Fuori dal Ghetto

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Fuori dal Ghetto
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ECONOMIE SOLIDALI
nella “capitanata” durante la raccolta i braccianti accampati sono anche 2mila
fuori dal ghetto
Case autocostruite in legno e paglia
per 400 migranti e 18 ettari da coltivare con pomodori bio. Che il commercio
equo trasformerà e distribuirà: la rivoluzione nel foggiano --- testo e foto di duccio facchini
Papa Latyr Faye (detto Herve) e
Mbaye Ndiaye sono due rivoluzionari: hanno deciso di liberare
400 persone, chiuse dentro un
ghetto, quello dell’agro di San
Severo (a quaranta chilometri
da Foggia). Quelle stesse persone che ogni estate diventano
2mila, affollando la zona della Capitanata per la stagione
della raccolta del pomodoro,
pronte a lavorare alle condizioni imposte dal caporalato
agricolo: senza servizi e senza
alcun diritto riconosciuto. Un
fenomeno che “costa” in termini di evasione contributiva
oltre 400 milioni di euro allo
Stato, e può contare su manodopera stracciata. Basti pensare alla presenza migrante tra
gli iscritti all’elenco anagrafico
dei lavoratori agricoli della
provincia di Foggia, passata
dai 5mila addetti e poco più
del 2006 agli oltre 20mila del
2013. La punta di una situazione ben più vasta.
Supportati da una fitta rete di
associazioni -da Libera all’Arci, dalla Federazione nazionale dei lavoratori dell’agroindustria (Flai) della Cgil di Foggia
alla cooperativa sociale Pietra
di scarto di Cerignola- Herve
e Mbaye, entrambi senegalesi, hanno concepito il loro
percorso di emancipazione,
pensando che per raggiungere
il loro obiettivo fosse necessario utilizzare due strumenti:
l’autocostruzione di un ecovillaggio e la coltivazione in
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--- Mbaye Ndaye con in mano una verza coltivata sui terreni dell’albergo diffuso di San Severo: ospita 36 migranti.
A pagina 21, il cartello all’ingresso della struttura: è dell’ex presidente del Burkina Faso Thomas Sankara --proprio del pomodoro, da
immettere poi sul mercato
grazie alla rete del commercio
equo e solidale.
Herve e Mbaye danno appuntamento ad Altreconomia
nel cortile del luogo dove tutto è cominciato: l’Art Village
di San Severo (artvillegesansevero.wordpress.com),
coordinato da Tonino D’Angelo,
che di mestiere fa il medico
igienista. Sorto come centro
di accoglienza della Asl di
Foggia, l’Art Village è uno
spazio diffuso su un ettaro che
unisce l’attività di un presidio
Asl a diversi progetti di inclusione sociale e accoglienza: da
una sala prove a un laborato-
rio sartoriale, fino a lezioni di
autocostruzione. “Il modello da cui è nato è quello del
Gruppo Abele di Luigi Ciotti
o l’esperienza di Don Gallo
-racconta D’Angelo-. Cinque
anni fa un gruppo di giovani
ha coniato lo slogan ‘restare
per cambiare, cambiare per
restare’ e ha deciso di rimanere sul territorio, dando vita ad
esperienze teatrali, musicali,
cinematografiche”. Tutte attività ad accesso gratuito, per un
“servizio Asl un po’ anomalo”,
sorride D’Angelo, che formalmente è “dirigente della struttura”. Nello spiazzo intitolato
“Piazza costruttori di pace”
c’è un fabbricato in legno. È
un pezzo della rivoluzione di
Herve e Mbaye. “L’abbiamo
costruita noi -rivendicano-.
Questa è la casa nata contro il
caporalato”, esordisce Mbaye
mentre mostra l’interno della
struttura la cui realizzazione è
costata poco meno di 6mila
euro. Denaro che, come racconta Tonino D’Angelo, era
stato destinato all’Art Village dal ministero dell’Interno
nell’ambito di un progetto
sociale sotto la voce “cancelleria”. Mbaye ripercorre i passaggi: “Quando siamo andati
al ghetto, dove abbiamo visto
che gli africani vivevano nelle
baracche e la dignità nera era
calpestata, ci siamo immaginati questo progetto di autocostruzione, autosufficienza
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LA RIVOLUZIONE SOLIDALE DI SAN SEVERO
RACCONTATA DAI PROTAGONISTI NEL VIDEO
PUBBLICATO SUL NOSTRO CANALE YOUTUBE
altreconomia.it/VIDEO/GHETTOUT
alimentare e di trasporto autogestito”.
Il 25 luglio 2013 è il giorno
che rappresenta, per lui e altri, l’ottenimento di un posto
letto all’albergo diffuso di
San Severo, che è una delle
tre strutture regionali messa
a disposizione per “immigrati
stagionali” dalla Regione nel
2007 (gli altri due sono a Foggia e a Cerignola). Secondo
l’amministrazione comunale di San Severo, la struttura
appena ultimata sarebbe stata
“pronta a soddisfare le esigenze di lavoratori immigrati stagionali presenti nel territorio
dell’Alto Tavoliere”. Il punto,
però, è che i posti letto messi
a disposizione in quella che
Mbaye ed Herve hanno intitolato “casa Sankarà” (in
memoria dell’ex presidente
del Burkina Faso ucciso durante un colpo di Stato il 15
ottobre 1987), e che occupa
tre fabbricati, per 380 metri
quadrati complessivi, sono
36. Pochi per rispondere alle
esigenze di 400 persone, pensando solo agli stanziali del
ghetto.
Pietra di scarto di Cerignola
(www.pietradiscarto.it), che
gestisce una bottega del commercio equo e solidale ed è
attiva su un bene confiscato
alla criminalità organizzata a
Cerignola, dove produce olive
da tavola e verdure. Secondo
Calamita, sui 27mila ettari di
superficie destinata a pomodoro nel 2013 nella Capitanata avrebbero lavorato oltre
15mila migranti. A queste
condizioni: 3,5 euro per ogni
cassone da tre quintali riempito. Sfruttamento continuo
che vede il caporale ottenere
una “commissione” per il trasporto, l’affitto, i pasti, le ricariche telefoniche; un furto al
netto del quale al singolo lavoratore schiavizzato restano
in tasca qualcosa come 400 o
al massimo 500 euro per due
mesi di lavoro.
All’ingresso dell’albergo diffuso ci sono due palazzine,
una del Consorzio di bonifica di Foggia e l’altra in capo
all’assessorato
regionale
all’Agricoltura. “I terreni sono
della Regione Puglia, la quale investe per acqua e servizi
poco più di 20mila euro ogni
sei mesi, per portare acqua e
luce ai tre fabbricati che costituiscono l’albergo diffuso”,
spiega D’Angelo. Nulla, se
confrontato al milione di euro
speso ogni anno per portare
acqua (in piccole cisterne) e
bagni chimici ai reclusi delle baracche del ghetto, come
spiega ad Ae l’assessore regionale alle Politiche giovanili e
con delega all’immigrazione,
Guglielmo Minervini.
L’assessore rappresenta l’interlocutore privilegiato della rete costituitasi attorno
all’idea di Herve e Mbaye.
Dal settembre 2013, infatti,
sul tavolo della Regione c’è il
progetto, con annessa richiesta di concessione dei 20 ettari di terreni che circondano
l’albergo diffuso di San Severo. “Non c’è ombra di dubbio
che gestire l’emergenza costi
di più che risolvere i problemi -racconta Minervini al
telefono-. La Puglia e il ghetto sono incompatibili -prosegue- ed è per questo che
quando la proposta ci è stata
formalizzata abbiamo lavorato per dare gambe al progetto:
sia per quel che riguarda le risorse finanziarie per affrontare la sfida, sia per garantire la
copertura amministrativa necessaria per accedere a questo
pezzo di patrimonio pubblico
regionale. Le risorse finanziarie sono state allocate all’interno di due bandi pubblicati
all’inizio del 2014 (300mila e
200mila euro rispettivamente). Dall’altra parte è in corso
un tavolo interassessorile per
poter mettere a disposizione i
suoli e gli immobili”.
“Com’è possibile che si possano utilizzare dei beni confiscati alla mafia -si chiede
Tonino D’Angelo-, e ci si
trovi a faticare ancor di più a
valorizzare dei beni pubblici
congelati da quarant’anni?”.
Poco prima dei terreni al centro del progetto di riscatto
È anche a partire da questo
punto che la “lotta”, come sostiene Herve, è entrata nella
fase più matura. “Due anni
fa -racconta dall’interno del
prototipo di alloggio autocostruito- abbiamo deciso di
andare oltre la denuncia delle
condizioni del ghetto e fare
delle proposte, portare delle
soluzioni”. E se l’Art Village
è l’origine, l’albergo diffuso di
San Severo è la meta.
Herve, Tonino e Mbaye fanno strada, seguiti dal segretario generale della Flai-Cgil
di Foggia, Daniele Calamita, e
da Pietro Fragasso, presidente della cooperativa sociale
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ECONOMIE SOLIDALI
è il numero delle case che verranno autocostruite sui
terreni dell’albergo diffuso di san severo, nel foggiano
dal ghetto c’è un cartello, una
citazione di Thomas Sankarà:
“Lo schiavo che non prende
la decisione di lottare per liberarsi si merita completamente
le sue catene”. Herve e gli altri
ne hanno mutuato lo spirito,
appendendo agli ingressi degli stabili una “comunicazione informativa”: “Non è più
permesso agli amici di tornare
al ghetto per motivi che non
fanno parte del piano di lotta
al caporalato e allo sfruttamento degli migranti. Chiunque non segue la regola sarà
immediatamente allontanato.
I referenti”.
“La nostra idea è che 18 ettari su 20 vengano destinati
all’agricoltura”, spiega Mbaye,
al fine di poter garantire l’autosufficienza alimentare degli
abitanti del centro. Non solo,
tramite la commercializzazione, la cooperativa che hanno
fondato raggiungerebbe anche l’emancipazione economica. Gli ettari che restano
dovrebbero accogliere inizial-
mente almeno 116 case identiche a quella “pilota” realizzata all’Art Village, progettate
grazie al contributo dell’architetto Leonardo Giustizia, in
modo tale da assorbire almeno
la popolazione stanziale che si
trova nell’agro di San Severo.
I materiali sono semplici -legno e paglia- e le istruzioni
costruttive sono state condivise grazie al percorso ad hoc
avviato all’Art Village.
Discorso diverso è quello per i
lavoratori stagionali, che contribuiscono a far quintuplicare il numero degli abitanti del
ghetto in agro di San Severo
durante la stagione della raccolta del pomodoro. L’assessore Minervini l’ha ben presente: “Stiamo lavorando per
costruire risposte miste, fondate sull’irrobustimento sulla
capacità di accoglienza più
degne. Vogliamo coinvolgere
le imprese in una doppia sfida,
che passa per il superamento
dello schiavismo e del caporalato, tramite un bollino di eti-
cità riconosciuto e incentivato,
e sull’accoglienza all’interno
delle stesse aziende di una
quota di lavoratori. Questo ci
consentirebbe un’ospitalità distribuita e non concentrata”.
“Se non facciamo l’agricoltura -dice Herve all’ingresso di
uno dei tre fabbricati, che è
intitolato alle storiche battaglie del sindacalista Giuseppe
Di Vittorio, che a Cerignola
era nato- significa che abbiamo parlato per niente”. A
prova della loro capacità c’è un
fazzoletto di terra coltivato in
maniera sinergica che rifornisce di insalata, verza e carote le 30 persone che vivono
nell’albergo diffuso.
Chi si occuperà della trasformazione e della commercializzazione del pomodoro,
che sarà biologico e solidale,
coltivato dagli abitanti dell’albergo diffuso e del futuro
eco-villagio sarà il consorzio
Altromercato (www.altromercato.it). La fase iniziale vedrà
coinvolti 2 dei 18 ettari desti-
nati all’agricoltura. Il pomodoro sarà condotto presso un
trasformatore di Bari con il
quale il Consorzio opera già
da tempo. Dopodiché sarà
messo in commercio in passata (13mila pezzi all’anno) e
pelati (7mila) presso le botteghe del mondo. Sull’etichetta
sarà scritto “Solidale italiano
Altromercato”.
Dentro lo stabile Di Vittorio,
intanto, gli ospiti dell’albergo
diffuso hanno raccolto una
documentata rassegna stampa sullo “sconcerto”, “indignazione”, “vergogna”, “emergenza”, suscitati ogni agosto
dalla vista delle condizioni dei
braccianti. Dopo la rivolta di
Rosarno (gennaio 2010), lo
stesso presidente della Repubblica Giorgio Napolitano
aveva chiesto di “non mortificare il lavoro”. Un appello
che non ha cambiato la vita
di Nadine, camerunese: “Lei
è molto importante per noi”,
confessa Mbaye, perché ha
deciso di liberarsi dal ghetto e
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di condurre altre donne lungo
lo stesso percorso. Prima di riuscire a raggiungere l’albergo
diffuso, Nadine ha trascorso
un anno e otto mesi al ghetto,
che da qui dista solo tre chilometri.
La strada per raggiungerlo
attraversa la campagna, tra
casolari diroccati circondati da spazzatura e parentesi
ordinate di ulivi. È facile incrociare i primi migranti a
piedi o in bicicletta, poggiati
su cassoni vuoti a lato dei terreni agricoli. La condizione
di “irregolarità” li fa sfuggire
al dato nazionale riferito allo
scorso anno -dossier Caritas
Migrantes- che pone al 13%
la quota di inserimento dei lavoratori stranieri sul totale dei
lavoratori agricoli nel nostro
Paese. La lingua di baracche
del ghetto -cui ha fatto visita
persino un ambulatorio mobile di Emergency- si presenta
come un orizzonte piatto, con
le pale eoliche a far da sfondo.
Piove da giorni e sulle “case”
--- Tonino D’Angelo mostra il fabbricato in legno autocostruito destinato ad accogliere gli stanziali: ne saranno realizzati
116. Sotto, il ghetto nell’Agro di San Severo: ospita 400 persone, che diventano 2mila durante la stagione della raccolta --fatte di scheletri di travi in
legno e cartoni sono distesi
teli di plastica tenuti insieme
da alcuni elastici. Fango, biciclette, qualche automobile.
Ci sono un bar, una panineria kebab e persino una radio
(“Radioghetto”). Il furgone
bianco guidato da Mbaye si
ferma nei pressi dell’alloggio
di Omar, un ragazzo del Benin
giunto in Italia dopo l’esplosione della guerra in Libia
(inizio 2011). È il simbolo
dei ragazzi della “casa Sankarà” di San Severo, perché ha
tenuto le chiavi della gabbia
del ghetto con sé, senza però
più viverci. È un avamposto
in vista dell’emancipazione.
Dieci metri quadrati pagati
400 euro dove ha vissuto per 7
mesi, dopo due anni di sistemazione in hotel per richiedenti asilo. “Terminati i due
anni ho saputo del ghetto. Ci
sono venuto perché ero senza
soldi”, prosegue il padrone di
casa, che ha lavorato in campagna. Il pavimento è coperto
di vecchi manifesti elettorali,
perché sotto c’è terra bagnata. Mbaye è radicale: “Questa è un’emergenza continua.
So che è difficile da dire, ma
io qui non porterei più neanche una goccia d’acqua”,
dice mentre ancora una volta
riflette sui costi pubblici esorbitanti legati al mantenimento del ghetto. Chi vive ancora
qui, invece, è Kader, giovanis-
simo fratello di Omar. Cipolle, melanzane e una “vita di
merda” lo costringono -dato il
tempo e la stagione- ad aspettare l’estate.
L’ultima, secondo Mbaye ed
Herve: “L’abbiamo detto sia
al Prefetto di Foggia sia all’assessore Minervini: se entro
quest’anno il ghetto non sarà
superato, organizzeremo una
camminata silenziosa che
porterà i nostri compagni fino
all’albergo diffuso di San Severo, occupando, se occorre, le
palazzine bloccate, per chiedere che la situazione venga
risolta”. ---