articolo completo in pdf - Giornale Italiano di Diabetologia e

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articolo completo in pdf - Giornale Italiano di Diabetologia e
G It Diabetol Metab 2015;35:27-35
Rassegna
Terapia del diabete
nel paziente nefropatico
RIASSUNTO
R. Trevisan, A.R. Dodesini, G. Lepore
USC Malattie Endocrine-Diabetologia,
AO Papa Giovanni XXIII, Bergamo
Corrispondenza: dott. Roberto Trevisan,
USC Malattie Endocrine-Diabetologia,
AO Papa Giovanni XXIII, piazza OMS 1, 24127 Bergamo
e-mail: [email protected]
G It Diabetol Metab 2015;35:27-35
Pervenuto in Redazione il 18-01-2015
Accettato per la pubblicazione il 20-01-2015
Parole chiave: insufficienza renale cronica, albuminuria,
ipoglicemia, controllo glicemico, DDP-4 inibitori, insulina
Key words: chronic kidney disease, albuminuria,
hypoglycemia, glycemic control, DDP-4 inhibitors,
insulin
Il trattamento dell’iperglicemia nel paziente diabetico con insufficienza renale è complesso, anche perché non sono ancora chiaramente definiti gli obiettivi e i metodi per raggiungere il buon
controllo glicemico. Anche se il controllo intensivo della glicemia
appare in grado di rallentare la comparsa e la progressione del
danno renale, se applicato nelle fasi iniziali della malattia renale,
ci sono pochi dati che dimostrino l’efficacia dello stretto controllo
glicemico nei pazienti con insufficienza renale severa. Inoltre, i pazienti diabetici con malattia renale cronica presentano spesso
complicanze cardiovascolari e sono ad alto rischio di ipoglicemia,
entrambi condizioni che rendono difficoltoso il trattamento dell’iperglicemia. È essenziale una buona conoscenza della farmacocinetica e dei possibili effetti collaterali dei farmaci in modo tale
da scegliere non solo i corretti obiettivi glicemici, ma anche per individuare la terapia appropriata. La metformina, seppure a dosaggio ridotto, può essere usata nei pazienti con moderata
insufficienza renale. Tra gli altri farmaci orali, i più promettenti sembrano essere i DPP-4 inibitori, soprattutto per il basso rischio di
ipoglicemia associato al loro uso. Ovviamente, nell’insufficienza
renale avanzata la terapia insulinica gioca il ruolo centrale nella
terapia dell’iperglicemia. Un accurato monitoraggio della glicemia
è indispensabile per ridurre il rischio di ipoglicemia.
SUMMARY
Treatment of diabetes in patients with kidney disease
The management of hyperglycemia in patients with chronic kidney disease (CKD) is complex, and the goals and methods for
glycemic control are not clearly defined. Although tight glycemic
control seems to slow the onset and progression of renal damage
in early diabetic nephropathy, data in patients with advanced CKD
(including end-stage renal disease) are lacking. In addition, diabetic patients with renal disease frequently have cardiovascular
complications and are at high risk of hypoglycemic episodes,
both conditions challenging their management. Thorough knowledge of the pharmacokinetics and side effects of all hypoglycemic drugs is needed in order to identify not only the goals but
also the most appropriate therapy. Among oral diabetic agents,
28
R. Trevisan et al.
metformin can be safely used in patients with mild/moderate renal
insufficiency, with the appropriate dosage reduction. DDP-4 inhibitors currently seem to be the most promising oral drug for these
patients, particularly because of their low risk of hypoglycemia.
In diabetic patients with advanced CKD, insulin plays a central
role but close blood glucose monitoring is essential to avoid the
risk of hypoglycemia.
Le dimensioni della malattia renale
cronica nei pazienti diabetici
La storia naturale della nefropatia diabetica è caratterizzata
da un progressivo incremento dell’escrezione urinaria di albumina, che attraverso lo stadio della microalbuminuria arriva
alla proteinuria clinica, da incremento dei valori pressori e da
un progressivo declino del filtrato glomerulare (glomerular filtration rate, GFR), che può portare all’insufficienza renale terminale.
Nel diabete di tipo 1 la microalbuminuria compare dopo 10 anni di malattia e raggiunge una prevalenza circa del 50% dopo
30 anni(1). Approssimativamente il 25% dei diabetici di tipo 1
sviluppa proteinuria dopo 25 anni di malattia. In presenza di
proteinuria il declino del GFR, in assenza di trattamento, è di
circa 12 ml/min/anno(2).
La combinazione di iperglicemia e ipertensione, molto frequente nel diabete di tipo 2, conduce a una prevalenza di malattia renale cronica (chronic kidney disease, CKD) in circa il
40% dei pazienti(3). Questa condizione clinica è spesso sottovalutata o non diagnosticata, dal momento che i pazienti
con una iniziale malattia renale cronica sono asintomatici. Dati
americani su 1462 pazienti con diabete di tipo 2 che hanno
partecipato al 4° National Health and Nutrition Examination
Survey dal 1999 al 2004 hanno dimostrato che circa il 40%
aveva una CKD(4).
Anche in Australia, dati raccolti nel 2005 in 3893 diabetici di
tipo 2 che hanno aderito al National Evaluation of the Frequency of Renal Impairment Co-exisiting with Noninsulin Dependent Diabetes Mellitus (NEFRON) study hanno evidenziato
che circa il 23% dei soggetti aveva una velocità di filtrazione
glomerulare stimata (eGFR) < 60 ml/min/1,73 m2, il 35% presentava un’albuminuria elevata e circa il 10% mostrava entrambe le condizioni. Gli autori concludevano che il 47% dei
pazienti era da considerarsi affetto da CKD(5).
Anche i dati italiani dello studio RIACE confermano questi dati:
in una coorte di 15.773 diabetici di tipo 2, il 18,7% presentava
elevata microalbuminuria senza riduzione della funzione renale e il 18,8% presentava una eGFR < 60 ml/min/1,73 m2.
Nei pazienti con ridotta funzione renale il 56% era normoalbuminurico, il 30,8% era microalbuminurico e il 12,6% con
macroalbuminuria(6). Tutti questi dati dimostrano che nel diabete di tipo 2 non solo la malattia renale cronica è frequente,
ma spesso non è associata ad albuminuria e pertanto non
presenta le classiche caratteristiche della nefropatia diabetica.
Oltre all’ipertensione e all’iperglicemia cronica, fattori di rischio
per lo sviluppo di CKD sono l’obesità, la presenza di malattia
cardiovascolare, di dislipidemia e la familiarità per malattie renali.
Dai dati epidemiologici appare quindi chiaro che circa il 3040% dei diabetici, sia di tipo 1 sia di tipo 2, è a rischio di nefropatia conclamata e quindi di sviluppare una insufficienza
renale progressiva. Tale condizione influenza drammaticamente la terapia ipoglicemizzante: nel diabete di tipo 1 modificando il fabbisogno insulinico, nel diabete di tipo 2 rendendo
necessaria la sospensione di alcuni ipoglicemizzanti orali e
l’eventuale passaggio alla terapia insulinica.
È pertanto evidente che lo screening dei pazienti con CKD è
fondamentale per un efficace intervento terapeutico in grado
di rallentare la velocità di progressione della malattia renale.
Tutte le evidenze confermano che l’intervento precoce è
quello in grado di ottenere i risultati migliori.
Morbilità e mortalità nei diabetici
con malattia renale cronica
I diabetici sono a elevato rischio di sviluppo e progressione di
CKD, che a sua volta aumenta il rischio di malattia cardiovascolare e di mortalità precoce(7,8). I diabetici di tipo 2 con CKD
sono destinati a una maggiore probabilità di morire di malattia cardiovascolare prima di raggiungere lo stadio terminale
della malattia renale(3). Sia la riduzione del filtrato sia l’albuminuria sono fattori di rischio indipendente di mortalità e morbilità cardiovascolare(9).
Con un eGFR sotto i 60 ml/min/1,73 m2, il rischio di morte, di
eventi cardiovascolari e di ospedalizzazione aumenta significativamente in modo esponenziale. In uno studio su più di un
milione di adulti americani, il rischio di mortalità totale aumentava progressivamente con la riduzione dell’eGFR(10). I dati
sono stati confermati anche in Cina in uno studio su 4421 diabetici di tipo 2(11).
Anche l’albuminuria è un marker importante di mortalità e
morbilità cardiovascolare, indipendentemente da altri parametri di funzione renale(12).
Screening e determinazione della
disfunzione renale nei pazienti diabetici
La consapevolezza di malattia renale cronica è generalmente bassa nei pazienti con diabete dal momento che la malattia renale cronica non si associa a sintomi significativi.
Pertanto, questa condizione è spesso identificata solo quando
i pazienti hanno già raggiunto lo stadio III, e cioè un eGFR
< 60 ml/min/1,73 m2. Lo screening per la determinazione della
disfunzione renale dovrebbe avvenire al più presto possibile,
già alla diagnosi del diabete di tipo 2. È molto importante
l’identificazione della malattia renale cronica in uno stadio precoce in modo tale da iniziare Il trattamento in grado di ridurre
il declino della funzione renale, il rischio cardiovascolare e
quindi di migliorare la prognosi.
La creatinina sierica dovrebbe essere misurata almeno una
Terapia del diabete nel paziente nefropatico
volta all’anno. Con questa determinazione è possibile calcolare la velocità di filtrazione glomerulare mediante apposite
equazioni che tengono conto dell’età del paziente, del sesso
e dell’etnia. La più accurata equazione è la CKD-EPI che è
attualmente consigliata dalle linee guida internazionali(9).
La determinazione annuale dell’eGFR permette di descrivere
la velocità di progressione del danno renale e di intervenire
adeguatamente in caso di rapido peggioramento della funzione renale.
Anche l’albuminuria dovrebbe essere misurata annualmente.
In presenza di livelli anormali, il test andrebbe ripetuto entro
2-6 mesi allo scopo di confermare la presenza di micro- o
macroalbuminuria.
È fondamentale la determinazione contemporanea di eGFR
e albuminuria, anche perché spesso le due alterazioni della
funzione renale sono indipendenti una dall’altra.
Gli stadi della malattia renale cronica
La CKD viene attualmente classificata in 5 stadi. Recentemente è stato deciso di dividere lo stadio 3 in 2 sottogruppi,
perché si è osservato che il rischio di mortalità aumenta velocemente sotto i 45 ml/min/1,73 m2(13). È importante ricordare
che, indipendentemente dallo stadio, la presenza di albuminuria patologica raddoppia il rischio di eventi cardiovascolari
e di mortalità (Tab. 1).
Il rischio di ipoglicemia nei diabetici
con malattia renale cronica
I diabetici con disfunzione renale presentano un maggiore rischio di episodi ipoglicemici(12). Nei pazienti con eGFR < 60
ml/min/1,73 m2 molto spesso è necessario ridurre la dose di
insulina soprattutto per la ridotta clearance renale dell’insulina. Va ricordato inoltre che la riduzione della funzione renale
non solo si associa a una ridotta gluconeogenesi, ma anche
a un prolungamento dell’emivita dei farmaci a escrezione renale, situazione che richiede una riduzione dei dosaggi per
Tabella 1 Stadi della malattia renale cronica.
Stadio Descrizione
GFR
(ml/min/1,73m2)
Danno renale* con GFR
1
≥ 90
normale o aumentato
Danno renale* con GFR
2
60-89
lievemente ridotto
3A
Moderata riduzione del GFR
45-59
3B
Moderata riduzione del GFR
30-44
4
Grave riduzione del GFR
15-29
5
Insufficienza renale terminale
< 15 o dialisi
*Il danno renale è definito dalla presenza di anormalità del sedimento
urinario, ematochimiche o degli esami strumentali.
29
Tabella 2 L’effetto della funzione renale al reclutamento sul rischio di ipoglicemia: analisi post hoc
dello studio ACCORD (modificata da Miller et al.
2010)(15).
Predittori di
ipoglicemia severa
Rapporto albumina/creatinina (mg/g)
< 30
1,0
< 0,0001
30-300
1,20 (1,02-1,44)
0,03
> 300
1,74 (1,37-2,21)
< 0,0001
Creatinina sierica (µmol/l)
< 88,4 (< 1,0 mg/dl)
1,0
0,001
88,4-114,9
1,21 (1,02-1,43)
0,03
> 114,9 (> 1,3 mg/dl) 1,66 (1,25-2,19)
< 0,0001
evitare il rischio di episodi ipoglicemici prolungati. Le ipoglicemie non solo influenzano la qualità di vita del paziente, ma
hanno rilevanti implicazioni prognostiche negative. Il rischio di
morte è aumentato in modo significativo già dopo un giorno
dall’evento ipoglicemico(14). Nello studio ACCORD, gli episodi
ipoglicemici sono stati significativamente associati a un maggiore rischio di mortalità cardiovascolare, soprattutto nei pazienti con albuminuria o ridotta funzione renale(15) (Tab. 2).
Appare quindi essenziale nel paziente con malattia renale cronica evitare il più possibile gli episodi ipoglicemici.
Il ruolo del controllo glicemico
nei pazienti con malattia renale cronica
Tutti i dati della letteratura convergono nel sostenere la centralità del buon controllo glicemico nel trattamento del paziente diabetico con malattia renale cronica soprattutto per la
riduzione della progressione del danno renale. Le linee guida
ADA/EASD affermano con chiarezza che un’emoglobina glicata (HbA1c) inferiore al 7% (53 mmol/mol) è un importante
prerequisito per la riduzione dell’incidenza delle complicanze
microvascolari(16). Ovviamente il target di HbA1c deve essere
individualizzato in funzione del rischio di ipoglicemia, delle
complicanze cardiovascolari associate, del grado di insufficienza renale cronica e della presenza di altre comorbilità(16).
Nel diabete di tipo 1, il DCCT e lo studio EDIC hanno dimostrato inequivocabilmente che il buon controllo glicemico non
solo è in grado di prevenire la comparsa di micro- e macroalbuminuria, ma anche di ridurre il progressivo deterioramento
della funzione renale(17).
Nel diabete di tipo 2, tutti gli studi (ACCORD, ADVANCE e
VADT) hanno dimostrato che lo stretto controllo glicemico ha
un effetto benefico sulla funzione renale(18-20). In particolare,
non solo il buon controllo è in grado di ridurre la comparsa di
microalbuminuria, ma anche, e soprattutto, di ridurre la comparsa di macroalbuminuria (Fig. 1). In sostanza si conferma
che lo stretto controllo glicemico è in grado di ridurre il rischio
di sviluppo di nefropatia diabetica manifesta. Anche se il ruolo
Riduzione (%)
30
R. Trevisan et al.
0
-5
-10
-20
-25
-30
-35
-40
-45
-50
Sulfoniluree e glinidi
-9
-23
-26
-30
-43
Microalbuminuria
ADVANCE
-43
Macroalbuminuria
ACCORD
VADT
Figura 1 Efficacia del controllo glicemico intensivo sulla comparsa di nuovi casi di micro- e macroalbuminuria negli studi
ADVANCE, ACCORD e VADT.
del controllo glicemico sulla capacità di preservare la funzione
renale è meno chiaro, una recente rianalisi dello studio ADVANCE ha dimostrato come il rischio d’insufficienza renale
terminale sia drasticamente ridotto dallo stretto controllo glicemico(21).
Allo stato attuale, anche in assenza di studi eseguiti in diabetici con ridotta funzione renale, si può ragionevolmente affermare che un buon controllo glicemico appare una strategia
opportuna per la riduzione del rischio di progressione del
danno renale, soprattutto se si interviene precocemente.
Quale terapia nel diabetico nefropatico?
Metformina
Metformina, il farmaco di prima scelta per la terapia del diabete di tipo 2, è escreta immodificata a livello renale mediante
ultrafiltrazione glomerulare e secrezione tubulare, con un’emivita compresa tra 1,5 e 9 ore(22). Circa il 90% di una dose è
escreto entro 12-14 ore(23). Per tale motivo esiste un rischio di
acidosi lattica nell’uso di metformina nei pazienti con CKD e
le indicazioni tradizionali suggerivano di sospendere la terapia
con metformina nei pazienti con eGFR < 60 ml/min/1,73 m2.
Recentemente tale divieto per metformina è stato dibattuto e
rivisto(24,25). Sia le linee guida ADA/EASD(16) sia gli Standard
Italiani AMD/SID per la cura del diabete mellito (disponibili
consultando www.siditalia.it o www.aemmedi.it) non controindicano metformina nei pazienti con eGFR compreso fra
60 e 30 ml/min/1,73 m2. La dose però non deve essere superiore al grammo nei pazienti con eGFR < 45 ml/min/1,73 m2.
È prudente controllare la funzione renale ogni 6 mesi nei pazienti con CKD trattati con metformina. Inoltre tutti i pazienti
in terapia con metformina dovrebbero essere avvertiti di sospendere il farmaco in situazioni che possono aumentare il rischio di disidratazione. Il rischio di acidosi lattica è elevato in
queste situazioni, indipendentemente dai livelli basali di funzione renale.
È importante ricordare che metformina non causa danno renale diretto in alcun modo, ma solo attraverso il rischio di acidosi lattica.
Anche se le sufoniluree sono ancora usate largamente per il
trattamento del diabete di tipo 2, il loro uso è associato al rischio
di ipoglicemia spesso severa, correlato alla loro emivita plasmatica. Per tale motivo è essenziale nei pazienti con ridotta
funzione renale usare solo le molecole a breve durata d’azione.
Glipizide e gliclazide sono da preferire e il dosaggio deve sempre essere ridotto in presenza di eGFR < 60 ml/min/1,73 m2.
Gliquidone ha un’emivita di 3-4 ore; non forma metaboliti attivi
e l’eliminazione avviene per il 95% per via biliare e solo per il
5% per via renale. Per tale motivo potrebbe essere utilizzato
anche nei pazienti con insufficienza renale(26). Purtroppo è una
molecola non facilmente reperibile in commercio.
Glibenclamide dovrebbe invece essere sempre evitata in questa categoria di pazienti. In qualsiasi caso con eGFR inferiore
a 30 ml/min/1,73 m2 la terapia con questa categoria di farmaci dovrebbe essere evitata, proprio per il grave rischio di
episodi ipoglicemici.
In Italia è molto usata repaglinide nei pazienti con ridotta funzione renale, dal momento che tale farmaco è escreto prevalentemente a livello epatico. Essa ha un’emivita di 0,6-1,8 ore
ed è escreta nella bile e nelle feci. Meno del 10% di una dose
compare nell’urina, ma la concentrazione del farmaco, l’area
sotto la curva (AUC) e l’emivita sono incrementate nei pazienti
con insufficienza renale e in dialisi(27). Il rischio di ipoglicemia
pertanto esiste anche con questo farmaco che va usato con
molta prudenza nei pazienti con eGFR < 30 ml/min/1,73 m2.
Inibitori dell’α-glucosidasi
L’utilizzo degli inibitori dell’α-glucosidasi (acarbosio e miglitolo) è sconsigliato nei soggetti con insufficienza renale, poiché entrambi i farmaci si accumulano nei soggetti con ridotta
funzionalità renale(28).
Pioglitazone
Pioglitazone è completamente metabolizzato a livello epatico,
con formazione di numerosi metaboliti. Ha un’emivita di 37 ore, forma sei metaboliti, tre dei quali sono attivi(28). In caso
di insufficienza renale non si ha alcun accumulo di pioglitazone né dei suoi metaboliti attivi(29). Infatti, l’AUC è ridotta nei
pazienti con insufficienza renale severa, forse per ridotto legame alle proteine. L’emodialisi non ne altera la farmacodinamica. Pertanto non è necessario ridurre il dosaggio di tale
farmaco nei pazienti con ridotto GFR(28). Vanno però considerati gli effetti collaterali potenzialmente rischiosi in pazienti
con nefropatia avanzata, in particolare l’edema e l’insufficienza
cardiaca congestizia(30).
DPP-4 inibitori
Attualmente sono disponibili quattro farmaci di questa classe
(sitagliptin, vildagliptin, linagliptin e alogliptin, Tab. 3). I DPP-4
inibitori sono molecole per via orale, in grado di ridurre l’HbA1c
come gli altri antidiabetici orali, che però non aumentano il
31
Terapia del diabete nel paziente nefropatico
Tabella 3 Confronto tra le caratteristiche farmacocinetiche dei DDP4-inibitori.
Sitagliptin
Saxagliptin
Vildagliptin
Linagliptin
Dosaggio
100 mg QD
5 mg QD
50 mg BID
5 mg QD
Emivita
12 ore
2 ore
3 ore
> 120 ore
Principalmente
Eliminazione di
Eliminazione di
Enteroepatica;
eliminato
metaboliti
metaboliti
eliminato
immodificato
(citocromo
(no enzimi
immodificato
Eliminazione
nelle urine (75%)
P450 3A4/5) e
citocromo 450) e nelle feci e via
clearance renale
clearance
escrezione biliare
(24%)
renale (23%)
(85%)
Clinicamente
Clinicamente
Clinicamente
Effetto su HbA1c Clinicamente
rilevante;
rilevante;
rilevante;
rilevante;
(in monoterapia)
fino a –0,8%
fino a –0,8%
fino a –0,8%
fino a –0,8%
Ridurre la dose
Ridurre la dose
Ridurre la dose
Non necessaria
a 50 mg/die nella a 2,5 mg/die nella a 50 mg/die nella riduzione del
CKD moderata
CKD moderata
CKD moderata
dosaggio
(CrCl da ≥ 30
(CrCl da ≥ 30
(CrCl da ≥ 30
a ≤ 50 ml/min);
a ≤ 50 ml/min)
a ≤ 50 ml/min)
Uso in CKD
ridurre la dose
e severa
a 25 mg/die nella
(CrCl < 30 ml/min)
CKD severa
(CrCl < 30 ml/min)
Alogliptin
25 mg QD
21 ore
Principalmente
eliminato
immodificato
nelle urine (63%)
Clinicamente
rilevante;
fino a –0,8%
Ridurre la dose
a 12,5 mg/die
nella CKD
moderata
(CrCl da ≥ 30
a ≤ 50 ml/min);
ridurre la dose
a 6,25 mg/die
nella CKD severa
(CrCl < 30 ml/min)
BID: due volte al giorno; CrCl: clearance della creatinina; QD: una volta al giorno.
rischio di ipoglicemia a meno che non siano somministrati
insieme alle sulfoniluree o all’insulina(31). Per tale motivo possono essere somministrati con sicurezza nei pazienti con CKD
moderata o severa, con opportune riduzioni del loro dosaggio(32,33). Linagliptin è l’unica molecola di questa classe con
un’escrezione prevalentemente epatica, per la quale non è
necessario alcun aggiustamento del dosaggio nei pazienti con
ridotta funzione renale(33).
Vildagliptin è stato studiato accuratamente in coorti di pazienti
con severa riduzione della funzione renale e si è dimostrato efficace e sicuro anche in pazienti in dialisi(34-36).
È possibile che questa classe di farmaci possieda un effetto
nefroprotettivo, indipendentemente dalla loro azione sul controllo glicemico. Linagliptin si è, infatti, dimostrato in grado di
ridurre l’albuminuria in pazienti con ridotta funzione renale indipendentemente dalla sua azione ipoglicemizzante(37). In un
gruppo di 217 diabetici di tipo 2 con albuminuria elevata, il
trattamento con linagliptin si associava a una riduzione del
32% della escrezione di albumina, e questo effetto era indipendente dalla riduzione dell’HbA1c e dalla pressione arteriosa
(Fig. 2). Questo dato è stato confermato anche per saxagliptin. Nello studio SAVOR(38), nei pazienti che assumevano saxagliptin si è osservata non solo una modesta, ma significativa
riduzione della comparsa di microalbuminuria, ma anche una
maggiore probabilità di regressione della microalbuminuria,
anche nei pazienti con ridotta funzione renale(39).
Appare pertanto evidente come questa classe di farmaci potrebbe svolgere un ruolo importante nel trattamento del paziente diabetico con riduzione della funzione renale.
Riduzione di UACR dopo 12 e 24 settimane di trattamento
Media geometrica (IC al 95%)
40
12 settimane
24 settimane
20
0
-20
-40
-6
-6
-29*
-32*
-60
*p < 0,05 vs baseline
Placebo
Linaglliptin
Figura 2 Linagliptin vs placebo, riduzione percentuale dell’albuminuria misurata come rapporto albuminuria/creatininuria (UACR) (modificata da Groop et al. 2013)(37).
Agonisti recettoriali del GLP-1
Attualmente sono disponibili quattro farmaci di questa classe
(exenatide, exenatide LAR, liraglutide e lixisenatide). Sono molecole di struttura molto diversa, da iniettare sc e con notevoli
differenze di farmacocinetica (exenatide e lixisenatide sono a
breve durata d’azione, liraglutide ed exenatide LAR a lunga durata d’azione) e sono particolarmente efficaci non solo nel ridurre l’HbA1c, ma anche nel ridurre il peso grazie alla loro azione
sullo svuotamento gastrico e sull’appetito(40). Condividono con
i DPP-4 inibitori il basso rischio di ipoglicemia. I più frequenti
eventi collaterali sono nausea, vomito e diarrea che tendono a
32
R. Trevisan et al.
diminuire però nel tempo(41). Non sono consigliati al momento
attuale nei pazienti con eGFR < 60 ml/min/1,73 m2, sia perché
la loro clearance è in parte renale sia perché non ci sono sufficienti dati clinici disponibili. Solo nel prossimo futuro (quando
saranno disponibili gli studi in corso) sarà possibile valutare il
loro uso potenziale nei pazienti con moderata o severa CKD.
Inibitori del cotrasporto
sodio/glucosio (SGLT2 inibitori)
Questa nuova classe di antidiabetici orali è di prossima introduzione nel mercato italiano. Migliorano il controllo glicemico,
similmente agli altri antidiabetici orali, inibendo a livello renale
il cotrasporto sodio/glucosio e di conseguenza aumentando
l’escrezione di glucosio(42). I più comuni effetti collaterali sono
un aumentato rischio di infezioni genitali e del tratto urinario.
I dati disponibili dimostrano una loro minore efficacia nei pazienti con ridotta funzione renale(43). Possono essere usati con
prudenza nei pazienti con eGFR tra 60 e 30 ml/min/1,73 m2,
ma sono controindicati nei pazienti con insufficienza renale
severa(16). Alcuni dati preliminari mostrano un possibile effetto
di riduzione dell’albuminuria con questa classe di farmaci(44),
ma il significato di questi dati sarà testato in trial clinici già in
corso su pazienti con danno renale e albuminuria.
La figura 3 illustra schematicamente le indicazioni attuali sull’uso dei farmaci per il diabete nei pazienti con vari gradi di
funzione renale.
Insulina
L’insulina può essere somministrata in qualsiasi stadio della
malattia renale. Ovviamente si associa a rischio d’ipoglicemia
e una stretta aderenza a un corretto monitoraggio delle glicemie è essenziale per la sicurezza della terapia.
Fabbisogno insulinico nell’insufficienza renale
La sensibilità all’insulina è ridotta nei pazienti con insufficienza
renale, anche nelle fasi iniziali(45) e la stessa insulino-resistenza
è stata indicata come potenziale fattore di rischio per lo sviluppo di nefropatia(46). Nonostante questa condizione, nell’insufficienza renale si verifica spesso un marcato calo del
fabbisogno insulinico, che in taluni casi può portare alla sospensione del trattamento(47,48). Le possibili spiegazioni sono
le seguenti.
– A differenza dell’insulina endogena, che è sostanzialmente
degradata dal fegato, l’insulina esogena è principalmente
eliminata dal rene normale. L’insulina è liberamente filtrata
a livello glomerulare e poi è estensivamente riassorbita a
livello del tubulo prossimale. L’insulina filtrata passa attraverso la membrana apicale delle cellule dell’epitelio tubulare prossimale ed è poi enzimaticamente degradata in
frammenti peptidici di varie dimensioni, che sono poi riassorbiti. C’è anche un meccanismo di captazione e degradazione dell’insulina da parte delle cellule dell’endotelio
peritubulare e dell’epitelio renale, con una clearance renale totale che eccede il GFR(49). Mano a mano che l’insufficienza renale progredisce, aumenta la captazione
peritubulare di insulina. Ciò compensa il declino nella degradazione dell’insulina filtrata fino a che il GFR si riduce
a meno di 20 ml/min/1,73 m2. Al di sotto di questo livello
la clearance dell’insulina si riduce, aumenta l’emivita dell’insulina e si riduce il fabbisogno insulinico(50-52). Quando
la clearance e il catabolismo dell’insulina sono ridotti, gli
effetti metabolici sia delle insuline a breve durata d’azione
sia delle insuline ritardate persistono più a lungo e aumenta il rischio potenziale di ipoglicemia.
– Spesso l’uremia comporta una condizione di anoressia e
perdita di peso che induce una starvation simile a quella
delle diete utilizzate in era pre-insulinica.
Pioglitazone
Glipizide
Gliclazide
Glimepiride
Glibenclamide
Repaglinide
Acarbose
Metformina
Alogliptin
Linagliptin
Saxagliptin
Vildagliptin
Sitagliptin
Lixisenatide
Exenatide
Liraglutide
Insulina
> 60
60-30
eGFR (ml/min/1,73
< 30
Emodialisi
m2)
La linea tratteggiata sottolinea la necessità di ridurre i dosaggi del farmaco
Figura 3 Utilizzo degli attuali
farmaci per il trattamento del
diabete a seconda del grado di
funzione renale.
Terapia del diabete nel paziente nefropatico
120
0
50% dose di insulina
ESRD
15
Normale
pre-ESRD
30
90
IRC
iniziale
IRC moderata
25% dose di insulina
60
Figura 4 Istruzione schematica per la riduzione della dose di
insulina in base al filtrato glomerulare (ml/min/1,73 m2) (modificata da Aronoff et al., 1999)(54).
La riduzione del fabbisogno insulinico in pazienti con riduzione
del GFR è risultata simile sia nel diabete di tipo 1 sia nel diabete di tipo 2 in uno studio retrospettivo su 40 pazienti(51).
Poiché nei pazienti con nefropatia il declino della funzione renale è progressivo, è indispensabile un accurato monitoraggio dei livelli glicemici, al fine di modificare il regime terapeutico
insulinico ed evitare episodi ipoglicemici.
Come regola grossolana è stata suggerita una riduzione del
25% del dosaggio insulinico rispetto a quello usuale alla presenza di eGFR compreso tra 10 e 50 ml/min/1,73 m2 e una
riduzione del 50% in presenza di GFR inferiore a 10 ml/min/
1,73 m2(53,54) (Fig. 4).
Dopo l’inizio della terapia emodialitica spesso il fabbisogno
insulinico si riduce ulteriormente, poiché la terapia emodialitica
riduce l’insulino-resistenza(53,55).
Nei pazienti diabetici in trattamento con dialisi peritoneale la
somministrazione intraperitoneale di insulina spesso ottiene
un migliore controllo glicemico con più bassi dosaggi insulinici rispetto alla somministrazione sottocutanea(55-57). In particolare la riduzione del fabbisogno insulinico si verifica se
l’insulina è instillata nella cavità peritoneale quando è vuota,
mentre se l’ormone è instillato nella cavità peritoneale assieme al liquido di dialisi c’è una perdita di attività dovuta alla
diluizione nel fluido e all’adesione alla superficie di plastica
del sistema di infusione della soluzione di dialisi. La somministrazione intraperitoneale di insulina oltre a permettere un
più fisiologico effetto dell’insulina sembra ridurre anche la formazione di anticorpi anti-insulina rispetto alla somministrazione sottocutanea(57).
33
insufficienza renale avanzata(53), mentre altri autori suggeriscono
l’utilizzo di tali preparati(55). In particolare è stata suggerita quale
possibile opzione l’utilizzo di insulina glargine per fornire il fabbisogno basale delle 24 ore associata a boli di basso dosaggio
di analogo insulinico rapido (lispro o aspart)(48). Non esistono
però al momento studi circa l’utilizzo dell’insulina glargine nell’insufficienza renale di grado avanzato.
Reaven et al. hanno studiato la farmacocinetica dell’insulina
regolare e dell’analogo lispro in soggetti con diabete di tipo 1:
i pazienti con nefropatia diabetica (GFR medio 54 ml/min/
1,73 m2) avevano una riduzione del 30-40% della clearance
sia dell’insulina regolare sia della lispro rispetto ai pazienti senza
nefropatia(58). Paradossalmente, nonostante i più alti livelli di insulina circolante, sia il picco d’azione sia gli effetti metabolici
dell’insulina sono risultati ridotti nei soggetti con nefropatia e
perciò gli autori hanno suggerito che dovrebbe essere necessaria l’iniezione di più alte dosi per ottenere un compenso metabolico comparabile a quello dei soggetti senza nefropatia. Di
particolare interesse è il rilievo che l’analogo insulinico lispro
presenta una farmacodinamica, valutata mediante gli effetti sul
metabolismo del glucosio, simile nei pazienti senza nefropatia
e in quelli con tale complicanza. Gli autori concludono, in accordo con altre limitate segnalazioni(58,59), che, per tali caratteristiche, l’analogo lispro potrebbe ridurre il rischio di ipoglicemie
e migliorare il compenso metabolico nei pazienti con insufficienza renale (Fig. 1). In uno studio randomizzato cross-over su
pazienti con diabete di tipo 2 complicato da nefropatia conclamata sono stati confrontati, mediante clamp euglicemico, gli
effetti sul rene e sul metabolismo dell’insulina regolare e dell’analogo lispro, somministrati prima di un pasto standard. L’insulina lispro previene l’iperfiltrazione glomerulare e limita gli
effetti sul rene del pasto e/o dell’iperglicemia indotta dal pasto.
Gli autori ipotizzano che tali effetti siano correlati a un’azione
antagonista all’IGF-1(60).
Nei pazienti in emodialisi, che hanno in genere un differente
fabbisogno insulinico nei giorni di dialisi rispetto agli altri giorni,
è stato suggerito uno schema flessibile multiniettivo con insuline ad azione rapida(61). Un’altra possibilità è l’utilizzo della
somministrazione sottocutanea continua d’insulina (CSII) mediante microinfusore. Questa modalità terapeutica ha il doppio vantaggio di poter somministrare un’infusione basale
programmabile a una velocità minore nei giorni di emodialisi
e di poter utilizzare diversi tipi di bolo ai pasti (bolo a picco, a
onda quadra, a onda doppia). È riportata una segnalazione
di utilizzo della CSII in sporadici casi di pazienti in emodialisi
con buoni risultati(48). Non ci sono dati che dimostrino che
questa modalità terapeutica sia in grado di ridurre il rischio
ipoglicemico nei pazienti con CKD.
Schemi di terapia insulinica nell’insufficienza renale
Ci sono pochi dati in letteratura riguardanti lo schema insulinico più appropriato per un paziente con insufficienza renale
severa.
Sono scarsi gli studi riguardanti la farmacocinetica delle varie
formulazioni di insulina in soggetti con vario grado di insufficienza renale. Alcuni autori suggeriscono di evitare le formulazioni insuliniche a lunga durata d’azione in pazienti con
Conclusioni
Anche se è ormai ben stabilito che un buon controllo glicemico,
applicato precocemente, è in grado di ridurre sia la comparsa
sia la progressione del danno renale nel paziente diabetico,
molto meno chiaro è il ruolo dello stretto compenso glicemico
nei pazienti diabetici con insufficienza renale avanzata e in dia-
34
R. Trevisan et al.
lisi. Inoltre, tali pazienti hanno frequenti crisi ipoglicemiche e presentano spesso concomitanti patologie cardiovascolari, per cui
è considerato accettabile il conseguimento di un moderato
compenso glicemico con livelli di HbA1c compresi tra 7 e 8%
(53-64 mmol/mol)(16). Inoltre la scelta del trattamento farmacologico in questi pazienti non è semplice e richiede una perfetta
conoscenza della farmacocinetica dei farmaci usati e dei loro
possibili effetti collaterali. Le attuali evidenze sembrano favorire,
tra i farmaci orali, la metformina per i casi con insufficienza renale moderata e i DPP4-inibitori anche nei pazienti con severo
deterioramento della funzione renale. Sicuramente la terapia insulinica gioca un ruolo importante nella terapia dell’iperglicemia, ma è assolutamente necessario uno stretto monitoraggio
glicemico al fine di ridurre il rischio di ipoglicemie. È auspicabile
che studi clinici adeguatamente disegnati possano nel prossimo futuro orientare meglio le nostre decisioni terapeutiche.
Conflitto di interessi
Nessuno.
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