Il Poeta di immagini e la Tonda

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Il Poeta di immagini e la Tonda
Francesco Pellizzari
Michele Provinciali
ro
Eu
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il Poeta di Immagini e la Tonda
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pag. 2 Michele Provinciali, “Il segno della Tonda”
o “Nuvola” o “Fumetto”, © IFI S.p.A., 2008
6 Michele Provinciali, “L' uccello e il pesce”
o “La colomba e il pesce”, © IFI S.p.A., 2008
8 Michele Provinciali, “Il dirigibile e la nave vichinga”
o “La barca e il dirigibile”, © IFI S.p.A., 2008
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Michele Provinciali, “I fiori d’acqua”, © IFI S.p.A., 2008
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Michele Provinciali, “Leggio con prove colori”, © IFI S.p.A., 2008
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Michele Provinciali, “Kiki con la T”, © IFI S.p.A., 2008
20 Michele Provinciali, “La tavolozza dei gelati”, © IFI S.p.A., 2008
22 Michele Provinciali, “Documenti”, © IFI S.p.A., 2008
24 Michele Provinciali, “Ensemble”, © IFI S.p.A., 2008
26 Michele Provinciali, “I gessetti”, 1977
28 Michele Provinciali, “Le saponette”, 1985
30 Michele Provinciali, “Il bucato di cenere” o “Le mollette”, 1979
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Michele Provinciali, “I tappi di champagne”, 1961
36 Michele Provinciali, “Bastoncini per gelato” o “Gli stecchini”, 1975
«Allora... arrivederci e grazie per l’opportunità che ci ha
offerto».
«Grazie a voi per il lavoro fatto, vi richiamerò entro qualche
giorno, voglio riflettere un po’».
In pochi minuti i due rappresentanti dell’agenzia se ne andarono
e anche Canale, il direttore commerciale, lasciò la sala riunioni
chiamato dalle solite urgenze operative.
Tonti, rimasto solo, riprese in mano la bozza del catalogo,
la sfogliò lentamente. Assorto, ripercorreva pagina dopo pagina,
provava ad interpretare la sensazione che dava al lettore, cercava
di capire il messaggio che veicolava sulla Tonda e sulla IFI. Si
immaginò il catalogo in mano ai nuovi clienti, ai rappresentanti
oppure distribuito nelle riunioni e nelle fiere. Alla fine dovette
ammettere che non ne era completamente soddisfatto. Era un
lavoro ‘ben fatto’, professionalmente corretto, difficile da criticare
con motivazioni razionali; tuttavia non era contento fino in fondo.
Nonostante l’urgenza, avrebbe dovuto riparlarne con l’agenzia;
non poteva approvare una cosa che, per lui, non era a posto. La
segretaria bussò due volte, prima di riuscire a scuotere Tonti dalle
sue riflessioni.
«Ragioniere... mi scusi... ma c’è quella persona che aspetta da
più di mezz’ora, è nel salottino vicino alla direzione. Gli ho già
portato due caffè...».
«Ah sì... certo, certo... arrivo subito. Per favore, mi metta
questo catalogo sulla scrivania che io vado subito nel salottino».
Erano le sette e mezza passate quando Tonti riuscì a tornare
nel suo ufficio per raccogliere dei documenti che il giorno dopo
gli sarebbero serviti per l’incontro con il direttore della banca.
Inevitabilmente, l’occhio si posò sul catalogo che, con tutte quelle
cose che aveva dovuto fare, gli era uscito dalla testa. Si fermò un
attimo e decise di metterselo in borsa, magari lo avrebbe sfogliato
dopo cena, in tranquillità.
Così fece, ma ciò non lo tranquillizzò affatto. Anzi, le sue
perplessità aumentarono, in quel catalogo non c’era l’anima che la
Tonda aveva in sé e meritava. Per la Tonda lui voleva qualcosa
di più, qualcosa di speciale che dichiarasse al mondo la novità del
prodotto, la sua differente qualità, che esprimesse quel ‘qualcosa
in più’ che lui sentiva e che non riusciva ad esternare. E voleva
farlo anche per la IFI, l’azienda alla quale aveva dedicato tutta la
sua vita. Voleva lasciare alla IFI un segno memorabile, un’orma
indelebile della sua direzione. Si ricordò dei vecchi tempi, quando
l’azienda era una cosa famigliare, artigianale, modesta. Ora non
era più così, la IFI era un’industria, anzi un gruppo industriale
che fatturava quasi cento milioni di euro, che aveva centinaia di
dipendenti, migliaia di clienti. La IFI era una realtà importante
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e, proprio per questo, doveva trovare un posizionamento di mercato
coerente alle sue dimensioni industriali. L’azienda doveva cambiare
passo, crescere culturalmente, allargare i propri orizzonti e aveva
concepito la Tonda esattamente per questo scopo.
Sulla poltrona, alla luce della vecchia lampada liberty, venne
preso da una sorta di rabbia, da un furore interiore perché non
riusciva a dare corpo a ciò che aveva dentro; per lui, la Tonda non
era solo un nuovo prodotto, era molto di più. Quanti sforzi di
immaginazione e di impegno tecnico erano stati profusi nei cinque
anni precedenti per farla nascere! Si ricordò dei primi incontri
con Makio Hasuike, il noto designer giapponese ingaggiato al
fine di assicurarsi una professionalità certa. E quante discussioni
aveva dovuto sostenere con i tecnici che gli dicevano che “con quella
forma” non si può fare, che era impossibile, troppo difficile e anche
troppo costoso. Poi aveva dovuto combattere contro lo scetticismo
di chi si fida del “si è sempre fatto così” e contro le perplessità dei
commerciali che mettono sempre in primo luogo quella che loro
chiamano vendibilità.
«Ah! la vendibilità!... una gran giustificazione per essere sempre
al seguito dei clienti». Invece con la Tonda lui voleva portare la IFI
più avanti del mercato, voleva proporre qualcosa di mai visto!
Questi pensieri rinfocolavano l’irrequietezza che da qualche
ora allignava alla bocca dello stomaco.
Non dormì bene, si girò e rigirò nel letto più volte, dispiaciuto
di dare fastidio alla moglie. Si alzò alle sei e mezza con una
brutta faccia, segnata dal nervosismo della notte.
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Riuscì a trattenersi fino alle sette e trentuno, poi chiamò
Tonucci.
Non si dilungò in preamboli e in scuse per l’orario, entrò subito
in argomento: «Tonucci, mi dispiace, ma quel catalogo non va,
voglio qualcosa di più per la Tonda... sì, sono d’accordo, non ha
grandi difetti ma la Tonda merita qualcosa di eccezionale. Ci
ho pensato e ripensato; non so ancora bene cosa voglio, ma so che
il catalogo presentato non dice nulla di quello che è la Tonda.
L’agenzia ha fatto un bel compitino diligente e corretto... non va
bene, sento che vi è una sorta di incongruenza. Non so se mi spiego
e se mi capisce, ma io voglio una cosa speciale».
Tonucci, ancora assonnato, non si rese subito conto dell’urgenza
di Tonti. Farfugliò qualche parola di replica, riuscì solo a dire
che quell’agenzia era la migliore sulla piazza. Ma quando sentì
Tonti che lo interrompeva dicendo: «Mi deve aiutare a trovare
un’alternativa, costi quel che costi», capì che stava annaspando in
un’inutile difesa di un lavoro di fatto già respinto. Allora tentò
l’unica carta che avrebbe potuto funzionare: «Beh... qui a Pesaro
c’è un personaggio straordinario, uno che ha avuto un grande
ruolo nel graphic design italiano e che ha formato decine e decine
di giovani all’ISIA. Uno davvero bravo».
«Benissimo! Come si chiama?».
«Michele Provinciali» disse Tonucci, lasciandosi anche scappare
un: «solo che...».
«Solo che? Che c’è?».
«Ehm, diciamo che è un po’ avanti negli anni, ha qualche
acciacco e non so se è disponibile a sostenere un compito così
impegnativo. Certo è che lui, se fosse più giovane, ci risolverebbe
il problema...».
«Suvvia, non è che noi siamo di primo pelo. Quanti anni
ha?».
«Ottantasei».
Tonti rimase interdetto: «Però!» riuscì a dire; ma subito gli
venne in mente Cardinali, il suo maestro e mentore che di anni ne
aveva novantanove ed era più lucido e avanti di tanti più giovani
e ben più bolsi di lui.
«A Pesaro l’aria è buona, viene dal monte e dal mare, qui ci si
mantiene bene, incontriamolo! Per la Tonda voglio un team fuori
dall’ordinario e, con una persona di quell’età, siamo già a un bel
punto. Lo contatti e cerchi di convincerlo, almeno per un incontro
di conoscenza».
«Ci provo, ma non le garantisco nulla... Provinciali ha un bel
caratterino... non facilissimo. Speriamo in bene».
Tonucci fece un buon lavoro di preparazione. Infatti, dopo
qualche giorno, Tonti vide arrivare il ‘grande vecchio’ nel suo
ufficio, accompagnato da Mauro Filippini, suo insostituibile
collaboratore. Si trovò al cospetto di un uomo con gli inevitabili
acciacchi di una vita vissuta pienamente, che camminava con
difficoltà appoggiandosi ad un bastone, sostenuto anche da
Mauro. Portava occhiali con spesse lenti che gli ingrandivano gli
occhi chiari.
Tonti si sentì imbarazzato e un po’ colpevole di fronte a quelle
fragilità senili. Gli andò incontro pieno di rispettosa premura.
Al primo contatto di mano, incrociò uno sguardo diretto, pulito
e avvertì immediatamente la fierezza di uno spirito forte,
testimonianza delle vaste esperienze fatte.
Pochi minuti e qualche frase bastarono per dissolvere l’imbarazzo
e aumentare il rispetto.
Andarono in stabilimento per conoscere la Tonda ‘di persona’.
Le domande, le curiosità, i commenti di Provinciali fecero
presto capire a Tonti che quel signore, che veniva da così lontano
nel tempo, era lì, assolutamente presente e vigile, con una sensibilità
raffinata e una lucidità di giudizio straordinaria.
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Notò gli occhi dell’artista agili e curiosi come i pensieri che
vi fluivano dietro. Quell’uomo, così diverso dai professionisti
incontrati fino a quel momento, e così colmo di vissuto e di cultura,
aveva certamente qualcosa da dire. E divenne ottimista.
Al termine della presentazione Filippini chiese delle foto della
Tonda.
Provinciali si fermò su una foto ripresa dall’alto, le vaschette
piene di gelato di vari gusti viste in pianta creavano spicchi
variopinti entro il cerchio perimetrale della macchina.
«Guarda Mauro, sembra proprio una tavolozza di colori. I
colori del gelato...».
«I colori della Tonda...» replicò Filippini.
Allora Tonti si rivolse a Provinciali dicendo: «Professore, credo
proprio che lei sia la persona giusta e spero che ci possa aiutare
nel mettere a punto una brochure, un manifesto, un catalogo...
insomma la comunicazione della Tonda. Da parte nostra faremo
di tutto per agevolarle il compito».
Dopo due ore di riunione Michele Provinciali era stanco, tutte
quelle informazioni lo avevano un po’ affaticato ed era anche
inutile continuare a parlare perché aveva già deciso: avrebbe
accettato l’incarico. Era vitalizzato dalla nuova sfida. Guardò
Mauro Filippini, si sentì rassicurato: come sempre, gli avrebbe
fatto da scudo.
«Va bene, ci proviamo» disse, per poi subito continuare: «Ma
ora basta, scusate voglio tornare a casa a riposare».
Il suo tono era definitivo.
Nei giorni seguenti, Provinciali e Filippini si misero al
lavoro, rividero le foto della Tonda, lessero le specifiche tecniche,
analizzarono gli schizzi di Makio Hasuike; Mauro mostrò anche
il sito web della IFI a Michele.
Si trovavano a casa del Maestro e parlavano, facevano ipotesi,
discutevano su ciò che intuivano sul catalogo o sul manifesto. Il
loro lavoro era interrotto da frequenti telefonate di Tonucci e di
Canale che aggiungevano dettagli, esprimevano nuove necessità,
indicavano ulteriori obiettivi.
Sul momento, queste telefonate sembravano di aiuto perché,
nelle loro intenzioni, chiarivano un certo aspetto o un punto
apparentemente importante. In realtà non aiutavano affatto.
Appena i due creativi supponevano di aver inquadrato meglio
il problema, arrivava un’altra telefonata che per qualche aspetto
contraddiceva la precedente oppure aggiungeva una richiesta
diversa; tutto nel tentativo di “chiarire le esigenze e gli obiettivi”.
Dopo qualche tempo si trovarono un po’ frastornati.
Oscillavano fra questioni molto concrete come: “di che misura
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sarà il manifesto?”, a questioni più generali quali: “come sarà la
strategia di comunicazione?”.
Provinciali ad un certo punto domandò: «Ma cosa dobbiamo
comunicare? Che obiettivo vero abbiamo?».
Rimase senza risposta da Filippini e ebbe troppe risposte dalla
IFI.
Tonucci si accorse della confusione e chiese un colloquio a Tonti
e Canale nel tentativo di mettere a fuoco i problemi una volta
per tutte. Al termine della riunione si ritrovò con una lista di
obiettivi ed esigenze che oggettivamente erano sensati, opportuni,
aziendalmente validi ma non diversi da quelli che conosceva già.
Non disse nulla di nuovo ai due.
Il disagio di Provinciali intanto aumentava; non riusciva a
liberare le idee che erano come imprigionate dalla ridondanza
di informazioni. E Mauro Filippini non sapeva come aiutarlo.
La lunga esperienza di collaborazione gli aveva insegnato che le
prime fasi di un nuovo progetto contenevano inevitabilmente prove,
rifacimenti, ripartenze e qualche convulsione perché Provinciali
metteva sempre in gioco l’intimo, la sensibilità più profonda. Tutto
ciò montava in uno stato emotivo quasi spasmodico prima della
catarsi della soluzione. Sempre, nei casi precedenti, gli iniziali
tentativi, bene o male, si collocavano nell’alveo di una direzione
che, per quanto generica, tendeva ad un obiettivo consapevole. Un
po’ come quando, persa la strada, si sa che, almeno, si deve puntare
a nord piuttosto che a ovest. E loro non avevano ancora capito se
dovevano andare a nord o a ovest e, in più, erano senza bussola!
Imboccavano strade casuali che non consentivano di capitalizzare
gli errori commessi; così ricominciavano sempre daccapo e senza
successo in una tensione crescente che sfiorava una sensazione di
impotenza.
Michele Provinciali si sentiva sfinito, la sua dedizione
all’ideazione era egoista e assoluta, la sua tensione creativa avida e
ingorda, e in quel progetto per la Tonda, ancora senza orientamento,
stava consumando tutte le energie che gli rimanevano.
Quella sera faceva freddo, si sentiva quasi debilitato e non aveva
nemmeno voglia di mangiare.
«Lucetta, cara, non ho fame, vorrei coricarmi subito e magari
leggere un po’ prima di addormentarmi» annunciò alla moglie.
Lei, dolcissima, sorrise: «Anch’io non ho appetito. Vai pure
tranquillo, ti raggiungo fra poco».
Lui la guardò con gli occhioni ingigantiti, pieni di tenerezza.
Si soffermò sul suo viso. Lucetta aveva perso lo splendore della
gioventù ma non l’eleganza dei tratti e Michele fu preso da una
stretta al cuore notando che la sua Lucetta stava perdendo colore.
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Lui viveva intimamente il colore, aveva una sensibilità cromatica
leggendaria e la sottile patina che offuscava la luce di sua moglie, e
che forse solo lui riusciva a vedere, lo spaventava nel profondo.
A letto, riprese il libro che suo figlio Federico gli aveva appena
regalato. Era un romanzo speciale, scritto da Francesco Pellizzari,
un vecchio amico.
Michele si era appassionato alla storia. Apprezzava soprattutto
la descrizione dei personaggi costruita su una combinazione
efficace di dettagli e sintesi. Ed era anche sorpreso nello scoprire
la vena narrativa di Francesco, che lui aveva conosciuto solo come
consulente di strategia aziendale.
Era in un punto particolarmente coinvolgente del romanzo e
un pensiero che da qualche tempo gli aleggiava nella mente si
concretizzò in tutta la sua chiarezza: Francesco era la persona
che mancava per la Tonda, il coordinatore di cui il progetto aveva
bisogno per coagulare gli sforzi di tutti e dare un indirizzo sia alla
strategia della IFI che ai creativi.
Chiamò il figlio Federico a Milano quella sera stessa.
«Federico, pensi che Francesco possa essere interessato a lavorare
nel progetto IFI? Può darci una mano secondo te?».
Dall’altro capo del filo Federico sorrise: «Non ho dubbi, non
conosco nessun altro che possa svolgere il ruolo che hai in mente.
Francesco va benissimo e se glielo chiedi tu accetterà subito», lo
confortò il figlio.
Così Provinciali parlò di Pellizzari a Tonucci che poi ne parlò
a Tonti.
«Un’altra persona per il catalogo? Come mai? Non bastate?
Siete già in tre!» domandò Tonti a Tonucci. Non capiva la
nuova richiesta: «Chi era questo Pellizzari? Perché era tanto
indispensabile? Solo perché aveva scritto un romanzo che era
piaciuto a Provinciali?».
Si chiese se non si stava mettendo in un circolo vizioso...
Canale, scettico di natura, aggiungeva ulteriori perplessità.
«Un altro consulente? E quanto ci costa?» chiese mettendo in
risalto una sana preoccupazione per i costi aziendali.
Ma Provinciali aveva messo sul piatto tutto il suo peso e li
costrinse a convincersi.
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Così anche Pellizzari entrò nel progetto Tonda... a fare che?...
non era ben chiaro a nessuno; nemmeno a lui. Era partito per
Pesaro solo perché lo aveva chiamato Michele. Al telefono infatti
non aveva capito la sua utilità nel ‘fare un catalogo’ di una
gelatiera. Tuttavia, le sue perplessità non avevano annullato la
curiosità: troppe volte nella sua vita professionale aveva visto che
inizi improbabili avevano portato a risultati esaltanti.
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Tonti, Canale e Tonucci furono costretti a ripetere per l’ennesima
volta a Pellizzari il rituale della presentazione della Tonda. Tonti
spiegò il valore strategico del prodotto e la necessità di predisporre
uno o più strumenti per una campagna di comunicazione. Fino a
quel momento non erano soddisfatti perché “non erano riusciti a
far ben capire la Tonda”.
Pellizzari annotò mentalmente tutto: la Tonda, l’azienda,
l’entusiasmo di Tonti e l’approccio disincantato e pragmatico di
Canale.
Intuiva che c’erano delle perplessità su di lui. Non se la prese,
comprendeva la loro cautela: che poteva fare un consulente milanese,
romanziere dilettante, per il catalogo della Tonda?
All’una andarono in un ottimo ristorante di Pesaro. Un buon
pranzo rappresentava l’occasione più propizia per approfondire la
reciproca conoscenza.
Pellizzari non chiese ulteriori dettagli tecnici sulla Tonda,
indagò invece sulla storia della IFI e su quella personale di Tonti
e Canale. Vista la loro disponibilità ad aprirsi, Pellizzari cercò
di capire la filosofia aziendale, i valori forti che informavano
l’imprenditore e il manager.
Constatò che Tonti era molto orgoglioso della IFI, soprattutto
per il lato umano.
«Vede Pellizzari» disse a un certo punto Tonti, «la cosa che
mi fa più piacere è il rapporto con le maestranze e i collaboratori.
Alla IFI non ci sono scioperi, non ci sono conflitti; prevale sempre
un clima di collaborazione, di solidarietà, pur nei diversi ruoli e
nelle diverse responsabilità. Ciò ci rafforza, ci illumina verso nuovi
traguardi. Alla base del lavoro ci deve essere sempre il rispetto per
la persona, il tentativo onesto di confrontarsi in modo pulito al fine
di avere un’azienda, che è il bene comune, sempre sana e viva, in
grado di garantire un futuro di dignità a tutti».
Era chiaro che Tonti credeva profondamente a quelle parole,
aveva smesso di mangiare e perfino il volto da ‘brava persona’
trasmetteva i suoi valori in tutte le espressioni.
«Questa è la lezione più importante che mi ha inculcato il
vecchio Cardinali. Certo l’intelligenza, la competenza, il mestiere,
l’accettazione del rischio sono fondamentali ma essi possono
germinare solo se vi è il rispetto per tutti i collaboratori, i fornitori,
i clienti. Il lato umano e perfino l’affetto per l’azienda, per i colleghi
e i collaboratori è essenziale in IFI. E io sono convinto che questa
sia la nostra vera forza».
Fece un breve pausa, poi, quasi scuotendosi da un sogno,
aggiunse: «E a me piace così, per questo sono qui a lavorare con
l’entusiasmo del primo giorno dopo più di quarant’anni».
Pellizzari, a sua volta, raccontò della sua passione per la
scrittura e per i viaggi, oltre a citare aneddoti della sua vita
professionale. Al caffè si era instaurato un inatteso senso di
collaborazione e tutti si sentivano più rassicurati. Nel lasciarsi,
Tonti regalò a Pellizzari un libro sulla vita di Cardinali.
Pellizzari si era convinto che quello avrebbe potuto essere un
progetto interessante, e prese l’impegno di mandare una nota per
loro e per i creativi.
In macchina, durante il lungo e solitario viaggio autostradale,
Pellizzari ripensò alla Tonda, alle persone che aveva incontrato, al
gruppo IFI. Era di fronte ad un tipico caso di imprenditorialità
geniale nelle idee, concreta nel fare e piena di umanità, dove
tutti, a cominciare dall’imprenditore fino all’ultimo operaio
extracomunitario, si sentivano ‘lavoratori’. Un’azienda
‘all’italiana’, dunque, con pregi straordinari ma anche con i difetti
che quei pregi portano con sé.
Poi pensò a Provinciali, alle sue caratteristiche umane e
professionali, ai tratti della sua creatività. Analizzò mentalmente
la Tonda e cominciò ad elencarne plus e minus seguendo una
metodologia collaudata. Si accorse presto che i dettami classici
del marketing management non avrebbero funzionato in quel
caso. Riformulò il problema considerandolo nella sua globalità,
bisognava ‘mettere assieme’ un’impresa ‘all’italiana’, un grafico
geniale e un prodotto innovativo che, al di là delle prestazioni
tecniche, aveva soprattutto ‘personalità’ a cominciare dal nome
stesso: “Tonda”.
«Macché catalogo o manifesto» pensò, «qui bisogna trovare
qualcosa di unificante, di essenziale nel quale tutti si riconoscano
e si identifichino».
Concluse che quello su cui stava lavorando era un problema di
‘identità’ prima ancora che di comunicazione. Innanzitutto, doveva
agevolare il compito di Provinciali decodificando, sistematizzando
e dando priorità alle informazioni ottenute dalla IFI, usando il
linguaggio a lui comprensibile. Tutto si sarebbe risolto se fosse
riuscito a focalizzare Michele verso un unico, preciso obiettivo.
Preparò il brief e lo inviò via mail un paio di giorni dopo.
Queste erano le frasi fondamentali:
La Tonda è un prodotto di grande personalità, in grado di
connotare profondamente l’ambiente in cui viene posta. La
personalità è decisamente la caratteristica distintiva del prodotto.
La mia idea è che sia indispensabile trovare un ‘segno’, un
‘pattern grafico’, un ‘quasi-marchio’ che incorpori, sintetizzi e
metta in evidenza la personalità della Tonda. Anzi, che diventi
esso stesso un elemento della sua personalità, un suo ‘segno
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particolare’ da inscrivere nella sua carta d’identità.
Il lavorare sulla ‘personalità della Tonda’ per creare un segno
particolare è il mio input per i creativi.
Una volta creato il ‘segno della Tonda’ – ed eventuali sue
declinazioni grafiche – si passerà ai cataloghi, depliant, video,
oggetti...
Era soddisfatto. Il seme lanciato era buono e avrebbe attecchito
nel fertile terreno di Provinciali.
Quando Canale lesse la nota sbottò in un: «Tutto qui? Ma
non ci doveva dare una strategia di comunicazione?».
Tonti, che pur condivideva la sua delusione, si mostrò più
ottimista.
«Senta Canale, non abbiamo alcun impegno formale con
Pellizzari. Aspettiamo a giudicare, vediamo se viene fuori
qualcosa, poi valuteremo. Lasciamo andare avanti le cose così
come sono fino ad un risultato visibile».
Nelle stesse ore anche Filippini e Provinciali erano alle prese
con il lavoro di Pellizzari.
«Perfetto, preciso, va benissimo» disse subito Provinciali.
«Sì... corretto, forse un po’ vago» commentò Mauro.
«No, va benissimo così... sono convinto anch’io che bisogna
creare ‘il segno della Tonda’. Ora so cosa devo fare e mi sento
già meglio. Francesco ha fatto la sintesi corretta. Cominciamo
subito».
Filippini fu confortato dal vedere il maestro rianimato.
Si concentrarono sul concetto di personalità, poi sul rapporto
fra ‘tondo’ e ‘gelato’ e scaturirono le immagini del cono, delle belle
palline di gelato di una volta sulla coppa, anch’essa tonda.
Lavoravano intensamente, non più sfiduciati sebbene ancora
lontani da un risultato.
«Ho sete» disse Michele, «vuoi un po’ d’acqua?».
«Sì, grazie».
Mentre Michele stava aprendo il frigorifero, Mauro domandò:
«Cosa ti fa venir in mente la ‘tondità’?».
Gli occhi di Michele caddero inevitabilmente sulle uova che
erano sul piccolo ripiano sopra le bottiglie dell’acqua minerale.
«Questo!» esclamò mostrando un uovo, «ecco un bell’esempio
di tondità!».
Glielo porse.
«Prendilo in mano, toccalo, senti che perfezione. Vedi, è tondo
ma non è rotondo».
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«Una tondità assoluta, quasi sensuale» continuò Mauro.
Il vecchio maestro bevve un sorso e si aprì in un sorriso.
«Beh! Se entra in gioco la sensualità allora... è la donna che mi
ricorda la tondità. Anzi, mentre ne parlo mi sovviene un’immagine
particolare: Kiki Montparnasse fotografata da Man Ray».
Si alzò, prese un libro e lo aprì.
«Eccola» disse indicandola.
Filippini osservò la foto che aveva già visto centinaia di volte.
«Sì, anche questa è una bella immagine di tondità» rispose.
«Guarda i fianchi, lo slancio morbido verso l’alto della schiena...
eh sì... tondità, morbidezza, sensualità, malizia esaltata dagli
intagli di violoncello giusto lì. Quella è la grande idea, il segno che
identifica, che rende memorabile Kiki» aggiunse Michele.
«Che fa precipitare in quel segno la personalità dell’immagine»
concluse Mauro.
«Sì, è così, ma qui noi dobbiamo dare l’immagine ad una
gelatiera... che c’entra la donna? la malizia? No, dobbiamo riferirci
a qualcosa di più leggero, di meno sensuale...».
«E allora perché no una pera?» commentò Filippini prendendo
in mano una Williams che era nelle fruttiera sul tavolo.
«Tondità imperfetta ma certamente piena. Vedi come il corpo
tondo si risolve in un allungamento fino al picciolo marrone che
sta alla pera come gli intagli stanno a Kiki» osservò Michele. Poi
sollevò in aria il frutto capovolgendolo.
«Guarda, così alla rovescia sembra un cono di gelato».
Mauro annuì e continuò: «Se la donna ti rimanda a una tondità
sensuale, il gelato che cosa ti fa venire in mente?».
«L’infanzia, la gioia» rispose Michele senza incertezze.
«Anche a me! Mangiare il gelato era uno dei piaceri più intensi
che avevo da bambino; mi piacevano la fragola e la crema; ero
sempre contento quando mi portavano in gelateria. Era un posto
bellissimo perché lì mi capitava sempre qualcosa di buono».
«Allora andiamoci! Andiamo a vedere cosa fanno i bambini in
gelateria, forse troveremo qualche nuovo spunto» disse Michele.
«Mi sembra una buona idea» concordò Mauro.
Andarono nella gelateria migliore di Pesaro. Osservavano la
gente che usciva con il cono in mano, cercavano di capire cosa diceva,
che espressione aveva.
Entrò un papà con il figlioletto di sei-sette anni.
Con il naso quasi appoggiato al vetro, come per sentirne il
profumo, il bimbo chiese fragola, pistacchio e fiordilatte: un grande
gelato di tre gusti.
Quando suo padre glielo porse abbassandosi, il bimbo guardò
in alto estasiato.
«Attento a non farlo cadere, non spingere troppo con la lingua...»
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avvisò il padre.
Il figliolo si fermò un istante, sorrise a papà, prese il cono che gli
arrivava dal cielo e felice cominciò a leccarlo.
Provinciali seguiva il tutto nei minimi particolari; c’era qualcosa
di fondamentale in ciò che aveva visto che tuttavia, al momento,
gli sfuggiva.
Si fece tardi, i due tornarono a casa, si salutarono dandosi
appuntamento all’indomani.
Michele non poteva fare a meno di pensare: «Tondità, donna,
pera, gelato, bambino, gioia, gusti, colori». Rivide ancora una
volta la scenetta tra il padre e il figlio, la analizzò nei dettagli
come alla moviola, alla ricerca di quella cosa che non era riuscito
ancora a cogliere.
Con la matita cominciò a fare dei segni: un ovale, una pera,
una nuvoletta...
«Ecco! Ecco! quel gelato era una nuvoletta caduta da cielo! Una
nuvola che parlava di dolcezze al bimbo».
Riprese a fare schizzi finché trovò una forma che lo convinceva
abbastanza: un fumetto.
Era un’ipotesi interessante, quell’appendice appuntita asseriva
una presenza forte. Si eccitò, aveva annusato che stava arrivando
a qualcosa.
Nel fumetto scrisse “Tonda”, poi solo una T, sulla scia degli
intagli di Kiki.
«No, troppo triste» pensò, «il gelato è gioia, ci vogliono i
colori...».
Prese le matite e cominciò a lavorare all’interno del fumetto. Sì,
questa era una buona idea, un fumetto colorato, diverso da quelli
che contengono parole. Ne fece quattro o cinque esempi. Non era
ancora arrivato a ciò che voleva ma sentiva di aver imboccato la
strada giusta.
Era esausto e andò a letto soddisfatto, Lucetta lo aspettava.
Dopo tanti giorni dormì di un sonno profondo e lungo accanto a
lei.
Il giorno successivo Mauro trovò Michele trasformato; non più
nella frenesia della ricerca ma nell’eccitamento del ritrovamento.
«Ecco... che ne dici Mauro?».
Mauro osservò gli schizzi, rigirò i fogli più di una volta.
«Sì... secondo me ci siamo, devi lavorare sul colore, solo sul colore.
Io mi occupo di perfezionare le linee, la forma del fumetto...».
Michele riprese con nuova lena. Ad un certo punto passò dalle
matite agli acquarelli. Immediatamente si trovò più a suo agio;
adesso riusciva a collaborare con lo strumento. Gli acquarelli gli
restituivano suggerimenti e idee, rispondevano alla sua creatività.
Mauro lo incoraggiò perché ritrovava lo stile del Maestro. Lo
aiutò, gli dette dei suggerimenti. Riprese in mano la foto della
Tonda.
«Eccoti la tavolozza dei colori... i colori della Tonda... ispirati
direttamente da qui» disse.
«Ah, caro Mauro, come mi capisci! È quello che cercavo. Sì, sì
questa tavolozza è perfetta in questo momento».
Così cercarono l’equilibrio cromatico, la sequenza dei colori
e delle tinte, la loro disposizione all’interno del fumetto. Gli
acquarelli fiorivano sulla carta, i miglioramenti erano ormai
evidenti. Provarono diverse composizioni quel giorno e nei giorni
seguenti.
«Eccolo... bellissimo! È questo!» asserì Mauro convinto.
Michele si fermò, si allontanò un passo dall’acquarello: «Sì, è
lui» confermò.
Era fatta. Lì davanti ai loro occhi c’era ‘il segno della Tonda’.
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L’ IFI, la Comunicazione e la Cultura
Il Racconto della Tonda, un racconto fedele ai fatti effettivamente
accaduti, consente anche una serie di considerazioni di carattere
imprenditoriale ed aziendale.
Innanzitutto la figura dell’imprenditore visionario che si immagina
il futuro e che ‘sente’ le potenzialità di un’innovazione al di là dei
numeri e della razionalità. La capacità di sentire da una parte
infonde energia e ottimismo (spesso al di là della comprensione degli
altri) e lo guida verso una ‘coerenza interna’ dei vari componenti di
un progetto. Per questo respinge il primo catalogo proposto: “fatto
bene, ma non adatto alla Tonda”.
La stessa coerenza in sé, in ultima analisi, muove il lavoro dei
creativi. Essi attraverso tentativi e prove ricercano un nesso
immediato fra il senso del prodotto e la sua rappresentazione;
solo quando Provinciali e Filippini riescono a unire i concetti di
tondità, fanciullezza e gioia nasce la forma del fumetto e il colore
scaturisce successivamente dettato dalla Tonda stessa vista come
Tavolozza di colori.
La IFI ha dunque compiuto un’interessantissima operazione
culturale, non solo dando la possibilità a Michele Provinciali di
aggiungere un nuovo straordinario tassello alla sua produzione
artistica, ma anche sul piano del suo rapporto con il mercato. La
comunicazione della Tonda è diventata un fatto culturale perché
costruita su un linguaggio iconografico strutturato, forte, che ‘fa
bene’ al pubblico di clienti e consumatori finali.
Con la Nuvola di Provinciali, l’IFI recupera una grande tradizione
italiana nella grafica pubblicitaria che risale a Dudovich e Depero
e che rappresenta forse il maggior contributo della nostra scuola
pubblicitaria alla comunicazione d’impresa nel mondo.
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La Nuvola della Tonda e Michele Provinciali
La Nuvola della Tonda fu presentata ai dirigenti della IFI in una
riunione appositamente convocata in un grande albergo di Pesaro.
Dopo un primo momento di leggero sbandamento di fronte ad
un esito così inaspettato, sia Tonti che Canale cominciarono ad
apprezzare il lavoro per poi innamorarsene, tant’è che poche
settimane dopo commissionarono a Michele Provinciali altre opere
all’acquarello sullo stile della Nuvola.
Nacquero così i pannelli che completano il ‘corredo iconografico’
della Tonda. Il “fiore d’Acqua”, la “Barca e il Dirigibile”,
“la Colomba e il Pesce”, il “Leggìo” rappresentano una piccola
serie artistica che caratterizza in modo definitivo il lancio e la
comunicazione della Tonda.
Come mai la Nuvola e gli altri pannelli della Serie Tonda
sprigionano una tal forza? Qual è il segreto che rende questi
lavori tardivi di Provinciali così equilibrati, leggeri, gioiosi? Viene
quasi la voglia di recuperare la parola ‘leggiadria’ per descriverli
compiutamente, un termine da tempo confinato nelle antologie del
Dolce Stilnovo.
Con la Serie Tonda, Michele Provinciali giunge ad una essenzialità
compositiva e cromatica che ha radici lontanissime nel tempo: si
vedano opere come “Gli Stecchini”, “I Gessetti”, “Le Saponette”
(ma anche “Le Mollette” o “I tappi di champagne”) per riconoscere
immediatamente la filiazione culturale delle ultime opere.
Tuttavia si nota una differenza sostanziale: qui non c’è la materia.
La Serie Tonda evolve verso un’essenzialità, una leggerezza che è
anche spirituale.
Sembra proprio che Michele senta che il suo percorso terreno è,
inevitabilmente, all’ultimo atto e che si sia già preparato ad una
condizione immateriale. Questo discorso che potrebbe apparire
come triste, cinico o semplicemente inopportuno per un uomo che
non solo è vivo e vegeto ma è ancora fertilissimo sul piano creativo,
è invece rispettoso e gioioso perché sottolinea la grandezza di chi
attraversa la vita in tutti i suoi passaggi evolvendo con essa in modo
consonante verso i larghi pascoli del cielo laddove ritroverà la sua
Lucetta che lo ha lasciato proprio nel giorno della presentazione
della Tonda.
L’unica costante è la poesia che sempre scaturisce dalle sue immagini;
un tempo costruite con gli umili oggetti della quotidianità e, oggi,
con gli acquarelli.
Michele Provinciali: il Poeta di Immagini.
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Gira, gira tonda
Della mia vita ho per anni raccolto i segni di passaggio: umili
mollette e aristocratici tappi di champagne, raffinate saponette
e fragili gessetti e bastoncini colorati del gelato: oggetti immobili
e silenziosi ma proprio per questo testimoni efficaci e duraturi
dell’esperienza umana e del tempo che la attraversa; metafore
capaci di suscitare ricordi ed emozioni profonde, di ricostruire per
frammenti la memoria e il senso dell’esistenza.
Progettare per me significa cercare e sviluppare quei segni, quelle
impronte capaci di cogliere l’intima relazione tra l’utilità immediata
ed esigente della committenza e la necessità di superarla per
esprimere l’infinita umanità che ciascuno di noi si porta dentro.
Come autore, professionista e insegnante ho sempre cercato di
risolvere l’apparente contraddizione tra produzione industriale e
cultura umanistica nel progettare, percorrendo una strada difficile
perché ignorata o banalizzata dalle logiche del profitto e dalle
indagini di mercato. Mi sono sempre rifiutato di pensare secondo
schemi precostituiti e metodologie pseudo-creative. E ho trovato la
complicità di imprenditori, colleghi e studenti capaci di guardare
oltre la banalità dei processi lineari e portare la ricerca e il lavoro
dove la fatica acquista un senso più umano e profondo.
Così se questa rotonda vasca di acciaio saprà contenere la gioiosa
tenerezza dell’infanzia e ricordare la gustosa e sensuale leggerezza
di una nuvola variopinta, quell’innovativo prodotto industriale
non sarà più solo un originale espositore per il gelato, ma diventerà
il luogo di incontro festoso e colorato di un’esperienza che tutti noi
abbiamo già vissuto e che ci appartiene intimamente.
MP
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Disegno preliminare per le comunità montane
del territorio marchigiano (1981).
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Simboli per l’opera editoriale “Provinciali sentimenti del tempo”
Testo di Gillo Dorfles, Grafis edizioni (1986).
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L’ opera “Rosa di Pietra” molto vicina al formato originale,
è stata eseguita con gessetti colorati (1980).
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“Eta Beta” Simbolo per la Mostra internazionale
delle Materie Plastiche (1956).
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Ipotesi, Tentativi,
Prove... Riflessioni,
Confronti... Condivisioni,
Approvazioni.
E, infine: Fiducia.
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A.D. e progetto
Michele Provinciali
Collaborazione
Mauro Filippini
Testo
Francesco Pellizzari
Coordinamento
Enrico Tonucci
Prepress
Corrado Belli
Le foto della “Tonda”
e della “tavolozza” sono
di Amati Bacciardi
finito di stampare
nel maggio 2008
da OGM Padova
Man Ray, "Le violon d’Ingres"
© by SIAE, 2008
in copertina e a pagina 17
© copyright IFI S.p.A., Tavullia (PU) - Italia, 2008