“OLTRE” 19 (Maggio / Agosto 2011

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“OLTRE” 19 (Maggio / Agosto 2011
OLTRE
Il giornale dello spazio privato del SE'
Quadrimestrale di psicologia, psicoterapia, psicoanalisi, ipnosi, sessuologia, neuropsicologia.
Num. 19 - Maggio / Agosto 2011 - Registrazione al Tribunale Ordinario di Torino n. 5856
del 06/04/2005 - Dirett. responsabile: Dott. Ugo Langella - Psicologo, Psicoterapeuta Iscritto all'Ordine degli Psicologi ed all'Albo degli Psicoterapeuti, Posizione 01/246 al
17/07/1989 - Str. S. Maria 13 - 10098 RIVOLI (To) - Tel. 0119586167 - [email protected]
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SOMMARIO - 1 Il futuro della coppia? La triade? Forse, ma… - 9 Quello che nessuno
ti ha mai detto circa la scelta del partner - 10 Partorire in stato di trance ipnotica - 12
Il curriculum di Ugo Langella.
IL FUTURO DELLA COPPIA? LA TRIADE? FORSE, MA…
"Dico" o non dico. Forse, si fa per dire, ha ragione il Vaticano ad opporsi ai "Dico":
quand'anche venissero approvati, sarebbero già superati dalla realtà. A Roma, Londra,
Berlino, Parigi, New York e secondo alcuni anche a Milano, stanno uscendo alla luce del
sole triadi composte da due uomini e una donna, oppure due donne e un uomo, secondo le
preferenze coscienti ed inconsce di accoppiamento dei soggetti, che vivono un autentico
matrimonio fra di loro, in alcuni casi anche con figli.
Considerato, come dice la psicoanalisi, che la bisessualità è in tutti gli individui, e che
comunque se non è sempre soddisfacente un accoppiamento esclusivamente eterosessuale
può non esserlo nemmeno uno esclusivamente omosessuale; considerato che
nell'accoppiamento omosessuale la parte eterosessuale viene sacrificata come in quello
eterosessuale viene sacrificata la componente omosessuale, il rapporto a tre secondo le
caratteristiche sopra descritte sembrerebbe destinato a soddisfare tutte le componenti senza
privilegiarne una in particolare, portando gli individui all'interno di un percorso
psicologicamente ideale e di grande benessere al quale l’essere umano sembrerebbe aspirare
da sempre.
Nei modelli esistenti, almeno teoricamente e spesso con un inizio casuale e non dichiarato,
tre soggetti di ambo i sessi decidono di vivere insieme, fin che dura, inizialmente per
convenienza. Questa poi si trasforma in reciproca assistenza in tutti i sensi, esattamente
come una coppia, sino a quando il legame diventa più robusto, esplicito e dichiarato o i tre
vanno ognuno per la propria strada, o due da una parte e l’altro, o l’altra, dall’altra. Del
resto, la triade esiste già nel modello famigliare padre, madre, figlio, solo che quest'ultimo è
escluso dalla sessualità dei genitori. Mentre la coppia è di per sè fragile, la triade costituisce
un nucleo completo. Tre entità costituiscono la Santissima Trinità. Tre persone
costituiscono un nucleo: fra i terroristi, nei servizi segreti, nei commando di vario tipo ed
uso, nelle squadre in fabbrica come nell'edilizia ed in tante altre situazioni. Si dice che tre è
il numero perfetto. In molte nazioni della terra, durante il coprifuoco per la Legge tre
persone costituiscono già un assembramento ed è vietato loro adunarsi. Tre persone non si
sentono mai sole, mentre nella coppia spesso uno dei due si, e di conseguenza anche l’altro.
Nella triade, se temporaneamente manca un membro, c'è l'altro. Non così nella coppia.
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Questa prima parte dell’articolo la scrissi il 27 marzo 2007, con sotto la seguente
aggiunta: “Da perfezionare”. C’era qualcosa, infatti, che non mi convinceva, e prima o dopo
questo lavoro sarebbe finito nel cestino poiché perfezionarlo avrebbe richiesto un grosso
lavoro che tutto sommato non mi interessava fare. Fu l’insistenza di un lettore e la sua
informazione circa la pubblicazione sul numero 74 - Febbraio 2011 - di “Mente & cervello“
edito da “Le Scienze”, nella sezione: “Psicologia”, di un articolo di Paola Emilia Cicerone
dal titolo: “Non chiamatele corna”, una rassegna indicata in copertina come “L’amore
multiplo. Amarsi, rispettarsi ed essere felici in tre, quattro, cinque…”, a spingermi a
ritornarci sopra per precisare meglio il mio pensiero sull’argomento, in primo luogo a me
stesso, come sempre faccio quando scrivo per OLTRE, che ne costituisce il pretesto. Ma
questo tornarci sopra è avvenuto semplicemente dopo aver letto titolo e sommario apparsi
sulla prima pagina del periodico, esattamente come sopra riportato. Non ho voluto andare
oltre per non lasciarmi condizionare. Al termine della definitiva stesura del mio pensiero
andrò a leggere con attenzione l’articolo in questione, e se del caso lo commenterò.
Il sommario dell’articolo di “Mente & Cervello” non allarga la coppia solo a tre membri
ma a quattro o cinque e... Questa prospettiva mi riporta al 1968, quando anche in Italia
sorsero le comuni sulla scia dei kibbutz israeliani, costituiti da gruppi di persone accoppiate
che decidevano di condividere la loro esistenza. Allora eravamo talmente repressi
sessualmente, che dall’esterno si fantasticava la cosa come una sostanziale e continua
ammucchiata prevalentemente a sfondo sessuale: tutti e tutte con tutti e tutte. La realtà,
però, era qualcosa di diverso, ma non per la fantasia, e comunque da noi in ogni caso non
ebbe fortuna. Ma l’argomento di cui ci stiamo occupando adesso, è cosa del tutto diversa
poiché si riferisce a gruppi di persone che decidono di stare insieme in quella che dovrebbe
essere una totale fusione fisica, psichica ed affettiva. A mio avviso il fenomeno non può che
essere temporaneo o comunque ristretto, poiché si scontra con la psicologia dell’essere
umano a partire dal concepimento, ed a mio avviso è realizzabile solo laddove alcuni
membri di questa aggregazione, che pretende di andare oltre la coppia, siano
psicologicamente deboli e quindi disponibili di buon grado ad essere succubi di altri. Con
questa premessa, ci accorgiamo che l’orizzonte si allarga e si popola di numerosissimi
esempi di gruppi gestiti da santoni e loro seguaci, che per sete di potere, di sesso e di soldi
hanno finito per plagiare una grande quantità di persone desiderose di essere plagiate, e di
cui periodicamente si sente parlare a causa di tragici epiloghi.
Ma facciamo un passo indietro; piccolo ma necessario. Per quanto ne so, adesso come nel
passato in altri contesti, e non solo fra i ricchi, esistono comportamenti di gruppo chiamati
festini, o meglio ancora: orge, a base di sesso, cocaina e affini. Non sto a chiedermi se siano
cose squallide o meno. Lo psicologo non deve lasciarsi andare né a giudizi soggettivi né a
valutazioni di natura morale. Più persone di ambo i sessi, appartenenti allo stesso gruppo di
amici o con partecipanti - maschi e/o femmine - pagati per prestarsi, in cui la coca funziona
come sino a ieri l’alcol: a disinibire e stordire la coscienza, si riuniscono esplicitamente a
questo scopo.
Si tratta di roba vecchia di secoli che tuttora persiste, e che il Marchese De Sade (1740 /
1814) ha descritto abbondantemente nelle sue opere. Non è quindi a questo che penso; ed
anche se non ho ancora letto l’articolo sopra menzionato, sono certo che non è neppure a
questo a cui si riferisce esclusivamente il numero 74 di “Mente & cervello” e non è
sicuramente questo ad attirare l’attenzione del lettore. L’argomento di cui ci occupiamo,
infatti, pur esulando dallo stretto risvolto di natura sessuale, non solo non lo esclude ma si
estende anche a tutti gli aspetti della convivenza in comune. E’ questo a mio avviso
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l’aspetto più pericoloso. Infatti, chi dopo un periodo trascorso in questo ambiente ne uscisse,
probabilmente sarebbe destinato ad aumentare il numero dei clienti degli psicoanalisti o
probabilmente quello dei suicidi, poiché difficilmente riuscirebbe a stabilire legami affettivi
con una sola persona, né a stare solo! Perché? Poiché la “polyamory” come la chiama
l’autrice, presuppone nei suoi membri l’assoluta assenza di gelosia, “conditio sine qua
non” affinché gli accoppiamenti multipli possano mantenersi stabili. Chi non riuscisse a
superarla si autoescluderebbe, ma per le stesse premesse che ce lo avevano portato non
sopporterebbe altre soluzioni.
A mio avviso la libera espressione della sessualità all’interno di un gruppo chiuso
non è tollerata dall’inconscio di ogni essere umano, che ne è nettamente contrario e
vedremo perché. Poi oggi si può fare, e nei paesi occidentali quasi tutto si può fare
poiché negli ultimi decenni le leggi sono diventate molto permissive nel bene e nel
male, ma tale stravolgimento non è la norma ed a mio avviso mai lo sarà - a causa della
gelosia quale fattore di possibile disordine personale e sociale - almeno sino a quando gli
esseri umani nasceranno da una femmina. Quando poi, invece, gli individui verranno
concepiti tutti in vitro e raggiungeranno i fatidici nove mesi in incubatrice, intubati in
entrata e in uscita, allora forse le cose potrebbero anche cambiare, o forse, almeno in
via transitoria, per compensazione di un’assenza: l’esclusivo rapporto con la figura
materna, gli esseri umani potrebbero diventare spontaneamente assolutamente
monogamici, e solo successivamente apertamente poligamici, superando la coppia in
via definitiva. Come dire che per la psiche la sessualità non ha soltanto funzioni
riproduttive e non è solo un gioco “sporco” fra persone, ma soddisfa anche l’aspirazione
alla reinfetazione in modo diretto per i maschi e per interposta persona per le femmine.
Dunque: noi stiamo nove mesi nella pancia di una donna. Stabiliamo con lei una serie
di legami fisiologici, psicologici ed affettivi. Per nove mesi quella persona per noi è
tutto e attraverso di lei noi siamo tutto: l’IO fetale di Rascovsky. E’ comprensibile,
quindi, come sembri logico che sia nei maschi che nelle femmine il rapporto
monogamico abbia nella madre un assoluto punto di riferimento, destinato a
rafforzarsi ancora di più dopo la nascita per esigenze di sopravvivenza, e radicato
talmente in profondità da far desiderare all’individuo di non staccarsi mai più da esso
anche a costo di rinunciare alla propria autonomia, a causa dell’angoscia (sulla natura
della quale qui non ci soffermiamo) che tale separazione comporterebbe.
E’ pur vero che secondo Bowlby il neonato non fa differenza fra un seno o l’altro
purché qualcuno soddisfi la sua fame, ma solo poiché per lui alla nascita ed ancora per
diverse settimane la madre non è un oggetto totale ma un oggetto parziale seno-chenutre. Purtroppo, invece, cosa non è più ripetibile, e non solo per via del tabù
dell’incesto, è la rifusione prenatale, per cui questa viene desiderata attraverso
un’altra persona, sia essa maschio che femmina, che le Leggi di molte nazioni
pretendono assolutamente estranea al nucleo famigliare originario, o non troppo
vicino salvo una particolare autorizzazione. Ed anche per la femmina, per quanto
l’altro membro della coppia sia un maschio, il rapporto profondo con lui assumerebbe
comunque alcune caratteristiche della figura materna, la prima delle quali è il contatto
corporeo, quindi la soddisfazione dei bisogni affettivi, di protezione e, sino a ieri, del
sostentamento. Che poi sia lei l’oggetto della penetrazione, cioè a subire la
reinfetazione del maschio, è ininfluente: attraverso l’identificazione con lui anche lei
ritorna nella madre, ed è lei che si identifica nella madre tenendo in grembo sé stessa,
partorendosi, allattandosi, accudendosi attraverso suo figlio.
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Per il maschio è tutto più semplice: madre e partner si fondono senza soluzione di
continuità; il padre, diventa la figura da assumere come modello per diventare la “madre”
della femmina, nutrendo di latte e di sperma le sue bocche superiore ed inferiore con il suo
“seno-pene”, come lo definisce M. Klein. Ma sia per il maschio che per la femmina,
nessuno dei sostituti della madre vissuta come oggetto totale - in contrapposizione
all’oggetto parziale-seno del lattante - può esserlo pienamente. Solo la vera madre potrebbe
sostituire sé stessa. Con il passare del tempo, però, accantonata o accantonatasi questa per
un insieme di ovvii e non tanto ovvii motivi che comunque qui è superfluo elencare, la
scelta cade su altri soggetti - che la psicoanalisi chiama oggetti - che più le si avvicinano in
quanto a caratteristiche, e di cui non è sempre facile rintracciare la somiglianza in modo
immediato. Talvolta si tratta anche solo di un qualche aspetto del carattere. A questo
proposito si veda: “La scelta del partner” in OLTRE 15, che contiene il condensato di uno
scritto in materia di Melanie Klein.
E qui finalmente entriamo nell’argomento che ci interessa. Secondo M. Klein la scelta del
o della partner viene fatta per contiguità, somiglianza, o per meglio dire: per continuità che
ha come punto di partenza la figura materna, anche se secondo lei non in modo esclusivo,
ma che comunque riporta alla figura materna. Ciò non toglie tuttavia che con il passare del
tempo ad un dato momento, a causa della caduta in disgrazia del o della partner poiché,
quale che ne sia il motivo, viene percepito/a difforme dal modello originario, cosa del resto
più che logica trattandosi di individui diversi da quelli che l’inconscio avrebbe desiderato
sovrapporre alla irripetibile figura materna perduta: - la classica “delusione” - il soggetto
vada alla ricerca in altre persone, e ciò vale sia per i maschi che per le femmine, di quei
riferimenti che costituiscono gli anelli della catena che riportano mentalmente alla madre, e
che per le femmine passano attraverso il padre, cioè un maschio.
A questo punto sorge la domanda: “Che fare?” Lasciare il/la primo/a per il/la secondo/a
tanto più se la/lo si è sposata/o? Se la cosa fosse così semplice basterebbe un attimo per
decidere, ma non lo è per via dell’investimento affettivo che ci sta sotto, ed allora nascono
tensioni nella coppia, il cui scopo non dichiarato è quello di minacciare il o la partner di
abbandonarlo/la se non si adegua o non ritorna ad adeguarsi al modello originario che aveva
orientato la scelta, o se addirittura non si trasforma nel nuovo e più aderente soggetto che si
è conosciuto, al fine di risolvere il problema senza la rottura del rapporto, comunque
traumatica per ambedue.
Il conflitto è dovuto al fatto che la persona che si vorrebbe sostituire è una persona che
comunque è stata amata per i motivi sopra descritti, ma non si vuole nemmeno rinunciare ad
un/una nuovo/nuova partner più simile al sostituto del modello originario conosciuto forse
alcuni decenni prima, che ripristinerebbe l’intensità dell’attrazione e del desiderio che il
trascorrere del tempo e la quotidiana consuetudine hanno attenuato! Oppure il soggetto,
superate le sue paure di natura psicologica e sessuale nei confronti dell’accoppiamento con
l’altro sesso utilizzando il o la partner come “nave scuola”, punterebbe a conquistare una
copia del modello inconscio a suo tempo ritenuto irraggiungibile, nutrendo nello stesso
tempo dei sensi di colpa verso chi aveva creduto di essere stato/a scelto/a non come
compromesso ma per il suo specifico modo di essere fisico e psichico. Dal che ne deriva
che: si, si sceglie il/la nuovo/a partner, però non si vogliono rompere del tutto i rapporti con
il/la partner precedente, al o alla quale molto spesso si fanno confidenze che valorizzano il
nuovo acquisto, quasi a confermare che una parte profonda di amore per il/la partner
precedente in quanto espressione della figura materna, è rimasta immutata. Ma il tutto
accentua ulteriormente il conflitto dell’interessato/a, e scinde il suo IO in tante parti quanti
sono i suoi o le sue partner.
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Tale situazione però è stressante e non sostenibile a lungo. Come fare allora a conciliarli,
visto che a quel punto non se ne vuole lasciare nessuno? Idea da uovo di Colombo, o
meglio, la scoperta dell’acqua fresca o della patata lessa: perché non ci leghiamo tutti e tre o
tutti e quattro, e magari tutti e sei se nel frattempo si è aggiunto qualcun altro? Così si
potrebbe addirittura ricostruire il rapporto famigliare originario in termini non solo di papà e
di mamma, ma anche di fratelli e sorelle! Si. Si può fare. Sembra un progetto eccitante
destinato a risolvere ogni problema, tanto più se anche gli atteggiamenti eterosessuali che
omosessuali ne escono soddisfatti, come scrivevamo più sopra, dimenticando che si
tratterebbe soltanto della concretizzazione di fantasie avute quando vivevamo nella famiglia
originaria. Sembra…!
L’idea di avere a disposizione senza problemi più maschi o più femmine, il pensiero di
sentirsi più forti attraverso il gruppo qualsiasi cosa succeda, sembrano una prospettiva di
vita davvero ideale. “Se un certo momento il mio lui o la mia lei mi appare meno attraente,
potrei fondermi fisicamente ed affettivamente con … o con…!” “Però… però poi dovrei
sopportare che quando ne hanno voglia, anche il mio lui o la mia lei si fondano fisicamente
e affettivamente con… o con…anche solo per mezz’ora!” Cioè che i loro corpi e le loro
menti raggiungano il massimo della fusione, e al solo pensiero nasce un’insopportabile
gelosia, salvo che in fondo di quella persona non importi più che tanto poiché ci si era uniti
solo per un desiderio sessuale momentaneo: la classica sveltina. Banalizzazione difensiva!
Cioè, verrebbe meno quella esclusività nei confronti della figura materna alla quale tutti
abbiamo aspirato, che comunque nel profondo di noi continuiamo a desiderare ed alla
quale è impossibile rinunciare anche se la realtà ci costringe a farlo. Come nella famiglia
originaria, la si dovrebbe dividere con il padre, fratelli e sorelle, ripristinando l’antica
ambivalenza verso di loro. Se un tempo queste persone erano dei rivali nei confronti della
madre, anche i sostituti finirebbero per esserlo. Come dire: passata l’euforia dell’orgia e
l’orgia dell’euforia, è assai probabile che ci si trovi ad avere nostalgia di quella intimità
profonda costituita dall’esclusivo rapporto di coppia come sostituto dell’esclusivo rapporto
bambino-mamma.
No. La coppia monogamica richiede un non facile impegno fra due persone, ma non la
ritengo sostituibile per le emozioni impareggiabili che consente proprio per quello che
sottintende, anche se richiede una rinuncia all’onnipotenza della seduzione. Certo, il
mantenimento del rapporto di coppia è un qualcosa che
non solo bisogna volere, ma bisogna volerlo in due. In
OLTRE numero 3, in: “Genitori, sposi: per favore,
Dott. Ugo Langella
riflettete a lungo prima di separarvi!” avevo scritto
Maggio 1971
l’equivalente di: “…O eri ammalato prima quando hai
scelto / accettato questa/o partner - o ti sei ammalato
Maggio 2011
dopo!” Spesso il cambiamento del partner non risolve i
problemi di fondo, mentre sicuramente illude che sia 40 anni di psicologia!
così, anche se per poco. Non di rado nel mio lavoro con i
pazienti mi è capitato che qualcuno mi dicesse,
sconcertato, di aver chiamato per sbaglio il o la partner attuale con il nome di quella/o
precedente… Fortunatamente l’altro o l’altra non aveva sentito o non aveva capito, ma il
soggetto aveva percepito che dentro di lui quello era il segnale che alla fin fine tutto era
cambiato ma nulla era cambiato, e che si trovava davanti alla fine di un’illusione.
Generalmente io accolgo queste parole nel silenzio, ma mi si rizzano i capelli in testa,
poiché quando una persona arriva a questa consapevolezza, può accadere di tutto.
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Troppo spesso il concetto di coppia è legato soltanto al concetto di quantità, ma non è
una questione semplicemente aritmetica, e visto che è tutt’altro che facile realizzarlo
nel senso di fusione profonda fra due persone, mi sembra che l’aumento di questo
numero di persone renda la cosa ancora più difficile, salvo che per obbiettivi mirati e
limitati nel tempo. In ogni caso, sicuramente più superficiale. Poi, ognuno ha diritto di
sperimentare quello che gli pare. “Ma allora secondo lei l’amore multiplo non può
reggere!” potrebbe chiedermi il lettore. Infatti, poiché per i motivi sopra elencati tali
rapporti non sono e non possono essere così profondi come i rapporti di coppia.
Tuttavia proprio per questo possono andare benissimo nelle metropoli dove si
condividono le case, i supermercati, i mezzi di trasporto pubblico, il lavoro, le palestre,
gli ospedali, e quindi, perché no anche la sessualità? Ciò darebbe alla socializzazione
quella dimensione totale che oggi le manca, sino ad arrivare a farci immaginare un
futuro dove gli abitanti delle metropoli si troveranno a letto insieme con la stessa
facilità con la quale vanno al cinema, ma non chiamiamolo AMORE! E’ doloroso ma
significativo che la coppia venga rilanciata grazie a gay e lesbiche! Forse, il dramma di
chi vive in mezzo a troppe persone, è proprio la perdita della capacità di amarne a fondo
una, poiché l’una vale l’altra. E’ questo il vero problema!
In ultimo, va detto che “l’amore multiplo” non è una novità poiché è antichissimo. Infatti,
il più grande esempio di amore multiplo è la famiglia, anche se non va dimenticato che fra
la famiglia di oggi e quella di un tempo c’è un abisso, a tutto vantaggio di quella odierna da
alcuni punti di vista, ma di quella del passato per quanto riguarda l’amore multiplo: leggi
incesto, un tempo molto più diffuso di oggi e che quasi non scandalizzava nessuno. Ma per
ritornare all’oggi, la cosa più triste sarebbe che un genitore abbandonasse l’amore multiplo
costituito dalla famiglia che ha creato - ancorché si tratti di un amore multiplo sublimato,
cioè dove il desiderio sessuale reciproco è trasformato in amore e affetto anziché goduto
direttamente se non tra i genitori - per andare a cercarlo in una famiglia che non ha creato.
Probabilmente significherebbe che dentro di sé è ancora bambino, e che ha un vuoto di
amore e di affetti che nessuno ha mai colmato. E adesso che finalmente ho scritto tutto il
mio pensiero, posso andare a leggere l’articolo su: “Mente e cervello”………………...
…L’ho letto. E’ suadente. Sembra evidente che chi l’ha scritto, pur con un intendimento
di ricerca miri a favorire la diffusione dell’amore multiplo poiché costituisce una sua segreta
aspirazione. Ma se lo si legge approfonditamente, emerge senza ombra di dubbio quanto più
sopra avevamo anticipato: il desiderio di soddisfare liberamente la bisessualità, che alla fine
altro non è se non il rifiuto circa l’esclusività della propria identità sessuale a livello
anatomico in percentuale diversa da soggetto a soggetto. E’ questo l’inganno della
bisessualità. Si vuol credere e far credere di essere bisessuali per nascondere a sé stessi ed
agli altri il proprio inconscio desiderio di essere di più o di meno solo dell’altro sesso. Più
sottilmente, questo non significa necessariamente che la vera identità sessuale, quella
anatomica, venga respinta - ciò avviene soltanto in una percentuale molto minore di
individui - ma che ad essa si vuol far prevalere l’identità psicologica quando è di natura
opposta a quella anatomica, probabile retaggio della persistenza dell’onnipotenza infantile
nella mente adulta. Ma perché ONNIPOTENZA? Poiché sembra che non basti provare
soltanto il piacere derivante dall’esercizio del propri organi sessuali. Si vuole provare anche
il piacere che si ritiene possa godere il sesso opposto. Questo desiderio, tutto sommato solo
un po’ infantile, è più che comprensibile, se non fosse che essendo spesso dettato
dall’invidia, è insaziabile. E’ la storia del Don Giovanni, che mi sembra superfluo qui
riportare, che si ripete per ambo i sessi.
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Se accettiamo questa chiave di lettura: persistenza dell’onnipotenza infantile nella
mente adulta, dettata dall’invidia, troviamo una convincente spiegazione di tutti i
disturbi della sessualità diretti e indiretti, sia a livello anatomico che psicologico, dove
per indiretti si devono intendere anche i disturbi sintomatici e funzionali che
riguardano qualsiasi altra parte del corpo, e dovremmo convenirne che S. Freud aveva
perfettamente ragione. Cosa impedisce in genere di soddisfare apertamente questo
stato di cose, è semplicemente il fatto che le premesse di tutto ciò sono rimosse, cioè
inconsce, e che quindi andrebbero riportate alla coscienza per poter ristabilire i
collegamenti mancanti per essere riconosciute e superate e affinché non si trasformino
in disturbi relativamente al comportamento sessuale inerente al proprio sesso.
Infatti, dietro al desiderio di bisessualità, cioè di essere maschio e femmina come la
coppia dei genitori in amplesso vissuta come un unico individuo con due identità
sessuali, si nasconde il desiderio di possedere anche gli attributi dell’altro sesso, ed in
seguito per alcuni solo quelli dell’altro sesso. Ebbene: l’amore multiplo serve a
nascondere tutto questo; si comincia con l’estendere in modo incontrollato l’attività
sessuale a partner dell’altro sesso e poi si finisce per arrivare al proprio dopo aver
rassicurato sé stessi e gli altri di non avere tendenze omosessuali. Se invece lo si
riconoscesse senza imbarazzo e senza vergogna sino in fondo, cioè si portasse tutto alla
coscienza a partire da quei desideri, fantasie, comportamenti, risalenti a molto lontano nel
tempo, si sarebbe liberi, e la componente bisessuale, aspirazione comprensibile poiché noi
siamo indiscutibilmente figli di un uomo e di una donna uniti nel coito, potrebbe essere
sublimata, consentendoci di riuscire a stare piacevolmente con le persone del nostro sesso
senza essere disturbati da fantasie sessuali attive e/o passive, e con quelle dell’altro sesso
per dare loro quel corteggiamento che vorrebbero da noi. Che poi questo debba o meno
trasformarsi in attività sessuale vera e propria, dovrebbe dipendere da una serie di passi tesi
a realizzarlo in modo graduale e sempre pienamente consensuale, passi che troppo spesso
vengono sottovalutati e che invece hanno una grande importanza a livello affettivo e
fisiologico, soprattutto in vista della procreazione. Essere troppo “moderni”, in questo
campo non giova..
Però riconoscere i propri desideri bisessuali non è una cosa facile poiché significa
rinunciare all’onnipotenza infantile, e rinunciare all’onnipotenza infantile si può solo per
amore. E’ il classico passaggio dalla fase orale, anale e fallica alla fase genitale della teoria
psicoanalitica freudiano-kleiniana. Nell’articolo in oggetto, il problema della gelosia che
può costituire un impedimento nella realizzazione del polyamory, viene solo enunciato ma
non approfondito per vedere se è possibile migliorane la sopportabilità, problema che
riguarda comunque più o meno tutte le coppie anche in presenza di comportamenti molto
meno apertamente trasgressivi. Infine, come riconosce l’autrice, esiste poi il serio aspetto
della prevenzione delle patologie legate alla promiscuità sessuale senza limiti e senza
barriere, facendo diventare un imperativo - aggiungo io - il rinunciare per sempre ad una
bella slurpatina della patatina da parte di lui, o del pisellino da parte di lei, che nei
preliminari, se condiviso, è sempre particolarmente appagante in termini di bisessualità.
Ma passiamo in rassegna alcuni specifici punti dell’articolo - riportati in corsivo - che
richiedono un qualche approfondimento. Scrive l’autrice: “Tutte le persone coinvolte
[nell’amore multiplo o polyamory] sono a conoscenza di quanto avviene fra i diversi
partner e in cui uomini e donne hanno comportamenti assolutamente paritari.” Per la
psicoanalisi, questa è ambivalenza plateale bella e buona, cioè libero esercizio dell’odio
e dell’amore verso i propri partner. “Oggi che un matrimonio su due finisce davanti ai
giudici, è difficile cominciare una relazione con l’idea che sia per sempre.” E’ lì
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l’illusione: purtroppo nemmeno noi siamo per sempre! “L’idea di una vita di
monogamia appare sempre più lontana dalla realtà.” Purtroppo, e forse dalla nostra
personale realtà, dove l’intolleranza della monogamia significa anche intolleranza nei
confronti di una professione ed altri aspetti della vita, tolleranza invece indispensabile
per raggiungere una vera competenza e delle vere soddisfazioni!
“Nel matrimonio si cerca soprattutto una gratificazione emotiva. E se non si riesce a
trovarla si cerca altrove.” Purtroppo succede se non si è sufficientemente maturi per la
vita più che per il matrimonio in sé. Del resto ci sono strumenti giuridici quali la
separazione ed il divorzio per cui vi si può sempre rimediare. Solo che se ci si limita a
quelli e nel frattempo non si cresce, i problemi si riproporranno anche con i nuovi
partner. “E’ facile proiettare tutte le proprie aspettative sull’altro.” Il termine proiettare
dice già tutto: se non siamo soddisfatti di noi stessi, non lo saremo nemmeno se
sposeremo la migliore persona della terra! “La coppia eterosessuale monogamica è stata
una costruzione culturale ai danni delle donne.” “Gli uomini hanno sempre mantenuto la
loro libertà: sino a pochi anni fa questo voleva dire, fra l’altro, separare il piacere dal
sesso della vita matrimoniale.”
In gran parte è una palla. Sono numerose le opere letterarie del passato che
raccontano come le donne riuscissero ugualmente a farsi gli affari propri in campo
sessuale, comportandosi in modo più astuto dei maschi. Del resto, un tempo il
libertinaggio era molto più diffuso a tutti i livelli della società, clero compreso. C’era
solo più ipocrisia. C’è un testo scientifico che lo dimostra, ed è la “Psychopathia
sexualis” del Prof. R. v. Krafft-Ebing, la cui prima edizione risale al 1886. Leggendolo
oggi - siamo noi che ci scandalizziamo! Non avevano né il cinema e né la televisione,
accusati di essere responsabili della depravazione attuale, ma avevano molta fantasia.
Probabilmente molti giovani di oggi credono di essere stati loro ad aver inventato la
libertà sessuale. Qualcuno la data 1968. L’unica differenza fra il passato e il presente è
che oggi se ne parla apertamente, mentre nel passato le cose si facevano in gran
segreto, e forse era proprio questa segretezza che ne aumentava il piacere.
“E’ ormai poco sostenibile che la monogamia abbia basi naturali e biologiche.” Ho già
chiarito la cosa prima, parlando del rapporto bambino-madre e non mi ripeto. “La
società descritta da Freud non esiste più.” Una frase trita e ritrita. Si vede che l’autrice
della ricerca se ricorre a simili affermazioni manca di frecce per il suo arco. Diciamo
che molte rimozioni che le persone effettuavano allora, oggi sono venute meno poiché:
1) ormai patrimonio della coscienza 2) in un maggior numero di individui. “Se il
nostro partner ama un’altra persona, a livello inconscio ci arriva il messaggio che noi
non siamo adeguati.” Giusto, e allora chiediamoci il perché visto che ci aveva sposato, e
cerchiamo di capire insieme cosa è successo! “Anche la gelosia si può superare!”
Certo, ma bisogna vedere a cosa sia dovuta, cioè di chi si è gelosi e perché… E’ questo
che differenzia la gelosia patologica da quella giustificabile. Non è mica sempre una
malattia! Comunque, spesso si tratta di gelosia prodotta dall’invidia. Nel linguaggio
comune in molte occasioni i due termini vengono erroneamente considerati sinonimi.
Infine: “Quello di desiderare solo gratificazioni da una relazione è comunque un
atteggiamento infantile e di onnipotenza narcisistica. Non è scritto da nessuna parte che
si debba avere tutto. Si deve imparare che alcune cose semplicemente non si possono
avere e che per altre bisogna adattarsi.” La cosa non riguarda solo il nostro
atteggiamento verso il o la partner, ma anche il suo verso di noi, il che presuppone un
reciproco riconoscimento delle diversità ed una reciproca accettazione delle differenze,
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nel nome dell’amore. Ma l’autrice, nel citare queste parole che attribuisce alla nota
sessuologa genovese Jole Baldaro Verde, non si è accorta che nel mettere in luce alcune
delle possibili cause del fallimento dell’amore monogamico, di fatto queste sconfessano
la polyamory.
NOTA - Qualora il lettore desiderasse copia dell’articolo in questione, può richiederla
scrivendo al mio indirizzo e-mail. Gli verrà inviata in formato .pdf.
Bibliografia essenziale
- Paola Emilia Cicerone - “Mente & cervello“ - Edizioni “Le Scienze” - Numero 74 Febbraio 2011 - Sezione: “Psicologia” - “Non chiamatele corna” - “L’amore multiplo.
Amarsi, rispettarsi ed essere felici in tre, quattro, cinque…”
- Autori vari - Nuovo dizionario di sessuologia - Longanesi 1969
- S. Freud - Opere - Boringhieri
- A.C. Kinsey - Il comportamento sessuale dell’uomo - Bompiani
- A.C. Kinsey - Il comportamento sessuale della donna - Bompiani
- M. Klein - Invidia e gratitudine - Martinelli
- V. Krafft-Ebing - Psychopathia sexualis - Manfredi 1966 - Trad. italiana sulla 16ª e
17ª edizione tedesca, rielaborata dal Dott. Albert Moll.
QUELLO CHE NESSUNO TI HA MAI DETTO CIRCA LA SCELTA DEL
PARTNER
Su OLTRE 15 - Gennaio / Aprile 2010, avevamo pubblicato un lavoro tratto dal libro di
Melanie Klein e Joan Riviere: “Amore, odio, riparazione”, dal titolo: “ La scelta del partner
in amore”. Il capitolo incominciava così: “La psicoanalisi dimostra che ci sono delle
profonde motivazioni inconsce che contribuiscono alla scelta del partner in amore, e che
rendono due persone sessualmente attraenti e soddisfacenti.” (1) Si invita il lettore
interessato ad andare a leggerlo o rileggerlo. Su quanto scritto da M. Klein e J. Riviere e da
noi semplicemente riportato, non c’è nulla da eccepire. Le “profonde motivazioni inconsce”
nella scelta del partner sono accuratamente descritte, solo che non sono sufficienti.
Cioè: Klein e Riviere hanno tenuto conto delle caratteristiche dei potenziali partners
oggetto di interesse da parte di chi sceglie, ma non delle criticità di chi sceglie e/o di chi è
scelto, non meno determinanti per una scelta definitiva a lungo respiro alfine di non trovarsi
poi in difficoltà, per un motivo molto semplice: per quanto il numero delle affinità
desiderate riscontrato in un possibile partner sia notevole, si tratta pur sempre di un'altra
persona, con le variabili che ciò comporta.
Da chi sceglie, infatti, escluse le “attrazioni” prodotte dai beni patrimoniali, dai titoli,
dalle cariche, dalla notorietà in possesso del potenziale partner e/o della sua parentela,
cioè dalla potenziale sistemazione professionale o in termini di immagine grazie ad
essi, elementi del resto preconsci se non del tutto consci, fatte salve le premesse
dell’articolo della Klein di cui sopra, nel possibile candidato o nella possibile candidata
vengono presi in esame altri aspetti di natura inconscia. In particolare: la quantità di
libido eterosessuale ed omosessuale; il sentirsi indirettamente rassicurati circa la
segreta paura delle richieste sessuali dell’altro o dell’altra, di cui alcune cause di
questa segreta paura sono specifiche mentre altre sono di diversa origine; la quantità
di pulsioni di vita e di morte; il narcisismo come amore per sé stessi, che non dovrebbe
essere né troppo spinto né assente; l’invidia, auspicabilmente minima; il livello di
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autostima relativo all’autorealizzazione dell’IO con tutte le sue premesse, che non
dovrebbe essere né basso né troppo alto poiché nel primo caso porterebbe prima o poi
al rifiuto e nel secondo, invidia e competizione.
Nella persona prescelta questi aspetti dovrebbero essere quantitativamente omogenei
rispetto a chi sceglie, e possibilmente complementari. Se sono quantitativamente un po’
superiori non è affatto un male in quanto possono funzionare da stimolo. Il rischio semmai
viene nel corso del tempo se a questo stimolo non segue un effettivo e duraturo
cambiamento in positivo. A sua volta, chi è scelto prima di acconsentire misura chi lo
sceglie - sempre inconsciamente - con gli stessi parametri, e laddove ravvisi degli squilibri
eccessivi in eccesso o in difetto, a quel punto si tira indietro. Ovvio che sia l’uno che l’altro
partner hanno bisogno di testarsi a vicenda per qualche tempo, prima di sciogliere
definitivamente le proprie riserve, anzi: è auspicabile! Purtroppo gli aspetti sopra indicati
costituiscono la parte psicologicamente più segreta degli individui, per cui è da difficile a
molto difficile che i due partner siano disponibili a lasciarli affiorare alla coscienza, e tanto
meno a comunicarsi quello che percepiscono di loro stessi, mentre sarebbe fondamentale
che lo facessero al fine di evitare lo stress di coppia ed allo scopo di garantirsi la reciproca
idoneità “per tutte le stagioni”.
Ma non è tutto. Pur all’interno di un possibile accoppiamento ottimale, la ricerca del
partner perfetto inconsciamente continua: cioè del gemello dell’altro sesso, cioè di un
soggetto con il quale il livello empatico possa essere elevatissimo a numerosi o a tutti i
livelli; in pratica: il duplicato di noi stessi. Che la cosa sia auspicabile è da vedersi, in
quanto oltre ai nostri pregi il rischio è di ritrovare nell’altro/a anche tutti i nostri difetti. Ma
l’inconveniente più grande, è che la spinta alla crescita e quindi al continuo cambiamento
e/o adattamento alla realtà che potrebbe derivare da un individuo diverso si fermerebbe, e si
potrebbe arrivare facilmente all’immobilismo ed alla noia, se non addirittura al vero e
proprio odio reciproco, che altro non è se non odio verso la parte detestata di noi stessi, sino
al punto che l’altro sembrerebbe essere soltanto espressione di quella, rendendo quindi la
vita soffocante, cioè proprio il contrario di quello che si sperava che sarebbe diventata.
PARTORIRE IN STATO DI TRANCE IPNOTICA
Le tecniche per la preparazione della donna al parto sono numerose. Consultando internet
è possibile raccogliere una grande quantità di materiale in proposito. Non è mio scopo né
elencarlo e né descriverlo o commentarlo. Ogni donna gravida può avere o farsi le sue
convinzioni circa questo o quel metodo, e ciò basta.
Per quanto mi riguarda, sia come psicologo-psicoterapeuta che come ipnotista sono
convinto della validità del metodo psicoprofilattico, caratterizzato dalla tecnica di controllo
della respirazione nei diversi momenti del parto unitamente a quella del controllo
muscolare, applicati all’interno della trance ipnotica. Solitamente tale metodo, ipnosi a
parte, viene insegnato alla gravida e da lei utilizzato al momento del parto in stato di piena
coscienza. Io ritengo più rassicurante, invece, la sua somministrazione, allenamento e uso
all’interno dello stato di trance. Ciò significa che la partoriente, appreso quanto le occorre in
stato di trance, impara ad entrare autonomamente in esso per servirsene se e quando lo
ritiene opportuno, ed uscirne quando lo desidera. Il rischio, si fa per dire, che la partoriente
in trance ipnotica non si renda affatto conto di ciò che le accade al momento del parto, cioè
la possibilità di trovarsi in trance profonda e soprattutto totalmente analgesica (analgesia =
assenza di percezione del dolore) come se fosse in stato di narcosi totale, è percentualmente
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raro. Diventa invece normale lo stato di maggiore o minore reattività alle richieste
dell’evento, che del resto, ovviamente, è assistito da personale specializzato, privato però o
molto attenuato dello stato di ansia presente in molti casi a causa di diversi fattori, primo fra
i quali la paura del dolore. Di esso è noto il presupposto che sia la diretta conseguenza
dell’ansia in termini di capacità di prestazione e di paura dell’evento in quanto
operativamente sconosciuto.
Tuttavia ho verificato, e ciò è stato scritto anche da altri autori, come la paura del parto
sia anche imputabile all’intensa ambivalenza verso il feto, ambivalenza (cioè insieme di
odio e amore) che lo trasforma in un mostro minaccioso e devastante per il corpo della
madre al momento della sua uscita da essa. Avviene che sono proprio queste stesse donne a
correre di più il rischio della depressione post-partum, chiamata dall’autore del manuale di
ostetricia citato in bibliografia: Depressione del terzo giorno. Scrive Derek Llewellyn-Jones:
“Passato l’eccitamento momentaneo [come difesa dall’angoscia] procurato dal parto, può
insorgere uno stato depressivo dovuto alle difficoltà che la donna prevede di dover
affrontare nel regolare il suo nuovo rapporto [cioè impostare un nuovo stile di vita] con il
marito e con il figlio. (Pag. 124). Solo che quando ormai la donna incinta alle ultime
settimane di gravidanza approccia lo psicologo affinché l’aiuti a sopportare l’angoscia del
parto, è inutile parlargliene, e non resta che metterla nelle condizioni migliori per affrontarlo
per il bene suo e del bambino, ed in questo l’uso dell’ipnosi è ottimale. Sarà poi lei a parto
avvenuto, se lo desidera, a decidere di lavorarci ulteriormente sopra, se non altro per evitare
che il rapporto fra lei ed il figlio prima o poi degeneri. C’è ancora una situazione che può
creare problemi nel parto: il rimosso rifiuto di “nascere” e crescere da parte della madre
e la proiezione di sé stessa nel nascituro, che possono favorire comportamenti oppositivi
nella fase espulsiva, ad esempio attraverso la contemporanea pressione dei muscoli
diaframma, addominali e pelvici contemporaneamente, anziché diaframma e addominali
alternativamente ai pelvici, che di fatto impedisce la progressione del feto verso l’esterno.
Il vantaggio dell’uso dell’ipnosi consiste nel fatto che la tecnica del controllo della
respirazione e quella del controllo muscolare possono venire utilizzate in modo più
automatizzato con una preparazione più breve poiché appresa in stato di trance, rispetto alla
partoriente che pur tuttavia ha fatto precedentemente un lungo allenamento in stato di
veglia. La mia esperienza di corsi di preparazione al parto in una struttura pubblica di
Torino alla fine degli anni 70, mi ha consentito di raccogliere una quantità di dati che
dimostrano come una precoce e/o prolungata preparazione in tal senso si traduca
sistematicamente in un parto anticipato in media di due settimane, per il semplice motivo
che viene indotto nella gravida uno stato d’ansia che si attenua praticamente soltanto a parto
concluso, facendolo di fatto avvenire prima della scadenza prevista. Per quanto ne so oggi le
cose non sono molto cambiate, per cui personalmente ritengo che l’organizzazione di tali
corsi andrebbe ripensata. Le estese informazioni di natura anatomica, neurologica e
psicologica che alcuni pretendono di dare alla gravida in previsione del parto, per quanto in
sé interessanti e fondamentali: o vengono somministrate alla donna prima della gravidanza
in quanto parte della sua educazione e formazione, o è preferibile lasciar perdere. E’ strano
come gli “addetti ai lavori” non vogliano capire, che una donna alle ultime settimane di
gravidanza la cosa che più preferisce evitare è dover usare il cervello per imparare qualcosa,
soprattutto inerente al suo stato, mentre necessita soltanto di poche ma robuste indicazioni
pratiche riguardanti la respirazione, la contrazione ed il rilassamento muscolare, insieme alle
informazioni per autoindursi in trance ed uscirne se il tutto viene vissuto in stato ipnotico.
Trovo poi assurda l’abitudine che hanno le ostetriche che gestiscono i corsi di preparazione
al parto nelle strutture pubbliche, le quali nell’allenamento alla corretta respirazione nelle
diverse fasi del parto, nel segnalare ad esempio l’avvio della contrazione nella fase dilatante,
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anziché dire: “Contrazione!”, battano violentemente le mani, cosa che fa sussultare le
gravide, tanto più ancorché immerse ad occhi chiusi nel rilassamento! Lo facevano già negli
anni 70 del secolo scorso e mi dicono che lo fanno tuttora! Io lo chiamerei sadismo o
insensibilità. Comunque, il fatto che la psicoprofilassi ostetrica (PPO) venga etichettata
come parto indolore, vede dubbiose tutte le donne che hanno partorito in tal modo. Del resto
nemmeno l’ipnosi lo garantisce, anche perché molte donne o non riescono a raggiungere
uno stato di trance sufficientemente profondo o perché anche una profonda analgesia
ipnotica non significa sordità corticale circa quanto avviene in periferia a livello nervoso,
ma semplicemente un prenderne atto indolore. L’applicazione della PPO attraverso uno
stato di trance ipnotica per quanto leggero, consente di ottenere in ogni caso un risultato
nettamente migliore in termini di abbattimento dell’ansia della sola PPO stessa. Del resto,
l’inseguimento dell’assoluta assenza di dolore e di ansia, esprimerebbero il desiderio della
più totale assenza di consapevolezza emozionale, così importante, invece, nel momento in
cui una madre mette al mondo il suo bambino, la gioia per la nascita del quale dovrebbe
costituire l’analgesico più convincente che esista.
Quando iniziare questa preparazione? A partire dall’ottavo mese di gestazione. Per quante
sedute? Il numero minimo è quattro. Il numero ottimale è sette: Prima, Seconda, Terza,
Quarta + (ripetizione della) Seconda, Terza, Quarta = 7. Ma possono anche essere di più se
la paziente lo desidera per rinforzare ulteriormente la trance ipnotica, di cui va ricordato che
la capacità di autoinduzione a seguito di induzione da parte dell’ipnotista si mantiene per
decenni, e può essere utilizzata dall’interessata in tutte le situazioni in cui lo ritenga utile.
Quale frequenza devono avere le sedute per la preparazione al parto? Una alla settimana;
due se i tempi sono stretti. Quanto durano le sedute? La prima 90 minuti. Le successive
circa 60. Al termine della preparazione viene consegnata alla paziente una SINTESI
OPERATIVA contenente i comportamenti che deve adottare nelle varie fasi del parto - con
le aggiunte circa l’autoinduzione della trance ipnotica - per il “ripasso” in attesa dell’evento.
Bibliografia essenziale
Derek Llewellyn-Jones – Fondamenti di ostetricia e ginecologia – Soc. Editr. Universo 1979
Erickson M. – La comunicazione mente-corpo – Astrolabio 1998
Gianpiero Mosconi – Psicoterapia ipnotica – Piccin 1993
IL CURRICULUM DI UGO LANGELLA
Ugo Langella e' nato ad Alba (Cuneo) il 25/6/1943. A Torino dal 1964, nell'estate 1994
ha trasferito studio e abitazione all'attuale indirizzo. Laureato in Pedagogia a Torino nel
1971, nel 79 si e' laureato in Psicologia a Padova. In analisi dal 1975 al 1981 a Milano
dalla Dott. Myriam Fusini Doddoli della Società Psicoanalitica Italiana, negli anni 78 e
79 ha partecipato ai suoi gruppi di formazione e supervisione, quest'ultima continuata a
Torino nel 79 con il Dott. Flegenheimer e dall'80 all'82 con il Dott. Levi, analisti della
Società Psicoanalitica Italiana. Nel 1989 ha conseguito l'attestato di ipnotista presso il
Centro Italiano di Ipnosi Clinica Sperimentale C.I.I.C.S. del Prof. Franco Granone. E'
iscritto all'Ordine degli Psicologi (posizione 01/246 - al 17/07/1989, data di prima
costituzione) ed all'Albo degli Psicoterapeuti.
Se vuoi ricevere i precedenti o i futuri numeri di "OLTRE" per e-mail,
naturalmente gratuitamente, scrivi a: [email protected] Puoi trovare tutti i
numeri di “OLTRE” su internet, all’indirizzo: http://www. oltrepsy.it/
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