LA RITA E L`UMBRELA DL`ABA` Il mercato di Pavia a

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LA RITA E L`UMBRELA DL`ABA` Il mercato di Pavia a
N°6
Concorso di Natale 2008 – Pavia
Racconto di Danila Boschini
Titolo: LA RITA E L’UMBRELA DL’ABA’
Il mercato di Pavia all’inizio degli anni cinquanta è in piazza Grande.
E’ proprio lì dove oggi c’è il “sottomercato” che tutti tutti, anche quelli che non han studiato
greco, ora sanno che si chiama “ipogeo” e si senton più contenti!
Il mercato di allora è sulla piazza, non sotto; forse lo si potrebbe chiamare “ipergeo” ma allora
non ci si pensava!
Ci sono, l’uno vicino all’altro, tanti banchetti con la tenda bianca a spiovente che, nei miei
ricordi di bambina, è un tetto aguzzo e luminoso.
Nell’angolo del Broletto invece c’è un banco senza tenda, una specie di lungo carretto a
stanghe: il banco della Rita.
Nessuno la chiama signora o signorina, la chiamano tutte Rita. Tutte, ovviamente, perché la
Rita è una merciaia, una marcantina e la sua merce è di interesse squisitamente femminile. Fra
l’altro rimaglia anche le calze, lo fa bene e a buon prezzo.
Nell’epoca di collant “usa e getta” sarà arduo cogliere l’importanza di una smagliatura ben
recuperata ma negli anni cinquanta un paio di calze di nylon è un investimento da ben
tutelare. Così, davanti al banco, c’è sempre un po’ di fila in attesa.
La Rita è una donnetta di età indefinibile, la pupla striata di capelli grigi, il vestito nero con
una minuscola medaglietta di Santa Rita da Cascia appuntata sopra.
Quando finisce il mercato si mette alle stanghe del suo banco e lo trascina via.
Dove? Penso che nessuna delle sue tantissime clienti lo sappia: lei non dà confidenza. Ne
suscita, invece, di confidenze: davanti al suo banco c’è sempre qualcuna che accoratamente si
sfoga o protesta con veemenza.
Grane, grane e ancora grane: ognuna ha le sue e per tutte il commento finale della Rita, che ha
ascoltato con pazienza in silenzio, è lo stesso:” Eh, ghe gnent da fa! L’umbrela dl’abà la sguta
insal frà!”
Alle mie orecchie di bambina rigorosamente italianofona (“Altrimenti poi, a scuola, cosa
succede?”) la frase sembra uno straordinario scioglilingua, misteriosamente impronunciabile.
Mi sforzo di capire.
Chi sarà mai “l’abà”?
Che sia parente di quel “ padr abà” che viene evocato per chi batte troppo la fiacca? “Dai
movat, sta no lì me padr’ abà in pultrona!”
Certo si tratta di un personaggio interessante, ben combinato fra ombrello gocciolante e
poltrona!
Allora perché, dopo la frase della Rita, tiran tutte un gran sospiro e hanno l’aria rassegnata e
nessuna ha più nulla da ribattere? Perché?
Mi ci vogliono anni per recuperare il senso di quella remissiva filosofia: “Perché chi sta in
basso… si sa!”
Mi ci vogliono tanti anni, tutti quelli che occorrono ai miei capelli per diventare bianchi e a
me per rivedermi bambina, la mano in quella della mamma, davanti al banco della Rita.