: tenere sfumature nel cielo, misteriose sagome delle case,
gli alberi vivi col trasparente intreccio dei loro rami, in una parola era un incanto.
Mi ricordo benissimo di come sentivo ‘una volta’: trovavo tutto talmente bello che mi
faceva male al cuore. Allora la bellezza mi faceva soffrire e non sapevo che farmene
di quel dolore. Allora sentivo il bisogno di scrivere o di far poesie, ma le parole non mi
volevano mai venire. E mi sentivo terribilmente infelice. In fondo io mi ubriacavo di
un paesaggio simile, e poi mi ritrovavo del tutto esaurita. Mi costava un’enorme
quantità di energie. Ora chiamerei questo comportamento « onanismo ».
Ma quella sera, solo pochi giorni fa, ho reagito diversamente, Ho accettato con gioia
la bellezza di questo mondo di Dio, malgrado tutto. Ho goduto altrettanto
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intensamente di quel paesaggio tacito e misterioso nel crepuscolo, ma in modo
per così dire ‘oggettivo’. Non volevo più ‘possederlo’. Sono tornata a casa rinvigorita,
al mio lavoro. E quel paesaggio è rimasto presente sullo sfondo come un abito che
rivesta la mia anima — tanto per dirla con paroloni —, ma non m’impacciava più,
non era più ‘onanismo’.
… E poi, quando mi ero seduta di nuovo di fronte a lui ed ero ammutolita, forse avevo
avuto la stessa reazione di quando attraverso un paesaggio che mi tocca l’anima.
Lo volevo ‘possedere’. Volevo che S. fosse anche mio, Per quanto io non lo desideri
come uomo — non mi ha ancora veramente colpita, sessualmente parlando, anche se
sento sempre quella tensione in sottofondo —, S. mi ha toccata nel profondo del mio
essere, e questo è ancora più importante. E così lo volevo avere in un modo o nell’altro,
provavo odio o gelosia per tutte le donne di cui mi aveva raccontato e forse mi chiedevo,
sia pur inconsciamente, se sarebbe rimasto qualcosa per me e me lo sentivo sfuggire.
Erano sentimenti piuttosto meschini, non certo elevati, ma me ne rendo conto soltanto
ora. In quel momento io mi sentivo infelicissima e sola, cosa che adesso capisco
benissimo, avrei voluto andar via e mettermi a scrivere. Credo di capire anche questo.
È un altro modo di ‘possedere’, di attirare le cose a sé con parole e immagini. L’impulso
che mi spingeva a scrivere dev’essere stato soprattutto il desiderio di nascondermi
agli altri con tutti i tesori che avevo accumulato, — di annotare ogni cosa e di goderla
tenendomela per me. E adesso, improvvisamente, questo atteggiamento che per ora
chiamo ”possessivo” è cessato. Mille catene sono state spezzate, respiro di nuovo
liberamente, mi sento in forze e mi guardo intorno con occhi raggianti.
E ora che non voglio più possedere nulla e che sono libera, ora possiedo tutto e la mia
ricchezza interiore è immensa.
… E non chiedo più a Han cento volte al giorno: « Mi vuoi ancora bene? », « Mi vuoi
ancora tanto bene? », « Sono proprio il tuo tesoro? ». Anche questo era un modo
di aggrapparsi, un aggrapparsi fisico a ciò che fisico non è. Ora vivo e respiro con
la mia anima, sempre che mi sia concesso usare questo termine screditato.
E ora capisco anche le parole di S. dopo la mia prima visita da lui. « Quel che c’è qui »
(e indicava la testa) « deve finire qui » (e indicava il cuore). Allora io non capivo bene
come questo processo potesse attuarsi nel suo lavoro, ma in ogni caso è successo,
anche se non saprei dire come. Ha pure assegnato il posto giusto alle cose che
già facevano parte di me, come in un puzzle: tutti i pezzetti erano sparsi alla rinfusa
e lui li ha ricomposti in un insieme ricco di significato … .
E ora mi sento pari a lui, sento che la mia lotta bilancia la sua, che anche in me
gli istinti impuri e quelli più nobili si danno battaglia.
È un problema attuale: il grande odio per i tedeschi che ci avvelena l’animo.
Espressioni come: « che anneghino tutti, canaglie, che muoiano col gas », fanno ormai
parte della nostra conversazione quotidiana; a volte fanno sì che uno
non se la senta più di vivere, di questi tempi.
Ed ecco che improvvisamente, qualche settimana fa, è spuntato il pensiero liberatore,
simile a un esitante e giovanissimo stelo in un deserto d’erbacce: se anche
non rimanesse che un solo tedesco decente, quest’unico tedesco meriterebbe
di essere difeso contro quelIa banda di barbari, e grazie a lui non si avrebbe il diritto
di riversare il proprio odio su un popolo intero.
Questo non significa che uno sia indulgente nei confronti di determinate tendenze,
si deve ben prendere posizione, sdegnarsi per certe cose in certi momenti,
provare a capire, ma quell’odio indifferenziato è la cosa peggiore che ci sia.
È una malattia dell’anima.
È tutto un mondo che va in pezzi. Ma il mondo continuerà ad andare avanti e per ora
andrò avanti anch’io. Restiamo certo un po’ impoveriti, — ma io mi sento ancora così
ricca, che questo vuoto non m’è entrato veramente dentro. Però dobbiamo tenerci
in contatto col mondo attuale e dobbiamo trovarci un posto in questa realtà, non si può
vivere solo con le verità eterne, così rischieremmo di fare la politica degli struzzi.
Vivere pienamente, verso l’esterno come verso l’interno, non sacrificare nulla della
realtà esterna a beneficio di quella interna, e viceversa: considera tutto ciò come
un bel compito per te stessa. E ora leggo ancora una stupida novelletta dalla rivista
Libelle e poi a dormire. Domani si lavora dì nuovo, alla scienza, alla casa, e a me stessa
non si può trascurare nulla e non si può neppure prendersi troppo sul serio.
Forse è solo la stanchezza fisica — quella che tutti sentono in questa fredda primavera —
a impedire che le cose circostanti trovino risonanza in me.
Si cerca sempre una formula liberatoria, un pensiero chiarificatore. Poco fa, durante
un giretto in bicicletta, nel freddo, ho pensato improvvisamente: forse rendo tutto
troppo complicato e “interessante” e mi rifiuto di guardare ai fatti nudi e semplici.
Ci s’interroga sul senso della vita, ci si domanda se essa abbia ancora un senso:
ma per questo bisogna vedersela esclusivamente con se stessi, e con Dio.
Forse ogni vita ha il proprio senso, forse ci vuole una vita intera per riuscire a trovarlo.
O tutto è casuale, o niente lo è. Se io credessi nella prima affermazione non potrei vivere,
ma non sono ancora convinta della seconda … .
Ieri, per un momento, ho pensato che non avrei potuto continuare a vivere, che avevo
bisogno d’aiuto. La vita e il dolore avevano perso il loro significato, avevo la sensazione
di “sfasciarmi” sotto un peso enorme, ma anche questa volta ho combattuto
una battaglia che poi all’improvviso mi ha permesso di andare avanti, con maggior forza.
Ho provato a guardare in faccia il « dolore » dell’umanità, coraggiosamente e
onestamente, ho affrontato questo dolore o piuttosto lo ha fatto qualcosa in me stessa,
molti interrogativi disperati hanno trovato risposta, l’assurdità completa ha ceduto
il posto a un po’ più d’ordine e di coerenza: ora posso andare avanti di nuovo.
È stata un’altra breve ma violenta battaglia, ne sono uscita con un pezzetto
di maturità in più.
Ho scritto che mi sono confrontata col « dolore dell’Umanità » (questi paroloni mi fanno
ancora paura), ma non è del tutto esatto. Mi sento piuttosto come un piccolo campo
di battaglia su cui si combattono i problemi, o almeno alcuni problemi del nostro tempo.
L’unica cosa che si può fare è offrirsi umilmente come campo di battaglia. Quei problemi
devono pur trovare ospitalità da qualche parte, trovare un luogo in cui possano
combattere e placarsi, e noi, poveri piccoli uomini, noi dobbiamo aprir loro
il nostro spazio interiore, senza sfuggire. Forse, su questo punto, io sono davvero
molto ospitale, a volte sono come un campo di battaglia insanguinato e poi lo pago
con un gran sfinimento e con un forte mal di capo. Ma ora sono semplicemente
me stessa: Etty Hillesum, una laboriosa studentessa in una camera ospitale con dei libri
e con un vaso di margherite. Scorro di nuovo nel mio stretto alveo e il contatto con
« Umanità », « Storia Universale » e « Dolore » s’è interrotto un’altra volta. Così dev’essere,
del resto, altrimenti una persona impazzirebbe. Non ci si può sempre perdere
nei grandi problemi, non si può essere sempre come un campo di battaglia;
dobbiamo poter ricuperare i nostri stretti confini e continuare dentro di essi — scrupolosamente e coscienziosamente — la nostra vita limitata, mentre quei momenti di contatto
quasi “impersonale” con tutta l’umanità ci rendono ogni volta più maturi e profondi.
Forse, in futuro, saprò esprimermi meglio …
Se uno si è rovinato lo stomaco, dovrebbe cominciare una dieta ragionevole invece
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di prendersela con le leccornie che, secondo lui, hanno causato la sua indisposizione;
invece di comportarsi come un bambino, dovrebbe preoccuparsi
della propria sregolatezza.
devo avere il coraggio di vivere la vita con la “carica di significato” che essa pretende,
senza per questo considerarmi pesante, o sentimentale, o innaturale. E non devo
considerare S. come un fine, ma come un mezzo per continuare a crescere e a maturare.
La sorgente di ogni cosa ha da essere la vita stessa, mai un’altra persona.
Molti, invece — soprattutto donne — attingono le proprie forze da altri: è l’uomo la loro
sorgente, non la vita. Mi sembra un atteggiamento quanto mai distorto e innaturale.
Le cose veramente primordiali in me sono i sentimenti umani, una sorta di amore
e di compassione elementari che provo per le persone, per tutte le persone.
E poi c’è quella strana irrequietezza che non so ancora come incanalare. Ma chissà
che essa non possa dare buon frutto nel mio lavoro, quando saprò governarla.
Non ci siamo proprio, mia cara, devi strappare ancora molto terreno alle
onde arrabbiate, devi mettere ordine nel caos. Mi viene in mente un’osservazione
recente di S: « Lei non è affatto così caotica, lei ha solo il ricordo di quando trovava
che essere caotici fosse più geniale che essere più disciplinati. Trovo che lei si concentra
sempre molto bene ».
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S. dice che l’amore per tutti gli uomini è superiore all’amore per un uomo solo:
perché l’amore per il singolo è una forma di amore di sé.
S. è un uomo maturo di 55 anni, che ha raggiunto questo stadio di amore per tutti
gli uomini dopo aver amato molte persone singole, nel corso della sua lunga vita.
Io sono una donnetta di 27 anni: anch’io mi porto dentro questo grande amore
per tutta l’umanità, eppure mi domando se non continuerò a cercarmi
il mio unico uomo … .
Non è proprio così semplice, questa questione femminile. A volte, quando vedo
per strada una donna bella e ben curata, assolutamente femminile e magari
un po’ stupida, sono capace di perdere la testa: allora il mio cervello, le mie lotte
e sofferenze mi diventano un peso, li sento come qualcosa di brutto e di non femminile
e vorrei essere solo bella e stupida, una specie di giocattolo desiderato da un uomo.
È tipico che io voglia essere sempre desiderata dall’uomo, che la nostra femminilità
sia sempre la suprema conferma del nostro essere mentre è cosa quanto mai primitiva.
I sentimenti di amicizia, stima, amore per noi donne in quanto persone sono tutte belle
cose — ma in fin dei conti, non vogliamo forse che l’uomo come tale ci desideri
come donne? Non riesco quasi a esprimermi, è una questione infinitamente complicata
ma è essenziale che ne venga a capo.
A volte mi sento proprio come una pattumiera; sono così torbida, piena di vanità,
irrisolutezza, senso d’inferiorità. Ma in me c’è anche onestà, e un desiderio appassionato,
quasi elementare dì chiarezza e di armonia tra esterno e interno.
A volte vorrei essere nella cella di un convento, con la saggezza di secoli sublimata
sugli scaffali lungo i muri, e con la vista che spazia su campi di grano,
devono proprio essere campi di grano, e devono anche ondeggiare al vento. Lì vorrei
sprofondarmi nei secoli, e in me stessa. E alla lunga troverei pace e chiarezza.
Ma questo non è poi tanto difficile. È qui, ora, in questo luogo e in questo mondo,
che devo trovare chiarezza e pace e equilibrio. Devo buttarmi e ributtarmi nella realtà,
devo confrontarmi con tutto ciò che incontro sul mio cammino, devo accogliere
e nutrire il mondo esterno col mio mondo interno e viceversa, ma è tutto terribilmente
difficile e proprio per questo mi sento così oppressa.
… e allora mi sono resa conto di quanto grande sarà il peso di S. sullo sviluppo ulteriore
del mio spirito purché io continui a ‘confrontarmi’ seriamente e onestamente con lui
e con me stessa, e coi numerosi problemi che per me nasceranno sempre dal nostro rapporto. “Carico di significato”:
Non so che cosa pensare. Con tutto il dolore che ho intorno, comincio a vergognarmi
di prendere sul serio i miei umori. Eppure devi continuare a prenderti sul serio,
devi rimanere il centro, e in qualche modo devi venire a capo dei fatti di questo mondo;
in nessuna situazione puoi chiudere gli occhi, devi ‘confrontarti’ con questi tempi orribili,
e cercare una risposta alle numerose questioni di vita e di morte che essi ti pongono.
E allora forse troverai una risposta ad alcune di esse, non solo per te ma anche per gli altri.
Sta di fatto che devo vivere, e che devo affrontare ogni cosa. A volte mi sento come
un palo ritto in un mare infuriato, fra le onde che lo battono da ogni parte. Ma io rimango
ben ferma e gli anni mi passano sopra. Voglio continuare a vivere pienamente. Voglio
diventare il cronista di tanti fatti di questo tempo (al piano di sotto lamenti e urla,
papà grida: vattene allora, e sbatte le porte; anche questo va digerito e d’un tratto piango,
dunque non sono ancora così oggettiva; la vita è proprio impossibile in questa casa,
ma coraggio, andiamo avanti); sì, un cronista, dicevo. Io noto che alla mia sofferenza
personale si accompagna sempre una curiosità oggettiva, un interesse appassionato
per tutto ciò che riguarda questo mondo, i suoi uomini, i moti della mia anima.
A volte credo che sia questo il mio compito: chiarire nella mia testa, e col tempo
descrivere, tutto ciò che accade intorno a me. Povera testa e povero cuore, quante cose
vi toccherà digerire? Ricca testa e ricco cuore, avete però una bella vita!
Già non piango più. Ma ho la testa che gira in modo terribile. Qui è un inferno.
Per rappresentarlo, dovrei saper scrivere già molto bene. In ogni caso, io vengo
da questo caos, ed è mio compito portarmi più in alto.
A volte siamo così distratti e sconvolti da ciò che capita, che poi fatichiamo a ritrovare
noi stessi. Eppure si deve. Non si può affondare, per una sorta di senso di colpa, in ciò
che ci circonda. È in te che le cose devono venir in chiaro,
non sei tu che devi perderti nelle cose.
Ma il fatto è che la vita è composta di contraddizioni, che queste
vanno accettate tutte come sue parti integranti, e che non si può
accentuarne una a spese di un’altra. Lascia che il tutto giri e forse
diventerà ancora un unico insieme. Come ti ho già detto, dovresti
andare a dormire, invece di scrivere cose che non sei ancora in
grado di formulare.
Andava così bene giovedì sera, sul treno da Arnhem a qui. Dietro i finestrini
dello scompartimento la notte cresceva quieta, ampia e maestosa. Il trenino era affollato
di operai animati e pieni di vita. Ero seduta nel mio angolino in penombra, con l’occhio
destro guardavo la natura quieta e col sinistro le teste espressive e i gesti pittoreschi
delle persone. Tutto mi andava bene la vita come gli uomini. Poi c’era stato quel lungo
tratto a piedi dalla Amstelstation per la città quasi buia e come incantata. D’un tratto
avevo avuto la sensazione di non essere sola ma ‘in due’: come se fossi composta
di due persone che si stringessero affettuosamente e che stessero bene così, al caldo.
Un forte contatto con me stessa e perciò un buon caldo dentro, un senso
di autosufficienza. Chiacchieravo animatamente fra me e me e trotterellavo con gran
piacere per tutti quei viali lungo l’Amstel, completamente immersa in me stessa.
Constatavo con un certo piacere che mi facevo proprio buona compagnia, e che
andavo proprio d’accordo con me stessa.
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Ultimamente mi capita spesso di trovare che non vivere è più facile di vivere.
Eppure, fintanto che la disciplina interiore non è a posto,quella esteriore rimane
importantissima per me.
Dentro di me c’è una melodia che a volte vorrebbe tanto essere tradotta in parole sue.
Ma per la mia repressione, mancanza di fiducia, pigrizia e non so che altro,
rimane soffocata e nascosta. A volte mi svuota completamente. E poi mi colma
di nuovo di una musica dolce e malinconica.
A volte vorrei rifugiarmi con tutto quello che ho dentro in un paio di parole. Ma
non esistono ancora parole che mi vogliano ospitare. È proprio così. Io sto cercando
un tetto che mi ripari ma dovrò costruirmi una casa, pietra su pietra. E così ognuno
cerca una casa, un rifugio per sé. E io mi cerco sempre un paio di parole.
A volte mi sembra che ogni parola che vien detta, e ogni gesto che vien fatto,
accrescano il grande equivoco. Allora vorrei sprofondarmi in un gran silenzio e
vorrei anche imporre questo silenzio agli altri. Sì, a volte qualunque parola accresce
i malintesi su questa terra troppo loquace.
Fa’ ciò che la tua mano e il tuo spirito si trovano a fare, tuffati in ogni ora e non metterti
subito a ruminare con i tuoi pensieri, le tue parole e le tue preoccupazioni
sulle ore successive. Devi riprendere in mano la tua educazione.
L’unica norma che hai sei tu stessa, lo ripeto sempre. E l’unica responsabilità che puoi
assumerti nella vita è la tua. Ma devi assumerla pienamente.
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Paura di vivere su tutta la linea. Cedimento completo. Mancanza di fiducia in me stessa.
Repulsione. Paura … .
Mentre sono piena di problemi di etica, di verità, e persino di Dio, ecco che spunta fuori
un “problema di cibo”. … Probabilmente ho la stessa avidità nella mia vita spirituale.
Questo voler incamerare un’enorme quantità di cose, che ogni tanto culmina
in una pesante indigestione.
Da qualche parte in me ci sono una malinconia, una tenerezza e anche un po’
di saggezza che cercano una forma. A volte mi passano dentro dialoghi, immagini e
figure, atmosfere. Questo improvviso affiorare di qualcosa che dovrà diventare la mia
verità. Questo amore per gli altri che dovrà esser conquistato, non nella politica
o in un partito, ma in me stessa. C’è ancora una falsa timidezza che m’impedisce
di confessarlo. La ragazza che non sapeva inginocchiarsi e che pure lo aveva imparato,
sul ruvido tappeto di cocco di una disordinata camera da bagno. Ma sono faccende
intime, quasi più intime di quelle del sesso. Vorrei poter rappresentare in tutte
le sue sfumature questo processo interiore, la storia della ragazza che aveva imparato
ad inginocchiarsi … .
Mi sembra di reggermi di nuovo su me stessa. Sono un po’ più autonoma e
indipendente. Ieri sera pedalavo per la fredda e buia Larissestraat , se solo potessi
ripetere tutto quel che ho borbottato allora:
Mio Dio, prendimi per mano, ti seguirò da brava, non farò troppa resistenza. Non
mi sottrarrò a nessuna delle cose che mi verranno addosso in questa vita, cercherò
di accettare tutto e nel modo migliore. Ma concedimi di tanto in tanto un breve
momento di pace. Non penserò più, nella mia ingenuità, che un simile momento debba
durare in eterno, saprò anche accettare l’irrequietezza e la lotta. Il calore e la sicurezza
mi piacciono, ma non mi ribellerò se mi toccherà stare al freddo purché tu mi tenga
per mano. Andrò dappertutto allora, e cercherò di non aver paura. E dovunque
mi troverà, io cercherò d’irraggiare un p0’ di quell’amore, di quel vero amore per
gli uomini che mi porto dentro. Ma non devo neppure vantarmi di questo ‘amore’.
Non so se lo possiedo. Non voglio essere niente di così speciale, voglio solo cercare
di essere quella che in me chiede di svilupparsi pienamente. A volte credo di desiderare
l’isolamento di un chiostro. Ma dovrò realizzarmi tra gli uomini, e in questo mondo.
E lo farò, malgrado la stanchezza e il senso di ribellione che ogni tanto mi prendono.
Prometto di vivere questa vita sino in fondo, di andare avanti. Certe volte mi viene da
pensare che la mia vita sia appena all’inizio e che le difficoltà debbano ancora
cominciare, altre volte mi sembra di aver già lottato abbastanza. Studierò e cercherò di
capire, ma credo che dovrò pur lasciarmi confondere da quel che mi capita e che
apparentemente mi svia: mi lascerò sempre confondere, per arrivare forse a una sempre
maggior sicurezza. Fin quando non potrò più smarrirmi, e si sarà stabilito un profondo
equilibrio — un equilibrio in cui tutte le direzioni saranno sempre possibili. Non so
se potrò essere un’amica per gli altri. E se non potrò esserlo perché non è nel
mio carattere, bisogna che affronti anche questo. In ogni caso non devi mai illuderti,
devi aver misura. E tu sola puoi essere misura a te stessa.
È come se ogni giorno io sia scaraventata in un gran crogiolo e ogni giorno io riesca
a uscirne.
Certe volte mi capita di pensare: la mia vita è completamente sbagliata, c’è un errore:
ma questo capita solo quando ci si fa una determinata idea della vita, rispetto a cui
può apparire sbagliato come realmente viviamo.
A volte, ultimamente, mi capita di vedere una singola frase della Bibbia in una luce
nuova, ricca di significato e di vita. Dio creò il mondo a sua somiglianza.
Amate il prossimo vostro come voi stessi. Ecc.
Non ci si dovrebbe mai lasciar paralizzare da una cosa sola, per grave che essa sia,
la gran corrente della vita deve continuare a scorrere.
Mi accorgo che questo stato d’animo si ripete ogni volta: dopo giorni di vita interiore
terribilmente intensa, ricerca di chiarezza, doglie patite per sentimenti e pensieri che
non sono affatto pronti per nascere, enormi pretese da parte mia, e la ricerca di
una piccola forma propria che diventa di un’importanza capitale, ecc, ecc, ecc. ecco che
poi tutto quest’affanno, improvvisamente, mi cade di dosso; il mio cervello è
piacevolmente stanco, c’è bonaccia di nuovo, sento quasi una sorta di dolcezza anche
verso me stessa, e su di me cala un velo attraverso cui la vita filtra più mite, e spesso
più ridente. Sento allora di essere tutt’uno con la vita. Inoltre: che non sono io
individualmente a volere o a dovere fare questo o quello, ma che la vita è grande e
buona e attraente e eterna — e se tu dai tanta importanza a te stessa, ti agiti e fai chiasso,
allora ti sfugge quella grande, potente, e eterna corrente, che è appunto la vita.
È proprio in questi momenti — e quanto ne sono riconoscente — che ogni aspirazione
personale mi abbandona, la mia ansia, per esempio, di conoscere e sapere si acquieta,
e un piccolo pezzo d’eternità scende su di me con un largo colpo d’ala. So bene che
questo stato d’animo non dura a lungo: magari è già passato dopo mezz’ora, ma
nel frattempo ho potuto di nuovo attingervi forza.
E che importa se studio una pagina di libro in più o in meno? Purché tu viva dando
ascolto al ritmo che ti porti dentro — a ciò che sale dal fondo di te stessa. Gran parte
del tuo comportamento è una forma d’imitazione, oppure risponde a doveri inventati,
o a preconcetti errati su come una persona debba essere. L’unica sicurezza su come tu
ti debba comportare ti può venire dalle sorgenti che zampillano nel profondo di
te stessa. E io Io dico ora con tutta umiltà e riconoscenza e sincerità, anche se so bene
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che tornerò a essere suscettibile e ribelle: Dio mio, ti ringrazio perché mi hai creata così
come sono. Ti ringrazio perché talvolta posso essere così colma di vastità, quella vastità
che non è poi nient’altro che il mio esser ricolma di te. Ti prometto che tutta la mia vita
sarà un tendere verso quella bella armonia, e anche verso quell’umiltà e vero amore
di cui sento la capacità in me stessa, nei momenti migliori.
E non erano teorie: i nostri professori sono imprigionati, un altro amico di Jan è stato
ammazzato, ma c’è ancora dell’altro , troppo per farne un elenco, e noi ci dicevamo:
sono così a buon prezzo, quei sentimenti di vendetta. Era proprio una luce, oggi.
Ieri sera, subito prima di andare a letto, mi sono trovata improvvisamente in ginocchio
nel mezzo di questa grande stanza, tra le sedie di acciaio sulla stuoia chiara.
Un gesto spontaneo spinta a terra da qualcosa che era più forte di me. Tempo fa
mi ero detta mi esercito nell’inginocchiarmi. Esitavo ancora troppo davanti a questo
gesto che è così intimo come i gesti dell’amore, di cui pure non si può parlare se
non si è poeti. Qualche volta ho la sensazione di avere Dio dentro di me, aveva detto
un paziente a S., per esempio quando ascolto la Matthäus-Passion. E S. aveva risposto
all’incirca che « in quei momenti Iui era in contatto diretto con le forze creative e
cosmiche che operano in ogni persona»; e che « questo principio creativo era
in definitiva una parte di Dio, si doveva avere solo il coraggio di dirlo ».
Queste parole mi accompagnano già da settimane: si deve avere anche il coraggio
di dirlo. Avere il coraggio di pronunciare il nome di Dio.
Mi sembra presuntuoso affermare che un uomo possa determinare il proprio destino
dall’interno. Quel che invece un uomo ha in mano è il proprio orientamento interiore
verso il destino.
La mattina domenicale grigia e silenziosa sta crescendo e facendosi giorno chiaro,
il giorno continuerà a crescere diventando sera, e io cresco con essi. In questi ultimi
tre giorni è come se io fossi passata attraverso un processo di maturazione di anni.
E quando si parla di sterminare, allora che sia il male nell’uomo, non l’uomo stesso.
Può sembrare paradossale, ma S. guarisce le persone insegnando loro ad accettare
il dolore.
22
Ancora due parole, più che altro per il piacere di essere ospite di me stessa presso
questa lampada.
E ora mi capita di dovermi inginocchiare di colpo davanti al mio letto, persino in una
fredda notte d’inverno. Ascoltarsi dentro. Non lasciarsi più guidare da quello che
si avvicina da fuori, ma da quello che s’innalza dentro. È solo un inizio, me ne rendo
conto, Ma non è più un inizio vacillante, ha già delle basi.
Mi sento così “normale” e così bene — senza quei pensieri terribilmente profondi e
tormentosi e quei sentimenti pesanti —, proprio normalissima, però piena di vita e
molto profonda, una profondità che sento pure come “normale”.
Ho dovuto percorrere un cammino faticoso per ritrovare quel gesto intimo verso Dio,
la sera alla finestra, per poter dire: ti ringrazio, Signore. Nel mio mondo interiore regnano
tranquillità e pace. È stato proprio un cammino faticoso. Ora sembra tutto così semplice
e così ovvio. Questa frase mi ha perseguitata per settimane: « Bisogna osar dire che
si crede ». Osar pronunciare il nome di Dio. In questo momento, un po’ fiacca e stanca
e triste e non del tutto contenta di me stessa, non sento così, ma so che questo
sentimento esiste.
Jan chiedeva con amarezza: cosa spinge l’uomo a distruggere gli altri? E io: gli uomini,
dici, ma ricordati che sei un uomo anche tu. E inaspettatamente, quel testardo, brusco
Jan era pronto a darmi ragione. Il marciume che c’è negli altri c’è anche in noi,
continuavo a predicare; e non vedo nessun’altra soluzione, veramente non ne vedo
nessun’altra, che quella di raccoglierci in noi stessi e di strappar via il nostro marciume.
Non credo più che si possa migliorare qualcosa nel mondo esterno senza aver prima
fatto la nostra parte dentro di noi. È l’unica lezione di questa guerra: dobbiamo cercare
in noi stessi, non altrove. …
Ho aperto a casaccio la Bibbia ma stamattina non dava risposta.
Ciò che qualificava la vita di ciascuno era l’atteggiamento interiore verso quei fatti.
Per me era da compiangere più di coloro a cui stava urlando; e questi, a loro volta,
facevano pena nella misura in cui erano impauriti.
In fondo, io non ho paura. Non per una forma di temerarietà, ma perché sono cosciente
del fatto che ho sempre a che fare con degli esseri umani, e che cercherò di capire ogni
espressione, di chiunque sia e fin dove mi sarà possibile.
Un’altra cosa ancora dopo quella mattina: la mia consapevolezza di non essere capace
di odiare gli nomini malgrado il dolore e l’ingiustizia che ci sono al mondo, la coscienza
che tutti questi orrori non sono come un pericolo misterioso e lontano al di fuori di noi,
ma che si trovano vicinissimi e nascono dentro di noi. E perciò sono molto più familiari
e assai meno terrificanti. Quel che fa paura è il fatto che certi sistemi possano crescere
al punto da superare gli uomini e da tenerli stretti in una morsa diabolica, gli autori come
le vittime: così, grandi edifici e toni, costruiti dagli uomini con le loro mani, s’innalzano
sopra di noi, ci dominano, e possono crollarci addosso e seppellirci.
Sarò capace di assumere la responsabilità di queste parole di fronte a me stessa, sarò
capace di viverle? Non possiamo farci molte illusioni. La vita diventerà molto dura e
saremo di nuovo separati, tutti noi che ci vogliamo bene. Credo che quel tempo
non sia più molto lontano. È sempre più necessario prepararci interiormente.
E alla fine di ogni giornata sento il bisogno di dire: la vita è davvero bella. Davvero,
mi sto facendo una mia opinione su questa vita — un’opinione che so persino difendere
davanti agli altri, e questo dice non poco sulla ragazzina timida che sono sempre stata.
E ci sono dei discorsi come quello di ieri sera con Jan Polak, in cui le parole
diventano testimonianza.
Perché non si potrebbe provare un grande e tenero trasporto amoroso per una
primavera, per tutti gli uomini? … E la carezza di quell’aria era così tenera e così
universale che le mani di un uomo, anche le sue, mi sembravano ruvide al confronto.
Le minacce e il terrore crescono di giorno in giorno.
M’innalzo intorno la preghiera come un muro oscuro che offra riparo, mi ritiro
nella preghiera come nella cella di un convento, ne esco fuori più “raccolta”, concentrata
e forte. Questo ritirarmi nella chiusa cella della preghiera diventa per me una realtà
sempre più grande, e anche un fatto sempre più oggettivo. La concentrazione interna
costruisce alti muri fra cui ritrovo me stessa e la mia unità, lontana da tutte le distrazioni.
E potrei immaginarmi un tempo in cui starò inginocchiata per giorni e giorni,
sin quando non sentirò di avere intorno questi muri, che m’impediranno di sfasciarmi,
perdermi e rovinarmi.
23
Oggi ancora: Michelangelo e Leonardo. Anche loro sono nella mia vita, e la riempiono.
Dostoevskij e Rilke e sant’Agostino. E gli Evangelisti. Frequento un’ottima società!
E non c’entra più il « bello spirito da letterato » di un tempo: ognuno di loro ha
qualcosa di vero da raccontarmi, e molto da vicino.
Dio, certe volte non si riesce a capire e ad accettare ciò che i tuoi simili su questa terra
si fanno l’un l’altro, in questi tempi scatenati. Ma non per questo io mi rinchiudo
nella mia stanza, Dio: continuo a guardare le cose in faccia e non voglio fuggire
dinanzi a nulla, cerco di comprendere i delitti più gravi, cerco ogni volta di rintracciare
il nudo, piccolo essere umano che spesso è diventato irriconoscibile. In mezzo
alle rovine delle sue azioni insensate. lo non me ne sto qui, in una stanza tranquilla
ornata di fiori, a godermi Poeti e Pensatori glorificando Iddio, questo non sarebbe
proprio tanto difficile, né credo di esser così estranea al mondo come dicono inteneriti
i miei buoni amici.
Ogni persona ha la sua realtà, lo so, ma io non sono un sognatore visionario, una
«bell’anima» ancora un po’ adolescente ... Io guardo il tuo mondo in faccia, Dio, e non
sfuggo alla realtà per rifugiarmi nei sogni - voglio dire che anche accanto alla realtà più
atroce c’è posto per i bei sogni - e continuo a lodare la tua creazione, malgrado tutto!
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Pensavo: com’è strano. C’è la guerra. Ci sono campi di concentramento. Piccole barbarie
si accumulano di giorno in giorno. Camminando per le strade, io so che in quella casa
c’è un figlio in prigione, in quell’altra un padre preso in ostaggio, o un figlio diciottenne
condannato a morte. E questo capita a due passi da casa mia. So quanto la gente è
agitata, conosco il grande dolore umano che si accumula e si accumula, la persecuzione
e l’oppressione, l’odio impotente e il sadismo: so che tutte queste cose esistono,
e continuo a guardar bene in faccia ogni pezzetto di realtà nemica.
Eppure, in un momento di abbandono, io mi ritrovo sul petto nudo della vita e
le sue braccia mi circondano così dolci e protettive, e il battito del suo cuore non so
ancora descriverlo: così lento e regolare e così dolce, quasi smorzato, ma così fedele,
come se non dovesse arrestarsi mai, e anche così buono e misericordioso.
Io sento la vita in questo modo, né credo che una guerra, o altre insensate barbarie
umane, potranno cambiarvi qualcosa.
Per umiliare qualcuno si dev’essere in due: colui che umilia, e colui che è umiliato e
soprattutto: che si lascia umiliare. Se manca il secondo, e cioè se la parte passiva
è immune da ogni umiliazione, questa evapora nell’aria. Restano solo delle disposizioni
fastidiose che interferiscono nella vita di tutti i giorni, ma nessuna umiliazione e
oppressione angosciose. Si deve insegnarlo agli ebrei. Stamattina pedalavo lungo
lo Stadionkade e mi godevo l’ampio cielo ai margini della città, respiravo la fresca aria
non razionata. Dappertutto c’erano cartelli che ci vietano le strade per la campagna.
Ma sopra quell’unico pezzo di strada che ci rimane c’è pur sempre il cielo, tutto quanto.
Non possono farci niente, non possono veramente farci niente. Possono renderci la vita
un po’ spiacevole, possono privarci di qualche bene materiale o di un po’ di libertà
di movimento, ma siamo noi stessi a privarci delle nostre forze migliori col nostro
atteggiamento sbagliato: col nostro sentirci perseguitati, umiliati e oppressi, col nostro
odio e con la millanteria che maschera la paura. Certo che ogni tanto si può esser tristi e
abbattuti per quel che ci fanno, è umano e comprensibile che sia così. E tuttavia: siamo
soprattutto noi stessi a derubarci da soli. Trovo bella la vita, e mi sento libera. I cieli
si stendono dentro di me come sopra di me. Credo in Dio e negli uomini e oso dirlo senza
falso pudore. La vita è difficile, ma non è grave. Dobbiamo cominciare a prendere
sul serio il nostro lato serio, il resto verrà allora da sé: e “lavorare a se stessi” non è proprio
una forma d’individualismo malaticcio. Una pace futura potrà esser veramente tale solo
se prima sarà stata trovata da ognuno in se stesso, se ogni uomo si sarà liberato dall’odio
contro il prossimo, di qualunque razza o popolo, se avrà superato quest’odio e l’avrà
trasformato in qualcosa di diverso, forse alla lunga in amore se non è chiedere troppo.
È l’unica soluzione possibile. E così potrei continuare per pagine e pagine. Quel pezzetto
d’eternità che ci portiamo dentro può esser espresso in una parola come in dieci
volumoni. Sono una persona felice e lodo questa vita, la lodo proprio, nell’anno
del Signore 1942, l’ennesimo anno di guerra.
25
Per me, questo lavoro spirituale, questa intensa vita interiore hanno valore soltanto
a condizione che possano essere proseguiti in qualsiasi circostanza; e se non è possibile
nella pratica, almeno nel pensiero. Altrimenti, tutte le cose che faccio ora sono
solo ‘belle lettere’.
“Lei non si aspetta mai nulla dal mondo esterno e così finisce sempre per ricevere
qualcosa”.
Di solito le disposizioni più minacciose, e ce ne sono parecchie attualmente, vanno a
schiantarsi contro la mia sicurezza e fiducia interiori, e una volta risolte dentro di me,
perdono molto della loro carica paurosa.
E sii pure triste, semplicemente e sinceramente triste, ma non costruirci sopra dei drammi.
Una persona dev’essere semplice anche nella sua tristezza, altrimenti la sua è soltanto
isteria.
Certe volte ho paura di chiamare le cose per nome: forse perché non rimarrebbe più
niente, allora? Le cose devono poter essere chiamate per nome, e se non reggono
a questa prova non hanno il diritto di esistere. Spesso si cerca di salvarle con una sorta di
vago misticismo. Il misticismo deve fondarsi su un’onestà cristallina: quindi prima
bisogna aver ridotto le cose alla loro nuda realtà.
Ma è meglio abituarci a una certa astinenza in periodi di relativa ricchezza, che esserci
poi costretti in momenti di reale bisogno: quello che otteniamo spontaneamente da noi
stessi ha basi più solide e durature di quello che realizziamo per forza ...
Dobbiamo affrancarci dalle cose materiali ed esteriori a un punto tale che lo spirito possa
continuare comunque il suo cammino, e il suo lavoro.
E così non rivedremo più una brughiera per molto tempo: qualche rara volta sento
questi divieti come una privazione opprimente, ma in genere so che il cielo tutt’intero si
stende sopra di noi, sopra l’unica, stretta strada che ci è ancora consentito di percorrere.
Quante volte ho pregato, neppure un anno fa: Signore, ti prego, rendimi un po’ più semplice. E se quest’anno mi ha portato qualcosa, è stata proprio
questa maggiore semplicità interiore. E credo che in futuro riuscirò anche a esprimere le
cose difficili di questa vita con parole molto semplici. In futuro.
Ora sono a pezzi. Stamattina alle sette ho passato un momento di un’irrequietezza e
di un nervosismo infernali per tutte queste nuove
ordinanze: è un bene, però, così posso rendermi un po’ conto della paura degli altri,
visto che quella paura m’è diventata sempre più estranea. Alle Otto ero di nuovo
la tranquillità in persona. Ed ero quasi fiera che, sentendomi fìsicamente a pezzi,
potessi ancora dar lezione di conversazione russa …
Bene, io accetto questa nuova certezza: vogliono il nostro totale annientamento.
Ora lo so. Non darò più fastidio con le mie paure, non sarò amareggiata se altri non
capiranno cos’è in gioco per noi ebrei. Una sicurezza non sarà corrosa o indebolita
dall’altra. Continuo a lavorare e a vivere con la stessa convinzione e trovo la vita
ugualmente ricca di significato, anche se non ho quasi più il coraggio di dirlo
quando mi trovo in compagnia.
La vita e la morte, il dolore e la gioia, le vesciche ai piedi estenuati dal camminare e
il gelsomino dietro la casa, le persecuzioni, le innumerevoli atrocità, tutto, tutto è in me
come un unico, potente insieme, e come tale lo accetto e comincio a capirlo sempre
meglio, così, per me stessa, senza riuscire ancora a spiegarlo agli altri. Mi piacerebbe
vivere abbastanza a lungo per poterlo fare, e se questo non mi sarà concesso, bene,
allora qualcun altro lo farà al posto mio, continuerà la mia vita dov’essa è rimasta
interrotta. Ho il dovere di vivere nel modo migliore e con la massima convinzione,
sino all’ultimo respiro: allora il mio successore non dovrà più ricominciare tutto da capo,
e con tanta fatica. Non è anche questa un’azione per i posteri?
26
Una volta mi sentivo in dovere di concepire molti pensieri geniali al giorno, ora mi sento
non di rado come una terra incolta su cui non cresce assolutamente niente, ma su cui
si stende un cielo alto e tranquillo. Meglio così: in questo momento non mi fiderei
di troppi pensieri brillanti, a volte preferisco lasciar riposare la testa, e attendere.
Tante cose sono successe dentro di me, in questi ultimi giorni: ora, finalmente, qualcosa
s’è cristallizzato. Ho guardato in faccia la nostra misera fine, che è già cominciata
nei piccoli fatti quotidiani; e la coscienza di questa possibilità fa ormai parte del mio
modo di sentire la vita, senza fiaccarlo. Non sono amareggiata o in rivolta, non sono
neppure più scoraggiata o tanto meno rassegnata. Continuo indisturbata a crescere,
di giorno in giorno, pur avendo quella possibilità dinanzi agli occhi. Non giocherò più
con le parole che creano soltanto malintesi, per esempio: ho chiuso i conti con la vita,
non può più succedermi niente, non si tratta di me e della mia distruzione ma del fatto
che si distrugga.
Così dico qualche volta agli altri, ma non ha molto senso, né riesco a spiegarmi,
né importa, del resto. Con “aver chiuso i conti con la vita” voglio dire che la possibilità
della morte si è perfettamente integrata nella mia vita; questa è come resa più ampia
da quella, dall’affrontare ed accettare la fine come parte di sé. E dunque non si tratta,
per così dire, di offrire un pezzetto di vita alla morte perché si teme e si rifiuta
quest’ultima, la vita che ci rimarrebbe allora sarebbe ridotta a un ben misero frammento.
Sembra quasi un paradosso: se si esclude la morte non si ha mai una vita completa;
e se la si accetta nella propria vita, si amplia e si arricchisce quest’ultima. È la prima volta
che ho da confrontarmi con la morte. Non ho mai saputo bene come comportarmi
con lei, sono vergine nei suoi confronti. Non ho mai visto una persona morta.
Che strano: in questo mondo disseminato di milioni di cadaveri io, a ventotto anni,
non ne ho ancora visto uno. Qualche volta mi sono chiesta quale fosse il mio
atteggiamento nei confronti della morte; in realtà, non me ne sono mai preoccupata
per me stessa, non era ancora il momento. E ora la morte è qui, in tutta la sua grandezza,
e già è come una vecchia conoscenza che fa parte della vita e che si deve accettare.
È tutto così semplice. Non c’è bisogno di fare profonde considerazioni. D’un tratto
la morte, grande, semplice, e naturale è entrata quasi tacitamente a far parte
della mia vita. E adesso io so che appartiene alla vita.
Si diventa più forti se si impara a conoscere e ad accettare le proprie forze e le proprie
insufficienze. È tutto così semplice e sempre più evidente per me, vorrei vivere
abbastanza a lungo per farlo capire anche agli altri.
Un barlume d’eternità filtra sempre più nelle mie più piccole azioni e percezioni
quotidiane. Io non sono sola nella mia stanchezza malattia tristezza o paura, ma sono
insieme con milioni di persone, di tanti secoli: anche questo fa parte della vita che è
pur bella e ricca di significato nella sua assurdità, se vi si fa posto per tutto e se la si sente
come un’unità indivisibile. Così, in un modo o nell’altro, la vita diventa un insieme
compiuto; ma si fa veramente assurda non appena se ne accetta o rifiuta una parte
a piacere, proprio perché essa perde allora la sua globalità e diventa
tutta quanta arbitraria.
Adesso io dico con semplicità e naturalezza: ecco, le mie forze arrivano fin qui e non
oltre, non ci posso far niente, devi prendermi come sono. Per me, questo è un passo
ulteriore verso una maturità e indipendenza a cui sembra che mi stia avvicinando
di giorno in giorno.
Molti di coloro che oggi s’indignano per certe ingiustizie, a ben guardare s’indignano
solo perché quelle ingiustizie toccano proprio a loro: quindi non è un’indignazione
veramente radicata e profonda.
Con ciò, non provo il minimo interesse a fare la figura di una persona coraggiosa
di fronte a questo o quel persecutore, e dunque, non mi sforzerò mai in questo senso.
Possono benissimo accorgersi che sono triste e del tutto indifesa nei loro confronti.
Non ho nessun bisogno di fare una figura coraggiosa, ho la mia forza interiore e questo
mi basta, il resto è irrilevante.
Passerò tutto il giorno in un angolino di quella gran sala silenziosa che ho dentro di me.
Certo che ognuno di noi deve sapere, ma non si deve anche esser buoni con gli altri,
non si deve evitare di caricarli tutto il tempo di pesi che possiamo benissimo portare
da soli?
Soltanto qualche giorno fa pensavo ancora: il peggio verrà quando non mi sarà
più concesso di tenere matita e carta per chiarirmi le idee di tanto in tanto.
Senza questa possibilità, che per me è di un’importanza essenziale, potrei anche
scoppiare e distruggermi dentro.
E ora so che se si comincia a rinunciare alle proprie pretese e ai propri desideri, si può
rinunciare a tutto. L’ho imparato in questi giorni.
Forse potrò rimanere qui ancora per un mese, e poi anche questa scappatoia nelle
disposizioni verrà scoperta. Incomincerò a far ordine nelle mie carte e ogni giorno dirò
addio. E così il vero addio sarà solo una piccola conferma esteriore di ciò che, di giorno
in giorno, s’è già compiuto dentro di me.
Sono in uno stato d’animo così singolare. Sono proprio io a scrivere qui, così tranquilla e
matura, qualcuno mi potrebbe capire se dicessi che mi sento così stranamente felice,
non in modo artificioso o altro, ma in tutta semplicità, perché mi sento crescere dentro
dolcezza e fiducia, di giorno in giorno? Perché tutta la confusione le minacce e i pesi non
mi portano neanche per un momento all’alienazione mentale? Perché continuo a vedere
e a sentire la vita così chiara e nitida in tutti i suoi contorni. Perché nulla offusca i miei
pensieri e i miei sentimenti. Perché posso sopportare e accettare tutto, e perché la
coscienza del bene che c’è stato nella vita, anche nella mia vita, non è stata soppiantata
da tutte queste altre cose, anzi diventa sempre più parte di me. Non oso quasi
aggiungere altro, non so che cosa sia, è come se mi spingessi troppo oltre
27
nel mio distacco da tutto ciò che porta la maggior parte delle persone vicino
all’alienazione mentale. Se sapessi con certezza di dover morire la prossima settimana,
potrei rimanere a studiare alla mia scrivania per tutto questo tempo, nella massima
tranquillità di spirito e senza che questa sia una fuga, io so, ora, che vita e morte sono
significativamente legate fra loro. Sarà uno scivolare dall’una nell’altra, anche se la fine
potrà essere triste o persino orribile, nella sua forma esteriore.
La vita è così curiosa e sorprendente e infinitamente piena di sfumature, a ogni curva
del suo cammino si apre una vista del tutto diversa. La maggior parte delle persone
ha nella propria testa delle idee stereotipate su questa vita, dobbiamo nel nostro intimo
liberarci di tutto, di ogni idea esistente, parola d’ordine, sicurezza; dobbiamo avere
il coraggio di abbandonare tutto, ogni norma e appiglio convenzionale, dobbiamo osare
il gran salto nel cosmo, e allora, allora sì che la vita diventa infinitamente ricca e
abbondante, anche nei suoi più profondi dolori.
Vorrei poter avere letto tutto di Rilke, prima che arrivi il giorno in cui forse non potrò
più leggere, per molto tempo.
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Ecco, ora si mette un coperchio sul chiasso di questa giornata, e questa sera, con tutta
la pace e la concentrazione che sono in me, è mia. … E ora lascio dietro di me tutte
le dicerie e tutte le realtà, ora si studia e si legge, per tutta una sera, E io, come sto?
Nessuna delle preoccupazioni e delle minacce di questa giornata m’è rimasta attaccata,
sto qui seduta alla mia scrivania così “vergine” e appena nata, così disposta a studiare,
come se nel mondo non succedesse niente. Tutto m’è completamente caduto di dosso,
nulla ha lasciato una traccia, mi sento così “ricettiva” come non mai. La prossima
settimana probabilmente tutti gli olandesi saranno chiamati al controllo. Di minuto
in minuto desideri, necessità e legami si staccano da me, sono pronta a tutto, a ogni
luogo di questa terra neI quale Dio mi manderà, sono pronta in ogni situazione e nella
morte a testimoniare che questa vita è bella e piena di significato, e che non è colpa
di Dio, ma nostra, se le cose sono così come sono, ora, Abbiamo ricevuto in noi tutte
le possibilità per sviluppare i nostri talenti, dovremo ancora imparare a far buon uso
di queste nostre possibilità. È come se in ogni momento altri pesi mi cadano di dosso,
come se tutti i confini che oggi ci sono tra persone e popoli non esistano più; in certi
momenti è proprio come se la vita mi fosse divenuta trasparente e così anche il cuore
umano, e io vedo e vedo e capisco sempre di più, e dentro di me sono sempre,
sempre più in pace, e c’è in me una fiducia in Dio che in un primo tempo quasi
mi spaventava per la sua crescita veloce, ma che sempre più diventa parte di me.
E parole come Dio e Morte e Dolore e Eternità si devono dimenticare di nuovo.
Si deve diventare un’altra volta così semplici e senza parole come il grano che cresce,
o la pioggia che cade. Si deve semplicemente essere.
E io, sono io già abbastanza avanti da poter dire sinceramente: spero di andare
al campo di lavoro, per poter essere di appoggio alle ragazzine di sedici anni che
ci vanno anche loro?
Quel che conta in definitiva è come si porta, sopporta, e risolve il dolore, e se si riesce
a mantenere intatto un pezzetto della propria anima.
In questi ultimi giorni sto percorrendo la vita come se mi portassi dentro una lastra
fotografica che registra esattamente tutto, fin nei minimi dettagli. Sento che ogni cosa
mi entra “dentro” con grande nitidezza di contorni.
Più tardi, forse molto più tardi, svilupperò e stamperò tutte quelle immagini quando
avrò trovato il tono giusto per esprimere questo nuovo modo di sentire la vita. Tutto
dovrebbe tacere finché questo nuovo tono non sia stato trovato. Ma mentre si parla
— il silenzio è piuttosto una scappatoia che una soluzione — si deve cominciare
a cercarlo. La transizione dal vecchio al nuovo tono la si deve poter seguire
in tutti i suoi passaggi.
Un “destino di massa” che si deve imparare a sopportare insieme
con gli altri, eliminando tutti gli infantilismi personali. … Un giorno molto pesante.
Ma ogni volta so ritrovare me stessa in una preghiera, e pregare mi sarà sempre
possibile, anche nello spazio più ristretto. E, come fosse un fagottino, io mi lego
sempre più strettamente sulla schiena, e porto sempre più come una cosa mia
quel pezzetto di destino che sono in grado di sopportare: con questo fagottino
già cammino per le strade.
Si dovrebbe parlare delle questioni più gravi e importanti di questa vita solo quando
le parole ci vengono semplici e naturali come l’acqua che sgorga da una sorgente.
In questo mondo sconvolto, le comunicazioni dirette tra due persone passano ormai
solo per l’anima.
Il buffo è che non mi sento nelle loro grinfie, sia che io rimanga qui, sia che io venga
deportata. Trovo tutti questi ragionamenti così convenzionali e primitivi e non li sopporto
più, non mi sento nelle grinfie di nessuno, mi sento soltanto nelle braccia di Dio per dirla
con enfasi ; e sia che ora io mi trovi qui o … nelle braccia di Dio credo che mi sentirò
sempre. Forse mi potranno ridurre a pezzi fisicamente, ma di più non mi potranno fare.
E forse cadrò in preda alla disperazione e soffrirò privazioni che non mi sono mai potuta
immaginare, neppure nelle mie più vane fantasie. Ma anche questa è poca cosa,
se paragonata a un’infinita vastità, e fede in Dio, e capacità di vivere interiormente.
Può anche darsi che io sottovaluti tutto quanto.
Ogni giorno vivo nell’eventualità che la dura sorte toccata a molti, a troppi, tocchi anche
alla mia piccola persona, da un momento all’altro. Mi rendo conto di tutto fin nei minimi
dettagli, credo che nel mio “confrontarmi” interiore con le cose io stia saldamente
piantata sulla terra più dura della realtà più dura. E la mia accettazione non è
rassegnazione, o mancanza di volontà: c’è ancora spazio per l’elementare sdegno
morale contro un regime che tratta così gli esseri umani. Ma le cose che ci accadono
sono troppo grandi, troppo diaboliche perché si possa reagire con un rancore e con
un’amarezza personali. Sarebbe una reazione così puerile, non proporzionata alla
“fatalità” di questi avvenimenti.
Spesso la gente si agita quando dico: non fa poi molta differenza se tocca partire a me
o a un altro, ciò che conta è che migliaia di persone debbano partire. Non è neppure
che io voglia correre in braccio alla mia morte con un sorriso rassegnato. È il senso
dell’ineluttabile e la sua accettazione, la coscienza che in ultima istanza non ci possono
togliere nulla. Non è che io voglia partire ad ogni costo, per una sorta di masochismo,
o che desideri essere strappata via dal fondamento stesso della mia esistenza, ma dubito
che mi sentirei bene se mi fosse risparmiato ciò che tanti devono invece subire. Mi si dice:
una persona come te ha il dovere di mettersi in salvo, hai tanto da fare nella vita, hai
ancora tanto da dare. Ma quel poco o molto che ho da dare lo posso dare comunque,
che sia qui in una piccola cerchia di amici, o altrove, in un campo di concentramento.
E mi sembra una curiosa sopravvalutazione di se stessi, quella di ritenersi troppo preziosi
per condividere con gli altri un “destino di massa”.
Se Dio decide che io abbia tanto da fare, bene, allora lo farò, dopo esser passata per
tutte le esperienze per cui possono passare anche gli altri. E il valore della mia persona
risulterà appunto da come saprò comportarmi nella nuova situazione, E se non potrò
sopravvivere, allora si vedrà chi sono da come morirò. Non si tratta più di tenersi fuori
da una determinata situazione, costi quel che costi, ma di come ci si comporta
e si continua a vivere in qualunque situazione.
Le cose che devo ragionevolmente fare, le farò.
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Ti prometto una cosa, Dio, soltanto una piccola cosa: cercherò di non appesantire l’oggi
con i pesi delle mie preoccupazioni per il domani, ma anche questo richiede una
certa esperienza. Ogni giorno ha già la sua parte. Cercherò di aiutarti affinché tu
non venga distrutto dentro di me, ma a priori non posso promettere nulla. Una cosa,
però, diventa sempre più evidente per me, e cioè che tu non puoi aiutare noi, ma che
siamo noi a dover aiutare te, e in questo modo aiutiamo noi stessi. L’unica cosa che
possiamo salvare di questi tempi, e anche l’unica che veramente conti, è un piccolo
pezzo di te in noi stessi, mio Dio. E forse possiamo anche contribuire a disseppellirti
dai cuori devastati di altri uomini. Sì, mio Dio, sembra che tu non possa far molto per
modificare le circostanze attuali ma anch’esse fanno parte di questa vita. Io non chiamo
in causa la tua responsabilità, più tardi sarai tu a dichiarare responsabili noi. E quasi a
ogni battito del mio cuore, cresce la mia certezza: tu non puoi aiutarci, ma tocca a noi
aiutare te, difendere fino all’ultimo la tua casa in noi. Esistono persone che all’ultimo
momento si preoccupano di mettere in salvo aspirapolveri, forchette e cucchiai
d’argento, invece di salvare te, mio Dio. E altre persone, che sono ormai ridotte a
semplici ricettacoli di innumerevoli paure e amarezze, vogliono a tutti i costi salvare
il proprio corpo. Dicono: me non mi prenderanno. Dimenticano che non si può essere
nelle grinfie di nessuno se si è nelle tue braccia. Comincio a sentirmi un po’ più tranquilla,
mio Dio, dopo questa conversazione con te. Discorrerò con te molto spesso,
d’ora innanzi, e in questo modo ti impedirò di abbandonarmi. Con me vivrai anche
tempi magri, mio Dio, tempi scarsamente alimentati dalla mia povera fiducia; ma credimi,
io continuerò a lavorare per te e a esserti fedele e non ti caccerò via dal mio territorio.
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Per il dolore grande ed eroico ho abbastanza forza, mio Dio, ma sono piuttosto le mille
piccole preoccupazioni quotidiane a saltarmi addosso e a mordermi come altrettanti
parassiti. Be’, allora mi gratto disperatamente per un po’ e ripeto ogni giorno: per oggi
sei a posto, le pareti protettive di una casa ospitale ti scivolano sulle spalle come un abito
che hai portato spesso, e che ti è diventato familiare, anche di cibo ce n’è a sufficienza
per oggi, e il tuo letto con le sue bianche lenzuola e con le sue calde coperte è ancora lì,
pronto per la notte, e dunque, oggi non hai il diritto di perdere neanche un atomo
della tua energia in piccole preoccupazioni materiali. Usa e impiega bene ogni minuto
di questa giornata, e rendila fruttuosa; fanne un’altra salda pietra su cui possa ancora
reggersi il nostro povero e angoscioso futuro. Il gelsomino dietro casa è completamente
sciupato dalla pioggia e dalle tempeste di questi ultimi giorni, i suoi fiori bianchi
galleggiano qua e là sulle pozzanghere scure e melmose che si sono formate sul tetto
basso del garage. Ma da qualche parte dentro di me esso continua a fiorire indisturbato,
esuberante e tenero come sempre, e spande il suo profumo tutt’intorno alla tua casa,
mio Dio. Vedi come ti tratto bene. Non ti porto soltanto le mie lacrime e le mie paure,
ma ti porto persino, in questa domenica mattina grigia e tempestosa, un gelsomino
profumato. Ti porterò tutti i fiori che incontro sul mio cammino, e sono veramente tanti.
Voglio che tu stia bene con me. E tanto per fare un esempio: se io mi trovassi rinchiusa
in una cella stretta e vedessi passare una nuvola davanti alla piccola inferriata, allora
ti porterei quella nuvola, mio Dio, sempre che ne abbia ancora la forza. Non ti posso
garantirti niente a priori, ma le mie intenzioni sono ottime, lo vedi bene.
E ora. mi dedico a questa giornata. Mi troverò fra molta gente, le tristi voci e le minacce
mi assedieranno di nuovo, come altrettanti soldati nemici assediano una fortezza
imprendibile.
Viviamo in modo sbagliato, senza dignità e anche senza coscienza storica.
Con un vero senso della storia si può anche soccombere. Io non odio nessuno,
non sono amareggiata. Una volta che l’amore per tutti gli uomini comincia a svilupparsi
in noi, diventa infinito.
Se sapessero come sento e come penso, molte persone mi considererebbero una pazza
che vive fuori della realtà. Invece vivo proprio nella realtà che ogni giorno porta con sé.
L’uomo occidentale non accetta il “dolore” come parte di questa vita: per questo
non riesce mai a cavarne fuori delle forze positive. Bisogna che cerchi quelle due o tre
frasi che avevo già trascritto da una lettera di Rathenau. Ecco cosa mi mancherà:
qui basta che allunghi una mano, e subito ritrovo le parole e i frammenti di cui
il mio spirito ha bisogno in un determinato momento.
Bisogna invece che abbia tutto in me stessa. Si deve anche essere capaci di vivere
senza libri e senza niente. Esisterà pur sempre un pezzetto di cielo da poter guardare,
e abbastanza spazio dentro di me per congiungere le mani in una preghiera.
Quando prego, non prego mai per me stessa, prego sempre per gli altri, oppure dialogo
in modo pazzo, infantile o serissimo con la parte più profonda di me, che per comodità
io chiamo “Dio”. Non so, trovo così infantile che si preghi per ottenere qualcosa per sé. …
Mi sembra infantile anche pregare perché un altro stia bene: per un altro si può solo
pregare che riesca a sopportare le difficoltà della vita. E se si prega per qualcuno,
gli si manda un po’ della propria forza.
Voglio ricordarmi una cosa per i miei momenti più difficili, voglio tenerla sempre
presente: Dostoevskij trascorse quattro anni di galera in Siberia avendo la Bibbia come
sua unica lettura; non gli era permesso di star solo …
In quel corridoio, in quella calca e in quell’angoscia sono riuscita ancora a leggere
alcune lettere di Rilke, continuo a vivere a modo mio. Quell’angoscia mortale su
tutti quei volti, mio Dio, quei volti. Ora vado a dormire. Spero di essere come un centro
di tranquillità in quel manicomio. Mi alzerò presto per potermi concentrare. Mio Dio,
che progetti hai in serbo per me?
Mio Dio, ti ringrazio perché sono in grado di sopportare tutto e perché tu lasci che così
poche cose mi passino accanto senza toccarmi.
Senza pietà, senza pietà. Ma tanto più misericordiosi dobbiamo essere noi nel nostro
cuore, la mia preghiera di stamattina presto non voleva dire nient’altro che questo.
Rimarrò completamente fedele a me stessa e non mi rassegnerò né mi piegherò.
Potrei forse reggere a questo lavoro, se non attingessi ogni giorno a quella gran pace
e chiarezza che sono in me?
Se tu affermi di credere in Dio devi anche essere coerente, devi abbandonarti
completamente e devi aver fiducia. E non devi neppure preoccuparti per l’indomani. …
Dobbiamo essere coerenti, se abbiamo fiducia dobbiamo averla fino in fondo.
Fino ad oggi la mia vita personale è stata infinitamente buona.
Un piccolo tentativo filosofico a sera inoltrata, con gli occhi che mi si chiudono per
il sonno: certe volte si sente dire: “Tu volgi proprio tutto in bene”. Trovo che è
un’espressione così priva di coraggio. Le cose sono dappertutto completamente buone
e, al tempo stesso, completamente cattive. Così si bilanciano, dappertutto e sempre.
lo non ho mai la sensazione che devo volgere qualcosa in bene, tutto è sempre e
completamente un bene così com’è. Ogni situazione, per quanto penosa. è qualcosa
di assoluto, e contiene in sé il bene come il male. Volevo solo dire questo: l’espressione
“volgere qualcosa in bene” in fondo mi disgusta, e così pure l’espressione “tirare fuori
il meglio da ogni situazione”, mi piacerebbe poterti spiegare bene perché.
E volevo ancora dire questo: credo di essere arrivata pian piano a quella semplicità
che ho sempre desiderato.
31
Il presente è quello che è e come tale lo si deve poter capire, malgrado lo sconcerto
che si prova ogni tanto. In qualche modo io seguo la mia via interiore, che diventa
sempre più semplice ed è lastricata di benevolenza e di fiducia.
Se le stesse cose mi fossero capitate un anno fa, sarei crollata dopo tre giorni o mi sarei
suicidata o avrei preso degli atteggiamenti forzatamente vivaci. Ora invece c’è un tale
equilibrio e pazienza e pace e senso di prospettiva e anche una qualche intuizione
sui rapporti tra le cose, non so cosa sia, ma malgrado tutto: sto molto bene, mio Dio.
Una cosa è certa: dobbiamo accettare tutto dentro di noi, dobbiamo essere pronti
a tutto e sapere che le “cose ultime” non possono esserci sottratte; allora, con quella
pace interiore, sapremo ben compiere i passi necessari. Non dobbiamo romperci la testa
e avere timore, ma pensare con calma e chiarezza. Nel momento in cui dovrò decidere,
saprò che cosa fare.
Se tutto questo dolore non allarga i nostri orizzonti e non ci rende più umani,
liberandoci dalle piccolezze e dalle cose superflue di questa vita, è stato inutile.
Quest’ultima settimana è stata proprio una grande conferma di me stessa.
In quel manicomio io ascolto la mia voce interiore, e tiro dritto per la mia strada.
In me c’è un silenzio sempre più profondo. Lo lambiscono tante parole,
che stancano perché non riescono a esprimere nulla.
Bisogna sempre più risparmiare le parole inutili per poter trovare quelle poche
che ci sono necessarie. E questa nuova forma d’espressione deve maturare nel silenzio.
32
Queste due ore e mezzo che ho davanti mi sembrano quasi un anno d’isolamento.
Sono così riconoscente per queste poche ore e anche per la concentrazione che
mi sta crescendo dentro.
che io sia capace di descrivere un momento simile, un “momento alto” nella mia vita.
Ora mi rendo conto di quanto tu mi abbia dato da portare, mio Dio. Tante cose belle e
tante cose difficili. E quelle difficili si sono trasformate in belle ogni volta che ero disposta
a sopportarle.
Amo così tanto gli altri perché amo in ognuno un pezzetto di te, mio Dio.
Ti cerco in tutti gli uomini e spesso trovo in loro qualcosa di te. E cerco di disseppellirti
dal loro cuore, mio Dio.
Mi metto davanti ai tuoi massimi enigmi, mio Dio. Ti sono riconoscente per questo,
ho anche la forza di affrontarli, di sapere che non c’è risposta. Bisogna saper sopportare
i tuoi misteri.
Su, lasciatemi essere un pezzetto della vostra anima. Lasciatemi essere la baracca in cui
si raccoglie la parte migliore, che esiste sicuramente in ognuno di voi. Io non ho bisogno
di far così tanto, io voglio solo esserci. Lasciatemi essere l’anima in questo corpo. E prima
o poi trovavo in ognuno di loro un gesto o uno sguardo più nobile, di cui credo fossero
appena coscienti. E me ne sentivo il custode.
Forse sarebbe anche la definizione più completa di come io sento la vita: io riposo
in me stessa. E questo “me stessa”, la parte più profonda e ricca di me in cui riposo,
io la chiamo “Dio”.
In fondo, la mia vita è un ininterrotto ascoltar dentro me stessa, gli altri, Dio. E quando
dico che ascolto dentro, in realtà è Dio che ascolta dentro di me. La parte più essenziale
e profonda di me che ascolta la parte più essenziale e profonda dell’altro. Dio a Dio.
Tra poco camminerò di nuovo lungo tutti quei canali, cercherò di tacere, di dare ascolto
a ciò che è realmente capitato dentro di me. Dovrà trasformarmi ancora molto, oggi.
Ancora una cosa: credo proprio di avere come un regolatore interno. Un malumore
mi avverte ogni volta che ho preso la strada sbagliata, e se continuo a essere onesta e
aperta, se conservo la mia volontà di diventare quella che dovrò essere e di fare ciò che
la mia coscienza mi prescrive di fare, di questi tempi, allora andrà tutto a posto. Credo
che la vita pretenda molto da me e che mi riservi anche molto, ma devo saper ascoltare
la mia voce interiore, devo rimanere onesta e aperta, e non sfuggire a quel sentimento.
E proprio il fatto di dover percorrere la mia strada da sola mi fa sentire così forte.
Nutrita di ora in ora dell’amore che provo per lui, e per gli altri. Infinite coppie
si formano all’ultimo momento, per disperazione. Preferisco esser sola e per tutti.
Leggerò ancora i miei vecchi diari. Non credo più che li straccerò. Forse, più tardi,
mi aiuteranno a riprendere contatto con me stessa.
A volte l’acqua è così limpida che si distingue ogni cosa sul fondo. Potresti dirlo
in modo ancor più stomachevole, se la domanda è lecita?
Volevo dir questo: era proprio come se la vita mi apparisse altrettanto chiara e
trasparente nei suoi mille dettagli, nelle sue svolte e nei suoi movimenti. Come se avessi
davanti un oceano e ne potessi distinguere il fondo, guardando attraverso l’acqua
trasparente come cristallo. Chissà se riuscirò a scrivere per davvero, una volta o l’altra?
Non sembra che lo creda molto, o mi sbaglio? Forse passerà molto tempo prima
A volte le persone sono per me come case con la porta aperta. Io entro e giro per
corridoi e stanze, ogni casa è arredata in modo un po’ diverso ma in fondo è uguale
alle altre, di ognuna si dovrebbe fare una dimora consacrata a te, mio Dio. Ti prometto,
ti prometto che cercherò sempre di trovarti una casa e un ricovero. In fondo è una buffa
immagine: io mi metto in cammino e cerco un tetto per te. Ci sono così tante case vuote,
te le offro come all’ospite più importante. Perdonami questa metafora non troppo sottile.
33
Questi due mesi tra il filo spinato sono stati i mesi più intensi e più ricchi della mia vita
e una tale conferma dei valori più importanti e più alti per me.
Accadono proprio dei miracoli in una vita umana, la mia è una catena di miracoli
interiori, fa bene poterlo di nuovo dire a qualcuno.
Io non ho nostalgia, io mi sento a casa. Si è “a casa” . Si è a casa sotto il cielo. Si è
a casa dovunque su questa terra, se si porta tutto in noi stessi.
34
Avevo imparato a leggere in me stessa e così ero in grado di leggere anche negli altri.
Era proprio come se le mie dita sensibili sfiorassero i contorni di questo tempo, e
di questa vita. Com’è possibile che quel pezzetto di brughiera recintato dal filo spinato,
dove si riversava e scorreva tanto dolore umano, sia diventato un ricordo quasi dolce?
Che il mio spirito non sia diventato più tetro in quel luogo, ma più luminoso e sereno?
A Westerbork ho letto un tratto del nostro tempo che non mi sembra privo
di significato. Ho amato tanto la vita quand’ero seduta a questa scrivania ed
ero circondata dai miei scrittori, dai miei poeti e dai miei fiori.
E là, tra le baracche popolate da uomini scacciati e perseguitati, ho trovato la conferma
di questo amore. La vita in quelle baracche piene di correnti d’aria non contrastava
affatto con la vita in questa camera protetta e tranquilla. Non sono mai stata
tagliata fuori da una vita per così dire “passata”, per me esisteva solo una grande,
significativa continuità. Come potrò descrivere tutto ciò? E far sentire quanto la vita
sia bella e degna di esser vissuta e giusta, sì, proprio giusta? Forse Dio mi concederà
quelle poche, semplici parole? Parole che siano anche colorite, appassionate e serie,
ma soprattutto semplici? Come posso rappresentarlo con poche, tenere,
leggere e robuste pennellate, il piccolo villaggio di baracche
tra cielo e brughiera? Come posso far si che anche altri leggano dentro a tutte
quelle persone, persone che devono esser decifrate come geroglifici, tratto dopo tratto,
finché non ci si trova davanti a un unico, grande e comprensibile insieme,
incorniciato da cielo e brughiera?
Una cosa è certa: non potrò mai scrivere le cose come la vita le ha scritte per me,
in caratteri viventi. Ho letto tutto, con i miei occhi e con tutti i miei sensi, ma
non saprò mai raccontarlo allo stesso modo. Potrei anche disperarmi per questo,
se non avessi imparato che dobbiamo accettare le nostre forze insufficienti,
però con queste forze dobbiamo veramente lavorare.
E convinciamoci che ogni atomo di odio che aggiungiamo al mondo lo rende
ancor più inospitale.
Il mio arricchimento di questi ultimi giorni: gli uccelli del cielo e i gigli del campo
e Matteo, 6, 33: ma cercate prima il Regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose
vi saranno date in sovrappiù.
Forse è per questo che mi sono sentita così raggiante e forte per il resto della giornata?
Perché ho detto così di getto, così semplicemente, in mezzo a quel grigio quartiere
popolare: sì, vedi, io credo in Dio.
È vero che vivo intensamente, a volte mi sembra di vivere con un’intensità
demoniaca ed estatica, ma ogni giorno mi rinnovo alla sorgente originaria,
alla vita stessa, e di tanto in tanto mi riposo in una preghiera. E chi mi dice che
vivo troppo intensamente non sa che ci si può ritirare in una preghiera come nella cella
di un convento, e che poi si prosegue con rinnovata pace ed energia.
Voglio ricopiare ancora una volta Matteo, 6, 34: non siate dunque inquieti per il domani,
perché il domani avrà le sue inquietudini; a ciascun giorno basta la sua pena.
In fondo, il nostro unico dovere morale è quello di dissodare in noi stessi vaste aree
di tranquillità, di sempre maggior tranquillità, fintanto che si sia in grado d’irraggiarla
anche sugli altri. E più pace c’è nelle persone, più pace ci sarà in questo mondo agitato.
Se solo si potesse far capire alla gente che si può “lavorare” alla propria pace interiore,
e continuare a essere produttivi e fiduciosi dentro di noi malgrado le paure e le voci
che circolano. Che possiamo costringerci a inginocchiarci nell’angolo più remoto
e tranquillo del nostro essere, e rimanerci fintanto che su di noi non si stenda nient’altro
che un purissimo cielo. Da ieri sera ho potuto di nuovo sperimentare su me stessa
quanto la gente soffra, è un bene doverselo ricordare e dover reagire ogni volta.
E poi, continuare indisturbati a percorrere i vasti e sgombri paesaggi del proprio cuore.
Ma non sono ancora a questo punto.
Essere fedeli a ogni sentimento, a ogni pensiero che ha cominciato a germogliare.
Essere fedeli nel senso più largo del termine, fedeli a se stessi, a Dio, ai propri
momenti migliori. E dovunque si è, esserci “al cento per cento”.
Il mio “fare” consisterà nell’ ”essere”!
La realtà è qualcosa che bisogna prendere su di sé con tutto il suo dolore e con tutte
le sue difficoltà, , e intanto che la si sopporta, la nostra pazienza aumenta. Ma l’idea
del dolore, non il dolore “vero”, che è fruttuoso e può render la vita preziosa,
quella va distrutta. E se si distruggono i preconcetti che imprigionano la vita come
inferriate, allora si libera la vera vita e la vera forza che sono in noi, e allora si avrà
anche la forza di sopportare il dolore reale, nella nostra vita e in quella dell’umanità.
Si deve avere il coraggio di fermarsi, di essere talvolta vuoti e scoraggiati.
Dio, e questa parola contiene tutto e allora non ho più bisogno di dire quelle altre cose.
E la mia forza creativa si traduce in colloqui interiori con te, e le ondate del mio cuore
sono diventate qui più lunghe, mosse e insieme tranquille, e mi sembra che
la mia ricchezza interiore cresca ancora.
Gli farò rispondere quel che mi fa piacere di sentire. È dunque così che vivono gli uomini:
usano gli altri per farsi convincere di qualcosa in cui in fondo non credono; cercano
negli altri uno strumento per coprire la propria voce interiore. Se ascoltassimo solo
un po’ di più questa voce, se provassimo solo a farne risuonare una dentro di noi,
quanto meno caos ci sarebbe.
Voglio stare fra gli uomini, fra le loro paure, voglio vedere tutto da me e capirlo
e raccontarlo più tardi.
In me non c’è un poeta, in me c’è un pezzetto di Dio che potrebbe farsi poesia.
In un campo deve pur esserci un poeta, che da poeta viva anche quella vita e
la sappia cantare.
Di notte, mentre ero coricata nella mia cuccetta, circondata da donne e ragazze
che russavano piano, o sognavano ad alta voce, o piangevano silenziosamente, o
35
si giravano e rigiravano, donne e ragazze che dicevano così spesso durante il giorno:
“non vogliamo pensare”, “non vogliamo sentire, altrimenti diventiamo pazze”,
a volte provavo un’infinita tenerezza, me ne stavo sveglia e lasciavo che
mi passassero davanti gli avvenimenti, le fin troppe impressioni di un giorno fin
troppo lungo, e pensavo:
“su, lasciatemi essere il cuore pensante di questa baracca”. Ora voglio esserlo
un’altra volta. Vorrei essere il cuore pensante di un intero campo di concentramento.
Sono coricata qui con tanta pazienza e di nuovo calma e già mi sento assai meglio;
leggo le lettere di Rilke über Gott e ogni sua parola è carica di significato per me,
avrei potuto scriverle io stessa, se le avessi scritte io le avrei scritte così e non
diversamente. Mi sento anche la forza di partire, non penso più a far progetti e
a correre rischi, andrà come andrà e sarà per il meglio.
Ed è proprio questa la cosa che fa disperare, qui: la maggior parte delle persone
non è in grado di sopportare il proprio destino e lo scarica sulle spalle altrui. E sotto
quel peso, non sotto il proprio, si potrebbe anche soccombere.
Quasi tutte le persone che sono qui sono molto più povere del necessario,
perché registrano la loro nostalgia degli amici e della famiglia come una perdita
nel libro dei conti della vita, mentre il fatto stesso che un cuore sia in grado
di desiderare e di amare così tanto dovrebbe essere contato fra i beni più preziosi.
Sai, se qui tu non hai una grande forza interiore, se non guardi alle apparenze come
a pittoreschi accessori che non intaccano il grande splendore (non mi viene in mente
un’altra parola) che può essere una parte inalienabile della tua anima,
allora è proprio una situazione disperata.
I due lati sono egualmente forti in me. Mi piace aver contatto con le persone.
Mi sembra che la mia intensa partecipazione porti alla luce la loro parte migliore
e più profonda, le persone si aprono davanti a me, ognuna è come una storia,
raccontatami dalla vita stessa. E i miei occhi incantati non hanno che da leggere.
La vita mi confida così tante storie, dovrei raccontarle a mia volta, renderle evidenti
a coloro che non sono in grado di leggerle direttamente.
A volte mi sedevo vicino a qualcuno, passavo un braccio intorno a una spalla,
non dicevo molto e guardavo le persone in faccia. Nulla mi era nuovo, non una
di quelle espressioni di dolore umano. Tutto mi pareva così familiare, come se sapessi
e avessi già vissuto ogni cosa. Certi mi dicono: hai dei nervi d’acciaio a resistere.
Non credo di avere dei nervi d’acciaio, credo anzi di avere dei nervi piuttosto sensibili,
però sono in grado di “resistere”. Ho il coraggio di guardare faccia ogni dolore.
E alla fine di ogni giornata mi dicevo sempre: voglio tanto bene agli uomini.
Non provavo mai amarezza per quel che veniva fatto loro, sempre invece amore
per come degli uomini fossero capaci di sopportare il dolore, ne fossero capaci
per impreparati che fossero, dentro di sé.
Quando soffro per gli uomini indifesi, non soffro forse per il lato indifeso di me stessa?
Si vorrebbe essere un balsamo per molte ferite.
Perciò vi raccomando: rimanete al vostro posto di guardia se ne avete già uno
dentro di voi, e per favore non rattristatevi né disperatevi per me, non c’è motivo.
I GRUPPI
ANCONA Info:
Lucia Albanesi
Centro di psicosintesi
Via Palestro 46,
I-60125 Ancona,
Tel. 3273285090; e-mail:
[email protected]
ARBEDO Incontri serali,
20.30-22.00. Info e Sede:
Lotrecchiano Eliana
via Molinazzo 19
CH-6517 Arbedo
Tel 091/829 34 34.
AREZZO Info: Alessandro
e Donatella Rosati
via D’Oliveto 2/F
52024 Loro Ciuffenna AR
tel/fax 055/975090 email:
[email protected]
ARICCIA Sede e Info:
Casa Sacro Cuore
Via Appia Nuova 54
I-00040 Ariccia/Roma
Tel. 06/9339191 e-mail:
[email protected]
38
ASOLO Sede e info:
Centro Suore Dorotee
Via Sottocastello 7
I-31011 Asolo/VI
Tel 0423/ 95 20 01
ASSISI Sede e info: Suore
Francescane Missionarie
via P. Pio 2, 06081 Assisi
Tel. 075/813283
BARI Info: Michele
Dell’Olio e Nicla D’Alonzo
via MariaCristina di Savoia 79
I-70124 Bari
Tel. 080/5582 528
Cell.: 3293176196, e-mail:
[email protected]
BIGORIO Sede:
Convento Santa Maria
dei Frati Cappuccini
CH-6954 Bigorio
Tel. 091/9431222
BOLOGNA info:
Don Renzo
Istituto Don Calabria
via Porettana Sud 84
I-40043 Marzabotto
Tel. 051/93 1392
oppure
Ghini Donatella
Tel. 051 5884478
Cell. 333 1227308
BRESCIA Sede e info:
Centro Suore Dorotee
Via Sant’Emiliano 30,
I -25124 Brescia
Tel. 030384721 e-mail:
[email protected]
P.ANDREA
MARZO ‘12
APRILE‘12
MAGGIO‘12
GIUGNO‘12
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4 BOLOGNA
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ASSISI
ASSISI
ASSISI
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BIGORIO
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CONDINO
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CONDINO
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CONDINO
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ERBA
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ERBA
20 BARI
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ARIC. sera
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ARICCIA
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ARICCIA
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MILANO
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BRESCIA
TORINO
TORINO
ANCONA
ANCONA
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AMECO
AMECO
MS
MS
MENDRISIO
MILANO
SEZANO
TRENTO
30 CONDINO
CASSANO D’ADDA
Wanda Invernizzi
via Quintino di Vona 29,
Tel. 3388018667 //
0295355987
e-mail:
[email protected]
CESENA Info:
Daniele Roversi
Cell. 3283019219
Pietro Leonardi
via Ligu-ria 94,
I-47023 Cesena,
Tel. 0547/303704 Cell.
3299439974 e-mail: [email protected]
CONDINO: vedi pag. 40
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25 ARICCIA
26 ARIC. mattino
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DALMINE Sede e info::
Centro Yoga
via Don Luigi Rocchi 22
I -24044 Dalmine
Tel. 035/370216
ERBA Sede: Oasi
Santa Maria degli Angeli
I -22036 Erba
Tel. 031/641548
Info: Luisa Marnati
Casella Postale n. 127
I-16035 Rapallo
Cell. 335/8380569 e-mail:
[email protected]
LUGANO Info:
Daniela Theiler
Via Godiscia, CH-6821
Rovio, Tel 091 6494312
Fax 091 6494350 e-mail:
[email protected]
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CONDINO
BOLOGNA
BOLOGNA
CONDINO
CONDINO
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CONDINO
CONDINO
CONDINO
MENDRISIO Incontri
serali 20.00-22.00.
Info: Bianca Caverzasio
via Pollini 10
CH-6850 Mendrisio
Tel. 091/64 62981
MILANO Sede: SIRPE
via Carlo Botta 25, Milano
Info: Spinoglio Maria Luisa, Milano e-mail:
[email protected]
Tel 02/54 12 20 83
MILANO 3 Info:
Paola Celata Chiesa
via Val Cannobina 6
20152 Milano.
Tel. 02/4563152
CALENDARIO
AGOSTO ‘12
SETTEMBRE ‘12
OTTOBRE‘12
NOVEMBRE‘12
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1 CONDINO
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CESENA
CESENA
CESENA
CESENA
CESENA
BOLOGNA
BOLOGNA
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2
3 ERBA
4 ERBA
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BIGORIO
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CONDINO
CONDINO
CONDINO
CONDINO
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CONDINO
CONDINO
CONDINO
CONDINO
BRESCIA
BRESCIA
LUGLIO ‘12
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CESENA
CESENA
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MS Sede: Santuario
della Madonna del Sasso
CH-6644 Orselina
Info: Carla cheda
Tel. 091/ 751 58 19
ROMA 3 info: AMECO
Vicolo dell’Orfeo 1
I-00141 Roma
Tel. 06/ 3340582 e-mail:
[email protected]
STINCHE Sede e info:
Eremo S. Pietro alle Stinche
I-50020 Panzano in Chianti
Tel. 055/852066
Fax 055/852086
ROMA 1 Info:
Ducci Nazzarena
via dell’Elettronica 16
I - 00144 Roma
Tel. 06/5923398 e-mail:
[email protected]
SEZANO Sede e info:
Monastero del Bene
Comune c/o Comunità
Stimattini di Sezano
Via Mezzomonte 28,
I-37142 Verona
Tel. 347/2256997 e-mai:
[email protected]
TORINO Info:
Galetto Paola,
Corso San Maurizio 19 bis.
I-10124 Torino
Tel. 011/2481782
Cell. 338/7596571 Sede:
Madonna del Cenacolo
pza G. Gozzano 4
Tel. 011/8195905.
ROMA 2 Info: Red
« Appunti di Viaggio »
C. Guidi 20, I-00149 Roma
Tel. 06/47825030 e-mail
[email protected]
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TRENTO Sede e Info:
Villa Sant’Ignazio
via alle Laste 22
I-38100 Trento
Tel. 0461/ 23 87 20.
e-mail:
[email protected]
UDINE 1 Info:
Gabriella Benedetti
via Quarto 11
I-33100 Udine
Tel. 0432/234030.
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