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LE SEZIONI DELLA MOSTRA
GIUDITTA EROINA, MITO E ANTICHITÀ
Giuditta è una delle più celebri donne bibliche di tutti i tempi.
Giovane vedova ebrea, decide con coraggio di salvare il suo popolo dalla
minaccia di Oloferne, il generale assiro di Nabucodonosor che assedia la città
di Betulia. Giuditta è sola a combattere il terribile condottiero, sola
nell’accampamento nemico per salvare la città di Betulia. Sola, ma con Dio
nel cuore, Giuditta conosce la potenza dell’unica arma su cui può fare
affidamento, la sua bellezza. Seduce Oloferne e, mentre il generale giace
ebbro nella sua tenda, lo uccide tagliandogli la testa. Le sue gesta sono
narrate nei sedici capitoli a lei intitolati dell’Antico Testamento e la sua figura
ha sempre avuto un alto valore esemplare, come simbolo della Virtù che
trionfa sul Male. È una delle più antiche incarnazioni dell’eroismo femminile.
Casta seduttrice, riesce a sedurre Oloferne con l’inganno. La sua vicenda è
anche simbolo della fedeltà di Dio al suo popolo, che nella continuità del
racconto biblico viene messo alla prova, ma mai abbandonato dal Signore.
Come rivela l’etimologia del nome (Giuditta = giudea), l’eroina personifica la
nazione stessa.
GIUDITTA NELL’ARTE
La grande fortuna iconografica di Giuditta attraversa i secoli.
Gli artisti ne esaltano l’ispirazione divina, l’audacia, la virtù e l’avvenenza.
È accompagnata dagli attributi della spada, dei gioielli, della serva fedele e
della testa di Oloferne. I codici del XIII e XIV secolo sono tra le prime
testimonianze del mito di Giuditta, utilizzato come esempio di punizione per gli
infedeli. Nelle città italiane del Rinascimento il suo personaggio viene letto in
chiave politica, come simbolo delle virtù civiche e della sete di libertà contro la
tirannia. Nella dimensione privata, invece, Giuditta ha la grazia seducente
della donna angelicata e incontaminata, almeno fino alla cruda raffigurazione
che ne dà il pittore Caravaggio nel 1598-1599 circa. Il realismo della sua
composizione mostra, per la prima volta con tanta fiera crudeltà, l’atto
tremendo della decapitazione di Oloferne.
In quel XVII secolo - in cui la Chiesa stessa invoca esempi di fortitudine che
sollecitino nei fedeli emozioni, imitazione e empatia - sono molti i pittori della
cerchia di Caravaggio a cimentarsi con il soggetto. Nelle rappresentazioni di
Artemisia Gentileschi, Johann Liss, Francesco Cairo, Giuditta non esita, è
robusta, forte, una donna che è uscita ormai dal mito e fa i conti con la storia.
GIUDITTA: METAMORFOSI SULLO SCHERMO
Il video raccoglie frammenti di film girati tra il 1910 e il 1920, attorno a tre
motivi: la danza come esaltazione dell’Eros, il bacio come certificazione della
passione e attrazione fatale e la decapitazione/castrazione come climax
drammatico e vendetta trionfale di Giuditta. L’eroina biblica diventa una guida
nell’irresistibile ascesa delle nuove Eve fatali nel firmamento del Divismo.
I corpi e i volti di alcune Dive (Asta Nielsen, Lyda Borelli, Francesca Bertini,
Pina Menichelli, Blanche Sweet, Theda Bara, Musidora, Alla Nazimova)
sembrano imprimersi nell’immaginario collettivo e celebrano alcuni modelli
femminili emergenti, il cui albero genealogico viene da lontano. La potenza
magnetica degli sguardi e l’erotismo dei corpi assoggettano le vittime,
raccontando la metamorfosi di creature angeliche in oscure potenze infernali.
Esseri in cui bene e male convivono, le donne tigri, serpente, libellula o
farfalla accendono nelle vittime il fuoco del desiderio che si estingue solo con
la morte e trasmettono l’idea che il paradiso è nel loro corpo, dove l’estasi di
un attimo vale la dannazione eterna.
A cura di Gian Piero Brunetta
con la collaborazione di Mirco Melanco, Tommaso Brugin, Denis Lotti
ALTRE GIUDITTE
Leda, Europa, Io, Dione, Danae sono alcune tra le molte figure femminili che
Zeus seduce trasformandosi di volta in volta secondo sembianze diverse
(cigno, toro, nuvola, pioggia d’oro). Artisti e letterati di ogni tempo si ispirano
al suo mito per raccontare storie sempre nuove di metamorfosi e seduzione.
GIUDITTA II DI GUSTAV KLIMT
Nell’aprile 1910 apre a Venezia la IX Biennale. Una sala è dedicata alla
mostra di 22 opere dell’artista viennese Gustav Klimt e tra queste c’è anche
Giuditta II (Salomè). È un’opera rivoluzionaria, che interpreta il mito
tradizionale in chiave del tutto nuova. Come scriveva Nino Barbantini, allora
direttore di Ca’ Pesaro: «… la Giuditta del pittore novissimo è la Giuditta della
storia terribile, piena di orrore e di ribrezzo, che ancora discinta dall’orgia,
contrae la faccia e le mani; è la creatura strana, agitata tutta nell’anima e nei
nervi dalla sua avventura e dall’omicidio, e che passa in mezzo alla guerra
coll’immagine tragica davanti agli occhi, con il pericolo alle spalle ed ai
fianchi». Giuditta II si distanzia a tal punto dalla tradizione che viene
associata a Salomè e diventa immagine della donna moderna, «frutto aspro
della nostra civiltà frenetica e corrotta». La sala di Klimt ha pochi sostenitori.
Le sue opere sono criticate, ridicolizzate, ignorate. Tuttavia, a fine Biennale, la
Commissione Acquisti del Comune propone al Sindaco di comprare un’opera
dell’artista viennese. Così Giuditta II resta a Venezia ed entra nelle collezioni
di Ca’ Pesaro, diventando oggi icona del museo e capolavoro celebrato dal
pubblico e dalla critica internazionali.
GIUDITTA O DELLA SEDUZIONE
Con Klimt, Giuditta non è più un’eroina della storia, non è una salvatrice, non
è casta, piuttosto è una donna che ha scoperto la propria sessualità, che
rifiuta la propria marginalità sociale, che ha disceso il buio dell’inconscio
scoprendo, grazie a Freud, le proprie più intime pulsioni.
La liberazione dell’arcaica ostilità verso l’uomo avviene in Giuditta attraverso
l’uso delle armi femminili, il fascino e la seduzione.
La minaccia della castrazione che si perpetua a ogni apparire di Giuditta – la
testa tagliata non è forse il simbolo della cancellazione dell’identità e della
perdita del potere? –, prende il sopravvento sulle buone intenzioni dell’eroina
ebrea, che si assicura il primato di peccatrice e seduttrice della storia dell’arte.
Il passaggio da una formulazione eroica (quella di Caravaggio per intenderci)
a una psicanalitica (come avviene nell’opera di Klimt) richiede un cammino di
deflorazione del mito, che viene via via privato di molte virtù morali. Per
lasciare spazio a una figura ambigua, insieme seduttrice e assassina, femme
fatale e vendicatrice.
Ecco dunque un esercito di seduttrici crudeli, protagoniste del simbolismo in
pittura e letteratura, sirene irresistibili, donne vampiro dai capelli rossi che
avvolgono l’uomo come tentacoli, tagliatrici di teste seducenti e dominanti,
anche nella contemporaneità più concettuale, che ha metabolizzato il mito di
Giuditta in un ironico, sempre contraddittorio, gioco tra i sessi.
VENEZIA GUARDA
Il muranese Vittorio Zecchin crea a Venezia un laboratorio artistico che
prende spunto dalle idee sviluppate nel mondo delle Wiener Werkstätte, le
officine di produzione che nascono con la Secessione viennese, e di cui Klimt
è anima e ispirazione. Anche Zecchin, come i colleghi d’oltralpe, esprime la
sua creatività e l’eclettismo della sua sensibilità nei materiali e nelle tecniche
più diverse, dalla decorazione, ai dipinti, gli arazzi, i vetri e gli elementi di
arredo. Splendido esempio della sua produzione più alta sono i pannelli con i
racconti de Le Mille e una notte, creati nel 1914 per la sala da pranzo
dell’Hotel Terminus e Viaggiatori a Venezia.
Nel ciclo decorativo, che si inserisce nell’alveo delle prove di Cesare Laurenti,
Aristide Sartorio e Galileo Chini, entrano materiali che richiamano
direttamente il clima della Secessione, come l’oro. L’influenza di Klimt a
Venezia è evidente anche nei vestiti delle principesse e dei cavalieri, che
popolano le atmosfere fiabesche del racconto, e nel trattamento degli sfondi,
con motivi floreali e una ricchissima decorazione a tessere e murrine, che
uniscono la tradizione veneziana alle influenze secessioniste.