Lettera al sindacato da Marcello Rodano
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Lettera al sindacato da Marcello Rodano
IL PERCHE’ DI UNA SCELTA Durante la mia intera vita professionale in seno alla Polizia di Stato, ho sempre avvertito, nei confronti delle diverse sigle sindacali di categoria, una sorta di istintiva diffidenza che mi aveva sempre indotto a prenderne le distanze. Intendiamoci, la diffidenza di cui parlo non era rivolta alla funzione sindacale, che ho sempre considerato una grande conquista per il personale della Polizia di Stato, bensì al fisiologico e ineliminabile fenomeno di tifoseria sindacale che si innesca nel momento stesso in cui si sceglie di entrare a far parte di un certo schieramento. In parole povere, per oltre 20 anni ho sempre cercato di restare fuori dagli organici di qualsiasi sigla sindacale per timore che l’appartenenza ad una di esse avrebbe potuto inficiare la laicità del mio essere poliziotto, la mia voglia di rimanere “super partes”, sempre e comunque. Troppe volte avevo visto colleghi infervorarsi con contenziosi in cui l’appartenenza ad opposte organizzazioni sindacali fungeva da “casus belli” per l’insorgenza di conflittualità che mai invece devono insinuarsi fra persone che si ritrovano a condividere un comune destino professionale e operativo. Di recente, però, mi sono reso conto che quand’anche la qualifica che ricopro mi induca a ritenere di non essere proprio l’ultima ruota del carro, la scelta peggiore che si possa fare nell’accingersi a perorare delle giuste e sacrosante rivendicazioni avendo come controparte la nostra amministrazione, è quella di impegnarsi in solitarie ed egocentriche battaglie personali. Ho infatti toccato con mano l’effettivo riscontro nei fatti di uno degli aforismi più celebri del compianto Giovanni Falcone, laddove affermava che “Si muore generalmente perché si è soli, si muore spesso perché non si dispone delle necessarie alleanze, si muore perché si è privi di sostegno…”. Mi permetto di metaforizzare la citazione del compianto Falcone al fine di esprimere l’importanza di poter dare una dimensione corale a quelle che potrebbero in caso contrario apparire battaglie contro i mulini a vento o per meri tornaconti personali. Ho effettivamente visto in prima persona, al culmine di uno stato di frustrazione in cui ero precipitato a seguito di una patita ingiustizia, come, utilizzando al meglio certi strumenti sindacali, si possono attaccare quei santuari del potere che, da singolo operatore di polizia, anche se di qualifica elevata, mi sarebbe stato impossibile insidiare. La possibilità di poter esprimere quel proprio pensiero che, nell’ambito della scala gerarchica in cui si è incardinati durante l’espletamento del servizio, per come è giusto che sia, non consente di manifestare il proprio dissenso a determinate scelte prese da altri sulla nostra pelle, mi ha definitivamente convertito alla lotta e all’attivismo sindacale. Cionondimeno, penso che quando tale scelta matura dentro di noi, la preferenza di uno schieramento piuttosto che di un altro non deve essere fatta a cuor leggero e con disinvolta superficialità, perché anche l’uomo più savio, se sceglie di appartenere ad un esercito di stolti, non potrà mai sperare di ritrovarsi a battersi per una giusta causa. Questo è il motivo, in sintesi, per cui ho liberamente e coscienziosamente scelto di dare la mia adesione all’AdP. Da funzionario di polizia finora avulso ad ogni militanza sindacale, mi sono spesso ritrovato a fare da muto spettatore a molte di quelle manovre clientelari e partitocratiche poste in essere da certi sindacati, dalle quali ho sempre visto estraniarsi, con costante coerenza, i rappresentanti dell’AdP. L’aver assistito in qualità di impotente testimone alla lottizzazione degli uffici più prestigiosi, alla negoziazione interessata del monte ore dello straordinario, alla stessa assegnazione di materiali e mezzi di servizio sulla scorta delle correnti sindacali, mi ha instillato un tale disgusto e un radicato pregiudizio verso determinate sigle sindacali “governative” e “allineate”, da indurmi a rispecchiarmi negli ideali professati e nella strategia d’azione dell’AdP, allo stesso modo in cui mi rispecchiai tanto tempo fa nella professione di poliziotto che scelsi deliberatamente di abbracciare. Mi accingo a scendere nell’agone sindacale consapevole che, a motivo dell’esiguità delle forze in campo del nostro schieramento, lo scontro sarà cruento, ma mi piace pensare di appartenere alla progenie di quei valorosi soldati romani di duemila anni fa che, pur essendo spesse volte inferiori per numero e per prestanza fisica, riuscivano a sbaragliare nemici di proverbiale bellicosità provenienti da tutti i punti cardinali dell’impero, facendo forza sul loro valore e sugli ideali a cui credevano. Questo non significa che qualche battaglia non potremo anche perderla, ciò di cui però sono graniticamente certo è che anche quando saremo avviati alla disfatta, combatteremo fino alla fine senza aver timore delle conseguenze a cui andremo incontro. Perché ciò che distingue un valoroso ma sfortunato combattente da un perdente per vocazione, è l’orgoglio di poter affermare di aver combattuto fino alla fine. Mi sia consentito, prima di concludere, di rivolgere il mio riconoscente pensiero all’amico e collega Ruggero Strano che mi ha permesso, in un momento di profonda afflizione professionale, di riscattarmi moralmente dando libero sfogo, nelle opportune sedi sindacali, al mio libero pensiero e alla mia incondizionata protesta. E quelli come me, per propria formazione genetica e morale, non dimenticano mai le persone dimostratesi amiche….. Tutti per uno, uno per tutti.