L`EMIGRAZIONE NELLE AMERICHE

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L`EMIGRAZIONE NELLE AMERICHE
L’EMIGRAZIONE NELLE AMERICHE (1850-1960)
CONTESTO STORICO: Dalla seconda metà del 1800 gli italiani cominciano a lasciare il paese,
sfuggendo alle condizioni di povertà e seguendo una rotta che li porterà negli Stati dell’america
del Sud e del Nord. I primi a partire sono gli uomini del Nord Italia, già abituati a peregrinazioni
temporanee e che dispongono di un po’ di denaro: dalla Liguria e dalla Lombardia si recano in
California dove si stabiliscono con fortuna. I contadini veneti invece creano una catena
migratoria che li porta nel Brasile e nel Sud America, sempre alla fine del secolo. Negli ultimi
anni del 1800, dopo l’unità d’Italia e quando le difficili condizioni del Meridione si inaspriscono,
inizia la grande migrazione. Dalle regioni del Sud e dalla Sicilia, partono migliaia di contadini
senza istruzione e pronti a qualsiasi lavoro, soprattutto nel Nord America. Sono loro a contribuire
fortemente alla costruzione delle ferrovie, dei canali, delle strade e dei grattacieli delle sue città.
LA NOSTRA CANZONE:
Alcuni considerano questa canzone l’inno della migrazione italiana. Fu composta alla fine del
1800 e ha diverse versioni. Vi troviamo la menzione del nome dialettale “Merica” che passa di
bocca in bocca come una parola magica. La canzone comincia come un lamento, ma finisce in
una celebrazione. Da una parte lamenta il destino di questi poveri emigranti trattati come
animali, nella terza classe delle navi. Anche lo scrittore Edmondo de Amicis, che segue gli
emigranti nel viaggio transoceanico, li descrive nella poesia “Emigranti” con queste parole:
“umili e muti,” “bruni e sparuti,” “bestie da soma,” “carne da cimitero”. Alla fine però, la
melodia si rallegra e la canzone finisce con un inno di lode alla nuova vita. Il ritornello ha
diverse versioni, ma sempre gioiose. Una loda l’America sorella: “Tutti la chiamano l’America
sorella”. Un’altra contiene la domanda retorica: “Merica, Merica, Merica / Cosa sarà questa
Merica?”
Ascoltate la versione della Compagnia del Folclore Vittorio Castelnuovo
https://www.youtube.com/watch?v=JhNTsuP4pLg
Trenta giorni di nave a vapore
Thirty days in a steam boat
Trenta giorni di nave a vapore
fino in America siamo arrivati,
fino in America siamo arrivati,
abbiam trovato né paglia né fieno
abbiam dormito sul nudo terreno
come le bestie che va a riposà…
Thirty days in a steam boat,
To America we have arrived,
To America we have arrived,
We have not found hay or grass,
We have slept on the naked ground
Like beasts who rest
America allegra e bella
Tutti ti chiamano l'America sorella
Lallallalla..
America merry and beautiful,
Everyone calls you sister America!
Larallala…
E l’America è lunga ed è larga,
e circondata di fiumi e montagne.
E con l’aiuto dei nostri italiani
abbiamo formato paesi e città…
And Merica is long and large,
Surrounded by rivers and mountains.
With the help of our Italians
We have built towns and cities…
America....
America merry and beautiful…
Merica
“Merica” è il termine dialettale con cui ci si riferisce all’America. Viene usato in questo
passaggio tratto da un giornale del 1895.
Da Veritas, L'emigrazione, in "Progresso Agricolo", 15 gennaio 1895. In Emilio Franzina, La
grande emigrazione. Venezia: Marsilio,1976; p. 202.
In Merica . . . in Merica . . . sussurrano tra loro questi contadini; luogo beato sapete, dove non si
affatica, denaro a grumi, 'non più sotto di' . . . Con questi bestial padroni . . . Ecco il discorso in
voga, che sorpassa ogni altra cura, che si ode dappertutto in questi luoghi campagnoli, in osteria,
in case private, per le vie, e anche in chiesa. . . . Merica . . . Merica. Se i padroni t'impongono un
centesimo di più, Merica; se per disgrazia viene una piccolissima grandine, Merica; se alle volte
ti salta il ticchio di provvederti in abbondanza di tabacco, del relativo orologio con catenona,
Merica; tutto si trova e senza fatica in Merica.”
La partenza dell’emigrante
Questo è il racconto fatto con parole sue, della partenza di Carmine Biagio Iannace, nato a San
Leucio del Sannio (Benevento) nel 1890. Carmine emigra negli Stati Uniti da ragazzo, a 16 anni.
Trova lavoro con un gruppo di paesani a Meadville dove costruisce l’Erie Railroad. Fa anche
altri lavori: il giardiniere, il manovale, l’operaio. Prima di morire (nel 1968), a 75 anni, scrive la
sua autobiografia, un bellissimo libro, La scoperta dell'America. Questo è il passaggio in cui
descrive la sua partenza. Si sente che la tristezza dell’addio è intensa ma nascosta sotto la
superficie perché il ragazzo si cerca di fare coraggio e di ricacciare indietro le lacrime.
Da Carmine Biagio Iannace, La scoperta dell'America. West Lafayette: Bordighera Press, 2000.
Mio padre . . . avendo raggiunto gli altri, mi caricò la valigia che portava lui sulla spalla e se ne
ritornò. Io rimasi cosí sorpreso che mi venne un nodo in gola e non potei dirgli nemmeno
'arrivederci.' Si era allontanato già un bel po' quando mi venne la voce e lo chiamai. Lui si girò e
credendo che fosse per la valigia ch'era pesante disse, più che a me, a tutto il gruppo “Aiutatevi
l'un l'altro. Siete in parecchi.” Ma, venendo in America, ognuno porta il proprio peso. . . .
Sabatino solo si accorse che io ero rimasto indietro a guardare mio padre che si allontanava.
“Compare,” mi sussurrò “date a me una di quelle valigie.” Visto però che io lo guardavo come
per dire “Non è la valigia che mi fa esser triste” lui continuò: “Compare, con uno strappo netto,
la piantina si sradica e non si scortica.” Io non capivo allora il concetto dello sradicamento e lui
se ne accorse e aggiuse: “Sei ormai un emigrante. Da oggi in poi tu vai per il mondo per libera
scelta. Lui non può più aiutarti." . . . Del resto era naturale che fosse cosí e, accollandomi la
valigia sulla spalla, mi girai, mi asciugai il naso e mi sentii meglio. Per la strada Sabatino
quand'io restavo indietro, veniva a darmi una mano e mi diceva: Metti la valigia sull'altra spalla
cosí non ti addolori troppo" (24-5).