Leibniz - Università di Bologna
Transcript
Leibniz - Università di Bologna
impressioni di media intensità, accade che tale veemenza imprima nella fantasia un'immagine altrettanto profonda e altrettanto viva di quella impressa da una lunga esperienza. Da ciò deriva che un'impressione fortuita, ma violenta, unisce nella nostra immaginazione e nella nostra memoria cosi fortemente e in modo durevole due ídec che già vi si trovavano insieme, e ci fornisce la medesima inclinazione a unirle e ad attenderle l'una cli seguito all'altra, come se una lunga consuetudine ne avesse verificata la connessione; cosicché in tal caso si ritrova il medesimo effetto dell'associazione, nonostante che la medesima ragione non sussista più. L'autorità, il partito, il costume fanno il medesimo effetto dell'esperienza e della ragione, e non è agevole liberarsi da tali inclinazioni. Ma non sarebbe troppo difficile guardarsi dal restarne ingannati nei giudizi, se gli uomini si applicassero con serietà alla ricerca della verità o procedessero con metodo allorché riconoscessero che è per loro importante trovarla. Libro Il! Delle parole Capitolo I Delle parole o del linguaggio in generale 5 I. FILA LETE. « Dio, avendo fatto l'uomo perché fosse uni creatura socievole, gli ha non soltanto ispirato il desiderio e lo k messo nella necessità di vivere con quelli della sua specie, ma gli k dato anche la facoltà di parlare che doveva essere il grande strumentc e il legame comune di questa società. » l da ciò che derivano le pa role che servono a rappresentare e anche a spiegare le idee. TEOFILO. Mi rallegro nel vedervi lontano dall'opinione di Hob. bes che non ammetteva che l'uomo fosse fatto per la società, pen. sando che vi fosse stato soltanto costretto dalla necessità e dalla cattiveria di quelli della sua specie. Egli però non considerava il fatto che i migliori uomini, esenti da qualsiasi malvagità, si unireb. bero ugualmente per meglio ottenere il loro scopo, come gli uccelli si aggruppano per meglio viaggiare in compagnia e come i castori si uniscono a centinaia per fare delle grandi dighe, laddove un piccole numero di questi animali non potrebbe riuscire. E tali dighe sono loro necessarie per costituire riserve d'acqua o piccoli laghi nei quali costruiscono le loro capanne e pescano i pesci di cui si nutrono. In ciò, e non nel timore dei loro simili, che non si trova affatto presso le bestie, risiede il fondamento della società degli animali che ne sono capaci. FILALETE. Molto bene, ed è per meglio coltivare questa società che l'uomo ha gli organi strutturati naturalmente in modo da essere adatti a formare suoni articolati che chiamiamo parole. 258 25Q TFOFILO. Per ciò che concerne gli organi, le scimmie, in apparenza, li hanno altrettanto adatti quanto noi per formare la parola tuttavia non se ne trova traccia tra di loro. Cosi bisogna che manchi ad esse qualcosa di invisibile. Occorre considerare anche che si potrebbe parlare, cioè farsi intendere, mediante i suoni della Nocca, senza formare suoni articolati, se per un tale effetto ci si servisse dei Ioni musicali; sarebbe necessaria però un'arte maggiore per inventare un linguaggio dei toni, mentre quello delle parole ha potuto essere formato e perfezionato a poco a poco da persone che si trovano nella semplicità naturale. Vi sono tuttavia popoli, come i Cinesi, che per mezzo di toni e accenti variano le loro parole, delle quali non ne hanno che un piccolo numero. Cosi Golius ', celebre matematico e grande conoscitore delle lingue, poté pensare che la loro lingua è artificiale, inventata cioè in una volta da qualche uomo ingegnoso, per stabilire un commercio di parole tra il gran numero di nazioni differenti che abitavano il grande paese che chiamiamo Cina; nonostante che tale lingua potrebbe trovarsi adesso alterata dal lungo uso. FILALETE. Cosi come gli orang-outang e altre scimmie hanno gli organi senza formare le parole, si può dire che i pappagalli e alcuni altri uccelli hanno le parole, senza avere linguaggio: si possono addestrare infatti questi uccelli e parecchi altri a formare suoni assai distinti; mentre non sono per niente capaci di linruaggio. 5 2. Non vi è che l'uomo che sia in grado di servirsi di tali suoni come segni delle concezioni interiori, affinché con tale mezzo possano essere manifestate agli altri ». TEOFILO. Credo che in effetti, senza il desiderio di farci intendere non avremmo mai formato un linguaggio; ma, essendo formato, esso serve all'uomo anche per ragionare con se stesso sía per il mezzo che le parole gli offrono di ricordarsi dei pensieri astratti, sia per l'utilità che ragionando si ricava dal servirsi di caratteri e di pensieri sordi', poiché occorrerebbe troppo tempo se bisognasse spiegare tutto e sostituire sempre le definizioni al posto dei termini. ' lacobus Golius (1526-1667), orientalista, professore presso l'università di Leida, compose un lessico arabo-latino (1653) che per lungo tempo fu indispensabile strumento di lavoro per gli arabisti europei. Collaborò alla redazione del Novus &las Siniensis (Amsterdam, 1655) di M. Martini: probabilmente Lebniz allude ad affermazioni compiute dal Golius in quest'ultima opera. 2 Leibniz definisce « sordi » caratteri e pensieri in analogia con i « numeri sordi » o irrazionali; un pensiero « sordo » è un pensiero che viene concepito espresso mediante strutture simboliche, senza che sia immediatamente chiaro alla mente, in maniera analitica, il contenuto concettuale cui alludono i simbol:. 260 5 3. FILA LETF,. « Ma poiché la moltiplicazione delle parole r avrebbe reso confuso l'uso, se fosse stato necessario un nome distint per designare ciascuna cosa particolare, il linguaggio è stato ulterio mente perfezionato mediante l'uso dei termini generali, allorché cs significano idee generali. » TEOFILO. I termini generali non servono soltanto alla perfezii ne delle lingue, ma essi sono anche necessari per la loro costituzion essenziale. Poiché se per cose particolari si intendono quelle indiv duali, sarebbe impossibile parlare se non vi fossero che nomi prop; nessun appellativo, se cioè non vi fossero parole che per gli ind vidui. A ogni momento infatti ne rispuntano di nuovi quando tratta degli accidenti individuali e in particolare delle azioni, eh sono ciò che si designa pit't di ogni altra cosa; ma se per cose part colari si intendono le pití basse specie (species a parte fatto che è difficile assai spesso determinarle, è manifesto che son, già degli universali fondati sulla similitudine. Dunque, poiché non tratta che di similitudine piti o meno estesa, a seconda che si part dei generi o delle specie, è naturale indicare ogni sorta di simili inclini o concordanze, e di conseguenza impiegare termini genera] di ogni grado. E proprio i pitl generali, essendo meno ricchi in rap porto alle idee o essenze che racchiudono, benché siano piú coni prensivi in rapporto agli individui cui convengono, sono assai spessi i piú facili a formarsi e i pití utili. Cosi vedrete che i bambini t coloro che conoscono poco la lingua che vogliono parlare o la ma teria di cui parlano, si servono di termini generali come cosa, pianta animale, invece di impiegare i termini propri che mancano loro. E( è certo che tutti i nomi propri o individuali sono stati originaria mente appellativi o generali. 5 4. FILALETF. « Vi sono anche parole che gli uomini impiegarli non per significare qualche idea, ma la mancanza o l'assenza di un: certa idea, come nulla, ignoranza, sterilità.» TEOFILO. Non vedo perché non si potrebbe dire che vi soni idee privative, come vi sono verità negative, poiché l'atto di negare è positivo. Avevo già detto qualcosa sull'argomento. 5 5. FILALI:TE. Senza stare a discutere su ciò, sarà pitl utile per accostarci un po' di pit:1 all'origine di tutte le nostre nozioni conoscenze, osservare come le parole che si impiegano per formare azioni e nozioni del tutto lontane dai sensi, traggano la propria origino dalle idee sensibili dalle quali esse sono trasferite a significati pití astrusi ». Il fatto è che i nostri bisogni ci hanno obbligati ad abbandonare l'ordine naturale delle idee, poiché quest'ordine sarebbe comune agli angeli e agli uomini e a tutte le intelligenze in generale, e dovrebbe essere seguito da noi, se non avessimo alcun riguardo per i nostri interessi: è stato dunque necessario attenersi a quell'ordine che le occasioni e gli accidenti cui la nostra specie è soggetta ci hanno fornito, ed esso non dà l'origine delle nozioni, ma, per cosi dire, la storia delle nostre scoperte. TEOFILO. FI LETE. Molto bene, ed è l'analisi delle parole che ci puo insegnare, mediante gli stessi nomi, un tale concatenamento che l'analisi delle nozioni non potrebbe darci, per la ragione che avete addotta. « Cosi le parole seguenti: immagkare, comprendere, attaccarsi, concepire, istillare, degustare, turbamento, tranquillità, ecc. sono tutte tolte dalle operazioni delle cose sensibili e applicate a certi modi di pensare. La parola spirito nel suo primo significato è il respiro, e quella di angelo significa messaggero. Dal che possiamo congetturare quale sorta di nozioni avessero quelli che per primi parlarono le lingue, e come la natura abbia suggerito inopinatamente agli uomini l'origine e il principio di tutte le loro conoscenze attraverso i nomi stessi. » TEOFILO. Vi avevo giri fatto osservare che nel credo degli Ottentotti si è dato il nome allo Spirito Santo mediante una parola che significa presso di loro un soffio di vento benigno e dolce. Lo stesso avviene riguardo alla maggior parte delle altre parole e non sempre ce ne accorgiamo, poiché il piú delle volte le vere etimologie sono perdute. Un certo olandese poco attaccato alla religione aveva abusato di questa verità' (che i termini di teologia, di morale e di metafisica sono presi originariamente dalle cose grossolane), per mettere in ridicolo, in un piccolo dizionario fiammingo, la teologia e la fede cristiana, dando ai termini definizioni o spiegazioni non quali l'uso richiede, ma quali sembrava possedere la forza originaria delle parole, e interpretandoli malignamente. E poiché d'altra parte aveva dato segni di empietà, si dice che per ciò fosse punito nel Raspel-buys. Sarà bene tuttavia considerare l'analogia delle cose sensibili e insensibili che è servita da fondamento ai tropi: e ciò si intenderà meglio considerando un esempio assai comune come quello fornito dall'uso delle preposizioni quali a, con, da, davanti, in, fuori, attraverso °, per, 3 Si tratta di Adrian Koerhagh, autore del testo cui Leihniz allude (Feti Wnewbof.... Amsterdam, 1668). ' Il testo francese ha « par 262 su, verso, che sono tutte prese dal luogo, dalla distanza, dal me mento, e trasferite poi a ogni sorta di mutamenti, ordini, successio differenze, concordanze. il significa avvicinamento, come quando dice: vado a Roma. Ma poiché per attaccare una cosa, In si avvici a quella cui la vogliamo unire, diciamo che una cosa è attaccata un'altra. E per di piú, poiché vi è un legame immateriale, per e dire, quando una cosa ne segue un'altra secondo ragioni morali, ciamo che ciò che segue movimenti e volontà di qualcuno, app tiene a questa persona o vi è connesso come se fosse disposto andare dietro a lei o con lei. Un corpo è con un altro allorché sono un medesimo luogo, ma si dice anche che una cosa è con quella c si trova nel medesimo tempo, in un medesimo ordine o parte ordine, o che concerne a una medesima azione. Quando si viene d qualche luogo, il luogo è stato nostro oggetto mediante le cose 5( sibili che ci ha fornito ed è ancora oggetto della nostra tremo, che ne è tutta riempita: e da ciò deriva che l'oggetto sia significa per mezzo della preposizione di, come quando si dice: si tratta di ci si parla di ciò, vale a dire come se ne venissimo. E allo stesso mo che ciò che è racchiuso in qualche luogo o in qualche tutto, vi appoggia ed è tolto con esso, gli accidenti son considerati alla stes stregua come nel soggetto, sunt in subject°, inhaerent subject°. l particella su è applicata anch'essa all'oggetto e si dice che è su eines argomento, all'incirca come un operaio è sul legno o sulla pietra cl taglia e forma; e poiché tali analogie sono estremamente variai' e non dipendono affatto da nozioni determinate, da ciò deriva cl le lingue variano molto nell'uso di queste particelle, e dei casi che proposizioni governano, ovvero nei quali esse si trovano sottinte: e racchiuse virtualmente. Capitolo 1T Sul significato delle parole 1. FILA LETE. Ora, poiché le parole sono impiegate dagli tu mini per essere segni delle loro idee, si può chiedere prima di tutt come le parole sono state determinate a un tale uso, e si è d'accorci che ciò « non avviene mediante alcuna connessione naturale che su: La preposizione francese « de » può assumere in italiano sia il sipnifku della preposizione « di » sia della preposizione « da ». 24 sista tra certi suoni articolati e certe idee (poiché in tal caso non vi sarebbe che una lingua tra gli uomini), bensí mediante un'istituzione arbitraria in virttí della quale una data parola è stata scelta volontariamente come segno di una certa idea ». TEOFILO. So che si è usi dire nelle scuole e un po' dovunque che i significati delle parole sono arbitrari (ex instituto), ed è vero che non sono determinati da una necessità naturale, ma ciononostante lo sono da ragioni sia naturali, in cui il caso ha qualche parte, sia morali in cui vi entra della scelta. Vi sono forse alcune lingue artificiali che sono tutte convenzionali G e interamente arbitrarie, come si crede lo sia stata quella cinese, o come lo sono quelle di Giorgio Dalgarno e del fu signor \X'ilkins, vescovo di Chester 7 . Ma quelle che si sa sono state foggiate dalle lingue già conosciute sono ottenute mediante arbitrio unito a ciò che vi è di naturale e di casuale nelle lingue che presuppongono. Ve ne sono anche di quelle che i ladri hanno foggiato per non essere intesi che da quelli della loro banda, e che i Tedeschi chiamano Rotwelsch, gli Italiani lingua zerga, i Francesi narquoi.s-, ma che essi formano solitamente sulle lingue ordinarie che sono loro note, sia modificando il significato comune delle parole mediante metafore, sia facendo nuove parole mediante una composizione o derivazione fatta a loro modo. Si formano anche delle lingue mediante il commercio dei differenti popoli, sia mescolando indifferentemente delle lingue vicine, sia, come accade piú sovente, prendendone una per base, che si storpia e si altera, clic si mescola e si corrompe, trascurando e cambiandone le regole, e anche innestandovi altre parole. La lingua franca che serve nel commercio del Mediterraneo, è composta dall'italiano, e non vi si ha alcun riguardo per le regole della grammatica. Un domenicano armeno', con citi Nell'originale: « de <lo; 7 George Dalgarno (1614-1687), autore tra l'altro di un celebre testo per l'educazione dei sordomuti (1680), pubblicò nel 1661 un'opera in cui tentava di definire i tratti fondamentali di un linguaggio universale (Ars signora m, valgo d'ardeter universalis et lingua philosophica..., Lendini, 1661); lohn \Vilkins (1614-1672), prelato e filosofo inglese tra i fondatori della Royal Societ y compo;:e anch'egli un'opera sul linguaggio filosofico (Ali essav towards a real character a philosophi •al langwrp,•, London, 1668): Leibniz mostra in varie occasioni di apprezzare le due opere di questi autori, nonostante rivolga loro il rimprovero di non essersi accorti dell'importanza e dell'utilità clic comporterebbe la costruzione di un linguaggio artificiale e. soprattutto, di non aver proceduto seguendo un metodo scientificamente valido. Sui rapporti tra il progetto leihniziano per una lingua universale e quelli di \Vilkins e Dalgarno, cfr. L. Couturat, 1.a logique de Leihniz, Paris, 1901, pp. 544-552. 8 Dovrebbe trattarsi del padre Antonio Nazarean di Aprakuniq, che fu a Parigi nel febbraio 1674. 264 parlai a Parigi, si era fatto, o forse aveva imparato dai suoi conf telli, una specie di lingua franca composta dal latino che io tro' abbastanza intelligibile, benché non vi fossero né casi né tempi altre Ilessioni, ed egli la parlava con facilità, essendovi abituato. padre Labbé'', gesuita francese assai dotto, conosciuto per molte ah opere, ha fatto una lingua di cui il latino è la base, la quale è ;facile e con meno tegole del nostro latino, ma pití regolare de lingua franca. Egli ne ha fatto appositamente un libro. Per ciò e concerne le lingue che sussistono ormai da molto tempo, non Ve sono oggi che non siano estremamente alterate. Ciò è manifesto coi parandole con gli antichi libri e monumenti che ne restano. TI fra cose antico si avvicinava di piú al provenzale e all'italiano, e nel formule dei giuramenti dei figli dell'imperatore Luigi il Buono cl Nithard, loro congiunto, ci ha conservate si vedono l'antico tedest e il francese, o piuttosto il romano (chiamato un tempo lingua r. nana rustica), quali erano nel nono secolo dopo Cristo t". Non si trt vano in alcun luogo un francese, un italiano o uno spagnolo co. vecchi. Ma per ciò che concerne il tcotisco o antico tedesco c'è Vangelo di Otfrid ", monaco di \Veissenburg, del medesimo tempc che Flacius ha pubblicato e che Schilter voleva pubblicare di nuovo' I Sassoni passati in Gran Bretagna ci hanno lasciato libri ancor pi antichi. Si conserva qualche versione o parafrasi dell'inizio dell Genesi e di qualche altra patte della Storia sacra, fatta da un certi Caedmon, di cui fa già menzione Leda' ? . Ma il libro piú antico 9 Si tratta di Philippe Lablyé (1607-1667), gesuita, autore di opere di vari< erudizione tra k quali figura una Grammatica linguae universalis (Parigi, 1663) cui si riferisce Leibniz nel testo. Per un ulteriore riferimento di Leibniz al Lablii cfr. G, VII, p. 36. 10 Nithard, storico francese del IX secolo, nipote di Carlo Magno compose una storia De dissensionibus Ludovici Pii nella quale si trova in francese antico e in antico tedesco il testo del giuramento di Strasburgo (febbraio 842) che Carlo il Calvo e Ludovico il Germanico stipularono per rinnovare l'alleanza contro l'imperatore Lotario I, loro fratello. " Otfried (IX secolo d. C.), monaco dell'abbazia di Wissenliourg, originario dell'Alsazia, compi una traduzione in rima degli Evangeli che fu pubblicata a Basilea nel 1571 dall'umanista e discepolo di Lutero Matthias Flacius (Mativa liankovic o Vlacic). 12 Johann Schilter (1632-1705), giurista e storico tedesco, compose, oltre a varie altre opere. un Thesaurus antiquitatum Theutoniearum che venne pubblicato postumo da Johann Georg Scherz (Ulm, 1726-28, in 3 vv.). '" Si tratta di una parafrasi poetica (Parapbrasis poetica Geneseos) attribuita al monaco Caedmon (VII secolo) che venne edita ad Amsterdam nel 1655; un estratto di tale parafrasi e alcune osservazioni sul contenuto dell'opera si trovano nella Storia ecclesiastica (Ilistoria ecclesiastica genti) . Angloriim, IV, cap. 241 <li Reda il Venerabile secolo d. non solo delle lingue germaniche, bensí di tutte le lingue dell'Europa, eccetto il greco e il latino, è quello del Vangelo dei Goti del Ponto Eussino, conosciuto col nome di Codex argenteus", scritto in caratteri del tutto particolari, che fu trovato nell'antico monastero dei Benedettini di Werden, in Westfalia, e che è stato trasportato in Svezia, dove lo si conserva, a ragione, con tanta cura quanto l'originale delle Pandette a Firenze 15 , benché tale versione sia stata fatta per i Goti orientali e in un dialetto ben lontano dal tedesco scandinavo: di esso si ha tale cura in quanto si crede, con qualche probabilità, che i Goti del Ponto Eussino siano venuti originariamente dalla Scandinavia, o almeno dal mar Baltico. Ora, la lingua o il dialetto di questi antichi Goti è assai differente dal tedesco moderno, nonostante che il fondamento della lingua sia il medesimo. L'antico gallico era ancora piú differente, a giudicare dalla lingua pitl vicina al gallico vero, che è quella del paese di Galles, di Cornovaglia, e dal basso Brettone; ma l'irlandese ne differisce ancor di piú e ci fa vedere le tracce di un linguaggio britannico, gallo e tedesco ancora piú antico. Tuttavia queste lingue derivano tutte da una fonte e possono esser prese per alterazioni di una medesima lingua che si potrebbe chiamare celtica. Cosf gli antichi chiamavano Celti tanto i Germani quanto i Galli. E risalendo ancor piú indietro per comprendere le origini tanto del celtico e del latino quanto del greco, che hanno molte radici comuni con le lingue germaniche o celtiche, si può congetturare che ciò derivi dall'origine comune di tutti questi popoli, discesi dagli Sciti venuti dal mar Nero. Questi Sciti passarono il Danubio e la Vistola, e una parte di essi potrebbe essere andata in Grecia, mentre l'altra potrebbe avere occupato la Germania e le Gallie. E questa è una conseguenza dell'ipotesi che fa venire gli europei dall'Asia. Il sarmatico (supposto che sia lo slavo)", per metà almeno ha un'origine o germanica o comune con la lingua germanica. Qualcosa di simile si vede anche nel linguaggio finnico, che è quello dei piú antichi Scandinavi prima che i popoli germanici, vale a dire i Danesi, Svedesi e Norvegesi vi occupassero i luoghi migliori e piú vicini al mare: e il linguaggio dei Finnici o del Nord-est del nostro continente, che è anche quello dei Lapponi, si estende dall'oceano germanico o piuttosto norvegese, fin verso il mar Caspio (bencht interrotto dai popoli schiavoni che si sono incuneati in mezzo) e lu qualche rapporto con l'ungherese venuto dai paesi clic sono ora in parte, sotto i Moscoviti. Ma la lingua tartara che con le sue dira. mazioni ha riempito il Nord-est dell'Asia, sembra essere stata la lin, gua degli Uniti e Cumani, come lo è degli Usbechi o Turchi, dei Cal mucchi e dei Mugallis Ora, tutte queste lingue della Scizia hanno molte radici in comune tra loro e con le nostre lingue, e si vede che anche l'arabo (sotto il quale debbono essere comprese la lingua ebraica, l'antico panico, la lingua caldea, la siriaca e l'etiopico degli Abissini) ne possiede un numero sí grande e cosi manifestamente simili alle nostre, che non si potrebbe attribuire ciò al solo caso, e neppure al solo commercio, ma piuttosto alle migrazioni dei popoli. In modo che non vi è niente in tutto questo che combatta e che piuttosto non favorisca l'opinione dell'origine comune di tutte le nazioni, e di ima lingua radicale e primitiva. Se l'ebraico o l'arabo vi si avvicinano di piú, essa deve essere per lo meno assai alterata, e sembra che la lingua teutonica abbia conservato piú del naturale, e (per esprimersi nel linguaggio di jacob Biihme)", della lingua adamitica. Poiché, se avessimo la lingua primitiva nella sua purezza, o abbastanza conservata per essere riconoscibile, bisognerebbe che vi apparissero chiaramente le ragioni delle connessioni sia fisiche sia di una istituzione arbitraria saggia e degna del primo autore. Ma supposto che le nostre lingue siano derivative quanto al loro fondamento, esse hanno nondimeno qualcosa di primitivo in se stesse, che è loro sopraggiunto in rapporto a parole radicali nuove, formate successivamente in esse per caso, ma su ragioni fisiche. Le parole che significano i suoni degli animali o ne sono derivate ne forniscono degli esempi. Tale è per esempio il latino coaxare, attribuito alle rane, che corrisponde al couaquen o qteaken tedesco. Ora, sembra che il rumore di questi animali sia la radice primordiale di altre parole della lingua tedesca. Infatti, poiché questi animali fanno molto rumore, oggi si attribuisce tale nome ai parlatori vani e chiacchieroni che vengono chiamati quakeler, col diminutivo; ma secondo ogni apparenza, in altri tempi, questa medesima parola quaken era presa 14 Si tratta di un codice composto in lettere argentate (da cui il nome di Codex argenteus) che contiene la traduzione della Bibbia in gotico. La traduzione risale al IV secolo e ne fu autore il vescovo Ulfila. 15 Si tratta, come è noto, del piti antico e autorevole manoscritto (secolo VI) del Digestum, custodito a Firenze dal 1406. Cioè la lingua slava. Leihniz allude alle tesi di jakob Niehme (1575-1624), filosofo e mistico tedesco, sostenitore dell'esistenza di una primitiva lingua di Adamo (in conformità con quanto si legge in Genesi, 2, 19-20) e della superiorità della lingua tedesca in quanto pití vicina a quella adamitica. Leibniz probabilmente ha presente soprattutto il Alysterium inagnmv ., oder ErkThrting iiber das Erste Bueb Arnric, Anwerdnm, 1640. 266 267 in senso buono e significava ogni sorta di suoni che si fanno con la bocca, senza eccezione per il parlare medesimo. E poiché questi suoni o rumori degli animali sono una testimonianza della vita, e si apprende da essi, prima di vedere, che c'è qualcosa di vivo, da ciò deriva che quek ín antico tedesco significasse vita o vivente, come si può notare nei libri piú antichi; e ve ne sono anche vestigia nella lingua moderna, poiché quek-silher è argento-vivo, e erquicken significa confortare e come rivivificare o ricreare dopo qualche svenimento o qualche grande fatica. Si chiamano anche Quiiken, in basso tedesco, certe cattive erbe, vive per cos/ dire e correnti, come ci si esprime in tedesco, che si estendono e si propagano facilmente nei campi a danno del grano; e in inglese quikly vuol dire prontamente, e in modo vivace. Cosi si può ritenere che, riguardo a queste parole, la lingua tedesca può passare per primitiva, gli antichi non avendo bisogno di prendere altrove un suono che è l'imitazione di quello delle rane. E vi sono molte altre parole in cui si registra altrettanto. Poiché sembra che per un istinto naturale gli antichi Germanici, Celti e altri popoli imparentati con essi, abbiano impiegato la lettera R per significare un movimento violento e un rumore come quello indicato da questa lettera. Ciò appare in Qt s(i) , fluo, rinnen, riiren (Intere), ruhr (flussione) il Reno, Rhone, Rour (Rhenus, Rhodanus, Eridanus, Rura), rauben (rapere, ravir), radi (rota), rader (raser), rauschen (parola difficile a tradurre, significante un rumore come quello delle foglie o degli alberi smossi dal vento o dal passaggio di qualche animale o il rumore che si fa trascinando qualcosa), reckken (stendere con violenza); per cui reichen significa raggiungere e der rick significa un lungo bastone o pertica che serve a sospendervi qualcosa, in quella specie di Plattiitsch o basso sassone che si parla presso Braunschweig; sempre da ciò deriva che rigo, reibe, recta, regula, regere, si riferiscono a una lunghezza o a un tratto diritto e che reck ha significato una cosa o persona assai estesa e lunga, e in particolare un gigante e quindi un uomo potente e ricco come risulta dal reich dei Tedeschi e dal riche o ricco dei neolatini. In spagnolo ricos homhres stava a significare i nobili o i principi, il che fa comprendere nello stesso tempo come le metafore, le sineddoche e le metonimie hanno fatto passare le parole da un significato all'altro, senza che se ne possa sempre seguire la pista. Si può nonare anche quel tale rumore e movimento violento in Riss (rottura), parola con la quale hanno una qualche connessione il latino rampo, il greco (,ArTnt, il francese arrachcr, l'italiano straccio. Ora, come la lettera R significa naturalmente un movimento violento, la lettera L 268 ne designa uno piú dolce. Cosí vediamo che i bambini e altre persone per le quali la R è troppo dura e troppo difficile a pronunciarsi, metto no al suo posto la lettera L e dicono, per esempio, il mio levelend( pac.'le. Questo movimento dolce si manifesta in leben (vivere), labei (confortare, ristorare), lind, lenis, lentus (lento), lieben (amare) lau fen (scivolare velocemente come acqua che scorre), lobi (scivolare labitur uncta vadis abies)"; legen (mettere con dolcezza), da cui vien. liegen, giacere, la,ge o lare (un letto, come un letto di pietre, lay-stein: pietra da lastrico, ardesia), lego, ich lese (raccolgo ciò che si è deposte — il contrario di porre — e poi: io leggo, e infine, presso i Greci, ie parlo), lauti (foglia, cosa facile a rimuoversi, a cui si rapportano anche lap, lid, lenken), laube (tetto di foglie), lua, ?..1 1 0) (solvo); !cieli: dissolversi, in basso sassone, sciogliersi come la neve, da cui prende il nome la Leine, fiume di Hannover che, venendo dai paesi montagnosi. ingrossa molto per lo sciogliersi delle nevi. Senza parlare di un'infinità di altre denominazioni che provano che vi è qualcosa di naturale nell'origine delle parole che indica un rapporto tra le cose e i suoni e i movimenti degli organi della voce; ed è ancora per questo che la lettera L unita ad altri nomi, contribuisce a formarne il diminutivo presso i latini, i neolatini e i Tedeschi superiori. Tuttavia non bisogna pretendere che una tale relazione si possa osservare in ogni caso, poiché il leone, la lince, il lupo sono tutto fuorché dolci. Ma si potrebbe aver preso in considerazione un altro accidente, vale a dire la velocità (lauf) che li fa temere o che obbliga alla corsa, come se chi vedesse arrivare un tale animale gridasse agli altri: lari/! (fuggitel); oltre al fatto che, in seguito a molti accidenti e cambiamenti, la maggior parte delle parole sono estremamente alterate e lontane dalla loro pronunzia e dal loro significato originario. FILALETE. Un esempio ulteriore farebbe intendere meglio la cosa. TEOFILO. Eccone uno assai chiaro e che ne comprende molti altri. La parola occhio con la sua parentela ci può servire allo scopo, e per mostrare ciò prenderò le mosse un po' da lontano. A (la prima lettera) seguita da una piccola aspirazione fa Ah, e poiché si tratta di un'emissione d'aria che produce un suono assai chiaro all'inizio che però subito svanisce, un simile suono significa naturalmente un piccolo soffio (spiritum lenem) quando a e h non sono troppo forti. È da qui che (Io), aer, altra, haugh, haleine, etrpAS:,-, athem, odem (in tedesco) hanno avuto origine. Ma poiché anche l'acqua è un fluido, e fa un certo rumore, ne è derivato (almeno sembra) che Ah, reso pit'l forte dal 18 Virgilio, Eneide, VIII, 9i. 76c) raddoppiamento, vale a dire: aha o ahha, è stato preso per indicare l'acqua. I Teutoni e altri Celti, per indicare meglio il movimento, hanno preposto il loro V1 1 ad entrambi, c perciò Wehen, Wind, vento, indicano il movimento dell'aria, e Waten, Water il movimento dell'acqua o nell'acqua. Ma per tornare ad Aha, questa sembra essere (come ho detto) una specie di radice che significa l'acqua. Gli Islandesi che conservano qualcosa del vecchio tedesco scandinavo, ne hanno diminuita l'aspirazione dicendo aa, altri invece, che dicono Aken (intendendo Aix, Aquas grani), l'hanno aumentata, come fanno anche i Latini ne] loro aqua e i Tedeschi, che in certi luoghi dicono ach nelle parole composte per indicare l'acqua, come nel caso di Schwarzach che significa acqua nera, Biherach, acqua dei castori. E in luogo di Wiser o Weser si diceva Wiseraha nei vecchi titoli, e W isurach ai tempi degli antichi abitanti, dal quale i Latini hanno ricavato V isurgis allo stesso modo che da Iter, Ilerach hanno fatto Ilergus. Da aqua, aigues, arnie, i Francesi hanno ricavato infine eau che pronunciano oo, dove non resta pitl nulla dell'origine. Auwe, Auge presso i Germani è oggi un luogo inondato spesso dall'acqua, adatto alla pastura, locus irriguus, pascuus, ma piú particolarmente significa un'isola, come nel nome del monastero di Reichenau (Augia di •es) e in molti altri. E ciò deve avere avuto luogo presso molti popoli teutonici e celtici, poiché da qui è venuto che tutto ciò che è come isolato in una specie di pianura è stato chiamato Auge, ooge, ~bis; presso i tedeschi è cosí che si chiamano delle tracce d'olio sull'acqua e presso gli Spagnoli 010 è un foro. Ma Auge, ooge, oculus, occhio ecc. sono stati applicati pití particolarmente all'occhio, come per eccellenza, dal momento che è un foro isolato e luminoso nel volto; e senza dubbio anche il francese oeil ha questa derivazione, ma l'origine non ne è del tutto riconoscibile, a meno che non si segua la concatenazione che ho adesso illustrata; sembra inoltre che ;inp(t e ;11.1; dei Greci vengano dalla medesima fonte. Oe o oe-land significa isola presso i settentrionali e ve n'è qualche traccia nell'Ebraico, in cui Ai, è un'isola. E il signor Brochart'" ha creduto che i Fenici ne avessero ricavato il nome che egli ritiene abbiano dato al mare Egeo, pieno cli isole. Augere, alimentare, viene anch'esso da auree o auge, vale a dire dall'effusione delle Samuel Brochart (1599-1667), uomo di ampi interessi e vasta erudizione, ebbe presso i suoi contemporanei una notevole reputazione come teologo, geografo, filologo; Leihniz si riferisce in tal caso a una sua opera: Gengraphia sacra..., (Caen. 1646, p. 434) nella quale viene affrontato il tema della confusione delle lingue e della dispersione dei popoli a seguito della edificazione della torre di Babele. 270 acque, cosí come ooken, auken in antico sassone significa aumentare e il termine Augustus che si usava parlando dell'imperatore, era tradotte con 001-..er. Il fiume del Braunschweig, che viene dalle montagne delle llarz, e di conseguenza è assai soggetto ad accrescimenti improvvisi, si chiama Ooker, e si chiamava Ouacra un tempo. Osservo incidentalmente che i nomi dei fiumi, essendo ordinariamente venuti dalla pid grande antichità conosciuta, testimoniano meglio di ogni altra cosa il vecchio linguaggio e gli antichi abitanti, ed è per questo che merite• rebbero una ricerca particolare. E le lingue in generale, essendo i pii antichi monumenti dei popoli, prima della scrittura e delle arti, ne indicano meglio di ogni altra cosa l'origine, parentele e migrazioni È per questo che le etimologie, se ben comprese, sarebbero singolari e importanti, ma occorre confrontare le lingue di molti popoli e nor fare troppi salti da una nazione a un'altra troppo lontana, senza averne solide prove, per le quali serve soprattutto avere come garanti i popoli frapposti tra le due. E in generale non si deve dare alcun credito alle etimologie se non quando vi sono una quantità di indizi favorevoli altrimenti si goropiseggia. FILALETE. Goropiseggia? Che significa? TEOFILO. Si dice cosí poiché le etimologie strane e sovente ridicole di Goropius Becanus", dotto medico del XVI secolo, sono passate ir proverbio, benché poi non abbia avuto troppo torto a pretendere che la lingua germanica che egli chiama cimbrica, abbia altrettanti e pií indizi di qualcosa di primitivo, che non l'ebraico stesso. Mi ricordo che Clauberg 21 , filosofo eccellente adesso morto, ha fornito un piccole saggio sulle origini della lingua germanica, che fa rimpiangere 12 perdita di ciò che aveva promesso su questo argomento. Vi hc dedicato anch'io qualche pensiero", oltre al fatto di avere con. dotto il fu signor Gerhard Meier", teologo dí Brerna, a lavorarvi come ha fatto; ma la morte l'ha interrotto. Spero tuttavia che 20 Goropius Becanus (lan Becan van Gorp, 1518-1572), medico e letterate fiammingo, aveva sostenuto la tesi cui allude Leibniz in uno scritto dal titolo Hermatena (in: Opera... hactenus in luce edita..., Antwerpen, 1580, p. 285). 21 Johann Clauberg (1622-1665), celebre filosofo tedesco diffusore della filo sofia cartesiana, autore di opere di fisica e di logica, compose anche una Ara etymologica Teutonum (Duisburg, 1663), raccolta da Leibniz nei suoi Collectane.: Etymologica, 1-lannover, 1717, pars I, (ristampa anastatica: Ilildesheim, 1970) pp. 187 e sgg. 22 Cfr. per es. Unvorgreifiliche Gedancken..., in Collectanea Etymologica cit., pars Il. , pp. 255 e sgg. 2-3 Gerhard Nleier (1646-1708) fu spinto da Leihniz allo studio della lingua tedesca e delle etimologie: frutto del suo lavoro in questo campo fu una Grani matica Germanica et Glossarium Saxonicorum che rimase inedita (e ri-. (.W' Leihniz, Collectanea Ftymologica, cit., pars I, pp. 253 e sgt1). 271 pubblico nn giorno possa profittarne altrettanto che dei lavori simili di Schilter ", giureconsulto celebre a Strasburgo, anch'egli morto recentemente. È certo se non altro che la lingua e le antichità teutoniche entrano nella maggior parte delle ricerche sulle origini, i costumi e le antichità europee. E mi auguro che degli uomini dotti facciano altrettanto nelle lingue vallona, biscaglina, slavonica, finnica. turca, persiana, armena, della Georgia e in altre lingue, al fine di scoprirne meglio l'armonia, che servirebbe in modo particolare, come ho detto poco fa, a chiarire l'origine delle nazioni. 5 2. FILALETE. Un tale piano è importante, ma adesso è tempo di lasciare il materiale delle parole e tornare al /armale, vale a dire al significato che è comune alle differenti lingue. Ora, voi mi concederete innanzi tutto, signore, che « quando un uomo parla a un altro, sono le sue proprie idee che egli vuoi segnalare, dal momento che le parole non possono essere applicate a cose che non conosce. E finché un uomo avrà idee che scaturiscono dal suo proprio interno, non potrà supporre che esse siano conformi alle qualità delle cose o alle concezioni di un altro ». Tr.orti.o. È vero tuttavia che assai spesso si pretende di designare ciò che altri pensano, piuttosto che ciò che si pensa di testa propria. come accade troppo sovente ai laici la cui fede si fonda sull'autorità. Nondimeno concordo sul fatto che si intende sempre qualcosa di generale, per quanto sordo e privo di intelligenza possa essere il pensiero; e si fa attenzione, se non altro, a disporre le parole secondo il costume degli altri, contentandosi di credere che potremmo apprenderne il senso quando ve ne fosse bisogno. Cosí non siamo talvolta che gli interpreti dei pensieri o i portatori della parola d'altri, allo stesso modo che lo sarebbe una lettera: e lo si è più spesso di quanto non si pensi. 5 3. FILALETE. Avete ragione ad aggiungere che si intende sempre qualcosa di generale, per quanto idioti si possa essere. « Un bambino, non avendo osservato in ciò che sente chiamare oro che un brillante color giallo, dà il nome di oro a quel medesimo colore che vede sulla coda di un pavone: altri vi aggiungeranno invece la notevole pesantezza, la fusibilità, la malleabilità. » Tvortt.o. Lo riconosco, ma sovente l'idea che si ha dell'oggetto di citi si parla, è . ancord più generale di quella di codesto bambino, e non ho dubbio sul fatto che un cieco dalla nascita possa parlare 24 Cfr. nota 12, p. 265. Il riferimento alla morte di Schilter Imaegio 1705) è uno dei <lati utili per la determinazione della cronologia deIb t rclyione r,T.vzi 272 (dr. PA. VI. vi. p. 286). in maniera conveniente dei colori e fare un discorso di elogio della luce che pure non conosce, avendone imparati gli effetti e le circostanze. 5 4. utr.ALETF.. Quanto osservate è verissimo. Accade sovente che gli uomini applichino più i loro pensieri alle parole che alle cose e poiché si è appresa la maggior parte di queste parole prima di conoscere le idee che esse significano, vi sono non soltanto bambini, mr uomini fatti che spesso parlano come pappagalli. 5 .4. Tuttavia gli uomini pretendono ordinariamente di esprimere i loro propri pensieri e per di piú « attribuiscono alle parole un segreto rapporto con le idee altrui e con le cose stesse. Poiché se colui col quale conversiamo applicasse gli stessi suoni a un'idea differente, sarebbe come parlare due lingue; per quanto sia vero che non ci si sofferma troppo ad esaminare quali sono le idee degli altri, e si supponga che la nostra idea è quella che secondo l'uso comune e i dotti del paese è applicata alla medesima parola. S 5. La qual cosa ha luogo particolarmente riguardo alle idee semplici e ai modi: ma quanto alle sostanze, si crede più specificamente che le parole significhino anche la realtà delle cose ». TEOFILO. Le sostanze e i modi sono egualmente rappresentati dalle idee; e le cose, altrettanto che le idee, nell'uno e nell'altro caso sono designate dalle parole: cosi non vi vedo alcuna differenza. se non nel fatto che le idee delle cose sostanziali e delle qualità sensibili sono piú stabili. Del resto accade talvolta che le nostre idee e i nostri pensieri siano la materia del nostro discorso e costituiscano la cosa stessa che si vuol significare, e le nozioni riflessive entrano più di quanto non si creda in quelle delle cose. Si parla anche talvolta materialmente delle parole, senza che in tali contesti si possa sostituire al posto della parola il significato, o il rapporto alle idee o alle cose: il che accade non solo quando si parla da grammatici. ma anche quando si parla da lessicografi, fornendo la spiegazione del nome. I:apitolo 111 Dei termini generali Fl Lnt.ETE. Nonostante che non esistano che « cose parti5 colari, la maggior parte delle parole consiste tuttavia di termini generali, poiché è impossibile (5 2.1 che ciascuna cosa particolare possa ,7 avere un nome particolare e distinto; senza contare che in tal caso occorrerebbe una memoria prodigiosa, nei confronti della quale la memoria di certi generali capaci di chiamare per nome tutti i propri soldati, non sarebbe nulla. La cosa andrebbe inoltre all'infinito, se ciascuna bestia, ciascuna pianta, e anche ciascuna foglia di pianta, ciascun seme, e infine ciascun granello di sabbia che si potrebbe aver bisogno di nominare, dovesse avere il proprio nome ». E come nominare le parti delle cose che ai nostri sensi si presentano uniformi, come l'acqua, il ferro? 5 3. « Oltre al fatto che tali nomi particolari sarebbero inutili, dal momento che il fine principale del linguaggio è quello di suscitare nello spirito di chi mi ascolta un'idea simile alla mia: » è dunque sufficiente la similitudine che è indicata dai termini generali. § 4. « E le parole particolari da sole non servirebbero a estendere le nostre conoscenze, » né a consentire un giudizio sull'avvenire tenendo conto del passato, o riguardo a un individuo per mezzo di un altro. § 5. « Tuttavia, poiché si ha sovente bisogno di fare menzione di certi individui, particolarmente della nostra specie, ci si serve di nomi propri che attribuiamo anche ai paesi, città, montagne, e altre distinzioni di luogo. E i sensali di cavalli danno nomi propri anche ai loro cavalli, come Alessandro Magno al suo Bucefalo, per poter distinguere questo o quel cavallo particolare, quando è lontano dalla loro vista. » TEOFILO. Queste osservazioni sono buone, e concordano in parte con quelle che ho fatto poc'anzi. Ma aggiungerei, secondo quanto ho già osservato, che i nomi propri sono stati ordinariamente appellativi, vale a dire generali nella loro origine, come Bruto, Cesare, Augusto, Capitone, Lentulo, Pisone, Cicerone, Elba, Reno, Ruhr, Leine, Ocker, Bucefalo, Alpi, Brennero o Pirenei. Si sa infatti, che il primo Bruto ebbe tale nome per la sua apparente stupidità, che Cesare era il nome di un bambino estratto con un'incisione dal ventre della madre, che Augusto era un nome esprimente venerazione, che Capitone significa grossa testa, come pure Bucefalo, che Lentulo, Pisone, Cicerone furono nomi dati all'inizio a coloro che coltivavano particolarmente certi tipi di legumi. Ho già detto cosa significano i nomi dei fiumi Reno, Ruhr, Leine, Ocker. E si sa che tutti i fiumi si chiamano ancora Elba in Scandinavia. Infine Alpi sono montagne coperte di neve (alle quali ben si addice album, bianco) e Brennero o Pirenei significano una grande altezza, poiché bren significava alto, o capo (come Brennus) in celtico, allo stesso modo che brink presso gli abitanti della bassa Sassonia significa ancora altezza, e si trova un Brenner tra la Germania e l'Italia cosi come i Pirenei sono tra le Gallie e la Spagna. Perciò 274 oserei dire che quasi tutte le parole sono originariamente termini generali poiché accadrà assai di rado che si inventi un nome espressamente, senza ragione, per indicare un certo individuo. Si può dire dunque che i nomi degli individui furono nomi di specie che si davano per eccellenza o altro motivo, a qualche individuo, come il nome di grossatesta a colui che, di tutta la città, aveva la pití grande o che era il pití considerato delle grosse teste che si conoscevano: è cosi anche che si danno i nomi dei generi alle specie, che ci si contenta cioè di un termine piú generale o piú vago, per designare specie piti particolari, quando non ci si cura delle differenze. Cosi come, per esempio, ci si contenta del nome generale di assenzio benché ve ne siano tante specie che uno dei Bauhin " ne ha riempito espressamente un libro. 6. 1 : 11,A Un'E. Le vostre riflessioni sull'origine dei nomi propri sono giustissime, ma per tornare ai nomi appellativi o ai termini generali, voi converrete senza dubbio, signore, che « le parole diventano generali quando sono segni di idee generali, e le idee diventano generali quando, per astrazione, se ne separa il tempo, il luogo o qualche altra circostanza che può determinarle a questa o quella esistenza particolare ». TEOFILO. Non sono in disaccordo nei confronti di un tale uso delle astrazioni, ma si tratta piuttosto di salire dalle specie ai generi anziché dagli individui alle specie. Poiché (per quanto paradossale ciò possa sembrare), è impossibile per noi avere la conoscenza degli individui e trovare il modo di determinare esattamente l'individualità di una qualunque cosa, a meno di conservarla; poiché tutte le circostanze possono ripetersi, le pitl piccole differenze ci sono insensibili e il luogo o il tempo, hen lungi dal determinare di per sé, hanno bisogno anch'essi di essere determinati dalle cose che contengono. Ciò che vi è di ;liti considerevole in questo fatto è che l'individualità racchiude l'infinito, e solo colui che è capace di comprenderlo può avere la conoscenza del principio di individuazione di questa o quella cosa. Il che deriva dall'influenza (a intenderla correttamente) di tutte le cose dell'universo le une sulle altre. È vero che non sarebbe cosi se vi fossero gli atomi di Democrito, ma allora non vi sarebbe neppure alcuna differenza tra due individui diversi aventi la medesima figura e la medesima grandezza. n Jean Bauhin (1541-1613), medico svizzero, fu uno dei principali studiosi di scienze n:umili del suo tempo; autore di un'opera sulla rabbia, scrisse importanti trattati sulle piante. tra i quali una imponente !littoria universalis planiarum (1650-1651). Il testo di Batthin cui allude Leibniz è il Dr plantis absintbii ninnen bahentibus ( Mon tlxliard, 1593). 275 S 7. FILALETE. « P, tuttavia chiarissimo che le idee che i bambini si fanno delle persone con cui conversano (per fermarci a questo esempio) sono simili alle persone stesse, e non sono che particolari. Le idee che essi hanno della loro nutrice e della loro madre sono assai bene impresse nel loro spirito, e i nomi di nutrice o di mamma, di cui si servono i bambini, si rapportano unicamente a tali persone. Quando, dopo ciò, il tempo ha fatto loro osservare che vi sono molti altri esseri che somigl i ano a loro padre o alla loro madre, formano un'idea della quale trovano che partecipano ugualmente tutti questi esseri par ticolari, e danno a essa, come tutti gli altri, il nome di uomo. § 8. Essi acquisiscono nel medesimo modo nomi e nozioni pii .' generali. La nuova idea di animale, per esempio, non si ottiene mediante alcuna addizione, ma soltanto togliendo !a figura o le proprietà particolari dell'uomo, e ritenendo l'idea di un corpo accompagnato da vita, da sentimento e movimento spontaneo. » -nomo. Benissimo, ma ciò non fa vedere che quanto ho appena finito dí dire, poiché, come il bambino procede per astrazione dalla osservazione dell'idea dell'uomo a quella dell'idea di animale, è pervenuto da questa idea piú specifica che osservava in sua madre o in suo padre e in altre persone, a quella della natura umana. Poiché, per rendersi conto che il bambino non aveva alcuna precisa idea dell'individuo, basta considerare che una piccola somiglianza lo ingannerebbe facilmente e gli farebbe prendere per la propria madre un'altra donna che non lo è affatto. Voi conoscete la storia del falso Martin Guerra '6, che ingannò la moglie stessa di quello vero e i parenti piú stretti mediante la somiglianza unita alla scaltrezza e rese incerti per lungo tempo i giudici, addirittura quando quello vero era ormai tornato. 5 9. FILALETE. « Cos: tutto questo mistero del genere e delle specie, di cui si fa tanto rumore nelle Scuole, ma che al di fuori cli esse è, a ragione, cosi poco considerato — tutto questo mistero, dico, si riduce unicamente alla formazione di idee astratte pití o meno estese alle quali si danno certi nomi. » TEOFILO. L'arte di ordinare le cose in generi e in specie non è di poca importanza e serve molto sia al giudizio sia alla memoria. Sapete quale importanza abbia nella botanica, senza parlare degli animali e di altre sostanze, e senza parlare anche degli esseri morali e 25 La vicenda cui allude Leibniz è quella di un impostore che riesci a farsi passare per l'avventuriero basco Martin Guerra, facendosi riconoscere come tale dalla stessa famiglia di quest'ultimo. Al ritorno del vero Martin Guerra fu avviato un processo (all'incirca nel 1660) conclusosi con la condanna a morte dell'impostore. 276 nozionali, come alcuni li chiamano. Buona parte dell'ordine ne dipende, e molti buoni autori scrivono in modo tale che tutto il loro discorso può essere ridotto in divisioni o suddivisioni, secondo un metodo che ha un certo rapporto coi generi e le specie e che serve non solo a ritenere le cose, ma anche a trovarle. E coloro che hanno disposto ogni sorta di nozioni sotto certi titoli o predicamenti suddivisi, hanno fatto qualcosa di assai utile. 5, 10. FILALETE. « Definendo le parole ci serviamo del genere o del termine generale piú prossimo, e ciò per risparmiare la fatica di contare le differenti idee semplici che tale genere significa, oppure qualche volta per sottrarsi forse allo scacco di non poter fare tale enumerazione. Ma benché la via piú corta per definire sia quella per mezzo del genere e della differenza, come dicono i logici, si possono avere dubbi, a parer mio, se essa sia la migliore: se non altro non è l'unica. Nella definizione che afferma che l'uomo è un animale razionale (definizione che forse non è la più esatta, ma che serve assai bene al nostro scopo) al posto della parola animale si potrebbe metterne la definizione. Il che fa vedere la scarsa necessità della regola che vuole che una definizione debba essere composta da genere e differenza, e il poco vantaggio che si ha a osservarla esattamente. Cosi le lingue non sono sempre formate secondo le regole della logica, in modo che il significato di ciascun termine possa essere esattamente e chiaramente espresso da due altri termini. E coloro che stabiliscono questa regola. hanno avuto il torto di darci cos: poche definizioni clic vi siano conformi. » TEOFILO. Concordo con le vostre osservazioni; sarebbe tuttavia utile, per molte ragioni, che le definizioni potessero essere di due termini: ciò indubbiamente abbrevierebbe molto, e tutte le divisioni potrebbero essere ricondotte a dicotomie che ne sono la specie migliore, e servono molto per l'invenzione, il giudizio e la memoria. Tuttavia io non credo che i logici pretendano sempre che il genere o la differenza venga espresso in una sola parola. Questo termine, per esempio: poligono regolare, può passare per il genere del quadrato, e nella figura del cerchio il genere potrà essere una figura piana curvilinea, mentre la differenza sarà data dalla condizione clic i punti della periferia siano equidistanti da un certo punto preso come centro. Del resto è ancora bene osservare che assai spesso il genere potrà essere cambiato in differenza, e la differenza in genere, per esempio: il quadrato è una figura regolare quadrilatera ovvero un quadrilatero regolare: in modo che sembra che il genere o la differenza non differiscano che come il sostantivo e l'aggettivo. Come se invece di dire che l'uomo è un animale 2%7 razionale, la lingua permettesse di (lire che l'uomo è un razionale aniInabile", vale a dire una sostanza razionale dotata di una natura animale: mentre invece i geni sono sostanze razionali la cui natura non è animale, o comune con quella delle bestie. E un simile cambiamento dei generi e delle differenze, dipende dalla variazione dell'ordine delle 5 11. r ► ALETE. « Segue da quanto ho detto poc'anzi che ciò che si chiama generale e universale, non appartiene all'esistenza delle cose, ma che è un'opera dell'intelletto. 5 12. E le essenze di ciascuna specie non sono che le idee astratte. » TEOFILO. Non vedo abbastanza questa conseguenza. Poiché la generalità consiste nella somiglianza delle cose singolari tra loro, e questa somiglianza è una realtà. § 13. FILALETE. Stavo per dirvi io stesso che « tali specie sono fondate sulle somiglianze ». TEOFILO. Perché dunque non cercarvi anche l'essenza dei generi C' delle Specie? 5 14. FILALETE. « Si sarà meno sorpresi nel sentirmi dire clic queste essenze sono l'opera dell'intelletto, se si considera che vi sono idee complesse che nello spirito di differenti persone sono sovente differenti collezioni di idee semplici; cosf ciò che è avarizia nello spirito di un uomo, non è la stessa cosa nello spirito di un altro. » TEOFILO. Confesso signore, che vi sono poche occasioni in cui abbia meno inteso la forza delle vostre argomentazioni, di quanto mi accade adesso, e ciò mi dispiace. Se gli uomini non sono d'accordo sul nome, ciò cambia forse le cose o le loro somiglianze? Se uno applica il nome di avarizia a una somiglianza e un altro a un'altra, saranno due differenti specie designate dal medesimo nome. FILALETE. « Nella specie di sostanze che è per noi la piú familiare e che conosciamo nella maniera piú intima, si è dubitato molte volte se il frutto che una donna ha messo al mondo fosse un uomo, fino a disputare se !o si dovesse nutrire e battezzare. Il che non potrebbe aver luogo se l'idea astratta o l'essenza alla quale appartiene il nome di uomo fosse opera della natura, e non invece una diversa C incerta collezione di idee semplici che l'intelletto unisce insieme e alla quale applica un nome, dopo averla resa generale per via di astrazione. In modo che, in fondo, ciascuna idea distinta formata per astrazione è un'essenza distinta. » TEOFILO. Perdonatemi se vi dico, signore, che il vostro linguaggio 27 II testo ha: 278 rationnel animatile ››. mi imbarazza, poiché non vi vedo alcuna connessione. Se noi non possiamo sempre giudicare dalle caratteristiche esteriori circa le somiglianze interiori, forse che quest'ultime sono meno nella natura? Quando si è incerti se un mostro è uomo, ciò accade perché si dubita che abbia la ragione. Se si verrà a sapere che ne ha, i teologi ordineranno di farlo battezzare e i giureconsulti dí farlo nutrire. t vero che si può discutere sulle piú basse specie prese logicamente che in una medesima specie fisica o ceppo generativo si differenziano per degli accidenti, ma non si ha bisogno dí determinarle, le si possono anche variare all'infinito, come si vede nella grande varietà degli aranci, limoni e cedri che gli esperti riescono a nominare e distinguere. La stessa cosa si poteva vedere nei tulipani e garofani quando erano di moda. Del resto, che gli uomini uniscano o no queste o quelle idee, e anche che la natura le unisca attualmente o no, ciò non significa niente per le essenze, generi e specie, poiché non si tratta che di possibilità che sono indipendenti dal nostro pensiero. 5 15. FILALETE. « Si suppone ordinariamente una costituzione reale della specie di ciascuna cosa (ed è fuor di dubbio che debba esservi) dalla quale ciascun insieme di idee semplici o qualità coesistenti deve dipendere. Ma essendo evidente che le cose sono ordinate in sorta o specie sotto certi nomi solo in quanto convengono con certe idee astratte alle quali abbiamo applicato tale nome, l'essenza di ciascun genere o specie non viene a esser altro che l'idea astratta significata dal nome generale o specifico. E troveremo che è proprio ciò che implica la parola essenza, secondo l'uso piú comune che se ne fa. Non sarebbe male, a mio avviso, designare queste due specie di essenze con due nomi differenti, e chiamare la prima essenza reale e l'altra essenza nominale. » TEOFILO. Mí sembra che il vostro linguaggio innovi eccessivamente nel modo di esprimersi. Si è parlato fin qui di definizioni nominali e causali o reali, ma non, che io sappia, di altre essenze se non reali: a meno che con essenze nominali non si siano intese essenze false e impossibili che sembrano essere essenze, ma non lo sono, come lo sarebbe ad esempio quella di un decaedro regolare, vale a dire di un corpo regolare compreso tra dieci piani o edri. L'essenza in fondo non è altro che la possibilità di ciò che si concepisce. Ciò che si suppone possibile è espresso dalla definizione, ma una tale definizione è soltanto nominale quando non ne esprime nello stesso tempo la possibilità; in tal caso infatti si può dubitare se questa definizione esprime qualcosa di reale, vale a (lire di possibile, finché l'esperienza non venga in nostro aiuto, facendoci conoscere questa realtà a posteriori, '70 allorché la cosa si trova effettivamente nel mondo. E questo basta, in mancanza della ragione che ci farebbe conoscere la realtà a priori esponendo la causa o la generazione possibile della cosa definita. Non dipende dunque da noi unire le idee come meglio ci sembra, a meno che tale combinazione non sia giustificata o dalla ragione che la mostra possibile, o dall'esperienza che la mostra attuale, e di conseguenza anche possibile. Per meglio distinguere in tal caso l'essenza e la definizione, bisogna considerare che non vi è che un'essenza della cosa, ma che vi sono molteplici definizioni che esprimono una medesima essenza, cosí come la medesima struttura o la medesima città può essere rappresentata da differenti scenografie, secondo i differenti lati da cui la si guarda. § 18. FILALE -1T. « Mi concederete, penso, che reale e nominale sono sempre la stessa cosa nelle idee semplici e nelle idee dei modi, ma che nelle idee delle sostanze sono sempre completamente differenti. Una figura che contorna uno spazio con tre linee è l'essenza del triangolo, sia reale che nominale, poiché è non soltanto l'idea astratta alla quale il nome generale è applicato, ma l'essenza o l'essere proprio della cosa, o il fondamento da cui procedono le sue proprietà e al quale esse sono attaccate. Del tutto altrimenti stanno invece le cose riguardo all'oro: la costituzione reale delle sue parti, dalla quale dipendono il colore, la pesantezza, la fusibilità, la fissità, ecc., ci è sconosciuta, e non avendone alcuna idea, non abbiamo alcun nome che la designi. Tuttavia sono queste qualità che fanno sí che tale materia sia chiamata oro, e sono la sua essenza nominale, vale a dire ciò che dà diritto al nome. » TEOFILO. Preferirei dire, secondo l'uso comune, che l'essenza dell'oro è ciò che lo costituisce e che gli dà quelle qualità sensibili che lo fanno riconoscere e che fanno la sua definizione nominale, mentre avremmo la definizione reale e causale, se potessimo spiegare questa contestura o costituzione interna. Nondimeno la definizione nominale si trova a essere qui anche reale, non di per se stessa (poiché non fa conoscere a priori la possibilità ovvero la generazione di tale corpo), ma in vira.] dell'esperienza, poiché sperimentiamo che vi è un corpo in cui queste qualità si trovano riunite insieme. Senza di che si potrebbe dubitare se un certo peso fosse compatibile con una certa malleabilità, come si può dubitare, fino ad oggi, se sia possibile in natura un vetro malleabile a freddo. E del resto non sono del vostro parere, signore, che vi sia qui una differenza tra !e idee delle sostanze e le idee dei predicati: come se le definizioni dei predicati (vale a dire dei modi e degli oggetti delle idee semplici) fos280 seco sempre reali e nominali nel medesimo tempo, e quelle delle sostanze non fossero che nominali. Sono ben d'accordo che è pii difficile avere definizioni reali dei corpi, che sono esseri sostanziali, poiché la loro contestura è meno percepibile. Ma non è lo stesso per tutte le sostanze, poiché abbiamo una conoscenza delle vere sostanze o unità (come Dio e l'anima) altrettanto intima di quella che abbiamo della maggior parte dei modi. D'altronde vi sono predicati altrettanto poco conosciuti quanto la contestura dei corpi: il giallo o l'amaro, per esempio, sono oggetti delle idee o fantasie semplici, e tuttavia non se ne ha che una conoscenza confusa, e lo stesso accade nelle matematiche, in cui un medesimo modo può avere una definizione nominale oltre che una reale. Poche persone hanno spiegato bene in cosa consista la differenza tra queste due definizioni, che deve discernere anche l'essenza e la proprietà. A mio avviso tale differenza sta nel fatto che la definizione reale fa vedere la possibilità del definito e quella nominale no: la definizione di due rene parallele che afferm:i che esse sono in un medesimo piano e non si incontrano mai, per quanto le si prolunghino all'infinito, non è che nominale, poiché si potrebbe dubitare in prima istanza, se ciò sia possibile. Ma allorché si è compreso che si può tracciare in un piano una retta parallela a una retta data, purché si faccia attenzione a che la punta dello stilo che traccia la parallela rimanga sempre ugualmente distante dalla parallela data, si vede nello stesso tempo che la cosa è possibile e perché le due rette abbiano la proprietà di non incontrarsi mai. Ciò rende nominale la definizione, ma è il segno distintivo del parallelismo solo a condizione che le due linee siano rette, mentre, se una almeno è curva, potrebbero essere di natura tale da non incontrarsi mai, senza essere per questo parallele. S 19. FILALETE. « Se l'essenza fosse altra cosa che l'idea astratta, non sarebbe ingenerabile e incorruttibile. Un liocorno, una sirena. un cerchio perfetto non sono affatto nel mondo. » TEonw. Vi ho già detto, signore, che le essenze sono perpetue, poiché non si tratta che del possibile. Capitolo IV Dei amni delle idee semplici .§ 12. FILALETE. Confesso di aver sempre creduto che la formazione dei modi fosse arbitraria, ma per quel che riguarda le idee sem281 plici e quelle delle sostanze, sono stato sempre convinto che oltre alla possibilità «queste idee dovessero significare un'esistenza reale ». TEOFILO. Non vi vedo alcuna necessità. Dio ha siffatte idee prima di creare gli oggetti di queste idee, e niente impedisce che non possa comunicare anche tali idee alle creature intelligenti: né vi è dimostrazione esatta che provi che gli oggetti dei nostri sensi e delle idee semplici che ci presentano i sensi, siano fuori di noi. Il che vale soprattutto nei confronti di coloro che credono, con i cartesiani e col vostro celebre autore, che lc nostre idee semplici delle qualità sensibili non abbiano alcuna somiglianza con ciò che è fuori di noi negli oggetti: non vi sarebbe dunque nulla clic obbliga queste idee a essere fondate in qualche esistenza reale. 55 4, 5, 6, 7. FILALETE. Mi concedereste almeno quest'altra differenza tra le idee semplici e quelle composte: che « i nomi delle idee semplici non possono essere definiti, mentre quelli delle idee composte possono esserlo. Poiché le definizioni devono contenere pití di un termine, ciascuno dei quali significa un'idea. Si vede cosi ciò che può o non può essere definito, e perché le definizioni non possono andare all'infinito, cosa che finora, per quanto sappia, nessuno ha osservato ». TEOFILO. Anch'io ho osservato, nel piccolo Saggio sulle idee inserito negli Atti di Lipsia', circa 20 anni fa, che i termini semplici non potrebbero avere definizione nominale; ma vi ho aggiunto nello stesso tempo che questi termini, allorché non sono semplici che nei nostri confronti (poiché non abbiamo il mezzo per farne l'analisi e pervenire alle percezioni elementari di cui si compongono), come lo sono i termini caldo, freddo, giallo, verde, possono ricevere una definizione reale che ne spiegherebbe la causa. P. cosf che la definizione reale del verde è di esser composto di bleu e giallo ben mescolati, benché il verde non sia suscettibile di una definizione nominale che permetta di riconoscerlo, pití di quanto non lo siano il bleu e il giallo. Mentre i termini che sono semplici in se stessi, vale a dire la cui concezione è chiara e distinta, non potrebbero ricevere alcuna definizione né nominale né reale. In questo piccolo saggio inserito negli Atti (li Lipsia troverete i fondamenti di buona parte della do t -trinacheol'tspiegancomd. 55 7, 8. FILALETE. Sarebbe bene spiegare questo punto e osservare ciò che potrebbe essere definito o no. Sono tentato di credere 23 Si tratta sempre delle Meditazioni sulla conoscenza, la verità e le idee, cfr. G, IV. pp. 422.426. 282 infatti che si levano sovente grandi dispute e che si introducono molte confusioni nei discorsi degli uomini, proprio perché non ci si cura di ciò. « Le celebri contese su cui si è fatto tanto rumore nelle Scuole, sono sorte perché non si è mai posta attenzione a questa differenza che si trova nelle idee. I pitl grandi maestri nell'arte delle definizioni sono stati costretti a lasciare la maggior parte delle idee semplici senza definirle, e quando hanno preso a farlo non vi sono riusciti. Come potrebbe, per esempio, lo spirito dell'uomo inventare un pití sottile giuoco di parole di quello che è racchiuso nella seguente definizione di Aristotele: il movimento è l'atto di un essere in potenza, in quanto è in potenza"? 5 9. E i moderni che definiscono il movimento come il passaggio da un luogo a un altro, non fanno che mettere una parola sinonima al posto dell'altra.» TEoFtt.o. Ho già osservato in una nostra discussione precedente che voi fate passare per semplici molte idee che non lo sono affatto: il movimento fa parte di tali idee, e credo sia definibile; la definizione poi che afferma trattarsi di un mutamento di luogo non è da disprezzare. La definizione di Aristotele non è cosi assurda quanto si pensa, poiché non si considera che il greco vivi- i nt; non significava ciò che noi chiamiamo movimento, ma ciò che esprimeremmo con la parola mutamento, dal che deriva che egli ne fornisca una definizione cosf astratta e metafisica, mentre quello che chiamiamo movimento è chiamato da lui (p0cd , latin, e si trova tra le specie ZI"'TFOL; ). del mutamento 10. FILALETE. Ma almeno non troverete scusanti per « la definizione della luce come atto de! trasparente. avanzata dal medesimo autore »3". TEOFI LO. La trovo, come voi, assai inutile, ed egli adopra troppo il suo atto che non ci dice gran che. Diafano è secondo lui un mezzo attraverso il quale si potrebbe vedere, e la luce ciò clic consiste nel passaggio attuale. Alla buon'ora! l. FILALETE. Siamo d'accordo dunque che « le nostre idee semplici non potrebbero avere definizioni nominali, allo stesso modo che non potremmo conoscere il sapore dell'ananas dalla relazione che ne fanno i viaggiatori, a meno di non gustare le cose mediante gli orecchi cosi come Sancio Panza aveva la facoltà di vedere Dulcinea per sentito dire o come quel cieco che, avendo sentito parlare molto Z9 Cfr. Aristotele, Fisica, III. 1. 201a 9-11; Metalis'ea, XI, 9. 1065b 14-16. 4181) 10; 41 q a Il. 29 C(r. Aristotele. De anima, IL 7, 41Rh 2S3 della vivacità del colore scarlatto, credette dovesse somigliare al suono della tromba ». 'monti). Avete ragione, e tutti i viaggiatori del mondo non avrebbero potuto darci con le loro relazioni ciò che dobbiamo a un gentiluomo di questo paese, il quale coltiva con successo degli ananas a tre leghe da Hannover, quasi sul bordo del \Veser, e ha trovato il modo di moltiplicarli, cosicché un giorno forse potremo averli di nostra produzione, tanto copiosi quanto le arance del Portogallo,. benché verosimilmente con qualche perdita di gusto. 55 12, 13. • ► LAL•TE. « t tutto il contrario invece riguardo alle idee complesse. Un cieco può comprendere cos'è una statua e un uomo che non avesse mai visto l'arcobaleno potrebbe comprendere che cos'è, purché avesse visto i colori che lo compongono. 5 15. Tuttavia, benché le idee semplici siano inesplicabili, non per questo sono le meno dubbie. » Poiché l'esperienza fa più che la definizione. TEOFILO. Vi è tuttavia qualche difficoltà riguardo alle idee che non sono semplici che rispetto a noi. Per esempio, sarebbe difficile indicare precisamente i confini del bleu e del verde e in generale discernere i colori molto vicini, mentre possiamo avere nozioni precise dei termini di cui ci serviamo in aritmetica e in geometria. 5 16. FILA LETE. Le idee semplici hanno anche questo di particolare: che hanno pochissima subordinazione in ciò che i logici chiamano linea predieamentale, dall'ultima specie fino al genere supremo. Il fatto è che dal momento che l'ultima specie è una sola idea semplice, non se ne può togliere nulla. Per esempio: non si può togliere niente dalle idee del bianco e del rosso per ritenere l'apparenza comune in cui esse convengono, ed è per ciò che vengono comprese. col giallo e altre idee, sotto il genere o il nome di colore. E quando si vuol formare un termine ancora più generale che comprenda anche i suoni, i sapori, e le qualità del tatto, ci si serve del termine generale di qualità nel senso che gli si conferisce ordinariamente, per distinguere tali qualità dall'estensione, dal numero, dal movimento, dal piacere e dal dolore che agiscono sullo spirito e vi introducono le loro idee attraverso piú di un senso. » TEOFILO. I lo ancora qualcosa da dire su questa osservazione: spero che qui e altrove mi renderete giustizia, signore, pensando che non lo faccio per spirito di contraddizione, ma perché l'argomento sembra richiederlo. Non è un vantaggio che le idee delle qualità sensibili abbiano sf poca subordinazione e siano capaci di sí poche suddivisioni, poiché ciò non deriva che da! fatto che le conosciamo poco. Tuttavia ciò stesso che i colori hanno in comune: di essere visti 28-1 mediante gli occhi, di passare tutti attraverso corpi per i quali passa l'apparenza di qualcuno di essi, e di essere riflessi dalle superfici liscie dei corpi che non li lasciano passare, fa conoscere che si può separare qualche cosa dalle idee che ne abbiamo. I colori si possono anche dividere, con buon fondamento, in estremi (dei quali l'uno è positivo, il bianco e l'altro privativo, il nero) e in medi che si chiamano ancora colori in un senso più particolare, e che nascono dalla luce per rifrazione; questi si possono suddividere ulteriormente in colori che stanno dal lato convesso e colori che stanno dal lato concavo del raggio rifratto. E queste divisioni e suddivisioni dei colori non sono di scarsa importanza. rmAt.r.TE. Ma come si possono trovare generi in queste idee semplici? TEOFILO. Poiché non sono semplici che in apparenza, sono accompagnate da circostanze che hanno qualche legame con esse, benché un simile legame non sia compreso da noi; e tali circostanze forniscono qualcosa di esplicabile e di suscettibile di analisi che dà anche qualche speranza che si possano trovare un giorno le ragioni di questi fenomeni. Accade cosí che vi sia una sorta di pleonasmo nelle percezioni che abbiamo sia delle qualità sensibili sia delle masse sensibili, e tale pleonasmo sta nel fatto che abbiamo più di una nozione del medesimo soggetto. L'oro può esser definito nominalmente in più modi; si può dire che è il più pesante dei corpi, che è il più malleabile, che è un corpo fusibile che resiste alla coppella e all'acqua forte, ecc. Ciascuna di queste designazioni è buona, e basta a riconoscere l'oro, almeno provvisoriamente e nella situazione presente dei nostri corpi, finché non si trovi un corpo più pesante (alcuni chimici pretendono che tale sia la loro pietra filosofale) o finché non si mostra la cosiddetta Luna fissa che è un metallo che si dice abbia il colore dell'argento e quasi tutte le altre qualità dell'oro, e che il cavalier Boyle sembra sostenere di aver prodotto". Si può affermare dunque che nelle materie che conosciamo solo, da empirici, tutte le nostre definizioni non sono che provvisorie, come credo di aver già osservato più sopra. t dunque vero che noi non sappiamo dimostrativamente se non sia possibile che un colore venga generato dalla sola riflessione, senza rifrazione, e se non sia account o/ a degradation 31 Lcihniz si riferisce qui all'opera An bistorical IV, pp. 371 e sgg. Col nome of Roll, London, 1678 in R. Boyle, Works, cit., Luna gli alchimisti designavano l'argomento e la a Luna fica a era un metallo che aveva il colore dell'argento, ma la pesantezza dell'oro. possibile che i colori che abbiamo notato finora nella concavità dell'angolo di rifrazione ordinario, si trovino nella convessità in una sorta di rifrazione sconosciuta finora, e viceversa. In tal modo l'idea semplice del bleu sarebbe spogliata del genere che le abbiamo assegnato sulla base delle nostre esperienze. Ma è bene arrestarsi al bleu che abbiamo, e alle circostanze che l'accompagnano. Ed è già qualcosa che esse ci forniscano di che fare generi e specie. 5 17. FILALETE. Che dite dell'osservazione che è stata fatta, secondo la quale « le idee semplici, essendo ricavate dall'esistenza delle cose, non sono per nulla arbitrarie, mentre quelle dei modi misti lo sono completamente e quelle delle sostanze lo sono sotto un certo rispetto »? TEOFILO. Io credo che l'arbitrario si trovi soltanto nelle parole e per nulla nelle idee, poiché queste ultime non esprimono che delle possibilità. Cosi, quando non vi fosse mai stato parricidio e quando tutti i legislatori si fossero curati cosf poco quanto Solone di parlarne, il parricidio sarebbe un crimine possibile e la sua idea sarebbe reale. Poiché le idee sono in Dio da tutta l'eternità e sono anche in noi prima che vi pensiamo attualmente, come ho già mostrato nelle nostre prime conversazioni. Se qualcuno vuol prenderle per pensieri attuali degli uomini, ciò gli è consentito, ma si opporrà senza motivo al linguaggio corrente. Capitolo V Dei nomi dei modi misti e delle relazioni SS 2, 3 sgg. FILALETE. « Ma lo spirito non forma forse le idee miste raggruppando le idee semplici come meglio giudica, senza bisogno di modello reale, mentre le idee semplici gli vengono senza sua scelta, in virtú dell'esistenza stessa delle cose? Sovente non vede forse l'idea mista, prima che la cosa esista? » TEOFILO. Se prendete le idee per pensieri attuali, avete ragione. Ma non vedo che bisogno ci sia di applicare la vostra distinzione a ciò che concerne la forma stessa o la possibilità di tali pensieri, e nondimeno è proprio di questo che si tratta nel mondo ideale che si distingue dal mondo esistente. L'esistenza reale degli esseri che non sono necessari è un dato di fatto o un dato storico, ma la cono286 scenza delle possibilità e delle necessità (poiché necessario è ciò il cui opposto non è possibile) rende dimostrative le scienze. LALETE. « Ma vi è forse maggior legame tra le idee di uccidere e di uomo che tra le idee di uccidere e di pecora? TI parricidio è forse composto di idee piti legate che l'infanticidio? e ciò che gli Inglesi chiamano stabbing, cioè un'uccisione per una stoccata o per un colpo di punta, che per loro è pití grave di quando si uccide colpendo col taglio della spada, è forse pial naturale per il fatto di aver meritato un nome e un'idea che non si sono assegnati, per esempio, all'atto di uccidere una pecora o di uccidere un uomo colpendolo di taglio? » TEorti.o. Se non si tratta che delle possibilità, tutte queste idee sono ugualmente naturali. Coloro che hanno visto uccidere delle pecore hanno avuto un'idea di questo atto nel pensiero, nonostante non le abbiano dato alcun nome e non l'abbiano degnata della loro attenzione. Perché dunque limitarsi ai nomi, quando si tratta delle idee stesse, e perché attaccarsi alla dignità delle idee dei modi misti, quando si tratta di queste idee in generale? 8. 1 : 1 LALETE. « Poiché gli uomini formano arbitrariamente diverse specie di modi misti, ciò fa sí che in una data lingua si trovino parole che non hanno alcun corrispondente in un'altra lingua. Non vi sono parole in altre lingue che corrispondano alla parola versura impiegata dai Romani né a quella di corban di cui si servivano gli Ebrei". Si rendono liberamente le parole latine bora, pes e libra con ora, piede e libbra, ma le idee dei Romani erano assai differenti dalle nostre. » TEOFILO. Vedo che molte cose che avevamo discusso quando si trattava delle idee stesse e delle loro specie, ritornano adesso a favore dei nomi di queste idee. La vostra osservazione è buona quanto ai nomi e quanto ai costumi degli uomini, ma non cambia nulla per quello che riguarda le scienze e la natura delle cose. Pertanto chi scrivesse una grammatica universale farebbe bene a passare dall'essenza delle lingue alla loro esistenza, e a confrontare le grammatiche di pití lingue allo stesso modo che un autore che volesse scrivere una giurisprudenza universale secondo principi di ragione, farebbe bene ad aggiungervi i paralleli delle leggi e dei costumi dei popoli, il che servirebbe non solo nella pratica, ma anche nella contemplazione, e fornirebbe all'autore stesso occasione per prestare atten32 Col termine « versura » i Romani indicavano l'atto di contrarre un debito con una persona allo scopo di poterne pagare uno contratto prima con un'altra. La parola corban » indica invece in lingua ebraica un'offerta votiva. 287 zione a un gran numero di considerazioni che senza di ciò gli sarebbero altrimenti sfuggite. Tuttavia nella scienza in se stessa, separata dalla propria storia o esistenza, non importa se i popoli si sono conformati o no a ciò che la ragione ordina. § 9. FILA LETE. « II significato ingannevole della parola specie fa sí che certuni siano colpiti dal sentir dire che le specie dei modi misti sono forniate dall'intelletto. Ma io lascio da parte la questione riguardo ciò che fissa i limiti di ciascuna sorta o specie, dal momento che queste due parole sono a mio avviso del tutto sinonime. » TEOFILO. È la natura delle cose che fissa ordinariamente questi limiti alle specie, come per esempio quello tra l'uomo e la bestia, tra la stoccata e il colpo di taglio. Riconosco tuttavia che ci sono nozioni in cui c'è veramente qualcosa di arbitrario, come quando ad esempio si tratta di determinare la lunghezza di un piede, poiché essendo la linea retta uniforme e indefinita, la natura non vi indica alcun limite. Ci sono anche essenze vaghe e imperfette in cui entra l'opinione, come quando si domanda qual è la minima quantità di capelli che bisogna lasciare a un uomo perché non sia calvo. E questo era uno dei sofismi degli antichi, col quale si incalzava l'avversario Dreni cada, elusus rag ione ruentis acerri". La vera risposta è tuttavia che la natura non ha determinato una tale nozione, e che l'opinione vi ha la sua parte, che vi sono persone delle quali si può dubitare se sono calve o no, e che ve ne sono di incerte che passano per calve presso gli uni e non presso altri, cosi come voi avete osservato che un cavallo stimato piccolo in Olanda sarà considerato grande nel Galles. Qualcosa di simile si verifica nelle idee semplici; ho osservato poco fa infatti che i limiti ultimi dei colori sono dubbi. Vi sono anche essenze veramente nominali a metà, in cui il nome entra nella definizione della cosa: il grado o la qualità di dottore, per esempio, di cavaliere, di ambasciatore, di re, si conoscono quando una persona ha acquisito il diritto riconosciuto di servirsi di tale nome. E un ministro straniero, per quanto pieno potere e per quanto gran seguito abbia, non passerà per ambasciatore se la sua lettera credenziale non gliene dà il nome. Ma queste essenze e idee sono vaghe, dubbie, arbitrarie, nominali in un senso un po' diverso da quelle che avete menzionato. 3 3 Orazio, Epistole, II, I, 47. Queste affermazioni di Leibniz sottintendonJ un riferimento a due celebri argomenti logici: a quello del mucchio di grano (sorile), la cui invenzione è attribuita a Zenone di Elea e a quello del «calvo», che Diogene Laerzio attribuisce a Eubulide di Megara. 288 § 10. FILA LETE. « Ma sembra che il nome conservi sovente le essenze dei modi misti che voi credete non essere arbitrarie; cosí, per esempio, senza il nome di trionfo non avremmo alcuna idea di ciò che accadeva presso i Romani in questa circostanza. » TEOFILO. Concordo sul fatto che il nome serve a prestare attenzione alle cose, e a conservarne la memoria e la conoscenza attuale, ma ciò non ha niente a che vedere con l'argomento di cui si tratta, e non rende le essenze nominali. Per parte mia non comprendo per quale motivo i seguaci delle vostre opinioni pretendono a ogni costo che le essenze stesse dipendano dalla scelta e dai nomi. Sarebbe stato da augurarsi che il vostro celebre autore, invece di insistere su ciò, avesse preferito entrare in maggiori particolari riguardo alle idee e ai modi, ordinandone e sviluppandone la varietà. Lo avrei seguito in tale cammino con piacere e con frutto, poiché ci avrebbe dato senza dubbio molti lumi. ferro, § 12. FILALETE. « Quando parliamo di un cavallo o del li consideriamo come cose che ci forniscono i modelli originali delle nostre idee: ma quando parliamo dei modi misti o almeno dei pití considerevoli tra questi modi, che sono le entità morali, come per esempio la giustizia, la riconoscenza, ne consideriamo i modelli originali come esistenti nello spirito. È per questo che diciamo la nozione della giustizia, della temperanza, ma non diciamo la nozione di un cavallo, di una pietra.» TEoFtio. I modelli delle idee sono altrettanto reali in un caso come nell'altro. Le qualità dello spirito non sono meno reali di quelle del corpo. È vero che non si vede la giustizia cosi come si vede un cavallo, ma non la si intende meno, o piuttosto la si intende meglio; essa non si trova nelle azioni meno di quanto si trovi il diritto e l'obliquo nei movimenti, sia che la si consideri o no. E per farvi vedere che gli uomini sono del mio parere e che anzi lo sono proprio i pitl capaci e i pii esperti nelle cose umane, non ho che da ricorrere all'autorità dei giureconsulti romani, seguiti poi da tutti gli altri, i quali chiamano questi modi misti o queste realtà morali, cose e in particolare cose incorporee. Infatti le servitt1, per esempio (come quella del passaggio attraverso il fondo del proprio vicino), sono per loro res inco •porales che sono possedute, che si possono acquisire in vinti di un lungo uso, che si possono possedere e rivendicare. Per ciò che concerne la parola nozione, persone assai valenti l'hanno considerata tanto estesa quanto quella di idea; l'uso latino non vi si oppone. e non so se quello inglese o francese vi è contrario. 289 5 15. FILALETE. « C'è ancora da osservare che gli uomini apprendono i nomi prima delle idee dei modi misti: il nome facendo conoscere che una certa idea merita di essere osservata. » monto. Questa osservazione è giusta, benché sia vero che oggi i bambini, con l'aiuto delle nomenclature, apprendono ordinariamente i nomi non soltanto dei modi, ma anche delle sostanze, prima delle cose, e anche i nomi delle sostanze prima di quelli dei modi: è infatti un difetto di queste stesse nomenclature che vi si mettano soltanto i nomi e non i verbi, senza considerare che i verbi, benché significhino dei modi, sono piú necessari nella conversazione che la maggior parte dei nomi designanti sostanze particolari. Capitolo VI Dei nomi delle sostanze 5 1. FILALETE. « I generi e le specie delle sostanze, come anche degli altri generi, non sono che sorta". Cosf per esempio i soli sono una sorta di stelle, vale a (lire sono stelle fisse, poiché non è senza ragione che si crede che ciascuna stella fissa si farebbe riconoscere per un sole a una persona che fosse situata a una opportuna distanza. § 2. Ora, ciò che circoscrive ciascuna classe è la sua essenza. § 3. Essa vien conosciuta o per mezzo dell'interno della struttura o da segni esterni che ce la fanno conoscere e nominare con un certo nome. Ed è cosf che si può conoscere l'orologio di Strasburgo come l'orologiaio che l'ha costruito oppure come uno spettatore che ne vede gli effetti. » TEOFILO. Se vi esprimete cosi, non ho niente da opporre. § 4. FILALETE. Mi esprimo in modo adatto a non rinnovare i nostri contrasti. Adesso aggiungo che « l'essenza non si rapporta che alle sorta e che nulla è essenziale agli individui. Un accidente o una malattia può cambiare il mio colorito o la mia forma, una febbre o una caduta può togliermi la ragione e la memoria, una apoplessia può ridurmi in modo da non avere né sentimento, né intelletto, né vita. Se mi si domandasse se è essenziale per me avere la ragione, risponderei di no. " Il testo inglese del Saggio WL vi, $ 11 ha « sort » e Coste traduce in francese « sorte »; anche in italiano perciò si è mantenuto « sorta ». 290 TEOFILO. Credo vi sia qualcosa di essenziale agli individui e piú di quel che non si pensi. È essenziale alle sostanze agire, alle sostanze create patire, agli spiriti pensare, ai corpi avere estensione e movimento. Vale a dire che vi sono sorta o specie delle quali un individuo non potrebbe (almeno da un punto di vista naturale) cessare di far parte, quando ne ha fatto parte una volta, per quante rivoluzioni possano avvenire nella natura. Ma vi sono sorta o specie accidentali (lo riconosco) rispetto agli individui che ne fanno parte, e che possono cessare di appartenervi. Cosi si può cessare di essere sano, bello, dotto e anche di essere visibile e palpabile, ma non si cessa di avere vita e organi e percezione. Ho detto a sufficienza piú sopra perché sembra agli uomini che la vita e il pensiero cessino talvolta, benché non cessino di durare e di avere degli effetti. 5 8. FILALETE. « Numerosi individui raggruppati sotto un nome comune, considerati come di una sola specie, hanno tuttavia qualità assai differenti che dipendono dalle loro costituzioni reali » (particolari). « P, ciò che osservano senza difficoltà tutti coloro che esaminano i corpi naturali, e sovente i chimici ne sono convinti da esperienze spiacevoli, quando cercano invano in un pezzo di antimonio, di zolfo o di vetriolo le qualità che hanno trovato in altre parti di tali minerali. » TEOF11.0. Niente è cosi vero, e io non potrei dire niente di nuovo. Pertanto si sono fatti espressamente libri de infido experimentorum cbymicorum successi'''. Ma il fatto è che ci si sbaglia a prendere tali corpi per omogenei o uniformi, mentre sono misti pii .] di quel che non si pensi. Poiché nei corpi non-omogenei non si è sorpresi nell'osservare differenze tra gli individui, e i medici sanno anche troppo bene quanto i temperamenti e le nature dei corpi umani sono differenti. In una parola, non si troveranno mai le ultime specie logiche, come ho già osservato sopra, e mai due individui reali o completi di una medesima specie sono perfettamente simili. 5 9. FILALETE. « Noi non notiamo tutte queste differenze, perché non conosciamo le piccole parti, né di conseguenza la struttura interna delle cose. Perciò non ce ne serviamo per determinare le sorta o specie delle cose, e se volessimo farlo mediante le essenze o ciò che le Scuole chiamano forme sostanziali, saremmo simili a un cieco che volesse classificare i corpi secondo i colori. 4 11. E neppure 35 II titolo dell'opera di Boyle è Tentamina quaedam de infido experimentorum successo (Amsterdam, 1667); si tratta della traduzione latina dei Two essays concerning the unsuccessfulness of experiments. compreso in Certain physiological cssays (London, 1661), in R. Boyle, Works. cit.. 1, pp. 318 e sgg. 201 conosciamo le essenze degli spiriti né saremmo in grado di formare differenti idee specifiche degli angeli, nonostante sappiamo bene che bisogna vi siano più specie di spiriti. Cosi sembra che nelle nostre idee non introduciamo alcuna differenza tra Dio e gli spiriti, per ciò che concerne il numero delle idee semplici, eccetto il fatto che attribuiamo a Dio l'infinità. » TEOFILO. Vi è ancora un'ulteriore differenza nel mio sistema tra Dio e gli spiriti creati, ed è che bisogna, a mio avviso, che tutti gli spiriti creati abbiano corpi, proprio come ne ha uno la nostra anima. 5 12. ilt.At.t:TE. Ma io credo che almeno vi sia questa analogia « tra i corpi e gli spiriti: che cosí come non esiste il vuoto nelle varietà del mondo corporeo, non vi sarà minor varietà tra le creature intelligenti. A cominciare da noi, e arrivando fino alle cose più basse, si ha una discesa che si attua per gradi piccolissimi e attraverso una serie continua di cose che in ciascun passaggio differiscono pochissimo l'una dall'altra. Vi sono pesci che hanno ali e ai quali non è estraneo il volo; vi sono uccelli che abitano nell'acqua che hanno il sangue freddo come i pesci e la cui carne è talmente simile per gusto a quella dei pesci, che si permette alle persone scrupolose di mangiarne durante i giorni di magro. Vi sono animali che somigliano talmente alla specie degli uccelli e a quella delle bestie terrestri, da stare a metà tra le due. Gli anfibi partecipano ugualmente delle bestie terrestri e acquatiche. I vitelli marini vivono sulla terra e nel mare, e i marsuini (il cui nome significa porco di mare) hanno il sangue caldo e le interiora di inalale. Per non parlare di ciò che si racconta degli uomini marini: vi sono bestie che sembrano avere altrettanta conoscenza e ragione di alcuni animali che si chiamano uomini; e tra gli animali e i vegetali vi è una sí grande affinità, che se voi prendete il più imperfetto dei primi e il più perfetto dei secondi, noterete con difficoltà una qualche differenza considerevole tra loro. Cosi, fino ad arrivare alle parti pii; basse e meno organizzate della materia, troveremo ovunque che le specie sono legate insieme e non differiscono che per gradi pressoché insensibili. E quando consideriamO la saggezza e la potenza infinita dell'Autore di tutte le cose, abbiamo argomento per pensare che è cosa conforme alla splendida armonia dell'universo e al grande disegno, cosi come alla bontà infinita del supremo Architetto, che le differenti specie delle creature si elevino poco a poco da noi verso la sua infinita perfezione. Cosi abbiamo ragione di persuaderci che vi sono molte più specie di creature al di sopra di noi, di quante ve ne sono al di sotto, poiché siamo molto più lontani in perfezione dall'essere infinito di 292 Dio, di quanto lo sia ciò che si avvicina di più al nulla. Tuttavia non abbiamo alcuna idea chiara e distinta di tutte queste differenti specie ». TEOFILO. Era mia intenzione dire, in qualche altro luogo, qualcosa di simile a quanto avete esposto adesso, ma sono ben lieto di essere stato prevenuto, dal momento che vedo che queste cose sono state dette meglio di quanto avrei sperato di fare io stesso. Valenti filosofi hanno trattato la questione utrum detur vacuum formarum, vale a dire se vi siano specie possibili che non esistono e che potrebbe sembrare fossero state dimenticate dalla natura. Ho motivi per credere che tutte le specie possibili non sono com-possibili nell'universo, per grande che sia, e ciò non solo in rapporto alle cose che sono insieme nel medesimo tempo, ma anche in rapporto a tutta la serie delle cose. Credo cioè che vi siano necessariamente delle specie che non sono mai esistite e non esisteranno mai, non essendo compatibili con la serie delle creature che Dio ha scelto. Ma credo che tutte le cose che la perfetta armonia dell'universo poteva ricevere vi siano. Che esistano creature intermedie tra quelle che sono diverse, è conforme a questa medesima armonia, benché ciò non avvenga sempre in un medesimo globo o sistema, e quel che si trova in mezzo a due specie lo è talvolta in rapporto a certe circostanze, e non in rapporto ad altre. Gli uccelli, sí differenti dall'uomo per altre cose, si avvicinano ad esso per la parola, ma se le scimmie sapessero parlare come i pappagalli, vi si avvicinerebbero di più. La legge di continuità comporta che la natura non lasci vuoti nell'ordine che essa segue, ma ogni forma o specie non appartiene a ogni ordine. Quanto agli spiriti o geni, cosi come ritengo che tutte le intelligenze create abbiano corpi organizzati la cui perfezione corrisponde a quella dell'intelligenza o dello spirito che, in virtù dell'armonia prestabilita, è nel corpo, ritengo che per concepire qualche cosa delle perfezioni degli spiriti al di sopra di noi, gioverà molto immaginarsi, anche negli organi del corpo, perfezioni superiori a quelle del nostro. È qui che l'immaginazione più viva e ricca e, per servirmi di un'espressione italiana che non saprei rendere altrimenti, l'invenzione la piú vaga si troverà a proposito per elevarci al di sopra di noi stessi. E ciò che ho detto per giustificare il mio sistema dell'armonia che esalta le perfezioni divine al di là di quel che si è mai pensato, servirà anche a concepire idee di creature incomparabilmente più grandi di quel che si siano avute finora. 5 13. FILA LETE. « Per tornare alla scarsa realtà delle specie, 2°3 anche nelle sostanze, vi domando se l'acqua e il ghiaccio sono di specie differente. » TEOFILO. E io vi domando a mia volta se l'oro fuso nel crogiolo e l'oro raffreddato in lingotti sono di una medesima specie. FILALETE. Non risponde alla domanda chi ne pone un'altra Qui filem lite resnlvit". « Tuttavia riconoscerete da ciò che la riduzione delle cose in specie si rapporta unicamente alle idee che ne abbiamo, il che basta a distinguerle mediante nomi; ma se supponiamo che tale distinzione sia fondata sulla loro costituzione reale intrinseca, e che la natura distingua le cose che esistono in altrettante specie, mediante le loro essenze reali, allo stesso modo che noi medesimi le distinguiamo in specie mediante queste o quelle denominazioni, saremmo soggetti a grandi errori. » Tr.ortt.o. C'è una certa ambiguità nel termine specie o essere di differente specie, che provoca tutti questi problemi, e quando l'avremo eliminata non vi sarà alcuna contestazione eccetto forse che sul nome. Si può considerare la specie matematicamente e fisicamente. Da un punto di vista matematico rigoroso, la minima differenza che fa sí che due cose non siano simili in tutto, fa sí che differiscano di specie. È cosi che in geometria tutti i cerchi sono di una medesima specie, poiché sono tutti perfettamente simili, e per la medesima ragione anche tutte le parabole sono di una medesima specie, mentre non è lo stesso riguardo alle ellissi e alle iperbole, poiché ve ne sono un'infinità di sorta o specie, nonostante ve ne sia anche un'infinità di ciascuna specie. Tutte le innumerevoli ellissi in cui la distanza dai fuochi ha il medesimo rapporto rispetto alla distanza dai vertici degli assi, sono di una medesima specie; ma poiché i rapporti di queste distanze non variano che in grandezza, ne consegue che tutte queste specie infinite di ellissi non costituiscono che un solo genere e che non vi sono suddivisioni ulteriori. Mentre invece un ovale con tre fuochi avrebbe pure un'infinità di tali generi e un numero di specie infinitamente infinito, ciascun genere avendone un numero semplicemente infinito. In questo senso due individui fisici non saranno mai perfettamente di una stessa specie, poiché non saranno mai perfettamente simili, e per di pití il medesimo individuo passerà di specie in specie, poiché non è mai simile in tutto a se stesso " Orazio, Satire, 11, iii, 103. 294 al di là di un momento. Ma gli uomini, allorché stabiliscono delle specie fisiche, non si attengono a un simile rigore, e dipende da loro dire che una massa che possono far tornare ad assumere la forma precedente rimane, rispetto ad essi, di una medesima specie. C,Osí diciamo che l'acqua, l'oro, l'argento vivo, il sale comune rimangono tali e non sono che nascosti nei mutamenti ordinari; ma nei corpi organici o nelle specie delle piante e degli animali definiamo la specie mediante la generazione, in modo che la somiglianza che deriva o potrebbe essere derivata da una medesima origine o seme, vien considerata di una medesima specie. Nell'uomo, oltre che alla generazione umana, ci si attiene alla qualità di animale razionale, e benché vi siano uomini che rimangono simili alle bestie per tutta la loro vita, si presume che ciò non si verifichi per insufficienza della facoltà o del principio, ma a causa degli impedimenti che vincolano tale facoltà. Ma non ci si è ancora decisi riguardo a tutte le condizioni esterne che si vogliono considerare sufficienti per determinare una simile presunzione. Tuttavia qualsiasi regola •gli uomini stabiliscano per le loro denominazioni e per i diritti che attribuiscono ai nomi, purché la regola sia seguita o sia coerente e intelligibile, sarà fondata nella realtà, e non sapranno figurarsi specie che la natura, la quale comprende le possibilità stesse, non abbia prodotto o distinto prima di essi. Quanto all'interno, benché non vi sia alcuna apparenza esterna che non sia fondata nella costituzione interna, è vero nondimeno che una medesima apparenza potrebbe risultare talvolta da due diverse costituzioni; vi sarà però in tal caso qualcosa in comune, ed è ciò che i nostri filosofi chiamano la causa formale prossima. Ma quand'anche ciò non fosse, come se, secondo il parere di Mariotte, il bleu dell'arcobaleno avesse tutt'altra origine del bleu di un turchese, senza che vi fosse una causa formale comune (sulla qual cosa però io non sono del suo parere)", e quand'anche si concedesse che certe nature apparenti che ci fanno attribuire dei nomi non hanno niente di intrinseco in comune, le nostre definizioni non cesserebbero di essere fondate su specie reali, poiché anche i fenomeni sono delle realtà. Possiamo dunque dire che tutto ciò che distinguiamo o confrontiamo con verità, anche la natura lo distingue o lo rende simile, benché comprenda distinzioni e confronti che non conosciamo affatto e che possono essere migliori dei nostri. Cosf occorreranno ancora molta cura ed esperienza per assegnare i generi e le 37 Su Mariotte cfr. la nota 5, pp. 115; l'esperienza cui accenna Leihniz si trova negli Essais de physique, ote mernoires poter servir à la science des chnses naturelles, Paris, 1679.81 (IV saggio: De la nature des cnuleurs), pp. 307 e sgg 295 specie in una maniera assai vicina alla natura. T botanici moderni credono che le distinzioni ricavate dalle forme dei fiori si avvicinino di piú all'ordine naturale. Nondimeno vi incontrano ancora molte difficoltà e sarebbe opportuno fare comparazioni e classificazioni non solo seguendo un unico fondamento, come quello che ho menzionato adesso, ricavato dai fiori, che forse è finora il piú opportuno per offrire un sistema agevole e comodo a coloro che apprendono, ma seguendo anche altri fondamenti ricavati da altre parti e condizioni di vita delle piante. In tal caso ciascun fondamento per il confronto meriterebbe tavole a parte, senza di che ci si lascerebbero sfuggire molti generi subalterni e molte comparazioni, distinzioni e osservazioni utili. Ma piú si approfondirà la generazione delle specie, e piú si seguiranno nelle classificazioni le condizioni che vi sono richieste, piú ci avvicineremo all'ordine naturale. Perciò, se la congettura di alcuni esperti risultasse vera, che cioè nella pianta, oltre al germe o alla semenza conosciuta che corrishonde all'uovo dell'animale, c'è un altro seme che meriterebbe di essere chiamato maschile — vale a dire una polvere (polline) (visibile assai spesso, ma invisibile altre volte, come lo è sovente anche il seme in certe piante), che il vento o altri accidenti ordinari spargono per unire al seme che viene talvolta da una medesima pianta e talvolta anche (come nella canapa) da una pianta vicina della medesima specie che avrà di conseguenza analogia col maschio (benché forse !a femmina non sia mai sprovvista del tutto di questo stesso polline) — se tutto ciò, dico, risultasse vero, e se il modo in cui si generano le piante divenisse piú noto, sono certo che le varietà che vi si osserverebbero, fornirebbero un fondamento a divisioni molto naturali'". E se avessimo la penetrazione di alcuni geni superiori, e conoscessimo abbastanza le cose, forse vi troveremmo degli attributi fissi per ciascuna specie, comuni a tutti i suoi individui e sussistenti sempre nel medesimo organismo vivente, per quante alterazioni o trasformazioni potessero capitargli. Allo stesso modo che nella piú conosciuta delle specie fisiche, quella umana, la ragione è un tale attributo fisso che conviene a ciascuno degli individui e che non si può mai perdere, benché non se ne possa avere sempre appercezione. In mancanza di tali conoscenze però ci serviamo de"" Leihniz si riferisce qui, come si ricava da una sua lettera a Gackenholtz del 23 aprile 1701, agli studi di Rudolf fakob Camerarius « eccellente scienziato », autore di una Epistola de sexu plantarion (Tubinga, 1694) e di T. 1-1. Burkhard definito nella stessa lettera « giovane degno di considerazione» nell'ambito delle ricerche sulle piante. 296 gli attributi che ci sembrano i piú comodi per distinguere e confrontare le cose e, in una parola, per riconoscerne le specie o sorta: e questi attributi hanno sempre i loro fondamenti reali. 5 14. FII A LETE. « Per distinguere gli esseri sostanziali secondo l'ipotesi comune che vuole vi siano certe essenze o forme precise delle cose, mediante le quali tutti gli individui esistenti sono distinti naturalmente in specie, bisognerebbe essersi assicurati in primo luogo (§ 15) che la natura si propone sempre nella produzione delle cose, di farle partecipare di certe essenze ordinate e fisse come modelli; e in secondo luogo: (5 16) che la natura raggiunge sempre questo fine. Ma i mostri ci danno argomento per dubitare dell'una cosa e dell'altra. § 1.7. Bisognerebbe determinare in terzo luogo se questi mostri non siano realmente una specie distinta e nuova, dal momento che troviamo che alcuni di questi mostri non hanno che poco o punto quelle qualità che si suppone risultino dall'essenza delle specie dalla quale essi traggono la loro origine c alla quale sembrano appartenere in vinti della loro nascita. » TEOFILO. Quando si tratta di determinare se i mostri appartengano a una certa specie, si è sovente costretti a congetture. Il che però fa vedere che allora non ci si limita a ciò che è esteriore, poiché si vorrebbe indovinare se la natura intrinseca (come per esempio la ragione nell'uomo) comune agli individui di una data specie, conviene anche (come lo fa presumere la nascita) a individui cui manca una parte delle caratteristiche esteriori che si trovano ordinariamente in tale specie. Ma la nostra incertezza non fa nulla alla natura delle cose, e se c'è una tale natura comune intrinseca, essa si troverà o non si troverà nel mostro, sia che lo sappiamo o no. E se non si trova la natura intrinseca di nessuna specie, il mostro potrà essere dí una sua specie particolare. Ma se non vi fosse affatto una tale natura interiore nelle specie di cui si tratta, e se non ci si arrestasse piú soltanto alla nascita, allora le sole caratteristiche esteriori determinerebbero la specie, e i mostri non apparterrebbero a quella da cui si discostano, a meno di prenderla in maniera un po' vaga e con qualche ampiezza: e anche in tal caso sarebbe vana la nostra fatica di voler determinare la specie. Ed è forse ciò che voi volete dire con tutto quello che obiettate alle specie ricavate dalle essenze reali interne. Voi dovreste dunque provare, signore, che non vi è alcuna proprietà specifica comune, quando tutte le caratteristiche esteriori non lo sono. Ma si verifica il contrario nella specie umana, ove talvolta bambini clic hanno qualcosa di mostruoso arrivano a un'età in cui rivelano una qualche razionalità. Perché dunque por non vi potrebbe essere qualcosa di simile in altre specie? 297 vero che senza conoscere tali proprietà interne non potremmo servircene per la definizione delle specie, ma ciò che è esteriore tuttavia ne prende il posto, benché riconosciamo che non è sufficiente per avere una definizione esatta, e che le stesse definizioni nominali in questi casi sono soltanto congetturali: piú sopra ho già detto come talvolta siano soltanto provvisorie. Per esempio si potrebbe trovare il modo di contraffare l'oro, in modo che soddisfacesse a tutte le prove che se ne conoscono finora; ma si potrebbe anche scoprire un nuovo metodo di prova capace di offrire il modo di distinguere l'oro naturale da un simile oro artificiale. Delle vecchie carte attribuiscono l'una e l'altra di queste scoperte ad Augusto, elettore di Sassonia", ma non sono in grado di garantire questo fatto. Tuttavia, se fosse vero, potremmo avere dell'oro una definizione piú perfetta di quella che abbiamo adesso; e se l'oro artificiale si potesse fare in quantità e a buon mercato, come pretendono gli alchimisti, un tale nuovo metodo di prova sarebbe importante. Per suo mezzo infatti si conserverebbe al genere umano il vantaggio clic ci dà l'oro naturale nel commercio, con la sua rarità, fornendoci una materia durevole, uniforme, facilmente divisibile e riconoscibile e preziosa in piccolo volume. Voglio approfittare di questa occasione per togliere una difficoltà (si veda il § 50 del capitolo sui nomi delle sostanze, presso l'autore del Saggio sull'intelletto). Si obietta che dicendo ogni oro è stabile, se si intende con l'idea dell'oro l'insieme di alcune qualità tra le quali è compresa l'essere stabile non si fa che una proposizione identica e vana, come se si dicesse ciò che è stabile è stabile; se invece si intende un essere sostanziale dotato di una certa essenza interna di cui la stabilità è una conseguenza, non si parlerà allora ín modo intelligibile, poiché questa essenza reale è del tutto sconosciuta. Ora, a ciò rispondo che il corpo dotato di una tale costituzione interna è designato da altre caratteristiche esterne in cui la stabilità non è compresa: come se qualcuno dicesse il piú pesante di tutti i corpi è anche uno dci piií stabili. Ma tutto ciò è solo provvisorio, poiché si potrebbe trovare un giorno un corpo volatile, come potrebbe esserlo un nuovo tipo (li mercurio, piú pesante dell'oro e sul quale l'oro galleggiasse come il piombo galleggia sul mercurio. § 19. FILALETE. « P. vero che in questa maniera non possiamo mai conoscere esattamente il numero delle proprietà che dipendono dall'essenza reale dell'oro, a meno che non conosciamo l'essenza dell'oro stesso ». § 21. Tuttavia, se ci limitiamo esattamente a certe "9 Si tratta di Augusto T, elettore di Sassonia (1526-15R6). 295 proprietà, questo ci basterà per avere definizioni nominali esatte, che ci serviranno nel presente, salvo a cambiare il significato dei nomi, se si scoprisse qualche nuova distinzione utile. « Ma bisogna almeno che tale definizione corrisponda all'uso del nome, e possa essere messa al suo posto. Il che serve a confutare quelli che pretendono che l'estensione costituisca l'essenza del corpo; quando si dice infatti che un corpo conferisce una spinta a un altro, se, sostituendovi l'estensione, si dicesse che una estensione ne mette in moto un'altra mediante spinta, l'assurdità sarebbe manifesta, poiché bisogna aggiungervi anche la solidità. Cosi pure non si dirà che la ragione, o ciò che rende l'uomo razionale, è capace di conversazione, poiché la ragione non costituisce in alcun modo tutta l'essenza dell'uomo: sono gli animali razionali che fanno conversazione tra loro. » TEOFILO. Credo che abbiate ragione; infatti gli oggetti delle idee astratte e incomplete non bastano a dare dei soggetti per tutte le azioni delle cose. Nondimeno credo che la conversazione convenga a tutti gli spiriti che possono comunicarsi reciprocamente i propri pensieri. Gli scolastici sono assai in difficoltà su come gli angeli possano farlo, ma se accordassero loro dci corpi sottili, come faccio io seguendo gli antichi, non rimarrebbe piú alcuna difficoltà a questo proposito. 22. FILALETE. « Vi sono creature che hanno una forma simile alla nostra, ma che sono coperte di peli e non hanno l'uso della parola e della ragione. Vi sono tra noi degli sciocchi che hanno perfettamente la medesima forma nostra, ma che sono privi di ragione, e alcuni di essi non hanno l'uso della parola. Vi sono creature, a quanto si dice, che dotate dell'uso della parola e della ragione, e con una forma simile alla nostra sotto tutti gli altri riguardi, hanno code pelose, o almeno non è impossibile che simili creature esistano. Ve ne sono altre i cui maschi non hanno barba e altre le cui femmine ce l'hanno. Quando si domanda se tutte queste creature sono uomini o no, se appartengono alla specie umana, è chiaro che la questione si rapporta unicamente alla definizione nominale o all'idea complessa che ci facciamo per indicarla con questo nome; poiché l'essenza interna ci è assolutamente sconosciuta, benché abbiamo motivo di pensare che laddove le facoltà, ovvero la figura esteriore, sono molto differenti, la costituzione interna non è la medesima. » TEOFILO. Credo che nel caso dell'uomo abbiamo una definizione che è reale e nominale nello stesso tempo. Poiché nulla potrebbe essere piú interno all'uomo della ragione, e ordinariamente quest'ulti- 20" ma si fa ben conoscere. Perciò la barba e la coda non saranno prese in considerazione accanto ad essa. Un uomo silvestre", anche se coperto di pelo, si farà riconoscere come uomo, e non è certo il pelame di uno scimmione a farlo escludere dall'umanità. Gli sciocchi sono privi dell'uso della ragione, ma poiché sappiamo per esperienza che essa è sovente impedita e non può manifestarsi, e che ciò accade a uomini che hanno mostrato e mostreranno ancora di averne, facciamo verosimilmente il medesimo giudizio circa questi sciocchi, sulla base di altri indizi, vale a dire riguardo alla figura corporea. E non è che per mezzo di questi indizi, uniti alla nascita, che si presume senza sbagliarsi troppo che i bambini siano uomini e clic mostreranno di essere razionali. Me se esistessero animali razionali con una forma esteriore un po' differente dalla nostra, ci troveremmo in imbarazzo. Il che mostra che le nostre definizioni, quando dipendono dall'esterno dei corpi, sono imperfette e provvisorie. Se qualcuno si dicesse angelo e sapesse o sapesse fare cose molto al di sopra di noi, potrebbe farsi credere. Se qualcun altro venisse dalla Luna per mezzo di qualche macchina straordinaria, come Gonzales, e ci raccontasse cose credibili del suo paese nativo, passerebbe per un lunare 41 , e tuttavia si potrebbe accordargli la cittadinanza e i diritti civili tra noi, col titolo di uomo, per estraneo che egli fosse al nostro globo. Ma se domandasse il battesimo, e volesse essere accolto proselite dalla nostra fede, credo che si vedrebbero levarsi grosse dispute tra i teologi. E se le relazioni con questi uomini planetari, assai simili a noi, secondo quanto ritiene I luygens 42 , fossero aperte, la questione meriterebbe un concilio universale, per sapere se dovremmo estendere la cura della propagazione della fede fino al di là del nostro globo. Molti sosterrebbero senza dubbio che gli animali razionali di tale paese, non essendo della razza di Adamo, non hanno alcuna parte alla redenzione di Gcsú Cristo; ma altri direbbero forse che non sappiamo a sufficienza né dove Adamo è sempre stato, né quel che è stato fatto da tutta la sua posterità, poiché vi sono stati anche teologi che 4() (o1 nome di « uomo silvestre » si era soliti indicare al tempo di Leibniz gli orang-outang; si veda ad esempio il titolo del libro di Tyson alla nota 80 di p. 223. 41 Si tratta dell'eroe di un romanzo fantastico di Francis Godwin (1561-1633), The man in the Afoon, pubblicato a Londra nel 1638 e tradotto in francese nel 1648. 42 Leibniz fa riferimento in questa occasione allo scritto di Fluygens Cosmotheoror, sive de terris coelestihus earumque ornata conjecturae, pubblicato postumo (Den Haag, 1698), nel quale era affrontato il tema della pluralità dei mondi. 300 hanno creduto che la Luna sia stata il luogo del paradiso". Cosicché, forse, si concluderebbe a maggioranza per il partito piú sicuro, che Sarebbe quello di battezzare questi uomini incerti sotto la condizione che ne fossero suscettibili. Dubito però che li si vorrebbe fare mai sacerdoti nella Chiesa romana, poiché le loro consacrazioni sarebbero sempre incerte, e si esporrebbero le persone al pericolo di una idolatria materiale, secondo i principi di questa Chiesa. Fortunatamente però la natura delle cose ci esime da tutti questi problemi; nondimeno queste bizzarre finzioni hanno la loro utilità nella speculazione, per ben conoscere la natura delle nostre idee. 5 23. FILALETE. Non solo nelle questioni teologiche, ma anche in altre occasioni, alcuni forse vorrebbero regolarsi in base alla razza, e dire che « la propagazione per accoppiamento del maschio e della femmina negli animali e quella per mezzo dei semi nelle piante, conserva le specie supposte reali, distinte e nella loro interezza. Ma ciò non servirebbe che a fissare le specie degli animali e dei vegetali: che fare del restante? Inoltre ciò non basta neppure riguardo ad essi poiché, se bisogna prestar credito alla storia, delle donne sono state messe incinte da scimmioni. Ed ecco un nuovo problema: a quale specie dovrà appartenere un simile parto? Si vedono sovente muli e jumarts (si veda il Dizionario etimologico di Menne)", generati i primi da un asino e una cavalla, i secondi invece da un toro e una giumenta. Ho visto un animale generato da un gatto e da un topo, che aveva segni visibili di queste due bestie. Si aggiungano a ciò le creature mostruose, e si troverà che è ben difficile determinare la specie mediante la generazione; e se non lo si potesse fare che con tale mezzo, devo forse recarmi nelle Indie per vedere il padre e la madre di una tigre, e il seme della pianta del thè, o non potrei invece giudicare in altro modo se gli individui che ne provengono appartengono a queste specie? ». TEOFILO. La generazione o razza fornisce almeno una forte presunzione (vale a dire una prova provvisoria), e ho già detto che assai spesso i nostri contrassegni non sono che congetturali. La razza tal" Cfr. per esempio la Summa theologiac di Alberto Magno, parte IL 13, quaestio. 79. 44 Gilles Ménage (1613-1692), erudito e poeta francese, ebbe un ruolo notevole nelle querelles letterarie del XVII secolo; autore di studi sulla lingua e la letteratura francese compose un Dictionnaire etymologique ou origines de la langue francese (Parigi, 1694), al quale fa riferimento Filalete. Alla sua morte alcuni amici si incaricarono di raccogliere le sue conversazioni e i suoi Pons mots, in un'opera che si intitolava appunto Menagiana (Amsterdam, 169 4) che ebbe notevole diffusione; cfr. pini avanti nel testo. 301 volta è smentita dalla figura, quando il piccolo è differente dal padre e dalla madre, e il miscuglio delle figure non è sempre segno del mescolamento delle razze. Può accadere infatti che una femmina metta al mondo un animale che sembra aver qualcosa di un'altra specie, e che la sola immaginazione della madre abbia causato una tale irregolarità, per non parlare di ciò che si chiama mola". Ma come si giudica provvisoriamente, mediante la razza, riguardo alla specie, cosi si giudica anche la razza mediante la specie. Quando infatti venne presentato a Giovanni Casirniro, re di Polonia un fanciullo silvestre preso tra gli orsi, che aveva molto dei loro modi, ma che si fece conoscere infine per un animale razionale, non ci si fece scrupolo di reputarlo della razza di Adamo, e di battezzarlo col nome di Giuseppe, benché fosse sotto la condizione: si baptizatus non es, secondo l'uso della Chiesa romana, dal momento che avrebbe potuto essere stato rapito da un orso dopo il battesimo. Non si conoscono ancora abbastanza gli effetti degli incroci tra animali e spesso si distruggono i mostri invece di allevarli, oltre al fatto che non sono per nulla di lunga vita. Si crede che gli animali di razza mista non si moltiplichino, tuttavia Strabone attribuisce la propagazione ai muli di Cappadocia"; e mi si scrive dalla Cina'" che nella vicina Tartaria vi sono muli di razza: e vediamo anche che gli incroci fra piante sono capaci dí conservare la loro nuova specie. Continuiamo a non sapere con esattezza se negli animali è il maschio o la femmina, o l'uno e l'altra, o né l'uno né l'altra a determinare di piú la specie. La teoria delle uova delle donne, che Kerkring" aveva reso famosa, sembrava ridurre i maschi alla condizione dell'acqua piovana in rapporto alle piante, la 45 II termine ricorre nel De occultis naturae mirandis libri IV (Antwerpen, 1574), libro I, vili, p. 34, del naturalista tedesco Livinius Lemnius. " Si tratta di Giovanni II Casimiro (1648-1668) re di Polonia. Strabone, Res geographicae, XII, 11. " Con ogni probabilità Leibniz si riferisce a una lettera inviatagli da I. P,ouvet nel novembre 1701 (cfr. l)utens, VI, i, p. 1611. 49 Theodor Kerckring (1640-1693), medico olandese, per un certo periodo compagno di studi di Spinoza, insegnò ad Amsterdam e Firenze, e fu membro della Royal Society di Londra. Descrisse per primo le valvole dell'intestino tenue che portano il suo nome e si occupò di embriologia; in questo campo fu sostenitore, come si ricostruisce anche dalle parole di Leibniz, di una concezione ovista », Al tempo di Leibniz si fronteggiavano infatti, in questo campo di studi da un lato la tesi di coloro che attribuivano la formazione del feto nell'utero essenzialmente all'attività dell'uovo femminile. dall'altro la tesi di coloro che, in base alla individuazione degli spermatozoi, attribuivano essenzialmente a questi ultimi (detti « animalculi ») l'attività formatrice. Qui Leibniz allude alla Anthropogeniae ichnographia, si •e conformati() Iniq ua ah ovo (Amsterdam. 16711 di Kerckring. 302 quale dà modo alle semenze di germogliare e di alzarsi da terra, secondo i versi di Virgilio che i priscillanisti" ripetevano: Cani parer omnipotens foecundis imbribus aether Conjugis in latae gremium descendit et omnes Magnus alii magno commistus corpore foetus51. In una parola, secondo tale ipotesi, il maschio non farebbe nulla di piú della pioggia. Ma Leeuwenhoeck " ha riabilitato il sesso maschile, e l'altro sesso, a sua volta, è stato degradato, come se non facesse che la funzione della terra riguardo alle semenze, fornendo ad esse luogo e nutrimento; il che potrebbe verificarsi quand'anche si mantenesse l'ipotesi delle uova. Ma ciò non impedisce che l'immaginazione della donna abbia un grande potere sulla forma del feto, qualora si supponga che l'essere vivente sia già venuto dal maschio. Poiché tale essere si trova in uno stato destinato a subire un grande mutamento ordinario, e perciò tanto piú suscettibile di cambiamenti straordinari. Si assicura che l'immaginazione di una dama di rango, colpita dalla vista di uno storpio, abbia provocato la caduta di una mano del feto molto vicino al termine, e che questa mano sia stata trovata in seguito nella placenta: il che, però, richiede conferma. Può darsi che venga qualcuno che pretenda, benché l'anima non possa derivare che da un sesso, che ambedue í sessi forniscano qualcosa di organizzato e che (li due corpi se ne costituisca uno, allo stesso modo che vediamo che il baco da seta è come un animale doppió, e sotto la forma di bruco racchiude un insetto capace di volare: tanto siamo ancora nell'oscurità su di un sí importante argomento. L'analogia con le piante ci fornirà forse un giorno dei lumi, ma per adesso non siamo troppo bene informati della generazione delle piante medesime; l'ipotesi del polline, il quale, come si osserva, potrebbe corrispondere al seme maschile, non è ancora ben chiarita. D'altra parte il polline di una pianta è assai spesso capace di dar luogo a una pianta nuova e intera, e a questo riguardo non si vede ancora niente di analogo negli animali: non si può dire infatti che il piede di un animale è un animale, mentre invece sembra che cia5° Seguaci di Priscilliano, nobile spagnolo che intorno al 370 d. C. diede vita in Spagna a un movimento religioso a carattere ascetico-agnostico. Si Virgilio, Georgiche, II, 325, 327. 52 Anton van Leeuwenhoeck (1632-1723), naturalista olandese, studioso di anatomia, compi importanti indagini al microscopio sulla circolazione del sangue. A lui si deve la scoperta della struttura del cristallino e si attribuisce l'individuazione degli spermatozoi. Leibniz allude al lo scritto di Leeuwenhoeck De natis e semine genitali animalculis, che fu pubblicato sulle Philosophical Transartions (n. 142) del dicembre febbraio 167R. 303 scun ramo di un albero sia una pianta capace di dar frutti per proprio conto. Inoltre gli incroci tra specie, e anche i mutamenti in una medesima specie, riescono spesso con molto successo nelle piante. Può darsi che in qualche tempo o in qualche luogo dell'universo le specie degli animali siano, o fossero o saranno, pizi soggette a mutare di quanto non lo siano adesso tra noi, e molti animali che hanno qualcosa del gatto, come il leone, la tigre e la lince, potrebbero essere stati di una medesima razza e potrebbero essere adesso come nuove suddivisioni dell'antica specie di gatti. Cosí torno sempre a ciò che ho detto piú di una volta: che le nostre determinazioni delle specie fisiche sono provvisorie e proporzionali alle nostre conoscenze. 5 24. FILALETE. « Se non altro gli uomini, facendo le loro divisioni delle specie, non hanno mai pensato alle forme sostanziali. se si eccettuano coloro che in questo solo angolo del mondo » in cui ci troviamo « hanno imparato il linguaggio delle scuole. » TEOFILO. Sembra che da poco il nome di forme sostanziali sia diventato infame presso alcuni e che si abbia vergogna a parlarne. Tuttavia vi è forse in questo piú moda che ragione. Gli scolastici impiegavano fuor di proposito una nozione generale, quando si trattava di spiegare fenomeni particolari, ma un tale abuso non distrugge la cosa. L'anima dell'uomo sconcerta un po' la sicurezza di alcuni dei nostri moderni. Ve ne sono di quelli che ammettono che essa è la forma dell'uomo, ma pretendono anche che sia la sola forma sostanziale della natura conosciuta. Descartes ne parla cosí e corregge Regius" per il fatto che contestava all'anima tale qualità di forma sostanziale, e negava che l'uomo fosse rerum per se, un essere dotato di vera unità. Alcuni credono che quell'eccellente uomo l'abbia fatto per politica, io invece ne dubito poiché credo che in ciò avesse ragione. Mentre invece non si ha ragione ad accordare questo privilegio soltanto all'uomo, come se la natura fosse fatta in modo frammentario. Vi è argomento per credere che vi sia un'infinità di anime o, per parlare in un senso pitl generale, di entelechie primitive che hanno qualche cosa di analogo con la percezione e l'appetito; e che siano tutte e rimangano sempre forme sostanziali dei corpi. L' vero che vi sono in apparenza delle specie che non sono veramente unum per se (cioè corpi dotati di una vera unità, o di un essere indivisibile che ne costituisca il principio attivo totale), non pitl di quanto potreb51 Regius (Henri de Rov: 1598 . 1679), professore di medicina all'università di Utrccht volle offrire al pubblico un'esposizione completa delle concezioni fisico-filosofiche di Descartes (Fundamentum Physices, 1646). Per il dissenso di Descartes cui allude Leihniz, cfr. per esempio A.T., III, pp. 459.462. 30.4 ben) esserlo un mulino o un orologio. I sali, i minerali, i metalli potrebbero essere di tale natura, vale a dire semplici aggregati " o masse in cui vi è qualche regolarità. Ma i corpi degli uni e degli altri, vale a dire sia i corpi animati sia gli aggregati privi cli vita, saranno specificati dalla struttura interna, poiché anche in quelli che sono animati, l'anima e la macchina sono sufficienti, separatamente. per la determinazione; ambedue infatti si accordano perfettamente, e benché non abbiano alcuna influenza immediata l'una sull'altro si esprimono reciprocamente, l'nna avendo concentrato in una perfetta unità tutto ciò che l'altro ha disperso nella molteplicità. Cosi quando sí tratta della classificazione delle specie, è inutile disputare sulle forme sostanziali, nonostante sia bene, per altre ragioni, conoscere se ve ne sono e come sono. Poiché senza di ciò si rimarrà estranei al mondo intellettuale. Del resto i Greci e gli Arabi hanno parlato di queste forme altrettanto bene degli europei, e se la gente comune non ne parla, non parla neppure di algebra né di incommensurabili. 5 25. FILALETE. « Le lingue sono state formate prima delle scienze e il volgo ignorante e illetterato ha ridotto le cose a certe specie.» TF.01•1I.O. È vero, ma le persone che studiano le varie discipline rettificano le nozioni popolari. I saggiatori hanno trovato i mezzi esatti per discernere e separare i metalli; i botanici hanno arricchito meravigliosamente lo studio delle piante, e 1e esperienze che si sono fatte sugli insetti ci hanno fornito qualche nuova prospettiva nella conoscenza degli animali. Tuttavia siamo ancora ben lontani dalla metà del nostro cammino. § 26. Ftt.ALETE. « Se le specie fossero opera della natura, non potrebbero essere concepite in modi sf differenti da differenti persone: l'uomo sembra all'uno un animale implume bipede con le unghie piatte, e un altro, dopo un esame piú approfondito, vi aggiunge la ragione. Tuttavia molti determinano le specie degli animali piuttosto mediante la loro forma esteriore che mediante la loro nascita. poiché si è messo in questione piú di una volta se certi feti umani dovessero essere ammessi al battesimo o no, per il solo motivo che la loro configurazione esteriore differiva dalla forma ordinaria dei neonati, senza che si sapesse se non erano anche capaci di ragione come (lei fanciulli nati in altra forma. Tra i fanciulli poi se ne trovano alcuni che, benché di forma normale, non sono capaci di mostrare durante tutta la loro vita tanta ragione quanta ne appare in una scimmia o un " ll testo ha: contextures». 1(15 scun ramo di un albero sia una pianta capace di dar frutti per proprio conto. Inoltre gli incroci tra specie, e anche i mutamenti in una medesima specie, riescono spesso con molto successo nelle piante. Può darsi che in qualche tempo o in qualche luogo dell'universo le specie degli animali siano, o fossero o saranno, piú soggette a mutare di quanto non lo siano adesso tra noi, e molti animali che hanno qualcosa del gatto, come il leone, la tigre e la lince, potrebbero essere stati di una medesima razza e potrebbero essere adesso come nuove suddivisioni dell'antica specie di gatti. Cosi torno sempre a ciò che ho detto pití di una volta: che le nostre determinazioni delle specie fisiche sono provvisorie e proporzionali alle nostre conoscenze. § 24. FILALETE. « Se non altro gli uomini, facendo le loro divisioni delle specie, non hanno mai pensato alle forme sostanziali, se si eccettuano coloro che in questo solo angolo del mondo » in cui ci troviamo « hanno imparato il linguaggio delle scuole. » n:orno. Sembra che da poco il nome di forme sostanziali sia diventato infame presso alcuni e che si abbia vergogna a parlarne. Tuttavia vi è forse in questo piú moda che ragione. Gli scolastici impiegavano fuor di proposito una nozione generale, quando si trattava di spiegare fenomeni particolari, ma un tale abuso non distrugge la cosa. L'anima dell'uomo sconcerta un po' la sicurezza di alcuni dei nostri moderni. Ve ne sono di quelli che ammettono che essa è la forma dell'uomo, ma pretendono anche che sia la sola forma sostanziale della natura conosciuta. Descartes ne parla cosf e corregge Regius' per il fatto che contestava all'anima tale qualità di forma sostanziale, e negava che l'uomo fosse unum per se, un essere dotato di vera unità. Alcuni credono che quell'eccellente uomo l'abbia fatto per politica, io invece ne dubito poiché credo che in ciò avesse ragione. Mentre invece non si ha ragione ad accordare questo privilegio soltanto all'uomo, come se la natura fosse fatta in modo frammentario. Vi è argomento per credere che vi sia un'infinità di anime o, per parlare in un senso piú generale, di entelechie primitive che hanno qualche cosa di analogo con la percezione e l'appetito; e che siano tutte e rimangano sempre forme sostanziali dei corpi. L vero che vi sono in apparenza delle specie che non sono veramente untore per se (cioè corpi dotati di una vera unità, o di un essere indivisibile che ne costituisca il principio attivo totale), non piú di quanto potreb" Regius (Ilenri de Roy: 1598-1679), professore di medicina all'università di Utrecht volle offrire al pubblico un'esposizione completa delle concezioni fisico-filosofiche di Descartes (Fundamenium Physices, 1646). Per il dissenso di Descartes cui allude Leibniz, cfr. per esempio A.T., III, pp. 459-462. 304 pero esserlo un mulino o un orologio. I sali, i minerali, i metalli potrebbero essere di tale natura, vale a dire semplici aggregati" o masse in cui vi è qualche regolarità. Ma i corpi degli uni e degli altri, vale a dire sia i corpi animati sia gli aggregati privi di vita, saranno specificati dalla struttura interna, poiché anche in quelli che sono animati, l'anima e la macchina sono sufficienti, separatamente, per la determinazione; ambedue infatti si accordano perfettamente, e benché non abbiano alcuna influenza immediata l'una sull'altro si esprimono reciprocamente, l'una avendo concentrato in una perfetta unità tutto ciò che l'altro ha disperso nella molteplicità. Cosi quando si tratta della classificazione delle specie, è inutile disputare sulle forme sostanziali, nonostante sia bene, per altre ragioni, conoscere se ve ne sono e come sono. Poiché senza di ciò si rimarrà estranei al mondo intellettuale. Del resto i Greci e gli Arabi hanno parlato di queste forme altrettanto bene degli europei, e se la gente comune non ne parla, non parla neppure di algebra né di incommensurabili. 5 25. FILALETE. « Le lingue sono state formate prima delle scienze e il volgo ignorante e illetterato ha ridotto le cose a certe specie. » TE0r-Tho. L vero, ma le persone che studiano le varie discipline rettificano le nozioni popolari. i saggiatori hanno trovato i mezzi esatti per discernere e separare i metalli; i botanici hanno arricchito meravigliosamente lo studio delle piante. e le esperienze che si sono fatte sugli insetti ci hanno fornito qualche nuova prospettiva nella conoscenza degli animali. Tuttavia siamo ancora ben lontani dalla metà del nostro cammino. 5 26. FILALETE. « Se le specie fossero opera della natura, non potrebbero essere concepite in modi sí differenti da differenti persone: l'uomo sembra all'uno un animale implume bipede con le unghie piatte, e un altro, dopo un esame piú approfondito, vi aggiunge la ragione. Tuttavia molti determinano le specie degli animali piuttosto mediante la loro forma esteriore che mediante la loro nascita, poiché si è messo in questione piú di una volta se certi feti umani dovessero essere ammessi al battesimo o no, per il solo motivo che la loro configurazione esteriore differiva dalla forma ordinaria dei neonati, senza che si sapesse se non erano anche capaci di ragione come dei fanciulli- nati in altra forma. Tra i fanciulli poi se ne trovano alcuni che, benché di forma normale, non sono capaci di mostrare durante tutta la loro vita tanta ragione quanta ne appare in una scimmia o un M II Testo ha: conteNtures 305 elefante, e che non danno mai segno alcuno dí essere guidati da una anima razionale: dal che appare evidente che la forma esteriore, della quale soltanto ci si è trovati a parlare, e non la facoltà di ragionare, della quale nessuno può sapere se nel suo tempo debba mancare, è stata resa essenziale alla specie umana. E in queste occasioni i teologi e i giureconsulti pii abili sono obbligati a rinunciare alla loro definizione di animale razionale, e a mettere al suo posto qualche altra essenza della specie umana. Menagio (Menagiana, Tom. I, p. 278, dell'ediz. olandese, 1694) ci fornisce l'esempio di un certo abate di San Martino che merita di essere riportato". Quando questo abate di San Martino, egli dice, venne al mondo, aveva sf poco la figura di un uomo che somigliava piuttosto a un mostro. Si indugiò qualche tempo a decidere se battezzarlo. Tuttavia venne battezzato e lo si dichiarò uomo provvisoriamente, vale a dire finché il tempo avrebbe fatto conoscere cosa fosse. Egli era cosf deforme per natura che lo si è chiamato per tutta la vita abate Malotrott; era originario di Caen. Ecco un fanciullo che fu assai vicino a essere escluso dalla specie umana semplicemente a causa della sua forma. Egli la scampò a pena, dato il suo aspetto, ed è certo che una figura un po' piú deforme lo avrebbe per sempre privato di tale privilegio, e lo avrebbe fatto perire come un essere che non doveva passare per un uomo. Tuttavia non si saprebbe dare alcuna ragione sul perché un'anima razionale non avrebbe potuto albergare in lui, se i tratti del suo volto fossero stati un po' piú alterati; perché mai un volto un po' piú lungo o un naso piú piatto o una bocca piú larga non avrebbero potuto- sussistere altrettanto bene che il resto della sua figura irregolare con un'anima e delle qualità che lo rendevano capace, per deforme che fosse, di avere una dignità nella Chiesa? » TEOFILO. Finora non si è trovato alcun animale razionale di una figura esteriore molto differente dalla nostra ed è per questo che, quando si trattava di battezzare un fanciullo, la razza e la figura non sono mai state considerate che come indizi per giudicare se fosse un animale razionale o no. Cosf teologi e giureconsulti non hanno avuto bisogno di rinunciare per ciò alla loro definizione consacrata. 4 27. FILALETE. « Ma se quel mostro di cui parla Liceti (lib. I, cap. 3)", che aveva la testa di un uomo e il corpo di un maiale " Cfr. la nota 44, p. 301. " Cfr. F. Liceti, De monstrorton causis libri duo, Paclua, 1616. Fortunio Liccti (1577-1657), erudito e medico italiano, autore di numerose opere polemiche in difesa delle posizioni aristoteliche, scrisse tra l'altro contro Harvey e Galilei. 306 o altri mostri che su corpi di uomini avevano teste di cane e di cavallo, ecc. fossero stati conservati in vita, e avessero potuto parlare, la difficoltà sarebbe piú grande. » TEOFILO. Lo ammetto, e se ciò avvenisse e se qualcuno fosse fatto come sí dipinse, in un libro che aveva scritto, un certo scrittore, un monaco dei tempi passati chiamato Hans Kalb (Giovanni il Vitello), vale a dire con una testa di vitello e la penna in mano (il che fece credere in modo ridicolo ad alcuni che questo scrittore avesse avuto veramente una testa di vitello), se, dico, ciò si verificasse, si sarebbe da ora in poi piú controllati nel disfarsi dei mostri. Poiché è verosimile che la ragione prevarrebbe presso i teologi e presso i giureconsulti, malgrado la figura, e anche malgrado le differenze che l'anatomia potrebbe fornire ai medici. Tali differenze infatti nuocerebbero alla qualità di uomo altrettanto poco di quel rovesciamento dei visceri in quell'uomo di cui persone di mia conoscenza hanno visto l'anatomia a Parigi, che ha fatto gran rumore, dove la natura pesa sane et sans doute en debaucbe placa le love au coté Rauche et de mente vice versa le coeur à la droite placa se mi ricordo bene di alcuni versi che il fu Alliot padre (medico famoso, perché passava per abile nel trattamento dei cancri) aveva composto su questo prodigio e mi aveva mostrato". Ciò vale però purché la varietà di conformazione non si spinga troppo lontano negli animali razionali, e non si torni ai tempi in cui le bestie parlavano, perché perderemmo il nostro privilegio peculiare della ragione e si sarebbe allora piú attenti alla nascita e all'aspetto esteriore, al fine di poter discernere quelli della razza di Adamo da coloro che potrebbero discendere da un re o patriarca di qualche regione delle scimmie dell'Africa. E il nostro ingegnoso autore ha avuto ragione a osservare (§ 29) che se l'asina di Balaam " avesse parlato per tutta la vita cosf razionalmente come fece una volta col suo padrone (supposto che non si fosse trattato di una visione profetica) avrebbe pur sempre avuto difficoltà a ottenere posto e accoglienza tra le donne. FILA LEVE. A quanto vedo ridete, e forse rideva anche il nostro autore; ma per parlare seriamente, vedete bene che « non si potrebbero assegnare sempre limiti fissi alle specie ». " P. Alliot si era reso famoso ai tempi di Leihniz per aver guarito da una malattia che si diceva fosse cancro Anna d'Austria, regina di Francia e madre di Luigi XIV. " Per l'episodio dell'asina di Balaam cfr. Numeri. 22. 2R-30. 307 TEOFILO. Ve l'ho già concesso, poiché quando si tratta delle finzioni e della possibilità delle cose, i passaggi di specie in specie possono essere insensibili, e per discernerli sarebbe qualche volta all'incirca come se si dovesse decidere quanti capelli bisogna lasciare a un uomo perché non rimanga calvo. Una simile indeterminatezza resterebbe vera quand'anche conoscessimo perfettamente l'interno delle creature di cui si tratta. Ma non vedo come essa potrebbe impedire alle cose di avere essenze reali indipendenti dall'intelletto, e a noi di conoscerle. Indubbiamente i nomi e i limiti delle specie sarebbero talvolta come i nomi delle misure e dei piedi, a proposito dei quali bisogna scegliere per avere limiti fissi. Tuttavia ordinariamente non c'è niente di simile da temere, le specie troppo simili non trovandosi insieme. § 18. FILALETE. Sembra che in fondo siamo d'accordo su tale questione, nonostante ci siamo espressi in maniere un po' diverse. Vi confesso anche « che vi è meno arbitrio nella denominazione delle sostanze che nei nomi dei modi composti. Poiché non si pensa di associare il belato di una pecora a una figura di cavallo, né il colore del piombo al peso e alla fissità dell'oro, e si preferisce copiare la natura ». TEOFILO. Non è tanto perché nelle sostanze si presta attenzione soltanto a ciò che esiste effettivamente, quanto per il fatto che nelle idee fisiche (che non vengono comprese quasi mai a fondo), non si è sicuri se la loro unione è possibile e utile, allorquando non si ha l'esistenza attuale per garante. Ma ciò si verifica anche nei modi, non solo quando la loro oscurità ci è impenetrabile, come avviene talvolta in fisica, ma anche quando non è facile penetrarla, come mostrano í numerosi esempi che ne abbiamo in geometria. Poiché nell'una e nell'altra di queste scienze non è in nostro potere fare combinazioni a nostra fantasia, altrimenti si avrebbe diritto di parlare di decaedri regolari, e si cercherebbe nel semicerchio un centro di grandezza come ce n'è uno di gravità. È infatti sorprendente che il primo ci sia e che l'altro non possa esservi. Ora, come nei modi le combinazioni non sono sempre arbitrarie, si trova per opposizione che lo sono qualche volta nelle sostanze; e spesso dipende da noi fare combinazioni delle qualità per definire anche degli esseri sostanziali, prima dell'esperienza, quando si comprendono a sufficienza tali qualità per giudicare circa la possibilità della combinazione. È cosí che i giardinieri esperti nella coltura degli aranci potranno proporsi con ragione e successo di produrre qualche nuova specie, e darle anticipatamente un nome. 308 5 29. FILA LETE. Mi concederete sempre che quando si tratta di definire le specie « il numero delle idee che si combinano dipende dalla differente applicazione, abilità o fantasia di chi forma una tale combinazione. E cosí come è sulla figura che ci si regola il piú delle volte per determinare la specie dei vegetali e degli animali, allo stesso modo, riguardo alla maggior parte dei corpi naturali che non sono prodotti per mezzo del seme, è piú che altro al colore che ci si attiene. § 30. In verità non si tratta sovente che di concezioni confuse, grossolane e inesatte, e manca molto a che gli uomini si accordino circa il numero preciso delle idee semplici o delle qualità che appartengono a una data specie o a un dato nome, poiché occorre fatica, abilità e tempo per trovare le idee semplici che sono costantemente unite. Tuttavia poche qualità, che compongono tali definizioni inesatte, bastano di solito nella conversazione: ma malgrado il rumore intorno ai generi e alle specie, le forme di cui si è tanto parlato nelle scuole non sono altro che chimere che non servono per nulla a farci entrare nella conoscenza delle nature specifiche. » TEOFILO. Chiunque faccia una combinazione possibile, in ciò non erra e non sbaglia dandole un nome, ma si inganna quando crede che ciò che egli concepisce è tutto ciò che altri piú esperti concepiscono sotto il medesimo nome o nel medesimo corpo. Egli concepisce forse un genere troppo comune invece di un altro piú specifico. Non vi è nulla in tutto ciò che si opponga alle scuole, e non vedo perché voi qui torniate alla carica contro i generi, le specie e le forme, poiché bisogna che riconosciate voi stesso dei generi, delle specie e anche delle essenze interne, o forme, che non si pretende di impiegare per conoscere la natura specifica della cosa quando si ammette di ignorarle ancora. Se non altro è ben visibile che i limiti che § 30. FILALETE. assegniamo alle specie non sono esattamente conformi a quelli che sono stati stabiliti dalla natura. Poiché, nel bisogno che abbiamo di nomi generali per l'uso immediato, non ci diamo la pena di scoprire le qualità che ci farebbero meglio conoscere le loro differenze e conformità piú essenziali: e le distinguiamo noi stessi in specie, in virtú di certe apparenze che colpiscono gli occhi di tutti, al fine di poter piú facilmente comunicare con gli altri. » TEOFILO. Se combiniamo idee compatibili, i limiti che assegnamo alle specie sono sempre esattamente conformi alla natura; e se poniamo cura a combinare le idee che si trovano attualmente insieme, le nostre nozioni sono anche conformi all'esperienza; e se le conside309 riamo soltanto come provvisorie per dei corpi effettivi, salvo ulteriori scoperte che può offrirci l'esperienza già compiuta o da farsi in futuro. e se ricorriamo agli esperti quando si tratta di sapere qualcosa di preciso riguardo a ciò che si intende pubblicamente con un certo nome, non ci sbaglieremo. Così la natura può fornire idee più perfette e più comode, ma non darà una smentita a quelle che abbiamo, che sono buone e naturali, per quanto non siano, forse, le migliori e le più naturali. 5 32. FILALETE. « Le nostre idee generiche delle sostanze, come quella di metallo per esempio, non seguono esattamente i modelli che sono proposti loro dalla natura, poiché non si potrebbe trovare alcun corpo che racchiude semplicemente la malleabilità e la fusibilità senza altre qualità. » TEOFILO. Non si richiedono tali modelli, e non si avrebbe ragione di chiederli: essi non si trovano neppure nelle nozioni le più distinte. Non si trova mai un numero in cui vi sia da notare nient'altro che la molteplicità in generale, una estensione in cui non vi sia che estensione, un corpo in cui non vi sia che solidità e nessun'altra qualità: e quando le differenze specifiche sono positive e opposte, bisogna pure che il genere prenda partito tra di esse. FILALETE. « Se dunque qualcuno si immagina che un uomo, un cavallo, un animale, una pianta, ecc. siano distinti da essenze reali, forniate dalla natura, deve figurarsi la natura assai liberale di tali essenze reali, dal momento che ne produce una per il corpo, un'altra per l'animale, e ancora un'altra per il cavallo, e dal momento che comunica liberalmente tutte queste essenze a Bucefalo. Mentre invece i generi e le specie non sono che segni più o meno estesi. » TEOFILO. Se prendete le essenze reali per simili modelli sostanziali che sarebbero un corpo e nulla più, un animale e nulla di più specifico, un cavallo senza qualità individuali, avete ragione di trattarle da chimere. E nessuno ha preteso, ritengo, neppure i più grandi realisti d'altri tempi, che vi siano tante sostanze che si limitano al generico, quanti sono i generi. Ma non ne consegue che se le essenze generali non sono questo, siano puramente dei segni, poiché vi ho fatto notare più volte che sono delle possibilità nelle somiglianze. Allo stesso modo che, dal fatto che i colori non sono sempre sostanze o tinture estraibili, non ne consegue che siano immaginari. Del resto non ci si potrebbe figurare la natura troppo liberale; essa lo è al di là di tutto ciò che possiamo inventare, e tutte le possibilità compatibili si trovano in prevalenza realizzate sul gran Teatro delle sue rap310 presentazioni. Vi erano un tempo due assiomi presso i filosofi: quello dei realisti sembrava fare la natura prodiga, e quello dei nominalisti sembrava dichiararla avara. L'uno afferma che la natura non sopporta il vuoto e l'altro che essa non fa nulla invano. Questi due . assiomi sono buoni, purché li si comprenda, poiché la natura è come un bravo amministratore che risparmia là dove occorre, per essere splendido a tempo e luogo. Essa è splendida negli effetti e parsimoniosa nelle cause che vi impiega. FILALETE. Senza stare a perdere altro tempo in questa discussione sulle essenze reali, è sufficiente che determiniamo lo scopo del linguaggio e l'uso delle parole, che è quello di indicare i nostri pensieri in materia compendiosa. « Se voglio parlare a qualcuno di una specie di uccelli alti tre o quattro piedi, la cui pelle è coperta da qualcosa che è a mezza strada tra le piume e i peli, di color bruno scuro, senza ali, ma che al posto delle ali hanno due o tre piccole appendici simili a rami di ginestra, che scendono fino alla parte inferiore del loro corpo, con lunghe e grosse gambe, piedi armati solo di tre artigli, e senza coda, sono obbligato a fare questa descrizione per farmi intendere agli altri per mezzo di essa; ma quando mi si è detto che il nome di un simile animale è cassiovario, posso servirmi allora di questo nome per designare nel discorso tutta questa idea composta. » TEOFILO. Forse un'idea molto precisa di ciò che ne ricopre la pelle, o di qualche altra parte, basterebbe da sola a discernere questo animale da qualsiasi altro conosciuto, così come Ercole si faceva riconoscere dall'orma che aveva lasciata e il leone, secondo il proverbio latino, si riconosce dall'unghia; ma più clementi si raccolgono, meno la definizione è provvisoria. FILALETE. « In questo caso possiamo toglier via qualcosa dall'idea, senza alcun pregiudizio per la cosa, ma quando è la natura a farlo, c'è il problema se la specie rimanga. Per esempio: se vi fosse un corpo che avesse tutte le proprietà dell'oro eccetto la malleabilità, sarebbe ancora oro? Dipende dagli uomini deciderlo, sono dunque essi che determinano le specie delle cose. » TEOFILO. Niente affatto, essi non determinano che il nome. Ma questa esperienza ci insegnerebbe che la malleabilità non ha alcuna connessione necessaria con le altre qualità dell'oro prese insieme. Essa ci farebbe apprendere dunque una nuova possibilità e di conseguenza una nuova specie. Per ciò che concerne l'oro friabile o fragile, è prodotto da agglomerazione e non riesce a superare gli altri saggi dell'oro, poiché la coppella e l'antimonio gli tolgono la sui fragilità. 311 38. FILALI:TE. « Dalla nostra dottrina segue qualcosa che potrà apparire assai strana. E cioè che ogni idea astratta che ha un certo nome, forma una specie distinta. Ma che farci se la verità vuole cosf? Vorrei sapere volentieri perché un cagnolino maltese e un levriero non sono specie altrettanto distinte quanto un cane spagnolo e un defante. » TEOFILO. Ho distinto più sopra le differenti accezioni della parola specie. Prendendola logicamente o piuttosto da un punto di vista matematico, la minima dissomiglianza può bastare. Cosf ciascuna idea differente darà luogo a un'altra specie, e non importa se quest'ulrima abbia un nome o no. Ma parlando da un punto di vista fisico non ci si arresta di fronte a tutte le varietà e si parla o chiaramente quando non si tratta che delle apparenze, o congetturalmente quando si tratta della verità interna delle cose, presumendovi qualche natura essenziale e immutabile come la ragione lo è nell'uomo. Si presume dunque che ciò che non differisce che per mutamenti accidentali, come l'acqua e il ghiaccio, l'argento vivo nella sua forma consueta e quando è sublimato, sía di una medesima specie. E nei corpi organici si pone ordinariamente il contrassegno provvisorio della medesima specie nella generazione o razza, cosf come nei corpi più omogenei lo si pone nella riproduzione. L vero che non si potrebbe giudicare con precisione non avendo conoscenza dell'interno delle cose, ma, come ho detto più di una volta, si giudica provvisoriamente, e spesso in maniera congetturale. Tuttavia, quando si vuoi parlare solo di ciò che è esteriore, per non voler dir nulla che non sia sicuro, vi è una certa libertà, e discutere allora se una differenza è specifica o no, è disputare sul nome. In questo senso si ha una sf grande differenza tra i cani, che si può ben dire che i mastini inglesi e i cani di Bologna sono di specie differente. Tuttavia non è impossibile che essi siano di una razza identica o simile, lontana nel tempo, che si troverebbe se si potesse risalire assai indietro, e che i loro progenitori siano stati simili o addirittura gli stessi, ma che, in seguito a grandi mutamenti, alcuni tra i posteri siano divenuti molto grandi e altri invece molto piccoli. Si può credere anche, senza urtare la ragione, che essi abbiano in comune una natura interna costante specifica, che non sia ulteriormente suddivisa o che non si trovi in una molteplicità di altre nature consimili, e di conseguenza non sia diversificata che in virtù degli accidenti; benché non vi sia nulla che ci faccia pensare che le cose debbano stare necessariamente cosf in quella che chiamiamo la più bassa specie Ispecies infima). Tuttavia non c'è alcun dato 312 evidente che mostri che un cane spagnolo e un elefante siano della medesima razza, e abbiano una tal natura specifica comune. Cosi nei differenti tipi di cani, parlando delle apparenze, si possono distinguere le specie, e parlando dell'essenza interna si può essere incerti: ma confrontando il cane e l'elefante, non vi è modo di attribuir loro esteriormente o interiormente ciò che li farebbe credere di una medesima specie. Cosí non vi è alcun argomento per essere incerti contro l'ipotesi che si è fatta. Anche nell'uomo si potrebbero distinguere le specie, logicamente parlando; e se ci si arrestasse al lato esteriore si troverebbero, anche da un punto di vista fisico, differenze che potrebbero passare per specifiche. Pertanto ci fu un viaggiatore che credette che i negri, i Cinesi e infine gli Americani non fossero di una medesima razza né tra loro né con i popoli che somigliano a noi. Ma poiché si conosce l'interno essenziale dell'uomo, vale a dire la ragione, che rimane nel medesimo uomo e si trova in tutti gli uomini, e poiché non si nota niente di fisso e di interno in noi che formi una suddivisione, non abbiamo alcun argomento per ritenere che vi sia tra gli uomini, secondo la verità dell'interno, una differenza specifica essenziale, mentre se ne trova fra l'uomo e la bestia, supposto che le bestie non siano che empiriche, come del resto l'esperienza stessa non può fare a meno di farci ritenere. 5 39. FtLALETE, « Prendiamo l'esempio di una cosa artificiale, la cui struttura interna ci è conosciuta. Un orologio che segna solo le ore e un orologio che suona, non sono che di una sola specie riguardo a chi non ha che un nome per designarli; ma riguardo a chi possiede il nome di orologio per designare il primo e di pendolo per significare il secondo, essi sono in relazione a lui specie differenti. È il nome e non la struttura interna a costituire una nuova specie, altrimenti vi sarebbero troppe specie. Vi sono infatti orologi a quattro ruote e altri a cinque; alcuni hanno corde e fusi e altri non ne hanno; alcuni hanno il bilancere libero, e altri mosso da una molla a forma di spirale e altri ancora da setole di porco: qualcuna di queste cose basta forse a fare una differenza specifica? To dico di no, finché tali orologi concordano nel nome. » ~FILO. Io invece direi di si, poiché, senza fermarmi ai nomi, vorrei considerare le varietà del meccanismo, e soprattutto la differenza dei bilanceri, poiché da quando si è applicata loro una molla che ne governa le vibrazioni secondo il proprio ritmo, e le rende conseguentemente più uguali, gli orologi da tasca hanno mutato aspetto e sono diventati incomparabilmente più esatti. ilo pure no313 tato, in altra occasione, un ulteriore principio per renderli regolari che si potrebbe applicare agli orologi 59. FILALETE. « Se qualcuno vuol fare delle divisioni fondate sulle differenze che conosce nella configurazione interna, può farle: tuttavia esse non sarebbero delle specie distinte in rapporto a persone che ignorassero una tale configurazione. » TEOFILO. Non capisco perché, secondo voi, si dovrebbero far sempre dipendere dalla nostra opinione o conoscenza le virtú, le verità e le specie. Esse sono nella natura, sia che noi lo sappiamo e lo approviamo, o no. Parlarne in altro modo significa cambiare i nomi delle cose e il linguaggio comune senza alcun motivo. Gli uomini avranno creduto finora che vi siano parecchie specie di pendoli o di orologi, senza informarsi in cosa consistano, o come le si potrebbero chiamare. FILALETE. Avete tuttavia riconosciuto or non è molto che, quando si vogliono distinguere le specie fisiche per mezzo di ciò che appare, ci si ferma in maniera arbitraria dove lo si ritiene opportuno, vale a dire a seconda che si trovi la differenza più o meno considerevole, e secondo lo scopo che si ha. Voi stesso del resto vi siete servito dell'esempio dei pesi e delle misure che vengono regolati e detto minati secondo l'arbitrio degli uomini. TEOFILO. E stato da quando ho cominciato a intendervi. Tra le differenze specifiche puramente logiche nelle quali la minima variazione di definizione assegnabile è sufficiente, per accidentale che sia, e tra le differenze specifiche, che sono meramente fisiche, fondate su ciò che è essenziale e immutabile, si può introdurre qualcosa di intermedio che non si potrebbe determinare con precisione; in tal caso ci si fonda sulle apparenze piú considerevoli, che non sono del tutto immutabili, ma che non cambiano facilmente, l'una accostandosi piú dell'altra a ciò che è essenziale. Ma poiché anche un conoscitore può spingersi piú lontano di un altro, la cosa sembra allora arbitraria e relativa alle opinioni degli uomini, e sembra comodo regolare anche i nomi secondo tali differenze principali. Cosí si potrebbe dire che si tratta di differenze specifiche civili, e di specie nominali, da non confondere con quelle che più sopra ho chiamato definizioni nominali, che hanno luogo nelle differenze specifiche logiche, cosf come in quelle fisiche. Del resto, oltre l'uso comune, le leggi stesse possono 59 Leihniz si riferisce a un suo contributo comparso sul Journal des saranis nel marzo 1675 (17xtrait d'une lepre... touchant le principe de justesse des borloges portatives de son invention, Dutens, III, p. 135). 314 autorizzare un certo significato delle parole, e allora le specie diventano legali, come nei contratti che sono chiamati nominati, vale a dire designati con un nome particolare. Cosi, per esempio, la legge romana fa cominciare l'età della pubertà a 14 anni compiuti. Tutte queste considerazioni non sono da disprezzare, tuttavia non vedo come possano essere di grande utilità in questa occasione, poiché, prescindendo dal fatto che mi è parso le abbiate applicate qualche volta quando non ve n'era alcuna utilità, si può ottenere all'incirca il medesimo effetto, se si considera che dipende dagli uomini progredire tanto oltre nelle suddivisioni quanto ritengono opportuno, e fare astrazione dalle differenze ulteriori, senza che vi sia bisogno di negarle, e che dipende ancora da essi scegliere il certo per l'incerto al fine di fissare alcune nozioni e misure dando loro dei nomi. FILALETE. Sono ben contento che su questo punto non siamo piú cosí lontani come sembravamo esserlo. § 41. Voi mi concederete ancora signore, a quanto vedo, che « le cose artificiali hanno specie cosf come quelle naturali » contro il parere di alcuni filosofi. 5 42. « Ma prima di lasciare i nomi delle sostanze, aggiungerei che, di tutte le diverse idee che abbiamo, solo le idee delle sostanze hanno nomi propri o individuali; poiché capita raramente che gli uomini abbiano bisogno di fare frequente menzione di qualche qualità individuale, o di qualche altro individuo accidentale: oltre al fatto che le azioni individuali periscono subito, e che la combinazione di circostanze che in esse si realizza non sussiste come nelle sostanze. » TEOFILO. Vi sono tuttavia casi in cui si è avuto bisogno di ricordarsi di un accidente individuale e gli si è dato un nome; pertanto la vostra regola è buona per i casi ordinari, ma subisce eccezioni. Alcune di esse ce le fornisce la religione: annualmente celebriamo il ricordo della nascita di Gesù Cristo; ora i Greci chiamavano tale evento teogonia e quello dell'adorazione dei Magi epifania. Gli Ebrei chiamarono Passah per eccellenza il passaggio dell'angelo che fece morire i primogeniti degli Egiziani, senza toccare quelli degli Ebrei: e di ciò essi dovevano solennizzare il ricordo tutti gli anni. Per quello che concerne le specie delle cose artificiali, i filosofi scolastici hanno fatto difficoltà a lasciarle entrare nei loro predicamenti, ma il loro scrupolo era poco necessario in tal caso, dovendo servire tali tavole predicamentali a fare un quadro generale delle nostre idee. È bene tuttavia riconoscere la differenza che c'è tra le sostanze perfette e tra gli aggregati di sostanze (aggregata) che sono esseri sostanziali composti o dalla natura o dall'artificio degli uomini. Poiché anche la natura possiede simili aggregazioni, come i corpi, la cui mistione 315 è imperfetta, per parlare il linguaggio dei nostri filosofi (imperfette mixta), e che non costituiscono unum per se, e non hanno in sé una perfetta unità. Credo nondimeno che i quattro corpi che essi chiamano elementi, che credono semplici, e anche i sali, i metalli e altri corpi che credono essere perfettamente mescolati e ai quali accordano i loro temperamenti 60 , non siano neppure essi unum per se, tanto pití che si deve ritenere che siano uniformi e omogenei solo in apparenza, e d'altra parte anche un corpo omogeneo non cessa per questo di essere un aggregato. In una parola l'unità perfetta deve essere riservata ai corpi animati o dotati di entelechie primitive; poiché queste entelechie hanno analogia con le anime, e sono altrettanto) indivisibili e imperiture di esse. E in altra occasione ho mostrato che i corpi organici in effetti sono macchine, superiori però a quelle artificiali che sono di nostra invenzione, quanto l'inventore di quelle naturali è superiore a noi". Dal momento che tali macchine naturali sono imperiture come le anime, e l'animale con l'anima sussiste sempre, si ha un caso analogo (per spiegarmi meglio con un esempio efficace, per quanto ridicolo) a quello di Arlecchino, allorché lo si voleva spogliare sulla scena, ma non si poté venirne a capo, perché aveva non so quanti abiti gli uni su gli altri. Anche se naturalmente le infinite connessioni e stratificazioni dei corpi organici che sono in un animale, non sono cosí simili né cosí sovrapposte le une alle altre come abiti, l'artificio della natura essendo di ben altra finezza. Ciò mostra che i filosofi non hanno poi avuto tutto il torto del mondo nel mettere tanta distanza fra le cose artificiali e i corpi naturali dotati di vera unità. Ma era riservato solo al nostro tempo sviluppare un simile mistero e farne comprendere l'importanza e le conseguenze, per ben fondare la teologia naturale, e quella che si chiama pneumatica", in una maniera veramente naturale e conforme a ciò che possiamo sperimentare e intendere; una maniera che non ci faccia perdere nulla delle importanti considerazioni che tali scienze devono fornire, o piuttosto che le esalti come fa il sistema dell'armonia prestabilita. E credo che non possiamo chiuder meglio di cosí questa lunga discussione sui nomi delle sostanze. 60 La dottrina dei « temperamenti » si riallaccia alle concezioni ippocratiche, secondo le quali esistono nei corpi degli esseri viventi 4 umori diversi in rapporto con i 4 elementi del cosmo (terra, aria, acqua e fuoco), il mescolamento dei quali, nel caso degli esseri umani produrrebbe i vari tipi di carattere. 61 Nel Sy steme nouveau de la nature et de la communication des substance,. in Journal dcs sarants, 1695 (G, IV, p. 481). 62 Per la « pneumatica » cfr. la nota 12, p. 51. 316 Capitolo VII Delle particelle 5 I . FILALETE. « Oltre alle parole che servono a nominare le idee, si ha bisogno di quelle che significano la connessione delle idee o le proposizioni. Questo è, questo non è, sono i segni generali dell'affermazione o della negazione. Ma lo spirito, oltre alle parti delle proposizioni, connette anche asserzioni o proposizioni intere (5 2), servendosi di parole che esprimono un tale legame delle differenti affermazioni e negazioni e che sono ciò che si chiama particelle; e nel loro buon uso consiste principalmente l'arte di ben parlare. P, affinché i ragionamenti siano coerenti e metodici che occorrono termini che mostrino la connessione, la restrizione, la distinzione, l'opposizione, l'enfasi, ecc. E quando si sbaglia si mette in imbarazzo chi ascolta. » TEOFILO. Riconosco che le particelle sono di grande utilità, ma non so se l'arte di ben parlare si basi essenzialmente su di esse. Se qualcuno non fornisse che aforismi o tesi staccate, come si fa sovente nelle università, o come in quello che i giureconsulti chiamano libretto articolato, o come negli articoli che si propongono ai testimoni, allora purché si disponessero come si deve le proposizioni, si otterrebbe all'incirca il medesimo effetto per farsi intendere, che se si fossero messi legami diretti e particelle, poiché a ciò supplirebbe il lettore. Ma riconosco che se si disponessero male le particelle, il lettore verrebbe disorientato assai piú che se le si omettessero. Mi sembra anche che le particelle connettano non solo le parti del discorso composto da proposizioni e le parti della proposizione composta di idee, ma anche le parti dell'idea composta in molteplici modi dalla combinazione di altre idee. Ed è quest'ultimo legame che è indicato dalle preposizioni, mentre gli avverbi influiscono sull'affermazione o la negazione che è nel verbo, e le congiunzioni sul legame di differenti affermazioni o negazioni. Ma non dubito che voi stesso abbiate notato tutto ciò, anche se le vostre parole sembrano affermare cose diverse. S 3. FILALETE. « La parte della grammatica che tratta delle particelle è stata meno coltivata di quella che rappresenta con ordine i casi, i generi, i modi, i gerundi e i supini. È vero che in alcune lingue si sono anche disposte le particelle sotto determinati titoli, mediante suddivisioni distinte con una grande apparenza di esattezza. Ma non basta scorrere questi cataloghi. Bisogna riflettere sui propri pensieri per osservare le forme che lo spirito) prende discorrendo, poiché le particelle sono altrettanti segni dell'azione dello spirito. » 317 qualcuno volesse dire: quanto al sovrappill, bisogna lasciarlo; il che equivale a dire: non ne occorre piú, è abbastanza, veniamo ad altro, oppure: si tratta d'altro. Ma poiché l'uso delle lingue produce a questo proposito variazioni assai singolari, bisognerebbe inoltrarsi molto nel dettaglio degli esempi per regolare abbastanza i significati delle particelle. In francese si evita il doppio mais mediante un cependant; e si direbbe: votis priés, cependant ce n'est pas pour obtenir la verité, mais pour etre conlirme dans votre opinion. 11 sed dei latini era sovente espresso, in altri tempi, con ains che è l'anzi italiano, e i francesi, avendolo espunto, hanno privato la loro lingua di un'espressione utile. Per esempio: Il n'v avoit riera de cependant on etoit persuade de ce que je vous ai mandé, parce qu'on aime à croire ce qu'on sotehaite, mais il s'est trouvé que ce n'etoit pas cela, ains plutót, ecc. S 6. FILALETE. « n mio intento era di toccare appena questo argomento. Aggiungerò che sovente delle particelle racchiudono, o costantemente o in relazione a una certa costruzione, il senso di una proposizione intera. » TEOFILO. Ma quando si tratta di un senso compiuto, io credo che ciò avvenga per una specie di ellisse; altrimenti sono le sole interiezioni, a mio avviso, che possono sussistere di per sé, e dicono tutto in una parola, come ah! ohimè! Poiché quando si dice ma, senza aggiungere altro, si tratta di un'ellisse come per dire: ma stiamo un po' a vedere quel che succederà e non facciamoci illusioni a sproposito. Vi è qualcosa di simile a ciò nel visi dei latini: si visi non esset, se non vi fosse alcun ma. Del resto non mi sarebbe dispiaciuto signore, che voi foste entrato un po' pitl nei dettagli riguardo alle evoluzioni dello spirito che si rivelano a meraviglia nell'uso delle particelle. Ma poiché abbiamo motivo di affrettarci, per concludere questa ricerca sulle parole e tornare alle cose, non voglio trattenervi piú, benché in verità creda che le lingue siano il migliore specchio dello spirito umano, e che un'analisi esatta del significato delle parole farebbe conoscere meglio di ogni altra cosa le operazioni dell'intelletto. Capitolo VII l Dei termini astratti e concreti § 1. FILALETE. « Rimane ancora da notare che i termini sono astratti o concreti. Ciascuna idea astratta è distinta, in modo che di due idee l'una non può mai essere l'altra: Io spirito deve appercepire, 320 mediante la propria conoscenza intuitiva, la differenza che vi è tr di esse, e di conseguenza due di tali idee non possono mai essere al fermate l'una dell'altra. Ciascuno vede immediatamente la falsità è queste proposizioni: l'umanità è l'animalità o razionalità. Ciò è di nn sí grande evidenza pari a quella di qualunque massima tra le pitl gc neralmente condivise. » TEOFILO. Vi è tuttavia qualcosa da dire. Si ammette che la giusti zia è una virttl, un'abitudine (habitus), una qualità, un accidente, ecc Cos due termini astratti possono essere enunciati l'uno dell'altro. Soni anche uso distinguere due sorta di astratti. Vi sono termini astratt logici, e vi sono anche termini astratti reali. Gli astratti reali, o con cepiti almeno come reali, sono: o essenze e parti dell'essenza, oppur' accidenti, vale a dire esseri aggiunti alla sostanza. I termini astrali logici sono le predicazioni ridotte in termini; come se dicessi: esse uomo, essere animale, e in questo senso li si possono enunciare l'un( dell'altro, dicendo: esser uomo è essere animale. Ma nelle realtà" ciò non si verifica. Poiché non si può dire che l'umanità o (se volete l'uomeità, che è l'essenza dell'uomo intero, è l'animalità, la quale noi è che una parte di tale essenza. Tuttavia questi esseri astratti e incom pleti significati da termini astratti reali, hanno anch'essi i loro generi < specie che sono egualmente espressi da termini astratti reali: pertanto vi è predicazione tra di essi, come ho mostrato con l'esempio delh giustizia e della virttl. 5 2. FILALETE. « Si può sempre dire che le sostanze non hanno che pochi nomi astratti: nelle scuole si è parlato appena cli umanità animalità, corporalità, ma un tale uso non si è affermato fra h g ente. » TEOFILO. Ciò è dovut o al fatto che si è avuto bisogno solo d pochi di questi termini, per usarli come esempio e chiarirne la nozione generale, che era opportuno non trascurare interamente. Se gli antichi non impiegavano la parola umanità nel senso delle Scuole dicevano però la natura umana, il che è lo stesso. È certo anche clic dicevano divinità ovvero natura divina; e dal momento che i teologi hanno avuto bisogno di parlare di queste due nature e degli accidenti reali, nelle scuole filosofiche e teologiche ci si è attenuti tali entità astratte, e forse pití di quanto fosse opportuno. f'9 « Nelle realtà » e non « in realtà »: vale a dire in quelle che gli scolastici chiamavano « realitates», cioè negli astratti reali. 321 Capitolo IX Della imperfezione delle parole i. F LALETE. « Abbiamo già parlato del duplice uso delle parole: l'uno è quello di registrare i nostri pensieri per aiutare la memoria, che ci fa parlare a noi stessi; l'altro è quello di comunicare i nostri pensieri agli altri per mezzo delle parole. Questi due usi ci fanno conoscere la perfezione o l'imperfezione delle parole. 5 2. Quando non parliamo che a noi stessi, è indifferente quali parole impieghiamo, purché ci ricordiamo del loro senso, e non lo si cambi. Ma (5 3) l'uso della comunicazione è ancora di due tipi: civile e filosofico. Quello civile consiste nella conversazione e nella consuetudine della vita civile. L'uso filosofico è quello cui si deve ricorrere per dare nozioni precise e per esprimere verità certe in proposizioni generali. » TEOFILO. Benissimo: le parole sono ugualmente delle note (nome) per noi (come potrebbero esserlo i caratteri dei numeri o dell'algebra) quanto segni per gli altri: e l'uso delle parole, come quello dei segni, ha luogo sia quando si tratta di applicare i precetti generali alla pratica della vita, oppure agli individui, sia quando si tratta di trovare o verificare questi precetti: il primo uso dei segni è civile, e il secondo è filosofico. 5 5. FILA LETE. « Ora, è difficile, soprattutto nei casi seguenti, apprendere e ritenere l'idea che ciascuna parola significa: 1) quando tali idee sono molto complesse, 2) quando con queste idee se ne compone una nuova, senza che le parti costituenti abbiano alcuna relazione naturale tra loro, in modo che non si ha nella natura alcuna misura stabile, ne alcun modello per rettificarle e regolarle, 3) quando il modello non è facile a conoscersi, 4) quando il significato della parola e l'essenza reale non sono esattamente i medesimi. Le denominazioni dei modi, a causa delle due prime ragioni ora riportate, sono piú soggette a essere dubbie, e quelle delle sostanze lo sono a causa delle due seconde. 5 6. Quando l'idea dei modi è molto complessa come quelle della maggior parte dei termini di morale, essa ha raramente il medesimo significato preciso nello spirito di due differenti persone. 5 7. La mancanza di modelli inoltre rende eqUivoche queste parole: chi per primo ha inventato la parola brusquer" ha inteso indicare con essa ciò " « Brusquer » in francese significa trattare duramente, in maniera brusca. 322 che gli parve meglio, senza che coloro che in seguito se ne sono serviti come lui si siano informati su ciò che volesse dire precisamente, e senza che sia stato mostrato loro qualche modello stabile. 5 8. L'uso comune regola abbastanza bene il senso delle parole per la conversazione ordinaria, ma non vi è niente di preciso e si discute tutti i giorni circa il significato pitl conforme alla proprietà del linguaggio. Sono in molti a parlare della gloria, ma pochi la intendono allo stesso modo. 5 9. Sulla bocca dei pití queste parole sono semplici suoni, o almeno i significati sono assai indeterminati. E in un discorso o conversazione in cui si parla di onore, di lede, di grazia, di religione, di chiesa, e soprattutto nelle controversie, si noterà innanzi tutto che gli uomini hanno differenti nozioni che applicano ai medesimi termini. E se è difficile intendere il senso dei termini delle persone del nostro tempo, è ben pitl difficile intendere gli antichi libri. Il lato positivo dí ciò sta nel fatto che possiamo non curarci di questi ultimi, eccetto quando contengono ciò che dobbiamo credere o fare. » motq l.o. Queste osservazioni sono buone, ma quanto ai libri antichi, dal momento che abbiamo bisogno di intendere soprattutto la Sacra Scrittura, e poiché in buona parte dell'Europa si ricorre ancora molto alle leggi romane, ciò stesso ci impegna a consultare una quantità di altri antichi libri: i rabbini, i padri della Chiesa, e anche gli storici profani. D'altronde anche gli antichi medici meritano di essere compresi. La pratica della medicina dei Greci è pervenuta fino a noi attraverso gli Arabi; l'acqua della fonte è stata intorbidata nei ruscelli degli Arabi, ed è stata poi purificata in molti punti allorché si cominciò a ricorrere agli originali greci. Tuttavia questi Arabi non sono inutili e si assicura ad esempio che Ebenhitar ' 1 , il quale nei suoi libri sui semplici ha copiato Dioscoride 7z , serve sovente a chiarire quest'ultimo. Trovo anche che dopo la religione e la storia, è soprattutto nella medicina. in quanto è empirica, che la tradizione degli antichi, conservata dalla scrittura, e in generale le osservazioni altrui, possono esserci utili. Per questo ho sempre stimato moltissimo i medici versati anche nella cono' Ibn-e1-15eitar o Ebenbitar (1197-1248) era un naturalista arabo autore di un'opera sulle proprietà medicinali delle piante (Trattato sui semplici), del quale al tempo di Leibniz esisteva una traduzione parziale in francese che rimase però inedita. " Dioscoride, medico greco del I secolo d. C., compose un trattato sui medicamenti semplici in 6 libri che è la fonte dell'opera appena menzionata (vedi nota precedente) di Ibn-el-Reitar. e del quale Leibniz poteva consultare un'edizione del '500: SUnplicinin medicnmentorum, reique ineilicae libri V/ (Ricci. 15521. 21 scenza dell'antichità e fui molto contrariato dal fatto che Rinesius", eccellente nell'uno e nell'altro genere, si sia rivolto piuttosto a chiarire i riti e le storie degli antichi che a ristabilire una parte della conoscenza che essi avevano della natura, impresa questa in cui aveva già mostrato che avrebbe potuto riuscire a meraviglia. Quando un giorno i Latini, i Greci, gli Ebrei e gli Arabi saranno esauriti, i Cinesi, provvisti ancora di vecchi libri, si metteranno al loro posto e forniranno materia alla curiosità dei nostri critici. Senza parlare di alcuni vecchi libri dei Persiani, degli Armeni, dei Copti e dei bramini che si riporteranno alla luce col tempo, per non trascurare alcun lume che l'antichità potrebbe darci attraverso la tradizione delle dottrine e la storia dei fatti. E quando non si avessero più libri antichi da esaminare, le lingue prenderebbero il posto dei libri, essendo infatti i più antichi monumenti del genere umano. Col tempo si registreranno e si metteranno in dizionari e grammatiche tutte le lingue dell'universo, e le si confronteranno tra loro; il che sarà di utilità grandissima sia per la conoscenza delle cose, poiché i nomi sovente corrispondono alle loro proprietà (come si vede dalle denominazioni delle piante presso i differenti popoli) sia per la conoscenza del nostro spirito e della meravigliosa varietà delle sue operazioni. Senza parlare dell'origine dei popoli che si conoscerà mediante solide etimologie che la comparazione delle lingue fornirà nella maniera migliore. Ma di questo ho già parlato. Tutto ciò mostra l'utilità e l'estensione della critica, poco considerata da certi filosofi, assai validi d'altra parte, che si prendono la libertà di parlare con disprezzo del rabbinaggio e, in generale, della /filologia. Si vede anche che i critici troveranno ancora per molto materia per esercitarsi proficuamente, e che faranno bene a non dilettarsi troppo con le minuzie, poiché hanno tanti oggetti più importanti da trattare. Benché sappia bene che assai spesso anche le minuzie presso i critici sono necessarie per scoprire conoscenze piú importanti. E dal momento che la critica ruota in gran parte sul significato delle parole e sulla interpretazione degli autori, soprattutto antichi, questa discussione sulle parole, unita alla menzione che avete fatta degli antichi, mi ha fatto toccare questo punto importante. Ma per tornare ai vostri quattro difetti della denominazione vi dirò, signore, che si può ri7" Thomas Reinesius (1587-1667), medico ed erudito tedesco, era passato dagli studi di medicina a quelli di filologia e di epigrafia componendo un SyMa ama inscriptionum amiquarum del quale Leibniz poté vedere il manoscritto e che fu pubblicato postumo nel 1681 (per un giudizio di Leihniz su tale opera cfr. G, I, pp. 38 e sgg.). 324 mediare a tutti, soprattutto da quando è stata inventata la scrittura, e che essi non sussistono che per nostra negligenza. Dipende infatti da noi fissare i significati, almeno in qualche lingua dotta, e accordarsi su di essi per distruggere questa torre di Babele. Vi sono però due difetti ai quali è più difficile porre rimedio e che consistono l'uno nel trovarsi in dubbio se delle idee sono compatibili, quando l'esperienza non ce le fornisce tutte combinate in un medesimo soggetto; l'altro nella necessità che si ha di fare definizioni provvisorie delle cose sensibili, quando non se ne ha sufficiente esperienza per averne definizioni più complete: ma ho già parlato più di una volta di entrambi questi difetti. FILALETE. Passo ora a dirvi delle cose che serviranno anche a chiarire in qualche maniera i difetti che avete appena indicato. Dei difetti che io ho indicato, il terzo mi sembra faccia sí che le nostre definizioni siano provvisorie. in tal caso cioè non conosciamo abbastanza i nostri modelli sensibili, vale a dire gli esseri sostanziali di natura corporea. Una tale mancanza fa anche sí che non sappiamo se è permesso combinare le qualità sensibili che la natura non ha combinato, poiché non le si intendono a fondo. 5 1 1. « Ora, se il significato delle parole che servono per i modi composti è dubbio, a causa della mancanza di modelli che mostrino la medesima composizione, quello dei nomi degli esseri sostanziali lo è per una ragione del tutto opposta, poiché essi debbono significare ciò che è supposto conforme alla realtà delle cose, e rapportarsi a modelli formati dalla natura. » 'mori LO. II() già notato più di una volta, nel corso delle nostre conversazioni precedenti, che ciò non è essenziale alle idee delle sostanze, ma riconosco che le idee composte secondo la natura sono le più sicure e le più utili. 5 12. FILALETE. Allorché dunque si seguono i modelli fatti completamente dalla natura, in modo che l'immaginazione abbia bisogno di ritenerne soltanto le rappresentazioni, «i nomi degli esseri sostanziali hanno nell'uso ordinario un duplice rapporto, come ho già mostrato. Il primo consiste in ciò: che essi significano la costituzione interna e reale delle cose, ma un simile modello non potrebbe essere conosciuto né, di conseguenza, servire a regolare i significati ». TEOFILO. In questo caso non si tratta di ciò, poiché parliamo delle idee di cui abbiamo modelli; l'essenza interiore è nella cosa, ma si è d'accordo che essa non potrebbe servire da esemplare. 5 13. FILALETE. « II secondo rapporto è dunque quello che i 325 nomi degli esseri sostanziali hanno immediatamente con le idee semplici che esistono nello stesso tempo nella sostanza. Ma poiché il numero di queste idee unite in un medesimo soggetto è grande, gli uomini, parlando di questo medesimo soggetto, se ne formano idee assai differenti, sia per la differente combinazione di idee semplici cui danno luogo, sia perché la maggior parte delle qualità dei corpi sono le facoltà che essi hanno di produrre cambiamenti negli altri corpi e di riceverne. Testimonianza di ciò sono i mutamenti che uno dei metalli piú vili è capace di subire a opera del fuoco; e ancor di piú ne riceve tra le mani di un chimico, mediante l'applicazione di altri corpi. D'altra parte l'uno si contenta del peso e del colore per conoscere l'oro, l'altro invece vi fa entrare anche la duttilità, la stabilità, e il terzo vuol richiamare l'attenzione sul fatto che lo si può dissolvere nell'acqua regia. 5 14. Poiché inoltre le cose si somigliano sovente tra loro, è difficile talvolta indicare le differenze precise. » TEOFILO. Effettivamente, i corpi, essendo soggetti a essere alterati, camuffati, deformati, contraffatti, è importante poterli distinguere e riconoscere. L'oro è alterato in una soluzione, ma lo si può nuovamente ricavare, sia facendolo precipitare sia distillando l'acqua: e l'oro contraffatto o sofisticato è riconosciuto o purificato dall'arte dei saggiatori. Ma poiché una tale arte non è nota a tutti, non è strano che gli uomini non abbiano tutti la medesima idea dell'oro. E ordinariamente non sono che gli esperti ad avere idee abbastanza corrette delle varie materie. 5 l5. FILALETE. « Una tale varietà tuttavia non causa tanto disordine nel commercio civile, quanto nelle ricerche filosofiche. » mortt.o. Sarebbe piú tollerabile se tale disordine non avesse alcuna influenza nella pratica, dove è importante sovente non prendere un qui pro quo, e di conseguenza conoscere i segni delle cose, o avere a disposizione persone che li conoscano. E ciò è importante soprattutto riguardo alle droghe e ai materiali che sono pregiati e di cui si può avere bisogno in occasioni importanti. Il disordine filosofico si noterà piuttosto nell'uso dei termini piú generali. 18. FILALETE. « I nomi delle idee semplici sono meno soggetti a equivoco e ci si sbaglia raramente circa termini come bianco, amaro, ecc. » TEOFILO. È vero tuttavia che questi termini non sono del tutto esenti da incertezza; e ho già fatto notare l'esempio dei colori limitrofi che sono ai confini di due generi e il cui genere è dubbio. 5 19. FILALETE. « Dopo i nomi delle idee semplici, quelli dei modi semplici sono i meno dubbi, come per esempio quelli delle figure e dei numeri. Ma (5 20) i modi composti e le sostanze sono causa di ogni confusione. 5 21. Si dirà che invece di imputare alle parole queste imperfezioni, bisogna piuttosto metterle sul conto del nostro intelletto: ma io rispondo che le parole si interpongono in modo tale tra il nostro spirito e la verità delle cose, da poter essere paragonate al mezzo attraverso il quale passano i raggi degli oggetti visibili, che sovente diffonde nubi sui nostri occhi. E sono tentato di credere che se si esaminassero piú a fondo le imperfezioni del linguaggio, la maggior parte delle dispute cadrebbero da sole, e che il cammino della conoscenza e forse della pace, sarebbe piú aperto agli uomini. » TEOFILO. Credo che si potrebbe venirne a capo fin d'ora nelle discussioni per scritto, se gli uomini volessero convenire su certe regole e osservarle con cura. Ma per procedere con esattezza a voce e sul momento, occorrerebbe un mutamento nel linguaggio. lo mi sono dedicato in altra occasione all'esame di questa questione". 5 22. FILALETE. In attesa di una tale riforma, che non sarà pronta tanto presto « l'incertezza delle parole ci dovrebbe insegnare a essere moderati, soprattutto quando si tratta di imporre agli altri il senso che noi attribuiamo agli antichi autori: poiché si trova negli autori Greci che quasi ciascuno di essi parla un linguaggio differente ». TEOFILO. Sono stato piuttosto sorpreso nel vedere che autori Greci sí lontani gli uni dagli altri sia per tempo che per luogo, come Omero, Erodoto, Strabone, Plutarco, Luciano, Eusebio, Procopio, Fozio si somigliano tanto, mentre i Latini hanno cambiato tanto e i Tedeschi, gli Inglesi e i Francesi assai di piú. Ma ciò è dovuto al fatto che i Greci hanno avuto dai tempi di Omero, e piú ancora quando la città di Atene era fiorente, dei buoni autori che la posterità ha presi per modelli, almeno nello scrivere. Poiché senza dubbio la lingua volgare dei Greci doveva essere ben mutata già sotto la dominazione dei Romani. E questo medesimo motivo fa sí che l'italiano non abbia cambiato tanto quanto il francese, poiché gli Italiani, avendo avuto piuttosto scrittori di una reputazione duratura, hanno imitato e stimano tuttora Dante, Petrarca, Boccaccio e altri autori, mentre gli autori francesi dello stesso periodo non sono pini di moda. 74 Cfr. la giovanile Di ∎ wrtatio (le arte combinatoria 116661, G. IV, pp. e sgg• 1:7 326 Capitolo X Dell'abuso delle parole 5 FILALETE. « Oltre alle imperfezioni naturali del linguaggio, ne sono di volontarie dovute a negligenza; e significa abusare delle parole servirsene cosf male. Il primo e più visibile abuso consiste (S 2) nel non associarvi alcuna idea chiara. Quanto a siffatte parole, ve ne sono di due classi: le une non hanno mai avuto alcuna idea determinata, né nella loro origine né nel loro uso ordinario. La maggior parte delle sètte filosofiche e religiose ne hanno introdotte per sostenere qualche strana opinione o nascondere qualche punto debole dei loro sistemi. Nondimeno sono caratteri distintivi sulla bocca di persone di parte. 5 3. Vi sono altre parole che nel loro uso primitivo e comune hanno qualche idea chiara, ma che in seguito sono state adattate a materie assai importanti, senza che venisse applicata loro alcuna idea certa. E cosf che le parole saggezza, gloria. grazia sono sovente sulla bocca degli uomini. » TEOFILO. Credo non vi siano poi tante parole prive di significato quante si pensa, e che con un po' di cura e di buona volontà si potrebbe riempirne il vuoto o fissarne l'indeterminatezza. La saggezza non sembra essere altro che la scienza della felicità. La grazia è un bene che si fa a coloro che non l'hanno meritato, e che si trovano in uno stato in cui ne hanno bisogno. E la gloria è la fama dell'eccellenza di qualcuno. 5 4. FILALETE. Per adesso non voglio prendere in esame se vi sia qualcosa da dire su queste definizioni, onde rilevare piuttosto le cause degli abusi delle parole. « Innanzi tutto si apprendono le parole prima di apprendere le idee che ad esse appartengono, e i bambini, abituati a ciò fin dalla culla, fanno lo stesso per tutta la loro vita: tanto più che non si astengono dal farsi intendere nella conversazione, pur senza aver mai fissato la propria idea, servendosi di differenti espressioni per far concepire agli altri quel che vogliono dire. Tuttavia ciò riempie sovente i loro discorsi di una quantità di suoni vani, soprattutto in materia di morale. Gli uomini prendono le parole che trovano in uso presso i loro vicini, per non sembrare ignoranti del loro significato, e le impiegano con fiducia, senza dar loro un senso sicuro: e poiché in questa sorta di discorsi capita loro raramente di aver ragione, sono altrettanto raramente persuasi di avere torto, e volerli togliere dall'errore è come voler derubare un vagabondo. » ve 328 TEOFILO. ln effetti ci si sobbarca cosf raramente della fatica clic sarebbe necessaria per ottenere la comprensione dei termini o parole. che mi sono stupito più di una volta che i bambini possano apprendere tanto presto le lingue, e che gli uomini parlino ancora cosf correttamente, visto che ci si applica sf poco a istruire i fanciulli nella loro lingua materna, e che gli altri pensano sí poco ad acquisire definizioni precise; tanto più che quelle che si apprendono nelle scuole non riguardano ordinariamente le parole che sono di uso comune. Del resto riconosco che capita spesso agli uomini di avere torto anche quando disputano seriamente, e parlano secondo le proprie convinzioni. Tuttavia ho anche notato assai spesso che nelle loro dispute speculative su argomenti che sono alla portata del loro spirito, hanno ragione entrambi i disputanti, eccetto quando si fanno opposizione l'un l'altro, interpretando male le opinioni reciproche: il che si verifica per il cattivo uso dei termini, e qualche volta anche per spirito di contraddizione e per una affettazione di superiorità. § 5. FEL A LETE. « In secondo luogo l'uso delle parole è talvolta incostante: e ciò si verifica fin troppo fra i dotti. Nondimeno è un inganno manifesto, e se è volontario, si tratta o di follia o di malizia. Se qualcuno si comportasse cosf nei propri racconti » (come se scambiasse una X per una V) « chi mai vorrebbe avere a che fare con lui? » TEOFI LO. Dal momento che un simile abuso è tanto frequente non solo tra i dotti, ma anche fra la gente comune, credo piuttosto che siano il cattivo costume e la sbadataggine, anziché la malizia, a farlo commettere. Ordinariamente i diversi significati della medesima parola hanno qualche affinità; ciò li fa scambiare l'uno per l'altro e non si prende il tempo per considerare ciò che si dice con tutta l'esattezza che sarebbe da augurarsi. Si è abituati ai tropi e alle figure, e qualche eleganza o falso orpello ci si impongono facilmente. Poiché il più delle volte si cerca il piacere, il divertimento e ciò che è esteriore, più che la verità: oltre al fatto che vi si mescola la vanità. 5 6. FILALETE. « Il terzo abuso consiste in una oscurità ostentata, sia quando si danno a termini d'uso comune significati inusitati, sia quando si introducono termini nuovi senza spiegarli. » Gli antichi sofisti che Luciano mette cosf giustamente in ridicolo ', pretendendo parlare di tutto, coprivano la loro ignoranza sotto il velo dell'oscurità delle parole. « Tra le sette dei filosofi, quella dei peripatetici si è segnalata per questo difetto; ma anche le altre sette », anche tra le moderne « non ne sono del tutto esenti. Vi sono, per esempio, per- 75 SOpratIllito nei Didlogbi dei morti. sone che abusano del termine estensione, e trovano necessario confonderlo con quello di corpo". § 7. La logica o l'arte di disputare, che si è tenuta in tanta stima, è servita a mantenere l'oscurità. § 8. Quelli che vi si applicarono sono stati inutili alla repubblica, o piuttosto dannosi. § 9. Mentre gli uomini che praticavano le arti meccaniche, cosi disprezzati dai dotti, sono stati utili alla vita umana. Nondimeno quei dottori oscuri sono stati ammirati dagli ignoranti, e li si è creduti invincibili perché erano circondati di rovi e spini, tra i quali non vi era alcun piacere a cacciarsi: cosí la sola oscurità poteva servir da difesa all'assurdità. § 12. TI male è che, quest'arte di rendere oscure le parole ha imbrogliato le due grandi guide dell'azione dell'uomo, la religione e la giustizia. » TEOFILO. Le vostre lamentele son giuste in gran parte; è vero però che vi sono, anche se raramente, oscurità perdonabili e addirittura lodevoli: come quando si fa professione di essere enigmatici e l'enigma è opportuno. Pitagora ne faceva un uso simile e questo è comunemente il modo di comportarsi degli orientali. Gli alchimisti, che si chiamano adepti, dichiarano di non voler essere compresi che dai figli dell'arte. Ma ciò potrebbe andare bene se i pretesi figli dell'arte avessero la chiave del cifrario. Una certa oscurità potrebbe essere permessa, tuttavia è necessario che essa nasconda qualcosa che merita di essere scoperto, e che l'enigma sia decifrabile. Ma la religione e la giustizia richiedono idee chiare. Può darsi che lo scarso ordine che vi si è introdotto insegnandole, ne abbia resa confusa la dottrina, e l'indeterminatezza dei termini vi ha forse nuociuto piú dell'oscurità. Ora, dal momento che la logica è l'arte che insegna l'ordine e il legame dei pensieri, non vedo il motivo di biasimarla. Al contrario, è piuttosto per mancanza di logica che gli uomini si sbagliano. § 14. FILALETE. « Il quarto abuso consiste nel prendere le parole per cose, vale a dire nel credere che i termini corrispondano all'essenza reale delle sostanze. Chi, essendo stato educato nella filosofia peripatetica, non si immagina che i dieci nomi che significano i predicamenti, sono esattamente conformi alla natura delle cose? che le forme sostanziali, le anime vegetative, l'horror vacui, le specie intenzionali, ecc. sono qualcosa di reale? I platonici hanno la loro anima del mondo, e gli epicurei la tendenza dei loro atomi verso il moto, nel tempo che sono in quiete. Se i veicoli aerei o eterei del dottor More" si fossero imposti in qualche parte del mondo, non sarebbero stati creduti meno reali. » TEOFILO. In senso proprio non si tratta di prendere le parole per cose, ma è credere vero ciò che non lo è: errore questo troppo comune a tutti gli uomini, ma che non dipende dal solo abuso delle parole, e consiste in tutt'altra cosa. Il disegno dei predicamenti è assai utile, e si deve pensare a correggerli, piuttosto che a rigettarli. Le sostanze, quantità, qualità, azioni o passioni e relazioni, vale a dire i cinque titoli generali degli esseri, possono bastare, con quelli che si formano dalla loro composizione, e voi stesso, classificando le idee non avete forse voluto darle come predicamenti? II() già parlato, pii': sopra, delle forme sostanziali. E non so se si abbiano fondati argomenti per rigettare le anime vegetative, poiché persone di grande esperienza e capacità di giudizio riconoscono una grande analogia tra le piante e gli animali, e da parte vostra, signore, mi è sembrato abbiate ammesso l'anima delle bestie. L'horror vacui" si può intendere in maniera sensata: supponendo cioè che la natura abbia riempito a un certo momento gli spazi, e che i corpi siano impenetrabili e incondensabili, essa non potrebbe ammettere il vuoto: e io ritengo queste tre supposizioni ben fondate. Ma le specie intenzionali, che devono provvedere alle relazioni tra anima e corpo, non lo sono, benché forse si possano giustificare le specie sensibili, che vanno dall'oggetto all'organo lontano, qualora vi si sottintenda la propagazione dei movimenti. Riconosco che non esiste l'anima del mondo di Platone, poiché Dio è al di sopra del mondo, extramundana intelligentia, o piuttosto supramundana. Non so se con tendenza al movimento degli atomi degli epicurei voi intendete la pesantezza che questi ultimi attribuiscono loro: indubbiamente essa era priva di fondamento, poiché pretendevano che i corpi di per sé andassero tutti da uno stesso lato. Il defunto I !cm, More, teologo della Chiesa anglicana, per valente che fosse, si mostrava un po' troppo incline a foggiare ipotesi che non erano né intelligibili né verosimili: ne è testimonianza il suo principio hylarcbico della materia, causa della pesantezza, della elasticità e di altre mirabili proprietà che si trovano nella materia. Non ho niente da dirvi invece riguardo ai suoi veicoli eterei di cui non ho esaminata la natura. § 15. FILALETE. « Un esempio riguardo alla parola materia vi farà meglio penetrare nel mio pensiero. Si prende la materia per un essere realmente esistente nella natura, distinto dal corpo, poiché la " Si tratta, naturalmente, dei cartesiani. Su N. More cfr. nota 12, p. 68; Leibniz fa riferimento all'opera di More: The immortali!), of the so141..., London, 1659, libro 11, cap. 14; libro 111, cap. I. " Per la nozione di « horror vacui » cfr. la nota «specie intenzionale » cfr. la nota 19, p. 56. 6, p. 11R: rer quella 3 ',I 330 parola materia significa un'idea distinta dal corpo, e ciò in effetti è estremamente evidente, altrimenti queste due idee potrebbero essere messe indifferentemente l'una al posto dell'altra. Si può dire infatti che una sola materia compone tutti i corpi, ma non che un solo corpo compone tutte le materie. E neppure si dirà, penso, che una materia è piti grande dell'altra. La materia esprime la sostanza e la solidità del corpo; cosí noi non concepiamo differenti materie piú di quanto non concepiamo differenti solidità. Tuttavia da quando si è presa la materia per un nome di qualcosa che esiste in una tale distinzione, un simile pensiero ha prodotto discorsi inintelligibili e dispute intricate sulla materia prima. » TEOFILO. Mi sembra che questo esempio serva a scusare piuttosto che biasimare la filosofia peripatetica. Se tutto l'argento avesse determinate forme, o meglio: dal momento che tutto l'argento riceve certe figure o dalla natura o dall'arte, sarà forse vietato affermare che l'argento è un essere realmente esistente nella natura, distinto (prendendolo nella sua precisione) dal vasellame o dalla moneta? E benché l'argento esprima il peso, il suono, il colore, la fusibilità, e alcune altre qualità della moneta, non si dirà per questo che l'argento non è altro che certe qualità della moneta. Cosi non è inutile come si pensa, in fisica generale, ragionare sulla materia prima e determinarne la natura, per sapere se è sempre uniforme, se ha qualche altra proprietà oltre l'impene trabilità (infatti ho mostrato, secondo Keplero, che essa possiede anche ciò che si può chiamare inerzia") ecc., benché essa non si trovi mai allo stato puro; allo stesso modo che sarebbe lecito ragionare dell'argento puro, quand'anche non ve ne fosse tra noi e non avessimo il mezzo per purificarlo. Non disapprovo dunque il fatto che Aristotele abbia parlato della materia prima, ma non si può fare a meno di biasimare coloro che vi si sono soffermati troppo e che hanno foggiato chimere su parole mal comprese di questo filosofo, il quale forse, da parte sua, ha offerto talvolta troppe occasioni a simili malintesi e alle astrusaggini. Ma non si devono esagerare troppo i difetti di questo celebre autore, poiché si sa che parecchie tra le sue opere non sono state compiute né pubblicate da lui stesso. 5 17. FILALETE. « Il quinto abuso consiste nel mettere le parole al posto delle cose che da esse non sono significate, e che esse non possono significare in alcuna maniera. Come se per mezzo dei nomi delle sostanze volessimo dire qualcosa di piú di questo: ciò che chiamo oro è malleabile (benché l'oro non significhi altro in questo Leibniz allude probabilmente al proprio scritto De ipso natura, sire de re insita, comparso negli Acta eruditorunt del 1698 (G, IV, pp. 504-516). 332 F caso che ciò che è malleabile), pretendendo di fare intendere che la malleabilità dipende dall'essenza reale dell'oro. Cosi diciamo che è bene definire l'uomo, con Aristotele", come animale razionale, e che invece non va bene definirlo con Platone" un animale bipede implu18. Difficilmente si trova qualcuno che me e dalle unghie piatte. non supponga che queste parole significano una cosa che ha l'essenza reale dalla quale dipendono queste proprietà; tuttavia si tratta di un abuso ben visibile, una tale conseguenza non essendo racchiusa nell'idea complessa significata da quella parola. » TEOFILO. Io credo invece che sia ben visibile che si ha torto a biasimare quest'uso comune, poiché è verissimo che nell'idea complessa dell'oro è implicito che è una cosa che ha un'essenza reale la cui costituzione, nei dettagli, non ci è conosciuta se non per il fatto che ne dipendono qualità come quella della malleabilità. Ma per enunciare la malleabilità dell'oro, senza cadere in un'asserzione meramente identica, e senza dar luogo a un coccismo' o a ripetizione (si veda il cap. 6, § 18) si deve riconoscere questa cosa mediante altre qualità, come il colore e il peso. Ed è come se si dicesse che un certo corpo fusibile, giallo e molto pesante chiamato oro, ha una natura che gli conferisce anche la qualità di essere duttilissimo sotto il martello e di poter essere reso estremamente sottile. Per ciò che concerne la definizione dell'uomo che si attribuisce a Platone, che egli sembra aver costruito solo per esercizio, e che voi stesso non vorrete, credo, confrontare seriamente con quella comunemente accettata, è manifesto che è un po' troppo esteriore e troppo provvisoria. Poiché se quel cassiovario di cui parlavate poc'anzi, signore, (cap. 6, S 24) si fosse trovato ad avere delle unghie larghe, ecco che sarebbe un uomo. Infatti non vi sarebbe stato neppure bisogno di togliergli le penne come a quel gallo che Diogene, a quanto si dice, voleva far diventare uomo platonico". 19. FILALETE. « Nei modi composti, dopo che un'idea che ne fa parte è mutata, si riconosce subito che si tratta d'altro, come appare chiaramente da queste parole: murther, che significa in inglese » (come mordi in tedesco) « omicidio premeditato; manslaughter » (parola corrispondente nella sua origine a quella di otnicidiol « che si" Cfr. Aristotele, Etica Nicomachea, I, 6, 1098a 12-14. 81 La definizione si trova tra le Definizioni pseudo-platoniche (Platonis Opera, Oxford, 1907) 415a. 82 Parola ottenuta per traslitterazione di un termine greco onomatopeico designante il verso del cuculo; è parola che veniva impiegata per indicare definizioni vane nelle quali si ripeteva il medesimo concetto o il medesimo termine. " L'aneddoto è riportato da Diogene Laerzio, Vita dei filosofi, VI, 2, 40. 333 gnifica un omicidio volontario, ma non premeditato; cbancemedly » rissa avvenuta per caso, secondo il significato esatto della parola « che significa omicidio commesso senza intenzione; poiché, ciò che si esprime con i nomi e ciò che credo essere nella cosa (quel che chiamavo piú sopra essenza nominale e essenza reale) è lo stesso. Ma non è cosi nei nomi delle sostanze, poiché se l'uno mette nell'idea dell'oro ciò che l'altro vi omette, per esempio la stabilità e la capacità di essere sciolto nell'acqua regia, gli uomini non crederebbero per questo che si sia mutata la specie, ma soltanto che l'uno abbia un'idea piú perfetta dell'altro su ciò che costituisce l'essenza reale nascosta alla quale essi rapportano il nome dell'oro, benché un tale segreto rapporto sia inutile e non serva che a recarci imbarazzo. » rEomo. Credo di avervelo già detto, ma vi mostrerò ancora chiaramente qui che quanto voi avete appena affermato, signore, si trova tanto nei modi che negli esseri sostanziali, e che non si ha alcun motivo di biasimare un tale rapporto con l'essenza interna. Ed eccone un esempio: si può definire una parabola, nel senso dei geometri, come una figura in cui tutti i raggi paralleli a una certa retta sono riuniti dalla riflessione in un certo punto o fuoco. Ma è piuttosto l'aspetto esteriore e l'effetto che viene espresso mediante tale idea o definizione, anziché l'essenza interna di quella figura o ciò che ne possa far conoscere immediatamente l'origine. Si può anche dubitare all'inizio se una simile figura che si vuol ottenere e che deve produrre un tale effetto, sia qualcosa di possibile; ed è proprio quest'ultimo requisito, secondo me, a far conoscere se una definizione è solamente nominale e ricavata da determinate proprietà, oppure se essa è anche reale. Tuttavia chi nomina la parabola e la conosce solo attraverso la definizione che ho appena menzionato intende ugualmente riferirsi, quando ne parla, a una figura che ha una certa costruzione o costituzione che non conosce, ma che desidera imparare per poterla disegnare. Un altro che ne avrà maggiormente approfondita la conoscenza, vi aggiungerà qualche proprietà ulteriore e scoprirà, per esempio, che nella figura richiesta la parte dell'asse intercettata tra l'ordinata e la perpendicolare tirate nel medesimo punto della curva è sempre costante, e che è uguale alla distanza dal vertice e dal fuoco. Cosi questo secondo avrà un'idea piú perfetta del primo e arriverà piti facilmente a tracciare la figura, benché anch'egli sia lungi dal conoscerla perfettamente. Nondimeno si converrà che si tratta della medesima figura, ma che la sua costituzione è ancora nascosta. Vedete dunque, signore, che tutto ciò che trovate, e in parte biasimate, nell'uso delle parole che significano cose sostanziali, si trova anche, e si trova mani334 festamente giustificato, nell'uso delle parole che significano modi composti. Ma ciò che vi ha fatto credere che vi fosse qualche differenza tra le sostanze e i modi è il fatto che in questa circostanza non avete preso in considerazione modi intelligibili di difficile discussione, somiglianti in tutto ai corpi che sono ancora piú difficili a conoscere. 5 20. FILALETE. Temo dunque di dovermi rimangiare quanto volevo dirvi, signore, circa « la causa di ciò che avevo creduto un abuso, quasi che questo dipendesse dal fatto che crediamo falsamente che la natura agisca sempre in maniera regolare, e fissi limiti a ciascuna specie mediante l'essenza specifica, o costituzione interna, che noi sottintendiamo in essa, e che corrisponde sempre al medesimo nome specifico ». TEOFILO. Vedete bene dunque, signore, dall'esempio dei modi geometrici, che non si ha troppo torto a far riferimento alle essenze interne e specifiche, benché vi sia parecchia differenza tra le cose sensibili (siano esse sostanze o modi di cui abbiamo solo definizioni nominali provvisorie, e di cui non abbiamo speranza di ottenere facilmente definizioni reali), e tra i modi intelligibili di difficile analisi, poiché possiamo giungere infine alla costituzione interna delle figure geometriche. 5 21. FILALETE. Vedo infine che avrei avuto torto a biasimare un tale rapporto con le essenze e costituzioni interne, col pretesto che ciò significherebbe rendere le nostre parole segni di un nulla o di qualcosa di ignoto. Poiché ciò che è sconosciuto sotto certi rispetti, si può far conoscere in altra maniera, e l'interno si fa conoscere in parte attraverso i fenomeni che ne derivano. Per ciò che concerne la domanda se un feto mostruoso sia uomo o no, mi sembra che se non si può decidere subito la risposta, ciò non impedisca che la specie sia hen fissa in se stessa, la nostra ignoranza non cambiando nulla nella natura delle cose. TEOFILO. In effetti è accaduto a geometri assai abili di non aver saputo a sufficienza quali fossero le figure di cui conoscevano parecchie proprietà che sembravano esaurire l'argomento. Vi erano, per esempio, linee che si chiamavano perle", delle quali si davano anche le quadrature e la misura delle loro superfici e dei solidi ottenuti mediante la loro rotazione, prima che si sapesse clic non erano altro " Si tratta di Rene Francois Walter de Sluse (1623-1685), geometra fiammingo inventore del metodo per la costruzione delle radici delle equazioni di terzo e quarto grado. Nel 1659 pubblicò un'opera (Mesolabum) nella quale esponeva tale metodo, e nel 1668 ne curò una seconda edizione con un'appendice in cui discuteva problemi relativi alle parabole e alle cicloidi. La « perla di Muse» è appunto un particolare tipo di parabola. 335 che dei composti di certe paraboloidi cubiche. Cosi, considerando queste perle come di una specie particolare, non se ne avevano che conoscenze provvisorie. Ora, se ciò può accadere in geometria, ci si stupirà forse se è difficile determinare le specie della natura corporea, che sono incomparabilmente più complesse? 5 22. FILALETE. « Passiamo al sesto abuso, onde continuare la enumerazione iniziata », nonostante mi renda conto che occorrerebbe toglierne qualcuno. « Questo abuso generale, ma poco notato, consiste nel fatto che gli uomini, avendo applicato certe idee a certe parole attraverso una lunga consuetudine, si immaginano che una simile connessione sia manifesta, e che tutti concordino su di essa. Dal che deriva che essi trovano assai strano che si domandi loro il significato delle parole che impiegano, anche quando ciò è assolutamente necessario. Ci sono poche persone che non lo prenderebbero per un affronto, se si domandasse loro cosa intendono quando parlano della vita. Tuttavia l'idea vaga che possono averne non basta, quando si tratta di sapere se una pianta che è già formata nel seme o se un pulcino che è in un uovo che non è stato ancora covato abbiano vita, oppure se ne abbia un uomo svenuto, privo di sensi e immobile. E benché gli uomini non vogliano apparire sí poco intelligenti o sf importuni da aver bisogno di domandare la spiegazione dei termini di cui ci si serve, oppure critici tanto fastidiosi da riprendere gli altri continuamente circa l'uso che fanno delle parole, nondimeno, quando si tratta di una ricerca esatta, bisogna venire alla spiegazione. Sovente i dotti di differenti partiti, nei ragionamenti che esibiscono gli uni contro gli altri, non fanno che parlare differenti linguaggi, e pensano la medesima cosa, benché forse i loro interessi siano differenti. » TEOFILO. Credo di essermi spiegato a sufficienza stilla nozione della vita; essa deve sempre essere accompagnata da percezione nell'anima, altrimenti non si tratterà che di un'apparenza, come la vita che i selvaggi dell'America attribuivano agli orologi da tasca e a quelli a pendolo, oppure quella che certi magistrati attribuirono alle marionette, credendole animate da demoni, quando vollero punire come stregone quel tale che aveva dato per primo uno spettacolo nella loro città. 5 23. FILALETE. « Per concludere: le parole servono 1) per fare intendere i nostri pensieri, 2) per fare ciò facilmente, e 3) per introdurci alla conoscenza delle cose. Si vien meno al primo punto, quando non si ha alcuna idea determinata e costante delle parole, né accolta né compresa da altri. 5 2 -i. Si vien meno nei confronti della facilità, quando si hanno idee assai complesse, senza avere nomi distinti: 336 spesso ciò è dovuto alle lingue medesime che in questi casi non hanno nomi adatti, oppure anche agli uomini i quali non ne conoscono, e allora si ha bisogno di grandi perifrasi. 5 25. Ma quando le idee significate dalle parole non si accordano con ciò che à reale, si vien meno al terzo punto. 5 26. 1) Chi ha i termini senza le idee è come chi non avesse che un catalogo dí libri. 5 27. 2) Chi ha idee assai complesse è come un uomo che avesse una quantità di libri in fogli staccati, privi di titolo e non sapesse dare ad altri il libro senza darne i fogli uno dopo l'altro. 5 28. 3) Chi non è costante nell'uso dei segni è come un mercante che venda differenti cose sotto il medesimo nome. 5 29. 4) Chi applica idee particolari a parole che hanno invece un loro significato comunemente accettato, non può con la comprensione che può averne. fornire chiarimenti 5 30. 5) Chi ha in testa idee di sostanze che non sono mai esistite. non può avanzare nelle conoscenze reali. 5 32. Il primo parlerà vanamente della tarantola o della carità. Il secondo vedrà animali nuovi senza poterli far conoscere facilmente agli altri. Il terzo prenderà il corpo sia per ciò che è solido sia per ciò che è solo esteso (5 33); e con la frugalità designerà sia la virtù sia il vizio che alla frugalità è vicino; il quarto chiamerà una mula col nome di cavallo, e colui che tutti chiamano prodigo per lui sarà generoso; » il quinto cercherà in Tartaria, sull'autorità di Erodoto, una nazione composta di uomini che hanno un solo occhio". « E a questo proposito osservo che i primi quattro difetti sono comuni ai nomi delle sostanze e dei modi, ma che l'ultimo è proprio delle sole sostanze. » TEOFILO. Le vostre osservazioni sono assai istruttive; aggiungerò soltanto che mi sembra vi sia qualcosa di chimerico anche nelle idee che si hanno degli accidenti o modi d'essere, e che cosi il quinto difetto è comune alle sostanze e agli accidenti. Il pastore stravagante" non era tale soltanto perché credeva vi fossero ninfe nascoste negli alberi, ma anche perché si aspettava sempre avventure romanzesche. 5 34, FILALETE. Avevo pensato di concludere, ma mi ricordo ancora del settimo e ultimo abuso, che è « quello dei termini figurati o delle allusioni. Tuttavia si incontrerà qualche difficoltà a crederlo un abuso, poiché ciò che si chiama spirito e immaginazione riceve migliore accoglienza della nuda verità. Ora, ciò va bene nei discorsi in cui si cer" Cfr. Erodoto, Storie, I I I, 116; IV, 27. L'esempio è di Leibniz; nel luogo corrispondente del Saggio lockiano (III, x, S 32) è portato l'esempio di un centauro. " Leilmiz allude al personaggio e al titolo di una pastorale burlesca di T. Corncille (Le berger extraragant. Pastoral hurleseine en 5 adet, Park 1653). 337 ca solo di piacere, ma in ultima analisi, eccetto l'ordine e la chiarezza, tutta l'arte della retorica, tutte quelle applicazioni artificiali e figurate delle parole, non servono che a insinuare false idee, a muovere le passioni e sedurre il giudizio, cosicché non si tratta d'altro che di mère soperchierie. Ciononostante è a tale arte ingannevole che si dà il primo posto e le ricompense. TI fatto è che gli uomini non si curano troppo della verità e preferiscono di gran lunga ingannare e essere ingannati. E questo è cosi vero che quanto ho appena adesso affermato contro questa arte non dubito venga considerato come l'effetto di un'estrema audacia. Poiché l'eloquenza, simile al bel sesso, ha grazie troppo potenti perché sia permesso opporvisi ». TEOFILO. Ben lungi dal biasimare il vostro zelo per la verità, lo trovo giusto. E sarebbe da augurarsi che potesse avere effetto. Della qual cosa non dispero del tutto, poiché sembra, signore, che combattiate l'eloquenza con le proprie armi e che voi ne possediate una di altra specie, superiore a quella ingannevole, allo stesso modo che c'era una Venere Urania, madre dell'amore divino, davanti alla quale l'altra Venere bastarda, madre di un amore cieco, non osava mostrarsi col suo figlio dagli occhi bendati 87 . Ma proprio ciò prova che la vostra tesi ha bisogno di essere un po' moderata e che certi ornamenti dell'eloquenza sono come i vasi egizi, dei quali ci si poteva servire per il culto del vero Dio. È come per la pittura e la musica, di cui si abusa e delle quali l'una rappresenta spesso fantasie grottesche e addirittura nocive, l'altra rammollisce il cuore, e ambedue divertono in modo vano; esse però possono essere impiegate utilmente, l'una per rendere chiara la verità, l'altra per renderla capace di commuovere, e quest'ultimo effetto deve essere anche quello della poesia, che partecipa della retorica e della musica. Capitolo XI Circa i rimedi che si possono apportare alle imperfezioni e agli abusi di cui si è parlato § 1. FILALETE. Non è il caso qui di ingolfarsi in una discussione sull'uso di una vera eloquenza, e ancor meno di rispondere al vostro cortese complimento, poiché « dobbiamo pensare a finire questo argo87 Per la distinzione fra Afrodite celeste e Afrodite pandemia, cfr. Platone, Convito, 180c-181d: e Cicerone, De natura deorum, III, 59 e sgg. 338 mento circa le parole, cercando i rimedi alle imperfezioni che vi abbiamo riscontrate. § 2. Sarebbe ridicolo tentare la riforma delle lingue e voler obbligare gli uomini a non parlare che nella misura in cui hanno conoscenza. 5 3. Ma non è troppo pretendere che i filosofi parlino esattamente, quando si tratta di una seria ricerca della verità: senza di ciò tutto sarà pieno di errori, unilateralità e dispute vane. 5 8. 11 primo rimedio consiste nel non servirsi di alcuna parola, senza assodarvi un'idea, mentre spesso si impiegano parole come istinto, simpatia, antipatia, senza associarvi alcun senso ». TEOFILO. La regola è buona, ma non so se gli esempi sono adatti. Sembra che tutti intendano con istinto una inclinazione di un animale verso ciò che gli è conveniente, senza che per questo ne comprenda il motivo. E gli uomini stessi dovrebbero trascurare meno questi istinti che si scoprono anche in essi, benché il loro modo di vivere artificiale li abbia, nella maggior parte, pressoché cancellati; il medico di se stesso lo ha ben osservato". La simpatia o antipatia significa ciò che nei corpi privi di capacità di sentire corrisponde all'istinto di unirsi o di separarsi, che si trova negli animali. E per quanto non si abbia la comprensione della causa di tali inclinazioni, o tendenze, come pure sarebbe da augurarsi, se ne ha però una nozione sufficiente per discorrerne in maniera intelligibile. § 9. FILALETE. « Il secondo rimedio consiste nel far sí che le idee dei nomi dei modi siano almeno determinate e 15 10) che le idee dei nomi delle sostanze siano inoltre conformi a ciò che esiste. Se qualcuno dice che la giustizia è una condotta conforme alla legge riguardo al bene altrui, una tale idea non è abbastanza determinata, quando non si ha alcuna idea distinta di ciò che si chiama legge. » TEOFILO. Si potrebbe dire in questo caso che la legge è un precetto della saggezza o della scienza della felicità. 5 11. FILALETE. « Il terzo rimedio consiste nell'impiegare termini conformemente all'uso comune, per quanto ciò è possibile. 5 12. Il quarto consiste nel dichiarare in qual senso si prendono le parole, sia che se ne facciano di nuove o che si impieghino quelle vecchie in un senso nuovo, sia che si trovi che l'uso non ne ha fissato in modo sufficiente il significato. 5 13. Ma vi è qualche differenza. 5 14. Le parole delle idee semplici che non potrebbero essere definite, sono sp i egate tramite parole sinonime, quando queste sono meglio conosciute, oppure mostrandone l'oggetto. E con questi mezzi che si può 88 Probabilmente Leibniz allude al libro di J. Delvaux: Le m'derin dsoi-mélne rari de conserve,- la canti par Leiden. 1682. 3 59 far intendere a un contadino che cos'è il color foglia morta, dicendogli che è quello delle foglie secche che cadono in autunno. 15. I nomi dei modi composti devono essere spiegati mediante la definizione, poiché ciò è possibile. § 16. P, per questo che la morale è suscettibile di dimostrazione: l'uomo vi sarà considerato come un essere corporeo e razionale, senza darsi alcuna pena della figura esteriore. § 17. P infatti tramite le definizioni che gli argomenti di morale possono essere trattati chiaramente. E si farà prima a definire la giustizia secondo l'idea che se ne ha nello spirito, piuttosto che cercarne, come Aristide", un modello fuori di noi per foggiarla in conformità ad esso. 18. E poiché la maggior parte dei modi composti non esistono insieme in nessun luogo, non li si possono fissare che definendoli mediante l'enumerazione delle loro parti disperse. 19. Nelle sostanze vi sono ordinariamente alcune qualità direttrici o caratteristiche che noi consideriamo come l'idea più distintiva della specie, e ad esse supponiamo che siano associate le altre idee che formano l'idea complessa della specie. Tale è la figura nei vegetali e negli animali, e il colore nei corpi inanimati, e in certuni lo sono il colore e la figura insieme. Per questo (5 20) la definizione dell'uomo fornita da Platone è più caratteristica di quella di Aristotele, altrimenti non dovremmo far morire i parti mostruosi ". § 21. E sovente la vista serve quanto un altro esame; infatti persone abituate a esaminare l'oro, distinguono spesso alla vista il vero oro dal falso, quello puro da quello che è contraffatto. » TEOFILO. Senza dubbio tutto si riduce alle definizioni che possono arrivare fino alle idee primitive. Un medesimo soggetto può avere più definizioni, ma per sapere che esse convengono proprio ad esso, bisogna apprendere ciò per mezzo della ragione, dimostrando una definizione mediante l'altra, oppure per mezzo dell'esperienza, provando che esse vanno costantemente insieme. Per cíò che concerne la morale, una parte di essa è tutta fondata sulla ragione, ma ce n'è un'altra che dipende dalle esperienze, e si rapporta ai vari temperamenti. La figura e il colore, vale a dire quanto è visibile, ci forniscono le prime idee per conoscere le sostanze, poiché è in questo modo che si conoscono le cose da lontano. Ma tali idee sono ordinariamente troppo provvisorie, e nelle cose che ci interessano si cerca di conoscere la sostanza piú da vicino. Mi stupisco del resto che voi torniate ancora sulla definizione dell'uomo attribuita a Platone, dopo che avete appe- na detto voi stesso (5 20) che in morale si deve prendere l'uomo per un essere corporeo e razionale, senza darsi pena della figura esteriore. Per il restante è vero che una grande pratica contribuisce molto a far discernere alla vista ciò che altri potrebbero sapere a mala pena attraverso saggi difficili. E i medici di grande esperienza che hanno la vista e la memoria molto buone, sovente appena vedono il malato conoscono ciò che un altro medico riuscirà a fatica a cavargli, a furia di interrogarlo e tastargli il polso. In ogni caso comunque, è bene riunire insieme tutti gli indizi che si possono avere. 5 22. FILALETE. Riconosco che colui al quale un buon saggiatore farà conoscere tutte le qualità dell'oro, ne avrà una conoscenza migliore di quella che potrebbe dare la vista. « Ma se potessimo apprenderne la costituzione interna, il significato della parola oro sarebbe altrettanto facilmente determinato di quello della parola triangolo. » TEOFILO. Sarebbe altrettanto determinato e non vi sarebbe piú nulla di provvisorio, ma non sarebbe altrettanto facilmente determinato. Credo infatti che sarebbe necessaria una definizione un po' prolissa, per spiegare la struttura dell'oro, cosí come vi sono anche in geometria figure la cui definizione è lunga. FILALETE. « Gli spiriti separati dai corpi hanno senza dubbio conoscenze più perfette di noi, benché noi non possediamo alcuna nozione sul modo in cui essi possono acquisirle. Tuttavia, riguardo alla costituzione fondamentale dei corpi, potranno avere idee altrettanto chiare quanto quella che noi abbiamo di un triangolo. » TEOFILO. Ho già osservato, signore, che ho dei motivi per ritenere che non vi siano spiriti creati completamente separati dai corpi; tuttavia ve ne sono senza dubbio alcuni aventi organi e intelletto incomparabilmente piú perfetti dei nostri, superiori a noi in ogni sorta di comprensione, altrettanto e più di quanto Frenicle o quel ragazzo svedese di cui vi parlai superano gli uomini comuni nel calcolo dei numeri fatto a mente". FILALETE. Abbiamo già osservato che « le definizioni delle sostanze clic possono servire a spiegare i nomi, sono imperfette in rapporto alla conoscenza delle cose. Poiché ordinariamente mettiamo il nome al posto della cosa; dunque il nome dice di piú delle definizioni: per definire bene le sostanze bisogna quindi studiare la storia naturale. » " Per il riferimento ad Aristide cfr. Plutarco, Vite parallele, Aristide, III, 3-V, 1, 15. so Filalete allude alle definizioni cui si è accennato piú sopra, p. 333. 91 Si tratta di Bernard Frénicle de Bessy (1602-1675), matematico francese celebre al tempo di Leibniz per la capacità di risolvere, nell'ambito del calcolo numerico, le piú complicate operazioni con notevole rapidità. 340 341 Vedete dunque, signore, che il nome dell'oro significa non soltanto ciò che colui che lo pronuncia conosce dell'oro, per esempio: qualcosa di giallo molto pesante, ma anche ciò che egli non conosce, vale a dire un corpo dotato di una costituzione interna dalla quale deriva il colore e la pesantezza, e dalla quale nascono ancora altre proprietà, che egli ammette esser meglio conosciute dagli esperti. 5 25. FILALETE. « Ora, sarebbe da augurarsi che coloro che si applicano alle ricerche fisiche, volessero esporre le idee semplici nelle quali osservano che gli individui di ciascuna specie convengono costantemente. Ma per comporre un dizionario di questo tipo, che contenga, per rosi dire, la storia naturale, occorrerebbero troppe persone, troppo tempo, troppa fatica, e troppa sagacia, perché si possa mai sperare una tale opera. Sarebbe bene tuttavia accompagnare le parole con piccole incisioni per tutte quelle cose che si conoscono mediante la loro figura esteriore. Un simile dizionario servirebbe molto alla posterità risparmierebbe molta fatica ai critici futuri. Piccole figure come quella dell'appio (apium), di uno stambecco (ibex. una specie di capro selvatico) varrebbero pití che lunghe descrizioni di quella pianta e di quell'animale. E per conoscere ciò che i Latini chiamavano strigiles, e sistrum, tunica, toga, pallium„ delle figure in margine servirebbero incomparabilmente meglio dei pretesi sinonimi striglia, sistro, tunica, veste, manto che non le fanno conoscere'''. Per il restante non mi fermerò sul settimo rimedio circa gli abusi delle parole, che è quello di impiegare costantemente il medesimo termine nel medesimo senso, di avvertire quando lo si cambia: ne abbiamo infatti parlato abbastanza. » TEOFILO. Il reverendo padre Grimaldi", presidente del tribunale delle matematiche a Pechino, mi ha detto che i Cinesi hanno dizionari accompagnati da figure. C'è un piccolo glossario stampato a Norimberga" in cui vi sono figure molto buone per ciascuna paTEOFILO. rola. Un dizionario universale figurato sarebbe da auspicare, e non sarebbe troppo difficile da realizzare. Quanto alla descrizione delle specie, essa è appunto la storia naturale, e vi si lavora poco a poco. Senza le guerre (che hanno turbato l'Europa fin dalle prime fondazioni delle Società o Accademie reali), si sarebbe andati lontano e si sarebbe già in grado di profittare dei nostri lavori; ma i potenti per la maggior parte non ne conoscono l'importanza, né sanno di quali beni si privano trascurando il progresso delle solide conoscenze, oltre al fatto che di solito sono troppo distratti dai piaceri che offre loro la pace o dalle preoccupazioni della guerra, per considerare le cose che non colpiscono subito la loro attenzione. E n TI testo inglese (Saggio, 111, xi, 4 25) è sensibilmente diverso: Toga, tunica, pallium, are words easily translated by gown, coat, and cloak: but we havc thereby no more trite ldeas of the fashion of those habits amongst the Romans, than we have of the faces of the taylors who made them. Such things as thcse, which the Eye distinguishes by their shapes, would he best let finto the mind by draughts made of them, and more determina the signification of such words, than any other words set for them, or made use to define them ». 93 Lcihniz conobbe personalmente a Vienna il padre Grimaldi, gesuita, e intrattenne con lui uno scambio epistolare (cfr. ad esempio putens. V, p . 75 sgg-I. "4 Dovrebbe trattarsi del Wiirterbiichleiu Lateiniscly unti 'rettivi) mit (orla Figuren, Niirnberg, 1700. 343